LO SCUDO DELLA FEDE (165)

A. D. SERTILLANGES O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (I)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. –

Torino 1944]

INTRODUZIONE

Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo..,

D. Che fai?

R. Segno l’opera mia. Un catechismo è un libro religioso.

— Un segno di croce di solito inaugura una preghiera, e tu parli a increduli.

— La preghiera che io intendo di suggerire è una preghiera universale; chiunque appartenga all’umanità la può intendere.

Il Pater di Cristo.

Padre nostro che sei ne’ cieli, sia santificato il tuo nome: venga il tuo regno: sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dà a noi oggi il nostro pane quotidiano; e rimetti a noi è nostri debiti, comye noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Così sia.

— Io non potrei ancora pregare così.

— Allora di’ quest’altra preghiera:

Il Pater dell’Incredulo.

Padre nostro, se tu esisti, io oso rivolgermi a te. Se tu esisti, il tuo Nome è santo: sia santificato. Se tu esisti, il tuo regno è l’ordine, e anche il suo splendore: venga il tuo regno. Se tu esisti, la tua volontà è la legge dei mondi e la legge delle anime: la tua volontà sia fatta in noi tutti e in tutte le cose, in terra come in cielo. Dà a noi, se esisti, il nostro pane d’ogni giorno, il pane di verità, il pane della sapienza, il pane della gioia, il pane soprassostanziale che si promette a chi lo può riconoscere. Se tu esisti, io ho dei grandi debiti verso di te: degnati di rimettere i miei debiti, come io stesso li rimetto volentieri a’ miei debitori. Per l’avvenire, non mi abbandonare alla tentazione, ma liberami da ogni male.

D. Bene; ma ho io veramente il diritto di esprimermi in tal modo?

R. Anzi ne hai il dovere. È possibile dubitare; ma quale anima sincera, che vada a fondo di se stessa, può negare Dio con la certezza della propria negazione? La preghiera condizionale è dunque un obbligo, nello stesso tempo che una utile domanda.

LIBRO PRIMO

I PRELIMINARI DELLA FEDE

I. — Dio.

D. Sono io obbligato a far ricerche intorno all’esistenza di Dio?

R. Rifletti a questo: Se Dio esiste, Egli è tutto; se Dio esiste, tu gli devi tutto; se Dio esiste, tu da Lui devi attendere tutto. Concludi.

D. Ma come sì propone il problema di Dio?

R. Noi siamo posti, con una intelligenza, di fronte all’universo, di fronte alla vita, di fronte a noi stessi: noi non possiamo trattenerci dal cercare di intendere, per vivere, e domandiamo al reale le sue carte.

D. Il reale presenta ben altri enigmi.

R. Enigmi parziali, sì; ma, nel suo tutto, anche la realtà universale è un enigma, e appunto a questo risponde l’affermazione di Dio.

D. Neghi tu che la scienza spiega il mondo?

E. La scienza spiega il mondo a modo suo; ma questa spiegazione non è completa, non è totale.

D. Perché non sarebbe completa?

E. Perché le spiegazioni scientifiche, per necessità di metodo, sono tolte dall’esperienza, e allora il voler considerare la spiegazione come completa per mezzo della scienza, sarebbe un volere spiegare il mondo non servendosi che di esso. Ora non si spiega lo stesso per lo stesso.

D. I fenomeni della natura hanno cause che la scienza riesce a spiegare.

R. Sì; ma queste cause hanno le stesse deficienze che i loro effetti; sono esse stesse effetti e domandano altre cause. Rispetto a una spiegazione vera, non si è dunque fatto un passo avanti; la causa e l’effetto si confondono in una comune indigenza. Di tutte le spiegazioni che la scienza elabora si può dire che sono altrettante questioni. Solo al di là si può trovare la spiegazione sufficiente, il cui nome proprio è Dio.

D. Ma la risposta Dio non offre essa stessa le sue oscurità?

R. Sì, offre quella specie di oscurità che si chiama mistero.  Ma questa oscurità è normale, nei riguardi d’una mente limitata. Quello che non è normale è un preteso sistema di spiegazioni che, invece di fermare la mente e di chiudere il suo lavoro, fosse pure nel mistero, la trascina sempre più lontano e, tutto considerato, la inganna, poiché, relativamente al vero problema, il problema universale, essa non si trova in una migliore condizione, e così non si avanza affatto.

D. Resta però qualche paradosso a volere spiegare il chiaro per l’oscuro.

R. Non che essere un paradosso, è una necessità del problema. Se la causa universale fosse per noi chiara come sono i fatti della nostra esperienza, essa stessa formerebbe parte della nostra esperienza, e non potrebbe servire a spiegarcelo. Il mistero di Dio si fa accettare dalla mente appunto perché  oltrepassa la mente e tutto ciò che si misura alla stregua della mente. Senza ciò la mente si sentirebbe obbligata a procedere più avanti nelle sue indagini, e il supremo anello delle cause non sarebbe raggiunto.

D. Insomma, a te preme di spiegare il giorno per la notte.

R. Non diciamo la notte, perché Dio è luce di un’altra specie; ma questa luce unica è inaccessibile ai nostri sguardi mortali, e appunto per questo la si può chiamare una notte. Comprendi che se vuoi spiegare la luce, la nostra, quella di cui si nutrono i nostri occhi o la nostra mente, bisogna che tu arrivi a qualche cosa che non sia luce; finché tu resti nella luce, la luce non ha spiegazione.

D. Ciononostante mi ripugna aumentare la dose del mistero.

R. Non è un aumentare la dose del mistero il concentrarlo in un punto dov’esso è al suo posto, per cacciarlo dagli altri luoghi dove urta la mente.

D. Io ne aumento la dose supponendo Dio; perché Dio è un mistero più grande della composizione dei corpi e delle origini della vita.

R. Qui il mistero si rende accettevole appunto portandolo al suo massimo; se non fosse assoluto, esso sarebbe vano; perché  un misto di luce percettibile ai nostri sguardi, in Dio, rigetterebbe Dio per una parte nel mondo della nostra esperienza, e questo preteso Dio avrebbe dunque lui stesso bisogno d’una spiegazione. La verità intorno a Dio è una verità che cessa di essere verità quando le si toglie il suo velo. Concepire Dio sarebbe in qualche modo fabbricarlo con la mente, e se Dio è, è lui il Fabbricatore della mente. Concepire Dio sarebbe non averlo trovato.

D. Così tu ammetti quello che dicono molti pensatori e che i Cristiani sembrano respingere, cioè che Dio è inconoscibile.

R. Bisogna qui distinguere diligentemente. Dio è pienamente inconoscibile per la scienza, nel senso attuale di questo termine; Egli è a un tempo conoscibile e inconoscibile per la filosofia; è eminentemente conoscibile per l’intuizione, supponendo che le condizioni di questa intuizione trascendente un giorno si verifichino.

D. Vuoi tu spiegarti distintamente?

R. Dio è inconoscibile scientificamente, perché le leggi tratte dai fenomeni non possono oltrepassare il mondo dei fenomeni. Una dimostrazione scientifica dell’esistenza di Dio, nel senso moderno della parola, è una impossibilità, e a più forte ragione uno studio de’ suoi attributi. La scienza non ha per questo né principii né metodo; essa non conosce che fatti e collegamenti di fatti; può classificare, spiegare e prevedere questo dominio; ma le cause prime non la riguardano affatto, appunto perché sono prime, cioè anteriori a tutto il suo lavoro.

D. Ma la filosofia?

R. Per essa, Dio è a un tempo conoscibile e inconoscibile. Ed è quanto dire che si può dimostrare razionalmente che Dio è; perché la ragione oltrepassa i fenomeni e domanda loro delle ragioni; essa procede dagli effetti alle cause, e di causa in causa, là dov’esse si dispongono a scala, la ragione può giungere a una causa prima, o se si vuole a una supercausa. Ma il carattere stesso di questa causa, perché possa fare la parte che le si attribuisce, è di essere infinita e per conseguenza inaccessibile in se stessa. La nomineremo, ma dal creato; la caratterizzeremo, ma con caratteri che non serviranno se non per il nostro modo di concepire, i quali in Dio stesso andranno a risolversi nell’Uno ineffabile, nella suprema indistinzione del Perfetto.

D. Tu parlavi d’intuizione.

R. Sì; l’intuizione ha già i suoi accessi presso Dio in rari individui e in rare occasioni di questo mondo, e più tardi la ritroveremo in tutti gli eletti, perché essa sfugge al funzionamento zoppicante della ragione ragionante, alla sua necessità di ridurre tutto in concetti e in proposizioni, non conoscendo così se non come «in uno specchio », «in enigmi », al contatto delle immagini interiori, invece di afferrare l’oggetto con una presa immediata e con una sintesi di vita. Dio è in se stesso eminentemente conoscibile, essendo tutto idea e spirito. La questione è di essere al suo livello. Vi ci mette Egli stesso se così vuole. Noi crediamo che Egli vi ci mette mediante il soprannaturale, mediante la grazia e la gloria; vi ci solleviamo remotamente con lo sforzo titubante del pensiero filosofico; non vi ci troviamo più affatto al piano della scienza. Di qui contesa fra coloro che rifiutano di distinguere i piani; accordo nella diversità per gli altri.

D. Il fatto è che Egli per noi, quaggiù, è inconoscibile in se stesso; e allora perché studiarlo?

R. Difatti, Dio è per noi, quaggiù, inconoscibile in se stesso. ,Nessun concetto è abbastanza largo per questa sostanza illimitata. Lui solo può definire se stesso; Lui solo può dire se stesso con una parola viva, che è il suo Verbo; Lui solo, come espressione, è uguale a se stesso come fatto. Tuttavia l’indagine intorno a Lui è sempre aperta; le sue opere ce lo rivelano con le loro analogie e coi loro simboli, e quanto più la mente vi si avanza, tanto più si arricchisce. Lo studio di Dio è una navigazione in un mare fastoso, e splendido, e salutare.

D. Ammetto un arricchimento occasionale; la storia dello spirito umano ne fa testimonianza; ma è tuoi modi di pensare Dio e di parlare di Dio non sono in opposizione con quello che tu stesso hai detto del mistero di Dio?

R. Bisogna ben che gli uomini « esprimano come possono quello che non possono esprimere abbastanza come Egli è ». (BOSSUET).

D. A che servono queste espressioni?

R. A vivere di Dio per lo spirito, dovendo viverne moralmente, a fine di raggiungerlo un giorno.

D. Non temi la puerilità?

R. Puerilità, forse, ma allora in un senso nobilissimo e dolcissimo. L’idea di Dio incoraggia la mente con la sua stessa grandezza, che è al di sopra della grandezza. Se Dio fosse solamente grande, sarebbe grande a tal segno che noi non ne potremmo più dire niente; ma, poiché Egli oltrepassa infinitamente ogni grandezza e l’uguaglia alla piccolezza, Egli ridiventa familiare, e noi ne parliamo con la libertà dei bambini a riguardo di tutti.

D. Non ti pare che l’idea di Dio, concepita come la spiegazione delle cose, non sia che un’anticipazione, preludio della scienza?

R. In ciò che dici vi è del vero; ma vi è soprattutto del falso, ed ecco, io credo, come si fa la spartizione. Al principio, non avendo nessuna spiegazione immediata dei fenomeni e ubbidendo a quel senso dell’assoluto che è un fatto umano, per rendersi conto di ciò che si vede, si ricorre all’unica causa prima. Dio sostituisce l’esperienza, la scienza, la metafisica delle cause, la morale. A tutto, si risponde: Dio! e si trascurano le altre risposte. Poi, credendo di trovare e trovando di fatto delle spiegazioni, si rinnegano le credenze primitive; la scienza si laicizza, e i sapienti orgogliosi scivolano nell’ateismo, nell’agnosticismo, o sembrano ad ogni modo prestare argomenti alle negazioni di una folla ignorante o semidotta. Finalmente, rendendosi conto del carattere relativo delle spiegazioni della scienza, degli acquisti dell’esperienza e dei dati della metafisica, generale se la si vuota del primo Principio, si ritrova al di là il mistero, e, con esso, il « Dio nascosto ».

D. Ma, d’altra parte, e generalizzando, Dio non sarebbe semplicemente l’accumulamento semplificato dei nostri sogni, la «categoria dell’ideale », come dice Renan?

R. Dio è questo; difatti noi lo concepiamo, rispetto alla natura, come la Causa; rispetto alla ragione, come la Verità; rispetto alla volontà, come il Bene; rispetto al cuore, come il Padre; rispetto alla ricerca universale, come la Felicità; il tutto con delle lettere maiuscole, cioè come categoria dell’ideale, poiché in ogni cosa Egli è il Perfetto. Ma Dio non può essere il Perfetto e l’Ideale se non a patto di essere reale; infatti che cosa è una perfezione senza esistenza? Io oserò dire: è a forza di idealità che Dio è reale, ed è a forza di realtà che egli è ideale.

D. Non vi è qui del paradosso?

R. Niente affatto. L’ideale è la più reale delle cose, o non è l’ideale; parimenti il reale è la più ideale delle cose, sotto pena di essere imperfetto, cioè semireale. Il proporci, noi stessi, un ideale, non è forse un dare a noi stessi qualche cosa da realizzare? Il proporci un ideale perfetto e ottenerlo sarebbe un porre Dio. Ma Dio è, senza del quale nessun ideale parziale sarebbe concepibile, non essendo mai altro che un imprestito, un frammento di blocco del quale cerchiamo le origini e le fasi. La natura ci conduce più lontano di se stessa; la natura non è se non l’immagine movente di un eterno Pensiero; vi è una chiamata essenziale dell’imperfetto al Perfetto, degli esseri all’Essere.

D. Se Dio è reale, e se è Realtà perfetta, l’Essere, come dici tu, Dio non si confonde forse con l’universo, col Tutto?

R. Tu ci dai così la formula del panteismo, e bisogna confessare che il panteismo è seducente.

D. Donde viene secondo te questa seduzione?

R. Dall’abbagliamento dell’infinito. Da ciò proviene questa poesia da cui molti si lasciano prendere, e questa metafisica profonda benché fallace. Il filosofo cristiano, moralmente annientato davanti all’infinito, non si lascia abbagliare, Egli serba, del panteismo, tutta la poesia e tutto ciò che vi è di positivo nella sua filosofia; e ne è assicurato in grazia del suo concetto dell’intima presenza di Dio in tutte le cose, della vita in Dio di tutte le cose, ma senza pregiudizio dell’essere proprio e dell’attività di ciascuna cosa, che, sprofondandosi in Dio, suo Principio, trova se stessa e si conforta, invece di abolirsi.

D. Non hai risposto alla mia obiezione: se Dio è la Realtà perfetta, egli è il Tutto, e coincide così con l’universo.

R. Dio è il tutto, in questo senso che tutto l’essere gli appartiene, tutto l’essere è in lui, tutto l’essere è di lui, « Egli è ogni essere eminentemente e virtualmente » (S. Tommaso

D’AQUINO); è «il Tesoro dell’essere » (idem). Ma appunto per questa ragione Egli non è l’universo, cosa imperfetta e mutevole, dove la sua unica pienezza si avvilirebbe.

D. Se Dio non è l’insieme degli esseri, dunque è un essere determinato, cioè finito.

R. Dio non è un essere determinato nel senso della tua frase; ma se Egli è indeterminato, è per la sua perfezione stessa, che nessuna determinazione esaurisce, e perciò non è finito.

D. Allora Dio infinito e l’universo distinto da Lui si addizionano; Dio e l’universo sono più che Dio, cioè più che l’infinito il che è assurdo.

R. Il mio corpo e la sua ombra sul muro, il mio corpo e il suo riflesso nell’acqua, sono forse più che il mio corpo affatto solo?

D. Lo so: l’ombra e il riflesso non sono reali; ma il mondo è reale.

R. Il mondo è reale per noi e reale in se stesso; ma esso non è tale affatto per rapporto a Dio, essendo impotente a posare in faccia a Dio, come una cosa che sussisterebbe fuori di Dio. A questo riguardo, non è che un’ombra, una manifestazione della divina Presenza, un’effusione dell’Amore. La creatura non ha di proprio altro che il niente; per Dio essa esiste; ma non avendo niente di proprio, il fatto che essa esiste per mezzo di Dio non aggiunge niente a Dio, non si compone con Dio, non cambia niente alla totalità dell’Essere, del quale il nome proprio è Dio.

D. Dio è personale, è un’immensità resa impersonale dalla sua ampiezza?

R. Dio è un’immensità senza sponde, e perciò non è personale alla maniera di un uomo. Noi non crediamo al Dio-finito di Renouvier, o al Dio-uomo di Swedenborg. Ma Dio è sommamente personale per la sua stessa immensità, cioè per la sua perfezione; perché, quanto più la perfezione sale, quanto più l’intellettualità e la coscienza si concentrano, tanto più la personalità si compie. Del resto non andare a dire a un Cristiano che Dio non è personale, quando quello che egli trova in Gesù Cristo è Dio in persona. Dio ha dimostrato la sua personalità apparendoci, come si dimostra il movimento camminando, checché ne sia delle difficoltà di Zenone d’Elea e de’ suoi seguaci.

D. E che dici della filosofia che sfugge a tutte queste questioni sotto il nome di materialismo?

R. Il materialismo ha due vantaggi: fà dell’universo un trastullo magnifico per il nostro orgoglio e un covo libero per le nostre passioni. Fuori di questo, è una « filosofia » che non merita neppure un posto nel catalogo degli errori.

D. Potresti giustificare una tale severità?

E. Il materialismo è una dottrina che alle meraviglie visibili assegna imbecilli spiegazioni, e alle meraviglie invisibili, quelle dell’anima, spiegazioni inesistenti, non accostando in nessun modo l’ordine dei fatti che essa vuole spiegare,

D. Almeno le sue spiegazioni sono semplici, e non contradittorie.

R. Le sue spiegazioni sono semplici fino all’ingenuità; esse consistono nel costruire i corpi con dei corpi più piccoli, « come se si costruissero le case con delle case» (ARISTOTILE), e in quanto allo spirito e alle cose dello spirito, il materialismo non le spiega, ma se le attribuisce, trovandosi esausto quando ha dichiarato in quali condizioni si constatano. Tu dici che esso non è contradittorio: ma non c’è una contradizione evidente tra il materialismo e questo semplice enunziato: le leggi della materia, che i materialisti hanno continuamente in bocca? Dire che la materia è retta da leggi, non è forse uno schierarla sotto il regno dello spirito? « La legge è un dettame della ragione », dice S. Tommaso d’Aquino, e nessuno può accusare di falso una definizione così lucida. Quei che non credono se non agli atomi combinati sotto certe « leggi » dovrebbero ben dire chi ha insegnato agli atomi l’autorità di queste leggi e li inclina all’ubbidienza. E se dalle leggi elementari ti elevi alle leggi più complesse della chimica e della mineralogia, della vita e della comunicazione della vita, della sensazione e del pensiero, della psicologia superiore e della moralità, chi non vede crescere indefinitamente l’assurdità di attribuire tutto ciò a materia senza finalità immanente, senza idea direttrice, direbbe Claudio Bernard, per conseguenza senza un Pensiero anteriore e superiore ad essa, e, poiché l’idea immanente alle cose è evidentemente costitutiva, e non semplicemente motrice, senza un Creatore? Ancora ho trascurato di osservare che la « materia » dei materialisti fugge sempre più davanti alla scienza contemporanea, come se alla fine dovesse svanire a profitto della legge stessa, e proclamare così il regno universale dello spirito. Tutto quaggiù è forma, numero, armonia, ripetizione e ritmo, danza e musica; niente è materia inerte e cieca. Ogni essere tende, cerca, gravita, raggiunge altre gravitazioni, altre ricerche, altre tendenze, e un universo si forma in cui lo spirito splende maggiormente, svelando una Sorgente di idealità che si espande, un’armonia fondamentale, un Pensiero primordiale, un supremo Spirito.

D. Tu tendi così a dimostrare Dio per mezzo dell’ordine del mondo; è la tua unica prova, o ne hai delle altre?

R. Vi sono tante prove dell’esistenza di Dio quante se ne vogliono, e non ce n’è che una sola. Tutte si riducono a questo: Vi è qualche cosa, dunque Dio c’è. Dopo ciò puoi sminuzzare il qualche cosa e fare de’ suoi frammenti altrettante prove. Del resto, siccome uno sminuzzamento intelligente dovrà procedere per gradi, per generi di cose, troverai prove privilegiate, specifiche. In tal modo S. Tommaso riconobbe cinque vie per far capo al sommo Essere.

D. Qual è secondo te la prova più certa?

R. Sono tutte certe.

D. Qual è quella che colpisce di più?

R. Appunto quella per l’ordine della natura, i pensatori più refrattari, come Emmanuele Kant, hanno dovuto concederne il valore.

D. Qual è la sua sostanza?

R. « L’ordine è l’opera del sapiente », disse Aristotile. Noi crediamo alla sapienza umana perché vediamo le sue opere, cioè l’ordine che introduce attorno a se stessa, ne’ suoi dominii, nelle creazioni della sua industria, nelle istituzioni che fonda, nelle regole d’azione che dà a se stessa e che intima a ciò che essa deve reggere. Ma la sapienza umana non trova da applicarsi se non perché un’altra sapienza la precede, e questa sapienza anteriore, quella della natura, sulla quale s’innesta la nostra, è ben più profonda. Chi può sfaccettare una pietra con tant’arte com’essa è sfaccettata dentro, per il fatto della sua costituzione stessa, così sconcertante per la scienza che vi penetra a tentoni? Chi può fare, con della canapa, un tessuto così maraviglioso come lo stelo della canapa, e come la sua foglia, e come il suo seme? E così avviene di tutto. Se dunque io credo alla sapienza umana, come non crederei alla sapienza che essa utilizza, alla sapienza che essa dischiude, e se questa sapienza della natura è tanto incosciente quanto meravigliosa, come non cercarne la sorgente in qualche Intelligenza suprema di cui tutta l’arte della natura non è che una manifestazione? « Il visibile, dice Leone Bloy, è la traccia dell’invisibile ».

D. Quali sono, secondo te, i segni essenziali dell’ordine, in seno alle cose?

R. Ordine di ciascuna cosa in se stessa; — ordine di produzione di ciascuna cosa per una convergenza di elementi, per un concorso di serie causali; — ordine delle cose tra loro per fare degli insieme e degli insieme per fare un cosmo; — ordine del cosmo e dell’anima che s’incontrano nella sensazione, nel pensiero, le due più sublimi realtà che esistano.

D. Vi è un rapporto tra quest’ordine di manifestazione del reale e l’ordine intimo del pensiero stesso?

R. « Un albero germoglia per sillogismo », disse Hegel.

D. E con l’arte?

R. Quando dall’arte, dal ritmo, dalla poesia e dalla musica, tu stesso ti senti trascinato nell’ordine del mondo e comunichi a’ suoi movimenti, di’ se l’emozione provata nelle parti alte dell’anima tua non ha un carattere religioso. L’arte è una « religione », perché la bellezza è ordine, e l’ordine è divino.

D. Puoi completarne la prova?

R. I rapporti delle cose tra loro, degli elementi tra loro, delle serie causali che s’incrociano e organizzano concorsi, degli insieme parziali che ne incontrano altri in sempre più vaste combinazioni, tutto ciò dà prova di un pensiero che mette insieme e adatta come progetto, di una preconcezione che il fatto realizza. L’occhio è organizzato per vedere, il frutto per germogliare; le potenze della vita come le potenze astrali sono fidanzate prima del connubio dell’azione e delle evoluzioni comuni. «Il mondo è il risultato di accordo infinito », scrive Novalis. Gli scambi universali ci appariscono a un tempo come fenomeni e come tendenze, come effetti e come disegni, e l’idea di una sapienza organizzatrice brilla al contatto. Quest’idea è in noi, e l’ordine è nelle cose; ma al di sopra, per giustificare l’idea e per fondare le cose tali quali sono, armoniche e sagge, ci vuole qualche idealità. superiore, una sapienza, un’arte, e non è forse questo uno degli aspetti di Dio? La natura è come un volto la cui fisonomia esprime l’anima segreta e quest’anima è Dio) La natura è un macchinario meraviglioso, il meccanico del quale è Dio. Dietro il fatto vi è l’energia, dietro l’energia la legge, oltre la legge il piano, sopra il piano l’architetto e l’architetto è Dio. E devi notare che nella natura, l’ordine è tanto più ammirabile quanto più gli esseri sembrano formati di un piccolissimo numero di elementi, sotto leggi alla loro volta pochissimo numerose. L’autore dell’ordine sembra che possa fare tutto con tutto, anzi con un solo cenno. Per negare quest’autore divino, bisogna ammettere una inintelligenza o una non-intelligenza più intelligente dell’intelligenza stessa. L’universo come lo conosciamo e specialmente come lo congetturiamo, l’universo con la sua organizzazione di un’estensione e di una profondità così sbalorditive, è un peso che Dio solo può portare; nessun Atlante, figlio di un Giove sottomesso al Destino, potrebbe essere a ciò sufficiente. Se Dio non esiste, non ci vuole molta immaginazione né molto sentimento per essere invasi da un senso di assurdità spaventosa, da un’immensa oscurità. Dio è veramente la Luce del mondo, creatrice della verità delle cose e del suo riflesso in noi. È lui lo Spirito nascosto di tutte le creature, l’Essere del loro essere, la Verità di cui esse non sono, per così dire, che i fantasmi, poiché senza di Lui, senza l’influsso permanente della sua presenza, esse non sarebbero affatto.

D. A queste condizioni, non si dovrebbe pensare che a Dio, o per lo meno a niente senza Dio.

R. «Dimenticato Dio, più nulla è degno di memoria» (CARLYLE).

D. Tu parli dell’influsso divino come d’un fattore permanente delle cose: è veramente opportuno cercare qualcosa di « permanente » in questo mondo dove tutto muore?

E. Non si può dire: tutto muore. È vero che le cose di questo mondo non ci son note e non sono da noi adoperate se non secondo che passano; noi registriamo la loro fuga; appunto in grazia della loro morte noi le assimiliamo; ma bisogna che qualcosa resti; se tutto passasse, non ci sarebbe territorio del passaggio, non legge reggente il passaggio, non potenze stupefacenti per i fatti particolari, non trama per la decorazione. E bisogna che ciò che resta abbia di che restare, di che mantenersi così saldo, così immortale. Bisogna che il necessario ci sia, e al di sopra del necessario che è tale solo di fatto e non per se stesso, ci vuole il Necessario primo, necessario per definizione, nel quale scorre tutto quel che scorre. Quel che muore, muore in Dio.

D. Ciò suppone l’ubiquità; ora come può Dio essere presente dovunque nello stesso tempo, e tuttavia essere invisibile?

R. Pascal matematico ne fornisce questa immagine: «un punto che si muove dappertutto con una velocità infinita; infatti esso è uno in tutti i luoghi ed è tutto intero in ciascun luogo ». Abbiamo qui solamente un’immagine spaziale, che non ha valore se non nell’ordine astratto. Ma se tu la trasporti nell’ordine dell’esistenza, ti fai un’idea di quella realtà indivisa e infinita, che avviluppa tutto immediatamente col suo potere creatore e organizzatore.

D. Io ho udito ragionare così: Non sì ha bisogno di Ordinatore; perché il caso, disponendo dell’infinità del tempo, ha davanti a sé un’infinità di combinazioni possibili, dunque anche quella che è sotto è nostri sguardi.

R. Quando un uomo ragiona in tal modo, io non faccio appello ai matematici per rispondergli; ma gli domando: Sei  matto? Queste idee reggono davanti alle idee, ma crollano davanti ai fatti. Pensa alla struttura di un occhio di moscerino, al moscerino, alla sua vita, alla sua riproduzione ammirabile, alla sua eredità secolare, alla stabilità dinamica dell’universo in cui si evolve questa piccola specie in compagnia di milioni d’altre, e tu riderai di codeste stoltezze.

D. Ma altri dicono, con più verosimiglianza: Il cammino del mondo è impeccabile e d’un rigore infrangibile, dunque non ha bisogno di Dio.

R. Che lode di Dio!

D. Che cosa intendi di dire?

R. Che questa apparente inutilità di Dio è anzi quello che lo esige con maggiore forza, come l’orologio dà prova dell’orologiaio camminando da sé solo meglio che se egli dovesse spingerne le ruote. Il cammino del mondo è d’un rigore infrangibile una volta posto il mondo, una volta caricato questo meraviglioso automa che nessuna sorpresa dei fatti sconcerta; ma io domando ancora una volta: Chi ha fatto il mondo?

D. Si dice che è il frutto dell’evoluzione.

R. Se l’ipotesi dell’evoluzione è vera, Dio è dimostrato due volte, una volta dal mondo stesso e una volta dall’evoluzione.

D. Come ciò?

R. Perché creare una macchina utensile di una tale perfezione e d’una tale potenza è più difficile che creare un oggetto. Il mondo è un oggetto sorprendente; ma che dire di quella miracolosa forza di evoluzione che lo fabbrica ciecamente! Di quale perspicace pensiero è l’organo una tale cecità! L’evoluzione che si pretende creatrice al posto di Dio, è un sistema di conseguenze sempre più ricco senza che vi sia alla base alcun principio; è una geometria eterna senza « Assioma eterno ». In vero io capisco Descartes che dice: « L’esistenza di Dio è più certa che il più certo dei teoremi di geometria ». Per me, se l’evoluzione esiste — ed esiste necessariamente in qualche misura — essa dimostra, oltre la potenza sovreminente di Dio, la discrezione generosa che lo fa agire per mezzo della stessa opera sua, dopo aver reso quest’opera attiva e potente. In tal modo Cristo seminò alcuni germi immortali e affidò a’ suoi Apostoli, alla sua Chiesa, le sue speranze dell’avvenire.

D. Mi pare che tu attribuisca così alla natura un immenso sforzo, dei piani meravigliosi. Ora Enrico Bergson dice all’opposto: La natura non ha nessun piano preconcetto; essa inventa a proposito, e « per lei è così facile fare un occhio come per me alzare la mano ».

R.Tutto ciò non si contradice affatto. La natura non ha piano preconcetto; neppure l’ape, e in nessuna parte del mondo vi è un modello dell’alveare. L’alveare è una «invenzione» del genio della specie, sia pure, un’invenzione spontanea, senza partito preso antecedentemente, in tal modo che il piano non esiste che in noi, dopo un atto di riflessione, per il fatto delle analisi che facciamo del meraviglioso lavoro. Ciò non m’incomoda affatto. Ma io domando sempre che mi si trovi un’origine prima a questo sforzo d’invenzione, all’invenzione quando esiste, alla nostra mente che l’analizza, al piano che è il prodotto della nostra mente, al tutto di quest’ordine di fatti, che non basta descrivere per renderne ragione. Bergson non si oppone a questa richiesta, tutt’altro. In quanto allo sforzo della natura, è un modo di parlare. La natura è un’arte, e l’arte non fa sforzo salvo che quando è imperfetta. Un occhio non è che un arpeggio complicato; la natura lo produce con la squisita facilità di un perfetto virtuoso; ma quanto più la sua arte è impeccabile e semplice ne’ suoi mezzi, tanto più la natura ha bisogno di una sorgente sublime.

D. E se il mondo, tal quale, è sempre esistito?

R. La durata non è una spiegazione. Per quanto sia lunga, le si deve chieder ragione di ciò che essa contiene. Spiegheresti una locomotiva e forniresti la ragione del suo cammino dicendo che essa ha sempre camminato? La ragione del cammino non è qui in addietro; i motivi delle cose non si raggiungono nella corsa. Il cammino si spiega per la complicazione intelligente del congegno, cioè per l’arte del meccanico; si spiega per le proprietà del vapore, dell’aria, del suolo, dei materiali adoperati, dell’ambiente universale in cui tutto s’immerge, cioè per l’arte della natura che il meccanico ha saputo utilizzare. L’armonia di tutto l’universo si trova impegnata in questo semplice fatto; essa non sarebbe meno impegnata in qualsiasi altro, e tutti i fatti provano così un Ordinatore.

D. Che cosa dici tu a quelli che non arrivano a dimostrarsi Dio per via di ragione?

R. Di cercarlo nel loro cuore, e di cercarlo all’uopo per il tramite della fede.

D. È questa una cosa possibile?

E. Non solo è cosa possibile, ma anche frequente, Poiché Dio si è rivelato nel mondo, se ne può trovare la traccia nei fatti di rivelazione come nei fatti di natura. Era il procedimento raccomandato da Pascal come il più efficace. La credenza in Dio, che è l’ultima parola della filosofia, è la prima della fede: «Io credo in Dio, Padre onnipotente, ecc…. ». In filosofia, tutta la cognizione umana mira appunto a rischiarare debolmente la nozione di Dio. Nella fede, l’ordine è inverso; è Dio, sorgente di ogni luce, che sfavilla anzitutto e rischiara potentemente tutto il resto. Se la natura ci parla di Dio, la fede ce ne dice a suo riguardo, in poche parole, più che tutto l’universo insieme, e allontana i pensieri ingannevoli che sottili apparenze provocano in tante menti.

D. La dimostrazione razionale di Dio ti pare însomma poco utile?

R: È utile come preambolo della fede; ma in se stessa è insufficiente alla salute degli uomini, La ragione affatto sola di fronte a Dio non può comunicare con Dio; le manca la scala viva, le manca il ponte. Il Dio che bisogna conoscere non è il « Dio dei filosofi e dei sapienti », ma il « Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe », il « Dio di Gesù Cristo ». «È un Dio di amore e di consolazione; è un Dio che riempie l’anima e il cuore di quelli che Egli possiede; è un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la sua misericordia infinita; che si unisce al fondo dell’anima loro, che la riempie di umiltà, di gioia, di confidenza e di amore; che la rende incapace d’altro fine che non sia Lui stesso » (PASCAL).

D. Il sentimento prende così una grande importanza nella credenza în Dio.

R. «Si crede in Dio in virtù di ciò che si ama, assai più che in virtù di ciò che si sa » (PIETRO LASSERRE).

D. Che cosa pensi tu dell’ateo?

R. In un certo senso non vi sono atei: vi è solo gente inconseguente, che affermando Dio tutte le volte che proferiscono una parola o fanno un passo, si servono nondimeno della parola per negare Dio. Sotto tutte le idee che si oppongono a Dio, vi è l’idea di Dio. Sotto i sentimenti che allontanano da Dio, vi è una sete che è la sete di Dio. Ogni uomo crede alla verità, apprezza il bene e tende alla felicità; tutta quanta la nostra vita gravita attorno a queste nozioni, e sempre più a misura che il mondo s’incivilisce. Ora ciascuna di queste nozioni conclude per Dio nel modo più manifesto, e nel loro senso assoluto sono attributi divini. Nietzsche lo riconobbe, dicendo: « È con la fede in Dio che, nel mondo moderno, si è significato il congedo a questa stessa fede » « L’ateo parla della natura come di una madre che è nei cieli» (Enrico Bidou). Nondimeno l’ateismo esiste in quanto affermazione volontaria, ed ecco quel che ne penso. Io faccio una gran differenza tra l’ateo gaudente, « simile alla bestia, che grufola nella pozzanghera senza vedere in fondo il riflesso del ciélo » (GIUSEPPE SERRE), e l’ateo per errore, per deviazione intellettuale, anzi per reazione contro falsi deismi che egli sa rigettare e non sa sostituire.

D. Vi sono dunque falsi deismi?

R. Sì, coloro che pongono un Dio da invetriata o un « Dio della buona gente » senza nessun valore filosofico.

D. Ci possono dunque essere degli atei di buona fede?

R. Ognuno di noi ne può incontrare ogni giorno.

D. Non si dice il contrario, nelle vostre scuole di teologia?

R. Si dice con ragione che una cosa così certa, per una coscienza retta, come l’esistenza di Dio, non può essere disconosciuta senza peccato. Ma anzitutto vi sono sincerità peccaminose, quelle che risultano da gravi negligenze o da infedeltà anteriori. Poi, non è necessario che il peccato così affermato sia un peccato individuale; ciò può essere un delitto collettivo, i cui effetti si comunicano a innocenti ingannati. I responsabili sono appunto coloro che creano tali correnti; quei che le seguono per un attraimento involontario devono essere assolti e soccorsi.

D. E come sì spiega che Dio, così evidente secondo te, possa essere così abbandonato?

R. Dio è abbandonato — e offeso — come il vecchio da una generazione troppo ardente. L’eccesso anarchico della vita materiale, della vita sensibile, della vita intellettuale stessa, cagiona questo spaventevole abbandono.

D. Non c’è nulla di elevato, nell’ostracismo inflitto all’idea di Dio?

R. La disgrazia degli uomini è di volgere contro la propria salute gli stessi loro pensieri salutari. Si è fatto credere all’umanità che l’idea di Dio era un ostacolo alle sue aspirazioni, una preoccupazione estranea o ostile a’ suoi compiti; ed essa ritornerà a Dio quando avrà capito che l’idea di Dio non allontana precisamente se non ostacoli; che solamente questo preteso nemico delle sue soddisfazioni rende la vita degna di essere vissuta, e che tutti i compiti umani, in ciò che hanno di sacro e di durevole, sono resi più facili e più dolci col suo concorso. « L’uomo potrà dominare e la sua propria natura e il mondo che egli abita, prendendo il suo punto di appoggio al di sopra di sé, nell’idea stessa del Fine per il quale egli è nato » (EMILIO BOUTROUX).

D. Intanto vi sono degli atei che sono forti.

R. «Ateismo, segno di forza di spirito, scrive Pascal, ma solamente fino a un certo punto ».

D. E che sono tranquilli.

R. Io credo alla calma della loro angoscia.

D. In ultima analisi, qual è, secondo te, l’atteggiamento degli uomini riguardo a Dio?

R. «Gli uni temono di perderlo, gli altri temono di trovarlo » (PASCAL).

LO SCUDO DELLA FEDE (166)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.