UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUOD MULTUM”

Questa  lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, venne indirizzata ai Vescovi ungheresi, ma contiene insegnamenti, esortazioni e timori, che sono di utilità somma a tutti i Cristiani fedeli di ogni parte del mondo e di ogni tempo. A maggior ragione oggi, epoca in cui assistiamo alla sistematica elusione di ogni principio cattolico, anche il più elementare e – diremmo – ovvio, questa lettera riacquista una importanza decisiva non solo per la residua Gerarchia cattolica oggi impedita ed “eclissata”, ma per tutti gli uomini battezzati di buona volontà. Sottolineiamo questo passaggio in particolare: « … Tuttavia, non possiamo tacere ciò che non sfugge quasi a nessuno, cioè quanto i tempi siano ostili alla virtù; quante volte la Chiesa sia combattuta con artifici; quanto ci sia da temere, fra tanti pericoli, che la fede, indebolita, languisca, anche là dove è solida e fondata su radici profondissime. È sufficiente ricordare quella funestissima fonte di mali che sono i principi del razionalismo e del naturalismo, diffusi senza freno dappertutto. Ne conseguono innumerevoli allettamenti corruttori: il dissenso o l’aperta opposizione del potere pubblico alla Chiesa; la pervicace audacia delle sette clandestine; il sistema qua e là adottato di educare la gioventù senza alcun rispetto per Dio. » Questo timore non è stato fatto debitamente proprio né dagli uomini di Chiesa, né dai governanti, né dai singoli Cristiani che oggi si trovano a pagare questa inadempienza in una società paganizzata totalmente dalle conventicole diaboliche che hanno preso il comando totale di tutte le attività umane, comprese quelle falsamente ispirate alla pratica religiosa cristiana. Tutti i popoli sono stati, e saranno ancor più puniti da Dio, con la perdita della vera fede e della pratica religiosa cristiana, surrogata da un modernismo di stampo luciferino che ha preso possesso di tutti i sacri palazzi e poteri civili e religiosi. Ogni frase va meditata con attenzione e fatta propria, al di là degli edificanti ricordi storici ungheresi ai quali si fa cenno affettuosamente come modello di zelo fervente verso la Religione Cattolica Romana, la vera ed unica Chiesa di Cristo.

Leone XIII
Quod multum

Lettera Enciclica

Ciò che desideravamo vivamente e da molto tempo, cioè che ci fosse l’occasione di parlarvi come abbiamo fatto con i Vescovi di numerose altre popolazioni, con il proposito cioè di comunicarvi i Nostri consigli sugli argomenti che concernono la prosperità del Cristianesimo ed il bene degli Ungheresi, Ci è reso possibile in maniera particolarmente positiva da queste stesse giornate nelle quali l’Ungheria, memore e lieta, celebra il bicentenario della liberazione di Buda. – Fra i meriti nazionali degli Ungheresi questa liberazione rimarrà di spicco per sempre, in quanto i vostri antenati recuperarono, con la pazienza ed il valore, la città capitale, nella quale i nemici si erano insediati per un secolo e mezzo. – Affinché rimanessero la memoria e la gratitudine per tale favore divino, giustamente Papa Innocenzo XI, Pontefice Massimo, stabilì che il 2 settembre, giorno nel quale si compì il prestigioso avvenimento, in tutto il mondo cristiano si celebrino riti solenni in onore di Santo Stefano, che fu il primo fra i vostri re apostolici. – Per la verità, si sa che la Sede Apostolica ebbe parte – e non certo di ultimo piano – nel meraviglioso e faustissimo evento del quale parliamo, che è quasi nato spontaneamente come conseguenza della splendida vittoria riportata tre anni prima sullo stesso nemico, presso Vienna; senza dubbio essa va attribuita in gran parte e a buon diritto all’impegno apostolico di Innocenzo; infatti, a partire da allora, le forze maomettane cominciarono ad indebolirsi. – In verità, anche prima di quel periodo, i Nostri Predecessori si erano preoccupati, in situazioni analoghe, di alimentare le forze dell’Ungheria con il suggerimento, con gli aiuti, con il denaro, con le alleanze. Da Callisto III ad Innocenzo XI sono molti i Pontefici Romani che sarebbe opportuno enumerare a questo titolo per rendere loro merito. – Uno eccelle fra tutti, Clemente VIII, al quale – quando Strigonia e Vincestgraz furono affrancate dalla dominazione turca – le massime Assise del regno decretarono pubblici ringraziamenti, poiché egli solo si era prodigato in favore dei derelitti, quasi disperati sulla loro sorte. – Pertanto, come la Sede Apostolica non è mai venuta meno alle aspettative della gente ungherese, ogni volta che toccò loro combattere contro i nemici della Religione e dei costumi cristiani, così ora che la commemorazione di un evento attesissimo commuove gli animi, a voi volentieri si unisce nella comunione di una giusta gioia; pur tenendo conto della diversità dei tempi, questo solo vogliamo e a questo solo Ci dedichiamo: confermare la moltitudine nella professione cattolica e parimenti impegnarci per quanto possiamo nell’allontanare il comune pericolo, in quanto il Nostro compito è provvedere alla salvezza delle genti. – La stessa Ungheria è testimone che nessun dono più grande può giungere da Dio, alle singole persone o alle comunità, che quello di abbracciare, col Suo intervento, la verità cattolica e conservarla una volta ricevuta. In un enorme dono di tal fatta è automaticamente racchiusa la somma degli altri beni grazie ai quali non solo gli individui possono ottenere la felicità eterna nei cieli, ma le nazioni stesse giungono ad una prosperità degna di tale nome. Poiché il primo dei re apostolici aveva ben capito questo, nulla egli soleva richiedere con più calore a Dio; niente, in tutta la vita, seguì con più attenzione e con maggior costanza che portare la fede cattolica in tutto il regno e stabilirla fin da principio su solidi fondamenti. Perciò subito cominciò, fra i Pontefici Romani e i re ed il popolo d’Ungheria, quello scambio di attenzioni e di cortesie che non vennero mai meno nel periodo successivo. – Stefano fondò e creò il regno, ma volle ricevere il diadema regio solo dal Pontefice Romano; fu consacrato re dall’autorità pontificia, ma volle che il suo regno fosse offerto alla Sede Apostolica; fondò con munificenza non poche sedi Vescovili e diede vita piamente a molte organizzazioni, ma in queste meritorie azioni ha avuto come compagne la massima benevolenza e l’indulgenza assolutamente singolare della Sede Apostolica in molte circostanze. Dalla sua fede e dalla sua pietà il re santissimo trasse la luce del consiglio e le migliori norme per governare lo Stato. Da null’altro, se non dall’assiduità della preghiera, egli ottenne quella forza d’animo con la quale rintuzzò le crudeli congiure dei nemici e respinse vittorioso i loro assalti. – Così, auspice la Religione, è nata la vostra nazione: conservandola come custode e come guida, siete giunti non solo alla maturità, ma alla forza del comando e alla gloria a pieno titolo. – L’Ungheria ha conservato santa ed inviolata la Religione ricevuta dal suo re e padre come un’eredità, anche nei tempi più difficoltosi, quando un pernicioso errore allontanò i popoli confinanti dal seno materno della Chiesa. Parimenti, insieme alla fede cattolica, il rispetto e l’amore devoto verso la sede di Pietro rimasero costanti nel re Apostolico, nei Vescovi e in tutto il popolo; d’altronde vediamo che continue testimonianze confermano la propensione favorevole e la paterna benevolenza dei Pontefici Romani verso gli Ungheresi. Oggi, dopo che sono trascorsi tanti secoli e sono accadute tante cose, rimangono, grazie a Dio, gli antichi vincoli; le stesse virtù dei vostri antenati non si sono assolutamente estinte nei posteri. Lodevole è inoltre l’impegno profuso, non senza frutto, nell’adempimento degli impegni Vescovili: il conforto fornito nelle calamità; lo studio mirato a difendere i diritti della Chiesa; la costante e fervida volontà di mantenere la fede cattolica. – Mentre riflettiamo su queste cose, l’animo è mosso da un giocondo senso di letizia, e a Voi, Venerabili Fratelli, e al popolo ungherese volentieri indirizziamo la lode meritata per avere ben agito. Tuttavia, non possiamo tacere ciò che non sfugge quasi a nessuno, cioè quanto i tempi siano ostili alla virtù; quante volte la Chiesa sia combattuta con artifici; quanto ci sia da temere, fra tanti pericoli, che la fede, indebolita, languisca, anche là dove è solida e fondata su radici profondissime. È sufficiente ricordare quella funestissima fonte di mali che sono i principi del razionalismo e del naturalismo, diffusi senza freno dappertutto. Ne conseguono innumerevoli allettamenti corruttori: il dissenso o l’aperta opposizione del potere pubblico alla Chiesa; la pervicace audacia delle sette clandestine; il sistema qua e là adottato di educare la gioventù senza alcun rispetto per Dio. – Se mai in altri tempi, in questo di certo converrà che sia universalmente accertata non solo l’opportunità ma l’assoluta necessità della Religione cattolica per la tranquillità e la salute pubblica. È confermato da quotidiane riprove fino a che punto si spingono a schiacciare lo Stato coloro che si sono abituati a non temere alcuna autorità e a non porre freni alle proprie bramosie. Perciò non può essere più un segreto per alcuno a che cosa mirino; con quali arti si adoperino; con quale tenacia muovano battaglia. – I più grandi imperi e le repubbliche più fiorenti sono costretti a combattere praticamente in ogni momento con branchi di uomini di tal fatta, uniti dalla sintonia delle opinioni e dalla comunione nelle azioni: pertanto ne deriva sempre qualche pericolo per la sicurezza pubblica. In alcuni luoghi, per contrastare un’audacia tanto grande e malvagia, con saggezza si è deciso di accrescere l’autorità dei magistrati e la forza delle leggi. Tuttavia, per evitare le minacce del socialismo, c’è un modo eccellente ed efficacissimo, impiegato il quale poco varrà come deterrente la paura della pena; esso consiste nel fatto che i cittadini siano profondamente attaccati alla Religione e che le loro azioni siano improntate a devozione ed amore per la Chiesa. Questa è infatti la custode santissima della Religione, la madre e l’educatrice degl’innocenti costumi e di tutte le virtù che spontaneamente sgorgano dalla Religione. Coloro che seguono con spirito religioso integro i precetti del Vangelo, per ciò stesso automaticamente restano lontani da qualsiasi ombra di socialismo. Infatti, la Religione ordina che, come si venera e si teme Dio, così si deve essere soggetti ed obbedienti al legittimo potere; vieta assolutamente i comportamenti sediziosi; vuole che ciascuno veda rispettati i propri beni ed i propri diritti; vuole che coloro che hanno maggiori ricchezze aiutino con bontà d’animo le moltitudini dei poveri. Accompagna i bisognosi con ogni forma di carità; allevia coloro che soffrono con la più soave consolazione, con l’annunciata speranza di beni infiniti ed immortali, che giungeranno tanto maggiori quanto più duramente e più a lungo gli uomini avranno patito. – Per questi motivi, coloro che governano le nazioni non possono far nulla di più saggio ed opportuno che permettere alla Religione di diffondersi negli animi senza alcuna barriera, per richiamarli, tramite i suoi precetti, all’onestà ed integrità dei costumi. Diffidare della Chiesa e trattarla con sospetto è in primo luogo palesemente ingiusto, ed inoltre non giova a nessuno, se non ai nemici dell’ordinamento civile e a coloro che sono desiderosi di sconvolgere il sistema. – L’Ungheria, per grazia di Dio, non ha visto i rilevanti moti nelle città, le folle terribili che in altri luoghi hanno distrutto la tranquillità delle popolazioni. Ma il pericolo incombente impone a Noi, e a Voi parimenti, Venerabili Fratelli, di vigilare e di sforzarci ogni giorno di più per mantener vivo e fiorente, costà, il nome della religione, e garantire l’onore delle istituzioni cristiane. – A tal fine, è auspicabile in primo luogo che la Chiesa possa godere, in tutto il regno Ungherese, di quella libertà piena e totale di cui godeva un tempo e di cui si è servita solo per il bene comune. Noi Ci auguriamo soprattutto che siano abolite dalle leggi le disposizioni che sono in conflitto con i diritti della Chiesa, ne limitano la libertà d’azione e pregiudicano la professione del Cattolicesimo. Per ottenere ciò, Noi e Voi dobbiamo costantemente impegnarci, nell’ambito consentito dalle leggi, così come tanti illustri personaggi hanno fatto in precedenza. Frattanto, per tutto il tempo in cui resteranno vigenti le norme di legge di cui parliamo, è vostro compito far sì che nuocciano il meno possibile alla salvezza, dopo avere ammonito minuziosamente i cittadini su quali siano gli obblighi di ciascuno in tale frangente. Indicheremo alcuni punti che sembrano essere i più pericolosi. – Il primo dovere è dunque abbracciare la vera religione: in nessuna età dell’uomo esso può essere limitato. Nessuna età è priva di valore nel regno di Dio. Chiunque, saputo ciò, deve comportarsi di conseguenza, senza alcuna esitazione: dalla volontà di agire in tal senso scaturisce per ciascuno un sacro diritto, che non si può violare se non con la massima ingiustizia. Analogamente, coloro che hanno cura d’anime hanno il fondamentale compito di ammettere a far parte della Chiesa tutti coloro che, in età matura per decidere, chiedono di essere ammessi. Perciò, se i curatori d’anime sono costretti a scegliere diversamente, è necessario che essi sopportino la severità delle leggi umane piuttosto che provocare l’ira di Dio vendicatore. – Per quanto concerne la società coniugale, impegnatevi, Venerabili Fratelli, affinché si radichi profondamente negli animi la dottrina cattolica sulla santità, unità e perpetuità del matrimonio; affinché sia spesso ricordato alla gente che i matrimoni fra cristiani, per la loro stessa natura, sono soggetti soltanto al potere ecclesiastico. Sia ricordato che cosa la Chiesa pensa ed insegna a proposito di quello che chiamano matrimonio civile; con quale atteggiamento e con quale spirito i Cattolici debbano obbedire a leggi di codesto tipo; come non sia lecito ai Cattolici, e ciò per validissime ragioni, contrarre matrimonio con cristiani estranei alla Religione Cattolica; chiunque osi far ciò, al di fuori della benevola autorità della Chiesa, pecca contro Dio e contro la Chiesa stessa. – Poiché il problema è – come vedete – così diffuso, coloro a cui compete debbono impegnarsi il più possibile affinché nessuno, per nessun motivo, s’allontani da questi precetti. Tanto più perché in questa materia più fortemente che in altre l’obbedienza alla Chiesa è strettamente connessa, tramite vincoli necessari, al benessere dello Stato. La società domestica alimenta e contiene infatti i principi e, per così dire, le basi migliori della vita civile; pertanto, da ciò derivano in gran parte la pace e la prosperità della nazione. La società domestica si sviluppa secondo lo stesso andamento dei matrimoni; e i matrimoni non possono riuscire bene se non regolati da Dio e dalla Chiesa. Privato di queste condizioni; asservito alle alterne passioni; iniziato contro la volontà di Dio e privato perciò dei necessari conforti celesti: tolta anche la comunione di vita sul tema che maggiormente preme, cioè la Religione, inevitabilmente il matrimonio genera frutti amarissimi, fino all’ultima distruzione delle famiglie e delle società. Perciò sono meritevoli non solo nei confronti della Religione, ma anche della Patria, quei Cattolici che da due anni (da quando le Assemblee legislative ungheresi stabilirono ed ordinarono che fossero validi i matrimoni dei Cristiani con gli ebrei) unanimemente e, a voce libera, ripudiarono tale norma ed ottennero con successo che fosse mantenuta l’antica legge sui matrimoni. Ai loro voti si unì, da tutte le parti dell’Ungheria, la unanime volontà di molti che confermavano di pensarla nello stesso modo ed approvavano la decisione con testimonianze palesi. Analoga univocità di pensiero ed altrettanta costanza d’animo possano essere espresse ogni volta che ci sia da combattere in favore del cattolicesimo; la vittoria sarà raggiunta; alla peggio, rimossa l’indolenza e superata l’inerzia, sarà più vigile e fruttuosa l’azione futura qualora i nemici del Cristianesimo volessero assopire ogni valore cattolico. – Alla comunità deriverà un’utilità non minore se ci si preoccuperà di educare la gioventù con rettitudine e saggezza fin dall’età infantile. Tali sono i tempi e le abitudini in cui assolutamente troppe persone – con molto impegno – si dedicano a distogliere dalla vigilanza della Chiesa e dalla più proficua virtù religiosa i giovani dediti alle lettere. Vengono vagheggiate e talora richieste scuole che chiamano neutre, miste, laiche, allo scopo indubitabile che gli allievi crescano nella più totale ignoranza delle cose sante e senza alcuna preoccupazione religiosa. Dato che il male è tanto maggiore e tanto più diffuso dei rimedi, vediamo svilupparsi una generazione incurante del bene dell’anima, non partecipe della Religione, spessissimo empia. Tenete lontana dalla vostra Ungheria, Venerabili Fratelli, con ogni mezzo e con ogni possibile sforzo, una calamità così grande. In questo momento è di grande giovamento non solo per la Chiesa ma anche per lo Stato educare gli adolescenti indirizzandoli fin dall’infanzia verso costumi cristiani e sapienza cristiana. Tutti coloro che ragionano correttamente capiscono perfettamente ciò; infatti, vediamo in molti luoghi e in gran numero i Cattolici intensamente impegnati nell’educazione dei bambini, e a tal fine si dedicano con attività preminente e costante, senza preoccuparsi né del costo né dell’imponente fatica. Conosciamo molte persone, anche in Ungheria, che con analogo proposito si sforzano di ottenere lo stesso risultato; nondimeno permettete, Venerabili Fratelli, che Noi sollecitiamo sempre più il vostro impegno episcopale. – Certamente, data la gravità del tema, noi dobbiamo desiderare e volere che alla Chiesa sia integralmente consentito di svolgere, nell’educazione pubblica dei fanciulli, quei ruoli che le sono stati attribuiti dal Cielo; né possiamo esimerci dal richiedere con insistenza che vi dedichiate con zelo a questo obiettivo. Intanto non cessate di ammonire i capi famiglia, affinché non sopportino che i loro figli frequentino scuole dove si teme che la fede cristiana sia in pericolo. Allo stesso tempo fate sì che vi siano in abbondanza scuole raccomandabili per la correttezza dell’istituzione e la probità degl’insegnanti, governate dalla vostra autorità e dalla vigilanza del Clero. Vogliamo che sia così non soltanto nelle scuole elementari, ma anche in quelle di lettere e delle più avanzate discipline. – Grazie alla pia generosità degli antichi e soprattutto alla munificenza dei vostri re e dei vostri Vescovi, esistono molte eccellenti strutture per coloro che si dedicano allo studio delle lettere. Gode di ottimo ricordo fra Voi, elogiato anche dalla posterità, il Cardinale Pazmany, Arcivescovo di Strigonia, che fondò il grande Liceo cattolico di Budapest e lo fornì di una ricchissima dote. È bello ricordare che un’opera di tale entità fu compiuta con la pura e sincera intenzione di promuovere la religione cattolica; analogo intento fu confermato dal re Ferdinando II, affinché la verità della Religione Cattolica rimanesse intatta nei luoghi in cui era fiorente; dov’era indebolita fosse nuovamente rafforzata e il culto divino fosse propagato ovunque. Noi abbiamo ben chiaro con quanta forza e con quanta costanza vi siete adoperati affinché, senza alcun mutamento rispetto alla natura originaria, codeste sedi di ottimi studi continuino ad essere come le vollero i loro fondatori e cioè Istituti cattolici, nei quali la struttura, l’amministrazione e l’insegnamento rimangano sotto il potere della Chiesa e dei Vescovi. Vi esortiamo a non tralasciare alcuna occasione e a tentare con ogni mezzo affinché da ogni parte si consegua tale nobile ed onesto risultato. Lo otterrete certamente, considerata la grande sensibilità religiosa del Re Apostolico e la saggezza degli uomini che guidano lo Stato; non è infatti pensabile che vi tocchi sopportare che sia negato alla Chiesa Cattolica ciò che è stato concesso alle organizzazioni che sono in contrasto col Cattolicesimo. – Se lo spirito dei tempi richiederà che si dia vita a nuovi istituti di questo tipo o che siano ingranditi quelli esistenti, non dubitiamo che seguirete l’esempio dei predecessori e vorrete dar prova di religiosità. Ci è stato anzi riferito che vi state preoccupando di realizzare un’opportuna accademia per formare insegnanti eccellenti. Ottima decisione quant’altre mai, all’altezza della vostra saggezza e della vostra virtù; speriamo che possiate portarla a compimento in breve tempo, con l’aiuto di Dio. – Se è importante per il bene pubblico l’educazione di tutti gli adolescenti, tanto più è importante quella di coloro che devono essere avviati ai sacri ministeri. A questa dovete dedicarvi, uno per uno, Venerabili Fratelli, ed impiegare la maggior parte delle vostre veglie e delle vostre fatiche; infatti, i giovani chierici sono una speranza, e per così dire un abbozzo di forma sacerdotale; Voi conoscete bene di quanta fama la Chiesa goda per i suoi sacerdoti e come ne tragga giovamento la stessa salvezza eterna delle genti. Per formare un chierico sono assolutamente necessarie due cose: la dottrina per la cultura della mente, e la virtù per la perfezione dell’anima. Alle discipline umanistiche sulle quali è solitamente basata l’educazione dell’adolescente, vanno aggiunte le discipline sacre e quelle canoniche, dopo essersi assicurati che la dottrina di tali materie sia sana, assolutamente incorrotta, interamente in accordo con i documenti della Chiesa (soprattutto di questi tempi) e ricca di forza e di argomenti, affinché sia in grado di esortare… e confutare coloro che contraddicono. – La santità della vita, senza la quale la scienza è solo vento e non costruisce, racchiude non soltanto i costumi probi ed onesti, ma anche l’insieme delle virtù sacerdotali donde deriva la somiglianza con Gesù Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, che è la caratteristica dei buoni preti. A questo tendono i Seminari; e Voi, Venerabili Fratelli, avete non poche istituzioni di rilievo sia per preparare i ragazzi alla vita sacerdotale, sia per formare solidamente i sacerdoti. Le vostre preoccupazioni e i vostri pensieri siano concentrati soprattutto su questi obiettivi; procurate che all’insegnamento delle lettere e delle scienze siano posti uomini di valore, nei quali l’esattezza della dottrina sia unita all’innocenza dei costumi, affinché a buon diritto possiate fidarvi di loro in un settore così importante. Scegliete i responsabili della cultura e i maestri di religiosità fra coloro che eccellono per prudenza, saggezza ed esperienza; la regola della vita comune venga temperata dalla vostra autorità in modo che gli alunni non solo non compiano qualcosa di contrario alla pietà, ma anzi abbondino di tutti quegli strumenti con i quali si alimenta la fede: con opportuni esercizi siano stimolati al quotidiano miglioramento delle virtù sacerdotali. Dall’impegno e dalla diligenza spesi per formare i sacerdoti riceverete frutti più desiderabili, e vi accorgerete che sarà molto più facile e molto più vantaggioso gestire il vostro ruolo di Vescovi. – Ma è necessario che le vostre paterne cure si spingano ancora più in là, in modo da accompagnare i sacerdoti nel compimento stesso dei loro sacri doveri. Con attenzione e con delicatezza, come conviene alla vostra carità, controllate che essi non assumano mai atteggiamenti profani; che non siano mossi né dalla cupidigia né dalla preoccupazione per impegni secolari: che anzi eccellano esemplarmente nella virtù e nelle opere, senza mai tralasciare la preghiera ed accostandosi castamente ai sacri misteri. Cresciuti e rafforzati con queste concezioni, i sacerdoti affronteranno spontaneamente la fatica quotidiana degl’incarichi sacri e si dedicheranno con impegno, come è giusto, ad educare gli animi della gente, soprattutto con la predicazione e con il ricorso ai sacramenti. – Per ritemprare le forze del loro animo, che per la debolezza umana non possono essere perennemente al culmine, non c’è nulla di meglio che – come altrove è consuetudine particolarmente apprezzata – ritirarsi di tanto in tanto per periodiche meditazioni spirituali, disponibili, in tali periodi, soltanto per Dio e per se stessi. Quanto a Voi, Venerabili Fratelli, visitando, secondo la vostra discrezione le diocesi, avrete naturalmente e opportunamente l’occasione di conoscere le attitudini e le abitudini dei singoli, e parimenti di accertare che cosa – nelle contingenti circostanze – sia necessario proibire (e con quali motivazioni) oppure correggere, se si sia insediato, qualche peccato. In questo caso, affinché il potere della disciplina ecclesiastica non sia infranto, dove sia necessario occorrerà applicare con la giusta severità le norme dei canoni sacri: tutti dovranno capire che il sacerdozio e i vari gradi della dignità altro non sono che il premio delle buone azioni, e che sono riservati a coloro che abbiano servito la Chiesa; che si siano prodigati per la salvezza delle anime; che siano apprezzati per dottrina e per integrità di vita. – Con un Clero dotato di queste virtù, si sarà provveduto in misura non esigua anche a favore del popolo, il quale – amante com’è della Chiesa ed attentissimo alla religione dei padri – volentieri si lascerà condurre dai ministri della fede. – Voi non dovete tuttavia tralasciare alcuna di quelle attività che vi paiano valide per conservare fra la gente l’integrità della dottrina cattolica, la disciplina evangelica nelle azioni, nella vita, nei costumi. Impegnatevi affinché spesso vengano intraprese sacre missioni per l’educazione delle anime; mettete alla loro testa uomini di provata virtù, animati dallo spirito di Gesù Cristo ed infiammati di carità per il prossimo. – Per prevenire od eliminare gli errori d’opinione, distribuite con abbondanza fra il popolo scritti che collimino con la verità e conducano alla virtù. Sappiamo che già si sono costituite società che hanno proprio questo lodevole e fruttuoso obiettivo, e che non si sono impegnate invano. Noi desideriamo che esse crescano di numero, e che di giorno in giorno ottengano risultati sempre più positivi. Ancora questo vogliamo: che Voi stimoliate tutti, ma in particolare coloro che eccellono per cultura, ricchezza, dignità o potere, affinché in ogni momento della vita, in privato e in pubblico, curino con il massimo impegno il nome della Religione e la causa della Chiesa; secondo la vostra indicazione più fortemente si sforzino e non rifiutino di aiutare e far sviluppare tutte le iniziative cattoliche già esistenti o che saranno create. – Allo stesso modo è necessario resistere ad alcune opinioni fallaci – elaborate a sproposito con lo scopo di proteggere l’onore individuale – che addirittura ripugnano alla fede ed ai precetti dei comportamenti cristiani ed aprono la strada ad azioni turpi e scellerate. Infine, è necessaria la vigilanza assidua e coraggiosa contro le associazioni illecite delle quali deve essere capito in anticipo e sventato l’influsso con tutti i mezzi, in particolare quelle che abbiamo indicate altrove specificatamente nella Nostra Lettera Enciclica. Vogliamo che di questo vi incarichiate con solerzia tanto maggiore, dal momento che società di codesto genere quanto più sono numerose ed hanno ricchezze, tanto più hanno potere. – Queste sono le cose, Venerabili Fratelli, che vi abbiamo scritto sotto la spinta della carità; confidiamo che esse saranno accolte da tutto il popolo Ungherese con animo pronto all’obbedienza. – Se i vostri padri trionfarono a Buda contro un nemico odiosissimo, ciò non fu ottenuto soltanto dalla forza bellica, ma dal vigore della fede, la quale, così come all’inizio generò gran forza e prestigio all’impero, così procurerà prosperità nella popolazione e gloria all’estero in futuro. Noi desideriamo che codesti benefici e codesti favori vi siano destinati, e perciò preghiamo, con l’intercessione della grande Vergine Madre di Dio, alla quale il regno d’Ungheria è consacrato e dalla quale ha anche preso il nome. Per lo stesso fine umilmente imploriamo l’intervento di Santo Stefano che, avendo ornato e avvantaggiato il vostro Stato con ogni genere di benefici, lo guarderà dall’alto dei cieli, come Noi speriamo, e lo proteggerà con sicuro patrocinio. – Con questa speranza, a Voi singolarmente, Venerabili Fratelli, al Clero ed a tutti i vostri fedeli impartiamo la Benedizione Apostolica più affettuosa nel Signore, come auspicio dei doni celesti e testimonianza della Nostra paterna benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 agosto 1886, anno nono del Nostro Pontificato.

DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le letture dell’Ufficio divino che si fanno in questa Domenica sono spesso quelle dei Maccabei (vedi Dom. precedente). « Antioco, soprannominato Epifane, avendo invaso la Giudea e devastato tutto, dice S. Giovanni Crisostomo, aveva obbligato molti Ebrei a rinunziare alle sante pratiche dei padri loro, ma i Maccabei rimasero costanti e puri in queste prove. Percorrendo tutto il paese, essi riunivano tutti i membri ancora fedeli e integri che incontravano; e di quelli che si erano lasciati abbattere o corrompere, ne riconducevano molti al loro primo stato, esortandoli a ritornare alla fede dei padri loro e rammentando loro che Dio è pieno di indulgenza e di misericordia e che mai rifiuta di accordare la salvezza al pentimento, che ne è il principio. E questa esortazioni facevano sorgere un esercito di uomini più valorosi, che combattevano non tanto per le loro donne, i loro figli, i loro servitori, o per risparmiare al paese la rovina e la schiavitù, quanto per la legge dei padri loro e i diritti della nazione. Dio stesso era il loro capo, e perciò, quando in battaglia serravano le file e prodigavano la loro vita, il nemico era messo in fuga: essi stessi fidavano meno nelle loro armi che nella causa che li armava e pensavano che essa sarebbe sufficiente per vincere anche in mancanza di qualunque armatura. Andando al combattimento, non empivano l’aria di vociferazioni e di canti profani come usano fare alcuni popoli: non si trovavano tra loro suonatori di flauto come negli altri campi; ma essi pregavano invece Iddio di mandar loro il suo aiuto dall’alto, di assisterli, di sostenerli, di dar loro man forte, poiché per Lui facevano guerra e combattevano per la sua gloria » (4a Domenica di ottobre Notturno). Dio non considera nel mondo che il suo popolo, Gesù Cristo e la sua Chiesa che sono una cosa sola. Tutto il resto è subordinato a questo. « Dio, che esiste ab æterno e che esisterà per tutti i secoli, è stato per noi, dice il Salmo del Graduale, un rifugio di generazione in generazione» (Introito). «Allorché Israele usci dall’Egitto e la casa di Giacobbe da un popolo barbaro » continua il Salmo dell’Alleluia, Dio consacrò Giuda al suo servizio e stabilì il suo impero in Israele ». Dopo aver mostrato tutti i prodigi, che Dio fece per preservare il suo popolo, il salmista aggiunge: « Il nostro Dio è in cielo, tutto quello che ha voluto, Egli lo ha fatto. La casa di Israele ha sperato nel Signore; Egli è il loro soccorso ed il loro protettore ». Il Salmo del Communio e del Versetto dell’Introito, dice il grido di speranza che le anime giuste innalzano al cielo: « L’anima mia è nell’attesa della tua salvezza, quando farai giustizia dei miei persecutori? Gli empi mi perseguitano, aiutami, Signore mio Dio». «Signore, aggiunge l’Introito, ogni cosa è sottomessa alla tua volontà, poiché Tu sei il Creatore e il padrone dell’Universo ». – « Signore, dice ugualmente la Chiesa nell’Orazione di questo giorno, veglia sempre misericordiosamente sulla tua famiglia, affinché essa sia, per mezzo della tua protezione, liberata da ogni avversità e attenda, con la pratica delle opere buone, a glorificare il tuo nome ». Il popolo antico e il popolo nuovo hanno un medesimo scopo, che è la glorificazione di Dio e l’affermazione dei suoi diritti. Tutti e due hanno anche gli stessi avversari, che sono satana e i suoi ministri. La Chiesa, ispirandosi alle Letture del Breviario delle Domeniche precedenti, ricorda oggi gli assalti che Giobbe ebbe da sostenere da parte di satana (Offertorio) e Mardocheo da parte di Aman, che fu calunniatore come il demonio (Introito). Dio liberò questi due giusti, come pure liberò il suo popolo dalla cattività d’Egitto, come venne in aiuto ai Maccabei che combattevano per difendere la sua causa. Cosi pure i Cristiani devono subire gli assalti degli spiriti maligni, poiché i persecutori della Chiesa sono suscitati dal demonio, come quelli del popolo d’Israele nell’antica legge. «Abbiamo da combattere, dice San Paolo, non contro esseri di carne e di sangue, ma contro i principi di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria (Epistola). Come per i Maccabei che, per quanto valorosi, fidavano più in Dio che nelle loro armi, così i mezzi di difesa che devono adoperare i Cristiani sono anzitutto di ordine soprannaturale. « Fortificatevi nel Signore, dice l’Apostolo, e nella sua virtù onnipotente. Rivestitevi dell’armatura di Dio per difendervi dal demonio ». – I soldati romani, servono di esempio al grande Apostolo nella descrizione minuziosa che ci dà della panoplia mistica dei soldati di Cristo. Come armi difensive la Chiesa ha ricevuto nel giorno della Pentecoste, la rettitudine, la giustizia, la pace e la fede; come armi offensive le parole divinamente ispirate dallo Spirito Santo. Ora la parabola che Gesù ci dice nell’Evangelo di questo giorno, riassume tutta la vita cristiana nella pratica della carità, che ci fa agire verso il prossimo come Dio ha agito verso di noi. Egli ci ha perdonato delle gravi colpe: sappiamo a nostra volta perdonare ai nostri fratelli le offese che essi ci fanno e che sono molto meno importanti. Il demonio geloso porta gli uomini ad agire come quel servitore cattivo che prese per la gola il compagno, che gli doveva una somma minima e lo fece mettere in prigione perché non poteva pagare immediatamente. Se anche noi agiremo così, nel giorno del giudizio, cui ci prepara la liturgia di questa Domenica, dicendo: « Il regno dei cieli è simile ad un re che volle farsi rendere i conti dai suoi servi », Dio sarà verso di noi, quali noi saremo stati verso il prossimo. – L’Apostolo parla di una lotta accanita contro i nemici invisibili che ci lanciano dardi infiammati. Il combattimento è terribile e dobbiamo armarci fortemente per poter restare in piedi dopo aver riportata una vittoria completa. Come il soldato, il Cristiano deve avere un largo cinturone, una corazza, dei calzari, uno scudo, un elmo ed una spada.

Mostrarci implacabili per una ingiuria ricevuta, dice s. Girolamo, e rifiutare ogni riconciliazione per una parola amara, non è forse giudicare noi stessi degni della prigione? Iddio ci tratterà secondo le intime disposizioni del nostro cuore: se non perdoniamo, Dio non ci perdonerà. Egli è nostro giudice e non vuole un semplice perdono puramente esteriore. Ognuno deve perdonare a suo fratello « di tutto cuore », se vuol esser perdonato nell’ultimo giorno » (Mattutino).

Incipit9

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Esth. XIII: 9; 10-11
In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, cœlum et terram et univérsa, quæ cœli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, coelum et terram et univérsa, quæ coeli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Oratio

Orémus.

Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut a cunctis adversitátibus, te protegénte, sit líbera, et in bonis áctibus tuo nómini sit devóta.

[Custodisci, Te ne preghiamo, o Signore, con incessante pietà, la tua famiglia: affinché, mediante la tua protezione, sia libera da ogni avversità, e nella pratica delle buone opere sia devota al tuo nome.]

Lectio

Lectio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes VI: 10-17

Fratres: Confortámini in Dómino et in poténtia virtútis ejus. Indúite vos armatúram Dei, ut póssitis stare advérsus insídias diáboli. Quóniam non est nobis colluctátio advérsus carnem et sánguinem: sed advérsus príncipes et potestátes, advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequítiae, in coeléstibus. Proptérea accípite armatúram Dei, ut póssitis resístere in die malo et in ómnibus perfécti stare. State ergo succíncti lumbos vestros in veritáte, et indúti lorícam justítiæ, et calceáti pedes in præparatióne Evangélii pacis: in ómnibus suméntes scutum fídei, in quo póssitis ómnia tela nequíssimi ígnea exstínguere: et gáleam salútis assúmite: et gládium spíritus, quod est verbum Dei.

“Fratelli, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Vestite tutta l’armatura di Dio, perché possiate tener fronte alle insidie del demonio; poiché noi non abbiamo a combattere contro la carne ed il sangue, ma sì contro i principati, contro le podestà, contro i reggitori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti malvagi, per i beni celesti. Per questo pigliate l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e in ogni cosa trovarvi ritti in piedi. Presentatevi adunque al combattimento cinti di verità i lombi, coperti dell’usbergo della giustizia, calzati i piedi in preparazione dell’Evangelo della pace. Sopra tutto prendete lo scudo della fede, col quale possiate spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Pigliate anche l’elmo della salute e la spada dello spirito, che è la parola di Dio „.

SOLDATI DI CRISTO.

L’Epistola d’oggi ci schiude dinanzi degli orizzonti di una vastità sconfinata, che sono però gli orizzonti stessi della vita cristiana. Ogni vita, nessuno ormai lo ignora, è a base di lotta, dalla forma più elementare e semplice alla più alta e complicata. La lotta è la condizione naturale della vita, ne è la intima legge. Non tutte le lotte hanno la stessa importanza appunto perché non tutte le forme di vita si svolgono allo stesso livello. Purtroppo, noi diamo molta importanza a lotte che ne hanno poca, pochissima. Tali, ad esempio, le nostre lotte economiche, che pure tanto ci appassionano, che noi giudichiamo spesso le maggiori, le massime nostre lotte. Il poeta moderno le poté perciò definire: « il ronzìo d’un’ape dentro un bugno vuoto ». Le grandi lotte, le vere, sono le lotte tipiche del Cristianesimo, le lotte morali. Il Cristianesimo è vita superiore, vita altissima dell’anima in Dio, Dio verità, Dio giustizia, Dio bontà, bontà sovratutto. La vita della verità, la vita cristiana della verità è per la bontà morale. E questa vita è lotta perché il bene ha un misterioso avversario: il male. Lotta individuale e sociale; ogni Cristiano impegna la sua lotta, per la verità contro l’errore, per la giustizia contro l’iniquità, per il bene contro il male. L’ultimo Cristiano, il più modesto, la povera donnicciola, l’umile contadino, l’operaio, sono militi di questa guerra. Che è poi la vita e la lotta della società cristiana, della Chiesa. – Ebbene, nelle lotte economiche anche più colossali, è impegnata una piccola parte del nostro pianeta. E ne risulta che le lotte (economiche) più all’apparenza gigantesche, sono piccole, sono cosa da poco, da nulla. E lasciano effettivamente di sé traccia così breve! Di fronte ad esse il Cristianesimo ha sempre affermato, afferma ancora la grandezza della sua lotta, la grande lotta morale, la lotta del bene e del male. San Paolo scrive frasi classiche per questa epica grandezza. Grandezza cosmica. In esso è interessato il mondo, proprio il mondo, tutto il mondo spirituale. Questo mondo spazia oltre la materia, oltre l’umanità per gli innumeri gradi che ricollegano Dio, lo Spirito più alto, all’uomo, l’infimo nella gerarchia spirituale. Tutto questo vastissimo mondo visibile e invisibile è ricollegato da quella unità di interesse. Nella vittoria del bene è interessata con Dio la falange degli spiriti buoni; nella vittoria del male è interessata l’opposta falange degli spiriti malvagi. Ecco le vere forze che stanno le une di fronte all’altre, di qua e di là tutte collegate. Il piccolo soldato che ha il suo piccolo settore di combattimento non si accorge della vastità del fronte suo, del fronte avverso; non la sente questa grandezza. San Paolo scuote questa incoscienza, scarsa coscienza nella quale ciascuno di noi rischia di precipitare: questa, chiamiamola così, involuzione, per cui ciascuno crede di avere il suo nemico solo dentro di sé, come dice benissimo l’Apostolo, la carne ed il sangue, il nostro egoismo, la nostra corruzione. Questa nemica individuale, intima, piccola c’è e bisogna rompere questa trincea fatale dell’egoismo; bisogna guarire dalla corruzione per vincere, per dar ragione in noi stessi a Dio, per diventare soldati suoi. Ma il nemico interiore ha degli alleati fuori di noi, alleato il mondo, l’ambiente sociale, le coalizioni di tutta la parte dell’umanità che non è con Dio. La quale, non essendo con Lui, è contro di Lui e contro tutti quelli che lo amano e lo seguono. E colla carne e col mondo, compie il trinomio grandioso il demonio, la coalizione del male, e la coalizione contro Dio. – Quando siamo chiamati a deciderci, e la decisione è il punto saliente, il vero momento tragico, della vita, non siamo chiamati a deciderci tra entità astratte, bene e male, ma tra forze concrete e vive e innumerevoli, estesissime. Ogni vittoria nostra, ogni vittoria in noi del bene ha ripercussione immensa in tutta la falange degli spiriti buoni, di rabbia nel mondo degli spiriti malvagi: e viceversa d’ogni nostra sconfitta che noi decretiamo al bene, si rallegra la falange malvagia; la santa falange si rattrista. E anche questo deve essere a noi motivo e stimolo di valore. Alla grandezza della pugna dev’essere proporzionata la grandezza spirituale del combattente. Armiamoci nel Nome di Dio, per una lotta nella quale sono impegnati l’onore di Lui e i destini del mondo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXXIX: 1-2
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie.
V. Priúsquam montes fíerent aut 9 terra et orbis: a saeculo et usque in sæculum tu es, Deus.

[O Signore, Tu sei il nostro rifugio: di generazione in generazione.
V. Prima che i monti fossero, o che si formasse il mondo e la terra: da tutta l’eternità e sino alla fine]

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps 113: 1
In éxitu Israël de Ægýpto, domus Jacob de pópulo bárbaro. Allelúja.

[Quando Israele uscí dall’Egitto, e la casa di Giacobbe dal popolo straniero. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XVIII: 23-35
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Assimilátum est regnum cœlórum hómini regi, qui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum cœpísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret, unde rédderet, jussit eum dóminus ejus venúmdari et uxórem ejus et fílios et ómnia, quæ habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Misértus autem dóminus servi illíus, dimísit eum et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: Redde, quod debes. Et prócidens consérvus ejus, rogábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem, donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi ejus, quæ fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quæ facta fúerant. Tunc vocávit illum dóminus suus: et ait illi: Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum? Et irátus dóminus ejus, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus cœléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris.

In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. E avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma non avendo costui modo di pagare, il padrone comandò che fosse venduto lui, sua moglie, i figli e quanto aveva, e cosí fosse saldato il debito. Il servo, però, gettatosi ai suoi piedi, lo supplicava: Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto. Mosso a pietà, il padrone lo liberò, condonandogli il debito. Ma il servo, partito da lí, trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento denari: e, presolo per la gola, lo strozzava dicendo: Pagami quello che devi. E il compagno, prostratosi ai suoi piedi, lo supplicava: Abbi pazienza con me, e ti renderò tutto. Ma quegli non volle, e lo fece mettere in prigione fino a quanto lo avesse soddisfatto. Ora, avendo gli altri compagni veduto tal fatto, se ne attristarono grandemente e andarono a riferire al padrone tutto quello che era avvenuto. Questi allora lo chiamò a sé e gli disse: Servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai pregato: non dovevi dunque anche tu aver pietà di un tuo compagno, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato, il padrone lo diede in mano ai carnefici fino a quando non avesse pagato tutto il debito. Lo stesso farà con voi il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello.”

OMELIA

Sulla collera.

Tenens suffocabat eum, dicens: Redde quod debes.

(MATTH. XVIII, 28).

Come sono differenti i sentimenti dell’uomo da quelli di Dio! Questo miserabile, cui era stato condonato tutto ciò che doveva al suo padrone, invece di sentirsi mosso a riconoscenza ed esser pronto ad usare la medesima indulgenza verso il suo fratello, non appena lo scorge, monta su tutte le furie, non sa trattenersi, lo prende per la gola e sembra volerlo strozzare. L’altro può ben gettarglisi ai piedi per domandargli grazia, niente lo commuove, niente lo trattiene. Bisogna che sfoghi il suo furore contro quell’infelice, e lo fa gettare in prigione finché abbia pagato il debito. Tale è, Fratelli miei, la condotta della gente del mondo. Dio ci è rappresentato nel padrone. Se Egli ci condona volontariamente quanto dobbiamo alla sua giustizia, se ci tratta con tanta bontà e dolcezza, è perché, dietro il suo esempio, noi ci abbiamo a comportare allo stesso modo coi nostri fratelli. Ma un uomo, ingrato e violento, dimentica subito ciò che il buon Dio ha fatto per lui. Per un nonnulla lo si vedrà abbandonarsi a tutto il furore d’una passione così indegna di un Cristiano, e così oltraggiosa verso un Dio di dolcezza e di bontà. Temiamo, F. M., una passione così malvagia, così capace di allontanarci da Dio e che fa condurre a noi ed a tutti quelli che ci circondano una vita infelice. Vi mostrerò:

1° quanto la collera oltraggi Dio;

2° quanto sia indegna d’un Cristiano.

I. — Non intendo parlarvi di quelle piccole impazienze, di quei borbottamenti che sono così frequenti. Sapete che ogni qualvolta non vi frenate offendete Dio. Sebbene questi non siano ordinariamente peccati mortali, non dovete però mancare di accusarvene. Se voi mi domandate che cos’è la collera, vi risponderò che è un moto violento, impetuoso dell’anima, che rigetta con veemenza ciò che le dispiace. Se apriamo i libri santi dove si contengono le azioni degli uomini che formarono l’ammirazione del cielo e della terra, vediamo dappertutto che essi hanno sempre avuto in orrore questo maledetto peccato, e che l’hanno considerato come segno di riprovazione. Frattanto vi dirò con S. Tommaso che v’ha una santa collera, la quale proviene dallo zelo che abbiamo nel difendere la causa di Dio. Si può, dice egli, qualche volta adirarsi senza offendere Dio, secondo il Re profeta: Adiratevi; ma non peccate„. (Ps. IV, 5) Vi ha dunque una collera giusta e ragionevole, la quale si può piuttosto chiamare zelo che collera. La sacra Scrittura ce ne mostra un gran numero d’esempi. Vi leggiamo che Finees (Num. XXV), uomo che temeva il Signore e sosteneva la sua causa, entrò in una santa collera alla vista dello scandaloso peccato di un Giudeo con una Madianita, e li uccise con un colpo di spada. Non solo egli non offese il Signore colla morte di quei due miserabili, ma al contrario fu lodato del suo zelo nel vendicar le offese che gli si facevano. E tale fu la condotta di Mosè. Indignato perché gli Israeliti avevano adorato un vitello d’oro disprezzando il vero Dio, ne fece uccidere ventitré mila per vendicare il Signore; e ciò per ordine di Dio stesso (Exod. XXXII, 28). Tale ancora fu quella di Davide che, fin dal mattino, dichiarava guerra a tutti quei grandi peccatori che passavano la vita oltraggiando Iddio (Ps C, 8). E tale infine fu quella di Gesù Cristo stesso, quando entrò nel tempio per scacciare quelli che compravano e vendevano, dicendo loro: “La mia casa è casa di preghiera, e voi ne avete fatto una spelonca di ladri (Matt. XXI, 13)„. – Tale deve essere la collera d’un pastore, cui sta a cuore la salute dei suoi parrocchiani e la gloria di Dio. Se un pastore resta muto vedendo Dio oltraggiato e le anime perdersi, guai a lui! Se non vuol dannarsi bisogna che, se vi è qualche disordine in parrocchia, metta sotto i piedi il rispetto umano ed il timore d’essere odiato o disprezzato dai suoi parrocchiani, e quand’anche fosse certo d’esser ucciso appena sceso dal pulpito, ciò non deve trattenerlo. Un pastore che vuol adempiere il suo dovere deve sempre avere la spada in mano per difendere gli innocenti, ed incalzare i peccatori finché non siano ritornati a Dio; questo continuo incalzare deve durare fino alla morte. Se non fa così, è un cattivo sacerdote, che perde le anime, invece di condurle a Dio. Se vedete succedere qualche scandalo nella vostra parrocchia, ed i vostri pastori non dicono nulla; guai a voi, perché Dio mandandovi tali pastori vi punisce. Dico dunque che tutte queste collere non sono che sante collere, lodate ed approvate da Dio stesso. Se tutte le vostre collere fossero così, non si potrebbe che lodarvi. Ma quando riflettiamo un poco su ciò che avviene nel mondo, quando s’odono tanti sussurri, si vedono dissensioni regnare tra vicini e vicine tra fratelli e sorelle; riconosciamo in ciò una passione violenta, ingiusta, viziosa ed irragionevole, di cui occorre mostrarvi gli effetti dannosi, per farvene concepire l’orrore che merita. Ascoltate quello che ci dice lo Spirito Santo: L’uomo quando s’incollerisce, non solo perde la sua anima ed il suo Dio, ma accorcia anche i suoi giorni, « Zelus et iracundia minuunt dies ». (Eccli. XXX, 26). – Ve lo provo con un esempio sorprendente. Leggiamo nella storia della Chiesa che l’imperatore Valentiniano, ricevendo gli ambasciatori dei Quadi, s’infuriò così grandemente, che perdette il respiro e morì sull’istante. Dio mio! che orrore! che passione detestabile e mostruosa! essa dà la morte a chi se ne lascia soggiogare. So bene che non si va di frequente a tali eccessi; ma quante donne incinte, abbandonandosi alla collera, fanno perire i loro poveri figli prima di aver loro dato la luce ed il battesimo! Questi disgraziati non avranno dunque mai più la fortuna di vedere Dio! Nel giorno del giudizio li vedremo perduti: essi non andranno mai in cielo! E la collera d’una madre ne sarà stata la sola causa! Ahimè! questi poveri fanciulli gridano spesso nell’inferno: Ah, maledetto peccato di collera, di quanti beni ci hai privati!… tu ci hai strappato il cielo; tu ci hai condannati ad essere divorati dalle fiamme! Dio mio, quanti beni ci ha strappati questo peccato! Addio, bel cielo, noi non ti vedremo mai: ah! quale disgrazia!… Mio Dio, una donna che si fosse resa colpevole d’un tal delitto, potrebbe vivere senza versare giorno e notte torrenti di lacrime, e non ripetere ad ogni momento: Disgraziata, che hai fatto? dov’è il tuo povero bambino? tu l’hai gettato nell’inferno. Ahimè! quali rimproveri nel giorno del giudizio, quando lo vedrai venire a domandarti il cielo! Questo povero bambino si getterà sulla madre con un furore spaventoso. Ah! madre! le dirà, maledetta madre! rendimi il cielo! tu me l’hai strappato! Questo bel cielo che non vedrò mai, te lo domanderò per tutta l’eternità; questo bel cielo che la collera d’una madre mi ha fatto perdere!… Mio Dio! che disgrazia! Eppure quanto è grande il numero di questi poveri bambini! — Una donna incinta, confessandosi d’un peccato di collera, se vuol salvarsi non deve mancare di far conoscere il suo stato, perché invece d’un peccato mortale può averne commessi due. Se non fate così, cioè se non dite questa circostanza, dovete dubitare delle vostre confessioni. Così un marito che ha fatto incollerire sua moglie deve accusarsi di questa circostanza, e lo stesso devono fare tutti coloro che si sono resi colpevoli del medesimo fallo. Ahimè! come son pochi quelli che si accusano di questo! Mio Dio! quante confessioni cattive! Il profeta Isaia ci dice che l’uomo in collera è simile ad un mare in tempesta. (Isa. LVII, 20). Bella similitudine, F. M… Infatti, niente rispecchia meglio il cielo come il mare quand’è calmo; è un grande specchio nel quale gli astri sembrano riprodursi; ma subito, quando l’uragano commove le acque, tutte queste celesti immagini scompaiono. Così, l’uomo che ha la fortuna di conservare la pazienza e la dolcezza è, in questa calma, un’immagine sensibile di Dio. Ma non appena la collera e l’impazienza hanno distrutta questa calma, l’immagine della divinità scompare. Quest’uomo cessa d’essere l’immagine di Dio, e diventa l’immagine del demonio. Ne ripete le bestemmie, ne riproduce il furore. Quali sono i pensieri del demonio? Non sono che pensieri di odio, di vendetta, di divisione, e tali sono quelli di un uomo in collera. Quali sono le espressioni del demonio? Maledizioni e bestemmie orribili. Se ascolto un uomo in collera, dalla sua bocca non si sentono che spergiuri e maledizioni. Mio Dio! che triste compagnia è quella d’una persona che va soggetta alla collera! Vedete una povera donna che ha un tal marito: se essa ha il timor di Dio e vuol evitare a lui delle offese, ed a sé dei cattivi trattamenti, non può dire una sola parola, anche se ne avesse il più gran desiderio. Bisogna che si accontenti di lamentarsi e piangere in segreto, per poter vivere d’accordo e non dare scandalo. — Ma, mi dirà un uomo stizzoso, perché ella mi resiste? sa bene che sono stizzoso. — Voi, amico, siete stizzoso, ma credete che gli altri non lo siano al par di voi? Dite piuttosto che non avete religione, e direte quello che veramente siete. Una persona che ha il timor di Dio non deve forse saper domare le proprie passioni, invece di lasciarsi domare da esse? – Ahimè! se ho detto che vi sono delle mogli disgraziate perché hanno mariti furiosi; vi sono dei mariti che non sono meno disgraziati con donne, che non sapranno mai dire una parola dolce, che per un nonnulla s’infuriano e vanno fuori di sé. Ma quale disgrazia in un matrimonio quando né l’uno né l’altra si vogliono piegare; sono continui alterchi, collere e maledizioni. Gran Dio! Non è questo un vero inferno anticipato? Ahimè! a quale scuola sono quei poveri fanciulli? quali lezioni di bontà e di dolcezza ricevono? S. Basilio ci dice che la collera rende l’uomo simile al demonio, perché non vi sono che i demoni capaci di abbandonarsi a tale sorta di eccessi. Una persona in questo stato è simile ad un leone furente, il cui ruggito fa di terrore gli altri animali. Vedete Erode, poiché i re Magi l’avevano ingannato, preso da tale collera, o meglio da tale ira che fece sgozzare tutti i piccoli fanciulli di Betlemme e dei dintorni (Matt. II, 16). E non si contentò di questi orrori, ma fece pugnalare anche sua moglie ed i suoi figli. Ahimè! quanti poveri fanciulli sono storpiati per tutta la loro vita, per i crudeli colpi che hanno avuti dai loro genitori in questi eccessi di collera! Ma aggiungo che la collera quasi mai è sola, essa è sempre accompagnata, come vedremo, da molti altri peccati.

II. — La collera trascina con sé spergiuri, bestemmie, rinnegamenti di Dio, maledizioni, imprecazioni. S. Tommaso ci dice che il giurare è un peccato così grave, così orribile agli occhi di Dio, che noi non potremo mai comprendere l’oltraggio che gli fa. Questo peccato non è come gli altri che per la leggerezza della materia sono soltanto peccati veniali. Nei giuramenti, più la materia è leggera, e più il peccato è grave, perché è un maggior disprezzo ed una maggior profanazione del santo Nome di Dio. Lo Spirito Santo ci assicura che la casa dell’uomo solito a giurare sarà piena d’iniquità, e non cesseranno per essa i castighi di Dio fino a che non sarà distrutta (Eccli. XXIII, 12). Si può sentire senza fremere questi disgraziati, che osano portare il loro furore fino a giurare sul santo Nome di Dio, questo Nome adorabile che gli Angeli con tanta gioia ripetono incessantemente: “Santo, santo, santo, è il Dio degli eserciti! sia benedetto per tutti i secoli de’ secoli! „ Se si riflettesse bene prima di usare la lingua, che essa è un organo datoci da Dio per pregarlo, per cantare le sue lodi; che questa lingua è stata bagnata dal Sangue prezioso di Gesù Cristo, che essa tante volte ha servito di altare al Salvatore stesso; si potrebbe servirsene per oltraggiare un Dio così buono, e per profanare un Nome così santo e così rispettabile?… Vedete come i Santi abborrivano i giuramenti. S. Luigi, re di Francia, aveva fatta una legge per la quale chi giurasse avrebbe la lingua forata da un ferro rovente. Un cittadino di Parigi, in un alterco, giurò il santo Nome di Dio. Fu condotto davanti al re, che tosto lo condannò ad avere forata la lingua. Essendo venuti tutti i personaggi insigni della città per domandare grazia, il re rispose loro che, se egli avesse avuto sventura di cadere in tale peccato, da stesso se la sarebbe traforata. Ed ordinò che la sentenza fosse eseguita. Quando andò a combattere in Terra santa, venne fatto prigioniero. Gli si domandò un giuramento che, del resto, non sembrava offendere la sua coscienza, tuttavia, preferì esporsi alla morte, tanto temeva di giurare (Ribadeneira, 25 Ag.). Perciò vediamo che chi giura spesso, d’ordinario è una persona abbandonata da Dio, oppressa da mille disgrazie che fa non di rado una fine infelice. Leggiamo nella storia un esempio che può ispirarci il più grande orrore pel giuramento. Quando S. Narciso governava la chiesa di Gerusalemme, tre libertini lo calunniarono orribilmente, appoggiando le loro asserzioni con tre esecrabili giuramenti. Il primo disse che, se quanto affermava non era vero, voleva essere abbruciato vivo; l’altro che voleva morire di male caduco; ed il terzo che  voleva gli fossero strappati gli occhi. Per queste calunnie, S. Narciso fu scacciato dalla città come un infame, cioè come un Vescovo che s’abbandonava ad ogni sorta d’impurità. Ma la vendetta di Dio non tardò a punire quegli infelici. Essendosi appiccato il fuoco alla casa del primo, questi vi restò abbruciato vivo. Il secondo morì di male caduco; il terzo, spaventato da sì orribili castighi, perdette la vista piangendo i suoi peccati. So che questi giuramenti avvengono di rado. I più ordinari sono: In fede mia! — In coscienza! — Mio Dio! sì; — Mio Dio! no; perbacco! — caspita! — cane d’un…! – Quando vi confessate, dovete dire il perché avete giurato; se per affermare cose false o vere: se avete fatto giurare altre persone, perché non volevate credere ad esse. Dovete dire se ne avete l’abitudine, e da quanto tempo. Bisogna poi guardarsi bene di non aggiungere al giuramento l’imprecazione. Vi sono alcuni che dicono: “Se questo non è vero, che non mi muova mai più di qui; che non veda il cielo; che Dio mi danni! che la peste mi soffochi! che il diavolo mi porti via! …„ Ahimè! amico, forse il diavolo non aspetta che la tua morte per portarti via! … Dovete dire nelle vostre confessioni, se ciò che avete detto era o no contro la verità. Alcuni credono che non sia alcun male giurando per assicurare che una cosa è vera. Il male, non è certo così grave come se si fosse giurata una cosa falsa; ma è sempre un peccato e grave. Siete adunque obbligati di accusarvene sempre, senza di che vi dannerete. Eccone un esempio che fa tremare. Si racconta nella vita di S. Edoardo, re d’Inghilterra (Ribadeneira, 13. ott.) che il conte Gondevino, suocero del re, era così geloso che non poteva sopportare persona alcuna vicino al re. Il re l’accusò un giorno d’aver cooperato all’uccisione di suo fratello. Il conte rispose che se ciò era vero, voleva che un boccone di pane lo soffocasse. Il re fece il segno di croce su un pezzo di pane; il suocero lo prese e, mentre l’inghiottiva, il pane gli s’infisse nella gola e lo soffocò, ed egli morì. Terribile punizione, F. M. Ahimè! dove andò la sua povera anima, poiché morì nell’atto di commettere questo peccato? Non solo: non dobbiamo giurare per qualunque pretesto, anche se si trattasse di perdere i beni, l’onore e la vita; perché, giurando, perdiamo il cielo, il nostro Dio e la nostra anima; ma non dobbiamo nemmeno far giurare gli altri. S. Agostino ci dice (Serm. CCCVIII) che, se prevediamo che quelli che facciamo chiamare in giudizio, giureranno il falso, non dobbiamo farli chiamare; noi siamo colpevoli al par loro, ed ancor più colpevoli che se togliessimo loro la vita. Infatti, uccidendoli, non facciamo che dare la morte al loro corpo, se hanno la fortuna di essere in istato di grazia; il male è tutto nostro; invece facendoli giurare, perdiamo la loro povera anima, e la perdiamo per tutta l’eternità. Si racconta che un cittadino di Ippona, uomo dabbene, ma molto attaccato alla terra, costrinse uno, cui aveva prestato del denaro, a giurare in giudizio; costui giurò il falso. La stessa notte, si trovò in sogno presentato al tribunale di Dio. — Perché hai tu fatto giurare quest’uomo?… Non dovevi perdere ciò che ti doveva piuttosto che rovinare la sua anima? Gesù Cristo gli disse che per questa volta gli perdonava, ma che lo condannava ad essere staffilato; il che fu sull’istante eseguito dagli Angeli. Al domani si trovò tutto coperto di piaghe. — Voi mi direte: Devo perdere quello che mi si deve? — Sì, dovreste perdere quello che vi è dovuto: stimate voi, dunque, meno l’anima del vostro fratello che il vostro denaro? – Del resto, siete sicuri che se farete questo per Iddio, Egli non mancherà certo di ricompensarvene. I padri e le madri, i padroni e le padrone devono esaminarsi se non sono mai stati, per i loro figli o dipendenti, causa di qualche giuramento, pel timore d’essere maltrattati o rimproverati. Si giura tanto il vero che il falso. Guardatevi bene, quando sarete chiamati in giudizio, di non giurare mai il falso. Anche se non avete giurato, dovete esaminarvi se avete avuto il pensiero, e quante volte l’avete avuto; se avete consigliato agli altri di giurare il falso col pretesto, che, dicendo la verità, verrebbero condannati. Siete obbligati a dire tutto questo. Accusatevi anche se avete usato qualche astuzia di parole per dire in modo differente da quello che pensavate; perché siete obbligati di dire ciò che pensate, ciò che avete visto e sentito; altrimenti commettete un grave peccato. Dovete altresì accennare distintamente se avete fatto qualche cosa per indurre gli altri a mentire: così un padrone, che minacciasse il servo di maltrattarlo o di fargli perdere il posto, deve dir in confessione tutto questo, altrimenti la confessione non sarebbe che un sacrilegio. Lo Spirito Santo ci dice che il falso testimonio sarà punito rigorosamente (Deut. XIX, 18. 21).  – Ho detto che cos’è il giuramento e lo spergiuro; vediamo ora che cos’è la bestemmia. Vi sono molti che non sanno distinguere la bestemmia dal giuramento. Se non sapete distinguere l’uno dall’altra, non potete sperare che le vostre confessioni siano buone, poiché non fate conoscere i vostri peccati come li avete commessi. Ascoltatemi dunque, affinché abbiate a togliere questa ignoranza che certissimamente vi dannerà. Bestemmia è parola greca che vuol dire detestazione, maledizione d’una beltà infinita. S. Agostino ci dice (De morìbus Manichæorum lib. II, lib. XI) che si bestemmia quando si attribuisce a Dio quello che non ha o non gli conviene: quando gli si toglie quello che gli compete, o, infine, quando si attribuisce a sé quello che non è dovuto che a Dio. Spieghiamoci.

1° Noi bestemmiamo quando diciamo che Dio non è giusto, se ciò che facciamo od intraprendiamo non riesce.

2° Dire che Dio non è buono, come fanno alcuni nell’eccesso della loro miseria, è una bestemmia.

3° Bestemmiamo quando diciamo che Dio non sa tutto; che non bada a quello che avviene sulla terra; ch’Egli non sa che noi siamo al mondo; che tutto va a casaccio; che Dio non si cura di sì poca cosa; che venendo al mondo siamo destinati ad essere felici od infelici, o che Dio non vi muta nulla.

4° Quando diciamo: Se Iddio usasse misericordia con quel tale, non sarebbe proprio giusto, perché ne ha fatte troppe, e non merita che l’inferno.

5° Quando ci adiriamo con Dio per qualche perdita, e diciamo: No, Dio non può farmi più di quello che mi ha fatto. Ed è pure una bestemmia mettere a burla e motteggiare la Ss. Vergine od i Santi dicendo: È un santo che ha poca potenza; son già più giorni che prego… e non ho nulla ottenuto; certo non ricorro più a lui. È una bestemmia dire che Dio non è potente, e trattarlo indegnamente, come dicendo: A dispetto di Dio! ecc. – I Giudei avevano talmente in orrore questo peccato che, quando sentivano bestemmiare, si stracciavano le vesti in segno di dolore (Per esempio Caifa, durante la passione. Matth. X. vers. 65). Il santo Giobbe temeva questo peccato a tal segno che, nel timore che i suoi figli l’avessero a commettere, offriva a Dio dei sacrifizi in espiazione (Job. I, 5). Il profeta Nathan disse a Davide: Poiché sei stato la causa che si bestemmiasse Dio, tuo figlio morrà, ed i castighi non si allontaneranno dalla tua casa per tutta la tua vita (II Reg. XII, 14). Il Signore dice nella sacra Scrittura (Lev. XXIV, 16.): Chiunque bestemmierà il mio santo Nome, voglio sia messo a morte; quando gli Ebrei erano nel deserto, venne sorpreso un uomo che bestemmiava, ed il Signore ordinò che fosse ucciso a colpi di pietra (Lev. XXIV, 14). Sennacherib, re degli Assiri, che assediava Gerusalemme, aveva bestemmiato il Nome di Dio, dicendo che a dispetto di Dio prenderebbe la città e la metterebbe tutta a ferro e fuoco; il Signore allora mandò un Angelo, che in una sola notte uccise cento ottantacinquemila uomini, e il re stesso fu sgozzato dai suoi propri figli al suo ritorno a Ninive, nel tempio di Moloch, (IV Reg. XIX). Fin dal principio del mondo la bestemmia è sempre stata in orrore: essa è infatti il linguaggio dell’inferno, poiché il demonio ed i dannati non cessano di proferirla. Quando l’imperatore Giustino sapeva che qualcuno dei suoi sudditi aveva bestemmiato, gli faceva tagliare la lingua. Durante il regno del re Roberto, la Francia fu afflitta da una grande guerra. Il buon Dio rivelò ad un’anima santa che tutti questi mali durerebbero sino a che nel regno non si cessasse dal bestemmiare. Non è dunque uno straordinario miracolo, che una casa dove si trova un bestemmiatore non venga schiacciata dalla folgore, ed oppressa da ogni sorta di disgrazie? S. Agostino dice ancora che la bestemmia è un peccato più grave dello spergiuro; perché in questo si prende Dio come testimonio d’una cosa falsa; in quella invece è una cosa falsa che si attribuisce a Dio (S. Aug. Contra mendacium, c. XIX). Riconoscete dunque con me, F. M., l’enormità di questo peccato e la disgrazia di chi vi si abbandona. Quando taluno vi si è abbandonato, non deve temere che la giustizia di Dio lo punisca sull’istante come ha fatto con tanti altri? – Vediamo ora la differenza che passa tra la bestemmia ed il rinnegar Dio. Non voglio parlarvi di quelli, che rinnegano Dio abbandonando la Religione Cattolica per abbracciarne una falsa, come i protestanti, i giansenisti e tanti altri. Noi chiamiamo queste persone rinnegati ed apostati. Parlo ora di quelli che, dopo qualche perdita o qualche disgrazia, hanno la maledetta abitudine di uscire in parole di collera contro Dio. Questo peccato è orribile, perché per la minima cosa che ci accade, ce la prendiamo con Dio stesso, e ci adiriamo con Lui: è come se dicessimo a Dio: Siete un…! un… ! uno sciagurato, un vendicativo! Voi mi punite per quell’azione, voi siete ingiusto! Dio deve subire la nostra collera, come se fosse la causa della perdita che abbiamo fatto, dell’incidente che ci è toccato. Non fu questo tenero Salvatore che ci ha tratti dal nulla, che ci ha creati a sua immagine, che ci ha riscattati col proprio Sangue prezioso, e che ci conserva così lungamente, mentre meriteremo già da molti anni d’essere inabissati nell’inferno?… Egli ci ama di un amore ineffabile, e noi lo disprezziamo; profaniamo il suo santo Nome, lo spergiuriamo, lo rinneghiamo! Oh orrore! V’ha forse delitto più mostruoso? Non è imitare il linguaggio dei demoni? dei demoni, che null’altro fanno nell’inferno? Ahimè! F. M., se li imitate in questa vita, state ben certi di andare a far loro compagnia nell’inferno. Dio mio! può un Cristiano abbandonarsi a tali orrori! Una persona che s’abbandona a questo peccato deve aspettarsi una vita disgraziata, anche in questo mondo. Si racconta che un uomo, il quale aveva bestemmiato per tutta la sua vita, disse al prete che lo confessava: Ahimè! padre, quanto fu disgraziata la mia vita! Io avevo l’abitudine di giurare, di bestemmiare il Nome di Dio; ho perduto le mie ricchezze, che erano considerevoli; i miei figli, su cui non ho attirato che maledizioni, non sono buoni a nulla; la mia lingua, che ha giurato, bestemmiato il Nome santo di Dio, è ulcerata e va incancrenandosi. Ahimè! dopo essere stato disgraziato in questo mondo, temo di dannarmi in causa delle mie bestemmie. Ricordatevi, F. M., che la lingua non vi è stata data che per benedire il buon Dio; essa gli è stata consacrata col santo Battesimo e colla santa Comunione. Se per disgrazia andate soggetti a questo peccato, dovete confessarvene con grande dolore e farne un’aspra penitenza; altrimenti ne subirete il castigo nell’inferno. Purificate la vostra bocca, pronunciando con rispetto il Nome di Gesù. Domandate spesso a Dio la grazia di morire, piuttosto di ricadere in questo peccato. Non avete mai pensato quanto la bestemmia sia orribile davanti a Dio e davanti agli uomini? Ditemi, vi siete confessati come si deve? Non vi siete accontentato di dire che avete giurato, oppure che avete detto delle parole triviali? Esaminate la vostra coscienza, e non addormentatevi, poiché può darsi che le vostre confessioni non valgano nulla. – Vediamo ora che cosa s’intende per maledizione ed imprecazione. Ecco. Si cade nella maledizione quando, trascinati dall’odio o dalla collera, vogliamo annientare o rendere disgraziato chiunque si opponga alla nostra volontà. Queste maledizioni cadono su di noi, sui nostri simili, sulle creature animate od anche inanimate. Quando facciamo così, non operiamo secondo lo spirito di Dio, che è uno spirito di dolcezza, di bontà e di carità; ma secondo lo spirito del demonio, il cui ufficio è solo quello di maledire. Le maledizioni più cattive sono quelle che i padri e le madri invocano sui loro figli, per i grandi mali che ne seguono. Un figlio maledetto dai suoi genitori è ordinariamente, un figlio maledetto da Dio stesso; perché Dio ha detto che se i genitori benedicono i loro figli, Egli li benedirà: al contrario, se li maledicono, la maledizione cadrà su di loro. (Eccli. III, 11). S. Agostino ne cita un esempio degno d’essere impresso per sempre nel cuore dei padri e delle madri. Una madre, ci dice, incollerita, maledisse i suoi tre figli ed all’istante essi furono invasi dal demonio (De civ. Dei). Un padre disse ad uno dei suoi figli: Non morirai una benedetta volta dunque? Il figlio cadde morto a’ suoi piedi. Ciò che aggrava di più questo peccato, è che se un padre ed una madre hanno l’abitudine di commetterlo, i figli contrarranno la medesima abitudine, ed il vizio diventa ereditario nella famiglia. Se vi sono tante case disgraziate, e che sono veramente la soddisfazione dei demoni e l’immagine dell’inferno, ne troverete la spiegazione nelle bestemmie e nelle maledizione degli antenati, che sono passate da nonno in padre, da padre in figlio, e continuerete così di generazione in generazione. Voi avete sentito un padre incollerito pronunziar giuramenti, imprecazioni e maledizioni; ebbene! ascoltate i suoi figli quando sono in collera: hanno sulle labbra gli stessi giuramenti; le stesse imprecazioni. Così i vizi dei genitori passano nei loro figli, come le loro ricchezze e meglio ancora. Gli antropofagi non uccidono che gli stranieri per mangiarli; ma, fra i Cristiani vi sono dei padri e delle madri che, per soddisfare le loro passioni, augurano la morte a coloro ai quali essi stessi han dato la vita ed abbandonano al demonio tutti coloro che Gesù Cristo ha riscattati col suo Sangue prezioso. Quante volte si sente dire da questi padri e madri senza religione: Ah! maledetto ragazzo, non creperai… una volta? Mi dai fastidio; il buon Dio non ti punirà dunque una buona volta?… vorrei che tu fossi lontano da me quanto mi sei vicino! cane d’un ragazzo! demonio d’un figlio! Carogne di figli!… bestie! O mio Dio! possibile che tutte queste maledizioni escano dalla bocca d’un padre e d’una madre, i quali non dovrebbero augurare e desiderare ai loro poveri figli che le benedizioni del cielo? Se vediamo tanti figli scemi, storpi, stizzosi, senza religione, non cerchiamone la causa, almeno per la maggior parte dei casi, che nelle maledizioni dei genitori. – Qual è poi il peccato di coloro che nei momenti di malumore maledicono se stessi? È un delitto spaventoso, contrario alla natura e alla grazia; poiché la natura e la grazia ci comandano l’amore verso noi stessi. Chi maledice se stesso rassomiglia ad un arrabbiato, che si uccide colle proprie mani; egli è anche peggiore; spesso se la prende colla sua anima, dicendo: Che Dio mi danni! che il diavolo mi porti via! vorrei essere all’inferno piuttosto che in questa condizione! Ah! disgraziato, dice S. Agostino, che Dio non ti esaudisca; perché andresti a vomitare il veleno della tua rabbia nell’inferno! Mio Dio! se un Cristiano pensasse a ciò che dice, avrebbe la forza di pronunciare queste bestemmie, che potrebbero, in qualche modo, obbligare Dio a maledirlo dall’alto del suo trono? Oh! quanto è disgraziato un uomo soggetto alla collera! Egli costringe a punirlo quel Dio, il quale non vorrebbe che il suo bene e la sua felicità! Si riuscirà mai a comprendere questa cosa? – Qual è pure il peccato d’un marito e d’una moglie, d’un fratello e d’una sorella che vomitano l’un contro l’altro ogni sorta di maledizioni? È un peccato di cui non si potrà mai esprimere l’enormità; è un peccato tanto più grande quanto più rigorosamente essi sono obbligati ad amarsi ed a sopportarsi a vicenda. Ahimè! Quante persone maritate non cessano di vomitarsi vicendevolmente ogni sorta di maledizioni! Un marito ed una moglie che non dovrebbero farsi che dei felici augùri, e sollecitare la misericordia di Dio per ottenere l’un per l’altro d’andar in cielo a passare insieme l’eternità, si caricano di maledizioni; si strapperebbero, potendolo, gli occhi, si toglierebbero la vita! Maledetta moglie, o maledetto marito, gridano, non t’avessi, almeno, mai visto o conosciuto! Ah! maledetto mio padre, che m’ha consigliato di sposarti! … Mio Dio! quale orrore per dei Cristiani, i quali non dovrebbero occuparsi che di diventar santi! Essi fanno come i demoni ed i dannati! Quanti fratelli e sorelle vediamo augurarsi la morte, maledirsi, perché uno è più ricco, o per qualche ingiuria ricevuta; e conservare spesso l’odio per tutta la vita, ed a stento perdonarsi anche prima di morire! È altresì un grave peccato maledire il tempo, le bestie, il proprio lavoro. Quante persone, quando il tempo non è come vorrebbero, lo maledicono, dicendo: Maledetto tempaccio, non ti cambierai più dunque? Voi non sapete quello che dite: è come se diceste: Ah! maledetto Dio, che non mi dai il tempo come vorrei. Altri maledicono le loro bestie : Ah! maledetta bestia, non potrò farti andare come voglio?… Che il diavolo ti porti via, che il fulmine ti annienti! che il fuoco del cielo ti abbruci!… Ah! disgraziati, le vostre maledizioni hanno il loro effetto, più spesso che non crediate. Spesso alcune bestie periscono o si storpiano, e ciò in conseguenza dello maledizioni che avete loro date. Quante volte le vostre maledizioni, i vostri impeti di collera, le vostre bestemmie hanno attirato la brina o la grandine sui vostri raccolti! – Ma qual è il peccato di coloro che augurano male al prossimo? Questo peccato è grande in proporzione del male che augurate, e del danno che gli procurerebbe, se ciò si avverasse. Voi dovete accusarvene ogni. qualvolta fate di questi augùri. Quando vi confessate dovete dire quale male avete augurato, e quale danno ne sarebbe avvenuto se il vostro augurio si fosse adempito. Dovete spiegare se si trattava dei genitori, dei fratelli e delle sorelle, dei vostri cugini o cugine, zii o zie. Ahimè! Quanto pochi sono quelli che confessandosi fanno queste distinzioni! Si saran maledetti i fratelli, le sorelle, i cugini, le cugine, e si starà contenti di dire che si ha augurato male al prossimo, senza dire a chi, né quale era l’intenzione. Quanti altri hanno fatto giuramenti orribili, pronunciato bestemmie, imprecazioni, rinnegamenti di Dio da far rizzare i capelli in capo, e si accontentano di dire che hanno detto parole grossolane e nient’altro. Una parola grossolana, lo sapete, è una specie di piccola imprecazione detta senza collera. Ahimè, quante confessioni e comunioni sacrileghe! Ma, mi direte, che cosa bisogna fare per non commettere questi peccati, che sono così orribili e capaci di attirare su di noi ogni sorta di disgrazie? —Bisogna che tutte le pene che ci colpiscono ci facciano ricordare che, essendoci noi ribellati contro Dio, è giusto che le creature si rivoltino contro di noi. Bisogna non dar mai occasione agli altri di maledirci. I figli ed i servi soprattutto devono fare il possibile per non obbligare i genitori ed i padroni a maledirli, poiché è certo, presto o tardi toccherà loro qualche castigo. I padri e madri devono considerare che non hanno nulla di più caro al mondo che i loro figli, e lungi dal maledirli, non devono cessare di benedirli affinché Dio effonda su di loro i beni che essi augurano. Se vi capita qualche cosa di doloroso, invece di coprire di maledizioni chi non fa come voi vorreste, vi sarebbe ben facile dire: Dio vi benedica. Imitate il santo Giobbe che benediceva il Nome del Signore in tutte le grandi sventure che gli toccavano, e riceverete le stesse grazie. Vedendo la sua grande sottomissione alla volontà di Dio, il demonio fuggì, le benedizioni si sparsero abbondantemente sulle sue ricchezze, e tutto gli venne raddoppiato. Se, per disgrazia, vi capita di pronunciare qualcheduna di queste cattive parole, fate subito un atto di contrizione per domandarne perdono, e promettete che non vi ricadrete mai più. S. Teresa ci dice che, quando pronunciamo con rispetto il Nome di Dio, tutto il cielo si rallegra; come fa l’inferno, quando pronunciamo ogni cattiva parola. Un Cristiano non deve perdere di vista che la sua lingua non gli è data che per benedire Dio in questa vita, ringraziarlo dei beni di cui l’ha colmato, per benedirlo durante tutta l’eternità cogli Angeli e coi santi: questa sarà la sorte di quelli che avranno imitato gli Angeli e non il demonio. Io ve la desidero…

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Job I. 1
Vir erat in terra Hus, nómine Job: simplex et rectus ac timens Deum: quem Satan pétiit ut tentáret: et data est ei potéstas a Dómino in facultátes et in carnem ejus: perdidítque omnem substántiam ipsíus et fílios: carnem quoque ejus gravi úlcere vulnerávit.

[Vi era, nella terra di Hus, un uomo chiamato Giobbe, semplice, retto e timorato di Dio. Satana chiese di tentarlo e dal Signore gli fu dato il potere sui suoi beni e sul suo corpo. Egli perse tutti i suoi beni e i suoi figli, e il suo corpo fu colpito da gravi ulcere.]

Secreta

Suscipe, Dómine, propítius hóstias: quibus et te placári voluísti, et nobis salútem poténti pietáte restítui.

[Ricevi, propizio, o Signore, queste offerte con le quali volesti essere placato e con potente misericordia restituire a noi la salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 81; 84; 86
In salutári tuo ánima mea, et in verbum tuum sperávi: quando fácies de persequéntibus me judícium? iníqui persecúti sunt me, ádjuva me, Dómine, Deus meus.

[L’ànima mia ha sperato nella tua salvezza e nella tua parola: quando farai giustizia di coloro che mi perseguitano? Gli iniqui mi hanno perseguitato, aiutami, o Signore, Dio mio.]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimoniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, quod ore percépimus, pura mente sectémur.

[Ricevuto il cibo dell’immortalità, Ti preghiamo, o Signore, affinché di ciò che abbiamo ricevuto con la bocca, conseguiamo l’effetto con animo puro]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA