UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE (1)

Dom PAUL NAU

Monaco di Solesmes

UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE

Saggio sull’autorità del loro insegnamento

Les Editions du Cèdre 13, Rue Mazarine

PARIS

NIHIL OBSTAT Solesmis, die 24 Apr. 1952.Fr. Georgius FRENAUD, m. b. Cens. dep.

IMPRIMI POTEST Solesmis, die 25 Apr. 1952. t Fr. Germanus COZIEN, Abbas S. Petri de Solesmis.

IMPRIMATUR. die 24 Aug. 1952. t GEORGIUS Archiep. Episc. Cenomanensis.

L’enciclica Humani generis ha recentemente scoperto che il punto di partenza delle deviazioni dottrinali che essa è venuta a correggere è stata la mancanza di attenzione all’insegnamento enciclicale dei Pontefici. È stato proprio per risvegliare questa attenzione che sono stati scritti i tre articoli qui raccolti. Erano in procinto di essere pubblicati quando è apparsa la Lettera Pontificia, che confermò le loro conclusioni con la sua impareggiabile autorità. L’autore, nel rispondere alle richieste di ristamparle in forma di libretto, non ha avuto altro scopo che quello di aiutare le persone a comprendere meglio e più ampiamente la portata esatta delle encicliche, e quindi di introdurle ad una lettura più attenta di questi grandi documenti dell’insegnamento ordinario del Romano Pontefice.

I.  

I testi

Nel 1849, il Dictionnaire de Droit et de Jurisprudence civile et ecclésiastique dell’Encyclopédie Théologique, di Migne, dedica alle Encicliche solo questa infausta nota: « La parola Enciclica è nuova in Francia. Oggi questo nome viene dato alle Lettere Apostoliche che il Papa indirizza a tutti i Vescovi di un paese o a tutti i Vescovi dell’universo. La ricezione ufficiale e la pubblicazione di queste lettere è soggetta alle stesse formalità delle bolle, delle memorie o dei rescritti.  Dopo un secolo, non è solo il termine, ma le encicliche stesse che hanno acquisito il diritto di essere lette dai lettori francesi. Gli oratori e gli editori cattolici non sono i soli a contribuire alla loro pubblicità;  (Anche se ci si limita alla Francia, è impossibile citarli tutti. Conosciamo almeno i testi della Documentation catholique e la raccolta di Encicliche e Documenti Pontifici della “Lionne Presse”, così come le monografie pubblicate da “Spes” e le varie edizioni dell’Action catholique. La Cité Chrétienne, di Henri BRUN, e la sua continuazione L’Ordre et l’Amour il Catechismo di Leone XIII, di Padre CERCEAU, possono sempre essere consultati con profitto. Non è necessario richiamare l’attenzione sull’evidente importanza di questi testi e sull’importanza della fondazione all’Istituto Cattolico di Parigi di una cattedra destinata a far conoscere gli insegnamenti pontifici, compito al quale giornali come La France Catholique aprono ampiamente le loro colonne e che La Pensée Catholique ha inserito nella prima pagina del suo programma.). Esse hanno animato i dibattiti della Camera dei Deputati e persino quelli delle logge massoniche (è in seguito all’emozione suscitata al “Grande Oriente” dalla pubblicazione della Rerum Novarum che fu deciso di ridurre la quota d’iscrizione, fino ad allora molto elevata, esatta dai membri di questa obbedienza e che ne impedivano l’entrata ai meno fortunati); solo recentemente la Revue des deux Mondes ha dedicato loro un articolo (Jean DE SAINT-CHAMANT, Les Encycliques et le marxisme, Revue des deux Mondes du 1e r agosto 1948.) e sull’una o sull’altra delle loro collezioni si possono leggere nomi così indipendenti come quello di Dalloz o così insospettabili di favoritismi religiosi come quello di Rieder (Encycliques et messages sociaux, textes choisis et préface par Henri GUITTON, Dalloz, 1948 ; Les textes pontificaux sur la Démocratie et ta société moderne, les éditions Rieder, 1928.). Ma se le Encicliche sono molto discusse, la loro vera natura è generalmente meno conosciuta, e gli stessi teologi talvolta esitano sull’esatta portata della loro autorità dottrinale. Più di quindici anni prima della data in cui l’Enciclopedia del Migne descriveva questo termine come una “parola nuova, un’Enciclica, Mirari vos, aveva già condannato le dottrine de l’Avenir, e Lamennais, preludendo alla sua rottura definitiva, si rifugiò in distinzioni tendenziose: « Il nostro amico di Coriolis – scrisse a Vitrolles – aveva ragione di dirvi che non ero minimamente scosso nelle mie opinioni, che non ne abbandonavo nessuna e che, al contrario, vi ero più attaccato che mai. La lettera del Papa, che non ha carattere dogmatico, che è… solo un atto di governo, potrebbe benissimo impormi momentaneamente l’inazione ma non una fede… (Lettera del 15 novembre 1832 a Vitrolles, citata da Paul Du DON, Lamennais et le Saint-Siège, Paris, 1911, p. 220.).  – Nel 1864, la pubblicazione dell’enciclica Quanta Cura e il Sillabo ad essa allegato risvegliarono la disputa. La definizione dell’infallibilità papale da parte del Concilio Vaticano avrebbe dovuto, a quanto pare, porvi fine; ha semplicemente chiarito il punto in discussione. Il Concilio aveva affermato che il Romano Pontefice è infallibile quando, parlando ex cathedra, definisce un punto di dottrina. Era questo il caso delle Encicliche? Potrebbero essere considerati come atti pronunciati ex cathedra, come giudizi o definizioni della dottrina rivelata? Non è necessario ripetere qui i dettagli delle discussioni che si tennero sull’Ami du Clergé, sugli Etudes, sulla Revue Thomiste (Ami du Clergé, 1903, p. 801 ss., 1907, p. 91 ss, 1908, p. 193 ss e 530 ss; Revue thomiste, 1904, p. 513 ss.; Etudes religieuses, 5 agosto 1907, 5 gennaio 1908), da parte di teologi come Mons. Perriot, P. Pègues, O. P. e P. Choupin, S. J. Quest’ultimo le ha riassunte in un’opera (Lucien CHOUPIN, S. J., Valore delle decisioni dottrinali e disciplinari della Santa-Sede, terza edizione, Parigi, 1929), che è ormai un’autorità e che permetterà a chi lo desidera di riferirsi facilmente ai punti concreti del dibattito. Ci basterà qui riassumerne le conclusioni. Le due parti si accordarono facilmente per negare alle encicliche il carattere di definizioni ex cathedra. Ma mentre questi documenti perdevano per sé stesse, agli occhi dei padri Choupin e Pègues, il privilegio dell’infallibilità, l’editore dell’Ami du Clergé, basandosi su un testo del cardinale Billot, rifiutò di accettare quest’ultima conclusione e continuò a riconoscerne degli atti infallibili. La controversia da allora sembra aver fatto pochi progressi. L’articolo “Enciclica” nel Dictionnaire de Théologie catholique, firmato da M. Mangenot, coincide, almeno in gran parte (… le Encicliche “non costituiscono definizioni ex cathedra, di autorità infallibile. Il Sommo Pontefice potrebbe però, se volesse, fare definizioni solenni nelle encicliche…), con la tesi di P. Choupin, cui si può paragonare il capitolo molto meno sfumato di P. J. Villain, S.J., in Les études: du prêtre d’aujourd’hui (Lo studio delle encicliche, di R. P. J. VILLAIN S. J., in Les études du prêtre d’aujourd’hui, pubblicato dall’ “Union Apostolique“, con una prefazione del cardinale Suhard, Parigi, 1945. Si può anche leggere nello stesso senso: A. CHAVAS, SB” La vera concezione dell’infallibilità pontificale, in Eglise et Unité, Lille, 1948). D’altra parte, il P. Riquet, S.J., in Tu es Petrus (Il Papa, erede dei poteri di Pietro, di R. P. Michel RIQUET S. J., in Tu es Petrus, encyclopédie populaire sur la Papauté, Paris, 1944, p. 56.) sembra mantenere la posizione precedentemente difesa dall’Amico e che pone le Encicliche tra gli atti della Santa Sede, che, senza essere definizioni, sono tuttavia documenti infallibili. Queste divergenze, appena escono dal dominio della pura speculazione teologica, rischiano purtroppo di degenerare in liti di tendenze. J.-M. Vacant lo sottolineava dal 1895, nei suoi Studi Teologici sulle Costituzioni del Concilio Vaticano. Di fronte ad eretici, razionalisti e infedeli, i difensori della verità si sono… sempre, ma oggi più che mai, lasciati dominare da due preoccupazioni diverse, che li hanno fatti camminare in due direzioni opposte. Alcuni cercano soprattutto di proteggere i fedeli dalle seduzioni dell’errore e di salvaguardare l’integrità della fede; perciò, moltiplicherebbero volentieri i punti che la Chiesa ha condannato. Altri sono profondamente preoccupati dal desiderio di attirare alla dottrina cattolica coloro che la rifiutano; così, per una tendenza contraria, vorrebbero eliminare tutti i punti che i miscredenti trovano difficili da ammettere e ridurre i dogmi ad una sorta di minimo. (Etudes théologiques sur les Constitutions du concile du Vatican, par J. M. A. VACANT, Paris-Lyon 1895, tome II, p. 116, n° 650). Più recentemente H. P. J. Villain, nell’opera già citata, ha indicato a sua volta, come ancora attuali, di cui l’esperienza ha dimostrato non essere chimerica, quello di un rigorismo… che rende talvolta odiosa la dottrina, e quello di un laicismo che permette di vedere nelle encicliche solo documenti di nessun valore pratico, dichiarazioni platoniche, semplici dissertazioni del Sovrano Pontefice che non vi attribuirebbe lui stesso grande importanza (Loc. cit.,p. 191).  Nel corso di una discussione, si fa talvolta riferimento a un testo pontificio e la risposta, senza ulteriore qualificazione, è: “È solo un’Enciclica”. Queste discussioni possono continuare senza una soluzione, con grande danno per l’unità di vedute dei Cattolici, finché rimarranno intaccate da un difetto di metodo. Una dottrina può essere vera, anche sovranamente opportuna, senza che il documento che la richiama sia dotato del carisma dell’infallibilità. Al contrario, una verità, anche se proviene da un documento autenticamente e inequivocabilmente infallibile, è improbabile che trovi un pubblico facile tra coloro la cui mentalità è destinata a riformare. Le stesse controversie teologiche difficilmente avranno successo, se rimangono rinchiuse nel regno del “a priori” o del puro metodo deduttivo. Si potrà discutere a lungo sull’autorità delle encicliche se non ci si prenda la briga di interrogarle personalmente. È al Magistero che dobbiamo chiedere quale grado di credito dobbiamo dare ai suoi atti. Pin effetti la loro autorità divina non è una verità puramente razionale, ma appartiene al regno della rivelazione; è quindi il solo organo vivente della rivelazione che può apportarci luce. – Non è d’altronde la questione di principio che è in gioco qui; l’autorità sovrana del Magistero pontificio è una dottrina riconosciuta da tutti i Cattolici. Si tratta solo di sapere fino a che punto il Sommo Pontefice, scrivendo un’Enciclica, impegna questa autorità. È al Sommo Pontefice e alle stesse encicliche che dobbiamo innanzitutto chiedere la risposta. Pertanto, prima di qualsiasi tentativo di sistematizzazione teologica, sembra necessario esaminare attentamente i testi. Questo è precisamente lo scopo di questo documento. Dopo un rapido inventario delle Encicliche stesse, esamineremo il loro atto di nascita, e poi chiederemo alla storia di ricordarci il ruolo che hanno avuto nel preservare il deposito e l’unità della fede. Una volta completato questo esame, sarà forse possibile precisare meglio il ruolo delle Encicliche nella teologia del Magistero, determinarne il credito esatto necessario, secondo la materia che trattano, riconoscere infine se devono essere viste come semplici indicazioni pastorali rapidamente “superate“, o se al contrario, e in che misura, devono essere accolte come autentici atti del Magistero, esigendo l’adesione del pensiero dei Cattolici o addirittura della loro fede. Prima ancora di discutere il contenuto delle Encicliche, possiamo già farci un’idea dell’importanza attribuita loro dal Sommo Pontefice con un semplice sguardo ai fogli stampati che ce le riportano. Dal 1908, la Santa Sede ha un organo ufficiale, gli Acta Apostolicæ Sedis, in cui sono inseriti i principali atti del Sommo Pontefice e delle Congregazioni Romane. È in questo organo che appaiono le Encicliche. Il posto che vi occupano sarà quindi indicativo della loro importanza in relazione agli altri atti del Papa o della Curia. Le Litteræ Encyclicæ sono inserite per prime, seguite immediatamente dalle Epistolæ Encyclicæ, che sono un po’ meno solenni (Contrariamente alla recente affermazione del Dict. D. Can. art. “Encyclicæ”). Gli atti giuridici o amministrativi, come le Costituzioni Apostoliche che promulgano un giubileo o che regolano la nuova erezione di una diocesi, prendono posto solo dopo, intervallati dalle Encicliche e dalle altre Lettere pontificie. Questa è almeno la regola generale. Essa non fu infranta fino al 1944 e al 1949, quando, nell’indice degli Atti, le encicliche lasciarono il posto alle Decretali o Bolle di canonizzazione di diversi Santi, che ripresero allora il primo posto (Cfr. A. A. S., 15 marzo 1950). Questa semplice disposizione materiale è abbastanza eloquente di per sé, e potrebbe, in assenza di un testo preciso, fornirci già una preziosa indicazione. Ma non mancano le dichiarazioni esplicite dei Pontefici nelle loro encicliche. Dovremo tornare tra poco alla condanna formale delle « Parole di un credente » da parte di Gregorio XVI nell’enciclica Singulari nos. Basterà per il momento indicare il titolo invocato per la pronuncia di questa sentenza. Non è altro che la “pienezza del potere apostolico, deque apostolicæ potestatis plenitudine“; un appello che è ulteriormente sottolineato dal considerando precedente: « Chi ci proibisce di tacere, è Colui stesso che Ci ha posto come sentinella in Israele, affinché denunciamo l’errore a coloro che l’Autore e consumatore della nostra Fede, Gesù, ha affidato alle nostre cure » (Singulari Nos del 25 giugno 1834, Acta Gregorii Papæ XVI, Romæ, 1901, t. I, p. 434.). – Non appena fu elevato alla sede pontificia, Pio IX indirizzò un’enciclica all’episcopato di tutto il mondo. In esso egli indica gli errori e i pericoli che minacciano la Chiesa. Possiamo già notare l’espressione che usa per confermare le precedenti condanne contro le società segrete. È di nuovo “la pienezza del potere apostolico” che viene invocata: quas nos apostolicæ nostræ potestatis plenitudine confirmamus (Qui Pluribus del 9 novembre 1846, in Lettere apostoliche di Pio IX, Gregorio XVI, Pio VII, Parigi, 5, rue Bayard, p. 184). È a questa raccolta che di solito rimanderemo i nostri lettori, indicandola con l’abbreviazione BP., mentre le cifre successive indicano la pagina, e il volume in questione, indicando l’uno il tomo, l’altro la pagina, per i Pontificati successivi). Nel 1864 nell’enciclica Quanta cura, la formula non è meno solenne: « Perciò, in mezzo a questa perversità di opinioni depravate, penetrati dal dovere del nostro ufficio apostolico, apostolici nostri officii probe memores, e pieni di sollecitudine per la nostra santa Religione, per la sana dottrina, per la salvezza delle anime che ci è affidata dall’alto e per il bene stesso della società umana, abbiamo ritenuto nostro dovere alzare ancora una volta la voce (Quanta Cura, 8 dicembre 1864, BP. 13). È una formula simile che Leone XIII usa a sua volta, quando, fin dai primi anni del suo pontificato, ritiene necessario mettere in guardia il mondo cattolico contro il pericolo delle dottrine comuniste e socialiste: « Avendo Dio voluto affidarci il governo della Chiesa Cattolica, custode e interprete della dottrina di Gesù Cristo, Noi riteniamo, Venerabili Fratelli, che sia Nostro dovere in questa veste ricordare pubblicamente gli obblighi che la morale cattolica impone a tutti in questo ordine di doveri. Cum regendæ Ecclesiæ catholicæ, doctrinarum Christi custodi et interpreti, Dei beneficio praepositi simus, auctoritatis Nostræ esse judicamus, V. F., publice commemorare quid a quoquam in hoc genere officii catholica veritas exigat » (Diuturnum, 29 giugno 1881, BP.1.143). Ma non è necessario fermarsi ad ogni lettera di Leone XIII per precisarne i termini. Uno di essi è particolarmente significativo. In occasione del suo giubileo sacerdotale, il Papa, rivolgendosi contemporaneamente ai Vescovi, a tutti i fedeli dell’Universo, lascia per una volta il modo serio e solenne ordinario delle encicliche, per assumere un tono più familiare e paterno. Egli ritiene necessario spiegare questa derogazione, che serve solo a sottolineare più fortemente il carattere d’insieme dell’insegnamento enciclicale. « Dall’alto di questo supremo grado dell’ufficio apostolico in cui la bontà di Dio ci ha posto, Noi abbiamo spesso, secondo il nostro dovere, preso la difesa della verità, e ci siamo particolarmente sforzati di esporre quei punti della dottrina che ci sembrano di più attuale interesse per il bene pubblico… Oggi vogliamo parlare a tutti i Cristiani, come un buon padre parla ai suoi figli, e con un’esortazione familiare, esortare ciascuno di loro a regolare la propria vita in modo santo… » (Exeunti jam Anno, 30 dicembre 1888, BP.2.229.1). I successori del grande Papa hanno interpretato i suoi avvertimenti nel senso di atti vincolanti al Magistero papale. Nella sua enciclica Quadragesimo Anno, che commemora il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum, Pio XI mostra Leone XIII, in forza del suo diritto e della missione specialissima che ha ricevuto di vigilare sulla Religione e sugli interessi ad essa connessi, jure suo plane usus tuque probe lenens religionis custodiam dispensationemque earum rerum, quæ cum illa arcto vinculo sociantur, sibi potissimum commissas fuisse… Poi continua: Basandosi unicamente sui principi immutabili della ragione e della rivelazione divina, il Pontefice definisce e proclama con autorità sicura di sé (il latino è più forte e allude chiaramente all’autorità stessa di Cristo: tamquam potestatem habens) i diritti e i doveri… (Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931, BP.7.94). Qualche riga più sotto Pio XI descrive l’insegnamento papale come « vox apostolica », e si dà il compito di “vendicare contro le false imputazioni di cui è oggetto“, la dottrina del Papa che si identifica con la dottrina stessa della Chiesa: “visum est eam, id est catholicam de hac re doctrinam et a calumniis vindicare et a falsis interpretationibus tueri (ibid., BP.7.113). Nello stesso senso Divini Redemptoris: “Hæc est Ecctesiæ doctrina“, BP. PIE XI, 15.66). Questa autorità che riconosce chiaramente nelle parole del suo predecessore, Pio XI l’aveva rivendicata anche in un’altra Enciclica commemorativa, Casti connubii, dove l’accumulo di termini non può lasciare dubbi sull’intenzione di impegnare in questo documento tutto il potere del Magistero: « In ragione del Nostro ufficio di Vicario di Cristo in terra, del Nostro supremo pastorato e del Nostro Magistero, abbiamo giudicato che appartiene alla Nostra missione apostolica alzare la voce, per allontanare dai pascoli avvelenati le pecorelle a Noi affidate e, per quanto è in Noi, preservarle da essi. Pro Christi in terris Vicarii ac supremi Pastoris et Magistri munere, Nostrum esse duximus Apostolicam attollere vocem... » (Casti Connubii, 31 dicembre 1930, B.P.6.24.5). E come se queste parole non fossero abbastanza chiare e potessero ancora lasciare spazio a qualche esitazione, egli identifica, come aveva fatto per Leone XIII, la dottrina dell’Enciclica con quella della Chiesa stessa: « La Chiesa Cattolica, investita da Dio stesso della missione di insegnare e difendere l’integrità della morale e l’onestà, la Chiesa cattolica, in piedi in mezzo a queste rovine morali, alza forte la sua voce attraverso la nostra bocca, come segno della sua missione divina, per mantenere la castità del legame nuziale al sicuro da questa profanazione e promulga ancora: Ecclesia catholica.., in signum legationis suæ divinæ, altam per os Nostrum extollit vocem atque denuo promulgat… (Ibidem, 276). Poi il Papa, per ricordare ai sacerdoti il loro dovere di istruire i fedeli, si appella di nuovo « alla suprema autorità e alla cura di tutte le anime: pro suprema Nostra auctoritate et omnium animarum salutis cura » (Ibid.). Il tono, senza dubbio, si alza raramente a questa altezza; tuttavia, tali affermazioni non sono eccezionali. Non è solo nella dottrina pontificia sui doveri coniugali, ma anche in quella che tratta dei problemi sociali, che dobbiamo cercare il pensiero della Chiesa. All’inizio dell’Enciclica Divini Redemptoris sul comunismo ateo, il Papa spiega le sue intenzioni: « il suo primo scopo sarà quello di fare una breve sintesi del comunismo e dei suoi metodi di azione, e poi – aggiunge Pio XI – a questi falsi principi opporremo la luminosa dottrina della Chiesa » (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, BP.15.39. 4), la vera nozione della città umana… come ci viene insegnata dalla ragione e dalla rivelazione attraverso la Chiesa Magistra gentium (Ibidem, 15.54). – Non dobbiamo più stupirci del termine serio scelto dal Pontefice per designare l’enciclica. Paragonandolo ai suoi precedenti avvertimenti, lo chiama “un documento di maggior solennità, majoris gravitatis documentum“:  « Il pericolo sta aggravandosi ogni giorno. Perciò è Nostro dovere alzare ancora la voce in un documento più solenne, secondo l’abitudine della Sede Apostolica, maestra di verità, idque facimus per hoc majoris gravitatis documentum, quemadmodum huic Apostolicæ Sedi veritatis magistræ, moris est » (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, B.P.15.S9.).  È un’espressione quasi simile “pontificalis magisterii documentum” che Pio XII userà per descrivere un’altra lettera del suo predecessore, e forse sottolinea ulteriormente lo stretto legame che il Papa vedeva tra l’insegnamento delle encicliche e il Magistero affidato al Romano Pontefice. È tanto più importante notare che la parola non si applica solo alla Quadragesimo Anno, ma anche espressamente alla Rerum Novarum. « Siamo lieti di sapere che il suddetto documento del Magistero Pontificio (Quadragesimo Anno), come pure la lettera enciclica dello stesso genere, Rerum Novarum, di Papa Leone XIII, siano oggetto di attento esame da parte vostra » (Sertum Lætitiæ, 1 novembre 1939, BP.1.284.). Pio XII era anche consapevole del dovere aper il quale si sforzava di essere fedele, quando scriveva le sue encicliche. Già nella sua lettera inaugurale si era espresso così: « Come Vicario di Colui che, in un’ora decisiva, davanti al rappresentante della massima autorità terrena del tempo, pronunciò la grande parola: Sono nato e venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità, chi è della verità ascolti la mia voce, non c’è nulla di cui ci sentiamo più debitori al nostro ufficio e al nostro tempo, che rendere testimonianza alla verità con fermezza apostolica, Nihil Nos muneri Nostro Nostræque ætati magis debere profitemur quam testimonium perhibere veritati » (Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939, BP. 1 .210. 3) ». – Questo è precisamente il compito che le Encicliche permetteranno di affrontare. Nel suo discorso all’udienza del 21 gennaio 1942, il Santo Padre rivendica come primo dovere il “ministero della Parola“, affidato agli Apostoli e ai loro successori dal Signore stesso: « Andate e insegnate a tutte le nazioni quello che Io stesso vi ho insegnato. » Questo ministero, che gli sta tanto a cuore, non rinuncia a compierlo rivolgendosi direttamente e in tutta semplicità ai fedeli, ai nuovi sposi inginocchiati ai suoi piedi, ma non dimentica di ricordare il primo e più importante modo di esercitarlo: « Senza dubbio esercitiamo un tale ministero in primo luogo quando, in occasioni solenni, ci rivolgiamo a tutta la Chiesa, ai Vescovi, ai Nostri Fratelli nell’episcopato… » (Discorso La Gradita Vostra Presenza, udienza del 21 gennaio 1943, vedi Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Milano, 1942, t. III, p. 355. ) » in una parola, nelle Encicliche. Dopo queste ripetute affermazioni che sottolineano l’identità della parola pontificia inscritta nelle Encicliche con l’esercizio del Magistero, quella della dottrina che esse contengono con la dottrina stessa della Chiesa, non ci si può più stupire di vedere i Papi esigere dai fedeli il completo assenso ai loro insegnamenti; ma piuttosto si potrà cogliere da essi una preziosa conferma dell’autorità delle Encicliche, che abbiamo visto così fortemente affermata. Si è fatto riferimento sopra all’atteggiamento di Lamennais nei confronti della condanna di l’Avenir da parte di Mirari vos. Essendo la sottomissione totale, inizialmente promessa, lenta a venire, Gregorio XVI scrisse un Breve all’arcivescovo di Rennes il 5 ottobre 1833. In essa esprime innanzitutto il suo disappunto per non vedere la pubblicazione dell’atto di adesione all’Enciclica con la quale si renderebbe manifesto al mondo cattolico che (Lamennais) mantiene fermamente e seriamente e che professa la sana dottrina che Noi abbiamo esposto nelle Nostre Lettere a tutti i Vescovi della Chiesa, ipsum firme et graviter tenere, ac profiteri sanam Ulani doctrinam, quam nos nostris ad uni-versos Ecclesiæ Antistites Litteris proposuimus (Breve Litteras Accepimus, del 5 ottobre 1838. Ad Gregorii XVI, t. I, p. 311). Le sue prevaricazioni sono una prova che se egli riverisce l’autorità della Santa Sede, non si è ancora sottomesso al suo giudizio e alle dottrine da essa esposte, judicio, hac in re nostro, doctrinisque per nos traduis (ibid.). Per porre fine a questi dubbi il Santo Padre precisa il minimo richiesto a Lamennais: ut sciticet doctrinam nostris encyclicis Litteris traditam… se unice et absolute sequi confirmet, nihilque ab illa alienum se aut scripturum esse aut probaturum; seguire senza riserve ed esclusivamente la dottrina dell’enciclica e non scrivere o approvare nulla di estraneo ad essa (Ibidem). – Un’esigenza simile è espressa nell’Enciclica Immortale Dei di Leone XIII, ma questa volta non è più rivolta a un caso particolare ma si applica all’intero insegnamento pontificale: « Se quindi… i Cattolici ci ascoltano… sapranno esattamente quali sono i doveri di ciascuno sia in teoria che in pratica. In teoria, prima di tutto, è necessario aderire con incrollabile aderenza (judicio stabili) a tutto ciò che i Romani Pontefici hanno insegnato o insegneranno, e, ogni volta che le circostanze lo richiedono, farne pubblica professione » (Immortale Dei, 1 novembre 1885, BP.2.47).  – Poi applica questo principio generale agli errori denunciati nella presente Enciclica: « Soprattutto per quanto riguarda le libertà moderne, come vengono chiamate, ognuno deve attenersi al giudizio della Sede Apostolica e pensare come lui stesso pensa. Et in opinando qiiidem quæcnmqne Pontífices Romani tradiderint vel tradituri sunt, singula necesse est tenere judicio stabili comprehensa, et palam quoties res postulaverit, profiteri. Ac nomi natim de his, quas libértales vocant novissimo tempore qiiæsitas, oporlet Apostolicæ Sedis stare judicio, et quod ipsa senserit idem sentire singulos » (Ibid.). È inutile sottolineare l’importanza del futuro “vel tradituri sunt“, e della “judicio stabili“. Si potrebbero moltiplicare le citazioni dello stesso Papa; basterà raccogliere qualche altro testo. Rivolgendosi agli operai francesi poco dopo la pubblicazione della Rerum Novarum, un documento che definì “un atto del nostro ufficio di Pastore universale di anime“, Leone XIII chiese ai Cattolici « piena adesione e obbedienza agli insegnamenti della Chiesa e del suo Capo » (Udienza del 19 settembre 1891. Cfr. Acta Præcipua Leonis Papæ XIII, Desclée, Paris-Tournai, t. V, p. 3. ). Alcuni anni dopo, scrivendo ai vescovi d’America, indicò le sue precedenti Encicliche come la fonte dove i fedeli potevano trovare « gli insegnamenti che devono seguire e obbedire, quæ sequantur et quibus pareant catholici (Longinqua Oceani, 6 gennaio 1895, BP.4.172) ». Un anno dopo, avendo un giornalista francese osato mettere in discussione le decisioni della lettera pontificia Apostolicæ Curæ, sulle ordinazioni anglicane, il Sommo Pontefice scrisse all’Arcivescovo di Parigi per chiedergli di ricordare ai Cattolici il loro dovere di totale obbedienza alla dottrina pontificia, come definitivamente ferma, stabilita, irrevocabile: catholici omnea nummo dehent obsequio unplecti tamquam perpetua firmom, ratam, irrevocabilem (Lettera Religioni apua Anglos, 5 novembre 1896. Cfr. Acta præcipua…, vol. VI, p. 225). Pio X non parlerà con altro linguaggio. Di fronte alla dottrina esposta da Leone XIII nelle sue Encicliche, il dovere dei Cattolici ai suoi occhi è chiaro: « Noi proclamiamo altamente che il dovere di tutti i Cattolici – un dovere che deve essere adempiuto religiosamente e inviolabilmente in tutte le circostanze della vita sia privata che pubblica – è di custodire fermamente e di professare senza timidezza, tenere firmiter profiterique, i principi della verità cristiana insegnati dal Magistero della Chiesa Cattolica, quelli specialmente che il Nostro predecessore ha formulato così saggiamente nell’Enciclica Rerum Novarum” » (Singulari Quadam, 24 settembre 1912, BP.7.273). – In Ubi Arcano, Pio XI insisterà a sua volta nel definire “modernismo” l’atteggiamento di coloro che rifiutano di ammettere « gli insegnamenti o gli ordini promulgati in tante occasioni dai Pontefici, specialmente da Leone XIII, Pio X e Benedetto XV », o che “agiscono esattamente come se” questi insegnamenti “avessero perso il loro valore primario o addirittura non dovessero più essere presi in considerazione affatto (Ubi Arcano, 28 dicembre 1922, BP.1.172. ) ». – Possiamo stupirci di questa severità quando sentiamo lo stesso Papa dare le sue stesse Encicliche come regola di pensiero e di azione per i Cattolici, « aride catholici accipiant quid sibi sentiendum agendumque » (Mortalium Animos, 6 gennaio 1928, BP.4.67.). – Il carattere normativo delle Encicliche nei confronti del pensiero cristiano è ancora indirettamente evidente dalle condanne formali che questi documenti talvolta portano. Condannare una dottrina è proibirla, e quindi dirigere autorevolmente l’intelligenza. Abbiamo già avuto occasione di alludere alla condanna delle Parole di un credente da parte di Gregorio XVI nell’enciclica Singulari Nos, in cui si appellava alla « pienezza del potere apostolico ». Dobbiamo citare qui l’intero passaggio. Dopo aver esposto i fatti che motivano la condanna, il Papa si esprime così: « Perciò, avendo sentito diversi Nostri venerabili Fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, di nostra iniziativa (Motu proprio), avendo acquisito la certezza dei fatti e usando la pienezza del potere apostolico Noi rimproveriamo, condanniamo, e vogliamo e ordiniamo che il suddetto libro sia ritenuto riproverato e condannato in perpetuo (reprobamus, damnamus ac prò reprobato et damnato in perpetuum haheri valumus atque decernimus), intitolato Parole di un credente, in cui, con un empio abuso della parola di Dio, i popoli si impegnano a rompere tutti i vincoli dell’ordine pubblico, a minare l’autorità, a suscitare sedizioni nel cuore degli imperi, a fomentare movimenti insurrezionali e ribellioni; Questo libro contiene proposizioni, rispettivamente false, calunniose, sconsiderate, favorevoli all’anarchia, contrarie alla parola divina, empie, scandalose, erronee, alle quali la Chiesa ha già mirato nelle sue condanne dei Valdesi, dei seguaci di Wicleff e Huss o di altri eretici dello stesso genere « (Librum) ideo propoitiones respective falas, calumniosas, temerarias, inducentes in anarchiam, contrarias verbo Dei, impias, scandalosas, erroneas, iam ab Ecclesia præsertim Valdensibus Viclefitis, Hussitis aliisque id generis hæreticis damnamus continentem, reprobamus, damnamus ac prò reprobato et damnato in perpétuant baberi volumus atque decernimus » ( Singulari Nos 25 giugno 1834, Acta Gregorii XVI -. 1-434-). Pio IX, a sua volta, nella sua prima Lettera all’Episcopato, ricorda, per confermarle, le precedenti condanne delle Società Bibliche: Il Pontefice di gloriosa memoria al quale succediamo… Gregorio XVI, seguendo in questo l’esempio dei suoi predecessori, ha riprovato queste società con le sue Lettere Apostoliche; anche noi le vogliamo condannate, et nos pariter damnatas esse volumus (Qui Pluribus, 9 novembre 1846, BP.186). (Quanta Cura, 8 dicembre 1864, BP.5). –  Poi, dopo aver descritto gli errori a cui l’Enciclica cerca di porre rimedio, il Papa pronuncia nuovamente il suo solenne ripudio: « Pieni del dovere del Nostro ufficio apostolico e pieni di sollecitudine per la nostra santa religione, per la santa dottrina, per la salvezza delle anime che ci è affidata dall’alto e per il bene stesso della società umana, abbiamo ritenuto nostro dovere alzare di nuovo la voce. Perciò, per la Nostra autorità apostolica, Noi rimproveriamo, Noi proscriviamo, Noi condanniamo, Noi vogliamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa Cattolica tengano come riproverati, proscritti e condannati ognuna delle cattive opinioni e dottrine descritte nelle lettere precedenti, auctoritate nostra apostólica, reprobamas, proscribimus atque damnamm, easque ab omnibus catholicæ Ecclesiæ fîliis, veluti repróbatas, proscriptas, atque damnatas omnino haberi volumus atque mandanus.»– Ibid 13.). – Se i termini impiegati da Leone XIII, nell’enciclica Inscrutabili, sono meno formali, assumono un valore singolare per la loro connessione con le condanne del Concilio Vaticano che pretendono di confermare: « I Romani Pontefici, i nostri predecessori e in particolare Pio IX, di santa memoria, specialmente nel Concilio Vaticano…, non trascurarono, ogni volta che fu necessario, di rimproverare gli errori che irrompevano e di colpirli con censure apostoliche. Anche noi, seguendo le loro orme, confermiamo e rinnoviamo tutte queste condanne di questa Sede Apostolica della verità, … has condamnationes omnes, Nos, ex hac Apostolica veritatis Sede confirmamus et iteramus » (Inscrutabili, 21 aprile 1878, BP.1.19). – Allo stesso modo, nell’Enciclica Humanum Genus contro la massoneria: « Tutti i decreti emessi dai nostri predecessori… tutte le sentenze pronunciate da loro… Intendiamo ratificarli di nuovo sia in generale che in particolare » (Humanum Genus, 20 aprile 1884, BP.1.269). Le sentenze e i decreti, ai quali qui si fa riferimento, comprendevano oltre alle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII, Pio VII e Leone XII, le encicliche di Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX (Ibid. 1.245). – La disapprovazione di Pio X per il principio della separazione tra Chiesa e Stato non è meno chiara: « Che sia necessario separare lo Stato dalla Chiesa è una sentenza assolutamente falsa, e in sommo grado perniciosa, profecto falsissima, maximeque perniciosa sententia est (Vehementer, 11 febbraio 1906, BP.2.126). L’Enciclica sulle associazioni di lavoratori è un altro giudizio definitivo, un divieto formale, che i Vescovi tedeschi hanno ricevuto: Poiché abbiamo sollevato questa causa e, dopo aver consultato i vescovi, spetta a Noi pronunciare la sentenza, ingiungiamo a tutti i buoni uomini di astenersi d’ora in poi da ogni controversia… (Singulari Quadam, 24 ottobre 1912, BP.7.278). – Un altro esempio di condanna formale è fornito dalla prima lettera Enciclica di un Papa il cui brevissimo Pontificato, interamente assorbito dalla sollecitudine della guerra, gli permette raramente di essere citato. Dopo aver ricordato che la Chiesa si aspetta dai suoi difensori qualcosa di diverso dalle vane dispute, ma chiede loro al contrario di lavorare con tutte le loro forze per conservare la fede nella sua integrità e per proteggerla da ogni alito di errore, seguendo principalmente Colui che Gesù Cristo ha costituito custode e interprete della verità, Benedetto XV denuncia coloro che, « preferendo il proprio giudizio all’autorità della Chiesa, sono arrivati nella loro temerarietà a giudicare i misteri divini e tutte le verità rivelate secondo la propria comprensione, non esitando ad adattarle al gusto dei tempi presenti. » Poi aggiunge: «  Così nacquero i mostruosi errori del modernismo, che il Nostro predecessore proclamò giustamente la somma di tutte le eresie e che condannò solennemente. Questa condanna, V. F., la rinnoviamo in tutta la sua estensione. Decessor Noster omnium hæreseon collectum edixit esse et solemniter condemnavit. Eam Nos igitur condemnationem… qnantacumque est, hic iteramus » (Ad Beatissimi, 1 novembre 1914, BP. 1.43,44.). – Per evitare queste condanne, il modernismo cambierà il suo metodo e assumerà una forma più capziosa. Evitando affermazioni di principio, si rifletterà solo nel campo dei fatti, dove non si terrà conto delle condanne dottrinali dei Pontefici. Pio XI lo perseguirà fino a questo punto pericoloso: denunciando coloro che  agendo esattamente come se gli insegnamenti e gli ordini promulgati tante volte dai Pontefici, in particolare da Leone XIII, Pio X e Benedetto XV, avessero perso il loro valore primario o addirittura non dovessero più essere presi in considerazione,  conclude con un giudizio formale: « Questo fatto rivela una sorta di modernismo morale, giuridico e sociale; lo condanniamo formalmente come il modernismo dogmatico. Quod quid quidem una cum modernismo illo dogmático, impense reprobamus » (Ubi Arcano, 28 dicembre 1922, BP. 1.172.). Quando, alla fine dello stesso pontificato, la sollecitudine del Papa si rivolse a un altro errore, il comunismo ateo, l’enciclica che lo denunciava iniziò con il riferimento alle precedenti riprovazioni di questo errore, sia di Pio IX che dello stesso Pio XI: “Ad communistarum errores quod attinet, jam. . decessor noster… eos solemniter reprobavit, reprobationemque suam subinde per Syllabum confirmavit  (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, BP.15,36 )… denuntiavimus, improbauimus… solemniter expostulando conquesti sumus » (Ibid. 37,38). – A questo dossier  già imponente a favore dell’autorità delle Encicliche, si è appena aggiunta una pagina della Humani generis, la cui importanza non si saprebbe mai abbastanza stimare:  « Né si deve pensare che ciò che viene proposto nelle Encicliche non richieda di per sé un assenso, poiché i Papi esercitano in esse il potere supremo del loro magistero. A ciò che viene insegnato dal Magistero ordinario si applica anche il detto: “Chi ascolta voi, ascolta me“; e il più delle volte ciò che viene esposto nelle Encicliche appartiene già d’altra parte alla dottrina cattolica. Se i Papi giudicano espressamente nei loro atti una questione che prima era controversa, tutti capiscono che questa questione nel pensiero e nella volontà dei Pontefici non è più da considerare come una questione libera tra i teologi (Neque putandum est, ea quæ in Encyclicis Litteris proponuntur assensum per se non postulare, cum in iis Pontífices supremam sui Magisterii potestatem non exerceant. Magisterio enim ordinario haec docentur de quo illud etiam valet:Qui vos audit, me audit”, (Luc, X, 16); ac plemmque quae in Encyclicis Litteris proponuntur et inculcantur, jam aliunde ad doctrinam catholicam pertinent. Quod si Summi Pontífices in actis suis de re hactenus controversa data opera sententiam ferunt, omnibus patet rem ìllam, secundum mentem et voluntatem eorumdem Pontificum, quæstionem liberge inter theologos disceptationis jam haberi non posse. (A. A. S. t. XLII, p. 561). Diamo nel testo la traduzione. Bonne Presse, p. 10).  Dovremo esaminare questo testo in dettaglio più avanti; ci basta qui raccogliere due affermazioni che confermano ciò che avevamo già appreso dalla nostra rapida indagine. Quando ascoltiamo l’insegnamento delle Encicliche, espressione del magistero ordinario, sentiamo Cristo stesso: Chi ascolta voi, ascolta me. Quindi, se i Papi esprimono un giudizio dottrinale in essi, la causa deve essere considerata come ascoltata.

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Queste linee molto formali della Humani generis iniziano però con una formula che ci invita a completare la nostra troppo lunga spogliazione dei testi. Se non vogliamo rimanere di parte, è importante che, accanto alle affermazioni a favore dell’autorità delle Encicliche, si abbia cura di sottolineare il carattere proprio di queste lettere, che più di una volta ha confuso i teologi abituati a cercare l’espressione della Regola di fede nei Canoni dei Concili o nelle Definizioni contenute nelle solenni Costituzioni Apostoliche. In un caso, infatti, una formula volutamente concisa, almeno sempre circostanziata, della dottrina. Essa non dibatte, ma è attentamente soppesata per esprimere, con rigorosa precisione, un’affermazione dottrinale il cui rifiuto o accettazione decide tra la comunione della Chiesa o l’anatema solenne; nell’Enciclica, invece, c’è un’esposizione della dottrina a volte prolissa, ma sempre dettagliata. Non si tratta tanto, sembra, di una sfida al credente a scegliere tra accettare o rifiutare un articolo di fede, quanto di un invito all’intelletto a fare proprio il pensiero pontificale, a coglierne la validità e a farsi illuminare dalla sua luce (Se viene redatta una lista di proposizioni condannate, è spesso in un documento di accompagnamento, piuttosto che nell’Enciclica stessa. Così il Sillabo, inviato ai vescovi contemporaneamente alla Quanta Cura).  – Se si tratta di mettere in guardia contro un errore, l’Enciclica cercherà prima di tutto di scoprirne la causa, di mostrare i motivi che hanno animato i suoi autori, di denunciare le sue disastrose conseguenze. Poi arriva la condanna, ma si sforzerà di esporre i suoi motivi in modo ampio, e soprattutto vorrà opporre alle concezioni erronee, la solida sintesi della dottrina cattolica, che il documento pontificio a volte si soffermerà a spiegare in dettaglio, e spesso ne stabilirà la validità con una dimostrazione in regola. – Leone XIII, in Quod apostolici muneris, vuole bloccare la strada al socialismo. La lettera inizia con un’esposizione dell’obiettivo perseguito dai fautori dell’errore, e poi passa a cercare le cause dell’errore, senza temere di ripercorrere i secoli per riuscirci nel modo più completo. La confutazione arriva solo dopo: di fronte al socialismo, che distrugge l’ordine sociale, il Papa dipinge un quadro della dottrina sociale cristiana. Tutta la fine dell’enciclica sarà lo sviluppo di questa opposizione, che sarà perseguita fino alle sue conseguenze finali. Tra queste due concezioni della società, il popolo sarà finalmente invitato a scegliere, ed i Vescovi ad insegnare ampiamente la dottrina sociale della Chiesa. – L’enciclica Arcanum, scritta nel gennaio 1880, meno di due anni dopo quella che abbiamo appena analizzata, è un altro vero trattato, questa volta sul matrimonio cristiano. La stessa ricchezza di dottrina, la stessa abbondanza di prove. Solo l’ordine di presentazione è qui invertito: la dottrina cattolica è la prima ad essere presentata nel suo sviluppo storico e nella sua sintesi. La seconda parte della lettera è dedicata alla critica dell’errore, il cui punto di partenza il Papa prima denuncia, per poi istituire una vigorosa confutazione. Questo sarà ancora l’ordine seguito da Libertas. Inizia esaminando la nozione cristiana di libertà e la necessaria distinzione tra libertà psicologica e morale. Una volta chiarita questa nozione equivoca, il Papa passa alla critica del liberalismo e delle false libertà che ha sostenuto. La lettera si conclude con uno studio dei casi pratici che possono presentarsi per una coscienza cristiana. – Uno degli esempi più caratteristici è senza dubbio quello dell’Enciclica Pascendi, dedicata interamente a combattere le dottrine moderniste. La codificazione degli errori in formule precise era già stata fatta al momento della sua pubblicazione; il decreto Lamentabili, il 4 luglio 1907, aveva appena condannato 65 proposizioni che esprimevano il pensiero di autori modernisti. Due mesi dopo, l’8 settembre, la lettera pontificia fu a sua volta indirizzata ai Vescovi. Questa volta non si trattava più di un breve catalogo, ma di un vero e proprio trattato. L’Enciclica inizia denunciando il pericolo che i nuovi errori fanno correre alla Chiesa, e poi, in pagine che non rifuggono dalle spiegazioni più dettagliate, indica i vari aspetti, spesso complessi, della dottrina incriminata; tenta persino di penetrare la psicologia profonda di coloro che, più o meno consapevolmente, si fanno suoi propagandisti. Sappiamo come Pio X ci sia riuscito; le stesse persone di cui ha rivelato il pensiero con più precisione di quanto fossero state capaci di analizzare loro stesse, lo hanno confessato. Sembra, leggendo questa Lettera con il senno di poi che abbiamo oggi, che il Beato Pontefice abbia voluto, per allontanare il pericolo, riversare sulla Chiesa un immenso fiume di luce. In essa, coloro che si sono smarriti, possono riconoscere i loro errori e ritrovare la strada verso la verità, i Cattolici possono tenersi in guardia, e soprattutto i Vescovi avrebbero potuto agire di concerto per salvaguardare il gregge comune. Le ultime pagine dell’Enciclica indicavano loro con precisione i mezzi da adottare per un’azione efficace.  Senza formulare proposte, senza alcun apparato giuridico, questa lunga e ricca esposizione condannava il modernismo in una prospettiva diversa da quella del decreto, e allo stesso tempo offriva alla Chiesa una fonte incomparabile di dottrina. Osservazioni simili potrebbero essere fatte su quasi tutte le Encicliche. Uno delle più recenti, Mediator Dei, è un esame e un chiarimento estremamente dettagliato di tutto il problema liturgico. Il Papa si rivela un vero Pastore e Dottore universale, mettendo in guardia il suo gregge contro le insidiose apparenze dell’errore, e per ottenere questo, egli stesso distribuisce loro il pane della sana dottrina con magistrale ampiezza. Tuttavia, se le deviazioni vengono denunciate, se la verità viene richiamata con forza, coloro che “si sono allontanati dalla retta via non vengono colpiti da alcun anatema. Il Papa li esorta soltanto a “rettificare il loro modo di parlare e di agire“, affinché l’unità di fede tra tutti i membri della comunità cristiana sia assicurata senza fallo intorno al pensiero pontificio. I Pontefici hanno ripetutamente presentato questo disegno di insegnare in senso proprio, “esponendo la verità e confutando l’errore” come la ragione per scrivere le loro Encicliche. All’inizio della Rerum Novarum, per esempio, Leone XIII specifica lo scopo di questa nuova lettera, simile a quelle che abbiamo appena analizzato: “confutare le opinioni erronee e fallaci“. Quod alias consuevimus, Venerabiles Fratres, datis ad vos litteris de imperio político, de libértate humana, de civitatum constitutione christiana, aliisque non dissimili genere, quæ ad refutandas opinionum fallacias opportuna videbantur, idem nunc faciendum de conditione opificum iisdem de causis duximus (Rerum Novarum, 16 maggio 1891, BP.3.18). ” – Quod Apostolici Muneris, per stessa ammissione del Papa, si proponeva a sua volta “di avvertire pubblicamente i Cattolici dei profondi errori nascosti nelle dottrine del socialismo e dei pericoli che esse ponevano, non solo ai beni esterni, ma anche alla probità dei costumi e alla religione (Graves de Communi, 8 gennaio 1901, BP.6.205)”. Pio XI non interpretò diversamente lo scopo di Leone XIII in Arcanum, vedendolo come “quasi interamente dedicato a provare l’istituzione divina del matrimonio (Casti Connubii, 31 dicembre 1930, BP.6.246. )”. Ritornando sullo stesso argomento, amplia l’affermazione del suo predecessore: “Abbiamo quindi deciso di parlarvi… della natura del matrimonio cristiano, della sua dignità, dei vantaggi e dei benefici che esso apporta alla famiglia e alla stessa società umana, dei gravissimi errori contrari a questa parte della dottrina evangelica, dei vizi che sono contrari alla vita matrimoniale, e dei principali rimedi ai quali è necessario ricorrere” (Ibid., 244). -Abbiamo visto sopra lo stesso Papa, in una delle sue ultime Encicliche, quella diretta contro il comunismo ateo, usare per ricordare le condanne di Pio IX il termine « solemniter reprobavit » e designare i propri avvertimenti con le espressioni: denuntiavimus, improba-vimus, solemniter expostulando conquesti sumus. L’enciclica Divini Redemptoris, che si presenta come il majoris gravitatis documentum, indica chiaramente il suo scopo. In essa, il Sommo Pontefice non si propone di condannare, ma di riassumere tutti gli errori comunisti per opporsi ad essi con la forza della dottrina della Chiesa: «Volumus denuo communistarum inventa… summatim breviterque attingere atque explanare; iisdemque… perspicuam Ecclesiæ doctrinam opponere » (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, BP.15.39-41).  Pio XII dà così il vero carattere dell’insegnamento enciclico quando, nella sua lettera inaugurale, precisa la natura del dovere pontificio di testimoniare la verità: « Questo dovere include necessariamente l’esposto e la confutazione degli errori e delle colpe che è necessario conoscere per poterli curare e guarire. Hoc officium, cui satis Nos apostolica firmitudine opus est, id necessario postulat ut errores hominumque culpas ita exponamus ac refutemus, ut iisdem perspectis ac cognitis fas sit medicinam curationemque præbere » (Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939, BP.1.210)”. – A questo insieme di affermazioni, la Humani generis fornisce una preziosa conferma. Non esclude la possibilità di giudizi dottrinali nelle Encicliche. È questo anche espressamente menzionato. Tuttavia, il più delle volte, plerumque, si afferma, il ruolo delle lettere pontificie è quello di un richiamo della dottrina, e abbiamo visto quanto spesso sia magistrale e dettagliato. Normalmente le Encicliche ci portano l’insegnamento nel senso usuale del termine, e sono gli strumenti del « magistero ordinario, magisterio ordinario hæc docentur », di cui appaiono come i documenti maggiori. Torneremo più tardi su questo testo, così pieno di dottrina. – Alla fine di questa prima parte del nostro studio, ci basta ritenere le due caratteristiche che il nostro esame troppo rapido delle Encicliche ci ha permesso di scoprire: prima di tutto quella della grandissima parte di esse, cioè la « pienezza dell’autorità che la Santa Sede impegna. » Più di una volta abbiamo visto i Sommi Pontefici appellarsi con le loro stesse parole alla “pienezza dell’autorità apostolica“, chiamandoli “documenti del Magistero Pontificio“. Abbiamo notato molti passaggi che, o per l’accettazione richiesta ai fedeli o per la fermezza delle condanne, portano alla stessa conclusione.  L’altro carattere scoperto nelle Encicliche sembra a prima vista un po’ opposto al primo: l’assenza in questi documenti, o almeno la scarsità di definizioni precise, censure rigorose e anatemi, così familiari nei Canoni Conciliari o anche nelle Costituzioni dogmatiche. Al contrario, il loro modo di insegnare è quello di un’esposizione ampia e completa della dottrina della Chiesa, così come degli errori che vi si oppongono, esposizione che è spesso accompagnata da tutto un apparato di prove metodiche, pronostici per il futuro, ricerca delle cause, indicazioni pratiche ed esortazioni. Ma c’è una vera opposizione tra questi due aspetti? Forse è stato creduto troppo facilmente e ammesso senza ragioni valide. Questo potrebbe spiegare le divergenze notate sopra tra i teologi sull’autorità delle Encicliche. Alcuni, attenti soprattutto al modo di espressione di questi documenti, avrebbero concluso senza un esame sufficiente che esse erano puramente indicativi. Altri, colpiti al contrario dall’appello che i Papi facevano alla loro autorità sovrana, li avrebbero trattati come definizioni ex cathedra, forse un po’ frettolosamente.  L’esame dei testi, come abbiamo appena visto, ci obbliga, al contrario, a riconoscere entrambe queste caratteristiche delle Encicliche, anche se sembra difficile mostrare il legame tra di esse. La loro coesistenza sembra essere il fatto primario davanti al quale ogni studio coscienzioso dell’autorità dottrinale delle Encicliche deve inchinarsi. È solo dopo averla registrata fedelmente che il teologo può cercare di risolvere l’apparente paradosso che essa pone. Sarebbe sbagliato, inoltre, lasciarsi scoraggiare dalla difficoltà o cercare di evitarla abbandonando l’uno o l’altro aspetto del fatto fondamentale. La soluzione richiederà senza dubbio ulteriore attenzione. Ma questo sarà un nuovo beneficio. Rileggendo ancora una volta queste Lettere Pontificie, interrogando i testi in cui i Pontefici hanno potuto chiarire il loro pensiero sull’intenzione che le ha dettate, forse potremo scoprire, contemporaneamente alla spiegazione del doppio carattere riconosciuto alle Encicliche, nuovi chiarimenti sulla loro natura e sul titolo esatto della loro autorità.

UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE (2)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.