LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

a) La Creazione stessa.

D. Perché chiami la creazione un mistero?

R. Perché Dio è un mistero, e benché non si tratti qui delle sue intimità, come nel mistero in senso proprio, tuttavia per noi, l’oscurità è grande altrettanto. Per capire la creazione, punto di sutura tra Dio e il mondo, bisognerebbe poter comprendere e il mondo e Dio.

D. Il mondo è dunque tratto da Dio?

R. Così dev’essere, in una certa maniera. Come quest’indigente si sarebbe arricchito d’essere, se non per un prestito dall’Essere perfetto?

D. Sei dunque partigiano delle emanazioni?

R. S. Tommaso usa questa parola, ma non nel senso degli emanatisti. Costoro fanno dell’universo, materiale e spirituale, una derivazione, un irradiamento necessario del primo Principio; la loro concezione è panteistica e più o meno trascina Dio nel divenire, distruggendo la sua trascendenza. Per il pensiero giudeo-cristiano, Dio è la causa del mondo e il mondo partecipa di Dio; ma l’essere del mondo non esce dall’essere di Dio; non ne è punto una parte; contuttociò non si addiziona con esso, e lì appunto sta il mistero.

D. Dio e il mondo non sono più che Dio solo?

R. No, nello stesso modo che, in matematica, l’infinito più un numero qualunque è uguale all’infinito. Del resto abbiamo già toccato questo problema e ne abbiamo riconosciuto la necessaria oscurità.

D. Non dici forse che il mondo fu tratto dal nulla?

R. È un modo di parlare. Il niente, non essendo niente, non se ne può trarre niente, né come si trae un’opera d’arte da una materia, né come si trae un oggetto dal vaso in cui era contenuto.

D. Forse vuoi dire che il niente è qui un punto di partenza?

R. È ben questo che si vuole dire; ma non è ancora se non un modo di parlare; perché il niente non può essere un punto di partenza più che un recipiente o una materia: il niente è niente e non potrebbe avere alcun compito positivo. Quando si menziona il termine, bisogna intenderlo negativamente, e ciò vuol dire che la creazione non presuppone nessuna materia, nessun punto di partenza, nessun antecedente qualsisia; essa dà tutto, e non vi sono materie, punti di partenza, antecedenti, se non dopo di essa; voglio dire in ragione di essa; perché dopo o prima della creazione, questo non ha senso.

D. La creazione non ha avuto luogo in un dato momento?

R. Dove si prenderebbe questo momento, poiché i momenti stessi hanno bisogno di essere creati? Il tempo non è un figlio di Dio come tutto il resto, un attributo delle cose, dunque anche una cosa?

D. Ma allora la creazione ha luogo eternamente!

R. La creazione, se si vuol significarla come azione, è di fatto un’azione eterna; è un’azione di Dio, e l’azione di Dio è Dio. Se Dio è immutabile ed eterno, la creazione presa dal suo lato, dev’essere tale; se non che l’effetto, che è il mondo, è temporale. Il tempo è posteriore alla creazione, come uno de’ suoi risultati; non può dunque fornirle il suo momento. Per la creazione, tutto si radica nell’eternità, anche la nostra durata effimera.

D. Ecco una cosa assai oscura!

R. Ti ho già detto che la creazione è un mistero.

D. Che cosa è, finalmente, in se stessa?

R. Presa attivamente, se si vuole, è come l’irradiamento d’un Centro ineffabile, in cui il tempo e gli oggetti del tempo prendono la loro origine. Passivamente è la connessione del raggio al suo focolare, cioè la sospensione del temporale all’eterno, la sua dipendenza totale; è dunque una pura relazione; ma questa relazione forma il nostro essere. Per noi, essere, o dipendere da Dio, o prendere da Dio, è la stessa cosa.

D. Ma se Dio «irradia» così nel mondo, tu ritorni alle emanazioni.

R. Ti ho avvertito che noi ci esprimiamo come possiamo. Ci rappresentiamo così le cose, perché la nostra mente, abituata alle relazioni reciproche, concepisce che vi è irradiamento dovunque vi è il raggio. Ma in realtà, qui, il raggio non discende, ma sale. Da Dio a noi le relazioni non sono reciproche; noi dipendiamo, ma Egli non dipende affatto, ciò che avrebbe luogo se Egli «irradiasse » in modo da comunicarci qualche cosa. Perché chi tocca è anche toccato; chi agisce nel senso umano del termine riceve anche un’azione; non vi è azione senza reazione, e quando io appoggio la mano sulla tavola, anche la tavola preme sopra di me.

D. Allora?

R. Allora, finalmente, rimovendo ogni immagine e ogni concessione al discorso, bisogna dire che la creazione è la dipendenza del mondo relativamente a Dio; essa non è altro.

D. Raccolgo le tue parole e dico: Il mondo è eterno.

R. Perché ciò?

D. Perché, secondo te, la creazione è una relazione del mondo riguardo a Dio che è eterno; perché, presa attivamente, la creazione è azione di Dio, vale a dire è Dio, che è eterno; perché, non essendovi « momento » per collocare l’azione creatrice, e la creazione-relazione non toccando alcun momento piuttosto che un altro, non si vede posto per un cominciamento del mondo, il che è veramente essere eterno.

R. Tutto ciò non ne segue in alcun modo. Che per la creazione il mondo dipenda da un Dio eterno, ciò non rende il mondo eterno come il dipendere da un uomo bianco non rende un oggetto bianco; la dipendenza del mondo essendo totale, dipende anche la sua durata, ed essa sarà quello che Dio vuole che essa sia. Presa attivamente, la creazione è Dio stesso, ma Dio operante per la sua volontà, non per una necessità della sua natura (il che sarebbe un ritornare al sistema delle emanazioni): la durata del mondo sarà dunque misurata dalla volontà di Dio, non misurata alla natura di Dio, all’eternità di Dio. Finalmente, non vi è momento estraneo al mondo, che possa servire a creare il mondo; ma vi sono momenti nel mondo, e vi può essere un primo momento del mondo. In altri termini, la creazione in se stessa è intemporale, ma tale non è il suo effetto. Il mondo dura. Quanto dura? la sua durata è finita in avanti, finita in addietro, infinita in avanti, infinita in addietro, ciò dipende dalla pura e semplice volontà di Dio.

D. E allora nulla impedisce di dirlo eterno.

R. Difatti nulla lo impedisce, stando però nei limiti del ragionamento; ma poiché ciò dipende dalla volontà di Dio, è naturale riferirsene a Dio, ed è quello che fanno i Cristiani, ammaestrati dai loro sacri testi. Nulla, per noi, è sempre esistito. Ma del rimanente, e bisogna notarlo bene, essere sempre esistito non vorrebbe dire, per il mondo, essere eterno nel senso proprio, essere eterno come Dio. L’eternità di Dio è un’immobilità, un’indivisibilità, una semplicità; la corsa infinita del tempo sarebbe una moltiplicità inesauribile. Una tale durata sarebbe, in certo modo, più lontana ancora dalla durata eterna che una corsa che incomincia. Se si volesse rappresentare con un’immagine quantitativa l’eternità e il tempo infinito, questo sarebbe figurato da una linea senza termine, l’eternità da un punto.

D. Mistero!

R. Mistero.

b) Gli Angeli e i Demonii.

D. Quali sono, per ordine, gli esseri che godono il benefizio della creazione?

R. Gli Angeli, che noi crediamo aver preceduto la creazione materiale; la creazione stessa materiale; l’uomo, e, se esistono, gli esseri ragionevoli che abitano negli altri mondi.

D. Credi tu veramente a questi esseri che non si vedono? non è un’illusione, un inganno?

R. L’uomo ingannato — ingannato da’ suoi sensi — è colui che non crede se non a quello che si vede.

D. Perché questo mondo supererogatorio, questa creazione di esseri supplementare?

R. Tu trovi cosa naturale che Shakespeare abbia creato Ariel, che è al di sopra dell’uomo, e Caliban, che è al di sotto; e ricusi a Dio di creare dei gradi tra lui e la carne terrestre?

D. I poeti hanno tutti i diritti.

R. Se i poeti sono poeti, è perché prima Dio fu poeta. Del resto l’antichità filosofica credette agli Angeli quanto l’antichità istintiva. Aristotile e Platone li fanno intervenire in cosmologia, Socrate in morale; gli Angeli custodi figurano in Esiodo e la caduta dei cattivi angeli in Empedocle.

D. Quello che mi stupisce è la tua concezione dello spirito puro.

E. Lo spirito puro è un intermedio affatto naturale tra il Super-Spirito e gli spiriti intenebrati di materia, quei « mostri » nel senso pascaliano, che hanno l’aria di appartenere a due mondi,

D. Tu evochi così la Scala degli esseri?

R. Questa antica nozione rischiarava molti problemi. Si poté dimenticarla; ma la sua attualità reale non è indebolita. Le specie di esseri sono manifestamente disposte a gradi secondo un ordine di valore crescente o di valore decrescente, secondo il punto di vista da cui si considerano. Il minerale, l’essere vegetale, l’essere sensitivo, l’essere pensante si dispongono a gradi e s’appoggiano l’un l’altro. In noi lo spirito si schiude appena; è attivo durante un periodo assai ridotto della vita; durante questo periodo, è intorpidito una buona metà del tempo; impigliato, sempre, nelle insidie dell’immaginazione; sfuggente a se stesso perfino nel suo migliore funzionamento, che non pochi errori sviano. Come credere che tutto si fermi qui, e che lo spirito non abbia se non questi magri trionfi!

D. Non è già assai bello che la materia si desti allo spirito?

R. È così bello che essa non vi si potrebbe destare affatto da sola, come diremo presto. Ma se ne giudica così guardando dal basso, ciò che è l’atteggiamento del panteismo evoluzionista. Guarda dall’alto, come un figliuolo di Dio; prendi l’occhio del Padre supremo, e vedrai, da Lui a noi, un immenso posto vuoto. La creazione saliente si ferma tronca, « lo Spirito artefice che fece il mondo », come dice Bossuet, non s’è veramente rappresentato.

D. Non dici l’uomo «a immagine di Dio »?

E. Sì, ma è principalmente per opposizione a tutto il resto di ciò che si vede, e ciò che si vede, sia pure l’uomo, non è a immagine di Dio come spirito. Noi non siamo spiriti, come un ossido non è ossigeno o un cloruro non è cloro; noi siamo dei misti. La nostra natura è una natura limitrofa. La nostra intelligenza, anziché parlare, balbetta; il discorso che le è naturale è un tragitto titubante, come un camminare puerile. Il procedimento naturale dello spirito sarebbe l’intuizione, cioè la visione dell’idea come abbiamo per gli occhi la visione dei corpi, e questo, noi non facciamo altro che presagirlo e tendervi, senza raggiungerlo. Dov’è dunque lo spirito vero, lo spirito tutto Spirito, lo spirito che funziona secondo la legge dello spirito, senza nebbia di materia? Questo grado di essere e di valore dovrebbe mancare alla creazione? Un uomo che crede in Dio non lo potrebbe veramente ammettere. Dio spirito dovette rivelarsi prima di tutto per via dello spirito, e non ridursi a una degradazione dello spirito, a una concrezione di spirito. Dopo tutto, lo stato normale dell’essere è appunto lo spirito, benché noi, esseri inferiori, non concepiamo l’essere che come corpo o sotto gli auspici del corpo.

D. Come spieghi che vi possano essere degli esseri di cui non abbiamo nessuna idea?

E. Ti risponde Pascal: « L’anima nostra è gettata nel corpo, dove trova tempo, numero, dimensioni; essa ragiona lì sopra e chiama questo natura, necessità, e non può credere ad altro ». E ancora: « L’assuefazione è la nostra natura… Chi dunque dubita che, essendo l’anima nostra abituata a vedere numero, spazio, movimento, creda questo e nient’altro che questo? ».

D. Tu dicevi sopra che la natura stessa è spirito.

R. La natura è spirito in questo senso che l’importante, in sè, sono le idee che vengono alla luce, le sue invenzioni, anziché le sue opere materiali, di cui si vede che essa fa così poco conto. Ma le idee della natura sono fugaci; passano incessantemente e corrono dietro all’esistenza, senza fissarvisi; è come un gioco di folgori, un fuoco artificiale. Io cerco il mondo dell’idea stabile, il mondo di Platone senza le illusioni di Platone; il mondo che non sia l’inutile duplicato di questo, ma un altro, uno più alto, uno più perfetto, più prossimo alla Sorgente ideale. E, come filosofo, sono tutto sollevato, quando la Chiesa mi dice: Ecco il tuo mondo: un nuovo ripiano partendo dall’uomo, invece di terminare a lui; dei gradini di spirito in spirito, fino al supremo Spirito, come tu hai dei gradini di corpo in corpo, fino al corpo animato da spirito; ecco le mie celesti « gerarchie »; ecco i « cori » degli Angeli.

D. Dunque i tuoi Angeli non sono tutti della stessa natura, non sono dunque uguali?

È. Sono uguali e della stessa natura negativamente, cioè sono tutti esenti da materia, tutti puri spiriti. Ma positivamente, non ce ne sono due della stessa natura, non ce ne sono due uguali; perché, non differendo che secondo lo spirito, rappresentano ciascuno, necessariamente, un’idea di natura differente, e un’idea, come tale, non si ripete. Si può effettuare due volte l’idea d’uomo; ma non si può effettuare due volte Socrate, e se tutto ciò che vi è in Socrate fosse contenuto nell’idea d’uomo, l’idea dell’uomo non si ripeterebbe neppur essa. Tal è il caso degli Angeli.

D. Li credi numerosissimi?

E. L’Apocalisse ne parla come di miriadi di miriadi. E non è forse naturale che la loro varietà oltrepassi di molto, nei loro gradi, la scala vivente e la scala chimica, se è vero che essi, per i primi, posseggono il diritto dell’essere, che rappresentano la creazione, che sono l’opera di Dio? Così ragiona S. Tommaso, e l’osservazione è giusta.

D. Gli Angeli hanno relazione con noi?

E. Tutti i gradi dell’essere comunicano; i regni si compenetrano e si rendono servizi scambievoli. Gli Angeli collocati tra noi e Dio, sono come gli ambasciatori di Dio, i suoi inviati, come indica la parola angelo. Sono anche i nostri, per l’incarico che si prendono delle nostre preghiere e dei nostri voti. Lo stato in cui si trovano relativamente a noi crea in essi un movimento inverso del nostro. Noi cerchiamo quello che non possediamo; i nostri sguardi vanno dal basso all’alto, verso le regioni superne. Essi, che posseggono, tendono a comunicare con benevolenza quello che posseggono a quelli che vi tendono ancora e potrebbero sbagliarne la via.

D. Ve ne sono tuttavia dei cattivi?

R. Tutti furono creati buoni; ma crediamo di fatto che ce ne sono dei decaduti, cioè di quelli che rigettarono il bene e scelsero il male, nella inevitabile opzione proposta dalla Provvidenza a ogni essere libero.

D. È questa una ragione perché essi nuocciano?

E. È naturale che un essere ancorato nel male volga a male la sua stessa perfezione; caduto, egli ama che si cada; grande nondimeno, egli è propenso a trascinare dei più deboli, e si fa loro tentatore.

D. Una tale credenza non è oggi un po’ scaduta?

R. Di’ piuttosto che è ignorata. I veri Cristiani sanno che essa è attuale più che mai; i Santi l’appoggiano sopra la loro esperienza; in quanto agli spiriti forti, si ridono del diavolo e lo servono a gara.

D. Com’è possibile servirlo senza credervi?

R. «Mentre non si può servire Dio se non credendo in Lui, il diavolo, da parte sua, non ha bisogno che si creda in lui per servirlo. Anzi, non si serve mai così bene come gnorandolo » (ANDREA GIDE).

D. Come può agire sopra di noi?

R. Non ha che da entrare nella corrente delle nostre proprie inclinazioni, nel sorriso delle cose che ci seducono; non ha che da premere sopra ciò che si piega, da impedire ciò che sale. La sua influenza si spande come un gas deleterio che si assorbe senza sentirlo.

D. Non si ha dunque coscienza di quest’azione?

R. No; perché essa passa per l’intermedio dei nostri propri poteri, in certo modo vi si confonde e non si presta punto da parte nostra a una sicura dissociazione.

D. Lo stesso avviene indubbiamente delle felici influenze.

R. Certamente; ma piamente si attribuisce loro un compito nei lumi subitanei, nelle consolazioni insperate, negli stimoli virtuosi, nelle diffidenze istintive che ci avvertono di un pericolo, nelle vedute superiori che si presentano a noi per giudicare di questo mondo e dell’altro, ecc. Senza che si possa precisare, è certo che non tutte le nostre impressioni segrete vengono dall’ambiente umano o dal lavoro spontaneo dello spirito.

D. Noi siamo dunque circondati da esseri invisibili?

R. La nostra vita è in pieno cielo. Se i nostri occhi s’aprissero, voglio dire che se avessimo quell’intuizione della mente che ci manca, noi saremmo come Giacobbe rinvenuto dal suo misterioso sonno; anche noi vedremmo delle moltitudini salire e scendere la scala simbolica, e percepiremmo, coi gradi dell’essere, gli scambi di attività che riallacciano tutto.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.