LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

I MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

c) La Natura.

D. All’opposto dello spirito puro, tu vedi la natura fisica?

R. Essa di fatto è all’opposto, pur serbandone il contatto.

D. Che cosa pensi della sua creazione? Ebbe essa luogo in una sola volta, o successivamente? per tappe, o continuatamente?

R. Secondo quello che abbiamo detto della creazione, pura relazione di dipendenza riguardo a Dio, la tua domanda non ha guari senso. Il mondo dipende in tutto il tempo: dunque è creato in tutto il tempo. Diciamo meglio: esso è creato secondo tutto îl tempo, cioè in tutti i termini della sua durata, in tutte le sue tappe; perché sappiamo che la creazione in se stessa è intemporale; sono solamente temporali il tempo stesso e ciò che il tempo misura.

D. Ecco che il mistero ritorna.

R. Io non ne posso niente. Tuttavia, aggiungo che il primo giorno del mondo in un certo senso è privilegiato. Esso non ha precedente; gli altri ne hanno. Si può dunque dire — in questo senso — che esso è nuovamente creato; che il mondo, in sé è tutto nuovo, benché le parole tutto nuovo e nuovamente abbiano l’aria di supporre una precessione illusoria e quel niente immaginario che noi abbiamo eliminato. In ragione di questo privilegio del giorno primo, si nota una differenza tra la «creazione continuata » o «conservazione » e la creazione iniziale, che è la stessa, ma riferita ad ogni istante.

D. Come si può continuare ciò che è intemporale, conservare ciò che dipende daell’intemporale?

R. Non si può. Questi sono modi di parlare. Ma io te ne dico l’intenzione. Si vuol notare una differenza tra ciò che comincia e ciò che prosegue, e questa differenza che non si trova nella creazione stessa e si trova solo nel suo effetto, la si riporta sulla creazione per concessione alle nostre abitudini di mente e di linguaggio, per assimilazione a ciò che avviene ordinariamente. E si dice: «Il mondo fu creato al principio del tempo »; oggi e sempre, esso è «conservato », «governato », il che non impedisce che dipenda incessantemente, e per conseguenza,  in quanto al contenuto essenziale della parola creazione, noti sia sempre creato.

D. Dunque resta il mio quesito. Ne modifico solo un poco i termini; e domando: Dio ha Egli dato alla natura un unico cominciamento, o questa ha conosciuto, in seguito, altri cominciamenti, che l’arricchiscono di nuove creature?

R. Certi pensatori stimano che vi sono sempre dei cominciamenti di questo genere; che le produzioni della natura sono perpetuamente nuove, imprevedibili, inventate sul posto; che vanno a ventaglio, sfoggiando sempre maggiori risorse. Ecco quello che, in Enrico Bergson, significa l’evoluzione creatrice. Questa creazione continua, non più nel senso d’una semplice conservazione, ma d’un accrescimento, non ha nulla che possa sorprendere un Cristiano. Noi vi aderiamo almeno in un caso particolare, quello dell’anima, come presto vedremo. Noi vi aderiamo anche, in maggioranza, quando si tratta del passaggio da un regno all’altro, supponendo che essi si dispongano a piani nel tempo. La vita non ha potuto uscire dalla materia inerte per un semplice sviluppo della materia inerte; assai meno ancora un’anima pensante può uscire da un organismo o da un’azione organica, dal momento che essa appartiene al mondo dello spirito, quantunque al più infimo titolo. In questi casi dobbiamo supporre un prestito nuovo dalla Sorgente creatrice, che Cristo ci dice perpetuamente attiva: « Mio Padre opera fino adesso ». L’eternità viene in soccorso del tempo, Se questo soccorso fosse permanente, noi non potremmo lagnarcene.

D. Credi tu per lo meno ai giorni della creazione, che siano giorni propriamente detti o giorni-periodi?

R. Qui non si può dar risposta perentoria. Quello che ne dice la Scrittura si presta a troppo diverse interpretazioni. Mosè, ancora una volta, non era incaricato d’insegnarci la cosmologia, ma di stringerci a Dio e di avviarci, col suo popolo, verso la Terra promessa.

D. Dunque, secondo te, resta libera la via per un’interpretazione della natura mediante l’evoluzione?

R. Sì, certamente; ma a due condizioni, delle quali ti ho già esposto sopra la prima, ed è che anzitutto l’evoluzione non pretenda di sostituire Dio; poi, che essa dia a Dio tutto il posto che gli può convenire nel corso stesso delle cose. In un sistema di evoluzione ben compreso, la natura ha due mezzi di effettuare l’opera sua: valersi delle risorse iniziali che ha dal Creatore, spiegando le sue virtualità segrete, le «sue ragioni seminali», direbbe S. Agostino; oppure, là dove il suo capitale acquisito non basta, attingere dalla Sorgente congiunta, o continuatamente, come vuole Bergson, o solamente alle grandi svolte; sia che vi si sorprendano soltanto dei piccoli cambiamenti, a guisa delle trasformazioni lamarckiane e darwiniane, oppure vi siano dei salti bruschi, delle varianti subitanee, come esige de Vries. In realtà, tutto questo per noi è uguale; se la intendano la scienza e la filosofia. Religiosamente, noi patrociniamo per Dio, rivendichiamo i diritti di Dio e allora si tratta della Causa, non del piano, e dei procedimenti di Spiegamento; si tratta del perché di tutto, non del come secolare e delle sue oscure vie. Non è inutile osservare qui che Lamarck e Geoffroy-Saint-Hilaire, i due creatori del trasformismo, non vedevano in esso se non «l’esecuzione d’un piano tracciato dalla volontà divina ».

d) L’Uomo.

D. L’uomo apparve subitaneamente sulla terra, oppure la sua venuta è il risultato d’una lenta elaborazione della vita?

E. L’uomo, propriamente parlando, non può essere un prodotto dell’evoluzione anteriore, poiché è costituito essenzialmente dalla ragione, fatto nuovo, fatto trascendente a ogni sviluppo materiale e che esige un apporto sui generis, veniente dal mondo dello Spirito,

D. Perché dici: L’uomo propriamente parlando?

R. Perché, quando ci si esprime con precisione, l’uomo vuol dire un’anima e un corpo formanti un solo essere. Ma, pur dicendo: l’uomo, si potrebbe pensare all’uomo quanto al suo corpo, all’uomo quanto alle sue preparazioni, quanto a’ suoi antecedenti corporali, e allora il problema posto sarebbe tutt’altro.

D. Che cosa intendi con questo?

R. Che il sapere se l’uomo è stato formato in una sola volta e tutto d’un pezzo, è una questione, e il sapere donde viene a lui, indipendentemente dal suo corpo, la parte principale del suo essere, quella che lo fa veramente uomo è un’altra questione.

D. Che diresti della prima questione?

E. È una questione di fatto. Si può pensare che il Genesi la dirima, con la storia della formazione di Adamo e del soffio di vita che Dio gl’infuse; e invero la scienza, quanto al presente, non vi contraddice affatto. Ma si può pensare all’opposto che per la Religione come per la scienza, il problema resti sospeso. Razionalmente parlando e atteso lo stato dei fatti da noi conosciuti, nulla impone e nulla vieta di credere che l’organismo umano sia stato elaborato nel seno della natura generale, nel corso delle età, e che, a suo tempo, Dio presente a tutte le cose abbia fornito la parte spirituale che costituisce l’uomo.

D. Si dirà allora che l’uomo « discende dalla scimmia ».

R. Sarebbe una grande stupidaggine; perché anzitutto non si tratta della « scimmia ». Ognora più la scienza crede di trovare le nostre origini fisiche lontano dalla linea scimmiesca. Sopra il tronco dei Primati, l’umanità sarebbe salita al centro, come un gran fiore, quando divergevano tutt’attorno, in vari sensi, dei rami di cui gli uni sono periti, e gli altri sussistono. Del resto è questa una considerazione secondarissima; ciò che importa è questo. L’uomo è l’uomo, non è soltanto il suo essere fisico, non è il suo corpo. Sarebbe piuttosto l’anima. In realtà, non è né l’uno né l’altro, ma il composto. Ora in quale momento nasce un composto? Senza dubbio si forma aggiungendo a un primo elemento quello che lo compie, specialmente se l’elemento complementare è di gran lunga il principale, se è l’essenziale. Non vi fu dunque uomo, uomo vero, se non in quel tempo, e la nascita dev’essere attribuita a Colui che è il padrone di quel momento, che ne fornisce la caratteristica umana, che ne fa una nascita d’uomo.

D. La nostra genealogia risalirebbe dunque a Dio, anche in questa ipotesi?

R. Così dicendo, tu incontri il Vangelo, tanto ammirato su questo punto da Chateaubriand. La genealogia di Cristo, in S. Luca, attraversa tutte le età, in addietro, da Giuseppe ad Adamo, e si getta in Dio. La nostra, in avanti, vi si raccorda.

D. Ma perché l’anima, o l’intelligenza non verrebbe al mondo per evoluzione, come ultimo stadio dell’evoluzione? Quando il legno è sufficientemente caldo, il ceppo s’infiamma.

R. Avresti ragione, se la fiamma e il ceppo di cui si tratta qui appartenessero, come nel tuo esempio, a uno stesso ordine di fatti. Scaldare un ceppo in un focolare, è semplicemente metterlo in un certo stato di vibrazione; se la vibrazione si accentua, è la fiamma; a un effetto di calore si unisce un effetto di luce; ma questi sono fenomeni dello stesso ordine, in continuità l’uno con l’altro, sullo stesso piano. All’opposto, il pensiero e la materialità sono d’un ordine opposto, esclusivi l’uno dell’altro.

D. Perché ciò?

R. Perché l’oggetto del pensiero è la natura delle cose, l’idea delle cose, la loro equazione interiore, se posso dire così, e l’equazione che i loro rapporti stabiliscono. Ora questo esorbita affatto da ogni materia e da ogni attributo materiale; questo non è più locale, temporale, individuale, come tutto ciò che spetta alla materia. Noi siamo qui al di sopra dell’evoluzione e delle sue varie realizzazioni, delle quali l’idea, in noi, ha il carattere  d’un piano intemporale, atto ad esser ripreso  quanto si vorrà, moltiplicato indefinitamente, e per conseguenza estraneo alla realtà che esso riflette.

D. Potresti darmi un esempio?

R. Lo prendo molto grosso; sarà più visibile. Due pomi si aggiungono a due pomi per farne quattro; io posso metterli in un paniere tutti e quattro; ma due e due fanno quattro, dove metterò io questo? dove questo si può collocare? in qual luogo, in qual tempo, in quali condizioni d’individualità che si possano prestare a una evoluzione materiale?

D. Non avviene lo stesso d’una sensazione animale?

R. Niente affatto. Una sensazione animale si evolve incessantemente; in ciascuno de’ suoi stati essa è insieme un punto di partenza e un termine, come tutto ciò che è movimento e tempo. Una sensazione ha per principio un’immagine, e un’immagine non è un’idea. L’immagine ha dei caratteri nettamente individualizzati, localizzati; essa è legata a una durata; trascorre; è estranea a quel potere di ripetizione e di reincarnazione indefinita che l’idea rivendica.

D. L’idea, all’origine, non è forse un’immagine, ma generalizzata per sovrapposizione d’immagini similari e per cancellamento dei loro contorni?

E. Tu perori bene; ma ciò non rende nessun conto dei fatti. L’immagine originale esiste; la sovrapposizione d’immagini anche, e ne risulta l’immagine generalizzata; osserviamo in noi tutto questo. Ma se vogliamo rifletterci, potremo anche osservare che nello schema così ottenuto noi vediamo tutt’altro che lo schema. L’idea d’un rapporto matematico, o d’una definizione, o d’una negazione, o l’idea di un’idea, quando il pensiero si ripiega su se stesso, tutto questo non ha nulla a che vedere con le immagini che sottendono il pensiero, ma non sono il pensiero. Lo schema immaginativo è caratterizzato da una generalità imprecisa, l’idea da una universalità precisa. Lo schema immaginativo è temporale e movente; segue il flusso del cervello; sotto un’idea identica, non è in due istanti il medesimo; ma l’idea si presenta come necessaria e intemporale, fosse pure l’idea d’un oggetto cangiante.

D. E che cosa pretendi di dedurre da questo?

R. Ecco. Gli esseri si caratterizzano per i loro poteri, i poteri per i loro atti, gli atti per i loro oggetti. Risalendo, si può determinare mediante il carattere degli oggetti quello degli atti, mediante quello degli atti, quello dei poteri, e mediante quello dei poteri quello degli esseri. L’idea non è forse d’un ordine a parte, estraneo al flusso materiale? lo stesso dunque avviene dell’ideazione, della facoltà d’ideazione, dell’anima. Tutto questo è necessariamente sopra la stessa linea, allo stesso livello, appartenente allo stesso ordine, allo stesso mondo, e questo mondo non è quello del flusso materiale. Se nel corso dei fatti di evoluzione, vi è inserzione d’una sola idea generale, io dico che l’evoluzione ha incontrato un’altra corrente, un altro ambiente, d’ordine spirituale; il mondo dello spirito lo ha toccato; una « virtù » è emanata dall’alto, che ha guarito la sua impotenza d’idealità, come Gesù guariva al contatto le malattie. In una parola, Dio è intervenuto, ha «infuso » un elemento nuovo. Ed è l’anima.

D. Lo sbocciare dell’anima sarebbe dunque un miracolo?

R. Non è un miracolo, perché primieramente questo non si vede e quindi non ha nulla di prodigioso; ma soprattutto perché questo appartiene al corso normale delle cose, tal quale Dio lo ha preveduto e preordinato. È cosa normale che, essendo un organismo stato preparato a ricevere un’anima, quest’anima vi si schiuda, e lo schiudersi non offrirà nulla di drammatico; e neppure di percettibile, salvo che per i suoi effetti. Tuttavia è un fatto interamente nuovo, un fatto il quale non ha luogo in virtù della sua sola preparazione, il quale, data la preparazione, ha luogo in ragione della perpetua presenza di Dio e della sua fedele provvidenza.

D. Così avviene, dicevi tu, di ciascun’anima individuale?

R. Sì. A questo riguardo l’umanità ricomincia in ciascuno di noi. Il ciclo delle preparazioni preadamiche, se è esistito, è ripreso in qualche modo dal ciclo generatore. La madre è la natura, che offre l’ambiente di schiudimento e le risorse nutritive; il semen è il fermento di vita la cui origine remota ci sfugge; lo sviluppo embrionale è l’evoluzione; il neonato, in cui una anima si schiude è come un nuovo Adamo, che alla sua volta darà principio a una discendenza.

D. Una tale dottrina deve avere vaste conseguenze.

R. Ha conseguenze immense, e in tutti gli ordini. Di lì viene, come vedremo, il nostro destino. L’anima, non appartenendo al ciclo della natura, non ne segue il corso, non vi riversa le sue energie proprie, ma fa ritorno al suo alto Principio, al quale anzi essa trascinerà, un giorno, come per diritto di conquista, il suo congiunto corporeo. Avendo così il suo fine individuale, e un fine trascendente al tempo, la persona umana ne diventerà sacra, esonerata dalla servitù completa che amerebbero d’imporle i padroni, di qualunque grado o di qualunque natura essi siano: padri autocrati, mariti oppressori, politici partigiani di uno statismo pagano, fautori o praticanti della schiavitù e de’ suoi derivati, etc., etc. Ciò si estende molto lontano e serve a risolvere una grande moltitudine di problemi. Il conflitto fra tante forze avverse che lottano nella nostra società moderna sovente prende di lì la sua origine.

D. Ritorno al caso della specie. Credi tu alla sua unità, cioè a uno stipite unico, a una coppia, donde sarebbero usciti tutti gli uomini e le varie razze d’uomini?

R. Sì; perché noi crediamo alla solidarietà morale dell’umanità intera; essa ci è attestata dai dogmi del peccato originale e della redenzione.

D. Per te, la solidarietà morale importa l’unità della specie?

R. Sì, perché, alla base, è fondata sull’eredità, come nelle famiglie. La morale ha sempre le sue radici profonde nella natura.

D. A quale data approssimativa potrebbe risalire la costituzione di questa coppia iniziale?

R. Non sappiamo.

D. Non cantate nel vostro cantico di Natale: Da quattromila anni...

R. Non si potrebbe affermare tutto quello che si canta. Vi son lì delle tracce di antichi stati di spirito che credevano di appoggiarsi sopra la Bibbia. Oggi è riconosciuto che a questo riguardo non vi è cronologia biblica.

D. Le vostre storie sono dunque false?

R. Le nostre storie non sono false; ma propriamente parlandonon sono storie, e affinché ogni falsità sia da esse eliminata, non è necessario che la serie dei tempi sia in esse registrata sotto una forma regolare e completa. Siffatta storia non ha neppure bisogno di essere esatta sotto l’aspetto propriamente scientifico, spesso assai estraneo a’ suoi autori; basta che essa sia esatta quanto al senso religioso dei fatti, il che non esige se non una storicità relativa, fatta di simboli reali, se posso dire così, intendo notazioni semplificate, a volte parabole, sacrificanti i particolari a vedute generali e sintetiche, percorrendo periodi interi, correndo alla meta, che è di segnare il senso della vita.

D. Ma qui quali supposizioni faresti?

R. Spetta alla scienza di rispondere. Pietro Termier, geologo eminente, membro dell’Accademia delle scienze e perfetto Cattolico, scrisse: « Nello stato attuale delle nostre cognizioni, non si può attribuire all’uomo meno di 35.000 anni di età; ed è possibile che la sua antichità reale raggiunga 40.000 o anche 50.000 anni ». (Anche le cognizioni di Termier non hanno basi biologiche, antropologiche, nè storiche – ndr. -)

D. E comprendi tu facilmente che l’evoluzione, ammessa or ora a titolo d’ipotesi, abbia così concentrato i suoi effetti sopra una sola coppia, invece di presentarli, qua e là, dispersi?

R. Noi crediamo a un intervento divino affatto speciale, alla culla della stirpe umana.

D. E come si manifestò questo intervento?

R. Per l’elezione della coppia iniziale capostipite dell’umanità futura e per il suo collocamento in uno stato di felicità affatto gratuita che si doveva disgraziatamente perdere. È quello che noi chiamiamo in teologia giustizia originale.

D. E in che consiste questo dono?

R. Nell’unione intima dell’essere umano col suo Dio, e, per conseguenza, in un’armonia interiore esclusiva di quella violenta propensione al male che domina l’umanità attuale, di quella cecità spirituale che l’ottenebra, di quella instabilità funzionale che produce la malattia e la morte.

D. La morte stessa, secondo te, doveva esser risparmiata al primo uomo?

R. Sì; perché la morte, per quanto naturale ci apparisca e sia nelle condizioni presenti, non di meno è, in un certo modo, innaturale. Per essa l’anima perde il suo corpo e si trova così in uno stato violento, per quanto felice sia la vita che vive da sola. Per questa ragione, noi troviamo naturale la risurrezione futura dei corpi, e naturale, all’inizio, l’immortalità dei corpi.

D. Ecco una cosa che urterà un sapiente.

R. Niente affatto se egli ci pensa. Osserverà che più di un fisiologista, attorno a sé, non dispera di vedere un giorno ritardare largamente la morte, se non di guarirla. Che cosa è la morte se non la caduta di un edificio lentamente minato da forze avverse, per mancanza di una coordinazione sufficientemente salda de’ suoi poteri interiori, cioè per mancanza di una dominazione reale dell’anima sopra il suo corpo?

D. Ma che cosa è che può rendere un’anima più potente sul suo corpo?

R. Per una parte la sua propria rettitudine; ma soprattutto, e per il fatto stesso della sua rettitudine, se la si suppone perfetta, la sua stretta unione con Dio, come ora l’ho espressa e come mi ci estenderò di più parlando della redenzione e della grazia. Quanto meglio io sono unito alla Sorgente di ogni forza, di ogni luce, di ogni armonia vitale, tanto maggiori ricchezze ricevo in me e tanto più le posso comunicare al mio ambiente congiunto, che è il mio corpo, anzi, al di là, all’ambiente esterno in cui si esercita la mia azione.

D. Era dunque la natura stessa che ne doveva sentire l’influsso?

R. Sì certamente. Noi crediamo a una specie di « giustizia» delle cose risultante dalla « giustizia originale » dell’umanità.

D. Puoi tu precisare?

R. Noi non possiamo precisare. S’impara a ritrovare il nostro Eden perduto, non a descriverlo.

D. Dunque lo ritroveremo?

R. Lo ritroveremo. Non ora, e ne dirò i motivi; ma il pieno ricupero temporale non è di grande importanza; solo l’eterno conta.

D. Come l’abbiamo perduto?

R. È un nuovo mistero, sul quale dovremo spiegarci con qualche ampiezza.

D. Prima di abbandonare l’idea di creazione, vorrei chiederti se tutto ciò che Dio ha creato costituisce a’ tuoi occhi un solo mondo?

R. Sì, se tu prendi queste parole in tutto il loro rigore. Un mondo può essere un sistema a parte, come il sistema solare; uno sciame di sistemi, come la via lattea o la nebulosa di Orione; la «goccia d’etere », cioè l’insieme delle realtà accessibili alla nostra esperienza. Ma se per mondo intendi l’universalità assoluta delle creature, noi pretendiamo che non vi sia che un solo mondo.

D. Perché non ce ne sarebbero parecchi? Limiti la potenza di Dio?

R. Non limitiamo la potenza di Dio, ma la potenza di Dio è anche sapienza, e la sapienza creatrice non ci pare compatibile con una pluralità assoluta di opere, perché non è punto compatibile con una pluralità assoluta di fini.

D. Qual fine attribuisci tu alla causalità creatrice?

R. La manifestazione del bene divino.

D. Ma questa manifestazione non si acconcia forse alla pluralità?

R. Sì certamente; ma a una pluralità ordinata; perché la pluralità, per se stessa, non ha alcun valore; il valore non si acquista se non con l’ordine.

D. Due universi non varrebbero dunque più di uno?

R. Due universi valgono più di uno se hanno una unità sintetica, se si completano, se i fatti dell’uno vengono in soccorso dell’altro per esprimere con maggiore pienezza il bene divino. Ma allora, dal punto di vista assoluto del termine, essi non formano che un solo universo. Se l’uno non aggiungesse niente all’altro, se fossero identici, la loro moltiplicazione perderebbe ogni ragione di essere e ripugnerebbe a servire da fine.

D. Un universo è dunque, per te, essenzialmente un ordine?

R. È quello che esprime la parola cosmo, che significa a un tempo ordine, ornamento e universo.

D. E ciò solo è un bene?

‘R. Ciò non solo è un bene; ma il miglior bene; è il bene prima di tutto voluto dal Creatore e del quale Egli applaude l’effettuazione nel Genesi, quando dice di ciascuna cosa in particolare che essa è buona, e di tutte collettivamente che sono molto buone. Tutte le cose sono buone come riflesso isolato del loro principio; tutte le cose sono molto buone come adatte l’una all’altra e al loro Principio, al quale rendono una comune testimonianza.

D. E questa comunanza, a tuoi occhi s’impone?

R. Sì; perché Dio, in ciò che lo riguarda, non può volere se non il miglior bene, che è l’ordine, si tratti dell’ordine interno di ciascuna cosa o dell’ordine del loro insieme. Riguardo alla sua creazione integrale, quello che Dio vuole anzitutto, non è questa o quella creatura, il cui valore limitato non si sostiene da sé e prende da tutto ciò che la circonda; ma sì l’armonia de’ suoi esseri, il cui insieme effettua la dose di perfezione e di bene che Egli ha deciso di produrre fuori di sé.

D. Questa legge si trova nelle nostre proprie creazioni?

R. Senza dubbio. Quello che vuole l’artista, non è questo o quell’elemento dell’opera sua, ma l’opera. Ciò che richiede un saggio governo, non è il successo di questa o quell’impresa particolare, ma il bene pubblico.

D. Ad ogni modo, il legame che tu supponi così tra gli universi non pare dover essere necessariamente d’un ordine fisico, anche in ciò che riguarda le creature fisiche.

R. È vero. Forse questo legame non è fisico di fatto, e forse non lo è neppure in ciò che riguarda le creazioni materiali. Rigorosamente parlando è possibile, che vi siano degli universi tagliati fuori d’ogni comunicazione con noi. Ma in ragione di ciò che ora ho spiegato, non sarà meno vero il dire con S. Tommaso d’Aquino: « Tutte le cose che vengono da Dio hanno un rapporto le une con le altre e un rapporto con Dio… È dunque necessario che tutte appartengano a un solo mondo ».

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.