LA SUMMA PER TUTTI (21)

LA SUMMA PER TUTTI (22)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XXXVII.

Il sacramento della Penitenza. – Sua natura – Virtù che esso implica.

1683. Che cosa intendete per il sacramento della Penitenza?

Intendo uno dei sette sacri riti, istituito da Gesù Cristo, per rendere agli uomini la vita della grazia già data ad es unsi per mezzo del Battesimo, comunicando loro di nuovo il frutto della sua Passione, quando hanno avuto la disgrazia di perderlo col peccato (LXXXIV, 1).

1684. In cosa consiste il sacramento della Penitenza?

Il sacramento della Penitenza consiste in certi atti ed in certe parole, che dimostrano da una parte che il peccatore ha abbandonato il peccato, e dall’altra che Dio rimette il peccato stesso per mezzo del ministero del sacerdote (LXXXIV, 2, 3)

1685. Questo sacramento è dunque cosa particolarmente preziosa per l’uomo, e questi deve averne una riconoscenza speciale a Gesù Cristo che lo ha istituito?

Sì certamente; perché attesa la fragilità della nostra natura decaduta, anche dopo aver ricuperato mediante la grazia del Battesimo la vita soprannaturale, era sempre possibile all’uomo di perderla. E se Gesù Cristo non avesse istituito il sacramento della Penitenza, l’uomo caduto non avrebbe avuto alcun mezzo esteriore sacramentale di rialzarsi. Bene a ragione quindi questo sacramento si chiama la seconda tavola di salute dopo il naufragio (LXXXIV, 6).

1686. E se l’uomo cade ancora dopo aver ricevuto questo sacramento, può ricorrervi di nuovo per rialzarsi?

Sì; perché Gesù Cristo nella sua infinita misericordia verso il peccatore e la sua miseria, non ha voluto mettere alcun limite al numero di volte che si può ricevere questo sacramento, che porta sempre seco il suo frutto di remissione e di perdono, con la sola condizione che l’uomo sia sincero e veramente pentito (LXXXIV, 10).

1687. Vi è una virtù speciale corrispondente a questo sacramento, il cui atto è imposto quando si riceve il sacramento stesso?

Sì; è la virtù della penitenza (LXXXV).

1688. In che cosa consiste la virtù della penitenza?

La virtù della penitenza è una qualità di ordine soprannaturale che induce la volontà dell’uomo, quando ha avuto la disgrazia di offendere Dio, a riparare a questa offesa, adoperandosi spontaneamente e di buon grado a soddisfare alla giustizia di Dio per ottenerne il perdono (LXXXV, 1, 5).

1689. La virtù della penitenza è isolata nel suo atto, oppure suppone il concorso delle altre virtù quando essa agisce?

La virtù della penitenza ha questo di specialissimo, che quando agisce implica il concorso di tutte le altre virtù. Implica infatti la fede nella Passione di Gesù Cristo, che è la causa della remissione dei peccati; implica la speranza del perdono; e l’odio dei vizi e dei peccati, in quanto si oppongono all’amore di Dio, il che suppone la carità. Essendo essa stessa una virtù morale suppone la virtù della prudenza, che ha l’ufficio di dirigere le virtù morali nei loro atti. D’altra parte, come specie della virtù di giustizia avente per oggetto di ottenere il perdono di Dio offeso, compensando la offesa con una soddisfazione volontaria, essa utilizza la temperanza quando si astiene da ciò che piace, e la fortezza quando si impone cose dure e difficili, oppure le sopporta (LXXXV, art. 3 ad 4).

1690. A che cosa mira la virtù della penitenza nel suo atto di giusta compensazione?

Essa mira a placare il Signore giustamente irritato; a rientrare in grazia presso il migliore dei Padri gravemente offeso: ed a riconquistare il più divino degli Sposi odiosamente tradito (LXXXV, 3).

1691. L’atto della virtù della penitenza è dunque qualche cosa di grande, e che non sarebbe mai troppo rinnovare quando si è avuta la disgrazia di offendere Dio?

L’atto della virtù della penitenza dovrebbe essere in qualche modo ininterrotto, soprattutto per quanto riguarda il dolore interiore di avere offeso Dio; e per quanto riguarda gli atti esteriori satisfattori, per quanto riguarda il dolore interiore di avere offeso Dio; e per quanto riguarda gli atti esteriori satisfattori, se è vero esservi una misura oltre la quale non si è più tenuti a soddisfare, siccome possiamo sempre temere  la nostra soddisfazione sia imperfetta, abbiamo ogni interesse a non tenersi mai per interamente sgravati presso Dio, per poterlo essere più sicuramente quando compariremo dinanzi a Lui. Con questo di più, che praticando la virtù della penitenza, noi pratichiamo a perfezione l’atto di tutte le virtù cristiane (LXXXIV,  art. 8, 9).

Capo XXXVIII

Effetti del sacramento della Penitenza.

1692. L’ effetto proprio del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati?

Sì; l’effetto proprio del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati a tutti coloro che lo ricevono con sentimenti di vera penitenza (LXXXVI, 1).

1693. Quali peccati rimette il sacramento della Penitenza?

Il sacramento della Penitenza rimette tutti i peccati che un uomo può avere sulla coscienza e che sono di natura tale da cadere sotto la potestà delle chiavi siccome commessi dopo il Battesimo (LXXXVI, 1).

1694. Questi peccati possono essere rimessi senza il sacramento della Penitenza?

Se si tratta di peccati mortali non possono essere mai rimessi, senza che il peccatore abbia la volontà almeno implicita di sottometterli al potere delle chiavi mediante la pratica del sacramento della Penitenza, in quanto gli sarà possibile di riceverlo. Ma per i peccati veniali, quando il soggetto è già in istato di grazia, basta un atto fervoroso di carità, senza che sia necessario di ricorrere al sacramento (LXXXVI, 2).

1695. Ne segue che soltanto coloro che hanno dei peccati mortali sulla coscienza debbono ricevere questo sacramento?

No; perché sebbene il sacramento sia necessario soltanto per essi, è però di grandissimo valore e di grandissimo aiuto anche per i giusti. Anzitutto per purificarli sempre più dei loro peccati passati, se ve ne sono stati dei mortali; ed inoltre per meglio aiutarli a purificarsi dei peccati veniali, ed a premunirsi contro di essi aumentando in loro la grazia (LXXXVII, 2 ad 2, 3).

1696. Se dopo aver ricevuto mediante il sacramento della Penitenza il perdono delle colpe passate, l’uomo ricade nelle medesime od in altre colpe gravi che gli fanno perdere la grazia del sacramento, il suo peccato ed il suo stato sono cosa più grave in forza di questa ricaduta?

Sì; il suo peccato ed il suo stato sono cosa più grave. Non che i peccati passati rimessi siano di nuovo imputati da Dio; ma per causa della ingratitudine e del disprezzo più grande della bontà di Dio che il peccato di ricaduta porta seco (LXXXVIII, 1, 2).

1697. Questo disprezzo della bontà di Dio e questa ingratitudine, sono un nuovo peccato speciale aggiunto al peccato di ricaduta?

Lo sarebbero se il peccatore si proponesse direttamente tale disprezzo della divina bontà e del bene ricevuto; ma in caso contrario essi non sono che una circostanza che aggrava il nuovo peccato (LXXXVII, 4).

1698. È dunque certo che il male distrutto mediante il sacramento della Penitenza, di per sé è distrutto per sempre, e Dio non lo imputa più in se stesso ed in quanto è stato perdonato?

Sì; è cosa del tutto certa, perché i doni di Dio sono senza pentimento (XXXVII, 1).

1699. Ed in rapporto al bene preesistente prima nel giusto, ma distrutto poi dal peccato; dobbiamo attribuire al sacramento della Penitenza qualche efficacia, in modo che per mezzo di esso questo bene possa rivivere?

Si; certamente il bene che preesisteva nel giusto, ma che il peccato aveva distrutto, può rivivere in virtù del sacramento della Penitenza. Di modo che per riguardo del bene essenziale che era la grazia ed il diritto alla visione di Dio, si ritrova lo stato primiero nella misura con la quale si riceve il sacramento con buone disposizioni. Se le disposizioni restassero al di sotto del primiero fervore, il bene essenziale sarebbe in grado minore; ma tutta la somma degli antichi meriti rivivrebbe nell’ordine della ricompensa accidentale (LXXXIX, 1-4; 5 ad 3).

1700. È dunque sommamente importante ricevere il sacramento della Penitenza nelle migliori disposizioni possibili?

Sì; ciò è sommamente importante, perché l’effetto del sacramento è proporzionato alle disposizioni di chi lo riceve.

Capo XXXIX.

Della parte del penitente nel sacramento della Penitenza: contrizione, confessione e soddisfazione.

1701. Chi riceve il sacramento della Penitenza, ha parte nell’effetto del sacramento stesso a titolo affatto speciale?

Sì; perché gli atti che produce fanno parte del sacramento (XC, 1)

1702. A qual titolo gli atti del penitente fanno parte del sacramento della Penitenza?

Gli atti del penitente fanno parte del sacramento della Penitenza, perché in questo sacramento in cui gli atti del ministro costituiscono la forma, quelli del penitente costituiscono la materia (XC, 1).

1703. Quali sono gli atti del penitente che sostituiscono la materia del sacramento?

Sono la contrizione, la confessione e la soddisfazione (XC, 2).

1704. Perché questi tre atti sono richiesti come materia del sacramento della Penitenza?

Perché il sacramento della Penitenza è il sacramento della riconciliazione tra il peccatore che aveva offeso Dio, e Dio che era stato offeso. Ora: in una siffatta riconciliazione bisogna che il peccatore offra a Dio un compenso che Dio accetti, in modo che l’offesa sia dimenticata ed il suo effetto distrutto. E per questo si richiedono tre cose: 1° che il peccatore abbia la volontà di offrire il compenso che piacerà a Dio di determinare; 2° che accetti dal sacerdote che tiene il luogo di Dio le condizioni di questo compenso; 3° che lo offra di fatto e soddisfaccia fedelmente. Queste tre cose si fanno appunto mediante la contrizione, la confessione e la soddisfazione (XC; 2).

1705. Potrebbe esistere il sacramento della Penitenza senza l’una o l’altra di queste parti?

Il sacramento della Penitenza non potrebbe esistere senza una qualche manifestazione esteriore queste diverse parti; ma può esistere senza la realtà interiore della contrizione o senza il compimento della soddisfazione. Tuttavia, la virtù del sacramento ne resta impedita o paralizzata (XC, 3).

1706. Che cosa intendete per contrizione?

Intendo quel dolore di ordine soprannaturale, per cui il peccatore si affligge al punto che la sua antica volontà cattiva ne sia come schiacciata pensando ai peccati commessi, per i quali si risolve a presentarsi al sacerdote ministro di Dio per confessarli, e riceverne una pena satisfattoria che si propone di compiere fedelmente (Supplemento, I: 1).

1707. Che cosa ci vuole perché questo dolore sia di Ordine soprannaturale?

Bisogna che sia causato da un motivo dell’ordine della grazia, potendo cominciare col timore dei castighi che Dio offeso, come si sa per fede, minaccia al peccatore, con la speranza di ottenere il suo perdono se si fa penitenza donde si passa a detestare il peccato in se stesso ed in quanto ostacola il bene soprannaturale e la vita perfetta; e soprattutto in ragione della offesa a Dio, oggetto supremo e sovrano del nostro amore. (I, 1, 2)

1708. Se si detestasse il peccato per il solo motivo dei castighi e delle pene del senso che attira sopra di noi da parte di Dio irritato, sia in questa vita che nell’altra, si avrebbe la contrizione?

No; perché per la contrizione bisogna che il peccato sia detestato per il male che arreca all’anima, avuto riguardo al Bene infinito che è Dio stesso, che può e deve essere posseduto da noi, quaggiù colla grazia ed in cielo colla gloria (I, 2).

1709. Come si chiama il primo dolore, anche soprannaturale, del peccato?

Si chiama dolore di attrizione (I, 2 ad 2)

1710 Dunque la contrizione e l’attrizione si distinguono tra loro a seconda dei motivi di dolore che si hanno dei propri peccati?

Si perché nell’attrizione il dolore non è causato che da un motivo di timore servile; mentre nella contrizione si ha, al termine del moto, un impulso di timore filiale (ossia di pura carità (I, 2)

1711. Basta l’attrizione per ottenere il perdono delle proprie colpe mediante il sacramento della Penitenza?

L’attrizione può bastare per accostarsi al sacramento. Ma sul punto di ricevere la grazia del sacramento coll’assoluzione del sacerdote, alla prima attrizione succede nell’anima la vera contrizione (a, 3; I 15 I, 1).

1712. Bisogna che la contrizione si estenda a tutti i peccati commessi?

Sì; bisogna che la contrizione si estenda a tutti i peccati commessi, specialmente al principio del suo moto e quando il peccatore concepisce dei peccati il dolore che a lui deve causare la malizia propria di ciascuno di essi, specialmente quando si tratta di peccati mortali. Ma al termine della sua azione ed allorchè il dolore è già informato dalla grazia, basta che si estenda a tutti in generale, detestandoli tutti sotto la loro comune ragione di offesa fatta a Dio (II, 3, 6).

1713. Potreste darmi una formula dell’atto di contrizione?

Sì; eccola per modo di omaggio Dio: Mio Dio, mi pento con tutto il cuore dei miei peccati, e li odio e detesto, come offesa della vostra Maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliuolo Gesù, e mia spirituale rovina. Non voglio più commetterne in avvenire r propongo di fuggirne le occasioni. — Signore, misericordia, perdonatemi.

1714. Che cosa deve fare il peccatore dopo essersi eccitato al dolore dei suoi peccati per mezzo dell’attrizione o della contrizione, per ottenerne da Dio il perdono?

Deve confessarsene al sacerdote, quando la confessione gli è imposta sia per precetto della Chiesa, sia perché le circostanze in cui si trova gli fanno un dovere di confessarsi (VI, 1-5).

1715. Quando obbliga a confessarsi il precetto della Chiesa?

Per tutti i fedeli vi è l’obbligo una volta l’anno e preferibilmente nel tempo pasquale, in forza del precetto della Comunione pasquale, che nessuno ha diritto di ricevere senza essersi confessato, quando ha qualche peccato mortale sulla coscienza (VI, 5; Codice, Can. 906).

1716. Perché è necessaria la confessione per ricevere il sacramento della Penitenza?

Perché soltanto per mezzo della confessione il penitente può far conoscere al sacerdote i propri peccati, e metterlo in grado di pronunziarsi sia sull’attitudine del soggetto a ricevere l’assoluzione, sia sulla pena soddisfattoria che deve essere imposta per i peccati da parte di Dio, affinché dal peccatore venga offerta la giusta compensazione del suo ritorno in grazia (VI, 1).

1717. Come deve essere la confessione perché il sacramento sia valido?

Bisogna che in quanto è possibile il penitente faccia conoscere, secondo il numero e la specie, tutti i peccati mortali che ha commesso; e che compia questo atto in ordine all’assoluzione sacramentale che è venuto a domandare al sacerdote (IX, 2).

1718. Se nel momento in cui li accusa non avesse la contrizione o l’attrizione dei suoi peccati, questi potrebbero essere rimessi mediante l’assoluzione che il sacerdote potesse dare?

No; non lo potrebbero. Ma sarebbero confessati se la confessione fosse stata completa; e non vi sarebbe più bisogno di confessarli di nuovo perché fossero rime i per virtù del sacramento. Basterebbe che il peccatore supplisse alla mancanza di contrizione, e nella nuova confessione accusasse questa mancanza che aveva accompagnato la confessione precedente (IX, 1).

1719. Se uno in confessione avesse dimenticato senza propria colpa qualche peccato grave che in seguito ricorda, sarebbe tenuto a confessarlo nella prossima confessione?

Sì; perché ogni peccato grave deve essere direttamente sottomesso alla potestà delle chiavi (IX, 2).

1720. A quale titolo il sacerdote riceve la confessione del peccatore?

La riceve nel nome ed in luogo di Dio stesso. Di modo che nella sua vita, come uomo ed al di fuori del suo ministero di confessore, non ne deve niente conoscere e non ne deve fare assolutamente uso alcuno (XI, 1-5).

1721. Che cosa deve fare il penitente dopo la confessione?

Deve compiere con la massima cura la pena satisfattoria che il sacerdote gli ha imposto

nel nome di Dio, per il suo ritorno in grazia (XII, 1, 3).

1722. Si possono determinare le grandi specie di opere, alle quali si riducono tutte le pene satisfattorie?

Sì: esse si riducono tutte alla elemosina, al digiuno ed alla preghiera. Infatti, nella soddisfazione noi dobbiamo togliere qualche cosa per offrirlo a Dio in Suo onore. Ora: noi non abbiamo che tre specie di beni che possiamo offrire: i beni della fortuna, i beni del corpo ed i beni dell’anima. La offerta dei primi va sotto il nome generale di elemosina; quella dei secondi, sotto il nome generale di digiuno; la offerta dei terzi, sotto il nome generale di preghiera (XV, 3).

1723. Se non si compisse la penitenza sacramentale, ossia la pena satisfattoria imposta dal sacerdote nell’atto del sacramento, si perderebbe la grazia del sacramento stesso?

No; purché ciò non si faccia in onta al sacramento. Ma se ciò non avvenisse che per dimenticanza o anche per negligenza, la grazia della remissione ricevuta nel sacramento resterebbe. Tuttavia, si è sempre passibili, di  fronte alla giustizia di Dio, della pena dovuta al peccato, e bisogna scontarla in questa vita o nell’altra; e la grazia stessa del sacramento non riceve l’aumento annesso al compimento della soddisfazione sacramentale (Parte Terza, XC, art. 2 ad 2.)

Capo XL.

Del ministro del sacramento della Penitenza del potere delle chiavi.  Dell’assoluzione. -Delle indulgenze. – Della comunione dei Santi. – Della scomunica.

1724. Che cosa si deve intendere per potere delle chiavi?

Il potere delle chiavi non è altro che il potere di aprire la porta del regno dei cieli, rimuovendo l’ostacolo che chiude questa porta, vale a dire il peccato stesso e la pena che gli è dovuta (XVII, 1):

1725. Dove si trova questo potere?

Nella santissima Trinità come nella sua prima origine; poi nella santa umanità di Gesù Cristo, la Passione del quale ha meritato che questo doppio ostacolo fosse tolto e lo toglie essa stessa con la sua virtù. E poiché la efficacia della passione di Gesù Cristo rimane nei sacramenti, che sono come i canali della sua grazia per i quali rende gli uomini partecipi di tutti i suoi meriti, ne segue che i ministri della Chiesa che sono i dispensatori dei sacramenti, Sono essi pure i depositari del potere delle chiavi che hanno ricevuto da Gesù Cristo stesso (XVII, 1).

1726. Come si esercita il potere delle chiavi nel sacramento della Penitenza?

Il potere delle chiavi nel sacramento della Penitenza si esercita mediante l’atto del ministro che giudica lo stato del peccatore, e gli dà l’assoluzione ingiungendogli la penitenza, oppure gli nega l’assoluzione stessa (XVII, 2).

1727. Il sacramento della Penitenza produce il suo effetto di remissione unito al potere delle chiavi, nel momento della assoluzione data dal sacerdote e per la virtù dell’assoluzione stessa?

Sì; e senza questa assoluzione il sacramento non potrebbe esistere, né per conseguenza produrre il suo effetto di remissione o liberazione (X, 1, 2; XVIII, 1).

1728. Soltanto i sacerdoti hanno il potere delle chiavi?

Soltanto i sacerdoti ordinati validamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, hanno il potere delle chiavi che aprono direttamente la porta del cielo, mediante la remissione delle colpe mortali nel sacramento della Penitenza (XIX, 3).

1729. Basta che il sacerdote sia ordinato validamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, perché abbia questo potere delle chiavi rispetto a questo o quel battezzato, che vuol ricevere il sacramento della Penitenza?

No; bisogna che sia anche approvato dalla Chiesa per ascoltare le confessioni, e che il battezzato che ha da assolvere appartenga alla sua giurisdizione (XX, 1-3).

1730. Praticamente, ogni sacerdote che si trovi in qualche luogo con l’ufficio o la facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere tutti coloro che si presentano a lui con intenzione di ricevere il sacramento della Penitenza?

Sì; purché questi non accusino delle colpe riservate ad una potestà superiore; cosa che giudicherà egli stesso ascoltando la confessione del soggetto che si presenta.

1731. Esiste nella Chiesa un potere che si avvicina al potere delle chiavi, e che libera diversamente dall’assoluzione sacramentale e dalla ingiunzione di una compensazione che si fa per mezzo della penitenza sacramentale?

Sì; è l’ammirabile potere delle indulgenze (XXV, 1).

1732. In che cosa consiste questo potere?

Consiste nella facoltà che ha la Chiesa di prender dal tesoro infinito ed inesauribile di Gesù Cristo, della Santissima Vergine e dei Santi, nell’ordine della soddisfazione per il peccato, ciò che in tutto od in parte corrisponde alla soddisfazione che dovrebbe dare il peccatore alla giustizia di Dio, dopo la remissione del suo peccato sia in questo mondo che nell’altro; applicarlo a determinati soggetti, e per effetto di questa applicazione liberarli dal loro debito verso la giustizia di Dio (XXV, 1).

1733. Che cosa ci vuole perché possa farsi questa applicazione?

Ci vogliono tre cose: autorità in colui che la fa; stato di grazia o di carità in colui per il quale è fatta; ed un motivo di pietà come ragione per cui si fa, vale a dire qualche cosa che torni ad onore di Dio ed utilità della Chiesa. Tali sarebbero le pratiche di pietà, le opere di zelo e di apostolato, le elemosine e cose simili (XXV, 2).

1734. Le opere che sono la ragione ossia il motivo della indulgenza, ne sono forse il prezzo?

Niente affatto; perché la indulgenza non è una remissione della pena che si compra, e della quale si dà l’equivalente con altre pene satisfattorie. Essa è essenzialmente il trasferimento a determinati soggetti, per qualcuna delle ragioni di pietà che abbiamo enumerato, della pena o della soddisfazione che apparteneva ad altri, e che questi altri consentono di veder trasferire ad altri ancora in virtù della comunione dei Santi (XXV, 2).

1735. Solamente coloro che compiono la condizione apposta per la indulgenza, possono beneficiare di essa?

Possono essi stessi cederne il beneficio ad altro soggetto, guadagnandola per esso, se si tratta delle anime del Purgatorio, quando chi concede la indulgenza ne dà loro la facoltà (XXVII, 3 ad 2; Codice, can. 930).

1736. E chi dunque può concedere le indulgenze?

Colui soltanto al quale è stato affidato il tesoro dei meriti di Gesù Cristo e dei Santi, in forza della potestà che ha ricevuto di legare o di sciogliere rispetto a tutti coloro che appartengono al corpo mistico di Gesù Cristo su questa terra, vale a dire il Sommo Pontefice. Ma poiché i Vescovi sono ammessi a condividere la sua sollecitudine pastorale, preposti come sono a giudici nelle diverse parti della Chiesa, possono essi pure, nei limiti loro stabiliti dal Sommo Pontefice, accordare indulgenze ai loro sudditi (XXVI, 1-3).

1737. Che cosa consegue da una potestà così meravigliosa esistente nella Chiesa Cattolica ed in essa sola, in forza della Suprema autorità del Sommo Pontefice?

Da questa potestà meravigliosa, unita del resto a tutto ciò che è stato detto della potestà delle chiavi nel sacramento della Penitenza; ed in modo generale in tutto ciò che riguarda la comunicazione, per via di azione sociale e gerarchica, dei meriti della Passione di Gesù Cristo, ne consegue che non può esservi per l’uomo bene più grandesu questa terra che di essere incorporato mediante il Battesimo alla Chiesa Cattolica, e di poter partecipare a tutti i diritti conferiti dal Battesimo, essendo in perfetta comunione con tutti i membri della Chiesa Cattolica e col suo Capo ii Romano Pontefice, al quale solo sono stati affidati tutti i beni e tutti i tesori della vita soprannaturale da distribuirsi fra gli uomini.

1738. Può darsi che qualcuno, pur essendo incorporato nella Chiesa Cattolica mediante il Battesimo, non partecipi ai diritti che il Battesimo conferisce?

Si; è il caso di tutti quelli che cadono sotto le censure della Chiesa, specialmente sotto la più terribile di tutte che è la scomunica (XXI, 1, 2).

1739. Gli eretici e gli scismatici sono scomunicati?

Sicuramente. Tutti gli eretici e tutti gli scismatici sono scomunicati per il fatto stesso dello scisma e della eresia, e non hanno più parte alcuna alla comunione dei Santi.

1740. Non vi sono dunque che i soli Cattolici sottomessi al Pontefice Romano e non colpiti da censure, che possono pienamente godere i loro diritti in quello che concerne la partecipazione ai beni di Gesù Cristo nella Chiesa?

Sì: non vi sono che i Cattolici. Con questo di più che per partecipare a tali beni per via di indulgenza, bisogna essere pienamente, mediante la grazia e la carità, nella comunione dei Santi.

1741. Che cosa opera dunque questa comunione dei Santi quando esiste perfetta?

Essa fa sì che, ora per il tratto di unione vivente e personale che è lo Spirito Santo ed ora per l’azione gerarchica della Chiesa visibile di cui lo Spirito Santo è anima, tutti i membri del corpo mistico di Gesù Cristo viventi ancora sulla terra, o che si trovano nel Purgatorio o di già in cielo, possano continuamente comunicare insieme, in ordine alla eterna felicità che un giorno dovrà essere loro comune nella Patria celeste.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIV)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIV)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23

1856

LIBRO OTTAVO


SUI CAPITOLI XVIII, XIX ET XX.


Il trionfo solenne ed assoluto della Chiesa cattolica sul mondo; l’avvento di Gesù Cristo, e la grande cena di Dio.


SEZIONE 1.
SUI CAPITOLI XVIII ET XIX.
DEL TRIONFO SOLENNE E ASSOLUTO DELLA CHIESA DI GESÙ-CRISTO SUL MONDO .


§ 1.


La rovina della grande Babilonia.


CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 1-4.

Et post hæc vidi alium angelum descendentem de cœlo, habentem potestatem magnam: et terra illuminata est a gloria ejus. Et exclamavit in fortitudine, dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna: et facta est habitatio dæmoniorum, et custodia omnis spiritus immundi, et custodia omnis volucris immundæ, et odibilis: quia de vino iræ fornicationis ejus biberunt omnes gentes: et reges terræ cum illa fornicati sunt : et mercatores terræ de virtute deliciarum ejus divites facti sunt. Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis.

[E dopo di ciò vidi un altro Angelo, che scendeva dal cielo, e aveva grande potestà: e la terra fu illuminata dal suo splendore. E gridò forte, dicendo: È caduta, è caduta Babilonia la grande: ed è diventata abitazione di demoni, e carcere di ogni spirito immondo, e carcere di ogni uccello immondo e odioso: Perché tutte le genti bevettero del vino dell’ira della sua fornicazione: e i re della terra fornicarono con essa: e i mercanti della terra si sono arricchiti dell’abbondanza delle sue delizie. E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe.]

I. Vers. 1. – E dopo queste cose vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo, con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Con queste parole, “E dopo queste cose vidi un altro Angelo“, San Giovanni ci avverte che sta passando ad un’altra visione rispetto a quella che l’Angelo precedente gli ha appena mostrato sotto forma di donna o prostituta seduta nel deserto. L’Apostolo ci dice quindi che non è più lo stesso Angelo, ma un altro che è sceso dal cielo; cioè un vero Angelo, appartenente a una delle categorie di spiriti celesti più elevate in potenza e dignità. Questo è indicato dalle parole: Avente un grande potere; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Anche questo passaggio deve essere preso in senso figurato; perché vediamo dal contesto che questo Angelo è uno degli spiriti celesti incaricati di comunicare le profezie. Quindi capiamo già in che senso è detto: E la terra fu illuminata dalla sua gloria. Questo Angelo rappresenta dunque tutti i profeti e soprattutto quelli che hanno predetto la fine del mondo. San Giovanni non ci dice chi sia questo Angelo, perché non lo sapeva lui stesso, almeno non per dircelo. Questo può essere visto da questo versetto, (Apoc. XIX, 10): « E caddi ai suoi piedi per adorarlo; ma egli mi disse: guardati dal farlo: io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. » Così questo Angelo, che San Giovanni voleva adorare per lo splendore della gloria e della potenza che vedeva brillare in lui, dice di sé che è solo un servo di Dio come San Giovanni e come i suoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Ed affinché si capisca che non ha dato questa testimonianza con il martirio, poiché è uno spirito, questo Angelo aggiunge: Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. Questo Angelo rappresenta dunque nella sua persona l’universalità dei profeti, che sono tutti uno, perché la verità che annunciano in forme diverse e in tempi diversi è una sola. Questa verità annunciata dai profeti ha un grande potere, perché rischiara e illumina tutta la terra. Inoltre, questa verità scende dal cielo, e fa la gloria dei profeti sulla terra. Da qui queste parole del testo. E dopo questo vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria; San Giovanni, nel dirci che si prostrò ai piedi di questo Angelo per adorarlo, aggiunge che la sua potenza era così grande e la sua gloria così luminosa che tutta la terra ne fu illuminata; questo per insegnarci quanto bella e potente sia la verità, poiché l’Angelo che rappresentava questa verità era così raggiante di gloria che San Giovanni lo prese per la verità stessa che è Dio, e volle adorarlo. Ma l’Angelo gli disse: Stai attento a non farlo; io sono un servo di Dio come te, e come i tuoi fratelli che hanno dato testimonianza di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. È come se questo Angelo gli avesse detto: Io non sono la Verità stessa che è Dio, ma sono un servo di Dio nel rendere testimonianza alla Verità; cioè, io non sono che uno dei rappresentanti della Verità, come te, che sei un profeta, e come tutti i tuoi fratelli che hanno testimoniato la Verità con la loro parola o con il loro martirio. Ora, se uno dei rappresentanti di questa Verità eterna, che è Dio, è già così radioso e splendente di gloria che tutta la terra è come illuminata, e San Giovanni stesso, testimone della verità, stava per adorarlo, cosa sarà quando gli uomini vedranno Gesù Cristo, la Verità stessa, venire sulle nuvole in tutto lo splendore della sua gloria e maestà per giudicare i vivi e i morti?

II. Qual è la missione di questo Profeta ora? È quella di annunciare la rovina della grande Babilonia, come vedremo in questo capitolo. Ma prima di entrare nel merito, dobbiamo far osservare al lettore il modo in cui San Giovanni ricevette questa rivelazione; perché sembra che l’ordine della narrazione sia invertito. Infatti, egli comincia descrivendo la grande catastrofe di questo evento; poi ci legge la sentenza pronunciata contro questa prostituta che egli raffigura nelle considerazioni; e solo nell’ultimo luogo profetizza questo evento. Non è questo un modo ingegnoso e ammirevole di far meglio emergerne la verità e la certezza? E questo capovolgimento non mostra forse la bontà di Gesù Cristo, autore di questa rivelazione, di annunciare con entusiasmo alla sua Chiesa e ai suoi amici un fatto della massima importanza e che deve interessarli e consolarli al più alto grado? Noi evocheremo qui la testimonianza di tutti gli uomini; non c’è nessuno che non ammetta che quando un messaggero porta ai suoi amici la felice notizia di una grande vittoria ottenuta su un nemico formidabile, il suo primo grido di gioia è: Vittoria, vittoria, il nemico è sconfitto! È solo dopo aver dato origine a questo primo impulso della natura, e dopo aver soddisfatto la prima e più ardente curiosità di chi lo ascolta con interesse, che il messaggero dà di seguito i dettagli più importanti e termina la sua narrazione con le circostanze le più remote. Ora, questo è precisamente il modo in cui il Profeta racconta alla Chiesa militante la felice notizia della sconfitta dei suoi nemici. È così che Dio, volendo parlare agli uomini, si conforma al loro linguaggio.

III. Vers. 2. – E gridò con forza, dicendo: “La grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è ora dimora di demoni, e rifugio d’ogni spirito immondo, e d’ogni uccello immondo e sinistro. Come abbiamo appena detto, anche questo Angelo o messaggero del cielo inizia la sua narrazione gridando con forza, cioè facendosi sentire da tutta la terra con la voce della sua profezia. È caduta, è caduta, la grande Babilonia!  Lo ripete due volte per meglio farsi intendere, e per esprimere con più forza la felice notizia della rovina della capitale del regno dell’anticristo, e quella della rovina dei malvagi di tutta la terra. È da notare che San Giovanni usa, per descrivere questa rovina universale, più o meno le stesse espressioni che Isaia usò per descrivere lo sterminio della Babilonia caldea; (Isa. XIII, 19): « Babilonia, perla dei regni, splendore orgoglioso dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra sconvolte da Dio. Non sarà abitata mai più né popolata fino alla fine dei secoli; l’Arabo non vi pianterà la sua tenda né i pastori vi faranno sostare i greggi. Ma vi si stabiliranno gli animali del deserto, i suoi palazzi saranno riempiti da serpenti, i gufi riempiranno le loro case, vi faranno dimora gli struzzi, vi danzeranno i satiri. Ululeranno le iene nei loro palazzi, gli sciacalli nei loro edifici adibiti alla voluttà, etc. ». Si veda l’adempimento letterale di questa profezia nella Storia antica di Rollin, volume I. E gridò ad alta voce, dicendo: E la grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è diventata dimora dei demoni, e il rifugio di ogni spirito impuro e di ogni uccello impuro e sinistro. – Cioè, i luoghi e i paesi dove hanno regnato le potenze della prostituta saranno ridotti in un tale stato di abbandono che diventeranno desolati e saranno immersi nelle tenebre della notte eterna, secondo San Matteo (VIII, 12): « I figli del regno saranno gettati nelle tenebre esterne; e là ci sarà pianto e stridore di denti. » Questi luoghi diventeranno la dimora dei demoni e il rifugio di ogni spirito immondo e sinistro. Questi uccelli impuri e sinistri sono una figura di cui si serve il Profeta per descrivere meglio l’orrore di queste tenebre e di questi demoni. Perché gli uccelli impuri sono i gufi, che fuggono dalla luce, e sono anche gli uccelli sinistri e minacciosi di cui parla Isaia. Questi uccelli sono una vera figura dei demoni, come lo erano anche le capre selvatiche, i satiri e i rettili che occupavano la Babilonia caldea dopo la sua rovina e il suo sterminio. Inoltre, i luoghi deserti sono comunemente considerati come il rifugio e la tana degli spiriti maligni e degli spettri. Vedere Areta. E Dio si serve di nuovo di un linguaggio appropriato alle concezioni umane. Come si ripete spesso nella Scrittura che Dio e il suo Spirito dimorano nei corpi e nelle dimore dei santi, così si dice qui per contrasto che i demoni e gli spiriti immondi hanno il loro rifugio nei corpi dei reprobi, nel loro regno, nelle loro città e nei loro edifici dedicati alle voluttà. Tale sarà lo stato di nudità e l’orribile punto di degradazione a cui sarà condannata la prostituta, essa che ora è così imponente per la sua grandezza, il suo potere, le sue ricchezze, il suo lusso, il suo fasto, la sua ostentazione e per la sua gloria mondana!

IV. Vers. 3. – Perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; i re della terra si sono corrotti con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con l’eccesso del suo lusso. San Giovanni ci dà in questo testo la ragione di questa condanna, e ci dice che questa città sarà così ridotta, perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; e perché i re della terra si sono corrotti con essa, etc. Abbiamo già visto sopra cos’è questo vino dell’ira della prostituzione, e cosa sono questi re della terra che si sono corrotti con la prostituta. Il Profeta, avendo voluto raffigurare il regno universale dell’iniquità sotto la figura di una donna e di una città, persiste nel suo paragone, e ci rappresenta i disordini di cui questa donna e questa città saranno state la causa tra gli uomini, dicendo che hanno sedotto re e popoli. Infatti, come il lusso sfrenato e la mollezza sono allo stesso tempo l’effetto e la causa della corruzione del mondo, così questa donna e questa città, con lo scintillio delle loro ricchezze, l’attrazione dei loro piaceri e il fasto del loro orgoglio, avranno arricchito i mercanti che venivano da tutte le parti della terra, per portare loro beni per soddisfare tutte le passioni degli uomini, come vedremo più avanti. Lo vediamo anche da queste parole: è perché tutte le nazioni della terra hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione, che tutta la terra sarà ridotta in questo stato terribile, poiché tornerà ad essere un caos come lo era prima della creazione e molto peggio, poiché diventerà la dimora dei demoni, cioè un vero inferno. Perché la figura di questo mondo scomparirà e non se ne troverà più nemmeno il posto. (Apoc. XVIII, 21 e XX, 11).

§ II.

Avviso di un Angelo alla Chiesa militante.

CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 4-8.

Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis. Quoniam pervenerunt peccata ejus usque ad caelum, et recordatus est Dominus iniquitatum ejus. Reddite illi sicut et ipsa reddidit vobis: et duplicate duplicia secundum opera ejus: in poculo, quo miscuit, miscete illi duplum. Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum: quia in corde suo dicit: Sedeo regina: et vidua non sum, et luctum non videbo. Ideo in una die venient plagae ejus, mors, et luctus, et fames, et igne comburetur: quia fortis est Deus, qui judicabit illam.

[E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe. Poiché i suoi peccati sono arrivati sino al cielo, e il Signore si è ricordato delle sue iniquità. Rendete a lei secondo quello che essa ha reso a voi: e datele il doppio secondo le opere sue: mescetele il doppio nel bicchiere, in cui ha dato da bere. Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto. Per questo in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, la morte, e il lutto, e la fame: e sarà arsa col fuoco: perché forte è Dio, che la giudicherà.]

I. Vers. 4. – E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da Babilonia, popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non siate coperti dalle sue piaghe. Quest’altra voce è quella di un Angelo; ciò è indicato dalle parole: Ho sentito un’altra voce dal cielo. Questo Angelo rappresenta 1° la persona dell’Angelo che annuncia il futuro a San Giovanni. 2° Rappresenta anche l’Angelo che effettivamente annuncerà ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, come abbiamo visto nel capitolo delle piaghe; e questo Angelo potrebbe essere un uomo; perché sappiamo che la parola Angelo significa generalmente messaggero, inviato di Dio. 3° Questo Angelo rappresenta anche la persona morale della Chiesa in generale, e dell’ultimo Papa in particolare, negli avvertimenti che daranno ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, cioè di non prendere parte alla sua prostituzione, e di non adorare la bestia, per non essere avvolti dalle sue piaghe, ed avere parte nei terribili castighi di cui si parla nel capitolo XIV, verss. 9 e seguenti. Uscite da Babilonia, popolo mio, etc. – Queste parole hanno diversi significati, secondo l’uso dei profeti, che spesso annunciano più cose contemporaneamente sotto una sola figura, perché la verità eterna è infinita, ed è allo stesso tempo una ed indivisibile. 1° Questo avvertimento sarà dato da un Angelo ai Cristiani che vivranno nel tempo della persecuzione dell’Anticristo; ed egli dirà loro di uscire da Gerusalemme e dalla Giudea, affinché non partecipino ai peccati dell’abominio della desolazione, adorando la bestia, e non siano avvolti dalle terribili piaghe che affliggeranno il suo regno. (Matth. XXIV, 16): « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, etc. » – 2° Questo avvertimento è rivolto dalla Scrittura ai Cristiani di ogni luogo e di ogni tempo, affinché non bevano il vino dell’ira della prostituzione, e partecipino ai castighi e alle piaghe che ne sono le conseguenze: queste piaghe sono in particolare quelle della fine dei tempi, ed in generale i castighi fisici e morali con cui Dio è solito castigare gli empi già in questo mondo, secondo quel proverbio così noto e così vero: Si viene puniti per dove si è peccato. Queste piaghe rappresentano anche i mali dell’inferno. Tutto questo è così vero che ne troviamo la ragione nel versetto seguente:

Vers. 5: Perché i suoi peccati salirono al cielo e Dio si ricordò delle sue iniquità. Così la causa delle sue piaghe temporali ed eterne, sono e saranno i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi; perché se si trattasse qui solo dei mali particolari della fine dei tempi, il Profeta non farebbe menzione del ricordo eterno di Dio: E Dio si ricordò delle sue iniquità.

Vers. 6. Trattala come lei ti ha trattato, e ripagala due volte per tutte le sue opere; falle bere due volte dallo stesso calice in cui ti ha dato da bere. Questo Angelo si rivolge ora non ai fedeli credenti della Chiesa militante sulla terra, ma ai Santi che saranno in cielo dopo la rovina della grande Babilonia; e dice loro: Trattatela come lei ha trattato voi, perché il tempo del perdono dei torti è passato, ed è venuto il tempo delle vendette eterne. Sulla terra, i giusti devono obbedire a Gesù Cristo, seguire il suo esempio e non restituire male per male, ma bene per male. Devono perdonare i loro nemici, fare loro del bene quando possono, e pregare per i loro persecutori; ma dopo la rovina della grande Babilonia, non ci sarà più perdono da dare o da chiedere, perché non ci sarà più perdono da sperare. Perché allora le profezie si realizzeranno, e la legge del perdono dei torti non sarà più applicabile ai reprobi, e il Dio onnipotente che tiene in mano le vendette eterne, inviterà i suoi santi amici, per voce di questo Angelo, a unirsi a lui nel far cadere sui malvagi e sugli empi tutto il peso della sua ira per i secoli dei secoli. Allora questi giusti saranno animati e come inebriati, a loro volta, dall’ira del giusto Giudice, secondo le parole del santo re Davide, Ps. LVII, 4: « I peccatori si sono allontanati dalla giustizia fin da quando sono nati; si sono smarriti fin dal grembo della madre loro; hanno detto falsità. Il loro furore è come quello del serpente; è come quello dell’aspide, che si rende sordo turandosi le orecchie. ….. Dio spezzerà i loro denti nella bocca; il Signore ridurrà in polvere le mascelle dei leoni. Saranno ridotti a niente, come un’acqua che passa; Egli ha teso il suo arco perché cadano nell’ultima debolezza. Saranno distrutti come cera che il calore fa colare; il fuoco è caduto su di loro dall’alto e non hanno più visto il sole. Prima che essi abbiano visto le loro spine giunte fino alla forza di un arboscello, Egli li inghiottirà come ogni vivente nella sua ira. Il giusto si rallegrerà quando vedrà la vendetta, e si laverà le mani nel sangue del peccatore. E gli uomini diranno: Poiché l’uomo giusto raccoglie il frutto della sua giustizia, c’è sicuramente un Dio che giudica gli uomini sulla terra. » Così questo Angelo, che allora parlerà in nome di Dio Onnipotente, dirà ai Santi che possono e devono rallegrarsi, con una festa solenne, sulla rovina della grande Babilonia; ed Egli dirà loro: ridatele raddoppiate le sue opere, perché hanno oltraggiato Dio come voi e più di voi. Il loro crimine è il crimine di lesa maestà; il loro reato è salito fino al cielo del Signore; ed è dal cielo del Signore che il castigo deve scendere nei secoli dei secoli. Sulla terra non hanno ricevuto che l’equivalente delle loro opere, nell’eternità, devono ricevere il doppio. Fateli bere due volte dallo stesso calice in cui vi ha dato da bere. Perché sulla terra non hanno potuto farvi bere che il vino dell’amarezza del corpo, nel calice della passione di Gesù Cristo; ma nell’eternità li farete bere dal calice dell’amarezza del corpo e dell’anima. Essi vi hanno vinto nel tempo, voi li avete vinti nell’eternità. Abbeverateli dunque in questo stesso calice in proporzione ai loro crimini nei secoli dei secoli.

Vers. 7. – Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto; cioè, moltiplicate i tormenti e i dolori eterni degli empi in proporzione alle delizie e ai godimenti temporali e terreni di cui si sono inorgogliti. E come i vostri digiuni, le mortificazioni, le preghiere e le pratiche di pietà furono derisi da quegli empi che si vantavano di sfidare la legge di Dio abbandonandosi alle delizie della terra, e che consideravano la croce come una stoltezza; così dovete ora confonderli, mostrando loro che la legge di Dio non si viola impunemente, e che la sua parola è eterna. Poiché ella dice in cuor suo: Io sono una regina e non sono vedova, e non sono in lutto. 1° Queste parole si applicano agli empi di tutti i tempi e luoghi, che agiscono sempre come se il loro regno fosse eterno e come se non dovessero mai morire. 2° Queste parole si riferiscono anche e principalmente al tempo dell’anticristo, quando gli uomini crederanno che egli è il Messia promesso e il Re dei Giudei; e che il suo regno non avrà fine; e questo regno sarà considerato come il paradiso in cui i malvagi potranno indulgere impunemente in tutti i vizi e le voluttà. Allora soprattutto quando Dio avrà cessato di manifestare la sua presenza per un momento, con le piaghe con cui affliggerà la terra e il regno della bestia; quando i due profeti Enoch ed Elia saranno sconfitti ed uccisi, ed il gregge di Gesù Cristo sarà disperso, e la Chiesa sarà distrutta, allora la prostituta dirà in cuor suo: Sono una regina e non sono una vedova, né sono in lutto.

Vers. 8Perciò in un giorno solo verranno le sue piaghe, la morte, il lutto e la carestia, ed essa sarà bruciata col fuoco, perché il Dio che la giudicherà è il Dio forte. Queste parole si riferiscono a diverse circostanze: alle piaghe degli ultimi tempi e ai tormenti dell’eternità; poi queste parole annunciano la punizione degli empi in ogni tempo e di ogni luogo. Perché ognuna delle sue piaghe trova la sua applicazione in ognuna di queste circostanze del tempo e dell’eternità.

§ III.

Lamentazioni sulla rovina della Grande Babilonia, e la conversione delle nazioni e dei Giudei.

CAPITOLO XVIII. VERSETTI 9-24.

Et flebunt, et plangent se super illam reges terræ, qui cum illa fornicati sunt, et in deliciis vixerunt, cum viderint fumum incendii ejus: longe stantes propter timorem tormentorum ejus, dicentes: Væ, væ civitas illa magna Babylon, civitas illa fortis: quoniam una hora venit judicium tuum. Et negotiatores terræ flebunt, et lugebunt super illam: quoniam merces eorum nemo emet amplius: merces auri, et argenti, et lapidis pretiosi, et margaritæ, et byssi, et purpurae, et serici, et cocci (et omne lignum thyinum, et omnia vasa eboris, et omnia vasa de lapide pretioso, et aeramento, et ferro, et marmore, et cinnamomum) et odoramentorum, et unguenti, et thuris, et vini, et olei, et similæ, et tritici, et jumentorum, et ovium, et equorum, et rhedarum, et mancipiorum, et animarum hominum. Et poma desiderii animæ tuæ discesserunt a te, et omnia pinguia et præclara perierunt a te, et amplius illa jam non invenient. Mercatores horum, qui divites facti sunt, ab ea longe stabunt propter timorem tormentorum ejus, flentes, ac lugentes, et dicentes: Væ, væ civitas illa magna, quæ amicta erat bysso, et purpura, et cocco, et deaurata erat auro, et lapide pretioso, et margaritis: quoniam una hora destitutæ sunt tantæ divitiæ, et omnis gubernator, et omnis qui in lacum navigat, et nautae, et qui in mari operantur, longe steterunt, et clamaverunt videntes locum incendii ejus, dicentes: Quæ similis civitati huic magnæ? et miserunt pulverem super capita sua, et clamaverunt flentes, et lugentes, dicentes: Væ, væ civitas illa magna, in qua divites facti sunt omnes, qui habebant naves in mari de pretiis ejus: quoniam una hora desolata est. Exsulta super eam cælum, et sancti apostoli, et prophetæ: quoniam judicavit Deus judicium vestrum de illa. Et sustulit unus angelus fortis lapidem quasi molarem magnum, et misit in mare, dicens: Hoc impetu mittetur Babylon civitas illa magna, et ultra jam non invenietur. Et vox citharœdorum, et musicorum, et tibia canentium, et tuba non audietur in te amplius: et omnis artifex omnis artis non invenietur in te amplius: et vox molæ non audietur in te amplius: et lux lucernæ non lucebit in te amplius: et vox sponsi et sponsæ non audietur adhuc in te: quia mercatores tui erant principes terræ, quia in veneficiis tuis erraverunt omnes gentes. Et in ea sanguis prophetarum et sanctorum inventus est: et omnium qui interfecti sunt in terra.

[E piangeranno e meneranno duolo pei lei i re della terra, i quali fornicarono con essa e vissero nelle delizie, allorché vedranno il fumo del suo incendio: Stando da lungi per tema dei suoi tormenti, dicendo: Ahi, ahi, Babilonia, la città grande, la città forte: in un attimo é venuto il tuo giudizio. E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno sopra di lei: perché nessuno comprerà più le loro merci: le merci d’oro, e di argento, e le pietre preziose, e le perle, e il bisso, e la porpora, e la seta, e il cocco, e tutti i legni di tino, e tutti i vasi d’avorio, e tutti i vasi di pietra preziosa, e di bronzo, e di ferro, e dì marmo, e il cinnamomo, e gli odori, e l’unguento, e l’incenso, e il vino, e l’olio, e il fior dì farina, e il grano, e ì giumenti, e le pecore, e i cavalli, e i cocchi, e gli schiavi, e le anime degli uomini. E i frutti desiderati dalla tua anima se ne sono partiti da te, e tutte le cose grasse e splendide sano perite per te, e non si troveranno mai più. I mercanti di tali cose che da essa sono stati arricchiti, se ne staranno alla lontana per tema dei suoi tormenti, piangendo, e gemendo, e diranno: Ahi, ahi, la città grande, che era vestita di bisso, e di porpora, e di cocco, ed era coperta d’oro, e di pietre preziose, e di perle: Come in un attimo sono state ridotte al nulla tante ricchezze. E tutti i piloti, e tutti quei che navigano pel lago, e i nocchieri, e quanti trafficano sul mare, se ne stettero alla lontana, e gridarono guardando il luogo del suo incendio, dicendo: Qual città vi fu mai simile a questa grande città? E si gettarono polvere sul capo, e gridarono piangendo e gemendo: Ahi, ahi la città grande, delle cui ricchezze si fecero ricchi quanti ave- vano navi sul mare, in un attimo è stata ridotta al nulla. Esulta sopra di essa, o cielo, e voi, santi Apostoli e profeti: perché Dio ha pronunziato sentenza per voi contro di essa. Allora un Angelo potente alzò una pietra come una grossa macina, e la scagliò nel mare, dicendo: Con quest’impeto sarà scagliata Babilonia, la gran città, e non sarà più ritrovata, e non si udirà più in te la voce dei suonatori dì cetra, e dei musici, e dei suonatori di flauto e di tromba: e non si troverà più in te alcun artefice dì qualunque arte: e non sì udirà più in te rumore di macina: e non rilucerà più in te lume di lucerna: e non sì udirà più in te voce di sposo e di sposa: perché i tuoi mercanti erano i principi della terra, perché a causa dei tuoi venefici furono sedotte tutte le nazioni. E in essa si è trovato il sangue dei profeti, e dei santi, e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra.]

.I. Vers. 9. E i re della terra, che si sono corrotti con lei e che hanno vissuto nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Abbiamo visto in precedenza che dopo la rovina di Gerusalemme e lo sterminio degli empi, il resto sarà preso dal timore e darà gloria a Dio. Ora, tra questi resti ci saranno anche i re della terra, cioè i re infedeli. Questi re rappresentano le nazioni che non appartengono alla Chiesa, o che l’hanno abbandonata. Perché Dio, nella sua infinita bontà, non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva. (Ezek. XXXIII, 11 e seguenti). Questo è ciò che la Scrittura ci insegna e ciò che l’esperienza quotidiana ci conferma. Ma se Dio è infinitamente misericordioso, è anche infinitamente giusto e vero nelle sue parole. Ed è per manifestare meglio la sua giustizia e la sua bontà agli uomini che Egli colpisce alcuni e risparmia altri, affinché gli uomini imparino a temerlo e a servirlo, sperando in Lui. Ora, è soprattutto alla fine dei tempi che Dio manifesterà questi due grandi attributi, la sua giustizia e la sua bontà. Guai dunque ai peccatori ostinati che cadranno sotto i suoi colpi; ma beati coloro che partecipano alla misericordia di Dio, che moltiplica i suoi eletti tanto quanto lo permette la sua giustizia. Ecco perché, un gran numero di questi re della terra, che rappresentano i principi e le nazioni infedeli, e anche i resti dei Giudei, come vedremo più avanti, saranno risparmiati in questo terribile disastro. Sopravviveranno a questa grande catastrofe della rovina di Gerusalemme e delle città delle nazioni che il fuoco del cielo e i terremoti distruggeranno. E i re della terra, che sono stati corrotti e hanno vissuto con essa nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Avranno paura e si convertiranno. Queste lamentazioni si applicano a Gerusalemme considerata come Babilonia, cioè la grande città figura della prostituta; ed è in questo senso che queste parole e quelle che seguono devono essere intese come espressione sia della desolazione dei reprobi, sia dell’amaro rimpianto che gli ultimi convertiti proveranno per i loro peccati ed i loro abomini, quando vedranno le conseguenze delle loro opere e l’immenso pericolo che avranno corso. Nella sua rivelazione, Gesù Cristo usa questi stessi re che saranno stati corrotti con la prostituta, e che si convertiranno alla fine dei tempi, per dare più forza alla sua parola facendo lor confessare con la loro stessa bocca i mezzi che questa donna avrà usato per attirarli nella sua prostituzione, e anche per fare esprimere da loro stessi le orribili conseguenze temporali ed eterne del peccato. Perché queste parole indicano anche i mali e gli amari rimpianti che gli empi proveranno nell’inferno per la perdita dei loro beni e dei loro piaceri sensuali. Ascoltiamo dunque questi re e questi Giudei nei loro gemiti e lamenti sulla rovina temporale ed eterna della grande Babilonia.

II. Vers. 10E stando in piedi lontano da essa nel timore dei suoi tormenti, diranno: “Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, è giunta la tua condanna in un’ora….. E stando in piedi, cioè sopravvivendo a questa distruzione generale degli empi, lontano da essa, risparmiati da questa orribile catastrofe, e separandosi dai malvagi con la penitenza. Essi diranno: nel timore dei suoi tormenti, cioè nel timore del Signore che è l’inizio della sapienza, (Ps. CX , 10). Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, la tua condanna è giunta in un’ora. Così parleranno questi re convertiti. È da notare che essi dicono due volte Guai, guai, e due volte, grande città, città potente, per esprimere i due guai temporali ed eterni di questa grande città che è Gerusalemme, capitale del regno dell’anticristo, e Gerusalemme considerata come la grande Babilonia, o la grande prostituta che rappresenta i malvagi di tutti i tempi e luoghi. La tua condanna è arrivata in un’ora, cioè all’improvviso e inaspettatamente, secondo le parole di Gesù Cristo: « Verrò come un ladro ».

Vers. 11. – E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno per essa, perché nessuno comprerà più le loro mercanzie. 1 ° Questi mercanti della terra rappresentano la classe comune del popolo, e il profeta sceglie i mercanti tra questa classe, per far loro svolgere questo doppio ruolo di rappresentanti del popolo e di rappresentanti di tutti coloro che hanno preso parte alla prostituzione, come i mercanti che hanno approfittato del lusso sfrenato della prostituta per arricchirsi a sue spese.  Questi mercanti saranno dunque tutti gli uomini che, come i re di cui sopra, si convertiranno dopo essere stati presi dalla paura. Poteva il Profeta scegliere meglio di questi re e mercanti per rappresentare tutte le classi della società? 2º Questi mercanti rappresentano letteralmente i Giudei che si convertiranno anch’essi e diranno: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Si dice più avanti che questi mercanti erano i principi della terra, cioè che essi avranno regnato sulla terra con il loro denaro e con il loro commercio, e che avranno dominato gli uomini con la loro opulenza, con le loro ricchezze e con la loro influenza, etc. Per questo si dice abusivamente, ma con una certa verità, “Il denaro governa il mondo“. Infine, questi mercanti saranno quelli che hanno fornito tutti gli oggetti di lusso menzionati nei versetti seguenti; perché sono soprattutto i Giudei che commerciano in questi oggetti, e che procurano di che soddisfare le passioni e il gusto depravato della prostituta. È soprattutto ai Giudei che questa donna chiede incessantemente nei suoi desideri sfrenati e insaziabili e nel suo orgoglio infernale.

Vers. 12. – Queste mercanzie d’oro e d’argento, di gioielli, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto, tutti i loro legni profumati, e tutti i loro mobili d’avorio, di pietre preziose, di bronzo, di ferro e di marmo.

Vers. 13. – Di cannella, di spezie, gli odori, incenso, vino, olio, fiore di farina di grano, di bestie da soma, pecore, cavalli, carri, schiavi e uomini liberi. Tutti questi beni e cibi menzionati nel testo sono mirabilmente ben scelti per rappresentare gli articoli di commercio dei Giudei, e anche gli oggetti degli idoli della grande prostituta. Vi si trova infatti tutto ciò che è necessario per soddisfare le tre grandi concupiscenze di cui parla San Giovanni, l’orgoglio, i piaceri e le ricchezze. Inoltre, la scelta di queste mercanzie ed alimenti di lusso è ammirevole in quanto possono convenire ed applicarsi a tutti i tempi del mondo e che non ce n’è alcuno che non sia conosciuto in tutti i tempi e luoghi, dalle pecore di Caino, alle perle preziose che il demone Moasim farà conoscere all’Anticristo.

III. Perché nessuno comprerà più la loro merce. Infatti:

Vers. 14. I frutti che erano le tue delizie non sono più; ogni delicatezza e ogni magnificenza è perduta per te, e non si troverà mai più, non solo a Gerusalemme, ma anche nel mondo intero. Non si troveranno mai più, perché il secolo sarà consumato.

Vers. 15. – Quelli che si sono arricchiti con la vendita delle sue mercanzie staranno in piedi lontano nel timore dei suoi tormenti; essi piangeranno e gemeranno, cioè  i commercianti, gli operai, i commissionari, gli uomini d’affari, i banchieri, ecc. ecc. quelli dei Giudei che saranno stati risparmiati dalla bontà di Dio nella catastrofe dell’ultima piaga, saranno in piedi:; essi sopravviveranno e saranno nel numero di coloro di cui parla Daniele, XII, 12: « Beato chi aspetta e arriva a milletrecento trentacinque giorni ». Perché il regno dell’Anticristo durerà solo milleduecentosettantasette giorni e mezzo, compresa l’abbreviazione predetta in San Matteo, XXIV, 22: « E se quei giorni non fossero stati abbreviati, ogni carne sarebbe stata distrutta; ma saranno abbreviati per amore degli eletti ». La meravigliosa bontà di Dio che sa sempre trarre il bene dal male e dirigere le disgrazie che gli uomini si sono procurati con i loro peccati, affinché servano come mezzo per moltiplicare il maggior numero possibile di eletti! E questi mercanti staranno in piedi lontani, cioè separati dalle vittime del peccato, dopo la rovina di Babilonia, nel timore dei suoi tormenti, essi saranno dal numero di coloro di cui è detto, Apoc. XI, 13: Il resto fu colto da timore e rese gloria a Dio. Il resto degli uomini, dunque, sarà testimone di questa terribile sciagura, e ne concepirà un grande timore, e sarà allora l’inizio della loro conversione, secondo quel detto dell’Ecclesiastico, (I, 16): « L’inizio della saggezza è il timore del Signore ».

Vers. 16.Piangeranno e si lamenteranno, dicendo:

Vers. 17. – Guai, guai, questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un momento queste grandi ricchezze. Tutte queste parole continuano a riferirsi a Gerusalemme, la grande città, e alla grande città che rappresenta la gloria, le ricchezze e gli onori del mondo con l’universalità degli empi di tutti i tempi e luoghi, come è indicato ancora queste parole ripetute due volte: Guai, guai! Questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un attimo queste immense ricchezze. Questo abito pomposo e ricco aggiunge la brillantezza della verità, e queste parole ha perso in un momento, indicano chiaramente la grande catastrofe della consumazione del secolo, e mostrano che si parla qui della rovina di Gerusalemme e delle città dei Gentili, rovesciate dal grande terremoto di cui abbiamo parlato. E tutti questi mali saranno l’inizio dei mali dell’eternità, secondo le parole citate sopra: Tutta la delicatezza e la magnificenza sono perdute per te, e non saranno mai più ritrovate.

IV. Vers. 18. E tutti i piloti, coloro che navigano i mari, i nocchieri, e tutti quelli che sono impiegati sui vascelli, si tenevano lontani, e gridavano vedendo il luogo dell’incendio e dicevano: Quale città è simile a questa grande città? Questi piloti, questi marinai, coloro che navigano e sono impiegati sulle navi, sono i pochi Cristiani e direttori di anime che saranno sopravvissuti alla persecuzione dell’Anticristo; perché avranno navigato a lungo sul mare tempestoso della persecuzione, e si saranno tenuti in disparte e nascosti, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, Matteo, XXIV, 16: « Allora quelli che sono in Giudea fuggono sui monti, etc. » È anche a questo passaggio che dobbiamo mettere in relazione queste parole del testo, Apoc. XIV, 20: « E tutte le isole fuggirono »; così come quelli del cap. XVIII, 4: « Uscite da Babilonia, popolo mio, per non essere coinvolti dalle sue piaghe. »  Tutti i piloti, coloro che navigano sul mare, i marinai e tutti coloro che sono impiegati sulle navi, sulla nave della Chiesa o sulla barca di San Pietro, o nell’arca di Noè, sono rimasti lontani. Queste parole si applicano anche ai buoni di tutti i tempi e luoghi, che si sono tenuti lontani dal mondo, dimorando nel vascello della Chiesa. Inoltre, queste parole si applicano letteralmente ai Giudei e ai ricchi mercanti, etc.

V. Ora ecco la prova evidente che questi re, mercanti e marinai, che rappresentano i resti degli uomini che sono sopravvissuti a questa catastrofe e a queste disgrazie, faranno penitenza:

Vers. 19E si coprirono il capo di polvere e gridarono, piangendo, gemendo e dicendo: Guai, guai, questa grande città, che ha arricchito della sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, è stata desolata in un momento.

Vers. 20. – Il cielo, rallegratevi su di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa. Notiamo bene queste parole: E si coprirono il capo di polvere … cioè essi hanno fatto penitenza, perché nella Scrittura il segno della penitenza è coprirsi il capo con cenere e polvere. Così, dunque, essi hanno iniziato ad essere rappresentati in piedi, cioè, come se fossero sopravvissuti a queste disgrazie, grazie alla bontà di Dio. Poi rimasero lontani, soggetti ai tormenti di quella grande città. Dopo di che rifletterono e considerarono il luogo di questo grande incendio e gridarono: Quale città era come quella grande città? Infine, nei sentimenti di penitenza, gridarono, piangendo, lamentandosi e dicendo: Guai, guai! Questa grande città, che ha arricchito con la sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, fu desolata in un momento. Queste ultime parole, oltre ad essere prese alla lettera quando sono applicate ai Giudei ed ai grandi del mondo, hanno un significato figurato. Perché, nell’opulenza, si è potenti, e nel potere, gli uomini abusano della loro forza e diventano persecutori; è così che percuotendo i buoni che avevano il loro rifugio nell’arca di Noè, figura della nave della Chiesa costantemente battuta dalla tempesta, e nella barca di San Pietro, simbolo della fede della Chiesa, questi ricchi e potenti persecutori arricchirono i giusti con i beni spirituali della carità e della pazienza. Questa grande città fu desolata in un attimo. Cioè, questa Gerusalemme, o grande Babilonia, cadrà e sarà rovinata in un momento, come il mondo di cui è la figura. Tra un momento, cioè tra qualche giorno, come si vede dai milletrecentotrentacinque giorni di Daniele, che devono essere presi qui come naturali; perché sarebbe assurdo supporre un incendio così lungo di una città. Abbiamo visto, inoltre, nell’opera del venerabile Holzhauser, la spiegazione di questo passaggio e sappiamo che il regno dell’Anticristo sarà breve e persino abbreviato. La sua rovina non inizierà che negli ultimi giorni, e continuerà fino alla consumazione dei secoli, secondo San Matteo e San Marco, che dicono: « Questo sarà l’inizio dei dolori. » Infine, questi re, mercanti e marinai, ecc., avendo fatto penitenza, parteciperanno alla gioia dei buoni e dei santi, e diranno: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa… Che mirabile descrizione di tutti i movimenti di un cuore penitente, che comincia con l’essere preso dalla paura, poi si separa dai giorni malvagi, deplora le proprie  disgrazie, si copre di cenere e di polvere in segno di contrizione, piange e geme; poi entra nel tempio del Signore, la cui maestà e potenza non può dapprima comprendere a causa del fumo delle sue piaghe, e infine riconosce la sua bontà verso i santi, e la giustizia delle sue vendette sui malvagi, unendosi ai sentimenti comuni degli apostoli, dei profeti e di tutta la Chiesa, e gridando a gran voce: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, che avete sofferto tanto con tutti i giusti della Chiesa, gioite, perché Dio vi ha vendicato su di essa. Va notato che questi sono i re che rappresentano i grandi e le nazioni infedeli, e poi i resti dei cattivi Cristiani che avranno prevaricato adorando la bestia, e anche i mercanti, cioè i Giudei, che diranno: Perché Dio vi ha vendicato di essa. Non dicono noi, ma voi, poiché i Gentili e gli Giudei non saranno appartenuti alla Chiesa di Gesù Cristo, e di conseguenza, non saranno stati oggetto, non più dei cattivi Cristiani, degli insulti e delle persecuzioni con cui i malvagi avranno afflitto la Chiesa, rappresentata dai santi Apostoli e dai Profeti.

VI. Vers. 21. – E un Angelo forte sollevò una pietra come una grande macina e la gettò nel mare, dicendo: “Così sarà gettata giù la grande città Babilonia e d’ora in poi non sarà più trovata”. E San Giovanni vide nella sua immaginazione un Angelo forte, rappresentante della potenza di Dio, che gettava in mare una pietra come una grande macina. E l’Angelo gli disse: “Babilonia, quella grande città, sarà precipitata così, con la stessa forza e fragore di una grande macina da mulino, la cui caduta un braccio forte rende ancora più celeree. E quella grande città scomparirà nelle profondità dell’inferno, come una grande macina scompare nelle profondità del mare. E non si troverà più, mai più e infinitamente meno di quanto una pietra possa essere trovata nelle profondità dell’oceano.

VII. Vers. 22. – E la voce degli arpisti e dei musicisti, il flauto dei cantori e le trombe non suoneranno più in te; nessun artigiano si troverà più nella tua cinta, né si intenderà più il rumore della macina.

Vers. 23. – E la luce delle lampade non risplenderà in te per sempre, né vi si udrà più la voce dello sposo e della sposa. Tutte queste parole seguono questo patetico e toccante lamento sul triste stato di questa grande Babilonia, che rappresenta il mondo intero. Che lutto e miseria, che tristezza mortale ispirano queste parole! Il Profeta ci dà poi la ragione e il motivo di questa terribile condanna di Gerusalemme, e dice: Perché i tuoi uomini malvagi erano principi della terra, e tutte le nazioni sono state traviate dai tuoi incantesimi. Vediamo in questo le cause principali dei giudizi di Dio su Gerusalemme e sulla nazione giudaica. 1º Questi mercanti, cioè i Giudei, erano i dominatori della terra. Ora, come abbiamo detto sopra, i Giudei sono il popolo che più ha contribuito alla perversione del mondo e alla prostituzione degli uomini, essendo i principi della terra con il loro oro, il loro commercio e l’influenza che hanno acquisito dalle loro ricchezze.  2° Tutte le nazioni sono state sviate dai tuoi incantesimi, cioè dal lusso e dalle merci che i tuoi mercanti hanno fornito alle passioni degli uomini, e anche dalla tua doppiezza, dalle tue frodi, dalle tue menzogne, ecc. e, infine, dai prodigi e dagli incantesimi dell’anticristo e dei suoi falsi profeti. Poi San Giovanni termina questo capitolo con il rimprovero del più grande crimine che egli rivolge a questa città, colpevole della morte del Dio di ogni bontà, Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth crocifisso.

Vers. 24. – E in questa città fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che erano sulla terra. Cioè il sangue di Gesù Cristo, che rappresenta tutti i Martiri, i Profeti e i Santi. Perché i Giudei, uccidendo Gesù Cristo, parteciparono ai crimini di tutti i persecutori della Chiesa e di tutti gli empi del mondo, come tutti gli empi del mondo avranno partecipato al più grande dei crimini, il crimine della morte di Gesù Cristo, uccidendo i Martiri e i Profeti e perseguitando i Santi.

VIII. Noteremo, concludendo questo capitolo, che San Giovanni parla in tre passaggi diversi dei “guai” che rovineranno Gerusalemme alla fine dei tempi. Infatti dice nel capitolo XI, 13: « E in quella stessa ora ci fu un grande terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila uomini morirono nel terremoto; e gli altri furono presi da spavento e diedero gloria a Dio. » Poi dice nel capitolo XVI, 18: « E ci furono lampi e tuoni e un grande terremoto, così grande che nessun uomo ne ha sentito uno simile da quando sono sulla terra. E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò della grande Babilonia per darle da bere il vino dello sdegno della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e le montagne scomparvero. » Infine il Profeta, senza aver annunciato nessun altro terremoto oltre a quello che abbiamo descritto nel capitolo delle piaghe della consumazione, dice improvvisamente, (capitolo XVIII, 18): « Ed essi gridarono, vedendo il luogo del suo incendio, e dissero: Quale città fu come questa grande città? » Bisogna concludere da tutto questo, che Dio, nella sua infinita bontà, colpirà questa città di Gerusalemme e tutte le città delle nazioni, in modo da spaventare i più ostinati tra gli uomini e dare loro il tempo di convertirsi. Ma gli empi ostinati periranno con le città delle nazioni, perché i terremoti ed il fuoco continueranno a rovinare queste città fino alla consumazione dei tempi. Questo è confermato dagli evangelisti, (Matteo, XXIV, 7): « Nazione si leverà contro nazione, regno contro regno, pestilenze, carestie e terremoti saranno in diversi luoghi. Ora tutte queste cose sono l’inizio dei dolori. » E San Marco, (XIII, 8): « Perché i popoli si solleveranno contro i popoli e i regni contro i regni; e ci saranno terremoti in diversi luoghi e carestie; questo sarà il principio dei dolori ». Infine, (San Luca, XXI, 11): « E ci saranno grandi terremoti, pestilenze e carestie in diversi luoghi; e ci saranno cose spaventose e grandi segni nel cielo.  Ma prima vi prenderanno e vi perseguiteranno, etc. » Possiamo vedere che i quattro Evangelisti sono d’accordo, i tre precedenti nel loro Vangelo, e San Giovanni nella sua Apocalisse, nell’annunciare terribili terremoti che precederanno la fine. – La precipitazione con cui San Giovanni passa, nella sua Apocalisse, dalla descrizione di questo grande terremoto, di cui gli uomini non hanno mai avvertito uno simile, sentito l’effetto, a queste espressioni: e grideranno, vedranno il luogo del suo incendio, ed essi diranno: qual città è stata pari a questa grande città? Questa precipitazione, diciamo, è un modo ammirevole ed energico di mostrarci il pronto adempimento di quelle profezie di San Marco e San Matteo, che ci dicono che tutte queste cose saranno l’inizio dei dolori; cioè della fine dei malvagi sulla terra e dell’apertura dei supplizi dell’eternità. Infatti, vediamo da tutto il contesto che i terremoti che colpiranno Gerusalemme e le città delle nazioni, continueranno a devastarle fino alla loro totale rovina, poiché, secondo San Marco e San Matteo, queste disgrazie devono essere la l’inizio dei dolori. Ciò è dimostrato anche dalle parole del testo: E gridarono quando videro il luogo del suo incendio, e dissero: Quale città è simile a questa grande città? Così, dunque, il fuoco sarà mescolato ai terremoti, e non si vedrà più il luogo dell’incendio di questa città, rappresentante di tutte le altre città delle nazioni. E allora i piloti e i marinai potranno dire con verità: quale città era simile a questa grande città? Cioè a Gerusalemme, la capitale del regno dell’anticristo, e a Gerusalemme considerata come la grande Babilonia che rappresenta i malvagi di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

§ IV.

Applausi, acclamazioni e rallegramenti della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, sulla rovina della grande Babilonia, e l’avvicinarsi delle nozze dell’Agnello.

CAPITOLO XIX. VERSETTI 1-10.

Post hæc audivi quasi vocem turbarum multarum in caelo dicentium: Alleluja: salus, et gloria, et virtus Deo nostro est: quia vera et justa judicia sunt ejus, qui judicavit de meretrice magna, quæ corrupit terram in prostitutione sua, et vindicavit sanguinem servorum suorum de manibus ejus. Et iterum dixerunt: Alleluja. Et fumus ejus ascendit in saecula sæculorum. Et ceciderunt seniores viginti quatuor, et quatuor animalia, et adoraverunt Deum sedentem super thronum, dicentes: Amen: alleluja. Ex vox de throno exivit, dicens: Laudem dicite Deo nostro omnes servi ejus: et qui timetis eum pusilli et magni. Et audivi quasi vocem turbæ magnæ, et sicut vocem aquarum multarum, et sicut vocem tonitruorum magnorum, dicentium: Alleluja: quoniam regnavit Dominus Deus noster omnipotens. Gaudeamus, et exsultemus: et demus gloriam ei: quia venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præparavit se. Et datum est illi ut cooperiat se byssino splendenti et candido. Byssinum enim justificationes sunt sanctorum. Et dixit mihi: Scribe: Beati qui ad cœnam nuptiarum Agni vocati sunt; et dixit mihi: Hœc verba Dei vera sunt. Et cecidi ante pedes ejus, ut adorarem eum. Et dicit mihi: Vide ne feceris: conservus tuus sum, et fratrum tuorum habentium testimonium Jesu. Deum adora. Testimonium enim Jesu est spiritus prophetiœ.

[Dopo di ciò udii come una voce di molte turbe in cielo, che dicevano: Alleluja: salute, e gloria, e virtù al nostro Dìo: perché veri e giusti sono i suoi giudizi, ed ha giudicato la gran meretrice, che ha corrotto la terra colla sua prostituzione, ed ha fatto vendetta del sangue dei suoi servi (sparso) dalle mani di lei. E dissero per la seconda volta: Alleluia. E il fumo di essa sale pei secoli dei secoli. E i ventiquattro seniori e i quattro animali si prostrarono, e adorarono Dio sedente sul trono, dicendo: Amen: alleluja. E uscì dal trono una voce, che diceva: Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi: e voi, che lo temete, piccoli e grandi. E udii come la voce di gran moltitudine, e come la voce di molte acque, e come la voce di grandi tuoni, che dicevano: Alleluia: poiché il Signore nostro Dio onnipotente è entrato nel regno. Rallegriamoci, ed esultiamo, e diamo a lui gloria: perché sono venute le nozze dell’Agnello, e la sua consorte sì è messa all’ordine. E le è stato dato di vestirsi di bisso candido e lucente. Perocché il bisso sono le giustificazioni dei Santi. Sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello: e mi disse: Queste parole di Dio sono vere. E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.]

I. Vers. 1. Dopo questo, io intesi nel cielo come la voce di una grande moltitudine che diceva: Alleluja, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio …

Dopo questo …, vale a dire, dopo la rovina della grande Babilonia, San Giovanni intese per immaginazione, nel cielo, nella Chiesa trionfante e nella Chiesa militante, come la voce di una grande moltitudine. Questa grande moltitudine è la riunione di tutti i santi che faranno parte della Chiesa militante, dopo la conversione del resto degli uomini, così come la riunione di tutti i Santi della Chiesa trionfante. Questa grande moltitudine farà sentire come una sola voce per mostrarci l’accordo, l’insieme, l’unità delle vedute e dei sentimenti che uniranno strettamente tutti i re, i mercanti, i piloti, i marinai, di cui si è parlato nel capitolo precedente, in tal modo che essi non formeranno, per così’ dire, che una sola persona con la Chiesa trionfante. E tutti questi Santi diranno: Alleluja. Questa parola è un grido di gioia che significa: lodate il Signore. Ed essi aggiungeranno: Salvezza, gloria e potenza al nostro Dio. Tutte queste parole esprimono la gioia, le lodi e la riconoscenza che questi Santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante manifesteranno altamente e solennemente, in occasione della vittoria finale e del trionfo assoluto che la Chiesa militante avrà ottenuto sul mondo con la caduta della grande Babilonia. Vediamo nel versetto seguente le ragioni di questa gioia e di questa lode; e queste ragioni sono espresse così chiaramente che non hanno bisogno di alcun commento.

Vers. 2. Perché i suoi giudizi sono veri e giusti, ha condannato la grande prostituta che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, ed ha vendicato il sangue dei suoi servi, sparso dalle mani di lei. Così, dunque, questi motivi di gioia e di lode sono tratti dai giudizi di Dio, fondati sulla sua verità e la sua giustizia, che questi nuovi convertiti riconosceranno e confesseranno allora altamente, dicendo che Dio ha condannato veracemente e giustamente la grande prostituta, perché essa ha corrotto la terra con la sua prostituzione agli idoli, che sono sue creature; in più, essi diranno che Egli ha vendicato il sangue dei suoi servi, cioè il sangue di Gesù-Cristo, che come uomo è anche un servo di Dio; ed il sangue dei suoi profeti, dei suoi apostoli, di tutti i Martiri della Chiesa, da Abele fino all’ultimo martire che morrà nella persecuzione dell’anticristo. E questo sangue sarà sparso dalla mano dei malvagi di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

II. Vers. 3. Ed essi dissero una seconda volta: Alleluja, ed il fumo del suo incendio si eleva nei secoli dei secoli. Si devono osservare queste parole con attenzione. San Giovanni, dopo aver descritto la gioia della Chiesa militante, passa tutto ad un tratto alla Chiesa trionfante designata nel primo versetto e che aveva accomunato alla Chiesa militante con queste parole, in cielo, parole che si applicano ugualmente ad entrambe queste due Chiese. Perché ora ci dice: E dissero una seconda volta: Alleluia? È per meglio farci capire la stretta unione di queste due Chiese, che sono una nello spirito di fede, speranza e carità, e che si uniranno anche nel corpo, dopo la caduta della grande Babilonia. E hanno detto una seconda volta: Alleluia. Queste parole implicano che i santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante diranno Alleluia due volte. La prima volta sarà quando la grande Babilonia sarà caduta cade e prima dell’ultimo giudizio. La seconda volta sarà quando queste due Chiese saranno così strettamente unite che formeranno una sola Chiesa trionfante nei secoli dei secoli. Questo è chiaramente indicato dalle seguenti parole: ed il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. – San Giovanni dice al presente: il fumo della loro combustione si alza, per farci intendere che questo secondo grido, Alleluia, è il grido di gioia che sarà manifestato dalle due Chiese al momento della loro riunione. Perché appena avranno detto una seconda volta Alleluia, l’Apostolo aggiunge immediatamente: E il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. San Giovanni vuole quindi farci capire con questo che a questo secondo grido Alleluia, inizia la beata eternità per i santi di queste due Chiese, così come un’eternità di dannazione per i figli della prostituta e per tutti gli abitanti della grande Babilonia. Avrebbe potuto l’Apostolo esprimere con più forza e verità l’eternità ed il rigore dei tormenti a cui saranno condannati gli abitanti di questa grande città, che dicendo: E il fumo del suo incendio si eleva per i secoli dei secoli?

 III. Vers. 4.E i ventiquattro vegliardi ed i quattro animali si prostrarono ed adorarono Dio, che era assiso sul trono, dicendo: Amen, Alleluja. Questi ventiquattro vegliardi sono i dodici patriarchi dell’Antico Testamento ed i dodici Apostoli del Nuovo. C’è così, l’universalità dei Pontefici e dei Dottori della Chiesa, etc. I quattro animali sono gli Evangelisti. Ora tutti questi Santi uniranno le loro voci a quella di tutta la Chiesa, si prostreranno ed adoreranno Dio, che è seduto sul trono della sua gloria nel cielo. E con questo atto unanime di adorazione, essi manifesteranno i loro sentimenti di gioia, di amore, di riconoscenza sì solennemente. . ed essi diranno: Amen, così sia; cioè che si faccia la giustizia di Dio, e così si compia la sua parola, ed aggiungeranno questa parola, Alleluja; Dio sia lodato per tutte le sue opere.

IV. Vers. 5. E dal trono uscì una voce dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi che lo temete, grandi e piccoli.

II. Vers. 3. Ed essi dissero una seconda volta: Alleluja, ed il fumo del suo incendio si eleva nei secoli dei secoli. Si devono osservare queste parole con attenzione. San Giovanni, dopo aver descritto la gioia della Chiesa militante, passa tutto ad un tratto alla Chiesa trionfante designata nei primo versetto e che aveva accomunato alla Chiesa militante con queste parole, in cielo, parole che si applicano ugualmente ad entrambe queste due Chiese. Perché ora ci dice: E dissero una seconda volta: Alleluia? È per meglio farci capire la stretta unione di queste due Chiese, che sono una nello spirito di fede, speranza e carità, e che si uniranno anche nel corpo, dopo la caduta della grande Babilonia. E hanno detto una seconda volta: Alleluia. Queste parole implicano che i santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante diranno Alleluia due volte. La prima volta sarà quando la grande Babilonia sarà caduta cade e prima dell’ultimo giudizio. La seconda volta sarà quando queste due Chiese saranno così strettamente unite che formeranno una sola Chiesa trionfante nei secoli dei secoli. Questo è chiaramente indicato dalle seguenti parole: ed il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. – San Giovanni dice al presente: il fumo della loro combustione si alza, per farci intendere che questo secondo grido, Alleluia, è il grido di gioia che sarà manifestato dalle due Chiese al momento della loro riunione. Perché appena avranno detto una seconda volta Alleluia, l’Apostolo aggiunge immediatamente:  E il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli sempre. San Giovanni vuole quindi farci capire con questo che a questo secondo grido Alleluia, inizia la beata eternità per i Santi di queste due Chiese, così come un’eternità di dannazione per i figli della prostituta e per tutti gli abitanti della grande Babilonia. Avrebbe potuto l’Apostolo esprimere con più forza e verità l’eternità ed il rigore dei tormenti a cui saranno condannati gli abitanti di questa grande città, che dicendo: E il fumo del suo incendio si eleva per i secoli dei secoli.

III. Vers. 4 E i ventiquattro vegliardi ed i quattro animali si prostrarono ed adorarono Dio, che era assiso sul trono, dicendo: Amen, Alleluja. Questi ventiquattro vegliardi sono i dodici patriarchi dell’Antico Testamento ed i dodici Apostoli del Nuovo. C’è così, l’universalità dei Pontefici e dei Dottori della Chiesa, etc. I quattro animali sono gli Evangelisti. Ora tutti questi Santi uniranno le loro voci a quella di tutta la Chiesa, si prostreranno ed adoreranno Dio, che è seduto sul trono della sua gloria nel cielo. E con questo atto unanime di adorazione, essi manifesteranno i loro sentimenti di gioia, di amore, di riconoscenza sì solennemente. . ed essi diranno: Amen, così sia; cioè che si faccia la giustizia di Dio, e così si compia la sua parola, ed aggiungeranno questa parola, Alleluja; Dio sia lodato per tutte le sue opere.

IV. Vers. 5.E dal trono uscì una voce dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi che lo temete, grandi e piccoli. Questa voce è quella dell’Agnello, Gesù-Cristo, considerato come uomo e come capo di tutta la Chiesa; infatti, questa voce esce dal trono stesso. Ora, non c’è che Gesù-Cristo che sieda sul trono alla destra del Padre, secondo questa parola del Salmista, Ps. CIX: « Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché non ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi ». Così l’umanità di Gesù Cristo vincerà i suoi nemici e regnerà sul mondo fino alla consumazione dei secoli; ed Egli regna e regnerà anche per tutta l’eternità. Ora, questi   nemici della sua umanità gli saranno serviti per essere sgabello per arrivare a questo Regno di gloria; e così l’Uomo-Dio continuerà ad essere il Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech. Perciò Gesù Cristo, considerato come uomo e come Capo di tutta la Chiesa, dirà: Lodate il nostro Dio. Gesù Cristo come uomo, anche se Dio stesso, può dire, come rappresentante della nostra umanità: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, che lo temete, grandi e piccoli. Perché è qui che vediamo chiaramente l’ufficio di “mediatore” che Gesù Cristo esercita tra Dio e gli uomini. Troviamo nella Scrittura un esempio di questo modo di parlare di Gesù Cristo, quando al momento della sua morte chiamò Dio suo Padre: Mio Dio! Marco, XV, 34: « All’ora nona Gesù gridò a gran voce, dicendo: Eloi, Eloi, lama sabacthani, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » Queste parole devono essere attentamente esaminate: tutti voi che lo temete; cioè tutti voi che il timore del Signore ha contenuto nella bontà di Dio e che siete stati abbandonati alla penitenza. Cosa di più vero, pertanto, che Gesù Cristo, come Capo della Chiesa, invita in questo momento solenne, tutti i suoi che saranno stati i servi di Dio e che l’avranno temuto durante la vita del mondo, inviti a lodare Dio nella sua gloria, nella sua potenza, nella sua giustizia e nella sua santità!

V. Vers. 6. Ed io intesi come la voce di una grande moltitudine, come il fragore di grandi acque e come la voce dei tuoni, che dicevano: Alleluia, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna. Su questo invito che Gesù-Cristo indirizza alla sua Chiesa, San Giovanni sentì come una voce, cioè come una sola voce, che rappresentava l’unione e l’accordo di tutti gli Angeli ed i Santi della corte celeste, indicata dalle parole: di una grande moltitudine… L’ho sentita come la voce di grandi acque, cioè la voce di tutti i Santi della Chiesa militante, che hanno sofferto nelle acque delle tribolazioni, e come la voce dei tuoni; i Dottori ed i predicatori, che tutti insieme si faranno sentire come una sola voce, dicendo: Alleluia, lodiamo il Signore, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna.

Vers. 7. Rallegriamoci, stiamo nella gioia e rendiamogli gloria, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello, e la sua sposa vi si è preparata. Tutti questi Santi, dunque, diranno: rallegriamoci. Gioiamo e rendiamo gloria a Dio Padre, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello Gesù-Cristo; cioè è giunto il momento in cui lo sposo Gesù-Cristo debba essere glorificato ed unirsi alla sua Sposa che è la Chiesa, nei secoli dei secoli. Questa Sposa gioirà delle presenza dello Sposo, non con la fede e la speranza, ma essa lo vedrà così com’è, ed il suo amore non avrà più limiti e non sarà più velato. E la sua Sposa vi si è preparata; in effetti i Santi della Chiesa militante si sono preparati a queste nozze; infatti, le virtù ed i meriti dei Santi sono i loro abiti, e la loro veste nuziale. È ciò che San Giovanni spiega con le seguenti parole.

VI. Vers. 8. E le è stato dato di vestirsi di lino bianco e puro; e questo lino è la giustizia dei Santi … – E le è stato dato … cioè è Dio Padre che ha dato ai Santi della Chiesa, Sposa di Gesù Cristo, di rivestirsi di giustizia, secondo San Giacomo, (I, 17): « Ogni grazia buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre dei lumi, nel quale non c’è cambiamento, né ombra, né mutamento di stato. ». È Dio Padre che ha dato alla Chiesa il dono di essere vestita di puro lino bianco per le nozze dell’Agnello. E le ha fatto questo dono per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, senza la fede nel Quale è impossibile piacere a Dio, secondo San Paolo, (Rom. V): « Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, il quale mediante la fede ci ha dato accesso a quella grazia nella quale stiamo e ci gloriamo nella speranza della gloria dei figli di Dio, etc. » E questo lino è la giustizia dei Santi, di cui saranno rivestiti dalla grazia di Dio Padre, nella fede di Gesù Cristo suo Figlio, per apparire ed essere ammessi alla cena delle nozze dell’Agnello. –

VII. vers. 9. L’Angelo allora mi disse: scrivi: beati coloro che sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello; e aggiunse: queste parole di Dio sono veraci. L’Angelo raccomanda specialmente a San Giovanni di scrivere queste parole di incoraggiamento per tutta la Chiesa militante, e ci esorta con ciò a rivestirci di giustizia, mediante le buone opere fatte nella fede di Gesù-Cristo; infatti, è questo il vestito di lino puro e bianco, che deve essere la nostra veste nuziale, senza la quale non saremo trovati degni di essere nel numero di coloro di cui qui è detto:; beati quelli che sono stati chiamati alla cena della nozze dell’Agnello. – La cena è il pasto alla fine del giorno; e questa cena delle nozze dell’Agnello sarà alla fine del giorno della vita di questo mondo; e solo coloro che hanno lavorato nella vigna del Signore, almeno all’undicesima ora, potranno partecipare alla cena di queste nozze. Gli altri che sono stati chiamati e non hanno risposto alla chiamata saranno gettati, mani e piedi, nelle tenebre esterne; … e là ci sarà pianto e stridore di denti. Vedi San Matteo, XXII, 2, ecc. E l’Angelo aggiunse: Queste parole di Dio sono veraci; cioè, queste parole sono una promessa solenne, fondata sulla verità eterna di Dio, a favore di coloro che, essendo stati invitati alla cena delle nozze dell’Agnello, vi compariranno vestiti con l’abito di nozze; e l’Angelo aggiunge queste parole per la consolazione e l’incoraggiamento dei buoni.

Vers. 10 E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia. Questo versetto è stato già spiegato.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXV)

LA SUMMA PER TUTTI (20)

LA SUMMA PER TUTTI (20)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XXIX.

Necessità, natura ed effetti del Sacramento della Confermazione. – Doveri che impone. – Istruzione religiosa che richiede.

1594. Per condurre in tutta la sua perfezione una vita degna di Gesù Cristo, è sufficiente la grazia del Battesimo?

No, perché la grazia del Battesimo non è che una grazia di principio, per così dire. Essa ha per effetto di darci la vita di darci la vita di Gesù Cristo, ma non di farci  crescere in ess ossia di perfezionarvisi mantenendola (LXV, 1; LXXII, 7 ad 1).

1595. Quali altre grazie avranno tale effetto?

La grazia della Confermazione e la grazia della Eucarestia (LXV, 1).

1596. Che cosa intendete per Confermazione?

La Confermazione è precisamente quel sacramento della nuova legge, ordinato a conferirci la grazia che fa crescere nella vita di Gesù Cristo, ricevuta mediante la grazia del Battesimo (LXXII, 1).

1597. Di che consiste questo sacramento?

Consiste in una unzione fatta in forma di croce col sacro crisma sulla fronte del confermando, mentre il ministro del sacramento pronunzia le parole: «Io ti segno col segno della croce, e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia» (LXXII, 2, 4, 9).

1598. Che cosa significa il sacro crisma usato come materia di questo sacramento?

Significa la pienezza della grazia dello Spirito Santo che conduce il Cristiano alla età perfetta, e gli permette di spargere intorno a sé, mediante la pratica delle virtù, il buon odore di Gesù Cristo. Il sacro crisma, infatti, si compone di olio di oliva che simboleggia la grazia, e della pianta odorifera per eccellenza che è il balsamo (LXXII, 2).

1599. Che cosa comprendono le parole pronunziate dal ministro, e che sono la forma di questo sacramento?

Esse comprendono tre cose: la sorgente, ossia la causa donde proviene la forza spirituale, effetto del sacramento; questa causa ossia questa sorgente è la Santissima Trinità. Comprendono poi la forza stessa conferita dal sacramento quando si dice: «Io ti confermo col crisma della salute ». Comprendono finalmente la insegna che deve distinguere il soldato di Gesù Cristo, armato per tutti i grandi combattimenti della vita cristiana; e questa insegna e questo distintivo è il segno della croce, strumento del trionfo del nostro Capo e nostro Re Gesù Cristo (LXXII, 4).

1600. Il sacramento della Confermazione è dunque il sacramento della virilità cristiana, che rende il Cristiano-bambino Cristiano-uomo, capace di resistere contro tutti i nemici esterni della sua vita cristiana?

Sì; il sacramento della Confermazione è recisamente ciò. Ed è per questo motivo che ha per ministro ordinario il Vescovo, a cui appartiene di ufficio tutto ciò che riguarda la ars perfezione nella Chiesa di Dio (LXXII, 11).

1601. Poiché il sacramento della Confermazione è ciò che abbiamo ora detto, perché si dà ai confirmandi un padrino od una madrina come nel Battesimo?

Perché in ogni milizia si usa affidare i nuovi arruolati a degli istruttori per tutto quanto riguarda le cose della milizia e della guerra (LXXII, 10).

1602. Vi è dunque nella Confermazione un obbligo stretto per il padrino e per la madrina di occuparsi del nuovo confermato, e di iniziarlo alle cose della perfezione della vita cristiana e del combattimento spirituale?

 Certissimamente, e sarebbe da augurarsi che nella pratica ci si rendesse un conto più esatto di questo obbligo, per meglio adempirlo.

1603. Il sacramento della confermazione imprime un carattere?

Sì; ed appunto per questo non si può ricevere che una sola volta (LXXII, 5).

1604. Se quando si è ricevuto, non si fosse stati nelle disposizioni richieste per riceverne i frutti, si potrebbe in seguito rimediare a questo danno?

Sì; il carattere resta, ed il frutto del sacramento sarà ricevuto per mezzo di esso, quando si sarà tolto l’ostacolo che viu ci opponeva. Per la stessa ragione non sarebbe mai troppo rinnovarsi spesso nella grazia propria di questo sacramento; che è la grazia della forza spirituale, che ci mette in grado di combattere contro tutti i nemici esterni della fede cristiana.

1605. Questo sacramento è di speciale importanza quando si vive in una società, ossia in mezzo ad uomini particolarmente ostili alla fede cristiana cattolica?

Sì; perché soprattutto allora i veri figli della della Chiesa devono armarsi di coraggio virile, per restare fedeli essi stessi, e per difendere come conviene intorno a sé quello che tanti altri disprezzano o si ingegnano di distruggere.

1606. Che cosa ci vorrebbe in particolare, per assicurare questo gran bene, da parte del Cristiani confermati?

Bisognerebbe che tutti coloro che hanno avuto l’insigne onore di ricevere questo sacramento, e per mezzo di esso lo Spirito Santo con la pienezza dei suoi doni, si ricordassero sempre e richiamassero spesso alla mente che portano in fronte, impresso nell’anima con un segno indelebile, il glorioso carattere di soldati di Gesù Cristo; e che  se non vi è niente di più nobil di un soldato fedele al proprio capo, non vi è niente di più vile o di più odioso di un uomo vestito di una uniforme che disonora con la propria viltà.

1607. In ordine a tali obblighi che incombono ad un Cristiano confermato, si richiede che il soggetto che si presenta a ricevere il sacramento della confermazione sia particolarmente istruito nelle cose della fede e della vita cristiana?

Sì; perché bisogna che ne sia istruito non soltanto per viverne egli stesso nella propria vita personale ed individuale, ma ancora per potersene costituire difensore contro tutti coloro che esteriormente osassero attentarvi (LXXIII, 4 ad 3).

Capo XXX.

Quale dei due sacramenti richiede una maggiore istruzione: la Confermazione o l’Eucarestia?

1608. Non vi è un altro sacramento, per ben ricevere il quale sì richiede pure in modo speciale che il soggetto sia istruito nei misteri cristiani?

 Sì; è il sacramento dell’Eucarestia. Ed anzi, benché per coloro che ricevono il sacramento del Battesimo da adulti, la istruzione religiosa catechistica debba subito cominciare per prepararli ad esso, tuttavia la pratica, nei paesi cristiani ove i bambini vengono battezzati appena nati, la istruzione religiosa catechistica non è subito possibile od obbligatoria se non in ordine alla Confermazione ed alla Eucarestia, comprendendovi anche la Penitenza.

1609. Quale di questi due sacramenti, Confermazione ed Eucarestia, richiede maggiore istruzione?

Dovrà essere uguale per ambedue, se i soggetti sono in grado di ricevere la Confermazione ed infatti la ricevono quando già sono obbligati a ricevere la Eucarestia. Siccome però nella pratica accadere, e spesso accade, che la Eucaristia sia ricevuta prima della Confermazione, in questo caso dovremo dire che la Eucarestia ricevuta prima della Confermazione non richiede di per sé una grande istruzione religiosa catechistica: nella Confermazione, infatti, come abbiamo già notato, il soggetto deve essere istruito nelle cose religiose non soltanto per ciò che basta alla sua vita individuale, ma ancora per poterle difendere contro coloro che le combattono. Con questo però, che sia dopo aver ricevuto la prima volta la Eucarestia, sia dopo aver ricevuto la Confermazione, si deve continuare ad istruirsi con la più grande cura sui misteri cristiani.

Capo XXXI.

Del Sacramento dell’Eucarestia.

1610. Che cosa intendete per il sacramento della Eucarestia?

Intendo il convito misterioso in cui, sotto le specie ossia apparenze ed accidenti del pane e del vino, si dà a mangiare il Corpo di Gesù Cristo e si dà a bere il suo Sangue, dopo la consacrazione che ha reso realmente presente Gesù Cristo sotto forma sacramentale, nello stesso stato di vittima immolata come sul Calvario  (LXXIII – LXXXII).

1611. Questo sacramento è necessario per salvarsi?

Sì; perché significa ed effettua la unità della Chiesa, corpo mistico di Gesù Cristo, alla quale deve necessariamente appartenere chiunque deve salvarsi. Tuttavia il frutto del sacramento eucaristico può essere ricevuto per il semplice fatto che un dato soggetto ha la intenzione di ricevere questo sacramento, sia che abbia egli personalmente tale intenzione, sia che la Chiesa gliela comunichi mediante il sacramento del Battesimo, come avviene per i bambini (LXXIII, 3).

1612. Con quali nomi viene chiamato questo sacramento?

Avuto riguardo alla Passione di Gesù Cristo ultimata sul Calvario, che fu il sacrifizio per eccellenza e di cui questo sacramento è il memoriale, si chiama appunto « Sacrifizio ». Avuto riguardo alla unità della Chiesa, corpo mistico di Gesù Cristo, che effettua presentemente, si chiama « Comunione ». Avuto riguardo alla gloria della futura felicità che prefigura, si chiama «Viatico». E si chiama puramente e semplicemente « Eucarestia» cioè «buona grazia », perché contiene Gesù Cristo stesso, autore di ogni grazia sulla terra e nel cielo (LXXIII, 4).

1613. Quando è stato istituito questo sacramento?

La sera del Giovedì Santo, alla vigilia della Passione, per compensare e consolare gli uomini della partenza di Gesù Cristo, che dopo la Passione non doveva più vivere della nostra vita terrena; per indicare il rapporto di questo sacramento con la Passione di Gesù Cristo, unica sorgente della nostra salute; e perché in forza di queste circostanze sì commoventi, il culto di questo sacramento restasse eccezionalmente vivo in mezzo agli nomini (LXXIII, 5).

1614. Questo saramento era stato particolarmente raffigurato nella legge antica?

Sì; perché sotto la ragione di puro Segno esteriore era stato figurato dal pane e dal vino offerto da Melchisedecco. Sotto la ragione di sacramento del vero corpo di Gesù Cristo immolato, era stato figurato da tutti i sacrifizi dell’Antico Testamento, ed specialmente dal sacrifizio di espiazione che era il più solenne. Sotto forma di alimento spirituale che nutrisce le anime nostre col pane più soave, era stato figurato dalla manna che aveva in sé ogni sapore ed ogni soavità. Ma sotto tutte queste ragioni insieme era stato figurato in modo speciale dall’agnello pasquale che si mangiava con pane azzimo dopo che stato immolato; ed il cui sangue allontanava l’Angelo sterminatore (LXXIII, 6).

Capo XXXII

La materia e la forma del sacramento dell’Eucarestia. – La transustanziazione. – La presenza reale. Gli accidenti eucaristici,

1615. Quale è la materia del sacramento della Eucarestia?

La materia del sacramento dell’Eucarestia è il pane di frumento ed il vino di vite (LXXIV, 1, 2).

1616. Che cosa avviene nella materia di questo sacramento, quando si produce il sacramento stesso?

Avviene che il pane, nella sua sostanza di pane, cessa di essere pane; ed il vino, nella sua sostanza di vino, cessa di essere vino (LXXV, 2).

1617. Che cosa diventano la sostanza del pane e la sostanza del vino, che quando si produce il sacramento cessano di essere pane e vino?

La sostanza del pane si cambia nel Corpo di Gesù Cristo, e la sostanza del vino ,si cambia nel Suo Sangue (LXXV, 3, 4).

1618. Come si chiama questo cambiamento?

Si chiama « transustanziazione » (LXXV, 4).

1619. Che cosa significa la parola transustanziazione?

Significa precisamente il passaggio, ossia il cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Gesù Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue.

1620. Come può avvenire questo passaggio, ossia questa transustanziazione?

Soltanto per la. onnipotenza di Dio (XXV, 4).

1621. Solo la sostanza del pane e la sostanza del vino si cambiano nel Corpo e nel Sangue Gesù Cristo; oppure anche tutto il pane e tutto il vino?

Solo la sostanza del pane del vino; gli accidenti rimangono (LXXV, 2ad3).

1622. Che cosa si intende per gli accidenti che rimangono?

Si intendono tutte le realtà di ordine esteriore che ai nostri sensi fanno apparire il pane ed il vino come erano precedentemente, cioè: la estensione ossia la quantità con la stessa forma e la stessa figura, il colore, il sapore, le proprietà di resistenza e cose simili.

1623. Perché gli accidenti del pane e del vino rimangono?

Gli accidenti del pane e del vino rimangono per assicurarci della presenza sacramentale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo (Somma contro i Gentili – lib. IV, cap. LXIII.)

1624. Che cosa succederebbe se anche gli accidenti del pane e del vino fossero cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo?

Non ne rimarrebbe più niente; ma ciò che era del pane e del vino, sarebbe cambiato nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo (Ibid.).

1625. E che cosa avviene invece per il fatto che gli accidenti del pane è del vino rimangono, mentre la loro sostanza viene cambiata nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo?

Ne avviene che il rapporto che aveva a questi accidenti la loro sostanza, lo hanno ancora il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo mediante la loro sostanza. Dimodoché come prima della transustanziazione, avendo questi accidenti noi avevamo la sostanza del pane e la sostanza del vino, ora abbiamo, secondo il modo della loro sostanza, tuttociò che è del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo (Ibid)

1626. In virtù della transustanziazione, abbiamo noi il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo quali sono in se stessi e nella loro identica realtà?

Sì; in virtù della transustanziazione, noi abbiamo il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo quali sono in sé stessi e nella loro identica realtà (LXXV, 1).

1627. Gesù Cristo è tutto intero in questo sacramento?

Sì; Gesù è tutto intero in questo sacramento. Con questo però che sotto la specie del pane, in virtù delle parole sacramentali non si trova che il Corpo, e sotto la specie del vino non si trova che il Sangue. Ma per via di concomitanza, e perché ora il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo non sono né possono essere più separati, come lo furono sulla Croce, dove si trova il Corpo si trova anche il Sangue e l’anima, e dove si trova il Sangue si trova anche il Corpo unito all’anima. In quanto alla Persona ed alla Divinità del Figliuolo di Dio, esse dopo la Incarnazione non sono mai state separate da alcuna parte della natura umana di Gesù Cristo, neppure quando il Corpo e l’anima erano separate l’una dall’altra a causa della morte sulla Croce (LXXVI, 1, 2).

1628. Gesù Cristo si trova tutto intero in ciascuna parte della specie del pane ed in ciascuna parte della specie del vino?

Sì; Gesù Cristo si trova tutto intero, quale è in Se stesso, in ciascuna parte della specie del pane ed in ciascuna parte della specie del vino. Però la specie del pane e la specie del vino rimanendo indivise, Gesù Cristo non si trova in ciascuna di esse che una volta sola; mentre invece in ciascuna di queste specie si trova tante volte quante parti se ne fanno, quando si separano o si dividono (LXXVI, 3).

1629. Si può toccare il Corpo di Gesù Cristo come è in Se stesso, quando si toccano le specie accidenti eucaristici del pane e del vino?

Niente affatto; perché questi non sono gli accidenti del Corpo di Gesù Cristo, mediante i quali soltanto potremmo toccare la sua sostanza (LXXV, 4-3).

1630. Che cosa segue da questa verità?

Ne segue che gli accidenti eucaristici del pane e del vino sono insieme ciò che ci dà il Corpo di Gesù Cristo e ciò che lo tiene al sicuro. Cosicché se vi siano dei malvagi che vogliano profanare il Corpo di Gesù Cristo nel suo sacramento, profanano, sì, il sacramento, ma non possono toccare il Corpo di Gesù Cristo in se stesso.

1631. Questi accidenti eucaristici del pane e del vino rimangono sempre allo stato di accidenti eucaristici, dopo la consacrazione del pane e del vino?

No; perché dopo la comunione, ossia quando sono stati assorbiti per servire di cibo e di bevanda presto cominciano ad alterarsi e finiscono tosto per passare ad un altro stato. Essi possono anche alterarsi e corrompersi per il semplice fatto delle condizioni atmosferiche, quando rimangono troppo tempo senza essere rinnovati (LXXVII, 4).

1632. Che cosa accade quando gli accidenti eucaristici del pane e del vino cessano di essere gli accidenti del pane e del vino consacrati?

Accade che il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo cessano immediatamente di essere presenti con la loro presenza eucaristica, perché per lo stesso fatto cessa il rapporto che avevano a tali accidenti, e per mezzo loro al luogo dove gli accidenti stessi si trovavano (LXXVI, 6 ad 3).

1633. Dunque Gesù Cristo è presente con la sua presenza eucaristica unicamente in virtù della consacrazione del pane e del vino, e della permanenza degli accidenti del pane e del vino consacrati?

Sì; unicamente in virtù della consacrazione del pane e del vino e della permanenza degli accidenti del pane e del vino consacrati, Gesù Cristo è presente con la sua presenza eucaristica; perché le mutazioni operate nel pane e nel vino sono tutta la ragione di questa presenza, senza che il Corpo di Gesù Cristo sia mutato in niente (LXXVI, 6 ad 3).

1634. Come avviene la consacrazione del pane e del vino?

Essa avviene pronunziando nelle condizioni volute certe parole che sono la forma del sacramento dell’Eucarestia. (XXVII).

1635. Quali sono queste parole?

Per la specie del pane: « Questo è il mio Corpo. » Per la specie del vinono: «Questo è il calice del mio Sangue; del nuovo ed eterno Testamento, mistero di fede, sparso per voi e per molti in remissione dei peccati ».

Capo XXXIII.

Effetti del sacramento dell’Eucarestia.

1636. Il sacramento dell’Eucarestia ha degli effetti particolari che gli appartengono propriamente?

Sì; il sacramento della Eucarestia ha per effetto proprio quello di produrre nell’anima  tesori di grazia ordinati alla salute dell’uomo, che nessun altro sacramento può produrre  allo stesso titolo.

1637. Donde proviene al sacramento della Eucarestia questa efficacia, che gli è propria nell’ordine della grazia?

Proviene soprattutto e principalmente da questo, che esso contiene nella verità e nella realtà della Sua presenza Gesù Cristo stesso, autore di ogni grazia nell’ordine della salute. Proviene inoltre dal fatto che esso è il sacramento della Passione di Gesù Cristo, mediante la quale è stata operata la nostra salute e che lo rende presente in mezzo a noi. Proviene dal modo speciale con cui vi si partecipa, che consiste nel nutrirsi del Corpo di Gesù Cristo sotto la specie del pane, e nel dissetarsi del suo Sangue sotto la specie del vino. Finalmente proviene dal simbolismo speciale proprio di questo sacramento, che è quello di rappresentare la unità del corpo mistico di Gesù Cristo (LXXIX, 1).

1638. Queste diverse cause fanno sì che il conseguimento della gloria del cielo sia a titolo speciale effetto di questo sacramento?

Sì; perché noi dobbiamo il conseguimento della gloria a Gesù Cristo morto per noi. Ed

il convito eucaristico è la figura per eccellenza del convito celeste (LXXIX, 2).

1639. Il sacramento della Eucarestia ha per effetto di rimettere il peccato mortale?

Nessun dubbio che il sacramento della Eucarestia abbia la virtù di rimettere tutti i peccati mortali, contenendo Gesù Cristo stesso. Ma poiché Gesù Cristo si trova in questo sacramento sotto forma di alimento spirituale, e l’alimento non si dà che a coloro che sono in vita, chi si trova in peccato mortale non può ricevere l’effetto di questo sacramento. Tuttavia se alcuno si appressasse al sacramento, credendo in buona fede di essere in istato di grazia, mentre forse avrebbe ancora qualche peccato mortale non perdonato, la buona fede farebbe sì che il sacramento della Eucarestia scancellerebbe il peccato (LXXIX, 3).

1640. Il sacramento della Eucarestia ha per effetto di rimettere i peccati veniali?

Sì; il sacramento della Eucarestia ha per proprio effetto di rimettere i peccati veniali, essendo la sua grazia propriamente una grazia di refezione, destinata a riparare le perdite che tanto facilmente si producono nel corso della nostra vita quotidiana; ed è anche una grazia di fervore, la cui proprietà è di compensare la mancanza dell’atto di carità che implica ogni peccato veniale, incompatibile con tale atto (LXXIX, 4).

1641. Il sacramento della Eucarestia ha per effetto di rimettere tutta la pena dovuta al peccato?

Preso come sacramento, ossia in quanto è convito, il sacramento della Eucarestia non ha per effetto diretto di rimettere la pena dovuta al peccato, ma di ristorare spiritualmente, mediante una rinnovazione di fervore che unisce l’anima a Gesù Cristo ed agli altri membri del suo corpo mistico. Tuttavia, per modo di concomitanza ed in virtù del fervore di carità che produce, finisce col rimettere indirettamente la pena dovuta al peccato, non nella sua totalità, ma secondo il grado di fervore e di devozione prodotto nel soggetto. Come sacrifizio poi, ed in quanto vi si offre a Dio la vittima del Calvario, questo sacramento possiede una virtù satisfattoria. Solamente che nella soddisfazione non è tanto il valore di ciò che si offre quanto la devozione con la quale si offre, quello che conta. Ed ecco perché anche come sacrifizio, sebbene di valore infinito, non rimette tutta la pena dovuta al peccato, ma secondo la misura di fervore e di devozione di coloro che l’offrono, e di coloro per i quali si offre (LXXIX, 5).

1642. Il sacramento della Eucarestia preserva l’uomo dai peccati futuri?

Sì; ed è questo uno degli effetti più diretti e più ammirabili di questo sacramento. Perché come sacramento di nutrizione spirituale, ossia in quanto è cibo dell’anima, fortifica interiormente l’uomo contro ciò che tenderebbe ad alterare o distruggere la sua vita cristiana. E come sacramento della Passione di Gesù Cristo, è un segno che mette in fuga i demoni, vinti appunto da questa Passione medesima (LXXIX, 6).

1643. Il sacramento della Eucarestia produce qualche effetto in altri, che non siano coloro che lo ricevono?

Considerato come sacramento, ossia come nutrimento destinato a ristorare l’anima spiritualmente, non produce effetto proprio se non in chi lo riceve, perché questi solo ne è nutrito. Ma come sacramento della Passione di Gesù Cristo e come sacrifizio, può avere il suo effetto e lo ha realmente anche in tutti coloro per cui si offre, in quanto essi sono in istato di raccoglierne il frutto, uniti mediante la fede e la carità a Gesù Cristo ed agli altri membri del suo Corpo mistico (LXXIX, 7).

1644. I peccati veniali impediscono l’effetto del sacramento della Eucarestia?

Se i peccati. veniali vengono commessi nel momento stesso in cui si partecipa a questo sacramento, se per esempio si ha la mente distratta ed il cuore illecitamente occupato in altre cose, un effetto del sacramento della Eucarestia viene necessariamente impedito: quello, cioè, del ristoro spirituale, attualmente prodotto con una soavità tutta divina, unita al ricevimento di questo sacramento. Tuttavia, anche allora un certo aumento di grazia abituale si produce nell’anima. Che se si tratta poi di peccati veniali passati, questi non impediscono per niente l’effetto del sacramento dell’Eucarestia, quando nel momento in cui vi si partecipa, ci si accosta con gran fervore. (LXXIX, 1).

Capo XXXIV

Il ricevimento dell’Eucarestia.

 1645. Vi sono più maniere di ricevere il sacramento dell’Eucarestia?

Sì; si può ricevere spiritualmente e sacramentalmente (LXXX, 1)

1646. Che differenza passa tra queste due maniere di ricevere il sacramento della Eucarestia?

Passa questa differenza, che coloro che ricevono soltanto sacramentalmente della Fucarestia, non ne conseguono gli effetti; mentre coloro che lo ricevono spiritualmente ne conseguono gli effetti; sia in ragione del desiderio che ce li spinge – ed è ciò che si chiama propriamente la comunione spirituale – sia in ragione del ricevimento stesso del sacramento, che porta sempre seco una pienezza di effetti che il solo desiderio mon porta (LXXX, 1).

1647. Non vi è che l’uomo sulla terra che possa ricevere spiritualmente il sacramento della Eucarestia?

Sì; non vi è che l’uomo sulla terra che possa ricevere spiritualmente il sacramento della Eucarestia; perché soltanto gli uomini viventi sulla terra possono credere a Gesù Cristo col desiderio di riceverlo secondo che si trova in questo sacramento (LXXX, 2).

1648. Questo sacramento può essere ricevuto sacramentalmente anche dai peccatori?

Sì; i peccatori che hanno la fede o almeno la conoscenza di ciò che è il sacramento della Eucaristia nella Chiesa Cattolica, possono riceverlo sacramentalmente, se vi si accostano in maniera cosciente, qualunque colpa possano avere sulla loro coscienza (LXXX, 3).

1649. Il peccatore che riceve questo sacramento con la coscienza della propria indegnità, commette una colpa ricevendo sacramentalmente la Eucarestia?

Sì; egli commette un sacrilegio. Perché  ricevendo questo sacramento che contiene Gesù Cristo stesso e significa la unità del suo corpo mistico che non esiste se non mediante la fede e la carità, mentre egli non ha la carità che lo unisce a Gesù Cristo ed ai suoi membri, fa ingiuria al sacramento e lo profana, formando un disaccordo tra sé ed il saramento di cui falsifica il significato (LXXX, 4).

1650. Questo peccato è particolarmente grave?

Sì; questo peccato. è particolarmente grave, perché fa ingiuria alla umanità santa di Gesù Cristo nel suo sacramento d’amore, (LXXX, 5).

1651. È grave come la profanazione esteriore sacramento stesso?

No; perché questo ultimo peccato implica la formale intenzione di fare ingiuria a Gesù Cristo nel suo sacramento; e ciò costituisce un peccato molto più grave (LXXX, 5 ad 3).

1652. Cosa ci vuole per ricevere come si conviene sacramentalmente il sacramento della Eucarestia?

Ci vuole prima di tutto l’uso della ragione; quindi, insieme con lo stato di grazia, il desiderio di raccogliere i frutti di vita uniti al ricevimento sacramentale dell’Eucarestia (LXXX, 9, 10).

1653. Ci si può del tutto dispensare dal ricevere sacramentalmente la Eucarestia?

No; tranne la impossibilità di riceverla. E ciò perché nessuno può salvarsi se non possiede la grazia di questo sacramento; ora, non si può avere la grazia di questo sacramento se non si ha almeno il desiderio di riceverlo sacramentalmente, quando potrà presentarsene la occasione (LXXX, 11).

1654. Vi sono delle epoche o dei momenti determinati dalla Chiesa, in cui si è tenuti a ricevere sacramentalmente la Eucarestia?

Sì; queste epoche e questi momenti sono: per ogni uomo che ha raggiunto l’uso della ragione ed è sufficientemente istruito sulla natura di questo sacramento; nel corso della vita una volta ogni anno durante il tempo pasquale; e finalmente in pericolo di morte, in cui bisogna ricevere questo sacramento in forma di viatico (Codice, can. 854, 859, 864).

1655. Si può ricevere frequentemente ed anche tutti i giorni sacramentalmente il sacramento della Eucarestia?

Sì; si può ed è anche cosa sommamente eccellente, purché soltanto si sia nelle condizioni enumerate per riceverlo come si conviene (LXXX, 10).

1656. Si è tenuti a ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia sotto ambedue le specie del pane e del vino?

Soltanto i sacerdoti all’altare, nella celebrazione del sacramento della Eucarestia, sono tenuti a ricevere sacramentalmente questo sacramento sotto ambedue le specie del pane e del vino. In quanto ai fedeli, essi devono conformarsi in questo a ciò che la Chiesa prescrive; ed infatti nella Chiesa latina non si riceve la Eucarestia, che sotto la specie del pane (LXXX, 12).

1657. Quale è il momento più opportuno, ordinariamente ed in quanto è possibile, per ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia?

È il momento della celebrazione stessa del sacramento, quando il sacerdote è all’altare e lo ha ricevuto egli stesso; perché è il momento più in armonia con lo stato di Gesù Cristo immolato sacramentalmente nella celebrazione del sacramento della Eucarestia, al quale noi partecipiamo ricevendolo sacramentalmente.

1658. In quale disposizione di corpo bisogna essere per ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia.

Bisogna essere digiuni dalla mezzanotte (LXXX, 12)

1659. Non si può mai ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia senza essere digiuni?

Non si può che in pericolo di morte e quando si riceve in forma di viatico. Tuttavia stabilito che per gli ammalati che sono a letto da un mese, e per i quali non vi è speranza certa che si ristabiliscano presto, dietro prudente consiglio del confessore, la Santissima Eucaristia possa essere loro portata una volta o due la settimana, quando anche abbiano preso avanti qualche medicina o qualche alimento a modo di bevanda (Codice, Cal. 858).

Capo XXXV.

Il ministro del sacramento dell’Eucarestia.

1660. A chi appartiene propriamente ed esclusivamente di consacrare il sacramento della Eucarestia?

Al sacerdote validamente ordinato secondo il rito della Chiesa Cattolica, appartiene propriamente ed esclusivamente di consacrare il sacramento della Eucarestia (LXXXII, 1)

1661. Soltanto al sacerdote appartiene pure di distribuire questo sacramento?

Sì; con questo però che il diacono ha la potestà ordinaria di distribuire il prezioso Sangue contenuto nel calice, dove la Chiesa permettesse di comunicare sotto ambedue le specie. Egli potrebbe pure per delegazione del sacerdote, in caso di bisogno e come cosa straordinaria, distribuire la comunione sotto le specie del pane (LXXXII, 3).

1662. Ogni sacerdote, anche in istato di peccato mortale, può consacrare e distribuire il sacramento della Eucarestia?

Validamente lo può, nel senso che ciò non nuoce per niente alla verità ed alla efficacia del sacramento per i fedeli; ma pecca gravemente facendolo (LXXXII, 5).

1663. La Messa di un cattivo sacerdote ha meno valore di quella di un sacerdote buono?

Il valore della Messa è assolutamente lo stesso da una parte e dall’altra, per ciò che riguarda il sacramento della Passione di Gesù Cristo, che la consacrazione fatta dal sacerdote effettua. Ma per quanto riguarda le preghiere fatte durante la Messa, le preghiere del buon sacerdote, hanno una efficacia che non hanno quelle del sacerdote cattivo, in ragione della devozione del soggetto. Tuttavia anche per queste preghiere la efficacia è la stessa da parte della divozione della Chiesa, in nome della quale queste preghiere sono recitate da tutti i sacerdoti (LXXXII, 6).

1664. Un sacerdote eretico, scismatico o scomunicato può consacrare il sacramento della Eucarestia?

Non può lecitamente; ma validamente sì, se è veramente sacerdote ed ha l’intenzione di fare quello che fa Chiesa Cattolica nel celebrar questo sacramento (LXXXII, 7).

1665. Un sacerdote degradato, sarebbe veramente sacerdote e potrebbe consacrare validamente?

Sì; perché la degradazione non toglie il carattere del sacramento dell’Ordine che è di per se stesso indelebile (LXXXI, 8).

1666. Si può senza peccato ascoltare lka messa di un sacerdote eretico, scismatico, scomunicato o notoriamente peccatore ed indegno, e ricevere da lui la Comunione?

È assolutamente interdetto, sotto pena di peccato grave, ascoltare la Messa di un sacerdote eretico, scomunicato od anche notoriamente peccatore ed indegno, se il suo stato è reso pubblico da una sentenza della Chiesa che lo priva del diritto di celebrare. In caso contrario si potrebbe senza peccare ascoltare la Messa e ricevere da lui la Comunione (LXXXII, 9).

Capo XXXVI.

La celebrazione del sacramento dell’Eucarestia, ossia il sacrificio della Messa.

1667. Che cosa intendete per la celebrazione del sacramento dell’Eucarestia o santo sacrificio della Messa?

Ciò significa che l’atto mediante il quale questo sacramento viene prodotto costituisce un vero sacrifizio, che è anche il solo vero sacrifizio, nel senso di immolazione cultuale o rituale, esistente nella Religione Cattolica, sola vera religione il cui culto possa essere accettevole a Dio (LXXXIII, 1).

1668. In che cosa questo atto, mediante il quale si produce il sacramento della Eucarestia, costituisce il sacrifizio che avete detto?

In questo, che esso è la immolazione dell’unica vittima ora accetta a Dio, vale a dire Gesù Cristo stesso.

1669. Ed in che modo questo atto è la immolazione di Gesù Cristo?

Perché è il sacramento della Passione nella quale Gesù Cristo fu immolato sul Calvario (LXXXII, 1).

1670. Che cosa intendete dire dicendo che questo atto è il sacramento della Passione nella quale Gesù Cristo fu immolato sul Calvario?

Ciò vuol dire che come sul Calvario, nel momento in cui Gesù Cristo dette la sua vita per noi in espiazione dei nostri peccati, il suo Corpo il suo Sangue furono separati; l’atto mediante il quale si produce il sacramento della Eucarestia fa sì che dove si celebra questo sacramento, il Corpo di Gesù Cristo è sacramentalmente separato dal suo Sangue, mediante la consacrazione separata delle due specie del pane e del vino; e questa separazione sacramentale si produce in rapporto diretto alla reale separazione che ebbe luogo sul Calvario.

1671. Che cosa si deduce da questo fatto e da questo rapporto?

Si deduce che il sacrifizio della Messa è il medesimo di quello della Croce.

1672. Dobbiamo dire che ne è la riproduzione?

Propriamente parlando, no; perché il sacrifizio della Croce ha avuto luogo una volta e non deve più riprodursi. D’altra parte il sacrifizio della Messa non è un riproduzione di quel sacrifizio, ma il sacrifizio stesso.

1673. Si può dire che ne è la rappresentazione?

Sì; se con questo si vuole intendere che lo rende presente per noi. Ma sarebbe inesatto  se si volesse dire che non ne è se non una immagine, perché di fatto è quel sacrifizio stesso.

1674. Ma come può essere quel sacrifizio stesso, dal momento che quel sacrifizio non esiste più; e che d’altra parte, nel sacrifizio della Croce, Gesù Cristo ebbe la morte con la separazione del suo Corpo e del suo Sangue, mentre ora non muore più ed il Corpo ed il suo Sangue non Sono più separati?

In questo sacramento si verifica del sacrifizio della Croce quanto si verifica di Gesù Cristo stesso, cioè alla stessa guisa che Gesù Cristo è qui presente come sotto una diversa forma esteriore; perché è qui sotto la forma o le specie del sacramento, così parimente la Passione e la immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo altra volta sul Calvario, è qui non sotto la forma cruenta di allora, ma sotto la forma sacramentale. Nel senso che sotto questa forma sacramentale noi abbiamo, allo stato separato che costituisce la immolazione della vittima, il medesimo Corpo ed il medesimo Sangue di Gesù Cristo che furono realmente separati sul Calvario.

1675. È dunque vero che mediante l’atto che produce questo sacramento, la Passione e la immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo sul Calvario si ritrova realmente, sebbene in maniera sacramentale, dovunque si celebra questo sacramento?

Ciò è esattissimo: mediante l’atto che produce questo sacramento avviene che la Passione o la immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo sul Calvario, è resa sacramentalmente presente dovunque si celebra questo sacramento.

1676. Quando si assiste alla celebrazione di questo sacramento, è dunque come se si assistesse alla Passione, ossia alla immolazione di Gesù Cristo sul Calvario?

Sì; quando si assiste alla celebrazione di questo sacramento ossia al sacrifizio della Messa, è come se si assistesse alla Passione od immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo sul Calvario, mediante la quale fu operata la nostra salute e che è la sorgente di ogni grazia per noi, nello stesso tempo che è riguardo a Dio l’atto di religione per eccellenza, che lo onora e lo glorifica al di sopra di tutto.

1677. È per questo che la Chiesa è così desiderosa di vedere tutti i fedeli assistere il più spesso possibile al santo sacrifizio della Messa?

Sì; ed è anche per questo che fa a tutti obbligo di assistervi nei giorni di domenica e negli giorni di festa (Codice can. 1248)

1678 Che cosa ci vuole per non peccare contro questo precetto non assistendo alla Messa in tali giorni?

Ci vuole una ragione di impossibilità o di grave impedimento.

1679. E che cosa ci vuole per adempiere a questo precetto?

Bisogna essere presenti nel luogo dove si celebra, non facendo niente di incompatibile con la partecipazione a questo grande atto, e senza mancare a nessuna delle sue parti principali.

1680. Quali sono le parti principali della Messa che non si possono lasciare senza mancare in ordine al precetto?

Tutto quello che va dall’Offertorio alla comunione inclusivamente.

1681. Quale è il mezzo migliore per bene ascoltare la Santa Messa?

Quello di unirsi al sacerdote, seguendo punto per punto tutto ciò che è detto e fatto durante questa grande azione.

1682. I libri liturgici messi alla portata dei fedeli, come i libri della messa e di preghiere, sono di grande aiuto a questo proposito?

Tali libri sono del più grande aiuto per bene ascoltare la santa Messa, e sono tanto migliori quanto più sono conformi al messale del sacerdote.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI INFAMI USURPANTI ASPOSTATI DI TORNO: SS. PIO IX, “UBI NOS”

Une source doctrinale : les encycliques

Ubi nos, è un’ennesima lettera enciclica con la quale il Santo Padre Pio IX, deplora l’usurpazione dei territori della Chiesa, e denuncia al mondo intero l’ipocrita empietà di un regno affidato ad indegni ed apostati monarchi, e portati innanzi da turpi governanti gestiti dalle conventicole demoniache della massoneria. La fine di quelle indegna empia monarchia è nota a tutti per il vergognoso ed umiliante esilio ad essa imposta, e le vicende incredibilmente infami con le quali ha macchiato il nome di un casato pur celebre e glorioso. Quella nazione avida ed indegna di tanti privilegi divini, che ha depredato sacrilegamente luoghi e territori che l’Altissimo aveva elargito alla sua Chiesa, è pur essa stata sottoposta a castighi sanguinosi e distruttivi della sua dignità, ed ancora tuttora lo è nelle sue più elementari libertà, oppressa da poteri stranieri e dalle solite conventicole della sinagoga dell’infame cornuto, infiltrate finanche nei palazzi sacri dell’urbe e che muovono i fili di ridicole e tragiche marionette, sepolcri imbiancati già immersi nello stagno di fuoco ove sosteranno in eterno con i loro “alleati” della bestia e con il dragone maledetto.     

S. S. PIO IX:

Lettera Enciclica

UBI NOS

Quando, per arcano volere divino, fummo ridotti sotto un potere ostile, e vedemmo la triste e amara sorte di questa Nostra Urbe e il civile Principato della Sede Apostolica oppresso dall’invasione armata, proprio allora, con una lettera a Voi inviata il primo novembre dell’anno scorso, dichiarammo a Voi e, per mezzo Vostro, a tutto il mondo cattolico, quale fosse la situazione Nostra e di questa Urbe e a quali eccessi di sfrenata licenza fossimo esposti. Per dovere del Nostro supremo ufficio, al cospetto di Dio e degli uomini, abbiamo dichiarato di voler salvi ed integri i diritti della Sede Apostolica, e abbiamo incitato Voi e tutti i diletti Figli affidati alle vostre cure a placare con fervide preci la divina Maestà. Da quel momento i mali e le sventure che già erano preannunciate a Noi e a questa Urbe da quei primi nefasti tentativi d’usurpazione si rovesciarono sulla dignità e Autorità Apostolica, sulla santità della Religione e dei costumi, e perciò anche sui dilettissimi Nostri sudditi. Anzi, Venerabili Fratelli, aggravandosi ogni giorno la situazione, siamo costretti a dire, con le parole di San Bernardo: “Gli inizi delle sventure sono questi, e ne temiamo di ancor più gravi” . L’iniquità infatti persevera nel seguire la sua strada e sviluppa i suoi piani, né si affanna d’altro che di stendere un velo sulle sue nefaste imprese che non possono restare nascoste, e si sforza di sottrarre le ultime spoglie alla giustizia oppressa, alla onestà e alla religione. Tra queste angustie che colmano i nostri giorni di amarezza, soprattutto quando pensiamo a quali pericoli e a quali insidie sono sottoposti, giorno per giorno, i fedeli e la virtù del nostro popolo, non possiamo onorare o ricordare senza un profondo senso di gratitudine gli eccelsi meriti vostri, Venerabili Fratelli, e dei diletti fedeli avvinti dal vostro amore. Infatti, in ogni plaga della terra i fedeli di Cristo, rispondendo con ammirevole premura alle Nostre esortazioni, hanno seguito Voi come maestri e modelli, e da quel giorno infausto in cui fu espugnata questa Urbe, indissero assidue e ferventi preghiere e sia con pubbliche e ripetute suppliche, sia con sacri pellegrinaggi, sia con ininterrotta affluenza nelle Chiese e con la partecipazione ai Sacramenti, sia con altre opere di ispirazione cristiana, ritennero proprio dovere accostarsi assiduamente al trono della divina clemenza. Né invero queste appassionate invocazioni possono mancare di copiosissimi frutti presso Dio. Anzi, i molti beni già ottenuti da esse ne promettono altri, da Noi attesi con fiducia e speranza. Vediamo infatti la fermezza della fede e l’ardore della carità che si diffondono ogni giorno più ampiamente; scorgiamo negli animi dei fedeli, in favore di questa Sede e del supremo Pastore quella sollecitudine (risvegliata dall’offesa dell’attacco subito) che Dio solo poté ispirare, e avvertiamo tanta solidarietà di menti e di volontà che mai più, e più veracemente che in questi giorni, dai primordi della Chiesa fino a questi tempi, si potrà affermare che il cuore e l’anima di una moltitudine di credenti sono una sola realtà (At IV, 32). Di fronte a una tale prova di virtù, non possiamo tacere che nei Nostri affettuosissimi figli, cittadini di ogni ordine e grado di questa Urbe, venne in piena luce un devoto, rispettoso amore verso di Noi, e insieme la fermezza pari all’impresa, e la grandezza d’animo non solo degna ma emula dei loro antenati. Pertanto, rendiamo grazie e gloria immortale a Dio misericordioso in nome di Voi tutti, Venerabili Fratelli, e dei Nostri diletti figli, fedeli di quel Cristo che tanto ha operato e opera in Voi e nella Sua Chiesa, e ha fatto sì che, mentre sovrabbonda l’iniquità, sovrabbondi anche la grazia della fede, dell’amore e della confessione. “Quale è dunque la Nostra speranza, il Nostro gaudio e la corona di gloria? Non è forse la vostra presenza davanti a Dio? Il figlio sapiente è gloria del Padre. Vi benefichi dunque Dio, e si ricorderà del fedele servizio, della pia compassione, della consolazione e dell’onore che alla Sposa di suo Figlio in tempo avverso e nei giorni del suo dolore avete mostrato e mostrate” . – Frattanto il Governo Subalpino, mentre per un verso si affretta a raccontare al mondo fandonie sull’Urbe, per l’altro, allo scopo di gettar polvere negli occhi dei Cattolici e di sopire le loro ansie, ha studiato e sviluppato alcune inconsistenti immunità e alcuni privilegi volgarmente detti guarentigie, che intende concedere a Noi in sostituzione di quel potere temporale di cui Ci ha spogliato con una lunga serie d’inganni e con armi parricide. Su queste immunità e garanzie, Venerabili Fratelli, abbiamo già espresso il Nostro giudizio, rilevando la loro oltraggiosa doppiezza nella lettera del 2 marzo scorso, inviata al Nostro Venerabile Fratello Costantino Patrizi, Cardinale della Santa Romana Chiesa, decano del Sacro Collegio e Nostro Vicario nell’Urbe: lettera che subito fu pubblicata a stampa. – Ma poiché è tipico del Governo Subalpino coniugare l’ostinata e turpe ipocrisia con l’impudente disprezzo verso la Nostra dignità e autorità Pontificia, nei fatti dimostra di non tenere in alcun conto le Nostre proteste, richieste, censure; perciò, senza dare alcun peso al giudizio da Noi espresso circa le predette garanzie, non desiste dal sollecitare e promuovere il dibattito e l’esame di esse presso i supremi Ordini del Regno, come se si trattasse di cosa seria. In quel dibattito emerse in piena luce sia la verità del Nostro giudizio circa la natura e l’indole di quelle garanzie, sia il vano tentativo dei nemici di occultarne la malizia e la frode. Certo, Venerabili Fratelli, è incredibile che tanti errori, apertamente incompatibili con la fede cattolica e perfino con gli stessi fondamenti del diritto naturale, e tante bestemmie che in quella occasione furono pronunciate, abbiano potuto pronunciarsi in questa Italia che si è sempre gloriata e si gloria del culto della Religione Cattolica e della Sede Apostolica del Romano Pontefice. E in realtà, proteggendo Iddio la Sua Chiesa, del tutto diversi sono i sentimenti che nutre la maggior parte degli Italiani: essi con Noi lamentano e deplorano questa inaudita forma di sacrilegio e Ci hanno dimostrato, con le loro meritevoli prove e con impegni di devozione ogni giorno più evidenti, di essere solidali, in unione di spirito e di sentimenti, con gli altri Fedeli della terra. – Perciò oggi di nuovo Noi Vi rivolgiamo le Nostre parole, Venerabili Fratelli, e sebbene i Fedeli a Voi affidati o con le loro lettere o con severe proteste abbiano chiaramente significato con quanta amarezza subiscano la situazione che Ci affligge, e quanto siano lontani dal farsi ingannare da quei raggiri che si nascondono sotto il nome di garanzie; tuttavia riteniamo sia dovere del Nostro ufficio Apostolico dichiarare solennemente a tutto il mondo, per mezzo Vostro, che non solo le cosiddette garanzie malamente fabbricate dal Governo Subalpino, ma anche titoli, onori, immunità, privilegi e qualunque altra offerta fatta sotto il nome di garanzie o di guarentigie non hanno alcuna validità quando dichiarano sicuro e libero l’uso del potere a Noi affidato da Dio e di voler proteggere la necessaria libertà della Chiesa. – Stando così le cose, come più volte dichiarammo e denunciammo, Noi, per non violare la fede, non possiamo aderire con giuramento ad alcuna conciliazione forzata che in qualche modo annulli o limiti i Nostri diritti, che sono diritti di Dio e della Sede Apostolica; così ora, per dovere del Nostro ufficio, Noi dichiariamo che mai potremo in alcun modo ammettere o accettare quelle garanzie, ossia guarantigie, escogitate dal Governo Subalpino, qualunque sia il loro dispositivo, né altri patti, qualunque sia il loro contenuto e comunque siano stati ratificati, in quanto essi ci furono proposti con il pretesto di rafforzare la Nostra sacra e libera potestà in luogo e in sostituzione del Principato civile di cui la divina Provvidenza volle dotata e rafforzata la Santa Sede Apostolica, come Ci è confermato sia da titoli legittimi e indiscussi, sia dal possesso di undici secoli ed oltre. Infatti, ad ognuno deve risultare chiaro che necessariamente, qualora il Romano Pontefice fosse soggetto al potere di un altro Principe, né fosse dotato di più ampio e supremo potere nell’ordine politico, non potrebbe per ciò che riguarda la sua persona e gli atti del ministero Apostolico, sottrarsi all’arbitrio del Principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri Principi. Certamente questa stessa concessione di garanzie di cui parliamo non è forse, di per sé, evidentissima prova che a Noi fu data una divina autorità di promulgare leggi concernenti l’ordine morale e religioso; che a Noi, designati in tutto il mondo come interpreti del diritto naturale e divino, verrebbero imposte delle leggi, e per di più leggi che si riferiscono al governo della Chiesa universale, il cui diritto di conservazione e di esecuzione non sarebbe altro che la volontà prescritta e stabilita dal potere laico? Per ciò che riguarda il rapporto tra Chiesa e Società civile, ben sapete, Venerabili Fratelli, che Noi ricevemmo direttamente da Dio, in persona del Beatissimo Pietro, tutte le prerogative e tutta la legittima autorità necessaria al governo della Chiesa universale, e che anzi quelle prerogative e quei diritti, e quindi anche la stessa libertà della Chiesa, derivano dal sangue di Gesù Cristo e devono essere stimati secondo l’infinito valore del Suo sangue divino. – Pertanto Noi saremmo immeritevoli (e ciò non accada) del divino sangue del Nostro Redentore se questi Nostri diritti, che ora soprattutto si vorrebbero così sviliti e deturpati, dipendessero dai Principi della terra. I Principi Cristiani infatti, sono figli, non padroni della Chiesa. Ad essi propriamente si rivolgeva Anselmo, quel lume di santità e di dottrina, Arcivescovo di Canterbury: “Non dovete credere che la Chiesa di Dio vi sia stata data per servire a un padrone, ma piuttosto per servire come avvocato e difensore; in questo mondo nulla Dio ama di più che la libertà della sua Chiesa” . E aggiungendo altre esortazioni per essi, in altro momento scriveva: “Non dovete pensare mai che diminuisca la dignità della vostra grandezza se amate e difendete la libertà della Chiesa, Sposa di Dio e Madre vostra; non crediate di umiliarvi se la esaltate; non temete di indebolirvi se la rafforzate. Guardatevi attorno, gli esempi sono evidenti. Abbiate presenti i Principi che la combattono e la opprimono: che giovamento ne traggono? A qual esito pervengono? È abbastanza chiaro, non c’è bisogno di dirlo. Sicuramente, coloro che la glorificano, con essa ed in essa saranno glorificati” . – Dunque, Venerabili Fratelli, dopo tutto ciò che vi abbiamo detto, a nessuno per certo può sfuggire che l’offesa recata a questa Santa Sede, in questi tempi crudeli, ricade su tutta la Comunità Cristiana. Ad ogni Cristiano dunque, come diceva San Bernardo, è rivolta l’offesa che colpisce gli Apostoli, appunto i gloriosi Principi della terra; e siccome la Chiesa Romana si dà pensiero di tutte le Chiese, come diceva il predetto Sant’Anselmo, chiunque ad essa sottrae ciò che è suo, deve essere giudicato colpevole di sacrilegio non solo verso di essa ma verso tutte le Chiese. Né certo alcuno può dubitare che la tutela dei diritti di questa Sede Apostolica non sia strettamente congiunta e collegata con le supreme ragioni e i vantaggi della Chiesa universale e con la libertà del vostro ministero Episcopale. – Nel riflettere e considerare tali questioni, come è Nostro dovere, Noi siamo costretti a confermare nuovamente e a dichiarare con insistenza ciò che più di una volta esponemmo a Voi, del tutto consenzienti con Noi, ossia che il potere temporale della Santa Sede è stato concesso al Romano Pontefice per singolare volontà della Divina Provvidenza e che esso è necessario affinché lo stesso Pontefice Romano, mai soggetto a nessun Principe o a un Potere civile, possa esercitare la suprema potestà di pascere e governare in piena libertà tutto il gregge del Signore con l’autorità conferitagli dallo stesso Cristo Signore su tutta la Chiesa e perché possa provvedere al maggior bene della stessa Chiesa ed agli indigenti. Voi certamente comprendete tutto ciò, Venerabili Fratelli, e con Voi i Fedeli a Voi affidati, e giustamente Voi tutti siete in ansia per la causa della religione, della giustizia e della pace che sono i fondamenti di tutti i beni, e date lustro alla Chiesa di Dio con un degno spettacolo di fede, di amore, di costanza, di virtù e, fedelmente intenti alla sua difesa, tramandate un nuovo e ammirevole esempio, degno dei suoi annali e della memoria delle future generazioni. Poiché il Dio della misericordia è autore di questi beni, a Lui sollevando gli occhi, i cuori e la speranza Nostra, Lo supplichiamo con insistenza perché confermi, rafforzi, accresca i sentimenti Vostri e dei Fedeli, la pietà comune, l’amore e lo zelo. Con ogni premura esortiamo Voi e i popoli affidati alla Vostra vigilanza affinché ogni giorno, con tanta più fermezza e rigoglio quanto più minacciosamente si agitano i nemici, invochiate con Noi il Signore perché si degni di maturare i giorni della sua benevolenza. Provveda Iddio perché i Principi della terra che hanno particolare interesse ad evitare che il caso di usurpazione di cui siamo vittime diventi regola a danno di ogni ordine e potere, si uniscano in un perfetto accordo di animi e di volontà e, placate le discordie, sedate le turbolenze delle ribellioni, disperse le esiziali opinioni delle sette, svolgano un’opera comune affinché siano restituiti a questa Santa Sede i suoi diritti, e con essi la piena libertà al Capo visibile della Chiesa e la desiderata pace al consorzio civile. E con altrettanto ardore, Venerabili Fratelli, con le suppliche Vostre e dei Fedeli, chiedete alla divina clemenza che converta alla penitenza i cuori degli empi, rimuovendo la cecità delle menti prima che sopraggiunga il grande e terribile giorno del Signore o, col reprimere i loro infami propositi, dimostri quanto ottusi e stolti sono coloro che tentano di rovesciare la pietra posata da Cristo e di violare i divini privilegi. In queste preghiere si fondino più saldamente le Nostre speranze in Dio. “Davvero pensate che Dio potrebbe distogliere l’orecchio dalla sua carissima Sposa quando invoca aiuto contro coloro che la fanno soffrire? Come non riconoscerebbe un osso delle sue ossa, la carne della sua carne, anzi in certo modo, in verità, lo spirito del suo spirito? È certamente giunta l’ora della malizia, il potere delle tenebre. D’altronde è l’ultima ora, e il potere presto scompare. Cristo, potenza e sapienza di Dio, è con Noi, partecipa con Noi. Abbiate fiducia, Egli vince il mondo“. Frattanto ascoltiamo con animo aperto e con salda fede la voce dell’eterna verità che dice: “Combatti per la giustizia, per la tua anima, e fino alla morte lotta per la giustizia: Dio sconfiggerà per te i tuoi nemici” (Sir IV, 28). – Infine, con tutto il cuore invocando doni fecondi di celesti grazie per Voi, Venerabili Fratelli, per tutti gli Ecclesiastici e per i fedeli Laici affidati alla cura di ciascuno di Voi, come pegno del Nostro grande e intimo affetto verso Voi e i Fedeli, amorosamente impartiamo a Voi e agli stessi diletti Figli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 maggio 1871, nel venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA XV DOPO PENTECOSTE (2021)

XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possono quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di Satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce «. Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe a un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: «Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito «. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: «Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°)». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.).L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito», cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: «Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa’, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Ps LXXXV: 4

Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.

[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]

Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Oratio

Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.

[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; 6: 1-10

Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.

[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda inviandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronto con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]  

CONOSCI TE STESSO

L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

Graduale

Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.

[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]


V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.

[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3 Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.

[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.

[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E avvicinossi alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rendette a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo” (Luc. VII, 11-16).]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. III, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Il pensiero della morte.

Cum appropinquaret portæ  civitatis, ecce defunctus efferebatur filius unicus “matris suæ: et hæc vidua erat”.

(Luc. VII, 12).

No, Fratelli miei, non vi è cosa più capace di staccarci dalla vita e dai piaceri del mondo, e d’indurci a pensare al momento terribile che deve decidere della nostra sorte per l’eternità, quanto la vista d’un cadavere che vien portato alla tomba. Perciò la Chiesa, sempre attenta ed occupata a fornirci i mezzi più adatti per farci lavorare alla nostra salvezza, tre volte all’anno ci presenta il ricordo dei morti che Gesù Cristo ha risuscitato (Noi leggiamo la risurrezione della figlia di Giairo nel Vangelo della Messa della domenica XXIII dopo Pentecoste: quella del figlio della vedova di Naim, il giovedì della IV settimana di Quaresima, o la XV domenica dopo Pentecoste; quella di Lazzaro il venerdì della IV settimana di Quaresima; per obbligarci in certo modo ad occuparci del pensiero della morte e prepararci a questo viaggio. In un luogo del Vangelo (Marc. V, 42), ci presenta una giovinetta di soli dodici anni, cioè nell’età in cui appena si può cominciare a godere dei piaceri. Sebbene figlia unica, ricchissima e teneramente amata da’ suoi parenti, pure la morte la coglie e la fa scomparire per sempre dagli occhi dei viventi. Altrove vediamo un giovane di circa venticinque anni (Luc. VII, 12.), che era nel fior dell’età, il solo appoggio e l’unica consolazione della vedova madre sua; eppure, né le lagrime, né la tenerezza della madre desolata possono impedire che la morte, l’inesorabile morte, lo faccia sua preda. In altra parte del Vangelo (Joan. XI) vediamo un altro giovane, Lazzaro. Faceva da padre alle sue due sorelle, Marta e Maddalena; ci sembra che la morte avrebbe dovuto almeno risparmiare quest’ultimo, ma no; la morte crudele lo falcia, e lo getta nella tomba, ad esservi pasto dei vermi. Gesù Cristo dové fare tre miracoli per restituire loro l’esistenza. Apriamo gli occhi, F. M., e contempliamo un istante questo commovente spettacolo, che ci mostra, nel modo più energico, la caducità della vita e la necessità di staccarcene, prima che la morte inesorabile ce ne strappi nostro malgrado. “Giovane o vecchio, diceva il santo re Davide, penserò spesso che un giorno morrò, e mi vi preparerò per tempo.„ Per impegnarvi a fare altrettanto, vi mostrerò come il pensiero della morte ci è necessario per staccarci dalla vita ed attaccarci a Dio solo.

I. — È cosa manifesta, F. M., che, nonostante il grado d’empietà e d’incredulità a cui gli uomini sono giunti nel secolo sventurato in cui viviamo, non hanno ancora osato negare la certezza della morte; ma solo fanno quanto possono per bandirne il pensiero, come un vicino uggioso che potrebbe inquietarli nei loro piaceri, e disturbarli nelle loro dissolutezze. Ma vediamo nel Vangelo che nostro Signor Gesù Cristo vuole che non perdiamo mai di vista il pensiero della nostra partenza da questo mondo per l’eternità (Marc. XIII, 33). Per farci ben comprendere che possiamo morire ad ogni età, vediamo che non risuscita fanciulli ancora incapaci di gustare i piaceri della vita, e neppure vegliardi decrepiti che malgrado il loro attaccamento alla terra, non posson dubitare che la lor partenza sia poco lontana. Ma risuscita persone morte nell’età in cui più spesso si dimentica questo pensiero salutare: cioè dai dodici ai quarant’anni circa. Infatti dopo i quarant’anni la morte sembra inseguirci rapidamente; perdiamo tutti i giorni qualche cosa, e questa perdita ci annuncia che presto dobbiamo partire da questo mondo; sentiamo, ogni giorno, le forze diminuire, vediamo i capelli incanutire, la testa farsi calva, i denti cadere, la vista indebolirsi: tutte queste cose ci dicono addio per sempre, e siamo costretti di confessare a noi stessi che non siamo più quelli di un tempo. No, F. M., nessuno dubita menomamente di questo. È certo che verrà un giorno in cui non saremo più del numero dei viventi, e che non si penserà più a noi, come se non fossimo mai esistiti. Ecco adunque quella giovinetta mondana, che ebbe tante cure e premure per comparire agli occhi del mondo: eccola ridotta ad un po’ di polvere, calpestata dal piede dei passanti. Ecco quell’orgoglioso, che tanto si vantava del suo spirito, delle sue ricchezze, del credito che godeva e della carica che occupava, eccolo ridotto in una tomba, corroso dai vermi, e dimenticato fino alla fine del mondo, cioè sino alla risurrezione generale, quando lo rivedremo con tutto ciò che avrà fatto nei giorni della sua vita sciagurata. Ma, forse mi domanderete, che cos’è questo momento della morte, che deve tanto preoccuparci, e che è capace di convertirci? — È, F. M., un istante che, rapido nella sua durata, ci è poco noto, eppure basta per farci fare il grande passaggio da questo mondo all’eternità. Momento formidabile per se stesso, F. M., in cui tutto quanto è nel mondo muore per l’uomo, e l’uomo al tempo stesso muore per tutto ciò che ha sulla terra. Momento terribile, F. M., in cui l’anima, malgrado l’unione così intima col corpo, ne è strappata dalla violenza della malattia; dopo di che l’uomo, spogliato di tutto, non offre agli occhi del mondo altro che una orribile figura di se stesso: gli occhi spenti, la bocca muta, le mani senza azione, i piedi senza moto, il viso sfigurato, il corpo che comincia a corrompersi e non è più che un oggetto di ribrezzo. Momento crudele, F. M., in cui i più potenti e ricchi perdono tutte le ricchezze e la gloria, ed altro non hanno per eredità che la polvere del sepolcro. Momento ben umiliante, F. M., in cui il più grande è confuso col più miserabile della terra. Tutto è confuso: non più onori, non più distinzioni: tutti sono messi al medesimo livello. Ma, momento altresì, F. M., mille volte più terribile per le conseguenze, che per la sua presenza, poiché le perdite che porta con sé sono irreparabili. “L’uomo, ci dice lo Spirito Santo, parlando di chi muore, andrà nella casa della sua eternità. „ (Eccli. XII, 5). Momento breve, è vero, F. M., ma ben decisivo; dopo il quale il peccatore non può più sperare misericordia, ed il giusto non ha più meriti da guadagnare. Momento, il cui pensiero ha riempito i monasteri di tanti grandi del mondo, che hanno tutto abbandonato per pensare solo a quel terribile passaggio da questo mondo all’altro. Momento, F. M, il cui pensiero ha popolato i deserti di tanti santi, i quali non cessarono di abbandonarsi a tutti i rigori della penitenza che l’amore a Dio poté loro inspirare. Momento terribile, F. M., ma brevissimo, e che tuttavia deciderà risolutivamente la nostra sorte per tutta l’eternità. Dopo questo, F. M., come possiamo noi non pensarvi, od almeno pensarvi così leggermente? Ahimè! F. M., quante anime ora bruciano, per aver trascurato un pensiero così salutare! Lasciamo, F. M., lasciamo un po’ il mondo, i suoi beni e piaceri, per occuparci di questo terribile momento. Imitiamo, F. M., i santi, che ne facevano la principale occupazione; lasciamo perire ciò che perisce col tempo e diamo le nostre cure a ciò che è eterno e permanente. Sì, F. M., nessun’altra cosa è al pari del pensiero della morte capace di staccarci dalla vita del peccato e di far tremare i re sui loro troni, i giudici nei tribunali ed i libertini in mezzo ai loro piaceri. Eccone un esempio, F. M., che vi mostrerà che nessuno può resistere a questo pensiero ben meditato. S. Gregorio ci riferisce che un giovane, alla salute della cui anima egli assai s’interessava, aveva concepito una tal passione per una giovinetta, che questa essendo morta, non sapeva più consolarsene. San Gregorio Papa, dopo molte preghiere e penitenze, andò a trovare il giovane: “Amico mio, dissegli, vieni con me, e vedrai ancor una volta colei che ti fa tanto sospirare e piangere. „ Presolo per mano, lo condusse alla tomba della giovane. Tolta la tavola che la ricopriva, il giovane vedendo un corpo così orribile, puzzolente, ricoperto di vermi, che era ormai una massa di putredine, indietreggiò inorridito. “No, no, amico mio, gli disse S. Gregorio, fatti innanzi e sostieni per un istante la vista dello spettacolo che ti presenta la morte. Vedi, amico mio, e considera che cos’è diventata questa bellezza caduca, alla quale eri attaccato perdutamente. Vedi quella testa spolpata, quegli occhi spenti, quelle ossa annerite, quell’ammasso orribile di cenere, di putredine e di vermi? Ecco, amico mio, l’oggetto della tua passione, pel quale hai tanto sospirato e sacrificata l’anima tua, la tua salvezza, il tuo Dio e la tua eternità. „ Parole così commoventi, spettacolo così spaventoso fecero una impressione così viva sull’animo del giovane, che riconoscendo da quel momento il nulla del mondo e la fragilità di ogni bellezza caduca, rinunciò subito a tutte le vanità della terra, non pensò più che a prepararsi a ben morire, ritirandosi dal mondo, per andare a passare la sua vita in un monastero, piangervi, pel resto dei suoi giorni, i traviamenti della gioventù, e morire da santo. Qual fortuna, F. M., per questo giovane! Facciamo altrettanto, o cari, giacché nulla è più capace di staccarci dalla vita e risolverci a lasciare il peccato, quanto questo prezioso pensiero della morte. Ah! F. M., all’ora della morte si pensa ben diversamente, che non durante il corso della vita! Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia, che una dama possedeva tutte le qualità necessarie per piacere al mondo, del quale gustava tutti i piaceri. Ahimè! F. M., ciò non le impedì d’arrivare come tutti gli altri mortali agli ultimi suoi momenti, e più presto di quanto avrebbe voluto. Al principio della sua malattia, le si dissimulò il pericolo in cui si trovava, come si fa troppo spesso coi poveri ammalati. Tuttavia ogni giorno il male progrediva e bisognò avvertirla che doveva pensare alla sua partenza per l’eternità. Doveva fare allora ciò che non aveva mai fatto, e pensare a ciò a cui mai aveva pensato e ne fu grandemente spaventata: “Non credo, disse a chi le aveva dato questo annuncio, che la mia malattia sia pericolosa, del resto, ho ancora del tempo; „ tuttavia le si fece premura, dicendole che il medico la trovava in pericolo. Pianse ella, si lamentò di dover abbandonar la vita quando ne poteva ancor godere i piaceri. Mentre piangeva, le si ricordò che nessuno era immortale, che se sfuggiva a questa malattia, un’altra poi l’avrebbe condotta al sepolcro, che doveva ormai mettere un po’ d’ordine nella sua coscienza, per poter presentarsi con fiducia al tribunale di Dio. A poco a poco rientrò in se stessa, istruita com’era, capì ben presto che doveva prepararsi alla morte, rivolse le sue lagrime a piangere i suoi peccati e domandò un sacerdote per confessargli le sue colpe, che avrebbe desiderato di non aver mai commesso. Fece ella stessa il sacrificio della vita; si confessò con gran dolore e grande abbondanza di lagrime e pregò le sue compagne ed amiche di venire a visitarla prima che uscisse da questo mondo, ciò che esse fecero con grande sollecitudine. Un dì che le vide tutte attorno al suo letto, disse loro piangendo: “Care amiche, vedete in quale stato mi trovo; debbo comparire dinanzi a Gesù Cristo, per rendergli conto di tutte le azioni della mia vita; sapete come ho servito male il buon Dio, e quanto debbo temere: tuttavia, mi affido alla sua misericordia. Il solo consiglio che posso darvi, mie buone amiche, è di non aspettare, per far bene, questo momento, quando non si può più, e malgrado le lagrime ed il pentimento, si è in sì gran pericolo d’andar perduti per l’eternità. E l’ultima volta che vi vedo; ve ne scongiuro, non perdete un momento del tempo che Dio vi concede e che io non ho più. Addio, amiche mie, parto per l’eternità, non dimenticatemi nelle vostre preghiere, perché, se avrò la bella sorte di essere perdonata, mi aiuterete ad uscire dal purgatorio. „ Tutte le sue compagne, che non s’aspettavano simile linguaggio, se ne partirono piangendo, e piene d’un gran desiderio di non aspettare quel momento, in cui si ha tanto rammarico di aver perduto un tempo così prezioso. – Oh! F. M.. quanto saremmo felici se il pensiero della morte e la presenza d’un cadavere ci facessero la stessa impressione, operassero in noi il medesimo cambiamento! Eppure abbiamo un’anima da salvare come quelle persone che si convertirono alla vista di quella giovane signora vicina a morire; ed abbiamo altresì le medesime grazie, se vogliamo approfittarne. – Ah! mio Dio, perché attaccarci tanto alla vita, che godiamo solo alcuni istanti, passati i quali lasciamo tutto per non portare con noi altro che il bene ed il male che avremo fatto?… Perché, F. M., attaccarci così poco a Dio, che, fin da questa vita è la nostra felicità, per continuare ad esserlo eternamente? Come potremmo attaccarci ai beni ed ai piaceri del mondo se avessimo ben scolpite nel cuore queste parole: “Nudi veniamo al mondo, e nudi parimente ne usciremo? „ Eppure, tocchiam con mano e vediamo ogni giorno che l’uomo più ricco non porta con sé nulla più di quello che porta all’altro mondo l’ultimo meschino mortale. Il grande Saladino lo riconobbe prima di morire, egli che aveva fatto tremare l’universo per lo splendore delle sue vittorie. Vedendosi vicino a morire e riconoscendo allora più che mai la vanità delle grandezze umane, comandò a colui che di solito lo precedeva portando lo stendardo, di prendere un pezzo del drappo nel quale doveva essere avvolto, di metterlo sulla punta d’una lancia, e di girare per la città, gridando più forte che potesse: “Ecco ciò che il grande Saladino, vincitore dell’Oriente e padrone dell’Occidente, porta con sé di tutti i suoi tesori e di tutte le sue vittorie: un lenzuolo. „ Mio Dio! quanto saremmo saggi, se questo pensiero non ci lasciasse mai! Infatti, F. M., se quell’avaro, quando non risparmia né ingiustizie né inganni per accumulare ricchezze, pensasse che tra poco deve lasciare tutto, potrebbe attaccarsi tanto ad oggetti che lo perderanno per l’eternità? Invece, F. M., vedendo il nostro modo di vivere, si crederebbe che non avessimo mai a lasciare la vita. Ahimè! dobbiamo ben temere che se viviamo da ciechi, morremo da ciechi! Eccone un esempio evidente. – Leggiamo nella storia che il cardinal Bellarmino, della Compagnia di Gesù, fu chiamato presso un infermo che era stato procuratore, e che sgraziatamente aveva preferito il denaro alla salvezza dell’anima sua. Credendosi chiamato solo per aggiustare gli affari di sua coscienza, vi accorse sollecitamente. Entrato, incomincia a parlargli dello stato dell’anima sua; ma appena detta qualche parola, l’ammalato gli risponde: “Padre mio, non vi ho domandato per questo; ma soltanto per consolar la moglie mia, che è desolata di perdermi, giacché, quanto a me, me ne vado diritto all’inferno. „ Il cardinale racconta che costui era cosi indurato e cieco, da pronunciare tali parole con la stessa tranquillità e freddezza che se avesse detto che andava a divertirsi con qualche amico. Amico mio, dissegli il cardinale desolato di veder la povera anima sua piombare nell’inferno: ma e non pensate a domandar perdono a Dio dei vostri peccati, e confessarvi? credetelo, Dio vi perdonerà. „ Quello sventurato gli rispose di non voler perdere il tempo, che egli non conosceva peccati, né voleva conoscerne: che avrebbe tempo abbastanza di conoscerli all’inferno. Poté ben il cardinale pregarlo, scongiurarlo, che per pietà non volesse perdersi per tutta l’eternità, giacché aveva ancora tutti i mezzi per guadagnarsi il cielo, gli promise che l’avrebbe aiutato a soddisfare la giustizia di Dio, ed aggiunse che era sicuro che Dio gli userebbe pietà. Ma, nulla, nulla fu capace di commuoverlo; morì senza dare alcun segno di pentimento. Ahimè! F. M., chi non pensa alla morte durante la sua vita si mette in grave pericolo di non pensarvi mai, o di non voler riparare il male che quando non vi saranno più rimedi. Mio Dio! coloro che non dimenticano il pensiero della morte, quanti peccati evitano in vita, e quanti rimorsi nell’eternità! Lo stesso cardinale riferisce che andato a visitare un amico ammalato per eccesso di dissolutezze, volle esortarlo a pentirsi e confessarsi dei peccati, od almeno a fare un atto sincero di contrizione. L’ammalato gli rispose: “Padre mio, che cosa vuol dire un atto sincero di contrizione? Non ho mai conosciuto questo linguaggio. „ Il cardinale cercò di fargli comprendere che cos’era il pentirsi dei peccati commessi perché il buon Dio ci perdoni. — “Padre mio, lasciatemi, voi mi disturbate, lasciatemi tranquillo. „ E morì senza voler fare un atto di contrizione, tanto era accecato ed indurito. Mio Dio! Quale disgrazia per chi ha perduto la fede! ahimè! non v’è più rimedio! Ah! F. M., si ha ben ragione di dire: Quale la vita, tale la morte. Davvero, F. M., se quell’ubriacone pensasse un po’ al momento della morte, che terminerà tutte le sue dissolutezze e i suoi stravizi, abbandonando il suo corpo ai vermi, mentre la sua povera anima brucerà all’inferno; ah! F. M., avrebbe egli il coraggio di continuare nei suoi eccessi? Ma, no: se di questo gli si parla, se ne ride, non pensa che a divertirsi, ad accontentare il suo corpo, come se tutto dovesse finire con lui, come ci dice il profeta Isaia. Ah! F. M., il demonio ha gran cura di farci perdere il ricordo di questo pensiero, perché sa meglio di noi quanto esso ci è salutare per toglierci dal peccato e ricondurci a Dio. I santi, F. M.. che tanto avevano a cuore la salvezza dell’anima loro, procuravano di non dimenticarsene mai. S. Guglielmo, arcivescovo di Bourges, assisteva più che poteva ai seppellimenti, per ben imprimersi in cuore il pensiero della morte. Si richiamava alla mente quanto siamo disgraziati di attaccarci alla vita che è tanto infelice e così ripiena di pericoli di perderci eternamente! (Ribadeneira, 19 Gennaio). Un altro santo andò a passare un anno in un bosco per aver agio di prepararsi bene alla morte: “… perché, diceva, quando arriva, non v’è più tempo. „ Questi santi avevano senza dubbio ragione, F. M., perché da questa ora dipende tutto per noi, e se attendiamo per pensarvi il momento in cui la morte ci coglie, spesso non serve a nulla. – Oh! come il pensiero della morte è potente a preservarci dal peccato, e farci compiere il bene! Sì, F. M., se quello sventurato che si avvoltola nel fango delle sue impurità, pensasse al momento della morte, quando il suo corpo, che tanto egli si preoccupa d’accontentare marcirà nella terra; ah! se facesse anche la più lieve riflessione su quelle ossa secche ed aride ammucchiate nel cimitero; se si prendesse la briga d’andar su quelle tombe, a contemplarvi i cadaveri puzzolenti ed imputriditi, i crani mezzo corrosi dai vermi, non sarebbe vivamente impressionato da tale spettacolo? Potrebbe avere altro pensiero che quello di piangere i suoi peccati e il suo accecamento, se riflettesse al rimorso che proverà nell’ora della morte per aver profanato un corpo che è il tempio dello Spirito Santo e le cui membra sono membra di Gesù Cristo!? „ (I Cor. III, 16; VI, 19) Volete voi conoscere, F. M., qual è la fine sventurata d’un impudico che non ha voluto aver sott’occhi la morte durante la vita? S. Pietro Damiani racconta che un inglese, per potere soddisfare la sua passione vergognosa, si diede al demonio, a condizione che l’avvertisse della sua morte tre giorni prima, nella speranza d’aver tempo di convertirsi. Ahimè! quanto è cieco l’uomo che si dà al peccato! Dopo essersi trascinato, avvoltolato, immerso nel lezzo delle impurità, arrivò il momento della sua dipartita. Il demonio, quantunque mentitore, mantenne la promessa fatta a quello sciagurato. Ma l’inglese fu deluso nella sua aspettativa, perché, con grande meraviglia di tutti gli astanti, quando gli si parlava della sua salvezza sembrava dormire, non dava alcuna risposta; mentre quando gli si parlava di affari temporali aveva interamente la conoscenza; sicché morì nelle sue impurità, come era vissuto. Per meglio mostrare che era dannato Dio permise che grossi cagnacci neri comparissero a circondarne il letto, quasi pronti a lanciarsi sulla preda; furono visti anche sulla sua tomba, come per custodire l’abbominevole deposito. Ahimè! F. M., quanti altri esempi potrei citarvi, essi pure spaventosi!… Ditemi, se quell’ambizioso pensasse al momento della morte, che gli mostrerà il nulla delle grandezze umane, potrebbe non fare queste riflessioni, che ben presto sarà ricoperto di terra, e calpestato dai piedi dei passeggeri, senz’altro segno della grandezza passata, che queste due parole: “Qui riposa il tale? ,. Mio Dio! come l’uomo è cieco! Leggiamo nella storia, che un uomo durante tutta la sua vita, non aveva affatto pensato alla sua salvezza: ma solo a divertirsi e ad accumulare ricchezze. Vicino a morire, riconobbe la sua cecità di non aver lavorato per fare una buona morte. Raccomandò che si mettesse sulla sua tomba: “Qui riposa l’insensato, che è uscito dal mondo senza sapere perché Dio ve l’aveva messo. „ Sì, F. M., tutti questi peccatori che si ridono delle grazie che Dio fa ad essi perché escano dal peccato, e le disprezzano: se riflettessero bene che quando partiranno dal mondo queste grazie saranno loro negate, e che Dio, che essi hanno fuggito, li fuggirà a sua volta, lasciandoli morire nel peccato: ditemi, avrebbero il coraggio di disprezzare tante grazie che Dio ora offre ad essi per salvare la loro povera anima? Ah! F. M., quanti peccati non si commetterebbero, se si avesse la fortuna di pensare spesso alla morte. Perciò lo Spirito Santo ci raccomanda grandemente di non dimenticare mai quello che ci aspetta al termine della vita, così non peccheremo. (Eccli. VII, 40). Fu proprio questo pensiero, F. M., che finì por convertire S. Francesco Borgia. Mentr’era ancora nel mondo, viveva alla corte di Spagna, quando l’imperatrice Elisabetta  (Isabella, e non Elisabetta. Si osservi però che Bibadeneira nella sua Vita di S. Francesco Borgia, al 30 Settembre, chiama l’imperatrice Elisabetta. Il lettore sa, come dicemmo nella Prefazione, che il Beato si serviva delle Vite dei Santi del Bibadeneira), moglie di Carlo V, mori. Dovendo essere seppellita nelle tombe reali, a Granata, fu incaricato del trasporto Francesco Borgia. Arrivato a Granata, per adempiere a tutte le formalità prescritte, fu aperto il feretro in cui era il cadavere. Francesco Borgia doveva attestare che era il medesimo statovi deposto. Quando ne fu scoperto il volto, che era stato un giorno così bello, e lo osservò tutto nero e mezzo imputridito, esalante un tanfo insopportabile, S. Francesco Borgia disse: “Sì, giuro che questo è il corpo che è stato messo nel feretro e che esso è quello dell’imperatrice: ma non lo riconosco più… Da questo momento meditò sul nulla delle grandezze umane e quanto piccola cosa erano esse, e prese la risoluzione d’abbandonare il mondo, per non pensar più ad altro che a salvare l’anima propria. Ah! diceva egli, che cosa è mai diventata la bellezza di questa principessa, che era la più formosa creatura del mondo? O mio Dio! quanto è cieco l’uomo che si attacca a vili creature e perde in tal guisa l’anima sua! „ Felice pensiero, F. M., che gli guadagnò il cielo! Ma perché, F. M., dimentichiamo la morte, il cui pensiero ci terrebbe sempre pronti a ben morire? Ah! non ci si vuol pensare, si muore senza avervi pensato, e consideriamo la morte come molto lontana da noi. – Il demonio non dice a noi, come altra volta ai nostri primi genitori: “Voi non morrete, „ (Gen. III, 4). Perché questa tentazione sarebbe troppo grossolana, ingannerebbe nessuno; “ma, ci dice, non morrete così presto; „ e con questa illusione rimandiamo il pensiero di convertirci alla nostra ultima malattia, quando non saremo più in istato di far nulla. È così, F.. M., che la morte ne sorprese molti impreparati, e ne sorprenderà altri sino alla fine del mondo. Eppure questo pensiero ha ritratto molti dal peccato: eccone un esempio splendido. Si narra nella storia che un giovane ed una giovane avevano avuto insieme relazioni vergognose. Avvenne che il giovane, passando per un bosco, fu ucciso. Un piccolo cane che lo seguiva, vedendo il padrone ucciso, corse dalla giovane, la prese per il grembiule, tirandola, come per dirle di seguirlo. Meravigliata di ciò, seguì il cagnolino, che la condusse là dove giaceva il padrone, e si fermò presso un mucchio di foglie. Avendo ella cercato che cosa nascondesse, vide il povero giovane immerso nel suo sangue: i ladri l’avevano ucciso. Rientrata  in se stessa, cominciò a piangere, dicendo in cuor suo: “Ah! disgraziata, se ti fosse capitata la medesima sventura, dove saresti? ahimè! abbruceresti nell’inferno. Forse questo giovane ora abbrucia negli abissi per causa tua!… Ah! sventurata, come hai potuto condurre una vita così peccaminosa? in quale stato è la povera anima tua!,.. Dio mio! Vi ringrazio di non avermi fatto servire di esempio agli altri! „ Abbandonò il mondo, andò a seppellirsi in un chiostro per tutta la vita, e morì da santa. Ah! F. M., quanti peccatori furono convertiti da simili esempi! Mio Dio! bisogna che i nostri cuori siano duri ed insensibili poiché nulla ci commuove, e viviamo forse nel peccato, senza pensare ad uscirne! Ah! F. M., abbiamo motivo di temere che quando vorremo tornare a Dio, non lo potremo: Dio in punizione dei nostri peccati, ci avrà abbandonati. Voglio mostrarvelo con un esempio. Leggiamo nella storia, che un uomo era vissuto lungo tempo nel disordine. Convertitosi, ricadde poco dopo negli antichi peccati. I suoi amici, assai addolorati, fecero il possibile per ricondurlo a Dio; egli prometteva sempre ma non si risolveva. Gli dissero che si teneva un corso di esercizi spirituali nella vicina parrocchia, essi vi partecipavano e ve lo avrebbero condotto, si apparecchiasse dunque. Costui, che da tanto tempo si beffava di Dio e dei loro consigli, ridendo, rispose di sì: venissero puro a prenderlo la mattina del giorno in cui incominciavano gli esercizi, sarebbero andati insieme. Gli amici non mancarono d’andare a cercarlo, sperando di ricondurlo a Dio; ma entrati nella sua stanza, lo videro disteso cadavere sul letto: era morto, la notte, di morte improvvisa senz’aver tempo né di confessarsi, né di dare il minimo segno di pentimento. Ahimè! F. M., dove andò questa povera anima che tanto aveva disprezzato le grazie di Dio?

II. — Ho detto che è assai utile pensare alla morte:

1° per farci evitare il peccato ed espiare quelle colpe che abbiamo avuto la disgrazia di commettere;

2° per distaccarci dalla vita. S. Agostino ci dice che non bisogna solamente pensare alla morte dei martiri, nei quali, per una grazia mirabile, la pena del peccato divenne come istrumento di merito, ma alla morte di tutti gli uomini. Questo pensiero della morte sarebbe per noi uno dei più potenti mezzi di salute, ed uno dei più grandi rimedi dei nostri mali, se ne sapessimo ricavare i vantaggi che la misericordia divina vuol procurarci col castigo che la sua giustizia esige da noi. Noi siamo condannati a morire solo perché abbiamo peccato (Rom. V, 12); ma ci dovrebbe bastare, per non peccar più, il pensare spesso alla morte, come dice lo Spirito Santo (Eccli. VII, 40). Tre altri effetti, produce in noi, F. M., il pensiero della morte:

1° ci distacca dal mondo;

2° trattiene le nostre passioni;

3° ci impegna a condurre vita più santa. Se il mondo, F. M., può ingannarci per un po’ di tempo, quest’inganno non durerà certamente sempre; perché è indubbio, che le cose tutte del mondo non hanno forza contro il pensiero della morte. Se pensiamo che in pochi minuti avremo dato addio alla vita per non ritornarvi più! L’uomo che ha la morte sempre presente allo spirito non può considerarsi sulla terra che come un viaggiatore, che vi è solo di passaggio, e lascia senza pena le cose in cui s’incontra, perché tende ad un altro termine, e si avanza verso un’altra patria. Tale fu, F. M., la disposizione di S. Girolamo: comprendendo che una volta morto egli non potrebbe più animare i suoi discepoli cogli esempi delle sue segrete virtù, volle, morendo, lasciar loro sante istruzioni : “Figli miei, se volete al pari di me non aver nessun rimorso alla vostra morte, abituatevi a distaccarvi da tutto durante la vita. Volete temer nulla in quel terribile istante? Non amate nulla di quanto dovrete abbandonare. Quando si è ben disingannati del mondo e di tutte le sue illusioni, quando sono da noi disprezzati i suoi beni, le sue false dolcezze e le promesse folli; quando non s’è posta la felicità nel possesso delle creature, non costa fatica il lasciarle e separarsene per sempre.„ Condizione felice, esclamava questo gran santo, quella d’un uomo che pieno di giusta confidenza in Dio, non si trova legato da alcun attacco al mondo ed ai beni della terrà! Ecco, F. M., le disposizioni alle quali ci conduce il pensiero della morte. Il secondo effetto che il pensiero della morte produce in noi è quello di frenare le nostre passioni. Sì, F. M., se siamo tentati, basta pensar alla morte, e subito sentiremo cessare la passione: era questa la pratica dei santi. –  S. Paolo ci dice che egli moriva ogni giorno (1 Cor. XV, 31). Nostro Signore, mentr’era ancora sulla terra, parlava spesso della sua passione (Matt. XVI, 21 segg.). S. Maria Egiziaca, quand’era tentata, pensava subito alla morte; e tosto la tentazione cedeva (Vita dei Padri del deserto. San Zosimo e Santa Maria Egiz.). S. Girolamo aveva questo pensiero assiduo, come il respiro. Ricordasi nella vita dei Padri del deserto, che un solitario il quale aveva vissuto qualche tempo nel gran mondo, tocco dalla grazia, andò a seppellirsi in un deserto. Il demonio non cessò di ricordargli la giovane per la quale aveva nutrito un amore peccaminoso. Poco prima ch’ella morisse, Dio glielo fece conoscere. Uscì dalla sua solitudine, andò a visitarla. Si stava per seppellirla: s’avvicinò al feretro, le scoprì il viso, la toccò con un fazzoletto, poi ritornò nel deserto, ed ogni volta che era tentato, prendeva il fazzoletto, lo osservava attentamente, poi diceva a se stesso, rappresentandosi l’orrore di quella povera creatura: ” Insensato che sei, ecco il dolce pegno dell’oggetto che tanto amasti a danno dell’anima tua; se, ora, non puoi sopportare l’orribile fetore che uscì dal corpo di quella creatura, quale follia fu dunque la tua di averla amata peccaminosamente durante la sua vita, con pregiudizio della tua salvezza; qual accecamento sarebbe il tuo di pensarvi ancora dopo che essa è morta! „ S. Agostino ci dice che quando si sentiva portato violentemente al male, la sola cosa che lo trattenesse era il pensare che un giorno morrebbe, e che dopo la morte verrebbe giudicato. “Parlavo spesso al mio caro amico Alipio, quando m’intrattenevo con lui, di ciò che doveva formare la differente porzione dei buoni e dei cattivi, e gli confessavo che malgrado quello che potevano avermi detto altre volte gli empi, io ho sempre creduto che nell’ora della nostra morte Dio ci domanderà conto di tutto il male fatto durante la nostra vita. – Si narra nella storia dei Padri del deserto, che un giovane solitario disse ad un vecchio cenobita: “Padre mio, che cosa debbo fare quando sono tentato, specialmente contro la santa virtù della purità? „ — “Figlio mio, risposegli il santo, pensate subito alla morte ed ai tormenti riservati agli impudici nell’inferno, e state sicuro che tale pensiero scaccerà il demonio. „ S. Giovanni Climaco ci dice che un solitario, il quale aveva sempre il pensiero della morte impresso nel suo spirito, quando il demonio voleva tentarlo per indurlo a rilassarsi, esclamava: “Ah! disgraziato, ecco che stai per morire, e non hai ancora fatto nulla che meriti di essere presentato a Dio. „ Si, F. M., chi vuol salvar l’anima propria, non deve mai dimenticare la morte. Il pensiero della morte ci suggerisce altresì pie riflessioni: ci mette tutta la nostra vita davanti agli occhi: pensiamo allora che quanto ci rallegra durante la vita, secondo il mondo, ci farà versar lagrime all’ora della morte; tutti i nostri peccati, che non debbono mai cancellarsi dalla nostra memoria, sono altrettanti serpenti che ci divorano; il tempo che abbiam perduto e le grazie da noi disprezzate: tutto ci sarà messo sott’occhio alla morte. Dopo questo, è impossibile non impegnarsi a vivere meglio, e abbandonare il male. Si narra nella storia, che un moribondo, prima di rendere l’ultimo sospiro, fece chiamare il suo principe, al quale era stato servo fedelissimo per molti anni. Il principe accorse con premura: “Domandatemi, dissegli, tutto ciò che vorrete, e state certo d’ottenerlo. „ — “Principe, gli disse il povero moribondo, non ho che una cosa da domandarvi: un quarto d’ora di vita. „ — Ah! amico mio, rispose il principe, non è in mio potere, domandatemi ogni altra cosa, e ve la concederò.,, — “Ah! esclamò l’ammalato, se avessi servito Dio come ho servito voi, non avrei un quarto d’ora di vita soltanto, ma un’eternità. „ Lo stesso rimorso provò un uomo di lettere, quando fu presso a lasciar la vita senza aver pensato a salvare l’anima sua: Ah! insensato che sono, ho scritto tanto pel mondo e niente per la mia anima: bisogna morire, non ho fatto nulla che possa rassicurarmi, e non v’ è più rimedio; non vedo niente nella vita mia che meriti di essere presentato al buon Dio. „ Felice lui, F. M., s’egli stesso almeno approfittò di questo, cioè de’ suoi buoni sentimenti.

III. — Ecco le riflessioni che il pensiero della morte deve produrre in noi: se trascuriamo di prepararvici, saremo separati per tutta l’eternità dalla compagnia di Gesù Cristo, della Vergine, degli Angeli e dei Santi, e saremo costretti a passare l’eternità coi demoni, a bruciar con loro. Leggiamo nella vita di san Girolamo, che una lunga esperienza avea reso così sapiente nella scienza della salvezza, che quand’era sul letto di morte, fu pregato dai suoi discepoli di lasciar loro, come per testamento, quella verità della morale cristiana, di cui si sentiva più vivamente persuaso. Che cosa pensate voi che rispondesse il grande e santo dottore? “Sto per morire, disse loro, la mia anima è appena sulla estremità delle mie labbra: ma vi dichiaro, che di tutte le verità della morale cristiana, quella della quale sono più convinto, è che difficilmente, su centomila persone che avranno vissuto male, se ne troverà una sola salva, dopo aver fatto una buona morte, perché per morir bene, bisogna pensarvi tutti i giorni della propria vita. E non crediate che questo sia effetto della mia malattia: ve ne parlo coll’esperienza di oltre sessant’anni. Sì, figli miei, a fatica fra centomila persone che avranno vissuto male, ve ne sarà una sola che faccia una buona morte! Figli miei, niente ci aiuta meglio a viver bene quanto il pensiero della morte! „ – Che cosa concludere da tutto ciò? F. M., eccolo: se pensiamo spesso alla morte avremo gran cura di conservare la grazia di Dio; se abbiam la sventura d’averla perduta, ci affretteremo di riacquistarla, ci distaccheremo dai beni e dai piaceri del mondo, sopporteremo le miserie della vita con spirito di penitenza; riconosceremo che è il buon Dio Colui che ce le manda per espiare i nostri peccati. Ahimè! dobbiam dire dentro di noi, corro a grandi passi verso l’eternità: d’un tratto non potrei più essere di questo mondo. Dopo questo mondo, dove passerò la mia eternità?…. Sarò in cielo o nell’inferno? Ciò dipende dalla vita che avrò condotta: sì, giovane o vecchio, penserò spesso alla morte, per prepararmivi di buon ora. – Felice, F. M., chi sarà sempre pronto! È la felicità che vi auguro!

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.

[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]

Secreta

Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.

[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.

[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]

Postcommunio

Orémus.

Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.

[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL PENSIERO DELLA MORTE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL PENSIERO DELLA MORTE”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. III, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Il pensiero della morte.

Cum appropinquaret portæ civitatis, ecce defunctus efferebatur filius unicus matris suæ: et hæc vidua erat.

(Luc. VII, 12).

No, Fratelli miei, non vi è cosa più capace di staccarci dalla vita e dai piaceri del mondo, e d’indurci a pensare al momento terribile che deve decidere della nostra sorte per l’eternità, quanto la vista d’un cadavere che vien portato alla tomba. Perciò la Chiesa, sempre attenta ed occupata a fornirci i mezzi più adatti per farci lavorare alla nostra salvezza, tre volte all’anno ci presenta il ricordo dei morti che Gesù Cristo ha risuscitato (Noi leggiamo la risurrezione della figlia di Giairo nel Vangelo della Messa della domenica XXIII dopo Pentecoste: quella del figlio della vedova di Naim, il giovedì della IV settimana di Quaresima, o la XV domenica dopo Pentecoste; quella di Lazzaro il venerdì della IV settimana di Quaresima; per obbligarci in certo modo ad occuparci del pensiero della morte e prepararci a questo viaggio. In un luogo del Vangelo (Marc. V, 42), ci presenta una giovinetta di soli dodici anni, cioè nell’età in cui appena si può cominciare a godere dei piaceri. Sebbene figlia unica, ricchissima e teneramente amata da’ suoi parenti, pure la morte la coglie e la fa scomparire per sempre dagli occhi dei viventi. Altrove vediamo un giovane di circa venticinque anni (Luc. VII, 12.), che era nel fior dell’età, il solo appoggio e l’unica consolazione della vedova madre sua; eppure, né le lagrime, né la tenerezza della madre desolata possono impedire che la morte, l’inesorabile morte, lo faccia sua preda. In altra parte del Vangelo (Joan. XI) vediamo un altro giovane, Lazzaro. Faceva da padre alle sue due sorelle, Marta e Maddalena; ci sembra che la morte avrebbe dovuto almeno risparmiare quest’ultimo, ma no; la morte crudele lo falcia, e lo getta nella tomba, ad esservi pasto dei vermi. Gesù Cristo dové fare tre miracoli per restituire loro l’esistenza. Apriamo gli occhi, F. M., e contempliamo un istante questo commovente spettacolo, che ci mostra, nel modo più energico, la caducità della vita e la necessità di staccarcene, prima che la morte inesorabile ce ne strappi nostro malgrado. “Giovane o vecchio, diceva il santo re Davide, penserò spesso che un giorno morrò, e mi vi preparerò per tempo.„ Per impegnarvi a fare altrettanto, vi mostrerò come il pensiero della morte ci è necessario per staccarci dalla vita ed attaccarci a Dio solo.

I. — È cosa manifesta, F. M., che, nonostante il grado d’empietà e d’incredulità a cui gli uomini sono giunti nel secolo sventurato in cui viviamo, non hanno ancora osato negare la certezza della morte; ma solo fanno quanto possono per bandirne il pensiero, come un vicino uggioso che potrebbe inquietarli nei loro piaceri, e disturbarli nelle loro dissolutezze. Ma vediamo nel Vangelo che nostro Signor Gesù Cristo vuole che non perdiamo mai di vista il pensiero della nostra partenza da questo mondo per l’eternità (Marc. XIII, 33). Per farci ben comprendere che possiamo morire ad ogni età, vediamo che non risuscita fanciulli ancora incapaci di gustare i piaceri della vita, e neppure vegliardi decrepiti che malgrado il loro attaccamento alla terra, non posson dubitare che la lor partenza sia poco lontana. Ma risuscita persone morte nell’età in cui più spesso si dimentica questo pensiero salutare: cioè dai dodici ai quarant’anni circa. Infatti dopo i quarant’anni la morte sembra inseguirci rapidamente; perdiamo tutti i giorni qualche cosa, e questa perdita ci annuncia che presto dobbiamo partire da questo mondo; sentiamo, ogni giorno, le forze diminuire, vediamo i capelli incanutire, la testa farsi calva, i denti cadere, la vista indebolirsi: tutte queste cose ci dicono addio per sempre, e siamo costretti di confessare a noi stessi che non siamo più quelli di un tempo. No, F. M., nessuno dubita menomamente di questo. È certo che verrà un giorno in cui non saremo più del numero dei viventi, e che non si penserà più a noi, come se non fossimo mai esistiti. Ecco adunque quella giovinetta mondana, che ebbe tante cure e premure per comparire agli occhi del mondo: eccola ridotta ad un po’ di polvere, calpestata dal piede dei passanti. Ecco quell’orgoglioso, che tanto si vantava del suo spirito, delle sue ricchezze, del credito che godeva e della carica che occupava, eccolo ridotto in una tomba, corroso dai vermi, e dimenticato fino alla fine del mondo, cioè sino alla risurrezione generale, quando lo rivedremo con tutto ciò che avrà fatto nei giorni della sua vita sciagurata. Ma, forse mi domanderete, che cos’è questo momento della morte, che deve tanto preoccuparci, e che è capace di convertirci? — È, F. M., un istante che, rapido nella sua durata, ci è poco noto, eppure basta per farci fare il grande passaggio da questo mondo all’eternità. Momento formidabile per se stesso, F. M., in cui tutto quanto è nel mondo muore per l’uomo, e l’uomo al tempo stesso muore per tutto ciò che ha sulla terra. Momento terribile, F. M., in cui l’anima, malgrado l’unione così intima col corpo, ne è strappata dalla violenza della malattia; dopo di che l’uomo, spogliato di tutto, non offre agli occhi del mondo altro che una orribile figura di se stesso: gli occhi spenti, la bocca muta, le mani senza azione, i piedi senza moto, il viso sfigurato, il corpo che comincia a corrompersi e non è più che un oggetto di ribrezzo. Momento crudele, F. M., in cui i più potenti e ricchi perdono tutte le ricchezze e la gloria, ed altro non hanno per eredità che la polvere del sepolcro. Momento ben umiliante, F. M., in cui il più grande è confuso col più miserabile della terra. Tutto è confuso: non più onori, non più distinzioni: tutti sono messi al medesimo livello. Ma. momento altresì, F. M., mille volte più terribile per le conseguenze, che per la sua presenza, poiché le perdite che porta con sé sono irreparabili. “L’uomo, ci dice lo Spirito Santo, parlando di chi muore, andrà nella casa della sua eternità. „ (Eccli. XII, 5). Momento breve, è vero, F. M., ma ben decisivo; dopo il quale il peccatore non può più sperare misericordia, ed il giusto non ha più meriti da guadagnare. Momento, il cui pensiero ha riempito i monasteri di tanti grandi del mondo, che hanno tutto abbandonato per pensare solo a quel terribile passaggio da questo mondo all’altro. Momento, F. M,, il cui pensiero ha popolato i deserti di tanti Santi, i quali non cessarono di abbandonarsi a tutti i rigori della penitenza che l’amore a Dio poté loro inspirare. Momento terribile, F. M., ma brevissimo, e che tuttavia deciderà risolutivamente la nostra sorte per tutta l’eternità. Dopo questo, F. M., come possiamo noi non pensarvi, od almeno pensarvi così leggermente? Ahimè! F. M., quante anime ora bruciano, per aver trascurato un pensiero così salutare! Lasciamo, F. M., lasciamo un po’ il mondo, i suoi beni e piaceri, per occuparci di questo terribile momento. Imitiamo, F. M., i santi, che ne facevano la principale occupazione; lasciamo perire ciò che perisce col tempo e diamo le nostre cure a ciò che è eterno e permanente. Sì, F. M., nessun’altra cosa è al pari del pensiero della morte capace di staccarci dalla vita del peccato e di far tremare i re sui loro troni, i giudici nei tribunali ed i libertini in mezzo ai loro piaceri. Eccone un esempio, F. M., che vi mostrerà che nessuno può resistere a questo pensiero ben meditato. S. Gregorio ci riferisce che un giovane, alla salute della cui anima egli assai s’interessava, aveva concepito una tal passione per una giovinetta, che questa essendo morta, non sapeva più consolarsene. San Gregorio Papa, dopo molte preghiere e penitenze, andò a trovare il giovane: “Amico mio, dissegli, vieni con me, e vedrai ancor una volta colei che ti fa tanto sospirare e piangere. „ Presolo per mano, lo condusse alla tomba della giovane. Tolta la tavola che la ricopriva, il giovane vedendo un corpo così orribile, puzzolente, ricoperto di vermi, che ora ormai una massa di putredine, indietreggiò inorridito. “No, no, amico mio, gli disse S. Gregorio, fatti innanzi e sostieni per un istante la vista dello spettacolo che ti presenta la morte. Vedi, amico mio, e considera che cos’è diventata questa bellezza caduca, alla quale eri attaccato perdutamente. Vedi quella testa spolpata, quegli occhi spenti, quelle ossa annerite, quell’ammasso orribile di cenere, di putredine e di vermi? Ecco, amico mio, l’oggetto della tua passione, pel quale hai tanto sospirato e sacrificata l’anima tua, la tua salvezza, il tuo Dio e la tua eternità. „ Parole così commoventi, spettacolo così spaventoso fecero una impressione così viva sull’animo del giovane, che riconoscendo da quel momento il nulla del mondo e la fragilità di ogni bellezza caduca, rinunciò subito a tutte le vanità della terra, non pensò più che a prepararsi a ben morire, ritirandosi dal mondo, per andare a passare la sua vita in un monastero, piangervi, pel resto dei suoi giorni, i traviamenti della gioventù, e morire da santo. Qual fortuna, F. M., per questo giovane! Facciamo altrettanto, o cari, giacché nulla è più capace di staccarci dalla vita e risolverci a lasciare il peccato, quanto questo prezioso pensiero della morte. Ah! F. M., all’ora della morte si pensa ben diversamente, che non durante il corso della vita! Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia, che una dama possedeva tutte le qualità necessarie per piacere al mondo, del quale gustava tutti i piaceri. Ahimè! F. M., ciò non le impedì d’arrivare come tutti gli altri mortali agli ultimi suoi momenti, e più presto di quanto avrebbe voluto. Al principio della sua malattia, le si dissimulò il pericolo in cui si trovava, come si fa troppo spesso coi poveri ammalati. Tuttavia ogni giorno il male progrediva e bisognò avvertirla che doveva pensare alla sua partenza per l’eternità. Doveva fare allora ciò che non aveva mai fatto, e pensare a ciò a cui mai aveva pensato e ne fu grandemente spaventata: “Non credo, disse a chi le aveva dato questo annuncio, che la mia malattia sia pericolosa, del resto, ho ancora del tempo; „ tuttavia le si fece premura, dicendole che il medico la trovava in pericolo. Pianse ella, si lamentò di dover abbandonar la vita quando ne poteva ancor godere i piaceri. Mentre piangeva, le si ricordò che nessuno era immortale, che se sfuggiva a questa malattia, un’altra poi l’avrebbe condotta al sepolcro, che doveva ormai mettere un po’ d’ordine nella sua coscienza, per poter presentarsi con fiducia al tribunale di Dio. A poco a poco rientrò in se stessa, istruita com’era, capì ben presto che doveva prepararsi alla morte, rivolse le sue lagrime a piangere i suoi peccati e domandò un sacerdote per confessargli le sue colpe, che avrebbe desiderato di non aver mai commesso. Fece ella stessa il sacrificio della vita; si confessò con gran dolore e grande abbondanza di lagrime e pregò le sue compagne ed amiche di venire a visitarla prima che uscisse da questo mondo, ciò che esse fecero con grande sollecitudine. Un dì che le vide tutte attorno al suo letto, disse loro piangendo: “Care amiche, vedete in quale stato mi trovo; debbo comparire dinanzi a Gesù Cristo, per rendergli conto di tutte le azioni della mia vita; sapete come ho servito male il buon Dio, e quanto debbo temere: tuttavia, mi affido alla sua misericordia. Il solo consiglio che posso darvi, mie buone amiche, è di non aspettare, per far bene, questo momento, quando non si può più, e malgrado le lagrime ed il pentimento, si è in sì gran pericolo d’andar perduti per l’eternità. E l’ultima volta che vi vedo; ve ne scongiuro, non perdete un momento del tempo che Dio vi concede e che io non ho più. Addio, amiche mie, parto per l’eternità, non dimenticatemi nelle vostre preghiere, perché, se avrò la bella sorte di essere perdonata, mi aiuterete ad uscire dal purgatorio. „ Tutte le sue compagne, che non s’aspettavano simile linguaggio, se ne partirono piangendo, e piene d’un gran desiderio di non aspettare quel momento, in cui si ha tanto rammarico di aver perduto un tempo così prezioso. – Oh! F. M.. quanto saremmo felici se il pensiero della morte e la presenza d’un cadavere ci facessero la stessa impressione, operassero in noi il medesimo cambiamento! Eppure abbiamo un’anima da salvare come quelle persone che si convertirono alla vista di quella giovane signora vicina a morire; ed abbiamo altresì le medesime grazie, se vogliamo approfittarne. – Ah! mio Dio, perché attaccarci tanto alla vita, che godiamo solo alcuni istanti, passati i quali lasciamo tutto per non portare con noi altro che il bene ed il male che avremo fatto?… Perché, F. M., attaccarci così poco a Dio, che, fin da questa vita è la nostra felicità, per continuare ad esserlo eternamente? Come potremmo attaccarci ai boni ed ai piaceri del mondo se avessimo ben scolpite nel cuore queste parole: “Nudi veniamo al mondo, e nudi parimente ne usciremo? „ Eppure, tocchiam con mano e vediamo ogni giorno che l’uomo più ricco non porta con sé nulla più di quello che porta all’altro mondo l’ultimo meschino mortale. Il grande Saladino lo riconobbe prima di morire, egli che aveva fatto tremare l’universo per lo splendore delle sue vittorie. Vedendosi vicino a morire e riconoscendo allora più che mai la vanità delle grandezze umane, comandò a colui che di solito lo precedeva portando lo stendardo, di prendere un pezzo del drappo nel quale doveva essere avvolto, di metterlo sulla punta d’una lancia, e di girare per la città, gridando più forte che potesse: “Ecco ciò che il grande Saladino, vincitore dell’Oriente e padrone dell’Occidente, porta con sé di tutti i suoi tesori e di tutte le sue vittorie: un lenzuolo. „ Mio Dio! quanto saremmo saggi, se questo pensiero non ci lasciasse mai! Infatti, P. M., se quell’avaro, quando non risparmia né ingiustizie né inganni per accumulare ricchezze, pensasse che tra poco deve lasciare tutto, potrebbe attaccarsi tanto ad oggetti che lo perderanno per l’eternità? Invece, F. M., vedendo il nostro modo di vivere, si crederebbe che non avessimo mai a lasciare la vita. Ahimè! dobbiamo ben temere che se viviamo da ciechi, morremo da ciechi! Eccone un esempio evidente. – Leggiamo nella storia che il cardinal Bellarmino, della Compagnia di Gesù, fu chiamato presso un infermo che era stato procuratore, e che sgraziatamente aveva preferito il denaro alla salvezza dell’anima sua. Credendosi chiamato solo per aggiustare gli affari di sua coscienza, vi accorse sollecitamente. Entrato, incomincia a parlargli dello stato dell’anima sua; ma appena detta qualche parola, l’ammalato gli risponde: “Padre mio, non vi ho domandato per questo; ma soltanto per consolar la moglie mia, che è desolata di perdermi, giacché, quanto a me, me ne vado diritto all’inferno. „ Il cardinale racconta che costui era cosi indurato e cieco, da pronunciare tali parole con la stessa tranquillità e freddezza che se avesse detto che andava a divertirsi con qualche amico. Amico mio, dissegli il cardinale desolato di veder la povera anima sua piombare nell’inferno: ma e non pensate a domandar perdono a Dio dei vostri peccati, e confessarvi? credetelo, Dio vi perdonerà. „ Quello sventurato gli rispose di non voler perdere il tempo, che egli non conosceva peccati, né voleva conoscerne: che avrebbe tempo abbastanza di conoscerli all’inferno. Poté ben il cardinale pregarlo, scongiurarlo, che per pietà non volesse perdersi per tutta l’eternità, giacché aveva ancora tutti i mezzi per guadagnarsi il cielo, gli promise che l’avrebbe aiutato a soddisfare la giustizia di Dio, ed aggiunse che era sicuro che Dio gli userebbe pietà. Ma, nulla, nulla fu capace di commuoverlo; morì senza dare alcun segno di pentimento. Ahimè! F. M., chi non pensa alla morte durante la sua vita si mette in grave pericolo di non pensarvi mai, o di non voler riparare il male che quando non vi saranno più rimedi. Mio Dio! coloro che non dimenticano il pensiero della morte, quanti peccati evitano in vita, e quanti rimorsi nell’eternità! Lo stesso cardinale riferisce che andato a visitare un amico ammalato per eccesso di dissolutezze, volle esortarlo a pentirsi e confessarsi dei peccati, od almeno a fare un atto sincero di contrizione. L’ammalato gli rispose: “Padre mio, che cosa vuol dire un atto sincero di contrizione? Non ho mai conosciuto questo linguaggio. „ Il cardinale cercò di fargli comprendere che cos’era il pentirsi dei peccati commessi perché il buon Dio ci perdoni. — “Padre mio, lasciatemi, voi mi disturbate, lasciatemi tranquillo. „ E morì senza voler fare un atto di contrizione, tanto era accecato ed indurito. Mio Dio! Quale disgrazia per chi ha perduto la fede! ahimè! non v’è più rimedio! Ah! F. M., si ha ben ragione di dire: Quale la vita, tale la morte. Davvero, F. M., se quell’ubbriacone pensasse un po’ al momento della morte, che terminerà tutte le sue dissolutezze e i suoi stravizi, abbandonando il suo corpo ai vermi, mentre la sua povera anima brucerà all’inferno; ah! F. M., avrebbe egli il coraggio di continuare nei suoi eccessi? Ma, no: se di questo gli si parla, se ne ride, non pensa che a divertirsi, ad accontentare il suo corpo, come se tutto dovesse finire con lui, come ci dice il profeta Isaia. Ah! F. M., il demonio ha gran cura di farci perdere il ricordo di questo pensiero, perché sa meglio di noi quanto esso ci è salutare per toglierci dal peccato e ricondurci a Dio. I santi, F. M.. che tanto avevano a cuore la salvezza dell’anima loro, procuravano di non dimenticarsene mai. S. Guglielmo, arcivescovo di Bourges, assisteva più che poteva ai seppellimenti, per ben imprimersi in cuore il pensiero della morte. Si richiamava alla mente quanto siamo disgraziati di attaccarci alla vita che è tanto infelice e così ripiena di pericoli di perderci eternamente! (Ribadeneira, 19 Gennaio). Un altro santo andò a passare un anno in un bosco per aver agio di prepararsi bene alla morte: “… perché, diceva, quando arriva, non v’è più tempo. „ Questi santi avevano senza dubbio ragione, F. M., perché da questa ora dipende tutto per noi, e se attendiamo per pensarvi il momento in cui la morte ci coglie, spesso non serve a nulla. – Oh! come il pensiero della morte è potente a preservarci dal peccato, e farci compiere il bene! Sì, F. M., se quello sventurato che si avvoltola nel fango delle sue impurità, pensasse al momento della morte, quando il suo corpo, che tanto egli si preoccupa d’accontentare marcirà nella terra; ah! se facesse anche la più lieve riflessione su quelle ossa secche ed aride ammucchiate nel cimitero; se si prendesse la briga d’andar su quelle tombe, a contemplarvi i cadaveri puzzolenti ed imputriditi, i crani mezzo corrosi dai vermi, non sarebbe vivamente impressionato da tale spettacolo? Potrebbe avere altro pensiero che quello di piangere i suoi peccati e il suo accecamento, se riflettesse al rimorso che proverà nell’ora della morte per aver profanato un corpo che è il tempio dello Spirito Santo e le cui membra sono membra di Gesù Cristo!? „ (I Cor. III, 16; VI, 19) Volete voi conoscere, F. M., qual è la fine sventurata d’un impudico che non ha voluto aver sott’occhi la morte durante la vita? S. Pietro Damiani racconta che un inglese, per potere soddisfare la sua passione vergognosa, si diede al demonio, a condizione che l’avvertisse della sua morte tre giorni prima, nella speranza d’aver tempo di convertirsi. Ahimè! quanto è cieco l’uomo che si dà al peccato! Dopo essersi trascinato, avvoltolato, immerso nel lezzo delle impurità, arrivò il momento della sua dipartita. Il demonio, quantunque mentitore, mantenne la promessa fatta a quello sciagurato. Ma l’inglese fu deluso nella sua aspettativa, perché, con grande meraviglia di tutti gli astanti, quando gli si parlava della sua salvezza sembrava dormire, non dava alcuna risposta; mentre quando gli si parlava di affari temporali aveva interamente la conoscenza; sicché morì nelle sue impurità, come era vissuto. Per meglio mostrare che era dannato Dio permise che grossi cagnacci neri comparissero a circondarne il letto, quasi pronti a lanciarsi sulla preda; furono visti anche sulla sua tomba, come per custodire l’abbominevole deposito. Ahimè! F. M., quanti altri esempi potrei citarvi, essi pure spaventosi!… Ditemi, se quell’ambizioso pensasse al momento della morte, che gli mostrerà il nulla delle grandezze umane, potrebbe non fare queste riflessioni, che ben presto sarà ricoperto di terra, e calpestato dai piedi dei passeggeri, senz’altro segno della grandezza passata, che queste due parole: “Qui riposa il tale? ,. Mio Dio! come l’uomo è cieco! Leggiamo nella storia, che un uomo durante tutta la sua vita, non aveva affatto pensato alla sua salvezza: ma solo a divertirsi e ad accumulare ricchezze. Vicino a morire, riconobbe la sua cecità di non aver lavorato per fare una buona morte. Raccomandò che si mettesse sulla sua tomba: “Qui riposa l’insensato, che è uscito dal mondo senza sapere perché Dio ve l’aveva messo. „ Sì, F. M., tutti questi peccatori che si ridono delle grazie che Dio fa ad essi perché escano dal peccato, e le disprezzano: se riflettessero bene che quando partiranno dal mondo queste grazie saranno loro negate, e che Dio, che essi hanno fuggito, li fuggirà a sua volta, lasciandoli morire nel peccato: ditemi, avrebbero il coraggio di disprezzare tante grazie che Dio ora offre ad essi per salvare la loro povera anima? Ah! F. M., quanti peccati non si commetterebbero, se si avesse l a fortuna di pensare spesso alla morte. Perciò lo Spirito Santo ci raccomanda grandemente di non dimenticare mai quello che ci aspetta al termine della vita, così non peccheremo. (Eccli. VII, 40). Fu proprio questo pensiero, F. M., che finì per convertire S. Francesco Borgia. Mentr’era ancora nel mondo, viveva alla corte di Spagna, quando l’imperatrice Elisabetta  (Isabella, e non Elisabetta. Si osservi però che Bibadeneira nella sua Vita di S. Francesco Borgia, al 30 Settembre, chiama l’imperatrice Elisabetta. Il lettore sa, come dicemmo nella Prefazione, che il Beato si serviva delle Vite dei Santi del Bibadeneira), moglie di Carlo V, morì . Dovendo essere seppellita nelle tombe reali, a Granata, fu incaricato del trasporto Francesco Borgia. Arrivato a Granata, per adempiere a tutte le formalità prescritte, fu aperto il feretro in cui era il cadavere. Francesco Borgia doveva attestare che era il medesimo statovi deposto. Quando ne fu scoperto il volto, che era stato un giorno così bello, e lo osservò tutto nero e mezzo imputridito, esalante un tanfo insopportabile, S. Francesco Borgia disse: “Sì, giuro che questo è il corpo che è stato messo nel feretro e che esso è quello dell’imperatrice: ma non lo riconosco più… Da questo momento meditò sul nulla delle grandezze umane e quanto piccola cosa erano esse, e prese la risoluzione d’abbandonare il mondo, per non pensar più ad altro che a salvare l’anima propria. Ah! diceva egli, che cosa è mai diventata la bellezza di questa principessa, che era la più formosa creatura del mondo? O mio Dio! quanto è cieco l’uomo che si attacca a vili creature e perde in tal guisa l’anima sua! „ Felice pensiero, F. M., che gli guadagnò il cielo! Ma perché, F. M., dimentichiamo la morte, il cui pensiero ci terrebbe sempre pronti a ben morire? Ah! non ci si vuol pensare, si muore senza avervi pensato, e consideriamo la morte come molto lontana da noi. – Il demonio non dice a noi, come altra volta ai nostri primi genitori: “Voi non morrete, „ (Gen. III, 4). Perché questa tentazione sarebbe troppo grossolana, ingannerebbe nessuno; “ma, ci dice, non morrete così presto; „ e con questa illusione rimandiamo il pensiero di convertirci alla nostra ultima malattia, quando non saremo più in istato di far nulla. È così, F.. M., che la morte ne sorprese molti impreparati, e ne sorprenderà altri sino alla fine del mondo. Eppure questo pensiero ha ritratto molti dal peccato: eccone un esempio splendido. Si narra nella storia che un giovane ed una giovane avevano avuto insieme relazioni vergognose. Avvenne che il giovane, passando per un bosco, fu ucciso. Un piccolo cane che lo seguiva, vedendo il padrone ucciso, corse dalla giovane, la prese per il grembiale, tirandola, come per dirle di seguirlo. Meravigliata di ciò, seguì il cagnolino, che la condusse là dove giaceva il padrone, e si fermò presso un mucchio di foglie. Avendo ella cercato che cosa nascondesse, vide il povero giovane immerso nel suo sangue: i ladri l’avevano ucciso. Rientrata  in se stessa, cominciò a piangere, dicendo in cuor suo: “Ah! disgraziata, se ti fosse capitata la medesima sventura, dove saresti? ahimè! abbruceresti nell’inferno. Forse questo giovane ora abbrucia negli abissi per causa tua!… Ah! sventurata, come hai potuto condurre una vita così peccaminosa? in quale stato è la povera anima tua!,.. Dio mio! Vi ringrazio di non avermi fatto servire di esempio agli altri! „ Abbandonò il mondo, andò a seppellirsi in un chiostro per tutta la vita, e morì da santa. Ah! F. M., quanti peccatori furono convertiti da simili esempi! Mio Dio! bisogna che i nostri cuori siano duri ed insensibili poiché nulla ci commuove, e viviamo forse nel peccato, senza pensare ad uscirne! Ah! F. M., abbiamo motivo di temere che quando vorremo tornare a Dio, non lo potremo: Dio in punizione dei nostri peccati, ci avrà abbandonati. Voglio mostrarvelo con un esempio. Leggiamo nella storia, che un uomo era vissuto lungo tempo nel disordine. Convertitosi, ricadde poco dopo negli antichi peccati. I suoi amici, assai addolorati, fecero il possibile per ricondurlo a Dio; egli prometteva sempre ma non si risolveva. Gli dissero che si teneva un corso di esercizi spirituali nella vicina parrocchia, essi vi partecipavano e ve lo avrebbero condotto, si apparecchiasse dunque. Costui, che da tanto tempo si beffava di Dio e dei loro consigli, ridendo, rispose di sì: venissero puro a prenderlo la mattina del giorno in cui incominciavano gli esercizi, sarebbero andati insieme. Gli amici non mancarono d’andare a cercarlo, sperando di ricondurlo a Dio; ma entrati nella sua stanza, lo videro disteso cadavere sul letto: era morto, la notte, di morte improvvisa senz’aver tempo né di confessarsi, né di dare il minimo segno di pentimento. Ahimè! F. M., dove andò questa povera anima che tanto aveva disprezzato le grazie di Dio?

II. — Ho detto che è assai utile pensare alla morte:

1° per farci evitare il peccato ed espiare quelle colpe che abbiamo avuto la disgrazia di commettere;

2° per distaccarci dalla vita. S. Agostino ci dice che non bisogna solamente pensare alla morte dei martiri, nei quali, per una grazia mirabile, la pena del peccato divenne come istrumento di merito, ma alla morte di tutti gli uomini. Questo pensiero della morte sarebbe per noi uno dei più potenti mezzi di salute, ed uno dei più grandi rimedi dei nostri mali, se ne sapessimo ricavare i vantaggi che la misericordia divina vuol procurarci col castigo che la sua giustizia esige da noi. Noi siamo condannati a morire solo perché abbiamo peccato (Rom. V, 12); ma ci dovrebbe bastare, per non peccar più, il pensare spesso alla morte, come dice lo Spirito Santo (Eccli. VII, 40). Tre altri effetti, produce in noi, F. M., il pensiero della morte:

1° ci distacca dal mondo;

2° trattiene le nostre passioni;

3° ci impegna a condurre vita più santa. Se il mondo, F. M., può ingannarci per un po’ di tempo, quest’inganno non durerà certamente sempre; perché è indubbio, che le cose tutte del mondo non hanno forza contro il pensiero della morte. Se pensiamo che in pochi minuti avremo dato addio alla vita per non ritornarvi più! L’uomo che ha la morte sempre presente allo spirito non può considerarsi sulla terra che come un viaggiatore, che vi è solo di passaggio, e lascia senza pena le cose in cui s’incontra, perché tende ad un altro termine, e si avanza verso un’altra patria. Tale fu, F. M., la disposizione di S. Girolamo: comprendendo che una volta morto egli non potrebbe più animare i suoi discepoli cogli esempi delle sue segrete virtù, volle, morendo, lasciar loro sante istruzioni : “Figli miei, se volete al pari di me non aver nessun rimorso alla vostra morte, abituatevi a distaccarvi da tutto durante la vita. Volete temer nulla in quel terribile istante? Non amate nulla di quanto dovrete abbandonare. Quando si è ben disingannati del mondo e di tutte le sue illusioni, quando sono da noi disprezzati i suoi beni, le sue false dolcezze e le promesse folli; quando non s’è posta la felicità nel possesso delle creature, non costa fatica il lasciarle e separarsene per sempre.„ Condizione felice, esclamava questo gran santo, quella d’un uomo che pieno di giusta confidenza in Dio, non si trova legato da alcun attacco al mondo ed ai beni della terra! Ecco, F. M., le disposizioni alle quali ci conduce il pensiero della morte. Il secondo effetto che il pensiero della morte produce in noi è quello di frenare le nostre passioni. Sì, F. M., se siamo tentati, basta pensar alla morte, e subito sentiremo cessare la passione: era questa la pratica dei santi. –  S. Paolo ci dice che egli moriva ogni giorno (1 Cor. XV, 31). Nostro Signore, mentr’era ancora sulla terra, parlava spesso della sua passione (Matt. XVI, 21 segg.). S. Maria Egiziaca, quand’era tentata, pensava subito alla morte; e tosto la tentazione cedeva (Vita dei Padri del deserto. San Zosimo e santa Maria Egiz.). S. Girolamo aveva questo pensiero assiduo, come il respiro. Ricordasi nella vita dei Padri del deserto, che un solitario il quale aveva vissuto qualche tempo nel gran mondo, tocco dalla grazia, andò a seppellirsi in un deserto. Il demonio non cessò di ricordargli la giovane per la quale aveva nutrito un amore peccaminoso. Poco prima ch’ella morisse, Dio glielo fece conoscere. Uscì dalla sua solitudine, andò a visitarla. Si stava per seppellirla: s’avvicinò al feretro, le scoprì il viso, la toccò con un fazzoletto, poi ritornò nel deserto, ed ogni volta che era tentato, prendeva il fazzoletto, lo osservava attentamente, poi diceva a se stesso, rappresentandosi l’orrore di quella povera creatura: ” Insensato che sei, ecco il dolce pegno dell’oggetto che tanto amasti a danno dell’anima tua; se, ora, non puoi sopportare l’orribile fetore che uscì dal corpo di quella creatura, quale follia fu dunque la tua di averla amata peccaminosamente durante la sua vita, con pregiudizio della tua salvezza; qual accecamento sarebbe il tuo di pensarvi ancora dopo che essa è morta! „ S. Agostino ci dice che quando si sentiva portato violentemente al male, la sola cosa che lo trattenesse ora il pensare che un giorno morrebbe, e che dopo la morte verrebbe giudicato. “Parlavo spesso al mio caro amico Alipio, quando m’intrattenevo con lui, di ciò che doveva formare la differente porzione dei buoni e dei cattivi, e gli confessavo che malgrado quello che potevano avermi detto altre volte gli empi, io ho sempre creduto che nell’ora della nostra morte Dio ci domanderà conto di tutto il male fatto durante la nostra vita. – Si narra nella storia dei Padri del deserto, che un giovane solitario disse ad un vecchio cenobita: “Padre mio, che cosa debbo fare quando sono tentato, specialmente contro la santa virtù della purità? „ — “Figlio mio, risposegli il santo, pensate subito alla morte ed ai tormenti riservati agli impudici nell’inferno, e state sicuro che tale pensiero scaccerà il demonio. „ S. Giovanni Climaco ci dice che un solitario, il quale aveva sempre il pensiero della morte impresso nel suo spirito, quando il demonio voleva tentarlo per indurlo a rilassarsi, esclamava: “Ah! disgraziato, ecco che stai per morire, e non hai ancora fatto nulla che meriti di essere presentato a Dio. „ Si, F. M., chi vuol salvar l’anima propria, non deve mai dimenticare la morte. Il pensiero della morte ci suggerisce altresì pie riflessioni: ci mette tutta la nostra vita davanti agli occhi: pensiamo allora che quanto ci rallegra durante la vita, secondo il mondo, ci farà versar lagrime all’ora della morte; tutti i nostri peccati, che non debbono mai cancellarsi dalla nostra memoria, sono altrettanti serpenti che ci divorano; il tempo che abbiam perduto e le grazie da noi disprezzate: tutto ci sarà messo sott’occhio alla morte. Dopo questo, è impossibile non impegnarsi a vivere meglio, e abbandonare il male. Si narra nella storia, che un moribondo, prima di rendere l’ultimo sospiro, fece chiamare il suo principe, al quale era stato servo fedelissimo per molti anni. Il principe accorse con premura: “Domandatemi, dissegli, tutto ciò che vorrete, e state certo d’ottenerlo. „ — “Principe, gli disse il povero moribondo, non ho che una cosa da domandarvi: un quarto d’ora di vita. „ — Ah! amico mio, rispose il principe, non è in mio potere, domandatemi ogni altra cosa, e ve la concederò.,, — “Ah! esclamò l’ammalato, se avessi servito Dio come ho servito voi, non avrei un quarto d’ora di vita soltanto, ma un’eternità. „ Lo stesso rimorso provò un uomo di lettere, quando fu presso a lasciar la vita senza aver pensato a salvare l’anima sua: Ah! insensato che sono, ho scritto tanto pel mondo e niente per la mia anima: bisogna morire, non ho fatto nulla che possa rassicurarmi, e non v’ è più rimedio; non vedo niente nella vita mia che meriti di essere presentato al buon Dio. „ Felice lui, F. M., s’egli stesso almeno approfittò di questo, cioè de’ suoi buoni sentimenti.

III. — Ecco le riflessioni che il pensiero della morte deve produrre in noi: se trascuriamo di prepararvici, saremo separati per tutta l’eternità dalla compagnia di Gesù Cristo, della Vergine, degli Angeli e dei santi, e saremo costretti a passare l’eternità coi demoni, a bruciar con loro. Leggiamo nella vita di san Girolamo, che una lunga esperienza avea reso così sapiente nella scienza della salvezza, che quand’era sul letto di morte, fu pregato dai suoi discepoli di lasciar loro, come per testamento, quella verità della morale cristiana, di cui si sentiva più vivamente persuaso. Che cosa pensate voi che rispondesse il grande e santo dottore? “Sto per morire, disse loro, la mia anima è appena sulla estremità delle mie labbra: ma vi dichiaro, che di tutte le verità della morale cristiana, quella della quale sono più convinto, è che difficilmente, su centomila persone che avranno vissuto male, se ne troverà una sola salva, dopo aver fatto una buona morte, perché per morir bene, bisogna pensarvi tutti i giorni della propria vita. E non crediate che questo sia effetto della mia malattia: ve ne parlo coll’esperienza di oltre sessant’anni. Sì, figli miei, a fatica fra centomila persone che avranno vissuto male, ve ne sarà una sola che faccia una buona morte! Figli miei, niente ci aiuta meglio a viver bene quanto il pensiero della morte! „ – Che cosa concludere da tutto ciò? F. M., eccolo: se pensiamo spesso alla morte avremo gran cura di conservare la grazia di Dio; se abbiam la sventura d’averla perduta, ci affretteremo di riacquistarla, ci distaccheremo dai beni e dai piaceri del mondo, sopporteremo le miserie della vita con spirito di penitenza; riconosceremo che è il buon Dio Colui che ce le manda per espiare i nostri peccati. Ahimè! dobbiam dire dentro di noi, corro a grandi passi verso l’eternità: d’un tratto non potrei più essere di questo mondo Dopo questo mondo, dove passerò la mia eternità?…. Sarò in cielo o nell’inferno? Ciò dipende dalla vita che avrò condotta: sì, giovane o vecchio, penserò spesso alla morte, per prepararmivi di buon ora. – Felice, F. M., chi sarà sempre pronto! È la felicità che vi auguro!

LO SCUDO DELLA FEDE (172)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VIII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

II. — Il mistero della SS. Trinita.

D. Qual è il più grande dei misteri?

R. È il mistero della SS. Trinità. Esso ha per effetto di sopraelevare la nozione di Dio, e di portarla assai oltre a ciò che potrebbero concepire le più potenti intelligenze.

D. In che cosa la mozione di Dio è sopraelevata per via della Trinità?

R. In ciò che, per la Trinità, Dio prende vita, invece di offrirsi come una grande X nella formula del mondo; in ciò che « rimanendo unico, non è più solitario secondo la felice formula d’Ilario di Poitiers; in ciò che, vedendo l’universo materiale e l’universo spirituale come un sistema di scambi, noi ne ritroviamo il tipo meglio definito, più perfetto negli scambi interni che ci si descrivono. Il Dio trino ed uno è come un universo eterno, necessario, infinito e vivente. Egli è la Realtà della quale ciò che noi chiamiamo universo in certo modo non è che una proiezione molteplice e fragile. Lo spandersi di Dio nella natura, non è che lo espandersi di Dio in se stesso che le relazioni trinitarie ci fanno percepire. La teodicea, senza essere alterata, è così trasportata sopra un nuovo piano e si apre in una regione meravigliosa, chiusa al « Dio dei filosofi e dei sapienti ».

D. Il Dio di Aristotile e di Platone non è già sublime?

Il Dio di Platone è grande, e a quello che egli dice dell’amore supremo aggiungendo le parole di Aristotile che definisce Dio il Pensiero del Pensiero, si avrebbe già una trinità in abbozzo.

D. La tua Trinità non verrebbe forse appunto da queste sorgenti remote, attraverso al filtro alessandrino?

R. Non vi è dubbio che le dottrine platoniche abbiano influito sopra i sistemi trinitari di spiegazione; ma l’origine del dogma ê tutt’altra, e non ha niente di metafisico. La Trinità ci è stata consegnata come un fatto; la dichiarazione di questo fatto per mezzo di Gest Cristo fu un affatto occasionale, tratta dalla necessita di definire la persona del Redentore e le condizioni dell’opera sua. La formula di missione usata da Gesù mentre disperdeva i suoi apostoli: « Andate e insegnate a tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo, dimostra bene il carattere pratico, costitutivo, rituale delle sue dichiarazioni trinitarie, che solo più tardi saranno sistemate e daranno luogo a un dogma, poi a una filosofia.

D. Dove si trova, nella Scrittura l’espressione più viva della Trinità?

R. In S. Giovanni, c. XIV, dove Gesù racconta, per così dire, la vita delle tre Persone tra loro e nell’anima dei veri Cristiani.

D. Sembra assai difficile vedere nella Trinità altro che dei modi di pensare Dio, dei punti di vista sopra Dio, come si dice: Dio potenza è il Padre; Dio sapienza è il Figliuolo, e Dio amore, lo Spirito.

R. Non è questo. In tali condizioni, non si parlerebbe di Persone.

D. Allora si tratta di emanazioni, e solo il Padre è Dio.

R. Non si tratta di emanazioni fuori di Dio; ma di emanazioni (o di processioni, secondo la parola consacrata) in Dio stesso. La vita di Dio si espande dentro come in tre centri di scaturigine, in tre termini di relazioni interiori, in tre io ugualmente divini. Il Padre è Dio fecondo secondo lo spirito; è la sua fecondità; è Dio stesso. Il Figliuolo è il frutto divino di questa fecondità di spirito, Verbo mentale, Idea reale, Assioma eterno, avrebbe detto Taine, e lo aveva sospettato anche Taine, è in Dio un soggetto sussistente; è Dio stesso. Lo Spirito Santo è il frutto della compiacenza che unisce il Padre e il Figliuolo, l’Intelligenza e l’idea, il Verbo e Colui che lo dice; perché il Verbo, espressione dell’infinito, infinito Lui stesso, implica un attraimento reciproco donde scaturisce l’amore. E questa compiacenza di Dio per Dio è altresì identica a Dio; essa è Dio, perché è essenziale e perfetta.

D. Come la perfezione può avere effetto la moltiplicazione?

R. Se il mio pensiero mi diventasse intimo e adeguato al punto di essere identico a me, e se la mia compiacenza in me stesso avesse la stessa intimità e la stessa perfezione, io diventerei trinità, e non ne sarei se non maggiormente uno, più semplicemente e indivisibilmente me stesso. Colui che conosce porta in sé idealmente quello che egli conosce; colui che ama porta in sé affettivamente, in impressione, quello che egli ama: se è me stesso che io conosco ed amo, dunque io sono in me triplicemente: per il mio essere, per la mia concezione di me stesso, per il mio amore. Se non che, una sola di queste tre cose è me sostanzialmente; le altre non sono che accidenti della mia sostanza. In Dio, dove nulla è accidentale, dove tutto è Dio perché tutto è perfetto, il pensiero è sostanziale, l’amore è sostanziale, ed essi sono Dio senza cessare di essere pensiero, amore, distinti dalla sorgente da cui procedono secondo che ne procedono identici ad essa secondo tutta la positività d’un essere comune.

D. Intendi con ciò di spiegare la Trinità?

R. La Trinità non si spiega; si può solo vedere, Un giorno la vedremo; intanto la esprimiamo, senza la minima pretesa esplicativa e soprattutto dimostrativa.

D. Almeno bisognerebbe allontanarne la contraddizione, che a prima vista appare manifesta.

R. Nella nozione del Dio trino ed uno non vi sarebbe contradizione a meno che il tre e l’uno si riferissero allo stesso termine. Ora noi diciamo: Una sostanza, tre persone, come diremmo: Un albero e tre rami; un vivente e tre organi; un’anima e tre facoltà, etc. l’unità nella pluralità, anziché importare una contradizione, sembra la legge e la misura di perfezione di tutte le cose naturali; l’accrescimento di questa contradizione apparente è la legge stessa del progresso. Alla sommità, non recherà meraviglia trovare la più perfetta unità, e anche la più perfetta pluralità perché è la più semplice, la più completa, la meglio chiusa sopra Se stessa, cioè la trinità. Non è forse noto che la pluralità trinitaria tiene in questo mondo un posto privilegiato? Si potrebbero fornire miriadi di esempi, sia nelle realtà materiali, sia nell’anima, nella famiglia e fino nella logica, dove il sillogismo ne offre un’espressione smagliante. Non vi è nulla da stupirsi che in Dio si trovi, certo ineffabilmente, ma, riflesso in gualche modo, il piano della sua Creazione.

D. Si, ma tu sostieni nello stesso tempo la semplicità di Dio. Ora come dire semplice quello che è trino, e come dire semplice quello che è uno da una parte, trio dall’altra, specialmente sé l’unità e la trinità sono perfette?

R. Noi affermiamo in Dio il massimo di unità; vi troviamo anche il massimo di distinzione, che è l’opposizione di persona a persona. Io non mi incarico, ancora una volta, di spiegarti il mistero, di descriverti « questa unità così inviolabile che il numero non vi può portare divisione, e questo numero così ben ordinato che l’unità non vi mette confusione » (BOSSUET). Ma alla tua difficoltà precisa, io rispondo: Essa non avrebbe corso salvo che in Dio l’uno e il molteplice fossero ugualmente positivi. Ma, di positivo in Dio, non vi ê chela sua sostanza, o il suo essere, cioè l’unità; la molteplicità delle persone è costituita da pure relazioni. Ho già detto che la parola persona dev’essere corretta quando si applica a Dio. Del resto, persone, relazioni, ricoprono ugualmente dei misteri.

D. Ti preme che non si comprenda?

R. « Se tu comprendi, non è quello », dice $. Agostino. Parlando di Dio, non sarebbe possibile eliminare il mistero. Che se per sfuggirlo si rifiuta la Trinità, lo si ritrova per la sua assenza. Come concepire Dio altrimenti che pensante, amante e beato? E come concepire, in Lui, un pensiero e un amore che non siano Dio stesso, e tuttavia distinti? Come concepire per Dio una felicita senza società, senza scambi, una felicità legata a quella spaventosa solitudine che sembrerebbe essere quella di un Dio senza universo — cosa eminentemente possibile — ed anche con un universo, che invero non gli aggiunge niente? Tuttavia la più severa delle filosofie non cristiane, quella di Aristotile, ha affermato la felicità di Dio, e ha definito Dio il Pensiero del Pensiero. Si può immaginare questo ritorno di Dio sopra Se stesso senza una certa molteplicità interiore, dove tuttavia l’unità eterna non s’interrompe? In fondo, quello che noi affermiamo è semplicemente la vita divina, la vita che consiste nell’individualizzare il suo pensiero perché esso sia perfetto, nell’individualizzare il suo amore perché esso sia perfetto. Il Dio Vivente, l’unità vivente, ecco la Trinità.

D. Pare che tu sprezzi l’universo come manifestazione di Dio, come vincolo di società con Dio.

R. Io non sprezzo niente quando Dio lo trova buono e lo fa. Ma è certissimo che l’attività di Dio non potrebbe avere il suo pieno effetto nella creazione contingente e imperfetta; essa si manifesta per mezzo del Figliuolo e dello Spirito Santo, nella stessa Divinità. L’arte divina non può esaurirsi e la paternità divina soddisfarsi se non nel Verbo, suo uguale e suo Figliuolo consostanziale, e solamente per lo Spirito contentarsi l’eterno amore.

D. Concepisci tu le tre Persone come operanti ciascuna a parte, e richiedono esse un culto a parte?

R. Ciascuna Persona, essendo Dio, merita l’adorazione; si adorano dunque tre Persone. Nondimeno l’adorazione è una, Laus tamen una. Quanto all’azione divina, essa è realmente una, poiché è la manifestazione dell’essere divino, che è uno; ma si usa appropriare una data natura d’azione a una data Persona divina che ne è il prototipo, come le azioni di sapienza al Verbo, come le opere di amore all’Amore vivente,

D. Ammetti realmente una grande importanza alla dottrina della Trinità?

R. Certamente! quale luce su Dio! quale modo decisivo di eliminare il Dio astratto, il Dio primo organismo del mondo, e di accendere la vita spirituale alla fiamma del Dio vivo!

D. Non è forse troppa vita, voglio dire una vita troppo umana?

R. La Trinità si oppone a un politeismo antropomorfico, e nello stesso tempo a un deismo freddo.

D. Il Dio d’amore è per te il Dio-Spirito?

R. Si, e per questo Dio arde, nel medesimo tempo che illumina, nel medesimo tempo che attrae. L’Amore, questa forza gloriosa che parte dal Padre verso il suo Uguale e  rimbalza tutta viva, attraversa nel suo slancio tutta la creazione; allaccia tutto al Padre e al Figliuolo, e compie tutte le cose, come compie Dio.

D. In tal condizioni, la Trinità deve tenere nel tuo dogma un posto eminente.

R. Già ti ho detto che essa è al centro di tutto. Come osserva il Catechismo del Concilio di Trento, essa fornisce gli “articoli”, cioè le articolazioni del Credo. Parte prima: Dio Padre e Creatore; parte seconda: Dio Figliuolo e Redentore; parte terza: Dio Spirito e Santificatore. La santificazione suppone la redenzione, questa l’incarnazione, questa la Trinità. Abbiamo già contato e conteremo ancora gli anelli di questa catena.

D. E praticamente?

R. Nella vita cristiana, tutto si fa nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Ogni preghiera rituale invoca la Trinità esplicitamente, e ogni preghiera privata vi si riferisce. Il Battesimo è conferito nel suo nome, il Gloria Patri, et Filo et Spiritui Sancto è il ritornello dei brani liturgici, e il Gloria in excelsis ne forma un sublime canto.

D. Tuttavia l’estetica del Dio uno tal quale il muezzin lo annunzia dall’alto del minareto mi apparisce superiore.

R. Quando si ascolta il muezzin o si legge il corano, si ha l’impressione di passare sotto un grande arco. Quando invece risuona il Credo o il Simbolo di S. Atanasio, si crede di camminare sotto le stelle.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (46)

IL SACRO CUORE (46)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi; LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO SECONDO

DIFFUSIONE DEL CULTO

SECOLI XI E XV

Sguardo generale; le anime privilegiate; pratiche e favori.

La Vigna mistica, santa Mechtilde e santa Gertrude riassumono, si può dire, la divozione col sacro Cuore, come la conobbe e praticò il Medio Evo. Ciò, a rigore, potrebbe dispensarci dal raccogliere i testi che riguardano il sacro Cuore e citare i nomi di quelle anime privilegiate che, in quel periodo, furono in intima comunicazione col cuore di Gesù. Si hanno già liste numerose e ogni giorno vi si aggiungono, ora dei testi, ora dei nomi (Vedi sopratutto: FRANCIOSI, opera citata. Cf. pure: BARUTEIL, La Genése du culte du Sacré Coeur, Paris 1904, p. 13-17, et p. 69-94; GALIFFET, Addition au livore Il, art. | e N ; Nittes, 1. 1, part. III, c.1; Tkomas, 1. 2, c. 3. Nel Le Régnue du Coeur de Jésus, t. IV, p. 441-488; una doppia lista di serittori che hanno parlato del sacro Cuore, e delle sante anime divote del sacro Cuore, dal secolo XI al XVII — Per i Framcescani, vedi il P. HENRI e GRÊZES; per i Certosini Don Boutrais. Molti dei fatti e dei testi riguardano piuttosto l’amore e la ferita del costato che il cuore simbolo.). – Senza obbligarci a riferir tutto, segnaleremo quei tratti che ci sembrano più caratteristici. Prima, però, di venire ai particolari, diamo una rapida idea del soggetto. Dal XIII al XV. secolo, il culto si propaga; ma non si vede che esso si sviluppi. Il più sovente si rivolge alla ferita del cuore, qua e la va al cuore indipendentemente dalla ferita, riguardando il cuore come l’organo della vita affettiva e simbolo dell’amore. I favori compartiti ai privilegiati, sono: di essere ammessi ad appoggiare le labbra sulla ferita del costato, per succhiarne l’amore e le ricchezze del cuore: di penetrare in questo cuore, per riposarvi come in un’oasi, per trattenervisi come in un bel giardino, per immergervisi come in una fornace d’amore e di purezza; d’essere infiammati da una scintilla, uscita da quel cuore; di cambiare il proprio cuore, con quello di Gesù, e di non vivere, per così dire, che per il divin Cuore; di sentirsi uniti a Lui, per lodare Dio, o di poterlo offrire al Padre celeste, come bene proprio, di trovarvi un asilo sicuro contro gli assalti del demonio, e persino un rifugio contro la collera stessa di. Dio. Il simbolismo, lo si vede bene, occupa un gran posto in questi favori e visioni, e ci mostra sempre più quanto Gesù ci ha amato, Come veramente sia nostro, e come possiamo e dobbiamo amarlo in ricambio. Una parola di Gesù a santa Caterina da Siena riassume l’idea dominante della divozione. Essa gli diceva un giorno: « Dolce Agnello, senza macchia, voi eravate morto quando il vostro costato fu aperto; perché dunque avete voluto che il vostro cuore fosse così ferito ed aperto? ». Egli rispose: – « Per molte ragioni; di cui ti dirò la principale. Il mio desiderio, riguardante. la razza umana, era infinito, e l’atto attuale della sofferenza e dei tormenti, era finito. Con questa sofferenza, Io non potevo dunque manifestarvi quanto vi amassi, perché il mio amore era infinito. Ecco perché ho voluto rivelarvi i segreti del cuore, facendovelo vedere aperto. E perché comprendiate bene che esso vi amava assai più di quello che Io avessi potuto provarvi con un dolore che doveva aver fine » (Dialogo di santa Caterina da Siena. Terza edizione, Parigi, 1913. 2° risposta, 2a c. XLV, (75), p- 233- La vita di questa santa offre un esempio interessante dello scambio del Cuore. –  H P. Gautierer L. IL, aggiunta, art. 1, p- 107-109, ha trascritto il racconto, molto vivo e circostanziato, che fa il B.to RAIMONDO da Caprua, confessore e storico della beata. Ci si accorda nell’intendere di una impressione vera, quella che i soggetti dicono, in simili casi, della realtà delle cose. Cf.: TERRIEN, lib. III c. II, p. 187. Boudon nel secolo XVII, raccontando un caso analogo, aggiunge: « Non è già che noi pensiamo che si sia fatto un cambio materiale ma solo che Egli, (Gesù) si consacrò (il cuore della sua serva) con una nuova santificazione, unendolo al suo divin cuore, fornace immensa del puro amore, abisso di una carità infinita e sorgente di tutte le benedizioni ». L’amour de Dieu seul, ou Vie de le soeur Marie-Angéligue de la Providence, 3a parte, c. VII Oevres complétes de Boudon, Paris, 1856 (ediz. Migne), t. III, p. 721. La stessa nota fa il P. Jacouer, Oblato di Maria Immacolata, nella sua Sainte Lutgarde ou la Marguerite Marie belge, Jette, Bruxelles, 1907, p. 55-56. Cf.: ibid, p. 68, nota). – Per precisare questa veduta generale, sembra utile di raccogliere i fatti o i testi pit salienti e pit significativi, d’indicare a grandi linee il progredire della divozione e di ricrearne le tracce principali! Per essere meno incompleti, ritorneremo un poco sui nostri passi, per raccogliere gualche spiga che non potemmo mettere nel nostro covone nel capitolo precedente (Ve ne sono molte più in FRANCIOSI, nel P. HENRI DE GREZES – Ma questi autori precisano poco; appena si fa questione della piaga del costato e del cuore di Gesù; accade anche più d’una volta P. Henri de Grezes di tradurre per cuore le parole latus, costatum, pectus, ecc. che non hanno questo senso preciso).

II.

CISTERCIENSI E BENEDETTINI

Santa Ludgarda. La venerabile Ida.

Bisogna segnalare, da prima, santa Ludgarda (1182-1246). Più di una volta nella sua vita si fa questione del sacro Cuore. Si esagera, tuttavia, quando si vuol farne cinque secoli innanzi e la Margherita Maria Belga. È già molto che ella abbia avuto con Gesù, amantissimo e amabilissimo, qualche cosa di quelle relazioni intime che abbiamo già ammirato in Mechtilde e in Gertrude, le sorelle cadette della vergine di Saint Trond e d’Aywières. Il fatto più saliente è il dono reciproco dei cuori. Dio le aveva accordato la grazia di guarire i malati. Si accorreva dunque a lei, e ne rimaneva molto molestata nelle sue preghiere. Ella disse al Signore: « a che scopo, Signore, questa grazia che m’impedisce spesso di trattenermi intimamente con voi? Toglietemela; ma in modo da cambiarmela in meglio « E il Signore: « Che cosa vuoi, le rispose, in cambio di questa grazia? » Ed essa: « Vorrei, per mia maggior divozione, comprendere il mio Salterio. » E così fu. Poi prevedendo che questa grazia non le dava tutto il profitto che ne aveva atteso…, disse ancora al Signore: « E a che cosa serve, a me ignorante, sempliciotta e illetterata, di conoscere i segreti della Scrittura? » – « Che vuoi tu dunque ? », Rispose il Signore.  « Voglio il vostro cuore. » – « Sono piuttosto io che voglio id tuo ». – « Cosi sia, Signore, ma temperate alla misura del mio cuore l’amore del cuore vostro, e che in Voi io possegga sempre il mio cuore, messo al sicuro sotto la vostra custodia (Vita seritta da TOMMASO DI CANTIMPRÉ, C. 1, n. 12, Acta Santorum t. XXIV, giugno t. IV ad diem 14, p: 193; Francios, col. 187 Vi si trovano molti altri tratti che si riferiscono più o meno direttamente, alla nostra divozione. H P. ALET nella France et le Sacre-Caur, p. 200, racconta un tratto simile della Beata Giovanna de Maillé, con un vago richiamo ai Bollandisti.). – Un’altra Cisterciense, la venerabile Ida (1247-1300), vide un giorno Nostro Signore, andare a lei; Egli le mostrava il petto del Signore, e l’invitava ad avvicinarsi a Lui con prontezza onde bere a questa deliziosa sorgente – de pectore suo mellifluo. – Questa volta, pertanto, Ida non si accostò al petto del Signore … ma, altre volte, spesso anzi molto spesso, in rapimenti simili, mentre era fuori dai sensi, entrò nella cella binaria e … bevve alla sacra sorgente del petto del Signore (de sacro…. Dominici pectoris fonte potaverat – Vita, 2, c. 1., n. 4. Acta sanctorum, t. II. Apr.t. II, ad diem 13, p. 173. Franciosi, col. 210). Questi due esempi bastano per dimostrare la divozione al sacro Cuore, nella. grande famiglia benedettina e cisterciense, e ne abbiamo già veduti molti altri nel capitolo precedente, cioè: san Bernardo e i suoi discepoli, santa Mechtilde e santa Gertrude.

III.

I FRANCESCANI

Le cinque piaghe e il sacro Cuore. Cantici Francescani. Jacopone. Stimulus amoris et Philomena. Margherita da Cortona. Angela da Foligno. Francesca Romana. Giovanna di Valois. Battista Varani. Ubertino da Casale. Bernardino da Siena. Enrico di Herp.

Nella famiglia francescana si trovano pure delle tracce numerose della divozione al sacro Cuore. Il P. Henry de Grézes, ha scritto un grosso libro con testi ed esempi. Abbiamo già parlato di san Bonaventura; raccoglieremo ora qualche altro fiore nel giardino di san Francesco. Il più sovente non vi si ritrova la devozione al sacro Cuore così direttamente come nelle sante Mechtilde e Gertrude; è piuttosto, una divozione ardente e espansiva alle cinque piaghe, specialmente alla piaga del costato, spesso alla piaga del cuore e, per conseguenza, al cuore ferito col molteplice simbolismo che vi si riferisce. L’ordine di san Francesco si distinse subito per la divozione alle cinque piaghe. In questa divozione quella del costato attirava naturalmente l’attenzione, e nella piagha del costato è così facile fermarsi a considerare il cuore ferito, ferito d’amore per noi, come lo era stato dalla lancia del soldato. Si sa che Nostro Signore, fece vedere in una visione alla nostra beala Margherita Maria san Francesco d’Assisi come uno dei più grandi favoriti del suo sacro Cuore e glielo dette per guida e come un pegno del suo amore divino (Contemporaines, t. V, p. 254 (282); G. n. 254, pag. 249; Cf. t. II, pag. 161).

Sino dal XIII secolo si cantava fra i francescani: Riguarda un poco, e vedi

Com ‘io sto per amore, Ho trapassato il cuore Con una lanza …

Mio cor tuo cuor desia. Mi fai d’amor languire. Frettati a me venire, Dammi il core (2).

(2) Citato dal P. HENRI, pag. 41. Si continuò per lungo tempo a cantare queste e altre strofe simili, come composte da S. Francesco. La B.ta Battista Varani racconta questo tratto grazioso. Nel secondo venerdì che tenne dietro al nostro ingresso in monastero, io stava con suor Costanza. Essa filava accanto al fuoco, mentre io cuciva…, ed essa a un tratto si pose a cantare questo cantico del nostro Padre s. Francesco. « Alma benedetta dall’alto Creatore ». Io replicai, e dopo avere ascoltato la prima strofa, cantai la seconda. Quando ella venne a queste parole: Risguarda quelle mani, Risguarda quelli piedi, Risguarda quello lato », io non potei continuare, la parola mi mori sul labbro e svenni fra le braccia della mia sorella ». CONTESSA DI Ramputeau; ia B. Varani, Parigi 1909, p. 85. Pacheu attribuisce a Iacopone un canto che comincia con gli stessi versi. Le strofe somigliano molto per il pensiero e per il metro a quelle del cantico attribuito a san Francesco dalla Beata Battista Varani, ma i versi sono differenti, – Fra le poesie di Fra Iacopone da ‘Todi (morto nel 1306) più di una fa menzione del Cuor di Gesi. quella che comincia Mirami sposa è una commovente richiesta di Gesù in croce dell’amore dell’anima sua Sposa. « Guardami un istante …. sulla croce, dove soffrì così crudelmente, per darti il mio fuoco divino…. Tu sei scritta nel mio cuore con lettere di sangue…. Il mio amore per te mi costrinse a venire nel mondo; e il mio cuore santo e puro non indietreggio dinanzi alla morte! Le mie mani e i miei piedi, la mia testa insanguinata sono, lo vedi, fra brandi pene:; ma la mia pena più grande è che tu veda il dolore mio…. di me tuo Redentore, e che tu ne faccia meno caso che di un fuscello ». La risposta dell’anima é una risposta d’amore. « E a chi dunque devo io darmi se non a te, Sposo mio? Che solo in te speri e che il tuo amore cui consumi » (Cf.: Pacheu, Iacopone da Todi, p. 156-158). Senza fermarci a rilevare quel che nell’opera di lacopone ha relazione col sacro Cuore, citiamo ancora un passo. Il poeta, ebbro d’amore, dice a Gesù che gli chiede di moderarsi: « Perché dunque mi conduci a una tal fornace d’amore, se tu vuoi che io sia temperante? …. Dandoti a me, in siffatto modo, senza misura, tu togli a me ogni misura…. Se qui vi è qualche colpa, ê tua, Amore, e non mia, poiché questa strada ê stata tracciata da te, o Amore. Tu non hai saputo difenderti dall’amore. È l’amore che dal cielo ti fece venire sulla terra …. (fin qui ti abbassasti!) Tu non volesti avere né dimora, né terra; ma la povertà per arricchirci. In vita e in morte tu mostrasti, in modo ben certo, l’amore senza misura che ti ardeva nel cuore… Dunque, o Gesù… perché mi rimproveri se son pazzo (d’amore)…. poiché l’amore ha legato te stesso sì fattamente come privato di ogni grandezza.» (Amor di caritate, I c., p. 248-252.). Chi vorrebbe contestare che in tutto questo vi sia, più o meno distinto, della divozione al sacro Cuore (il Cuor di Gesù vi è menzionato più volte), quando lo spirito della divozione animava sì visibilmente queste strofe infiammate? Vi sarebbe molto ancora da spigolare, non solo sulla piaga del costato, ma sul sacro Cuore medesimo, nei sermoni che circolano sotto il nome di sant’Antonio di Padova (1195-1231). Accontentiamoci di qualche. citazione, secondo Henry de Grèzes, che, senza garantire le edizioni di cui si serve, si è però assicurato che i passi che indica si trovano nel testo autentico delle opere del santo (L. c., p. 48. I testi che citiamo, sono sparsi nelle pagine 52 e 62 del P. Henry. Per quanto è possibile, abbiamo riferito quelli il cui testo latino mi è stato accessibile, sia nel P. Henry, sia in Franciosi, col. 180-182). « Egli ha dato per te il suo cuore sulla croce, ed è perciò che Egli ha voluto avere il cuore ». « Cor suum dedit in consumationem operum » (52). « Egli ha aperto alla sua colomba il suo cuore, perché vi si nasconda. Nascondendosi nelle cavità della pietra, la colomba si mette al riparo dalle insidie dell’uccello di rapina; e, nello stesso tempo, si prepara una dimora tranquilla, ove riposa dolcemente, e dove può gemere in pace. E l’anima religiosa troverà nel cuor di Gesù un asilo sicuro contro tutte le macchinazioni di satana e un ritiro delizioso. Non ci accontentiamo dunque di rimanere nel limitar della grotta, ma penetriamo nel profondo. All’ingresso della grotta, alle labbra della ferita, troviamo pur sempre, è vero, il sangue che ci ha riscattato …, ma l’anima religiosa non deve fermarsi lì…. Ma vada sino alla sorgente, da cui scorre quel sangue, nella parte più intima del cuor di Gesù. Là troverà luce, consolazioni, pace e delizie ineffabili. E là, nella cavità profonda della pietra, siate come la colomba che costruisce il suo nido …. Ma con che cosa costruiremo noi quella nostra dimora nel Cuor di Gesù? » (56, 57). « Vi sono due cose da considerare nel Cristo, che ci strappan le lacrime: l’amore nel suo cuore, il dolore nel suo corpo. L’altare d’oro è la carità nel cuore di Cristo » (62). « Tutti questi testi non possono essere attribuiti, con assoluta certezza, a sant’Antonio, ma ci danno dei lumi sulla divozione dei Francescani al Cuor di Gesù e sul modo con cui la predicavano (Insieme con. la nota del P. Henry de Grzes sulle opere di sant’Antonio, bisogna consultare l’Appendice 2.a di Lepitre, S. Antoine de Padoue, Paris, 1901, p. 204-208). Come prova della divozione Francescana bisogna ricordare qualche passo dello stimulus amoris, stato attribuito, per lungo tempo, a san Bonaventura, ma che certamente non è suo, per quanto vi si ritrovino le sue idee e, persino, le sue espressioni (Vedi S. Bonaventure, Opera omnia, Quaracchi 1898, t. VIII, Prolegomena, c. IIl, art. 5, p. CXI, cf, pag. XCIV. Sarebbe di Fra Giacomo da Milano, 2.a metà dél secolo XIII). Qui ancora è la ferita del costato che attira l’attenzione; il cuore non è estraneo al pensiero, ma non è che di passaggio che se ne fa una menzione esplicita: «Io voglio fare tre tende, una nelle sue mani, una nei suoi piedi, ma soprattutto una che sia fissa nel suo costato…. Là io parlerò al suo cuore e otterrò tutto quello che voglio (1,1,634) (Traduco dal testo latino, ediz. Vives, Parigi 1867, t. XIII. Cf. Pungiglione d’amore, tradotto in francese dal P. Ubalpo di ALENCON, 1910, c. XIV, pag. 83,86, c. 18, pag. 33, c. XIII, pag. 75. II P. Ubaldo segue l’ediz. di Quaracchi dove mancano il 3° e il 5° testo). « Nell’eccesso dell’amor suo Egli si è aperto il costato, onde poterti dare il suo cuore » (1,1,635). « Se ti sei liquefatta (liquefacta) al solo udir la sua voce, come non ti sei tutta immedesimata (absorta) in lui entrando nelle sue ferite…. sino al suo cuore? » (2,8,672). « Se tu mediti la sua passione e penetri profondamente nel suo costato, arriverai ben presto al suo cuore. Beato il cuore che si unisce così teneramente al cuore di Cristo » (3,1,677). « Avviciniamoci a questo cuore profondo e immergiamoci tutti e interamente in questa profondità della bontà infinita. Avviciniamoci con fiducia al costato di Gesù; entriamoci » (1,14,657). Egli ha voluto mostrarci l’amore del suo cuore, attraverso l’apertura del suo costato » (3,14,690). – Quest’ultima espressione è, lo abbiamo veduto, la formula fondamentale della divozione al sacro Cuore. La ritroviamo in un poema del Medio Evo intitolato Philomena (forma popolare di Philomela), che pur si attribuisce a san Bonaventura, ma forse a torto (Vedi S. Bonaventura, Opera omnia, Quaracchi 1898, t. VIII, Prolegomena, c. II, art. 1:$ 7,3; p. CIV, CV, Cf. p. 699, nota 3)  « Finalmente Egli ti ha scoperto il suo cuore così tenero, per farti conoscere quanto ti ha amato: Domum suum dulce cor tibi denudavit. Ut sic innotesceret quantum te amavit (Strofa 67, ediz. di Quaracchi, t. VIII, XIV, p.-. 672. Ediz. Vivès, t. p. 165. Si potrebbe citare pure la strofa seguente, sopra tutto la seconda: Cor ignavi siquidem minime perpendit. Ad quid Christus optimum suum cor ostendit, Super alas positum crucis; nec attendit. Quod reclinatorii vices hoc prætendit. L’idea del Cuor di Gesù come reclinatorium (lettuccio?) si trova sino dall’XI secolo. Si riferisce a s. Giovanni, che riposa sul petto del Salvatore. Il testo latino di Taulero ci offre nello stesso senso la parola pulvinar (guanciale, cuscino -). Nel movimento francescano possiamo pur rammentare santa Margherita da Cortona (1242 – 1297), la grande peccatrice che divenne terziaria di san Francesco; la beata Angela da Foligno (1248 – 1309); santa Francesca Romana (1384-1440), che fu terziaria di san Francesco, prima di divenire figlia di san Benedetto, in un monastero fondato da lei stessa; la beata Giovanna di Francia (1404-1505), che fu del Terzo Ordine di san Francesco prima di fondare le suore dell’Annunziazione; la beata Battista Varani, Clarissa, (1458 – 1527). Nostro Signore Apparve un giorno a santa Margherita da Cortona (1247-1297), e le disse: « Metti le tue mani sulle piaghe delle mani mie ». Ella non osava, e rispose: « Oh: no, Signore ». In quel punto si aprì la ferita del costato e, in quell’apertura, ella vide il cuore del suo Salvatore. Allora in un trasporto d’amore (in quo excessu) Margherita abbracciò il suo Signor crocifisso e da Lui fu trasportata al cielo » (Vie, scritta dal suo confessore, c, VI febbraio t. III n. 152, Acta Sanctorum, t. VI, febbraio t. III: ad diem 22, P. 335. Testo latino in FRANCIOSI, col. 208). – Un altro giorno Nostro Signore le chiese: Figlia mia, mi ami tu?» Ella rispose: « Non solo vi amo, Signore, ma vi desidero, e vorrei, se Voi pur lo voleste, esser nel vostro cuore ». E il Signore: « Perché, le disse, se vuoi entrare nel mio cuore, non vi entri per la ferita del mio costato? ». Al che Margherita riprese: « Signore Gesù, se io sono nel vostro cuore, sarò pure nella ferita del costato » (Vie, c. V Acta Sanctorum, I, c. 330, Franciosi, 208). – Un giorno mentre ella Pregava per i Padri dell’anima sua, Nostro Signore le disse:« Dì ai miei Frati Minori, che le loro anime non ritardino di entrare in me per l’amore; perché Io entrerò nelle loro anime con la mia grazia. Con questo intendimento che comincino al mio presepio e continuino la loro meditazione…. sino al supplizio finale della mia passione. Ad ogni sosta delle mie sofferenze considerino l’amore del mio cuore ardente » (Vita, c.IX, n. 285, Acta Sanctorum, 1, c. p. 351 in Franciosi, 209). –  La beata Angela da Foligno (1248-1309) si occupa più, ella pure, della ferita del costato, che del cuore propriamente detto. Certi tratti, pertanto, meritano d’esser notati. Un giorno, dic’ella, « ebbi un sogno, in cui mi fu mostrato il cuore di Cristo, e mi fu detto: In questo cuore non vi è menzogna; tutto vi è verità » (Vie, par ARNAUD, suo contemporaneo, c. I, n.27, Acta Sanctorum, t. I., Gennaio t. l, ad diem 4, p. 189; Franciosi, 229. Cf. Le livre des visions et instructions de la’ B. Angéle de Foligno; Tradotto da Erneest Hello, con Avertissement di GEORGES Goyau, 5.a edizione, Paris 1914, p. 53. La santa aggiunge una spiegazione di cui non si vede il rapporto con la parola di Gesù: « Et hoc videbatur mihi quod acciderat, quia ego feceram quasi. truffas. de quodam pradicatore ». Il P., Henry traduce « Io compresi allora, che questa visione mi era data per mostrarmi la temerità che avevo avuta di criticare ciò che un predicatore aveva detto dalla cattedra, sui misteri del santo Cuore di Gesù ». E conclude che la divozione incontrava qua e là delle opposizioni. Ma è un andare più lungi nei testi). Un’altra volta, fra le altre spiegazioni sulle sue sofferenze, Nostro Signore disse: « Per i peccati del tuo cuore (s’intendono peccati interni d’invidia, collera, ecc.) io ho avuto il cuore e il costato trapassati da una lancia acuta, e ne è uscito un rimedio sovrano contro tutte le passioni e i peccati del cuore » (Vie, c. VI, n. 107; Ibid., p: 203; FRANCIOSI, 229, trad. Hello c. XXV, p. 151). – Santa Francesca Romana. vide un giorno « l’Agnello di Dio e dei bianchi agnellini che scherzavano davanti a Lui e gli facevano umilmente la riverenza. Poi una voce si fece udire: « Se qualcuno, ha sete, che venga a me e beva ». E l’Agnello divino presentava il petto agli agnellini per invitarli a bere alla gran piaga da cui era ferito. E gli agnelli accorrevano dolcemente. La devota serva di Dio vi fu pur condotta. Ella vide nella ferita. un oceano profondo di luce infinita, e, non contenta di bere, avrebbe voluto immergervisi tutta, se le fosse stato permesso. Ma ne fu impedita senza sapere da chi… E intese una voce che diceva: « Io sono questo amore che grida alto: ..Se qualcuno ha sete, che venga e beva; quelli che vengono, Io voglio satollarli e ho aperto il mio cuore per farne il loro asilo » (Vita, 1, II, visione 8, n. 15-16, Acta Sanctorum, t. VIII, marzo, t. Il, ad diem 9, p. 108; in Franciosi, col. 267.). In un altro luogo il suo storico ci dice: « Un giorno ch’ella beveva avidamente alla ferita del costato…, elle vide il cuore del Salvatore ferito da un lato (ex uno latere) dalla lancia » (Loc. cit., n. 17, P. 108 ; Franciosi, l. c.). Un altro giorno ella ebbe una visione analoga: « Nella piaga del costato vi era come un oceano di dolcezza infinita… ed ella intese una voce dolcissima che diceva: « Io sono l’amore fedele che mette l’anima nella verità….. E dalle mie piaghe esce uno splendore siffatto che ella diviene tutta accesa d’amore. E quando l’anima è così infiammata, io la trasformo, ed ella si abbandona tutta al mio amore e alla mia volontà; là trova un abisso di amore e di dolcezza » (Ibid., visione 14, n. 32, p. 112; Franciosi, col. 290). Si vede come siamo vicini al sacro Cuore. Lo tocchiamo quasi. Notiamo, pertanto, che è la piaga del costato che è il centro di tutto; tutti i particolari si coordinano in rapporto ad essa, quelli pure in cui si fa menzione del cuore. In Margherita Maria è il contrario; i particolari sono quasi sempre gli stessi, ma è il cuore che ne è il centro. – Il cuore simbolo si rivela meglio in una visione della beata Giovanna di Valois (1464-1505). Un giorno, « rapita in estasi vide Cristo e la Madre sua che le presentavano…, due cuori. Volendo essa stessa offrire il suo cuore, siccome il Cristo le domandava, ella si mise la mano nel seno e rimase sorpresa nel non trovarvi più il cuore, mentre il dolcissimo Gesù le sorrideva teneramente. E non è meraviglia, aggiunge lo storico, che ella non più lo trovasse, perché unito per l’amore al cuore di Cristo, vi viveva più che nel suo proprio corpo » (Vita, c. III, n. 8, Acta Sanctorum, t. IV, febbraio, t. I, ad diem 4, pag. 583; in Franciosi, col. 290). – Ancor più espressive e veramente degne di beata Margherita Maria sono le visioni della B. Battîsta Varani, Clarissa (1458-1527) ((3) Vedi Conressa. pe Ramsureau, La 8. Varani, Princesse de Camerino, et Religieuse francescaine, Paris, 1906, Si troveranno là quasi tutti i passi tradotti qui letteralmente dal testo latino dei Bollandisti. De Ramsureau rimanda per il testo italiano a Opere spirituali della beata Battista Varani, Camerino, 1894). Ella stessa parla in una relazione scritta nel 1419: « Non è meraviglia, mio dolcissimo Gesù, ch’io avessi voglia di entrare nel vostro cuore. Poiché voi mi avevate già mostrato il mio nome, là dentro, scritto in lettere d’oro. Oh! come mi parevano belle, nel vostro cuore purpureo, le lettere d’oro, in scrittura antica, che significavano: « Io ti amo Camilla » (Essa si chiamava Camilla di nome di battesimo). E voi mi avete presentato questo spettacolo perché io non potevo comprendere che aveste per me un tale amore, e voi quasi ve ne scusavate dicendo che non potevate farne a meno, poiché mi portavate scritta nel vostro cuore; e, alzando il vostro braccio glorioso, mi facevate leggere le parole che ho detto ». Da ciò naturalmente, si accendeva in lei un desiderio ardente « di perdersi nel cuore immenso di dolore, ove fu immerso il cuore di Gesù… Questo desiderio la tenne per due anni nella preghiera e nella meditazione…, sino a che fu ammessa in sacerrimum thalamum myrrhati cordis Jesu Christi, veri solique maris amarissimi, omni tam angelico quam humano intellectui in navigabilis » (Vita scritta da sè stessa, c. IV, n. 29 e 30. Acta Sanctorum t. XX, maggio, t. VII, ad diem 31; p. 478. In Franciosi, col. 292. Cf. contessa de RAMBUTPAU, p. 7-5 77). Ella intendeva per quella « camera sacra dal cuore imbalsamato di mirra » per quel « mare d’amarezza che non potrebbe esser navigato da nessuna intelligenza angelica, o umana », i dolori immensi e senza limiti del sacro Cuore. Noi andiamo a piene vele, lo si vede bene, verso quel mondo in cui si agita il pensiero di beata Margherita Maria. Sono quasi le sue stesse parole. Ciò che segue ricorda parimente una lettera della beata Visitandina al P. Croiset. « Una rivelazione meravigliosa, che io voglio che domandiate a Dio (scrive al suo figlio spirituale) è che vi faccia conoscere quello che siete, quello che potete, quello che sapete, quello che meritate; perché senza questa rivelazione, nessuno può giungere alla perfezione. Questo segreto, d’altronde, non s’impara che nel sacro petto di Cristo Gesù ; ed Egli non lo rivela a tutti…: (Supplemento alla Vita, c. Il, n. 10, p. 494, FRANCIOSI, 293). Vegliate dunque con tutta la cura possibile, anima cara, a essere umile di cuore (humilis ex animo), caritatevole, pio, dolce, con gli occhi fissi come su di uno specchio; sul purissimo cuore del dolce Gesù, rendendovi a Lui somigliante, se pur desiderate la sua dolce familiarità e la sua amicizia così onorevole. È in questo cuore, è in questo sacro petto, che vostra madre (Ella parla qui di sé stessa. -) ha attinto tutto quel che ha di bene esteriormente: e interiormente. Il dolce petto di questo amantissimo Gesù è stato la sua scuola; è là che ha studiato. Là non si legge che verità, mansuetudine, compassione, dolcezza, gioia del cuore e cristiana felicità; là non si trova che amore e carità per il prossimo. O cuor divino! lo non posso impedirmi di nominarvi, poiché ella si è veduta scritta in voi in lettere d’oro; belle e risplendenti. Entrate là, o anima, se volete esser presto perfetta. È questa via la via breve, nascosta, sicura, infallibile, per la quale ha camminato e cammina vostra madre: seguitela dunque » (Supplemento alla Vita, c. Il, n. 14, p. 495, in Franciosi 293). « Vi è, diceva ella ancora, la stessa differenza fra quegli che si esercita a meditare i dolori intimi (mentalibus) di Cristo e quegli che si ferma a considerare quelli della sua sola umanità (Bisogna intendere qui i dolori esteriori e corporali) che vi è fra il miele, o il balsamo, che è nel vaso, e le poche gocce che’ bagnano il vaso al di fuori. Chi desidera, dunque, di gustare la passione di Cristo, non deve accontentarsi di passare la sua lingua sull’orlo esterno del vaso, vale a dire le piaghe e il sangue che aderiscono a questo sacro vaso dell’umanità di Cristo…, ma entri nel vaso stesso, voglio dire nel cuore di Cristo benedetto, e là sarà satollato al di là dei suoi desideri… Ogni spirito non è atto a navigare in questo oceano…, ma Dio ne rende capace chi lo desidera e lo ricerca in verità » (Rivelazioni, n. 21, Acta Sanctorum, 1. c. p. 492, Franciosi, col. 294. Contessa de Rambuteau, p. 103). – I mistici francescani finiscono per introdurci nella piena divozione del Cuor di Gesù verso la fine del secolo XV o verso il principio del XVI. Qualche predicatore, di cui abbiamo gli scritti, ne ha pur parlato. I due principali sono fra Ubertino da Casale, l’ardente capo degli « spirituali », verso la fine del XIII secolo, e san Bernardino da Siena, l’amabile apostolo della divozione al Nome di Gesù. Nel suo libro sulla Passione, scritto del 1305, che egli intitola. Arbor vitæ, Ubertino parla spesso dei dolori del cuore (cordiales dolores), di Gesù. Egli si compiace a studiare le sofferenze intime del cuore divino. Racconta che egli stesso, nelle sue meditazioni. Sulla Passione, beveva l’acqua che scorreva dalla sorgente aperta in questo cuore, e come: « lo spirito di Gesù l’occuperà per quattordici anni dell’esteriore di Gesù, « circa forinseca Jesu »; prima d’introdurlo « nelle perfezioni. profonde dell’anima sua e nei dolori inesprimibili del suo cuore ». Egli amava « immergersi in quell’abisso di sofferenze dell’amor divino ». Egli. ci dice, in termini molto simili a quelli della beata Margherita Maria «il dolore amoroso del divin Cuore durante tutta la sua vita, come ricevé la croce, sino dal seno: della madre sua e sempre la portò nel cuore ». Più che lo studio della vita esteriore di Gesù, egli gusta quello della sua vita interiore, e il dono speciale dello Spirito Santo « a quelli che nel fervore di un amore serafico, sono introdotti nei sentimenti cordiali della perfezione del cuor di Gesù». Ci descrive Gesù mentre va al Calvario, « pieno d’amore, col cuore acceso d’ardore per compiere il mistero della redenzione che per trentatrè anni…. aveva compiuto nel suo cuore, esprimendo con segni esteriori l’amore intimo del suo cuore ». Le parole di Gesù in croce « venivano dall’abbondanza del suo cuore. Vi era, in quel cuore insieme con un ardente amore inestinguibile, con un dolore d’amarezza incomprensibile, un vigore di coraggio indomito (L. IV, c. 19, col. 2, Testo latino del P. Henry DE GREZES, pag. 124. Gli altri testi, /bid., p. 110-124. Cf. FrÉDÉGAND CALLAEY, Études sur Ubertin de Casal, nella Recueil des travaux pubblicata da l’Università di Louvain, 28 fascicolo, p. 87-90, Paris 1911) ». – Il P. Henry de Grèsez, a p. 112, interpreta così la dottrina di fra Ubertino: « La vita di Gesù Cristo si riassume in queste due parole: amore e sacrifizio. Egli mi ha amato, dice l’Apostolo, e, per amore, si è immolato per me: Dilexit me et tradidit. Il sacrifizio apparisce in tutta la vita esteriore del Salvatore, e la sua espressione culminante fu la immolazione sul Calvario. Ma questo sacrificio non era che il sacramento, vale a dire il segno visibile e sacro del sacrificio invisibile, che si era compiuto, e non cessava di compiersi nel cuor di Gesù tutto acceso d’amore. È dunque a questo augusto santuario che dobbiamo andare, se pur vogliamo comprendere la vita immolata del Salvatore e i suoi meriti infiniti. Noi non comprendiamo il martirio del corpo di Gesù, che studiando con amore il martirio del suo cuore ». – Io temo che l’interprete abbia messo qualcosa del suo, almeno nell’espressione, ed abbia un po’ rammodernato il suo autore. Ma il fondo rimane esatto, come lo mostrano i testi che abbiamo citato. Aggiungiamo questo, nel quale l’anima divota è invitata a fare come Maria: « La lancia salutare ha fatto un foro nella pietra, un asilo nella muraglia, come soggiorno di colomba. Alzati, dunque, Vergine Beata, unica, sola colomba tutta bella del diletto Gesù; fai il tuo nido all’apertura del foro, nel cuore aperto e nel costato del tuo Cristo…. E tu, figlio devoto della Vergine Madre, entra con la Vergine, vaso di divozione, nei segreti del cuor di Gesù che la lancia ha crudelmente aperto per te, e là completa ciò che manca alla passione di Cristo, gustando con la Vergine i dolori delle ferite del Salvatore » (L. IV, c. 24, Franciosi col. 223). Non attribuiamo a fra Ubertino più di quello che ha detto. Se il simbolismo del cuore non è molto accentuato in lui, vi è frequente la menzione del cuore, come sede dei sentimenti e delle virtù del divin Maestro, come centro della sua vita intima e particolarmente del suo amore, come luogo di riposo per l’anima contemplativa e d’ unione intima con Gesù, come principio amoroso di tutte le Opere e sofferenze di Cristo. – San Bernardino, 1383-1446, si avvicina di più alla nostra divozione, se se ne giudica da alcuni passaggi delle sue prediche: « O amore, che fai liquefar tutto, in quale stato hai ridotto il nostro Amico per operare il nostro riscatto? Affinché il diluvio dell’amore inondasse tutto, i grandi abissi hanno rotto le dighe, voglio dire le profondità del cuor di Gesù; la lancia crudele ha penetrato sino nel fondo, senza risparmiar nulla. L’apertura del costato ci fa conoscere l’amore del cuor di Gesù, sino alla morte, e c’invita ad andare a questo amore ineffabile che lo ha fatto venir sino a noi (ad illum ineffabilem amore ingrediamur, quo ille ad nos processit). Andiamo dunque al suo cuore, cuore profondo, cuore segreto, cuore che pensa a tutto, cuore che ama, o piuttosto, che arde d’amore. La porta è aperta; comprendiamo da ciò la vivacità del suo amore (Il testo latino è oscuro: Apertam portam intelligamus saltem in amoris vehementia.) e, col cuore conforme al suo, penetriamo in questo segreto, nascosto, sino all’ora, e svelato, per così dire alla sua morte, per l’apertura del costato (Serm. 51 per il venerdì santo, p. 2, ediz. di Venezia, 1745, t. I, p. 263, art. 2, c. III, in: FrANCIOSI, col. 270-271. Il dettaglio del pensiero è oscuro nel testo che abbiamo e non mi lusingo di aver compreso tutto. Cosa curiosa; questo testo si trova quasi parola per parola, come pure tutto lo sviluppo di cui fa parte nell’Opus in Quatuor Evangelia del B.to Simone da Cascia, che citeremo presto;Vedi: Franciosi; col. 339-341. Il senso è più chiaro nel testodi Simone : Et per apertam portam fiamus saltem in amoris vehementia cordiformes et mente intremus ad secretum…. Forse Bernardinonon vuol dire altra cosa).E poco prima diceva nello stesso sermone: « Gesù incroce, era tutto acceso d’amore per noi…. e si occupava della nostrasalute. Non aveva egli detto: L’uomo da bene ritraeil bene dal buon tesoro del suo cuore? Dunque dal buon tesorodel suo cuore; che è l’amore, Egli aveva sempre trattoil bene, ma Egli prodiga l’eccellente amore quando, per amornostro, era sospeso in croce. Là egli mostrò che il suo cuoreera una fornace della più ardente carità, per infiammare, perconsumare pienamente, efficacemente il mondo intiero » (Serm. 51, p. 2, art. 1, Ediz. di Venezia, t. I, p. 252. In Franciosi, col. 270). In un altro sermone, si esprimeva così: « Il Cuore di Gesù, non si potrebbe meglio paragonarsi, a causa del suo ardente amore, che a un incensiere pieno di carboni accesi » (Serm. 56, in Parasceve, 3° p., art. 2, c. III, ediz, Venezia, 1745; t. II, p. 370, FRANCIOSI, 272.). – Il gran mistico Enrico de Herp (Harphius), che morì verso il 1478, non fa che ripetere, e spesso coi medesimi termini, ciò che avevano scritto i suoi predecessori sulla piaga del costato, i Sacramenti che ne escono, ecc. Quello che dice del sacro Cuore coincide, presso a poco, sia in pensiero che in espressione; con ciò che ha scritto Ludolfo Certosino, sia che Harphius abbia copiato Ludolfo, sia che i due abbiano attinto alla stessa fonte. Vi sono, pertanto, dei tratti che sono suoi: « Che la volontà di Dio ci sia gradita in tutto e al disopra di tutto, poiché il cuore di Cristo è stato ferito per noi di una ferita d’amore, onde, per corrispondenza d’amore, noi possiamo entrare per la porta del costato sino al suo cuore e là unire tutto il nostro amore al Suo amore divino. E, come metalli diversi, fusi al fuoco e uniti insieme, si trasformano in in un’altra sostanza unica, così l’uomo deve fondere fedelmente tutti i suoi desideri nell’amore di Cristo (Nel testo si trova « amore Christi fundare» che, a prima vista, non dà perfettamente lo stesso senso; ma, riguardando più da vicino, mi sembra che vi sia un’idea di fusione, Forse bisognerebbe leggere fundere o intendere fundare nel medesimo senso), e rivolgerli a Dio…. Impara, anima fedele, di quale amore ardeva Gesù, poiché l’ampio recinto del cuore si è trovato troppo stretto e la fiamma dell’amore ha dovuto sprigionarsi per le aperte piaghe del cuore » (Theologia mystica, I. I, c. XVIII, ediz. di Brescia 1601, pag. 50 e 51; Franciosi, col. 280. Vedi più avanti, § 5, Lupolfo Certosino). A questi testi e a questi fatti bisogna aggiungere una parola su ciò che la famiglia francescana ha fatto onde familiarizzare le anime col sacro Cuore per mezzo delle immagini. Si sa come ci si abitua, poco a poco, a rappresentare la piaga del costato con una immagine del cuore, e come intorno a questa immagine si aggrupparono, in mille modi ingegnosi, le altre piaghe (Vedi Grimouard di s: Lorenzo; Les images du sacré Coeur, p. 46, ecc.). Così l’attenzione era sempre più concentrata sul cuore ferito. Propagando la divozione alle i cinque piaghe e moltiplicandone le immagini, preparavano il terreno alla nostra divozione (Vedi, oltre Grimouard di s. Lorenzo, l. c., il P. HENRY DE GREZES, I p. 29:2 e ss.).

IV.

I DOMENICANI

Santa Caterina da Siena. Taulero e gli scritti Tauleriani. Il B.to Enrico Suso. Le Domenicane di Colmar. La B.ta Cristina di Stommeln, Le Domenicane di Schonensteinbach. L’ufficio delle cinque piaghe e della piaga del costato.

Senza tornar qui su santa Caterina da Siena, della quale ho già parlato, troviamo negli scrittori e nei mistici domenicani molti tratti sul sacro Cuore. Giovanni Taulero, 1294-1361, ne ha fatto spesso menzione nei suoi sermoni, si citano, sotto il suo nome, altri testi, più commoventi ancora di quelli dei sermoni, ma son ricavati dagli Esercizi sulla vita e passione di Nostro Signor Gesù Cristo, che, secondo il P. Denifle, non sono da attribuirsi a lui. Spiegando in un sermone come tutta la vita cristiana deve esser piena del pensiero di Gesù, egli vuole che ci si addormenti su questo cuore sanguinante: « Si dormit, super cor illius cruentum sese reclinet » (In dominic. IV Adventus, sermo 2. Vedi D. 1. Thauleri clarissimi atque illuminati T. teologi, sermones…. reliquaque …. opera omnia, Parigi, 1623, p. 39. In: Franciosi, col. 242, ediz, Venezia 1556. Cf.: Noòel, Opere complete, t. I, p. 292, 1911); e che questo « cuore ci sia come un cuscino, corque suavissimus pulvinar » (In Dominic. XV post. Trinit., sermo 1, ibid, P. 449; Franciosi, L.c., NoeL, t. IV, p. 83). Egli fa dire a Nostro Signore: « Più che la morte mia, già così dura, sarebbe stato doloroso al mio cuore che ci fosse rimasto una sola goccia di sangue o d’acqua che io non avessi mversato da questo mio cuore per la salute dell’uomo. Poiché, come il sigillo imprime la sua forma alla cera, così la forza dell’amore con cui ho amato gli uomini, ha impresso in me nelle mie mani e nei miei piedi, e persino nel mio cuore, l’immagine dell’uomo, in maniera che io non posso cessare di pensare a lui» (In S. Pauli commemoration, ibid, p. 570 in FRANCIOSI, col. 243. Néel, t. V, p. 137.). Egli vuole che il discepolo di Cristo « si ritiri interamente nel cuore amoroso e dolcissimo di Gesù, nella camera deliziosa dello sposo, (che Egli stesso ha aperto a tutti quelli che ben vogliono dargli il cuore per abbracciarvelo .. .. fra le braccia del suo amore), e che là impari a rinunziare a se stesso in tutti i modi…, come il Signore vorrà, e come piacerà al suo divin cuore » (In Assumptione ; ibid, p. 593, in Franciosi, col. 243, Noel, t-V, p. 201). Ma se nei sermoni di Taulero si è molto parlato del sacro Cuore, più e meglio ancora è forse di esso parlato negli Esercizi sulla vita e passione di Nostro Signor Gesù Cristo. Dopo aver detto del sangue ed acqua uscite dal costato trafitto, l’autore aggiunge: « Il costato di Cristo è stato trafitto vicino al cuore per aprirci l’ingresso in quel cuore. Vi si vede il suo amore incomprensibile. Egli si dà interamente a noi, non riserba nulla nel suo cuore, se non per darcelo. Che cosa avrebbe potuto fare di più per noi? Il suo medesimo cuore Egli ce lo ha aperto come la sua camera segreta per introdurci là dentro come una sposa prescelta …. Egli ci ha dato il suo cuore orribilmente ferito, per farne la nostra dimora, sino a che, pienamente purificati, senza macchia, conformi al suo cuore, siamo resi capaci e degni di esser condotti con Lui nel cuore divino del Padre. Egli ci dà il suo cuore per nostra dimora e, in compenso, non chiede che il nostro per riposarvi » (Exercitia de vita et passione Salvatoris Nostri J.-C.; in Franciosi, col. 244-247, ediz. di Colonia 1706. Il P. Gracomo Talon dell’Oratorio, traduceva questi Esercizi nel 1669 (approvazione di Bossuet). Ho avuto sott’occhio la 3.a edizione di questa. Il passo tradotto, c. LIII, si trova alla pagina 385. Il P. Noel ne ha dato una nuova traduzione. Opere complete di Giovanni Taulero, t. VI e VII, 1912, 1913. Vedi t. VII, p. 181.). Si tratta qui del cuore di carne, del cuore ferito; ma è considerato simbolicamente, come lo dimostra il riavvicinamento col cuore di Dio. Siamo dunque qui, veramente, in faccia alla devozione del sacro Cuore. Il seguito è nello stesso senso e molto bello. In continuazione delle opere del Taulero, il Surio ha inserito un opuscolo anonimo, intitolato De decem cæcitatibus, « Dei dieci accecamenti ». L’opera non è, certo, del gran mistico, ma è ispirata alla sua maniera di vedere e piena del suo spirito. È un trattato dei principali ostacoli alla perfezione dell’anima e alla sua unione con Dio. Ora, alla fine del trattato, c. XX, si trova, come a riepilogo, un triplice esercizio divinamente rilevato, che contiene, in breve, tutta la perfezione della santità. Il primo si riferisce alla pratica perfetta dei doveri del proprio stato, mettendovi spirito interiore; il secondo all’esame attento della coscienza, con contrizione e fermo proposito; il terzo alla divozione nel servizio di Dio, secondo la propria attrazione. Qui il gran mezzo è meditare la vita e la passione di Cristo, studiandovi l’immenso amore che vi si manifesta e operando in conseguenza; poi s’impara a vivere in Dio per la fede, la speranza e la carità. Questa vita amorosa in Dio, si pratica eccellentemente con l’esercizio delle cinque piaghe, che ci fa passare per l’umanità per andare alla divinità. Nella piaga dei piedi si gettano tutte le proprie miserie per farla finita col peccato; alla piaga delle mani ci si abbandona in Dio e si riceve Dio in sé, meditando quanto Dio ci ha amato, e tutto quello che ha fatto per noi, sforzandoci di rispondere al suo amore e ai suoi benefici con un amore distaccato da tutto, un amore puro, vivo, efficace che riferisce tutto alla gloria dell’amico divino. « Ornato di questo triplice amore, pieno di una ardente carità, vi raccoglierete ed andrete al cuore di Gesù. È un tesoro immenso, una sorgente infinita di bontà e di carità. Voi vi entrerete per mezzo dei quattro esercizi seguenti », Il primo è l’offerta totale di sé, l’abbandono a Dio, quel che ora chiamiamo la consacrazione al Cuore di Gesù. Il secondo, è la domanda di ogni sorta di grazie, e soprattutto di Dio stesso. Il terzo, il desiderio di divenire conforme a Lui, nelle sue sofferenze, nelle sue umiliazioni, e nelle sue virtù, particolarmente nell’amor suo, per potersi trasformare in Lui. Il quarto è l’unione con desiderio e preghiera, che questa unione divenga sempre più stretta e perfetta. « Così unito a Lui, andrete alla stessa divinità . … e potrete immergervi tanto profondamente nel vostro Dio, così dolce, che le creature non vi trovino più come creatura, e là tutto il vostro desiderio sarà d’essere assorbita in Lui e, a vostra volta, assorbire Lui stesso, poiché Egli non è che una montagna o un mare immenso d’amore e di bontà … E se, mentre siete così nel Cuor di Gesù, la divinità vi assorbe, sarete felice ». È, conclude l’autore, « ciò che è accaduto, or non è gran tempo, a un amico nascosto di Dio » (D. I. Thauleri…. sermones…. reliquaque…. opera omnia, Parigi 1623, p. 806-905; Noel, t. VII, p. 504 ss.), che ha fatto questo triplice esercizio. Il Cuor di Gesù non è nominato che due volte in questo esercizio; ma vi occupa però una parte principale. L’unione a Dio è lo scopo supremo, ma Gesù ne è la via. Stringendosi a Lui, immergendosi nelle piaghe dei suoi piedi e delle sue mani, ci si prepara all’unione intima con Lui; ma è nella piaga del costato e nel cuore che si consuma. Ed ecco che questa unione con Dio fatto uomo, conduce l’anima anche più in alto, nell’intimo della divinità; dal cuore dell’Uomo-Dio, arriviamo al cuore di Dio. È la via spesso indicata dagli asceti e dai mistici del Medio Evo e abbiamo potuto afferrarne qualche traccia nella nostra rivista benché troppo rapida. L’autore che abbiamo analizzato vi ha indicato come dei punti di riposo e insinuato l’importanza speciale della fermata nel cuore di Gesù. Ora quel che egli dice combina con quello che ci avevano detto i primi testi precisi sulla divozione al sacro Cuore, quello specialmente di Guglielmo di Saint-Thierry che ci presentava il cuore di Gesù, come il Santo dei santi, ove Dio riposava, o come l’urna d’oro che conteneva la manna della divinità (Vedi più sopra c. I, § 2.). È nel medesimo senso che santa Margherita Maria intendeva la divozione, quando scriveva alla Madre Greyfié: « Egli mi ha fatto conoscere che il suo cuore è il Santo dei santi, il santo d’amore che Egli voleva fosse conosciuto al presente per essere come mediatore fra Dio e gli uomini » (Lettera XXXIII (XXXIV); Vita e Opere, t. Il, p. 68 (105). G. XXXVII, 300. Vedi più sopra 1. parte, c, II). –  Così il movimento della divozione è sempre e da per tutto lo stesso. Ciò riesce evidente dall’insieme di questo studio. Ma era, forse, utile di fermarci un momento nella nostra corsa frettolosa, per farlo osservare. – Vi sono dei tratti affatto simili nelle opere del B. Enrico Suso (1300-1366). Egli fa dire a Gesù: « Considerate tutti i cuori e vedete se uno solo è stato mai così ripieno d’amore come lo è stato il mio. Avrei voluto, al posto di tutte le mie membra, averne un solo, il più nobile…. il cuore, e avrei desiderato che questo cuore fosse trafitto, distrutto, straziato; fatto in pezzi…., avrei voluto che non ne rimanesse in me nulla che non fosse dato per dimostrarvi il mio amore » (Libro della sapienza, c. IV, in Oeuvres mystigues du B. Henri Suso, nuova traduzione del. P. G. Thiriot, O. P., t. II, p. 28, 29, Paris, 1899). E un po’ più avanti: « Bisogna che tu entri per il mio costato aperto nel mio cuore ferito d’amore e che tu ti rinchiuda là dentro; bisogna che tu vi cerchi una dimora e che tu vi rimanga. Io ti purificherò allora nell’acqua viva, e ti colorerò in rosso col mio sangue, mi immedesimerò con te e a te mi unirò eternamente ». L’anima fedele risponde: « Signore, nessuna calamita attira il ferro con tanta forza, quanto l’esempio delle vostre amabili sofferenze attira i cuori per unirli al vostro » (Ibid, c. XVIII, p. 130). – E quello che scrivevano Taulero e Suso vien realizzato dai mistici domenicani. Abbiamo parlato di santa Caterina da Siena, ma possiamo segnalare altri casi meno conosciuti. Esisteva a Colmar un convento di Domenicane molto devote alla Passione del Salvatore e alle sue sacre piaghe. Nelle notizie scritte da una di quelle suore, Caterina di Guebwiller intorno a diverse delle sue compagne che vissero là, dal 1250 al 1330, si vede che nella piaga del costato ritrovarono più d’una volta il Cuore divino. Una di esse, Gertrude di Sassonia, fu fatta vedere, alla badessa del monastero, come essendo nel cuore di Gesù su di una immagine meravigliosa del Crocifisso. Siccome egli se ne meravigliava, il Crocifisso gli disse: « Figlio mio, l’uomo può essermi unito più intimamente di quello che tu puoi credere; Io nascondo nel tesoro più segreto della mia divinità l’uomo che ho creato.» Un giorno che Gertrude era in orazione: da molte ore tormentata da una sete ardente finì per assopirsi. Allora le sembrò che le si ponesse dinanzi un vaso pieno sino all’orlo di acqua fresca e limpida e una voce le diceva: « Dissetati figlia mia, bevi di quest’acqua la cui sorgente è nel mio cuore ». Ella bevve e quando si svegliò la sua sete era calmata (Les inistigues d’Unterlinden a Colmar. Notizie scritte da una di esse e pubblicate dal V.te di Bussiéres, pag. 165, 222. In Franciosi, col. 235-6. Non saprei dire, non avendo il testo originale, se si tratta del cuore propriamente detto o del petto. Secondo il nostro punto di vista ciò stabilisce una differenza, quantunque il pensiero del cuore non sia assente in nessuno dei due casi). – La B.ta Cristina di Stommeln, presso Colonia, (1230-1312), si rivolgeva al cuor di Gesù quando il demonio minacciava di toglierle la vita: « Signore Gesù…. io vi prego per il vostro dolcissimo cuore torturato per amor nostro, se è vostro volere che questi maligni spiriti mi diano la morte, ricevete in pace il mio cuore turbato e agitato, custoditelo misericordiosamente nel vostro dolcissimo cuore » (Vita scritta da Pietro di Dacia O. P. suo contemporaneo in: Acta sanctorum, t. XXV, giugno, t. V, ad diem 23; p. 299; cf. p. 328). Dopo queste lotte terribili Nostro Signore sopravveniva all’improvviso e stringeva sul suo cuore dolcissimo il cuore della sua sposa (Ibid, p. 307, Franciosi, col. 231). Il P. Denifle ha trovato, in un manoscritto del XV secolo,  altre prove della divozione al sacro Cuore delle Domenicane di Alsazia nel decimo quinto secolo. – Suor Clara d’Ostren (morta nel 1447) del Monastero di Schéonensteinbach, diceva: « Ogni giorno io mi rinchiudo in un triplice castello. Il primo è il cuore purissimo e verginale della nobile Vergine Maria, contro tutti gli attacchi dello spirito maligno; il secondo è il cuore così buono del nostro amabile Signor Gesù Cristo, contro tutti gli attacchi della carne; il terzo è il Santo Sepolcro, dove mi nascondo accanto a Nostro Signore, contro il mondo e tutte le creature nocive ». Di Suor Clara Foeltzin (morta nel 1421), dello stesso monastero, si dice: « Ella aveva grazia speciale e particolare divozione al buono, dolce; soave Cuore del nostro amabile Signore e al santo Nome di Gesù (Comunicato dal P. Denifle al Nilles. V. Nilles, t. II, p. 53, nota). – L’ordine intiero di san Domenico si familiarizzò di buon’ora con l’idea del cuore ferito e del simbolismo che vi rifiorisce. Il venerdì dopo l’ottava del Ss. Sacramento, giorno destinato a divenire la festa del sacro. Cuore, essi dicevano l’ufficio della piaga del costato, e cantavano: Dulcis hasta, latus Dei/ Te replevit sanguine; / Dulcis mucro per cor Dei / Volvitur in flumine, / Sic salvantur omnes rei / Secreto Dei murere; ossia « Dolce lancia, sei stata tutta coperta di sangue, dal costato di un Dio. La dolce spada a traverso il cuore divino, s’immerge in un flutto di sangue. Così son salvati i colpevoli, per un dono misterioso di Dio. – E nel loro Ufficio delle cinque piaghe, cantavano pure: Si cor habes maculatum, / Inspice vulnus tam latum / Cordis ejus: illine fluit / Unda que sordes abluit; « Se il vostro cuore è macchiato; fissate lo sguardo sulla larga ferita del cuore. Di là scorre l’onda che lava tutte le sozzure ». Nella nona lezione del medesimo ufficio leggevano: « Egli ha voluto che il suo costato fosse aperto, per darci accesso a cìò che vi ha di più intimo (ad intima usque. sua). Poiché quando il costato fu ferito, il cammino fu aperto sino al cuore del Signore. Che l’uomo siaccosti, dunque, a questo Cuore sublime (E’ la parola del Salmo 63. « Accedet homo ad cor altum ». Non si sa sempre se gli autori, utilizzando questo testo, intendono «cuor profondo » o « cuor sublime ») e che Dio sia esaltato in lui. Ma chi salirà sino là? Chi vi farà suo riposo? Colui che ha le mani innocenti e il cuore puro, Ma che il peccatore non esiti. Se l’ingresso non gli è subito aperto, che pianga alla porta, là dove scorre il sangue, da dove esce. l’acqua: le porte sono aperte: il grido di coloro che piangon penetrerà facilmente sino al cuore del Signore, ecc. (Secondo Francesco Collius, De sanguine Christi, l. 4, c. 7; p. 616, Milano 1617. In Franciosi, col. 641).

V.

I CERTOSINI

Corrente continua di divozione. — Ludolfo di Sassonia. — Due certosini di Treviri. — Giacomo di Clusa. — Un Certosino di Norimberga, ecc. — L’immagine.

Vedremo ben presto, studiando Lansperge, che la divozione al sacro Cuore incomincia con lui a fiorire in pratiche, preghiere, e vari esercizi. Lansperge non è uno isolato fra i Certosini. Anche prima di lui troviamo indicazioni molto precise di tracce di una corrente continua nel campo di questa devozione tra i certosini. La teoria ne è come abbozzata in tratti rapidi, ma chiari, da Ludolfo di Sassonia, detto il Certosino (1295-1378), che, nelle sue pie considerazioni sulla piaga del costato, riassume la tradizione e dice in poche parole qual sia la natura e lo spirito della divozione: «  Il cuore di Cristo è stato ferito per noi di una ferita d’amore affinché noi, con una corrispondenza amorosa, possiamo, per la porta del costato, avere accesso al suo cuore, e là unire tutto il nostro amore al suo amore divino, in maniera da non formare che uno stesso amore, come succede del ferro incandescente e del fuoco. Poiché l’uomo deve…. rivolgere tutti i suoi desideri verso Dio, per amore di Cristo e confermare in tutto la sua volontà alla volontà divina, in ricambio di quella ferita d’amore che ricevé per amor dell’uomo sulla croce, quando la freccia di un amore invisibile trapassò il suo dolcissimo cuore … Ricordiamo dunque quell’amore eccellente che il Cristo ci ha rivelato nell’apertura del suo costato, aprendoci così un largo accesso al suo cuore. Affrettiamoci di entrare nel cuore di Cristo, raccogliamo tutto quello che abbiamo di amore per unirlo all’amore divino, meditando su ciò che si è detto » (Vita Christi, 2.a parte, c. 64, n. 14; in Franciosi, col. 250. Si  può vedere tutto il passo in francese nel Mois du sacré-Coeur par danciens auteurs Chartreux, Veille, p. 29-35). – Noi vediamo nei certosini la divozione al sacro Cuore in azione nelle loro preghiere e nelle loro pratiche di pietà. Ecco una preghiera di dom Enrico di Calkar, priore di Strasburgo, nella seconda metà del XIV secolo: « Dolcissimo Gesù, io getto e rinchiudo nel vostro cuore i miei sensi, le potenze dell’anima mia, i miei pensieri, i miei affetti. Io li seppellisco per sempre nel vostro cuore, affinché io stia e dimori interamente con voi per tutta l’eternità » (Mois du sacré-Coeur, p. 295.). – Verso lo stesso tempo, un Certosino di Treviri, il cui nome ci è sconosciuto, scriveva: « Per attirare sempre più nell’anima vostra il fuoco del divino amore, sappiate che il cuore sacro, il cuore tenero di Gesù, è pieno per voi di un amore naturale e divino…. amore veramente immenso, senza misura e come senza fine…. Non è forse cosa sorprendente e ben degna di lacrime amare vedere che s’incontra sì raramente e sì poco, anche nel cuore di molti buoni Cristiani, l’amore di nostro Signor Gesù Cristo?…. Ah! se pure in questa vita il vostro cuore ricevesse, per amare Gesù, una piccola particella di quell’amore che consuma per voi il cuor di Gesù, il vostro cuore non potrebbe contenerlo: ma infiammato subitamente da così ardente fornace, prenderebbe fuoco, si spezzerebbe, scoppierebbe » (Mois du sacré- Coeur, p. 42-45). – Un altro Certosino, pure di Treviri, dom Domenico, nato nel 1384 o nel 1888 e morto nel 1461, insiste più ancora e precisa meglio. « Se volete perfettamente e facilmente purificarvi dei vostri peccati, liberarvi dalle vostre passioni, arricchirvi di tutti i beni,…. mettetevi alla scuola dell’eterna carità (dove è maestro lo Spirito Santo). Mettete, immergete spesso in ispirito…., tutto il vostro cuore e lo spirito vostro…. nel cuore dolcissimo del nostro Signor Gesù Cristo…. in croce. Questo cuore è pieno d’amore. Per suo mezzo abbiamo accesso al Padre nell’unità dello spirito; egli abbraccia in un immenso amore tutti gli eletti…. Elevate il vostro cuore, verso questo cuor salutare, dopo esservi raccolto in voi stesso…. In questo dolcissimo cuore di Gesù si trovano tutte le virtù, la sorgente della vita, la consolazione perfetta, la vera luce che illumina ogni uomo…., ma. sopratutto ritrova ciò chi ricorre a Lui devotamente in ogni afflizione e necessità. Tutto il bene che si può desiderare si attinge sovrabbondantemente in lui; ogni salute e ogni grazia vengono da questo Cuore dolcissimo e non da altre parte. Egli è il focolare dell’amor divino, sempre ardente del fuoco dello Spirito Santo, purificando, consumando, trasformando in sé  tutti quelli che gli sono uniti e che desiderano immedesimarsi con lui. Ora, siccome è da questo Cuore che ci viene ogni bene, così dovete riferir tutto a Lui…. rendergli tutto senza niente attribuirvi, senza riposarvi nei doni di Dio…. ma tutto ricondurre alla sorgente. In questo medesimo cuore confesserete i vostri peccati, domanderete perdono e grazia, loderete (psalles) e ringrazierete. Perciò bacerete frequentemente e con riconoscenza questo piissimo Cuore di Gesù, unito inseparabilmente al cuore divino, dove sono nascosti tutti i tesori della sapienza e scienza di Dio, immagine, dico, sia di questo cuore, sia del crocifisso. Aspirerete di continuo a contemplarlo faccia a faccia, a lui confidando le vostre pene. di là attirerete nel vostro cuore il suo spirito e il suo amore, le sue grazie e le sue virtù; a Lui vi abbandonerete nei beni e nei mali, in Lui avrete confidenza; a Lui vi stringerete; in Lui abiterete…., affinché Egli, in compenso, degni far sua dimora nel vostro cuore; là; infine, vi addormenterete dolcemente e riposerete nella pace. Quand’anche il cuore di tutti i mortali, vi ingannasse o vi abbandonasse, questo cuore fedelissimo non v’ingannerà, né vi abbandonerà. Non trascurate, neppure, di onorare e invocare la gloriosa Madre di Dio, la dolcissima Vergine Maria, affinché si degni ottenervi dal dolcissimo cuore del suo Figliuolo, tutto quello che vi sarà necessario. In compenso offrirete tutto al cuor di Gesù, per le sue mani benedette » (In appendice negli Exercitia D. Ioannis Thauleri piissima super vita et passione Salvatoris nostri 7-C.,- Lyon 1556. La 1.a edizione latina è quella di Colonia del Surio, traduttore, 1548. Ogni pagina è data spesso come del Lansperge. Così fa il B. Jean Eudes, Le coeur admirable, 1. 12, c. 14 (Oeuvres complètes, t. VIII, p. 283), riportandola al cap. 36 della Milice chrétienne. Egli seguiva in ciò Dom de Roignac, certosino, che l’aveva inserita nella sua traduzione della Milice chrétienne ou le Combat spirituel, Paris 1671. Io non saprei dire se qualche edizione latina la dà come di Lansperge. Dom Boutrais ne ha trascritto due volte degli estratti secondo Dom Roignac, nel suo Lansperge, p. 119-117 e nel Mois de Sacré-Coeur par d’anciens auteurs Chartreux. 15° giorno, p. 94-96, sempre attribuendolo a Lansperge. Vedi, ibid. 1.0 giorno, pag. 36-41, il passaggio integrale tradotto una seconda volta sul latino e attribuito a Dom Domenico di Triri. Ho tradotto abbreviando sul testo latino dato dal Franciosi, col. 275-276, completando la referenza dietro le indicazioni di M. de la Begassiere, e correggendo quà e là, una copia fatta da lui). Abbiamo qui, in germe, tutto un manuale pratico della divozione al sacro Cuore; l’immagine stessa non è dimenticata. Lansperge, che ha avuto certamente sott’occhio queste pagine del suo predecessore non avrà che a ripeterle e spiegarle. Qualche volta si accontenterà di spiegare il testo. Giacomo di Clusa (1386-1466), che fu abate Cistercense avanti di essere Certosino ad Erfurt, dice in uno dei suoi sermoni: « Se il nostro amore per Gesù si raffredda, riguardiamo il suo costato trafitto e aperto per noi, e tosto il fuoco della carità accenderà di nuovo l’anima nostra, perché necessariamente un cuore aperto deve accendere il fuoco dell’amore nell’anima che lo contempla » (Secondo Dom Boutrais, Lansperge, p. 182, che rimanda ai Sermones formales, pubblicati a Spira circa il 1470. Cf.: Mois de Sacré Coeur, IV giorno, p. 52). – Un altro Certosino in un libro stampato a Norimberga nel 1480, scrive: « Il vostro costato destro è stato «così profondamente ferito dalla lancia del soldato, che la punta di ferro, penetrò nell’interno del vostro petto e venne a trafiggere nel mezzo il vostro tenero cuore. O anima mia, entra nel costato del tuo Signore Crocifisso, entra per questa ferita benedetta, sino al fondo del cuore amante di Gesù, trafitto per amore ». Seguono belle effusioni sul cuore di Gesù, città di rifugio, sorgente inesauribile di misericordia e di grazia. E continua: « Avvicinati dunque e dissetati con la bevanda dell’amore a questa sorgente del Salvatore, affinché all’avvenire tu non viva più in te, ma in Colui che è. Stato crocifisso per te. Dona il tuo cuore a Colui che ti ha aperto il suo cuore. Viene in seguito la preghiera: « Re Gesù, Salvatore dei fedeli, che avete voluto che il vostro costato fosse aperto dalla punta di una lancia spietata, io vi prego umilmente, ardentemente, a volermi aprire le porte della vostra misericordia e a lasciarmi penetrare attraverso la larga apertura del vostro adorabile e santissimo costato, sino nell’interno del vostro cuore, infinitamente. amabile, in maniera che il mio cuore divenga unito al vostro cuore, con un indissolubile legame d’amore. Ferite il mio cuore col vostro amore, fate penetrare la lancia del soldato attraverso il mio petto e che il mio cuore sia aperto per voi solo e chiuso al mondo e al demonio » (Nel Mois-du Sacré Coeur, 5.0 giorno, p. 54-59). Noi siamo qui si vede bene, in piena devozione al sacro Cuore; anche adesso non abbiamo formole o pratiche diverse. – Potremmo raccogliere molti altri tratti dello stesso genere in Dionigi il Certosino (1394-1471), priore di Basilea (m. 1487), in Niccolò Kempf, nato a Strasburgo nel 1393, certosino in Austria, in Pietro Dorland, priore di Diest (1440-1507), in Pietro Bloemenvenna, priore della Certosa di Colonia dal 1506 al 1536 e maestro di Lansperge (Per Dionigi, i testi sono meno diretti, vedi Franciosi, col. 278-279; Dom Boutrais, p. 183; per Arnaud, Mies di Sacré Coeur, 6° giorno, p. 60-62; per Niccolò Kempf, ibid,. 7° giorno, p. 63-66; per Bloemenvenns, ibid. 8° giorno, p. 67-70; per P. Dorland, Dom Boutrais, p. 184). – L’atmosfera dei Certosini era tutta imbalsamata dalla devozione al sacro Cuore di Gesù. Essi avevano la sua immagine sotto gli occhi e la mettevano pure sotto gli occhi dei fedeli nei loro libri stampati e negli ornamenti della loro architettura.

VI

VARIA

Pietro di Blois. – Uno sconosciuto spagnuolo. – Il primo inno al Sacro Cuore. – Simone di Cascia. – Giuliana di Norvich, – La beata Dorotea. – Santa Liduina – S. Lorenzo Giustiniani.

AI di fuori di questi ordini religiosi, si trovano sparse, ma numerose, le tracce di questa divozione. Ritorniamo sui nostri passi, per raccogliere qualche testo. Eccone uno di Pietro di Blois, morto nel 1200. « Il ferro è penetrato sino al suo cuore, per farci vedere che col suo amore, si son rivelati i segreti del suo cuore, per mezzo dell’apertura corporale ci si mostrano le viscere misericordiose del nostro Dio. La lancia mi ha dischiuso il segreto…. del Signore….; la lancia è come la chiave che mi apre (perchè io veda) quanto è soave il Signore » (Pierre de Blois, Serzzo 19, De cena Domini; Migne, t. CCVII, col. 618). Come siamo vicini a S. Bernardo, per il pensiero e per l’espressioni! Riconosciamo, pertanto, che S. Bernardo e la sua scuola superano il pio arcidiacono per ciò che è della divozione propriamente detta. Molto più chiara si rivela l’idea del cuore, e più accentuata è la divozione a questo sacro Cuore in un opuscolo manoscritto, di un autore sconosciuto del secolo XII intitolato: Liber de doctrina cordis. Quelli che hanno scoperto e pubblicato questo bel passo, non banno, disgraziatamente, che poche notizie sul manoscritto, e nessuna sull’autore. Ne traduco gli estratti più significativi. «Offri il tuo cuore a Colui che…. per il primo ti ha dato il suo cuore, affinché tu gli renda cuore per cuore,… Gaudio felice in cui…. tu hai tutto per te, e il tuo cuore e il cuore di Cristo. Non ti ha Egli forse mostrato la casa del suo cuore (Domum cordis) allora in special modo che un soldato gli aperse il costato? Fu una breccia nella muraglia, fu una porta aperta da una chiave regia, affinché il tuo cuore avesse accesso al suo cuore, affinché per una fede retta, per amore indiviso tu possa penetrar sino al suo cuore senza incontrare ostacolo. Infiamma colà il tuo cuore con la fede e la meditazione » (Liber de doctrina cordis. Opera manoscritta di un autore sconosciuto del XII secolo. Testo 1atino in Franciosi, col. 163-164; secondo LLobet e Balaguer, Nacional Homenaje de las Ciencias, Letras y Artes Espanolas al Sacratisimo Corazon de’ Jesus, Barcelona. 1882, p.:180; s salvo che Francioso ha donum cordis, dove nel libro spagnuolo è domum Cordis. Non so quello che si trovi nel manoscritto, ma poco importa al nostro scopo. Un Gesuita spagnolo, ha voluto trascrivere per me la pagina 180 del Nacional Homenaje, ove si trovano altri testi, non meno espressivi. Il testo qui sopra riportato è al foglio CXLV del ms. Lo si attribuisce a un Tractatus de Doctrina cordis B. Gregorii. Magni. Lo scritto è stato trovato in uno dei due conventi di Poblet (Tarragona) mo di Santas Creus. Sono due conventi cisterciensi fondati nel 1154. Benchè i nostri autori attribuiscano il manoscritto al XII secolo, non sarebbe certo temerario di dirlo del XII o XIII). – Fra le opere di S. Bernardo si incontra una lunga preghiera ritmica per salutare ciascuna delle membra di Cristo penante e confitto in croce. Si rivolge ora ai piedi, ai ginocchi, alle mani, al costato, al petto, al cuore, alla faccia. Si può rilevare la distinzione del costato, del petto benché nell’applicazione mistica queste diverse parti vengano un po’ confuse insieme. La poesia, pertanto, non è di San Bernardo, ma è del XIII secolo, e vi si trova, nel ritmo lento e monotono delle strofe che cadono una ad una come gocce d’acqua, l’insieme delle considerazioni che, su questo soggetto, han nutrito la pietà del Medio Evo. Ecco qualche brano.

Per il costato ferito :

Salve, latus Salvatoris,

In quo latet mel dulcoris,

In quo patet vis amoris,

Ex quo scatet fons cruoris

Qui corda lavat sordida….

Salve, mitis apertura,

De qua manat vena pura,

Porta patens et profunda,

Super rosam rubicunda,

Medela salutifera….

(Salve, costato del Salvatore, dove si nasconde un miele dolcissimo, dove si mostra un ardente amore e da dove scorre una sorgente di sangue che lava tutti i cuori macchiati. Salve o dolce apertura da dove scorre un così puro ruscello, porta aperta e profonda, più rubiconda della rosa, e che è per noi salutare rimedio.).

Per il petto:

Salve, salus mea, Deus,

Jesus dulcis amor meus;

Salve, pectus reverendum,

Cum tremore contingendum,

Amoris domivilium….

Plaga rubens, aperire,

Fac cor meum te sentire,

Sine me in te transire

Vellem totus introire :

Pulsenti pande pauperi….

In hac fossa me reconde,

Infer meum cor profunde,

Ubi latens incalescat,

Et in pace conquiescat,

Nec prorsus quemquam timeat.

Jesu dulcis, pastor pie,

Fili Dei et Mariae,

Largo fonte tui cordis

Foeditatem meae sordis,

Benigne Pater, dilue.

(Salve, o Dio, mio. Salvatore, mio: dolce amore Gesù, salve petto venerabile, dimora d’amore che si deve toccare. O piaga purpurea apriti, e fa’ che il mio cuore ti gusti! Permettimi di venire in te… Io vorrei entrarvi tutto… deh! apri al poverello che batte (alla porta). Nascondimi in questa fossa e mettimi bene in fondo il mio cuore. Che nascosto là s’infiammi (d’amore) e che io riposi in pace senza temere nessuno al mondo. O dolce O dolce Gesù! O buon pastore! Figlio di Dio e di Maria; deh! fai che la bruttezza delle mie sozzure sia lavata dall’abbondante sorgente del vostro cuore).

Per il cuore :

Summi Regis, cor, aveto,

Te saluto corde læto,

Te complecti me delectat,

Et hoc meum cor affectat,

Ut ad te loquar animes….

Propter mortem quam tulisti,

Quando pro me defecisti,

Cordis mei cor dilectum,

In te meum fer affectum,

Hoc est quod opto plurimum.

Per medullam cordis mei,

Peccatoris atque rei,

Tuus amor transferatur

Quo cor totum rapiatur,

Languens amoris. vulnere….

Viva cordis voce clamo,

Dulce cor, te namque amo:

Ad cor meum inclinare,

Ut se possit applicare,

Devoto tibi pectore….

Rosa cordis, aperire,

Cuis odor fragrat mire,

Te dignare dilatare.

Fac cor meum anhelare,

Fiamma desiderii,

Da cor cordi sociari,

Tecum, lesu, vulnerari,

Nam cor cordi similatur,

Sic cor meum perforatur

Sagittis improperii.

(Salve, o cuore del Re sovrano, io ti saluto con lieto cuore, e mi compiaccio nell’abbracciarti, è il desiderio del mio cuore; non ho più vivo desiderio di questo. Che il tuo amore penetri nel fondo della midolla del mio cuore, e che bench’io sia peccatore e colpevole, rapisca tutto il mio cuore, il mio cuore ferito d’amore. Io grido con la voce più viva del cuore, dolce cuore, perché io ti amo. Deh! inclina il tuo cuore verso di me, divotamente a te, cuore a cuore, Schiudi, o rosa del cuore, il cui profumo è sì dolce, degnati dilettarti e rendi anelante il mio cuore sotto il fuoco del desiderio. Che il mio si unisca al tuo.  Che sia ferito con te; o Gesù perché i nostri cuori saranno simili se il mio cuore sarà trapassato dalle frecce dell’oltraggio. In appendice alle opere di S. Bernardo, Migne t. clxxxiv, col. 1321-1323. Il padre Blume ha, congetturato, e sembra a ragione, che le strofe sul cuore (Summi Regis cor aveto) devono aver formato in origine, un poema a parte, che sarebbe il primo canto conosciuto in onore del sacro Cuore. È vero che non si trovano mai isolate nei manoscritti (di cui i primi sono del principio del XIV secolo), ma non si collegano bene con l’insieme di cui fanno parte adesso… (per esempio, non cominciano col Salve come le altre), e l’insieme mi sembra farlo supporre. Le strofe al costato ferito e al petto dicono presso a poco la stessa cosa e fanno come un doppio ufficio. Blume va più lungi. Egli attribuisce la poesia così distaccata dalle altre al P. Hermann Joseph dell’ordine dei Premonstratensi, che morì a Zulpic nel 1241 e di cui ha pubblicato l’opera poetica nel 50° fascicolo degli Analecta hymnica medii ævi. Vedi l’articolo di Blume Gozllichen Herzens erster Sanger, der. sel. Hermann Joseph, in: Stimmem aus Maria-Laach, gennaio 1909; t. LXXVI, p. 121-124. Il testo di Blume differisce notevolmente da quello che io dò qui seguendo Magitron. Lo si troverà negli Etudes del 5 Giugno 1911, art. sulla Diffusione della divozione al XIII, XIV e XY secolo. Devo l’indicazione del lavoro di Brune alla cortesia di di F. TOURNIER.). Il beato Simone da Cascia (morto nel 1348), dell’ordine di Sant’Agostino, nella sua opera De gestis Christi, non è che l’eco fedele della tradizione quando ci parla dei misteri del sangue e dell’acqua sgorgati dalla piaga del costato, ma trova il sacro Cuore quando si ferma a considerare l’intenzione nascosta nell’uso della parola aperuit. « Bisogna vedere l’azione dello Spirito Santo nell’espressione dell’Evangelista. Egli vuole che il costato aperto ci manifesti l’amore di quel cuore che ci ha amato sino alla morte e che andiamo a quell’amore ineffabile che lo ha fatto venire a noi; vuole che ci accostiamo al suo cuore, quel cuore profondo, quel cuore che pensa a tutto e sa tutto…, a quel cuore che ama. Vuole che, grazie alla porta aperta, noi diveniamo, almeno nella vivacità dell’amore, simili al suo cuore (cordiformes) e che penetriamo in ispirito nel segreto nascosto da tutta l’eternità e come svelato alla sua morte per l’apertura del costato » (De gestis Christi, Colonia, 1533; 1. XIII, p, 807; in FRANCIOSI, col. 241. Abbiamo già veduto questo testo, quasi parola per parola, in un sermone di S, BERNARDINO DA SIENA). Nella contemplazione di una romita inglese del XIII secolo sulla passione di nostro Signore e l’apertura del costato, troviamo questo passo: « Essi fanno venire Longino che con la lancia gli trafigge il costato, gli apre il cuore, e da quella larga ferita scorre il sangue che ci ha riscattato e l’acqua che purifica il mondo dai suoi peccati…. Ah! Dolce Gesù! Voi mi aprite il cuore affinché io vi conosca veramente, là io vedo in giusta misura quanto mi avete amato. Come posso io rifiutarvi il mio cuore, poiché avete comprato cuore con cuore? (Citato da Dalgairns nel suo Essai sur la vie spirituelle en Angleterre au moyen age, che serve d’introduzione a l’Echelle de la perfection, di V. Hirron : Franciosi, 237), E questa, si vede bene, una formula perfetta della divozione al sacro Cuore simile a quella che abbiamo raccolto nella Vigna mystica. L’espressione vi è meno chiara, ma l’idea è la stessa della rivelazione fatta da nostro Signore a un’altra religiosa, la beata Giuliana di Norvich, nel 1373. « Nostro Signore, mostrandosi tutto lieto, riguardò il suo costato aperto e lo contemplò qualche tempo con visibile gioia. Poi, con un dolce sguardo, invitò il mio intelletto a penetrarvi per la ferita che vi fece la lancia, e mi mostrò un bel posto, ripieno di delizie e assai vasto, perché tutta la porzione del genere umano che sarà salva, possa riposarvi nella pace e nell’amore. Con questo mi ricordò allo spirito il Prezioso sangue e l’acqua che ne fece sgorgare per amore. Infine, tutto raggiante di gioia, mi fece vedere il suo divin cuore trafitto dalla lancia. E, mentre io godeva di una visione così dolce, Gesù mi svelò, in parte, la sua divinità, sforzandosi di attirare la mia |povera anima…, non dico a comprendere, ma a considerare che almeno un poco quell’amore infinito che non ha avuto principio, che è e sarà eternamente. Indi il nostro buon Salvatore mi disse deliziosamente : Vedi quanto ti ho amato !,, » (Giuliana DI Norvica, Révélations de l’amour de Dieu, tradotto da un Benedettino di Farnborough, Parigi 1910, c. 24. Decima rivelazione, p. 95-96.). La vita della beata Dorotea, un’altra reclusa, (1343-1394) ci offre, ma in una maniera più velata, un caso di cambio del cuore analogo a quello di santa Caterina da Siena. Un giorno che Ella aveva una tentazione di scoraggiamento, e pregava con grande fervore la Vergine Santa di venire in suo soccorso, « il Signore Gesù, suo meraviglioso amante, le tolse il suo vecchio cuore e le mise, in cambio, un cuore nuovo e infiammato. Nell’estasi, ella sentiva che le si toglieva il cuore e, al suo posto, si metteva una massa di carne tutta in fiamme; ricevendola era così felice che non poté, sul momento, farne parola con nessuno…. Questa estrazione del cuore, aggiunge il vecchio narratore, e questa sostituzione di un altro cuore, fu solo un’alterazione naturale, o un vero cambiamento di sostanza? Lo sa colui che rinnovò il cuore e che ben poteva rinnovarlo in una maniera, o nell’altra. (Vita Beatæ Dorotheæ, c. 3, n. 45. Acta Sanctorum, t. LXI, ottobre, t. XIII, ad diem 30, p. 517 in Franciosi, 260). – Un’ altro giorno in cui la beata aveva molto pregato, e con fervore speciale, « vide il Signore che si mostrava a lei amichevolmente, col costato e il cuore aperti (cum corde suo et latere aperto) ». « Da ieri sera al tramonto del sole, le disse, io ti ho mandato tre volte lo Spirito Santo, per ferirti e abbracciarti, affinché, a tua volta tu possa lanciare su di me delle frecce d’amore. Se io ti ho mostrato il mio costato aperto e il mio cuore piagato, è perché all’avvenire, ti sia facile di ritrovare il mio cuore e ferîrlo con dei dardi d’amore » (Apparitiones, c. 80, ibid, p. 581. Questi due fatti sono ricordati in una bella preghiera alla Beata Dorotea che i Bollandisti riportano da un vecchio manoscritto, « O dolcissimo Signore Gesù, che tagliando il suo vecchio cuore alla vostra serva Dorotea, le avete dato un cuor nuovo e l’avete spesso ferito con la lancia e le frecce del vostro cuore, io vi prego, per i suoi meriti e la sua intercessione… datemi, nella vostra misericordia, un cuor contrito, nuovo e umile, accordatemi di comprendere la vostra volontà e di compierla fedelmente con una buona condotta e una santa vita ». (ibid, p. 493). Non si fa qui menzione espressa del cuore di Gesù, ma si vede che tutta la preghiera è impregnata di questo pensiero). L’amore tenero, nell’ordine umano, si esprime naturalmente, col dono del cuore. L’amore verso Gesù usa delle formole simili; e queste formole ci riavvicinano al sacro Cuore. Così santa Liduina (1380-1433) diceva al Suo Buon Angelo: « Dite al mio Diletto l’ardore del mio cuore…. Salutatelo nél santuario del suo cuore e supplicatelo a non permettere che io dia mai posto nel mio cuore a un altro amante che non sia Tu » (Acta Sanctorum, Aprile, t. II, ad diem 24; Pg. 315; in FRANCIOSI, 263). Come Pietro di Blois, che conosce e cita, S. Lorenzo Giustiniani (1381-1455) mostra una divozione esplicita al Cuor di Gesù, ad eccezione, forse, di qualche citazione che fa. Ma parlando della ferita del costato, ha delle parole che esprimono a meraviglia la devozione al sacro Cuore. Fatene l’esperienza, vedete, gustate quanto è dolce, quanto gradevole, quanta sicurezza dà il far dimora nel costato di Gesù !». Pensare alle fatiche e ai dolori di Cristo, commenta, è entrare nelle piaghe dei suoi piedi, ricordare i suoi benefizi e i suoi miracoli, è entrare nelle piaghe delle sue mani; ma se gustate il suo amore ardente, la grandezza della sua dilezione, la sapienza ammirabile, i tesori della sua divinità, l’affluenza dei doni dello Sposo, l’unione delle due nature, trasalite di gioia, perché siete giunti a penetrare i segreti del suo custode… Si dice che in Epiro si trova una sorgente dove non solo, come in tutte le altre, si spengono le fiaccole accese, ma dove, a differenza delle altre, si possono accendere spente. Tali sono le sorgenti del Salvatore, le sue ferite; cioè vi si spengono gli ardori della concupiscenza e vi si accende il fuoco della carità » (De casto connubio, c. 8, n. 2. Oeuvres, Lyon, 1678, p. 155; pure Franciosi, col. 273).

VII.

OSSERVAZIONI E CONCLUSIONI.

Numero dei fatti. — Correnti d’idee e movimenti che si disegnano. — Testi comuni. — Centri d’ influenza. — La certosa di Colonia.

Si. può, da questa lunga rassegna, raccogliere qualche conclusione generale, per la storia della nostra divozione? È possibile. Ma mi accontento di annotare qui qualche tratto preciso. Si constata, per prima cosa, quanto la divozione sia diffusa. Si ritrova dappertutto e non bisogna dimenticare che i fatti citati son lungi dall’esser tutti i fatti. Quanti altri se ne potrebbero ancora raccogliere! Tutti i giorni ne vien segnalato qualcuno. E quanti rimarranno ignorati per sempre! senza parlare dei casi numerosissimi in cui la divozione al cuore si confondeva con quella alla piaga del costato, per modo da non poterla distinguere con sufficiente chiarezza. Altra constatazione. Non vi sono solamente dei fatti sparsi; ma si hanno pure delle correnti d’idee, dei movimenti che si disegnano, dei centri d’influenza, delle linee direttrici. Pur tenendosi in guardia contro premature generalizzazioni, si può sempre segnalare qualche fatto. Esisteva già un fondo comune d’idee; assai facile a riconoscersi. Dapprima il simbolismo delle. piaghe e, in modo speciale, di quella del costato da cui escono, coi sacramenti, tutte le grazie di Dio; dove si trova un rifugio, dove l’amore può riposare tranquillo. Ora, la piaga del costato è riguardata, almeno a partire dal XII secolo, come se fosse pur anche la piaga del cuore « vulnus lateris et cordis ». Generale era pur l’idea che il discepolo prediletto, riposando. sul petto di Gesù, avesse bevuto alle sorgenti del Salvatore, « de fontibus Salvatoris, » l’amore, la virtù, i segreti divini. Ma nel mondo del simbolismo, petto e cuore, «pectus cor » si confondono facilmente per designare l’intimo di Gesù, i segreti dell’amor suo, ciò che infine noi chiamavamo cuore; e quantunque la parola del Vangelo, pectus, fosse la più usata vi si ritrova pure la parola cor. Sant’Agostino aveva già detto che il riposo di Giovanni sul petto di Gesù, significava che egli aveva bevuto i segreti più profondi nell’intimo del cuore divino, « de intimo ejus corde » (In Joann., 18. n. 1, Migne, 35 1536). Questi testi, e gli altri che ho segnalato al cap. I, §° 1 e 2, come pieni della divozione del sacro Cuore, erano generali, e d’uso comune; bandivano dunque dappertutto quelle idee che una meditazione amorosa, faceva sgorgare, come naturalmente, da questa divozione. – Poi, quando le idee cominciarono ad essere espresse in termini precisi, i testi che le esprimevano, erano studiati, copiati, utilizzati in mille modi. Qualche esempio può essere utile. San Bernardo, nel Sermone 61 sulla Cantica, ha una pagina ammirabile sulle ferite di Gesù e, in special modo, sulla ferita del costato, qualche linea allude anche direttamente al cuore (l’ho tradotto più sopra, potet arcanum cordis per foramina corporis, etc.). Tutto questo sviluppo, con qualche tratto sia del sermone Seguente, sia di altri, è forse un po’ rimaneggiato o con qualche aggiunta. Esso fu ripreso dai compilatori. Come tale fu inserito nella raccolta che ebbe sì gran successo; e continua ancora a nutrire le anime pie, sotto il titolo di Manuale, attribuito a Sant’Agostino (Migne, t. XL, col 960-961, qui append. II, n. 5). Fu pure inscritto in un’altra compilazione sull’anima, « Libri de anima », che circolò sotto il nome di Ugo da San Vittore (Migne, t. CLXXVII, col. 181, qui append. II, n. 5), e fu inserito pur’anco in altri opuscoli e raccolto qua e la dai predicatori o dagli asceti. È citato come di S. Bernardo o S. Agostino negli « Esercitia de vita et passione Salvatoris Nostri. » (Vedi il passo in FRANCIOSI, col. 246. Si trova nello stesso luogo un altro passaggio attribuito a Sant’Agostino,. dove si fa ugualmente menzione del sacro Cuore. È nostro Signore che parla e invita l’uomo ad amarlo, ricordandogli i suoi benefizi e l’amor suo. « Denique cor meum tibi patefici, potum tibi præbens ipsum roseum sanguinem cordis mei »). Ludolfo il Certosino lo cita pure (Franciosi, col. 251) e quanti dopo, di loro! Altri testi meno salienti e. di autori meno, conosciuti, passavano pure di mano in mano, di bocca in bocca, di raccolta in raccolta. Ho già detto che Harphius, il. Mistico francescano, ha copiato Ludolfo Certosino, a meno che l’uno e l’altro non abbiano copiato da un terzo, Si è molto sorpresi di trovare in San Bernardino. da Siena un lungo commento del B. Simone da Cascia, sulla ferita del costato e il sacro Cuore. Nella Milice chretienne di Lansperge, fu inserita una pagina di Domenico di Tréviri, che si è potuto leggere più sopra. I fatti circolavano come i testi ed esercitavano la loro influenza sulla divozione ed hanno potuto pure esercitarla sino sui fenomeni d’ordine mistico. E che dire delle comunicazioni fra persona e persona? Santa Lutgarda passa dalle Benedettine alle Cirstercensi, Santa Francesca. Romana, dopo essere stata lungo tempo sotto la direzione dei Francescani, passa sotto quella degli Olivetani; Ubertino da Casale, comincia per essere francescano, diviene poi benedettino e muore cirstercense. Ludolfo Certosino era stato già domenicano. Quanti legami, invisibili qualche volta, ma reali, e che possiamo supporre. Possiamo anche discernere certi centri d’influenza e di comunicazione e zone di influenza. Segnalo, specialmente la Certosa di Colonia. I particolari verranno dati nel capitolo seguente, ma per ora raccogliamo qualche fatto caratteristico. Bloemenvenna vi avev a tradotto Harphius, il mistico francescano.; Lansperge  vi tradusse S. Mecthilde e S, Gertrude, le mistiche cirstencensi; Surio, fece lo Stesso, per Suso e Taulero, i mistici domenicani, senza parlare di Ruysbroeck e sante mistiche; un po’ più tardi Bruno Loér vi ristampava le opere mistiche di Harphius e le dedicava ad Ignatio di Loyola. Van Esch (Eschius), molto divoto, egli pure, del Cuore di Gesù, era in intimo rapporto con Lansperge e i Certosini di Colonia, ai quali condusse Surio, uno altro discepolo dello stesso maestro, Pietro Canisio, condiscepolo e amico del Surio, era pur familiare della Certosa. Nel 1543, aveva pubblicato una edizione di Taulero, nel testo originale tedesco, che servì di base alla traduzione del Surio (Questo « certo Pietro Noviomagus » di cui parla il P. Noel nella sua Introduzione alla traduzione francese del Taulero, t. I, p. 87; non è altri che Canisio, nato a Nimegue: Noel lo ha riconosciuto nei volumi seguenti.). Fu forse nei suoi rapporti col coi suoi amici che Canisio attinse quella tenera devozione al cuor di Gesù che ne ha fatto uno dei precursori della B. Margherita Maria? Infine, i Certosini di Colonia, pubblicavano, nel 1541 presso Jaspar Gennepaeus, un volumetto di 88 pagine intitolato: Hortules devotionis, che non è altro che una raccolta di preghiere, pie pratiche, ove ad ogni istante  si fa questione del sacro Cuore. Vi si offre a Dio il cuore di Gesù per i peccati del cuore….. vi si trova buon numero d’esercizi in onore delle cinque piaghe; e le preghiere alla piaga del cuore (è sempre l’espressione usata) sono in particolar modo pie e commoventi. D’altra parte, Luigi di Blois seguiva con attenzione quel movimento ‘di pietà…. Egli conosce e utilizza Lansperge, approfondisce Taulero, cita Harghius e Ruysbroeck, fa raccolta fra i mistici d’Helfta…. e la sua divozione al sacro Cuore si arricchisce con la divozione del passato. (Per diversi dettagli vedi Dom Bourrais, p. 44-50 altri sono presi da Hurter, Nomenclator litterarius, t. IV, Innsbruk 1899, ai nomi di Harphius, Tauler, Suso e t. I, ai nomi di Brosius e Surius.). Precisare anche di più, sarebbe un andar troppo per le lunghe, e su molti punti sarebbe ancor temerario, dato lo stato attuale delle nostre conoscenze. Le indicazioni che precedono bastano, del resto, per farci intravedere non solo quanto la divozione era diffusa verso la fine del XV secolo e il principiare del XVI, ma ancora per quali vie e in qual modo, pur restando una divozione privata, si diffondeva e tendeva via via a entrare nel dominio del pubblico. Vediamola adesso, prender forma, per così dire, in divozione distinta, con pratiche che le son proprie.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA.

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET.

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856 –

LIBRO SETTIMO.

§ IV.

Condanna della grande prostituta che siede sulle grandi acque.

CAPITOLO XVII. – VERSETTI 1-12.

Et venit unus de septem angelis, qui habebant septem phialas, et locutus est mecum, dicens: Veni, ostendam tibi damnationem meretricis magnæ, quæ sedet super aquas multas, cum qua fornicati sunt reges terræ, et inebriati sunt qui inhabitant terram de vino prostitutionis ejus. Et abstulit me in spiritu in desertum. Et vidi mulierem sedentem super bestiam coccineam, plenam nominibus blasphemiae, habentem capita septem, et cornua decem. Et mulier erat circumdata purpura, et coccino, et inaurata auro, et lapide pretioso, et margaritis, habens poculum aureum in manu sua, plenum abominatione, et immunditia fornicationis ejus. Et in fronte ejus nomen scriptum: Mysterium: Babylon magna, mater fornicationum, et abominationum terræ. Et vidi mulierem ebriam de sanguine sanctorum, et de sanguine martyrum Jesu. Et miratus sum cum vidissem illam admiratione magna. Et dixit mihi angelus: Quare miraris? ego dicam tibi sacramentum mulieris, et bestiæ, quæ portat eam, quae habet capita septem, et cornua decem. Bestia, quam vidisti, fuit, et non est, et ascensura est de abysso, et in interitum ibit: et mirabuntur inhabitantes terram ( quorum non sunt scripta nomina in libro vitae a constitutione mundi) videntes bestiam, quæ erat, et non est. Et hic est sensus, qui habet sapientiam. Septem capita, septem montes sunt, super quos mulier sedet, et reges septem sunt. Quinque ceciderunt, unus est, et alius nondum venit: et cum venerit, oportet illum breve tempus manere. Et bestia, quæ erat, et non est: et ipsa octava est: et de septem est, et in interitum vadit. Et decem cornua, quæ vidisti, decem reges sunt: qui regnum nondum acceperunt, sed potestatem tamquam reges una hora accipient post bestiam.

[E venne uno dei sette Angeli, che avevano le sette ampolle, e parlò con me, dicendo: Vieni, ti farò vedere la condannazione della gran meretrice che siede sopra molte acque, colla quale hanno fornicato i re della terra, e col vino della cui fornicazione si sono ubbriacati gli abitatori della terra. E mi condusse in ispirito nel deserto. E vidi una donna seduta sopra una bestia di colore del cocco, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. E la donna era vestita di porpora e di cocco, e sfoggiante d’oro e dì pietre preziose e di perle, e aveva in mano un bicchiere d’oro pieno di abbominazione e dell’immondezza della sua fornicazione: e sulla sua fronte era scritto il nome: Mistero: Babilonia la grande, la madre delle fornicazioni e delle abbominazioni della terra. E vidi questa donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E fui sorpreso da grande meraviglia al vederla. E l’Angelo mi disse: Perché ti meravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, la quale ha sette teste e dieci corna. La bestia, che hai veduto, fu, e non è, e salirà dall’abisso, e andrà in perdizione: e gli abitatori della terra (ì nomi dei quali non sono scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo) resteranno ammirati vedendo la bestia che era e non è. Qui sta la mente che ha saggezza. Le sette teste sono sette monti, sopra dei quali siede la donna, e sono sette re. Cinque sonò caduti, l’uno è, e l’altro non è ancora venuto: e venuto che sia, deve durar poco tempo. E la bestia, che era e non è, essa ancora è l’ottavo: ed è di quei sette, e va in perdizione. E le dieci coma, che hai veduto, sono dieci re: i quali non hanno per anco ricevuto il regno, ma riceveranno la potestà come re per un’ora dopo la bestia.]

I. Vers. 1. – E venne uno dei sette angeli che portavano le sette coppe, e mi parlò, dicendo: Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta che siede su molte acque. Questo Angelo che annuncia a San Giovanni la condanna della grande meretrice è, come è detto nel testo stesso, uno dei sette Angeli che portavano le sette coppe dell’ira di Dio. Questo Angelo è solo, e parla a nome di tutti: è sempre per farci vedere l’unità di azione, di principio e di dottrina che unisce tutte le potenze del cielo e la Chiesa trionfante; così come San Giovanni che, rappresentante unico della Chiesa militante, rappresenta anche la stessa unità in questa Chiesa. E questi due ambasciatori che conferiscono insieme, sulla caduta del nemico, con le loro rispettive potenze, è ancora un’altra figura che mostra la stretta unione che esiste tra i Santi del cielo e quelli della terra. Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta. Vieni, cioè, risvegliate la vostra attenzione, e distogliete i vostri occhi dalle cose terrene, e badate solo a ciò che vi mostrerò in spirito ed immaginazione; poiché, ecco, questa è la condanna della grande prostituta. Nel capitolo precedente abbiamo visto in primo luogo l’esecuzione di questa sentenza, una sentenza che si rivela a San Giovanni solo in un secondo momento, in questo capitolo. La ragione di questa inversione era quella di non turbare l’ordine della narrazione delle sette piaghe. Vediamo in questo anche una figura di ciò che accadrà effettivamente nella consumazione di queste piaghe, cioè che la maggior parte degli uomini degli ultimi tempi non conoscerà i motivi di questa sentenza fino a dopo la sua esecuzione, perché allora non sarà possibile conoscerne le ragioni.; infatti i resti degli uomini che sono sopravvissuti a questo disastro … saranno presi da terrore e daranno gloria a Dio, e i Giudei diranno: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore“. – Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta. Ti mostrerò i decreti di Dio, che finalmente porterà una giusta e terribile vendetta sui malvagi. Perché questa grande prostituta è Babilonia, che rappresenta figurativamente la massa universale degli empi di tutti i luoghi e di tutti i tempi. (Vedi Sant’Agostino, Enarrat. secunda in Psal. XXVI, e San Prospero, In dim. temp.). Colei che siede sulle grandi acque, cioè sui popoli, le nazioni e le lingue, secondo l’Apocalisse stessa, (XVII, 15): « Le acque che avete visto, dove siede la meretrice, sono i popoli, le nazioni e le lingue ».

Vers. 2 – … con la quale i re della terra sono stati corrotti e gli abitanti della terra sono stati ubriacati con il vino della sua prostituzione. Come è stato detto, San Giovanni paragona la massa universale degli empi ad una prostituta, così come paragona, per contrasto, la Chiesa di Gesù Cristo ad una donna. Vedremo di seguito che cosa sia questa prostituta con la quale si sono corrotti i re della terra. L’Apostolo chiama questi re i “re della terra”, per chiarire che non si tratta di tutti i re, ma solo di quelli della terra, cioè dei principi malvagi dediti ai piaceri terreni, che hanno prostituito i loro cuori corrompendosi con la prostituta, considerandosi i padroni assoluti della terra, imponendo il loro giogo di ferro sui loro sudditi, ed esercitando la loro tirannia con atti puramente arbitrari, senza preoccuparsi dei giudizi di Dio, che è il Re dei re. E gli abitanti della terra si sono ubriacati con il vino della sua prostituzione. Questo vino di prostituzione sono le tre concupiscenze di cui parla San Giovanni: l’amore dei piaceri, la sete delle ricchezze e l’orgoglio della vita.  Perché 1° il vino inebria e produce sugli uomini lo stesso effetto dei piaceri carnali e terreni, specialmente quando sono assecondati con passione. 2° Il vino toglie la sete per un momento, ma se bevuto in eccesso la eccita ulteriormente, come le ricchezze eccitano l’avidità. 3° Produce un vapore, o un fumo come quello dell’orgoglio, che stordisce per un momento e si disperde poi nell’aria. 4° Il vino è piacevole da bere e soddisfa i sensi come i piaceri della terra. 5° Il vino è come il fuoco, e dovrebbe essere usato con cautela, e non gli dovrebbe mai essere permesso di prendere il sopravvento; e così, secondo San Paolo, un uomo dovrebbe anche godere dei beni terreni con moderazione, e come se non ne godesse. E gli abitanti della terra sono stati ubriacati con il vino della sua prostituzione, cioè il maggior numero di uomini che hanno abusato dei doni di Dio sulla terra, e che sono stati ubriacati con il vino dei piaceri, delle ricchezze e degli onori condannati da Gesù Cristo, apparterranno agli abitanti di Babilonia e subiranno la stessa sorte, soprattutto se persistono nei loro vizi. Questo vino è chiamato il vino della prostituzione, perché fa perdere la ragione, la fede, il timore di Dio, la distinzione tra il bene e il male e il ricordo dei fini ultimi; e perché gli uomini dimenticano Dio e si prostituiscono alla creatura (Isaia, XXVIII, 7): « Ma quelli d’Israele sono così pieni di vino che non sanno quello che fanno. Il sacerdote e il profeta sono senza conoscenza nell’ubriachezza che li possiede; sono assorbiti dal vino, barcollano come se fossero ubriachi, non hanno conosciuto la profezia, non hanno conosciuto la giustizia. Tutti i tavoli sono così pieni di fetore e di ciò che vomitano, che non c’è più un posto pulito ».

II. Vers. 3. – Ed egli mi trasportò in spirito nel deserto, e vidi una donna seduta su una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. – 1° L’angelo portò San Giovanni in spirito nel deserto, cioè fuori dalla Chiesa di Dio, che è la terra irrigata dalle acque della sua grazia e resa feconda dal Sole della giustizia e della verità. Nel deserto, cioè nel luogo delle abominazioni e dell’aridità, dove c’è una completa assenza di opere buone. Nel deserto, dove le piante dei giusti sono appassite e la terra della Chiesa è diventata sterile. – Nel deserto, dove si trovano solo pietre, che sono i cuori degli uomini induriti dal peccato. Nel deserto, dove gli uomini infiammati dalle loro passioni sono numerosi come la sabbia ardente che copre la sua superficie. Nel deserto, abitato da bestie feroci, da mostri, da empi, da malvagi, da tiranni, da oppressori di vedove e orfani. Nel deserto, la tana dei rettili, degli ingannatori, dei corruttori e dei seduttori. Nel deserto, abitato da demoni, dagli ingiusti, dai ribelli, da empi, peccatori, malvagi, profani, dagli assassini dei loro padri e delle loro madri, dagli omicidi, dai fornicatori, dagli abominevoli, da ladri di schiavi, bugiardi, spergiuri e da tutti coloro che sono contrari alla sana dottrina (Vedere. I. Tim, 1, 9). Ora la prostituta abita in questo deserto, perché fugge dalla dolce e benefica luce della terra fertile, per inaridirsi e svanire al sole ardente delle passioni. Cerca la solitudine e la segretezza per nascondere la sua vergogna, e per indulgere nei suoi abomini in sicurezza. Il deserto è dunque il luogo del suo ritiro e della sua dimora abituale; è lì che gli apostati, che lasciano la terra della fecondità, vanno a cercarla, e questa donna esce dal suo ritiro solo per cercare vittime da divorare, soprattutto se si sente abbandonata dai suoi cortigiani abituali. E vidi una donna seduta su una bestia color scarlatto. Questa donna, dunque, è la prostituta di cui abbiamo appena parlato, e che l’Apostolo continua a descrivere con colori tali che è impossibile fraintenderla. Questa donna non deve essere confusa con quella che rappresenta la Chiesa, e di cui si parla in questi termini, nel cap. XII, 6: « E la donna fuggì nel deserto dell’Ovest, dove aveva un rifugio che Dio aveva preparato per lei, per essere nutrita per milleduecentosessanta giorni. »  Infatti, sebbene la Chiesa e il mondo siano entrambe rappresentate da due donne, e sebbene queste donne abbiano ciascuna un riparo nel deserto, si vede chiaramente la differenza tra l’una e l’altra dal contesto, e in particolare da quei passaggi in cui si dice che una di queste donne è una prostituta seduta su una bestia scarlatta; mentre l’altra donna, che rappresenta la Chiesa, fugge nel deserto, che non era la sua casa, ma solo un luogo di ritiro che Dio aveva preparato per lei. – Questa differenza diventa molto più chiara, fino all’ovvietà, dal testo seguente: « E ci fu una grande battaglia in cielo (cioè nella Chiesa militante, quando fuggì nel deserto): Michele e i suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone combatté con i suoi angeli. Ma questi erano i più deboli e il loro posto non era più in cielo; » cioè nella Chiesa, che si era impadronita del deserto d’Occide. Vedi sopra, cap. XII. Così Dio ha preparato questo ritiro per la sua Chiesa nel deserto con la lotta che San Michele e i suoi Angeli, guidando gli apostoli della Germania e di tutto l’Occidente, hanno condotto contro il dragone e la prostituta; e questi ultimi erano i più deboli e hanno dovuto cedere la loro dimora alla donna che Dio proteggeva. Ma la prostituta sedeva nel deserto su una bestia color scarlatto. Queste ultime parole designano perfettamente il carattere di questa donna; poiché nient’altro può essere inteso da queste parole così espressive, se non le orribili persecuzioni e i fiumi di sangue, per cui la prostituta sedeva nel deserto, assicurandosi il suo impero sul mondo con le persecuzioni. – 2 ° Questa bestia color scarlatto, sulla quale la prostituta sedeva, non è altro che il dragone o il diavolo, che è l’autore di tutti gli omicidi; poiché egli era omicida fin dall’inizio. Questo è ciò che Gesù Cristo stesso dimostrò ai Giudei, che sostenevano di essere figli di Abramo, quando disse loro, (Jo. VIII, 39): « Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ma ora cercate di far morire me che vi ho detto la verità che ho appreso da Dio; questo è ciò che Abramo non ha fatto. Voi fate le opere di vostro padre. » E chi è questo padre? Questo è quello che ci dicono gli stessi Giudei, perché risposero: « Noi non siamo nati dalla prostituzione; abbiamo un Padre che è Dio ». E Gesù disse loro: « Se Dio fosse vostro Padre, ….. sicuramente mi amereste. Il padre da cui siete nati è il diavolo, e voi volete eseguire gli ordini di vostro padre, che era un assassino fin dal principio, e non ha perseverato nella verità, perché la verità non è in lui. Quando proferisce menzogna, dice quello che trova in se stesso; perché è un bugiardo, egli è il padre della menzogna. » Queste parole spiegano il nostro testo in modo ammirevole; perché vediamo chiaramente che gli stessi Giudei hanno confessato a Gesù Cristo che coloro che non sono figli di Abramo sono nati dalla prostituzione, e Gesù Cristo aggiunge che il loro padre è il diavolo, che era omicida fin dall’inizio. Da qui queste parole dell’Apocalisse: E vidi una donna seduta su una bestia color scarlatto. Tutti coloro che non sono figli di Abramo secondo la fede, sono del seme della prostituta, perché sono nati dalla prostituzione. E il loro padre è il diavolo, che era omicida fin dall’inizio. La bestia color scarlatto, ovvero il colore del sangue, su cui siede la prostituta, è dunque il dragone, il padre della menzogna, che San Michele con i suoi Angeli cacciò dal deserto d’Occidente, quando Dio preparò un rifugio per la sua Chiesa, perché la verità non poteva abitare nello stesso rifugio della falsità, né il vizio poteva conciliarsi con la giustizia. E questa bestia era piena di nomi di blasfemia, vale a dire che tutte le bestemmie che sono state dette o scritte, o anche in atti, dal principio del mondo fino alla sua consumazione, sono e saranno ispirate dal diavolo; e queste bestemmie saranno così numerose che la bestia ne sarà piena. E quella bestia era piena di nomi di blasfemia. Questo passaggio si applica a tutti gli empi del mondo che hanno bestemmiato contro Dio, contro la beata Vergine Maria, contro i Santi, contro la Chiesa. Che aveva sette teste e dieci corna. 1º Queste sette teste rappresentano in figura l’universalità dei re, dei principi, dei governi, dei capi delle sette, etc., che saranno stati i supporti, i grandi capi o direttori dei malvagi, ed i ministri di satana sulla terra della prostituzione. 2º Queste sette teste rappresentano anche i sette nemici principali che avranno fatto guerra alla Chiesa di Gesù Cristo, cioè, i Giudei, i tiranni del paganesimo, gli eretici, come gli ariani, i nestoriani, i pelagiani, i protestanti, i falsi profeti, che bandiranno la fede di Gesù di Nazareth, per preparare la strada all’anticristo, e l’anticristo stesso. 3° Infine, queste sette teste rappresentano alla lettera le sette dinastie principali e le sette epoche principali, che si distinguono nella storia generale del mondo empio e corrotto. Perché queste sette teste sono sette re o capi, ognuno dei quali rappresenta una di queste grandi epoche, e una delle dinastie principali che hanno regnato in ciascuna di queste epoche. Questo si vedrà più avanti, quando il profeta stesso darà la spiegazione di queste sette teste e delle dieci corna.

III. Vers. 4. – E la donna era vestita di porpora e di scarlatto, ornata d’oro, di pietre preziose e di perle, e aveva in mano un vaso d’oro, pieno di abomini e di impurità della sua fornicazione. Questa veste di porpora e scarlatto rappresenta il lusso, la vanità, il fasto e la pompa del mondo; perché qui lo scarlatto non è più menzionato per il suo colore di sangue, come sopra; ma è messo con la porpora, a causa della luminosità e della ricchezza di questi due materiali, di cui sono fatti i mantelli dei re e le ricche vesti. Questo ornamento d’oro, pietre preziose e perle, è aggiunto dal profeta, per rendere il suo pensiero più chiaro, e spiegare meglio ciò che significa questa veste della prostituta. – Portando in mano un vaso d’oro, pieno di abomini e delle impurità della sua fornicazione. Queste parole rappresentano le tentazioni con cui questa prostituta avvelena le sue vittime. Perché quando lei presenta il veleno e il veleno mortale delle abominazioni, che sono, secondo Sant’Ambrogio, in Psal. I: « gli errori e le false dottrine contro la fede, e impurità », cioè i suoi insegnamenti contro la morale e la purezza dei costumi. « Questo calice è d’oro – aggiunge lo stesso Santo Padre – ma gli stolti che lo usano ne bevono solo impurità e abominio. » Questo calice contiene il veleno dell’ingiustizia, della frode, dei ladrocini, dell’usura, della vendetta, dell’ubriachezza, del libertinaggio, dell’impurità, dell’avidità, in una parola, di tutti i vizi. Ora la prostituta ha cura di indorare la pillola, e di nascondere l’amarezza, il fiele e il veleno di questi orrori, presentandoli in un vaso d’oro, per meglio riuscire ad ingannare e sedurre gli uomini. Perché se il diavolo, che è il padre della prostituta, e se la prostituta stessa non fossero attenti ad agire in questo modo, gli uomini non troverebbero alcuna attrazione nel vizio, e ne concepirebbero solo un giusto orrore.

IV . Vers. 5. E questo nome era scritto sulla sua fronte: Mistero, la grande Babilonia, la madre della fornicazione e delle abominazioni della terra.Questa donna portava il nome di Mistero; e un mistero è una verità nascosta e segreta. Nella religione, è una verità che non comprendiamo, ma che crediamo, perché Dio l’ha rivelata. I nostri padri chiamavano misteri le rappresentazioni di certe opere teatrali, il cui soggetto era tratto dalla Bibbia, e nelle quali portavano Angeli e diavoli, ecc. Per estensione, diciamo: i misteri della politica, i misteri dell’iniquità; è in quest’ultimo senso che sono stati scritti recentemente i Misteri di Parigi, i Misteri di Vienna, ecc. Ora, è anche nello stesso senso che il nome Mistero debba essere inteso qui. Perché l’iniquità dei malvagi è piena di misteri che saranno conosciuti e rivelati solo nell’ultimo giorno, il giorno del giudizio. 2° La grande Babilonia. Si è già detto che questa parola significa confusione, ed è in questa confusione che si nascondono i segreti dei malvagi e le ingiustizie delle loro iniquità. Babilonia era la capitale della Caldea e del regno degli Assiri. Questa città è generalmente menzionata nella Scrittura per rappresentare il mondo malvagio, a causa del significato del suo nome, e anche a causa della grande corruzione di questa città. Inoltre, queste parole, Mistero, grande Babilonia, non sono citate da San Giovanni per la cosa in sé, ma per ciò che rappresenta; poiché egli dice espressamente che è il nome che cita, e non la città. E questo nome era scritto sulla sua fronte, sulla fronte di questa donna: Mistero, la grande Babilonia. Poi aggiunge quello che è, cioè: la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra. Dobbiamo notare che San Giovanni chiama questa prostituta la grande Babilonia, per farci capire meglio che, con questa donna, dobbiamo intendere l’universalità degli empi di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

V. Vers. 6 . E vidi la donna ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù, e quando la vidi fui pieno di grande stupore. 1°. È impossibile dipingere più vividamente il furore dei tiranni idolatri e degli empi di tutte le epoche contro i Santi e gli amici di Dio di quanto faccia San Giovanni, quando dice che la donna era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù, poiché essi spinsero la sete di sangue e di vendetta fino all’ubriachezza. Dopo questo aggiunge: E quando la vidi, fui pieno di grande stupore, nel vedere questa donna, così crudele e così feroce, innalzata ad un così alto grado di grandezza, nuotando nelle delizie, e circondata da così tanti cortigiani. 2°. Si noterà che San Giovanni non parla del sangue di Gesù Cristo stesso; lo fa deliberatamente, per farci capire che la causa dei martiri e dei fedeli è la stessa di quella di Gesù. E quando l’Apostolo omette il principale, lo fa per esprimere meglio la stretta unione tra gli amici di Gesù e Gesù Cristo stesso, il cui sangue si fonde, per così dire, con quello dei martiri, così che non si possa nominare l’uno senza esprimere l’altro. Un’altra ragione per cui San Giovanni non dice che la donna fu inebriata dal sangue di Gesù Cristo, è che questo sangue non servì per la sua redenzione, nonostante i suoi meriti infiniti. Perché la prostituta aveva, con il permesso di Dio, il potere di versare questo sangue prezioso ma non ebbe la felicità di berlo. Questa felicità era riservata ai soli figli di Abramo, secondo la fede; e questo sangue cadrà sulla prostituta e sui suoi figli, poiché i Giudei hanno osato chiederlo in nome di Dio. E questo sangue cadrà sulla prostituta e sui suoi figli, secondo quanto osarono chiedere i Giudei, bestemmiando; (Matth. XXVII, 25): « Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli. » Ora, è per vendicarsi che il padre della prostituta l’ha ispirata ad inebriarsi del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù, non potendo vendicarsi in nessun altro modo del sangue di Dio stesso, che gli ha strappato innumerevoli vittime con i suoi meriti infiniti. Dio permette che la prostituta possa così inebriarsi del sangue dei suoi santi e dei suoi martiri, per la loro felicità e quella della Chiesa, perché il sangue dei martiri è una semenza, dice Tertulliano; e la prostituta, inebriata di questo sangue, non può capirlo nel suo stato di ubriachezza, di rabbia e di stordimento. E alla sua vista fui pieno di grande stupore, come si dovrebbe essere alla vista di questa donna che è ubriaca del prezioso sangue dei martiri, per la sua rovina, per la sua confusione e per la sua condanna; così ella inebria anche le sue vittime, gli empi, con il vino della sua prostituzione, che fa bere da una coppa d’oro, sempre per la loro rovina, per la loro confusione e per la loro condanna.

VI. Vers. 7.- E l’Angelo mi disse: Perché ti meravigli? Ti dirò il mistero della donna e della bestia che l’ha partorita, che aveva sette teste e dieci corna. È sempre lo stesso Angelo che parla e dice a San Giovanni: Perché ti meravigli? Questo è un modo oratorio di esprimersi, che è pieno di energia. Non dobbiamo dimenticare che San Giovanni rappresenta qui la Chiesa; e il suo stupore esprime in modo ammirevole il sentimento del grande pubblico e della gente comune che sono stupiti e non possono penetrare improvvisamente i segreti nascosti di questo tragico evento; ecco perché l’Angelo stesso lo chiama un mistero: Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, che ha sette teste e dieci corna. Queste parole contengono anche un avvertimento dato ai Cristiani, che non devono essere tra coloro che si meraviglieranno con gli empi. Perché non avranno voluto conoscere o praticare la verità delle profezie che la Chiesa possiede, e di cui i fedeli devono essere informati; perché è scritto, (Apoc. I, 3): « Beato chi legge e ascolta le parole di questa profezia, e osserva tutto ciò che vi è scritto; perché il tempo è vicino. » – Questa espressione di stupore è infine una figura per eccitare la nostra attenzione alla spiegazione di questo importante mistero: Vi dirò il mistero della donna, etc. Prima di tutto, dobbiamo notare che qui non si tratta più, come sopra, del nome di questa donna, ma della donna stessa, il cui segreto l’Angelo sta per rivelarci: Io ti svelerò il mistero della donna, della bestia che la porta e della bestia che la porta, che ha sette teste e dieci corna. Ora ecco questo mistero:

VII. Vers. 8La bestia che tu hai visto era e non è, e uscirà dal pozzo senza fondo e sarà gettata nella perdizione; e quelli che abitano sulla terra, i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dall’inizio del mondo saranno stupiti quando vedranno la bestia che era e non è. Con queste parole: La bestia che tu hai visto era e non è più, l’Angelo insegna alla Chiesa nella persona di San Giovanni, che, con la catastrofe descrittanel capitolo precedente, la bestia cesserà di esistere. Questo è un modo di confermare questa verità così consolante per i buoni, e così terribile per i malvagi. L’Angelo dice al passato: La bestia che avete visto era; e aggiunge al presente: e non è più, come se fosse già accaduto quando San Giovanni scrisse questo libro; perché il tempo è un attimo ed anche un batter d’occhio, in confronto all’eternità. – In secondo luogo, l’Angelo, dicendo che la bestia era, indica anche in modo ammirevole la presenza e l’impero della bestia, cioè del diavolo, nel mondo, prima della venuta di Gesù Cristo e prima della costituzione della sua Chiesa. Perché la bestia, che è l’antico serpente, poteva già, al momento della costituzione della Chiesa,… e quando San Giovanni scrisse questo libro, essere considerata come non più esistente, poiché la Donna che doveva schiacciare la sua testa era appena apparsa; ed è al momento di essere schiacciata da Lei, che la bestia doveva morderla nel tallone; poiché il tempo è  un attimo in confronto all’eternità. (Gen. III. 15): « Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra il tuo seme e il suo; essa ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno. » Ora, il colpo del piede con cui si schiaccia la testa di un rettile è come istantaneo, e da qui queste parole dell’Angelo: La bestia che avete visto era e non è più; essa risorgerà dall’abisso. Queste ultime parole al tempo futuro si applicano soprattutto alla fine dei tempi, quando la bestia, cioè il demone il cui potere sarà stato come annientato dalla Chiesa durante i mille anni del regno di Gesù Cristo sulla terra, diffonderà il suo impero e uscirà una seconda volta dall’abisso in cui è stato gettato dalla venuta del Salvatore. Infatti, durante i mille anni di dominio della Chiesa sulla terra, la bestia non può che ferirla al calcagno con le eresie e i tiranni; (Jo., XII, 31): « Ora sarà cacciato il principe del mondo. E Io (dice Gesù Cristo), quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Questo disse per segnalare di qual morte dovesse morire, e anche per farci vedere che Egli avrebbe trionfato attraverso la croce. » Ora, è in questo che la profezia contenuta nella Genesi, e che abbiamo citato, si è verificata; ma questa profezia non si contraddice con quella che troviamo nell’Apocalisse, e tutte queste profezie trovano davvero il loro posto e sono verificate in modo ammirevole confermandosi e corroborandosi a vicenda. – Questo è ciò che dimostreremo con questi testi dell’Apocalisse, (XX, 7): « E dopo che i mille anni saranno compiuti, satana sarà sciolto, uscirà dalla sua prigione e ingannerà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, etc. » (lbid ., XIII, 15): « E gli fu dato di dare vita all’immagine della bestia e di farla parlare, e di uccidere tutti coloro che non avrebbero adorato l’immagine della bestia. » Così vediamo da questo che la bestia colpirà ancora alla fine dei tempi la beata Vergine Maria nella persona morale della Chiesa che è anche chiamata la Donna, (Ap., XII, 6). Ma questa ferita è sempre solo una ferita da tallone, perché Maria è colei che è il tallone. Ma questa ferita è che sempre solo una ferita al tallone, perché Maria e la Chiesa trionferanno sulla bestia dopo questa breve, feroce lotta alla fine dei tempi, e la Donna finirà per schiacciare di nuovo la testa del serpente, col braccio onnipotente di suo Figlio Gesù Cristo, secondo queste parole: (Apoc. XX, 7): « E dopo che i mille anni saranno compiuti, satana sarà sciolto e uscirà dalla sua prigione e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. E salirono sulla faccia della terra. E circondarono l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò; e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia ed i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. Così la bestia, o il vecchio serpente, il seduttore della razza umana, avrà la testa schiacciata per i secoli dei secoli. » È dunque così che la bestia, o l’antico serpente, questo seduttore del genere umano avrà la testa schiacciata. Da qui queste parole del testo: La bestia che tu hai visto era e non è più; essa si leverà dall’abisso e sarà precipitata nella perdizione; e gli abitanti della terra, i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dall’inizio del mondo, cioè, coloro che non sono predestinati, e che sono conosciuti da Dio da tutta l’eternità, come non debbano essere salvati che per loro colpa, si stupiranno quando vedranno la bestia che era e che non è più. Queste parole devono essere ancora applicabili al momento della caduta e dello sterminio della bestia, dell’anticristo e dei suoi falsi profeti; perché allora « gli uomini saranno stupiti, e tutti coloro i cui nomi non sono nel libro della vita saranno uccisi e gettati con la bestia nel lago di fuoco e di zolfo per esservi tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli; e i restanti saranno presi da timore e daranno gloria a Dio.

VIII. Vers. 9. E questo è il saggio significato di questa visione: le sette teste sono sette montagne su cui siede la donna.

Vers. 10. Sono anche sette re, cinque dei quali sono caduti; uno è ancora, e l’altro non è ancora venuto; e quando sarà venuto, dovrà rimanere un po’ di tempo.

Vers. 11. – E la bestia che era e non è, è l’ottava; è una delle sette e va nella morte. Ed ecco il senso pieno di saggezza di questa visione.  Con queste parole, l’Angelo insegna alla Chiesa, nella persona di S. Giovanni, la profonda saggezza celata in questa visione: egli vuol farci sapere che anche i saggi hanno bisogno di molta attenzione e devono meditare, pregare e digiunare a lungo per capire tali misteri. Le sette teste sono sette montagne su cui la donna siede. Questo confronto tra le montagne è tanto bello quanto sensibile. 1° Le montagne dominano tutta la terra. 2° Si estendono con lunghe catene e ramificazioni su molte contrade. 3° Dalle montagne più alte, sulle quali si trovano i ghiacciai, scendono i grandi fiumi che bagnano la terra e alimentano le grandi acque. 4° Le cime di queste alte montagne, anche se più vicine al sole, sono le regioni più fredde, e più ci si avvicina ai bacini dove sono contenute le grandi acque del mare e dei laghi, più l’aria si addolcisce e perde la sua asperità. 5° Le montagne sono generalmente aride e selvagge. 6° Esse sono il rifugio di animali feroci. 7° È soprattutto in queste alte regioni che scoppiano le tempeste più grandi e frequenti. 8° La pioggia e la nebbia le rendono quasi sempre scure. 9° Alcune delle montagne della terra sono ridenti, fertili e graziose, tutte sono più o meno imponenti e maestose. 10°. È sulle cime più alte che troviamo i più grandi spettacoli e i più grandi orrori della natura, come i precipizi, le grandi cascate, il rumore spaventoso dei torrenti, ecc. 11°. Accanto alle più alte cime, troviamo le valli profonde e gli abissi senza fondo, etc. Ora, questi sono precisamente i poteri dell’epoca, che San Giovanni chiama le montagne. Perché 1° dominano la terra. 2° Si uniscono ed estendono il loro dominio su molte terre. 3° Dai grandi regni vennero le guerre e le persecuzioni che fecero scorrere fiumi di sangue, per irrigare la terra della fede e per alimentare le grandi acque della tribolazione. 4°. I più alti di questi poteri, pur essendo i più alti, sono spesso oscurati dalle nuvole dell’ambizione e del sordido interesse; e sono proprio coloro che erano più vicini al sole della giustizia e della verità, come gli imperatori romani, per esempio, che si sono dimostrati i più freddi ed amari nelle loro azioni. È anche da questo contatto dei ghiacciai, cioè, delle menti e dei cuori dei tiranni con il sole della giustizia e della verità, che sono venuti i fiumi di sangue della persecuzione. Più si scende nelle regioni inferiori dell’umiltà, della povertà e della semplicità, verso le acque della tribolazione, più vi troviamo gli effetti del dolce calore della grazia, della giustizia e della verità della luce eterna. 5° I grandi regni sono generalmente quelli che sono state più sterili di opere buone e di filantropia. 6° È nella storia delle grandi potenze che troviamo i più grandi mostri e le bestie più feroci che si inebriarono di sangue umano. 7° Quante terribili tempeste scoppiarono tra queste nazioni devastatrici? 8°. Quante lacrime non fecero versare, coprendo la terra di lutto e di desolazione? 9° Alcune di queste potenze sono state davvero benefiche e hanno reso la terra felice per la fecondità delle loro grandi e generose imprese; e tutte sono maestose ed imponenti. 10° Quali grandi spettacoli e orrori non fornisce generalmente la loro storia? 11° Infine, non è forse nei più grandi regni che i più potenti siedono in mezzo ai più deboli, ai più poveri e ai più miserabili? L’Angelo, volendo spiegare cosa sono queste sette teste, ci dice: Le sette teste sono sette montagne su cui siede la donna: la donna, cioè la prostituta, come abbiamo descritto sopra.

IX. Poi San Giovanni ci presenta la stessa cosa sotto un’altra figura, secondo l’uso dei Profeti, e ci dice che sono anche sette re…  – Ora da queste tre figure: a) la donna seduta, b) sulle sette montagne, c) che sono anche sette re, capiamo chiaramente, soprattutto per la loro connessione, che si tratta qui di dominazioni e poteri su cui la donna è seduta, cioè su cui il mondo è stabilito, fondato, sostenuto, protetto e rafforzato. Sono anche sette re, cinque dei quali sono caduti; uno c’è ancora e l’altro non è ancora arrivato. Da tutto quello che è stato spiegato prima, abbiamo già potuto convincerci che questa donna è la prostituta seduta nel deserto sulla bestia di colore scarlatto, e che questa bestia è il diavolo che fa guerra agli uomini da solo, o con i suoi ministri, gli empi e i malvagi, e questo che a causa della sua antica inimicizia contro la razza umana. Gen III, 15: « Metterò inimicizia tra te e la donna ». Ora, se prendiamo la storia del mondo, vi vediamo una lotta feroce e continua con circostanze diverse, è vero, ma sempre la stessa, quanto al principio, tra Dio e il diavolo; tra la donna, che è la Chiesa, e la prostituta, che è il mondo; tra la posterità del diavolo e quella della beata Vergine Maria; in una parola, tra il bene e il male. I buoni sono sostenuti da Dio e dalla sua Chiesa, e devono seguire le orme di Gesù Cristo, il loro capo, che fu crocifisso e che ha sofferto. I malvagi, al contrario, sono ispirati dal diavolo e sono sostenuti dalle potenze della terra, alle quali il mondo appartiene, secondo le parole di Gesù Cristo stesso; Joa., XVIII, 36: « Il mio regno non è di questo mondo » e Ibid. XVI: « Il principe di questo mondo è già giudicato. » Ora, da ciò che abbiamo appena detto, si vede già che queste potenze, o queste sette montagne su cui la donna siede, devono essere intese come tutti i luoghi ed i tempi della storia del mondo. Ora, se compiliamo la storia universale dei malvagi che possiedono la terra e perseguitano i buoni, vediamo sette epoche principali e distinte, alle quali l’Angelo applica queste parole: Le sette teste sono sette montagne, etc. Queste epoche sono precisamente quelle in cui la bestia ha versato così tanto sangue da diventare rossa come lo scarlatto. (Apoc. XVII, 3): « E vidi una donna seduta su una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. » Il primo periodo fu da Adamo a Noè: vediamo Caino, il primo assassino, e i giganti che furono i primi persecutori dei buoni; questa è la prima montagna o la prima potenza e il primo re. Nella seconda, da Noè ad Abramo, ci sono Nimrod e i malvagi che costruirono la torre di Babele; questa è la seconda montagna. Nella terza epoca, da Abramo a Mosè, troviamo i re di Sodoma e i Faraoni d’Egitto. La quarta, da Mosè alla cattività babilonese, ci dà i re empi di Israele e Giuda. Nella quinta, dalla cattività babilonese a Gesù Cristo, troviamo i re della Caldea e quelli dell’Asia e della Siria. Ora queste cinque montagne o potenze, anch’esse rappresentate da re, erano effettivamente cadute quando San Giovanni ricevette questa rivelazione. Da qui queste parole: Questi sono anche sette re, di cui cinque sono caduti. La sesta epoca ci presenta gli imperatori pagani le cui orribili persecuzioni imperversavano proprio quando San Giovanni scrisse questo libro, poiché ricevette la rivelazione nel suo esilio da Pathmos, dove si ritirò dopo essere stato immerso in una caldaia di olio bollente. Per questo l’Angelo aggiunge: Uno è ancora. Infine, la settima potenza nemica del bene, è quella di Maometto e del suo immenso impero, che ha portato la Chiesa di Gesù Cristo sull’orlo della distruzione e si è mostrata così crudelmente ostile al Cristianesimo; ma questa settima potenza non esisteva ancora al tempo di San Giovanni; ecco perché l’Angelo gli dice: « E l’altro non è ancora venuto. E quando sarà venuto, devrà rimanere poco tempo. » Queste ultime parole sono spiegate ulteriormente, e si applicano all’Anticristo il cui potere sorgerà dai resti dell’impero turco, e formerà moralmente lo stesso potere, il potere della bestia che comprende l’intera estensione del regno dei Turchi o della setta musulmana, da Maometto fino all’Anticristo incluso.

X. E la bestia che era e non è, è l’ottava; è una delle sette e va nella morte. Si ricorderà che i Profeti sono soliti parlare di cose molto remote come se fossero presenti, per la ragione che il tempo non è che un punto in confronto all’eternità; ecco la ragione per cui parlano di cose molto remote come se fossero presenti. Ecco perché l’Angelo dice al presente, parlando dell’Anticristo: « E la bestia che era e non è, è l’ottava. » Egli usa qui le stesse parole usate sopra, al versetto 8, per farci capire che si tratta sempre della stessa bestia, e che il settimo e l’ottavo monte sono veramente uno. Infatti ora l’Angelo parla di un’ottava montagna, un’ottava bestia o un’ottava potenza, visto che ne aveva annunciate solo sette! È quello che lui stesso spiega dicendo che questo ottavo è uno dei sette. E per farci sapere di quale bestia parla, la tocca per così dire, con il dito, dicendoci che è il figlio della perdizione, con queste parole: E va alla morte. Perché allora dice che va alla morte, dopo aver detto prima che non c’è più? È per spiegare meglio il suo enigma; e se vogliamo capirlo bene, dobbiamo vedere le parole che accompagnano questi due punti di difficoltà. Quando parla della bestia che era e non è, aggiunge immediatamente che è l’ottava; è come se dicesse: l’ottava bestia che verrà, cioè l’Anticristo, era e non c’è più. Egli annuncia la sua fine in modo così rapido, per farci capire che regnerà per un breve periodo. Questo spiega la parte finale del testo precedente: E quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco tempo. Quindi vediamo che queste ultime parole si applicano all’ottava montagna, che è l’Anticristo, e non all’impero di Maometto, che deve durare milleduecentosettantasette anni e mezzo, se contiamo la durata di questo regno da Maometto alla fine del mondo, e milleduecentosessanta anni se torniamo al tempo di Cosroe, quando la Chiesa cominciò a stabilirsi in Occidente, ridiscendendo fino al tempo in cui questa prima bestia sarà come ferita a morte dalla presa di Costantinopoli e dalla quasi completa rovina del suo impero. La ragione per la quale il profeta ha potuto unire la fine di questo testo, che si applica all’Anticristo, con il regno di Maometto, è spiegato dalle seguenti parole: È una delle sette, e va nella morte; cioè, che questa ottava bestia, l’Anticristo, appartiene a una delle sette montagne o potenze che è l’impero dei Turchi, perché avrà la sua origine da esso e sarà moralmente la stessa potenza. Ma quando entrerà nella morte, sarà l’ottava potenza; perché allora l’impero dei Turchi, che è il settimo, sarà passato. Da tutto ciò che abbiamo appena detto, ne consegue che San Giovanni ha voluto insegnarci con il suo enigma: 1º Che l’impero dei Turchi e quello dell’Anticristo sono uno solo moralmente; e questa unità morale è rappresentata dalla bestia. 2º Vediamo inoltre in queste parole che queste due potenze dei Turchi e dell’Anticristo, che sono le stessi in principio, saranno tuttavia distinte l’una dall’altra per le loro forme, la loro natura, e per il tempo in cui saranno apparsi. Ancora una volta, poiché l’Angelo dice al presente di questa ottava potenza, che essa era e non è più, mentre dice di essa al futuro: È una delle sette e va nella morte? Si tratta di esprimere, con una forza e un’energia che non possiamo ammirare a sufficienza, la certezza della morte di questa bestia ed anche la rapidità con cui i tempi si consumeranno in essa. Infatti, come è stato spesso detto, il passato, il presente e il futuro, agli occhi di Gesù Cristo che è l’Autore di questa rivelazione, non sono che un unico punto. E così è che i Profeti ispirati di Dio ci rappresentano nel passato le cose a venire e nel futuro gli eventi passati. – Possiamo quindi vedere da tutto ciò che è stato appena detto, che possiamo considerare il regno dell’Anticristo sotto due diversi aspetti: come appartenente all’impero turco: è uno dei sette. 2. come non appartenente ad esso, questa bestia forma un potere a parte e indipendente dal regno di Maometto, al quale apparterrà solo moralmente e per la sua origine: … è l’ottava e va alla morte. Bisogna osservare che questa parola ottava concorda con il sostantivo bestia. Questo si vede meglio in latino a causa dei generi dei sostantivi che non sono gli stessi che in francese. E tutti questi poteri sono bestie, perché è sempre il dragone che li ispira e dirige tutti.

XI. Ora è il momento di dire una parola su questo passaggio del venerabile Holzhauser, dove predice la nascita dell’Anticristo per l’anno 1855. Senza voler toccare questa grande questione del tempo della fine del mondo, diremo di sfuggita che non è certo senza motivo che questo venerabile servo di Dio ha osato fissare in modo così preciso e assoluto la data più importante che ci sia mai stata. Ricordiamo che la data da lui indicata per il periodo di tempo in cui il sacrificio della Messa sarebbe stato abolito in Inghilterra è stata verificata alla lettera. « Et intellexi juge sacrificium centum et viginti annis ablatum esse. » Nonostante questo, possiamo prevedere che un numero abbastanza considerevole dei nostri lettori si rifiuterà di credere a questa data,  soprattutto per la brevità del tempo che rimane per il compimento di tutti i fatti che annuncia. Basti dire che non sono necessari lunghi periodi di tempo per il compimento di questi eventi, ma che bisogna considerare la volontà di Dio, che può, spesso anche contro le nostre previsioni, far precipitare eventi di cui potremmo prevedere il compimento solo in un secondo momento. È da ricordare, inoltre, che le ultime due età saranno molto brevi, e che Dio ha promesso alla sua Chiesa, rimasta fedele durante la quinta età, di portare ad essa come ricompensa tutte le nazioni della terra; il che sembra farci capire che Dio non seguirà, in questo caso, il corso ordinario della sua provvidenza. Aggiungeremo che cinquanta anni sono sufficienti per rinnovare la massa di due generazioni, senza contare quella che sta nascendo ora e che Dio castiga per purificarla. Infine, se torniamo indietro di venticinque anni, saremo costretti ad ammettere che la faccia della terra è stata rinnovata. Per quanto riguarda le persone a cui questo calcolo del venerabile Holzhauser sembrerebbe azzardato, le preghiamo di non avventurarsi nel loro giudizio su fatti così gravi, essendo a noi sconosciuti i modi della loro realizzazione. Chi non vede, dopo tutto, che l’interpretazione di questo venerabile autore merita molto meno gli attacchi di chi non vede, dopo tutto, che l’interpretazione di questo venerabile autore è molto meno degna degli attacchi dei critici che del nostro rispetto, della nostra fiducia e diremmo anche della nostra ammirazione. Inoltre, ciò che è successo finora conferma tutto ciò che questo autore ha scritto. Abbiamo già la felicità di vedere l’alba della sua sesta età, così desiderata e così desiderabile: l’anno 1848, quando i popoli cospirarono per stabilire una repubblica universale, sarà una pietra miliare nella storia del mondo. L’improvviso e insperato ristabilimento dell’ordine, dopo i terribili tumulti che minacciavano l’esistenza stessa della società nelle capitali del nostro continente; il progresso del Cattolicesimo in Austria, in Inghilterra e nelle missioni straniere; le nuove comunicazioni stabilite con l’Africa e l’Asia, che facilitarono l’accesso dei missionari cristiani al centro dell’impero celeste; l’umiliazione subita dagli eserciti degli eretici e degli scismatici nell’ultima guerra, in cui i Cattolici hanno recuperato il loro ascendente, la decadenza dell’impero dei turchi e l’emancipazione che è stata appena concesso ai cristiani. Lo sviluppo delle scienze naturali, predetto dallo stesso venerabile Holzhauser; lo stabilimento universale delle ferrovie e dei telegrafi elettrici, con i quali si comprende come un solo gregge sarà facilmente governato da un solo Pastore, (Jo., X, 16), e senza i quali la possibilità di un impero universale, quale sarà quello dell’Anticristo, non può essere umanamente spiegata, più che l’affluenza di tutti i popoli della terra verso Gerusalemme. La tendenza del mondo verso un sistema centrale e uniforme, che si nota soprattutto nei trattati e nei concordati tra i vari governi; trattati che sembrano essere estesi in modo generale alla stampa, ai costumi, alle monete, ai pesi e alle misure, ecc. Le esposizioni universali, i congressi di studiosi, le società che si occupano delle statistiche generali del mondo; statistiche che potrebbero essere il primo principio di questo affare. Le esposizioni universali, i congressi scientifici, le società che si occupano delle statistiche generali del mondo; statistiche che potrebbero essere il primo principio di quel terribile monopolio che l’Anticristo eserciterà sui mezzi indispensabili alla vita degli uomini. I giganteschi piani per perforare una delle più grandi catene montuose, per aprire l’istmo di Suez, ecc. ecc., tutte queste circostanze prese insieme sono eventi troppo importanti per non essere notati da tutti gli uomini riflessivi e seri. Speriamo, tuttavia, che la sesta età ci porti presto tutti i vantaggi che promette, e che la Chiesa goda a lungo di una santa e vera pace e delle altre grandi consolazioni che le sono riservate. Ma non si dimentichi che la conversione dell’universo, che avrà luogo in quest’epoca, è indicata nel Vangelo come uno dei principali indicatori della fine del mondo, secondo San Marco, XIII, 10: « È necessario anche prima che il Vangelo sia predicato a tutte le nazioni. » E secondo San Matteo, XXIV, 14: « Questo vangelo del regno sarà predicato in tutta la terra per servire da testimonianza a tutte le nazioni; e allora verrà la fine. » (Matteo XXIV, 42): « Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà. Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l’incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! In verità vi dico: gli affiderà l’amministrazione di tutti i suoi beni. Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti. »

§ V.

I dieci re che si uniranno con l’Anticristo per fare guerra all’Agnello e ai Santi.

CAPITOLO XVII. VERSETTI 12-18

Et decem cornua, quæ vidisti, decem reges sunt: qui regnum nondum acceperunt, sed potestatem tamquam reges una hora accipient post bestiam. Hi unum consilium habent, et virtutem, et potestatem suam bestiæ tradent. Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos: quoniam Dominus dominorum est, et Rex regum, et qui cum illo sunt, vocati, electi, et fideles. Et dixit mihi: Aquæ, quas vidisti ubi meretrix sedet, populi sunt, et gentes, et linguæ. Et decem cornua, quae vidisti in bestia: hi odient fornicariam, et desolatam facient illam, et nudam, et carnes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt. Deus enim dedit in corda eorum ut faciant quod placitum est illi: ut dent regnum suum bestiæ donec consummentur verba Dei. Et mulier, quam vidisti, est civitas magna, quæ habet regnum super reges terræ.

[E le dieci corna, che hai veduto, sono dieci re: i quali non hanno per anco ricevuto il regno, ma riceveranno la potestà come re per un’ora dopo la bestia. Costoro hanno un medesimo consiglio, e porranno la loro forza e la loro potestà in mano della bestia. Costoro combatteranno coll’Agnello, e l’Agnello li vincerà: perché egli è il Signore dei signori, e il Re dei re, e coloro che sono con lui (sono) i chiamati, gli eletti e i fedeli. E mi disse: Le acque che hai vedute, dove siede la meretrice, sono popoli, e genti e lingue. E le dieci corna che hai vedute alla bestia: questi odieranno la meretrice, e la renderanno deserta e nuda, e mangeranno le sue carni, e la bruceranno col fuoco. Poiché Dio ha posto loro in cuore di fare quello che a lui è piaciuto: e di dare il loro regno alla bestia, sinché le parole di Dio siano compiute. E la donna, che hai veduta, è la grande città, che ha il regno sopra i re della terra.]

I. Vers. 12. Le dieci corna che hai visto sono dieci re che non hanno ricevuto il loro regno; ma riceveranno il potere come re per un’ora dopo la bestia. Qui l’Angelo continua la comunicazione dei segreti pieni di saggezza, che furono rivelati a San Giovanni, e gli dice: Le dieci corna che hai visto sono dieci re.  Questi dieci re esisteranno al tempo dell’Anticristo, e anche prima di lui, secondo San Girolamo; sono chiamati corni a causa della forza e del potere che la bestia otterrà ed eserciterà tramite loro, per combattere contro l’Agnello e contro i suoi santi. Questo paragone è preso da certi animali, la cui forza è tutta nelle loro corna. Di queste dieci corna si parla anche in Daniele, (VII, 19) (abbiamo messo tra parentesi le parole che non fanno parte del testo della profezia): « Ebbi allora un gran desiderio di sapere cosa fosse la quarta bestia, che era molto diversa da tutte le altre e spaventosa oltre ogni dire: i suoi denti e le sue unghie erano di ferro; divorava e faceva a pezzi, e calpestava ciò che era sfuggito alla sua violenza. E chiesi dei dieci corni che aveva sulla testa e di un altro che le si aggiunse, in presenza del quale tre dei suoi corni erano caduti (Cioè, tre re cadranno per il potere dell’Anticristo che li vincerà). E chiesi di questo corno, che aveva occhi e una bocca che diceva grandi cose; e questo corno era più grande degli altri. E quando ho guardato attentamente, ho visto che questo corno faceva guerra ai santi e aveva il sopravvento su di loro, finché venne l’Antico dei Giorni (Gesù Cristo) e diede ai santi dell’Altissimo il potere di giudicare; e quando il tempo fu compiuto, i santi ottennero il regno (Venite, benedetti del Padre mio; prendete il regno, ecc.) E così dice: La quarta bestia sarà il quarto regno (dell’anticristo), che sarà più grande di tutti i regni, e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la ridurrà in polvere. E le dieci corna di quel regno saranno dieci re che vi regneranno; e un altro (Anticristo) sorgerà dopo di loro, che sarà più potente dei primi, e umilierà tre re; e parlerà con orgoglio contro l’Altissimo, e infrangerà i suoi santi; e penserà di poter cambiare i tempi e le leggi, e gli uomini saranno dati in mano sua fino a un tempo, un tempo e mezzo tempo (1277 giorni e mezzo). Poi intervverrà il giudizio, in modo che il potere sia tolto a quest’uomo, affinché sia completamente distrutto e perisca in eterno; e che nello stesso tempo il regno, la potenza e il dominio di tutte le cose sotto il cielo siano dati al popolo dei santi dell’Altissimo; perché il suo regno è un regno eterno, al quale tutti i re saranno soggetti con un’intera sottomissione. » Qui finisce la predizione. Allora: dei tempi. Le dieci corna che tu hai visto sono dieci re, che esisteranno come re nei loro rispettivi regni, prima che l’Anticristo venga al potere, secondo queste parole di Daniele, (VII, 24): « E un altro sorgerà dopo di loro, che sarà più potente dei primi e umilierà tre re. Questi dieci re non hanno ricevuto il loro regno, cioè non faranno all’inizio parte del regno della bestia di cui l’Anticristo sarà il primo sovrano, poiché l’Anticristo deve sorgere solo dopo di loro. (Dan. VII, 24): « E un altro sorgerà dopo di loro »; ma essi riceveranno il potere per un’ora dopo la bestia, cioè l’Anticristo prima sottometterà tre re con la forza, e gli altri si sottometteranno a lui appena avrà raggiunto il potere. E poi riceveranno il loro regno per un po’ di tempo cominciando a far parte del grande regno della bestia, chiamato da Daniele il quarto regno, e diventeranno le corna con cui la bestia combatterà contro l’Agnello e i suoi santi. Questo è confermato da San Giovanni nel testo seguente:

II. Vers. 13. Questi hanno un solo consiglio, e daranno la loro forza e il loro potere alla bestia. Questo unico consiglio rappresenta l’unità delle azioni di questi re, che saranno diretti e ispirati dalla bestia, cioè da lucifero, e dall’anticristo, che sarà la testa sulla quale tutti questi corni saranno fissati.

Vers. 14. – Combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re, e coloro che sono con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli. 1° Questo testo è già spiegato da se stesso e da tutto ciò che è stato detto sulla grande catastrofe che abbiamo descritto nel penultimo capitolo. 2º Questo testo significa dunque che Questi dieci re combatteranno contro Gesù Cristo, che è l’Agnello di Dio, sacrificato per i peccati del mondo; e combatteranno contro questo Agnello, cercando di sopprimere la sua dottrina e abolire il Sacrificio perpetuo. Combatteranno anche contro l’Agnello nei suoi discepoli, che sono i chiamati, gli eletti e i fedeli, perché sarà dato loro di ucciderli e immolarli come pecore. Ma l’Agnello vincerà loro e il loro capo, che è il diavolo e l’anticristo, nel modo indicato sopra. Egli li sconfiggerà anche nel senso che, dando agli eletti la morte del corpo, questi tiranni daranno loro la vita del corpo e dell’anima nei secoli dei secoli, secondo le parole di Sant’Agostino, (Tratto VII, in Joan.): « E quale Agnello, l’Agnello che è il terrore dei lupi? Cos’è questo Agnello, questo Agnello è Colui che, essendo stato sacrificato e messo a morte, uccise il leone, perché il leone è il diavolo, di cui si dice che ruggisca e cerchi sempre qualcuno da divorare. E per mezzo del sangue dell’Agnello il leone fu vinto. »

III. Vers. 15. Ed egli mi disse: “Le acque che tu hai visto, dove siede la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue“. Abbiamo visto sopra cosa fosse questa prostituta, seduta su una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. Perché l’Angelo dice ora a San Giovanni che questa grande prostituta, che aveva rappresentato prima nel deserto, e che aveva mostrato a San Giovanni sotto forma di una donna seduta su una bestia color scarlatto, etc., perché, diciamo, la rappresenta ora seduta su grandi acque, e perché dice: Le acque che hai visto, dove è seduta la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue? È per caratterizzare meglio questa donna seduta sulla bestia, e per farci capire che questa donna è la stessa prostituta di cui aveva anche detto che è seduta su molte acque. Ora ci spiega cosa siano queste grandi acque con queste parole: E le acque che avete visto, dove siede la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue. Possiamo trovare espressioni più energiche e ingegnose per mostrare il potere di questa bestia con sette teste e dieci corna, che domina la grande i popoli, le nazioni e le lingue su cui questo potere è basato e solidamente costituito nel corso dei secoli? Perché la parola grande è intesa come il regno dei malvagi di tutti i tempi e luoghi, che domina la terra attraverso le acque della tribolazione. Questo passaggio conferma l’interpretazione precedente.

IV . Vers. 16. Le dieci corna che hai visto nella bestia sono quelle che odieranno la prostituta e la porteranno all’estrema desolazione, la rovineranno, ne divoreranno la carne e la bruceranno tra le fiamme. Tutte queste parole continuano a riferirsi ai chiarimenti dati sopra; perché, come è stato detto, queste dieci corna saranno dieci re, e queste corna cresceranno sulla testa della bestia nel regno dell’anticristo. Questi dieci re saranno ispirati e diretti dal loro capo, che è il diavolo che viene nel mondo, non più in forma di serpente, ma in forma di uomo. E quest’uomo sarà l’anticristo con il quale il demonio sarà come incarnato, volendo così scimmiottare le opere dell’Onnipotente fino all’incarnazione del Verbo. E come l’Uomo-Dio, quando volle redimere la razza umana con il suo infinito amore, usò dodici corni, che sono i dodici Apostoli, per propagare la sua santa e salutare dottrina, ordinando agli uomini di crocifiggere la loro carne per ottenere la vita eterna; allo stesso modo il drago, a causa della sua antica inimicizia, e nell’eccesso del suo odio implacabile contro la razza umana, userà le sue dieci corna, che sono dieci re, per diffondere la sua dottrina infernale. Questi re hanno un solo consiglio, ed essi daranno la loro forza e il loro potere alla bestia. Cioè, questi re saranno in un certo senso posseduti dal diavolo, al quale avranno ceduto la loro forza e il loro potere; e la bestia se ne servirà per esalare il suo odio e soddisfare la sua sete di vendetta. Da qui le parole dell’Angelo: Le dieci corna che hai visto nella bestia sono quelle che odieranno la prostituta, perché il dragone odia i malvagi e gli empi che egli seduce e spinge a prostituirsi a lui, ed è per far pesare sul genere umano di cui è geloso, il suo antico rancore che userà le sue dieci corna. Ora questi dieci re, che saranno i suoi ministri, e che saranno animati dal suo stesso spirito, poiché avranno tutti un solo consiglio, questi dieci re, diciamo, odieranno la prostituta, e la ridurranno all’ultima desolazione, facendo precipitare gli uomini nelle tenebre dell’errore e nel fango dei vizi. Essi la spoglieranno di ogni bene e di ogni virtù, e la renderanno la più desolata di tutti i suoi beni, e la renderanno la più desolata di tutti i suoi beni. La spoglieranno di ogni bene e di ogni virtù, e divoreranno la sua carne, facendo perire gli uomini per gli eccessi del peccato e anche per renderli partecipi delle terribili piaghe con cui il Signore colpirà gli empi. E la bruceranno nelle fiamme dell’inferno, dove gli empi saranno gettati da quei dieci re che li avranno fatti prevaricare, e dove i demoni continueranno ad esercitare il loro odio infernale per i secoli dei secoli. E tutto questo avverrà per permesso di Dio, che è giusto Giudice e che rende ad ogni uomo secondo le sue opere.

Vers. 17. – Poiché Dio ha messo nei loro cuori di fare quello che Egli vuole, di dare il loro regno alla bestia, finché le parole di Dio non siano adempiute. Cioè, Dio permetterà alla bestia di usare le sue corna, che sono i dieci re; e permetterà che i corrotti diano i loro cuori e il loro potere alla bestia, affinché le profezie si compiano.  Troviamo un esempio di questo permesso di Dio per l’adempimento delle sue profezie, nella passione di Gesù Cristo, (Matth. XXVI, 53): « Pensate che Io non possa pregare il Padre mio, e che non mi manderebbe subito più di dodici legioni di Angeli? Come si adempiranno allora le Scritture che dicono che le cose devono andare così? »

V. Vers. 18. – E la donna che tu hai visto è la grande città che regna sui re della terra. Questa grande città, di cui l’Angelo parla qui, è Gerusalemme nel senso di Babilonia, che era il tipo della confusione e della perversione. Perché al tempo dell’Anticristo Gerusalemme diventerà una grande città, non solo perché è già grande, ma anche per la sua storia. Questa grande città diventerà la sede del potere dell’anticristo. E siccome questo potere si estenderà su tutto il mondo, secondo Daniele, (VII, 23): « La quarta bestia sarà il quarto regno, che dominerà sulla terra e sarà più grande di tutti gli altri regni: esso divorerà tutta la terra, la calpesterà e la ridurrà in polvere. Così Gerusalemme, essendo diventata la capitale di questo regno, sarà la grande città che governa sui re della terra. Questa interpretazione è inoltre saldamente fondata su questo versetto, (cap. XVIII, 24): « E in questa città fu trovato il sangue dei profeti e dei santi, e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra ». Perché qual è la città del mondo della quale si possa dire che sia stato trovato il sangue di tutti coloro che sono stati uccisi sulla terra, se non Gerusalemme, dove è stato versato il sangue adorabile di Gesù Cristo, che rappresenta il sangue di tutti i martiri morti per Lui e a causa sua, così come il sangue di tutti i martiri rappresenta anche il sangue di Gesù Cristo che è morto per loro e a causa loro.  E come i martiri hanno versato il loro sangue per Gesù Cristo in tutto il mondo rappresentato da questa nuova Babilonia, così Gesù Cristo ha versato il suo a Gerusalemme per la salvezza del mondo. Come sono toccanti e ammirevoli queste parole del Profeta!

FINE DEL LIBRO SETTIMO

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIV)

LA SUMMA PER TUTTI (19)

LA SUMMA PER TUTTI (19)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Caro XXII.

La glorificazione di Gesù Cristo. La sua Resurrezione.

1550. Era necessario che Gesù Cristo risuscitasse dalla morte con una resurrezione gloriosa?

Sì: era cosa necessaria. Perché Dio doveva a Se stesso di manifestare la sua giustizia. esaltando Colui che si era umiliato fino alla morte di croce. Questa suprema testimonianza data alla divinità di Gesù Cristo occorreva anche per confermare la nostra fede, per rafforzare la mostra speranza, per fissare la nostra nuova vita, trasformata dopo la nostra resurrezione spirituale, ad immagine di Gesù risorto, e finalmente per far risplendere nella sua propria Persona le meraviglie della vita gloriosa che Egli ci riserba e che la sua Resurrezione già inizia (LIII, 1).

1551. Quale fu lo stato del corpo di Gesù Cristo resuscitato?

Il corpo di Gesù Cristo resuscitato fu assolutamente il medesimo che era stato deposto dalla Croce e messo nella tomba; ma in istato di gloria, con tutte le qualità di impassibilità, di sottilità, di agilità e di splendore che derivarono in Lui dalla sovrabbondanza della perfezione dell’anima, libera ormai di comunicare al corpo la sua perfezione in tutta la sua pienezza (LIV, 1-3).

1552. Il corpo di Gesù Cristo resuscitato conservò sempre le cicatrici della sua crocifissione, tanto ai piedi che alle mani ed al costato?

Si; perché ciò occorreva per la gloria di Gesù Cristo ed in segno della sua vittoria sulla morte; per convincere i discepoli della verità della sua resurrezione; per essere continuamente dinanzi al Padre una intercessione vivente a nostro favore; e per confondere i suoi nemici nel giorno del giudizio (LIV, 4).

Caro XXIII.

La sua Ascensione e la sua autorità alla destra del Padre.

1553. Dove si trova ora il corpo di Gesù Cristo resuscitato?

Il corpo di Gesù Cristo resuscitato si trova ora in Cielo, dove Gesù Cristo ascese quaranta giorni dopo la sua resurrezione alla presenza dei suoi discepoli, separandosi da loro sul monte degli Olivi (LVIL, 1).

1554. Perché ed in qual senso si dice che Gesù Cristo, resuscitato e salito al Cielo, siede alla destra del Padre?

Nel senso che Egli resta per sempre senza alcuna possibile alterazione nella pace eterna della beatitudine del Padre, in un grado di eccellenza affatto particolare, avendo col Padre umo stesso potere regale e giudiziario sopra tutte le cose, privilegio che appartiene Gesù Cristo assolutamente in proprio (LVII, LVIII).

1555. Perché ed in qual senso il potere giudiziario è specialmente attribuito a Gesù Cristo?

Perché Gesù Cristo in quanto Dio, è Sapienza del Padre; e l’atto di giudicare, è per eccellenza un atto di sapienza e di verità, anche perché come uomo, Gesù Cristo è una Persona divina che nella sua natura umana ha la dignità di Capo di tutta la Chiesa, e per conseguenza di tutti gli nomini che hanno da essere giudicati: ha in tutta la sua pienezza la grazia abituale che rende l’uomo spirituale e capace di giudicare. Finalmente era giusto che Colui che è stato giudicato in modo ingiusto e perché rivendicava i diritti della giustizia divina, fosse costituito giudice secondo questa stessa giustizia (LIX, 1-8).

1856. Il potere supremo di giudicare che appartiene a Gesù Cristo ed è la prerogativa per eccellenza della sua sovranità, lo esercita ancora e sempre, dopo la Sua Ascensione al Cielo e la presa di possesso del suo trono alla destra del Padre?

Sì; non vi è niente di ciò che accade nel mondo, dopo il giorno del suo trionfo, che non sia effetto del sovrano governo di Nostro Signore Gesù Cristo sedente alla destra del Padre. Egli non soltanto come Dio ed in forza della Provvidenza e del governo divino, ma anche come uomo ed in forza del potere sovrano che Gli appartiene come Figliuolo di Dio in persona, ed in quanto lo ha guadagnato con i meriti della Sua Passione e morte, dispone tutto, ordina tutto ed a Lui tutto è soggetto nel moto dell’universo, sia che si tratti delle cose umane nella loro evoluzione totale, sia  che si tratti anche delle creature inanimate, ed anche della parte che gli Angeli buoni o cattivi possono avere in questo moto dell’universo (LIX, 5).

1557. Questo giudizio quotidiano che Gesù Cristo esercita su tutti e su tutto dal giorno della sua Ascensione, avviene senza pregiudizio del giudizio finale e supremo che avverrà nell’ultimo giorno?

Sì; perché soltanto allora potrà esercitarsi in tutta la sua pienezza ed in tutta la sua perfezione il potere Supremo appartenente a Gesù Cristo. Soltanto allora infatti potranno essere apprezzate in tutto il loro valore le azioni delle creature soggette al potere regale e giudiziario di Gesù Cristo, ed a ciascuno potrà esser reso pienamente secondo i suoi meriti (LIX, 5).

1558. Gesù Cristo esercita ugualmente il suo potere di autorità tanto sugli uomini che sugli Angeli?

No: Gesù Cristo non esercita nella stessa maniera il suo potere sugli uomini e sugli Angeli. Perché se gli Angeli, buoni o cattivi, ricevono dal Figliuolo di Dio, in quanto Egli è Dio, la ricompensa essenziale della eterna beatitudine o la pena essenziale della eterna dannazione, né gli uni né gli altri ricevono questa ricompensa o questa pena dal Figliuolo di Dio in quanto è uomo. Tutti gli uomini invece, che hanno ottenuto da Lui, in quanto uomo, di giungere alla eterna beatitudine del cielo; ed ancora: nel giudizio finale la sentenza definitiva e completa che manderà i dannati agli eterni supplizi, sarà pronunziata dal Figliuolo di Dio Incarnato, anche in quanto è uomo. Ma gli angeli, Ma Ma gli Angeli, buoni o cattivi, ricompensati o puniti da principio, restano soggetti alla Sovrana autorità del Figlio di Dio Incarnato, anche in quanto è uom, dal giorno della sua Incarnazione, e più ancora dal giorno della Sua Ascensione e del suo trionfo. Tutto ciò che essi fanno per aiutare gli uomini o per tentarli, resta subordinato al potere sovrano e giudiziario di Gesù Cristo; e gli Angeli buoni riceveranno da Lui, anche in quanto uomo, il supplemento di ricompensa che meritano i loro buoni uffici, come gli Angeli malvagi il supplemento di castighi dovuto alla loro malvagità (LIX, 6)

Capo XXIV

Dei Sacramenti di Gesù Cristo che assicurano agli uomini che formano il Suo Corpo mistico, la Chiesa, i frutti dei misteri di salute Compiuti nella Persona del Salvatore. – Natura di questi Sacramenti. – Numero ed armonia. – Necessita ed efficacia.

1559. Gesù Cristo Figliuolo di Dio fatto uomo per la nostra salute, dopo i misteri compiuti nella sua Persona per la salute degli uomini, come assicura agli uomini stessi il frutto di tali misteri in ordine alla sua salute?

Per mezzo dei sacramenti che Egli stesso ha istituito, e che da Lui traggono la loro virtù (LX – Prologo).

1560. Che cosa intendete per sacramenti?

Intendo certe cose, certi atti di ordine sensibile, accompagnati da certe parole che ne precisano il senso, la cui proprieta è di significare e di produrre nell’anima determinate grazie, ordinate a riformare la vita in Gesù Cristo.

1561. Quanti sono i sacramenti?

Sono sette, e cioè: il Battesimo, la Confermazione, la Eucarestia, la Penitenza, la

estrema Unzione, l’Ordine ed il Matrimonio (LXV, 1).

1562. Possiamo stabilire gualche ragione che ci faccia intendere il perché di questi sette Sacramenti istituiti da Gesù Cristo?

Sì; questa ragione si deduce dalla analogia che passa tra la nostra vita spirituale per la grazia di Gesù Cristo, e la nostra vita naturale corporale. Infatti, la nostra vita corporale comprende due specie di perfezioni, secondo che si tratta della vita degli individui o della vita della società nella quale e per la quale essi vivono. Per quanto riguarda l’individuo, la sua vita si perfeziona direttamente o indirettamente: si perfeziona direttamente per il fatto di entrarvi, di crescervi e di nutrirsi; si perfeziona indirettamente col recuperare la salute se si fosse perduta, e con un completo risanamento se si fosse stati ammalati. Parallelamente, nell’ordine spirituale della vita della grazia, vi è un sacramento che ce la da, ed è il Battesimo; vi è un altro sacramento che ci fa crescere in essa, ed è la Confermazione: un terzo sacramento ci nutre in questa vita, ed è la Eucarestia. E quando si è perduta dopo il Battesimo, il sacramento della Penitenza è destinato a restituircela, come il sacramento della Estrema unzione è ordinato a fare scomparire le ultime tracce del peccato. Per quanto poi riguarda la società in cui questa vita si conserva, due sacramenti ne assicurano il bene e la perpetuità: il sacramento dell’Ordine per la parte spirituale di questa società, ed il sacramento del Matrimonio per la sua parte materiale e corporale (LXV, 1).

1663. Di tutti questi sacramenti quale è il più grande, ed in un Senso il più importante, ossia quello a cui tutti gli altri sono ordinati ed in cui in gualche modo tutti gli altri vanno a terminare?

È il sacramento della Eucarestia. In esso, infatti, come vedremo, Si contiene sostanzialmente Gesù Cristo Stesso, mentre in tutti gli altri non si trova che una virtù derivata da Lui. Cosicché tutti gli altri sembrano essere ordinati od a produrre questo sacramento, come l’Ordine; od a rendere degni o più degni di riceverlo come il Battesimo; la Confermazione la Penitenza, la Estrema Unzione; o almeno a significarlo come il Matrimonio. Similmente tutte le cerimonie relative al ricevimento degli altri sacramenti fanno capo quasi sempre al ricevimento della Eucarestia: anche per quanto

riguarda il Battesimo, quando si tratta di adulti (LXV, 8).

1564. I sacramenti istituiti da N. S. Gesù Cristo per assicurarci il frutto dei misteri compiti nella sua Persona per la nostra salute, sono di semplici consigli e facoltativi, o sono invece assolutamente necessari, ciascuno per ottenere la grazia che gli corrisponde?

questi sacramenti sono assolutamente necessari, nel senso che se per propria colpa si trascurasse di riceverli, non si avrebbe la grazia che loro corrisponde; e ve me sono tre, un effetto dei quali non viene mai prodotto se il sacramento non è ricevuto (LXV 4).

1565 Quali sono questi tre sacramenti e qual è l’effetto che ne dipende?

Sono il Battesimo, la Confermazione e l’Ordine; e l’effetto di cui si tratta è il carattere che questi sacramenti imprimono nell’anima.

1566. Che cosa si intende per carattere?

Si intende una certa qualità di ordine spirituale, che costituisce nella parte superiore ed intellettuale dell’anima una specie di potenza o di facoltà che rende partecipi del sacerdozio, oppure di essere ammessi a beneficiare degli atti gerarchici che dipendono da questo sacerdozio, oppure di essere ammessi a beneficiare degli atti gerarchici compiuti nella sfera di questo stesso sacerdozio (LXIII, 1-4).

1567. Il carattere è incancellabile nell’anima?

Sì; il carattere è incancellabile nell’anima, e rimarrà eternamente in tutti coloro che lo hanno una volta ricevuto; a loro gloria nel cielo se ne avranno usato bene e se ne sarnno mostrati degni; ed a loro eterna confusione nell’inferno se non vi avrannoi corrisposto come dovevano (LXIII).

1568. Quale di questi caratteri segna propriamente gli uomini nell’immagine di Gesù Cristo, e li rende puramente e semplicemente atti a partecipare nella Chiesa agli effetti del suo sacerdozio?

Il carattere del sacramento del Battesimo. (LXIII, 6).

Une source doctrinale : les encycliques

Capo XXV.

Del Sacramento del Battesimo.- La sua natura – Ministro di questo Sacramento.

1569. Che cosa intendete per il sacramento del Battesimo?

Intendo quel rito istituito da N. S. Gesù Cristo, consistente in una abluzione fatta con acqua naturale, nel tempo stesso che dalla persona che lo amministra si pronunziano sul soggetto getto che lo riceve le parole: « Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figluolo e dello Spirito Santo? » (LXVI, 1-5).

1570. Questo rito può essere rinnovato più volte sul medesimo soggetto?

No: il sacramento del Battesimo non può essere ricevuto che una volta sola, per causa del carattere indelebile che imprime nell’anima (LXVL, 9).

1571. Il Battesimo di acqua può essere supplito dal battesimo di sangue o di desiderio?

Il Battesimo di acqua può essere supplito dal battesimo di sangue che è il martirio, raffigurando la Passione di Gesù i Cristo; o dal battesimo di desiderio che consiste nel moto della carità dovuto all’azione dello Spirito Santo. Ciò nel senso che la grazia del Battesimo può essere ottenuta senza ricevere il sacramento stesso, quando il riceverlo sia impossibile; ma non nel senso che il carattere del sacramento possa essere ricevuto fuori del sacramento stesso. (LXVI, 11).

1572. Chi può amministrare e il sacramento del Battesimo?

Il sacramento del Battesimo può essere amministrato da ogni individuo umano che abbia l’uso della ragione, e compia esattamente il rito del sacramento con la intenzione di fare quello che fa la Chiesa sa cattolica nell’amministrarlo (LXVII).

1573. Perché il sacramento del Battesimo sia amministrato lecitamente, che cosa occorre da parte di chi lo amministra?

Bisogna che lo amministri nelle condizioni determinate dalla Chiesa cattolica (LXVII).

1574. Quali sono queste condizioni?

Perché il Battesimo possa essere amministrato lecitamente fuori delle condizioni ordinarie, nelle quali lo amministra il sacerdote stesso conformandosi alle prescrizioni del diritto canonico e del rituale, o lo fa amministrare straordinariamente da un diacono, bisogna che vi sia urgente necessità, vale dire pericolo di morte. In questo caso la prima persona disponibile può amministrare il Battesimo, si tratti di un sacerdote, di un chierico, di un laico, di un uomo, di una donna o anche di qualcuno che non fosse battezzato: tuttavia bisogna conformarsi all’ordine che abbiamo ora indicato; e soltanto in mancanza del precedente il seguente può battezzare (LXVII, 1-5)-

1575. E necessario che nel Battesimo; quando s’amministra in chiesa, nelle normali condizioni di Battesimo solenne, o quando si suppliscono le cerimonie del medesimo, vi sia sempre un padrino o una madrina pel nuovo battezzato?

Si; così ordina la Chiesa in virtù di un uso antichissimo, e perché ê proprio conveniente che il nuovo battezzato abbia qualcuno che sia specialmente ed ufficialmente incaricato di vegliare alla sua istruzione nelle cose della fede, e alla sua fedeltà agli impegni presi per lui e in suo nome nel Battesimo (LXVII, 7).

1576. L’ufficio di padrino e di madrina non è dunque una semplice formalità, ma invece  qualcosa di grave e di importante?

Sicuramente; e per il padrino e per la madrina vi è l’obbligo stretto di vigilare con ogni cura, perché il loro figlioccio o la loro figlioccia si dimostri in tutta la sua vita fedele a ciò che essi hanno promesso che esso od essa sarebbe di fatto (LXVII, 8).

Capo XXVI.

Chi può ricevere questo Sacramento – Della sua necessita per tutti.

1577. Tutti gli uomini sono obbligati a ricevere il Battesimo?

Sì; tutti gli uomini sono obbligati nel modo più assoluto a ricevere il Battesimo. Dimodoché se si tratta di adulti che potendolo ricevere non lo ricevono di fatto, è impossibile si salvino. E ciò perché mediante il Battessimo noi siamo incorporati a Gesù Cristo; e dopo il peccato di Adamo nessuno fra gli uomini può essere salvo se non è incorporato a Gesù Cristo (LXVIII, 1, 2).

1578. Ma non basta la fede e la carità per essere incorporati a Gesù Cristo per mezzo della grazia, e per conseguenza salvarsi?

Senza dubbio; soltanto che la fede non può essere sincera e la carità o la grazia non possono trovarsi nell’anima, se si separano per propria colpa dal Battesimo, che è il sacramento della fede e che è destinato a produrre nell’anima la prima grazia che ci unisce a Gesù Cristo (LXVIII, 2).

1579. Dunque si può ricevere il Battesimo quando si è ancora in stato di peccato, sia che si tratti del peccato originale per tutti, oppure di peccati gravi attuali per gli adulti?

Sì; e per questo il Battesimo è chiamato sacramento dei morti, non supponendo la grazia nell’anima come i sacramenti dei vivi, ma avendo per proprio effetto di apportarla a coloro che non l’hanno ancora. Tuttavia, se si tratta di adulti che hanno commesso dei peccati mortali, per ricevere il Battesimo con frutto, bisogna che abbiano rinunziato all’affetto del peccato (LXVIII, 4).

1580. Trattandosi a: adulti, bisogna anche abbiano la intenzione di ricevere il Battesimo?

Sicuramente: e senza di essa il sacramento risulterebbe nullo (LXVIII, 7).

1581. Bisogna ancora che abbiano la vera fede?

Ciò è necessario per ricevere la grazia del sacramento, ma non per ricevere il sacramento stesso ed il carattere che imprime (LXVIII, 8).

1582. Ed i bambini che non possono avere né l’intenzione né  la fede, possono essere battezzati?

Sì, lo possono, perché essi partecipano della intenzione e della fede della Chiesa, o di quelli che nella Chiesa li presentano al Battesimo (LXVIII, 9).

1583. Si possono dunque presentare al Battesimo nella Chiesa i bambini di tenera età, cioè prima che abbiano la età della ragione, contro la volontà dei loro genitori, quando questi siano ebrei od infedeli e non appartengano alla Chiesa?

No; non si Può, e se si facesse si peccherebbe; perché si andrebbe contro il diritto naturale in virtù del quale il bambino, finché non può disporre da se stesso, ê affidato dalla natura ai suoi genitori. Tuttavia se il bambino viene battezzato, il Battesimo è valido e la Chiesa ha su di esso tutti i diritti di ordine soprannaturale che sono conseguenza del Basttesimo (LXVIII, 10).

1584. In pericolo di morte si possono battezzare i bambini che sono ancora in seno alla madre?

No; neppure in pericolo di morte si possono battezzare i bambini che sono ancora in seno alla madre; perché fino a quando non siano venuti alla luce, essi non appartengono alla società degli uomini in modo da essere ammessi alla loro azione per il ricevimento dei sacramenti in ordine alla salute. In questo caso bisogna rimettersi a Dio ed al privilegio della sua azione, secondo che a Lui può piacere di esercitarlo (LXVII, 11 ad 1).

1585. I bambini venuti alla luce che muoiono senza ricevere il sacramento del Battesimo sono essere salvi?

No; i bambini venuti alla luce che muoiono senza ricevere il sacramento del Battesimo non possono essere salvi; perché secondo l’ordine stabilito da Dio nella società degli uomini, non esiste per essi che questo mezzo di essere incorporati a Gesù Cristo e di ricevere la sua grazia. senza la quale non vi è salute tra i figli di Adamo (LXVIII, 3).

1586. Se si trattasse di adulti privi dell’uso della ragione, come gli idioti ed i pazzi, potrebbero essere battezzati?

Se non hanno mai avuto l’uso della ragione si debbono paragonare ai bambini, e per conseguenza possono come quelli essere battezzati. Ma se hanno avuto l’uso della ragione, non possono essere battezzati in istato di demenza, se non a condizione che abbiano altra volta manifestato gualche desiderio o qualche volontà di ricevere il Battesimo (LXIII, 12).

CAPO XXVII.

Degli effetti di questo Sacramento.

1587. Quando il Battesimo è ricevuto senza che alcun ostacolo si opponga alla sua virtù, produce grandi effetti nell’anima?

Sì; perché incorporando l’uomo alla Passione di Gesù Cristo, fa, sì che questa Passione produca nell’omo tutto il suo frutto. Così fino da allora in colui che è battezzato non resta più alcuna traccia di peccato né alcuna obbligazione di soddisfare per i peccati passati. Di diritto sono tolte mediante il Battesimo anche tutte le penalità della vita presente; ma Dio le lascia fino alla resurrezione, affinché i battezzati possano rassomigliare a Gesù Cristo, acquistare numerosi meriti e testimoniare che vengono al Battesimo non per le comodità della vita presente, ma in vista della gloria futura (LXIX, 1-8).

1588. Il Battesimo produce nell’anima anche la grazia e le virtù?

Sì; perché unisce a Gesù Cristo come al Capo, alla pienezza di grazia e di virtù del quale partecipano tutte le membra. Con questo, d’altra parte, che in modo specialissimo vi si riceve una grazia di luce per conoscere la verità, e di divina fecondità per produrre opere buone, proprie della vita cristiana (LXIX, d, 5).

1589. Questi ultimi effetti sono prodotti mediante il Battesimo anche nell’anima dei bambini?

Sì; salvo che tutto questo non è in essi che allo stato di germe, ossia allo stato abituale, aspettando a manifestarsi in maniera attuale quando saranno in grado di vivere la vita della grazia e delle virtù (LXIX, 6).

1590. Dobbiamo dire che effetto proprio del Battesimo ê quello di aprire la porta del regno celeste?

Sì; perché il Battesimo non lascia niente del peccato o della pena dovuta al peccato; ed è questo il solo ostacolo che impedisce di entrare in cielo, da quando il cielo ci è stato riaperto per mezzo della Passione di Gesù Cristo (LXIX, 7).

1591. Un adulto che ricevesse il Battesimo in cattive disposizioni, me riceverebbe tutti gli effetti che abbiamo enumerato?

No; non riceverebbe che il carattere del sacramento. Ma in forza di questo carattere che resta, può ricevere tutti gli altri effetti del Battesimo, quando in seguito rinunzi alle sue cattive disposizioni (LXIX, 9, 10).

1592. Oltre a questi effetti propri del Battesimo, ve me sono altri legati alle cerimonie di questo sacramento?

Sì; ma sono effetti di ordine diverso, al di sotto della grazia propriamente detta. Essi mirano piuttosto a togliere gli ostacoli che impedirebbero di ricevere il Battesimo con tutti i suoi frutti, ossia di raccogliere questi frutti in tutta la loro purezza. Ed in forza di ciò le cerimonie battesimali non hanno ragione di sacramento, ma soltanto la ragopne che conviene ai sacramentali (LXXI, 3).

Capo XXVIII.

Dignità e doveri di chi ha ricevuto il Battesimo.

1593. Coloro che hanno ricevuto la grazia del Battesimo e ne portano sempre il carattere indelebile, hanno da questo lato una particolare eccellenza ed anche degli obblighi o dei doveri in armonia con questa eccellenza?

Coloro che hanno ricevuto la grazia del Battesimo e ne portano sempre il carattere indelebile, nella misura che sono fedeli alla grazia del loro Battesimo superano in dignità ed in eccellenza tutte le creature lasciate nella loro propria natura. Sono figliuoli di Dio e fratelli di Gesù Cristo; di più: sono come la continuazione di Gesù Cristo stesso che rivive in essi nei suoi membri, continuando per mezzo di essi la vita di infiniti meriti che aveva quando era personalmente sulla terra. Ma questa dignità così alta, obbliga a condurre una vita che le corrisponda;  e chiunque ha il bene di essere battezzato, non dovrebbe avere niente nella sua vita che non fosse degno di Gesù Cristo stesso, a cui il Battesimo lo incorpora.  

LA SUMMA PER TUTTI (20)