I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XII)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XII)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A  TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica – 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

TERZO PRINCIPIO FONDAMENTALE: L’amore a Nostro Signor Gesù Cristo

CAPITOLO VIII.

Il libro della vita.

Nella vita del Salvatore si rileva un fatto, efficace come pochi per muoverci ad amarlo e consacrarci a Lui (Luc. X, 17 sgg. Matt. XI, 25 Seg.).

I. Era il terzo anno della sua predicazione, quando erasi già scelto, oltre gli Apostoli, i settantadue Discepoli perché l’aiutassero nel ministero apostolico. A capo di poco tempo fecero ritorno i Discepoli pieni di gaudio: tutto, secondo che riferivano, era riuscito loro bene, grazie al potere da Lui ricevuto, tanto che perfino i demoni eransi sottomessi. Si rallegrò il Salvatore all’udire le umili parole di suoi Discepoli, ma rispose che dovevano godere non tanto per questo felice successo, quanto per altra cosa più elevata e di maggiore importanza, qual era quella che i loro nomi fossero scritti nel libro della vita. Imperocché ben più importante che aiutare gli altri a salvarsi era d’aver assicurata la propria salvezza, come l’aveano essi, in virtù d’essere stati predestinati da tutta l’eternità, e che i loro nomi fossero scritti nel libro della vita.

2. In questa circostanza il Salvatore getta uno sguardo sopra il grande mistero della predestinazione. Da una parte Ei vede i sapienti e i prudenti del mondo, che, incominciando dagli angeli ribelli e sino alla fine dei tempi, nella loro superbia e presunzione si allontanano da Dio e periscono; dall’altra, gli umili e piccoli che, sottomettendosi a Dio perfettamente, si salvano. Fa conoscere inoltre la causa da cui procedono queste due sorti così distinte, che è Egli medesimo e l’eterno suo Padre. Di Sè stesso dice: Tutto mi è stato dato dal Padre, e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui a cui il Figlio vorrà rivelarlo. Ed in altro luogo: Non può alcuno venire a me se non lo attiri il Padre (Giov. VI, 44). È con queste parole il Salvatore si manifesta come causa che coopera e perfeziona, come mediatore e punto centrale del grandioso mistero della predestinazione. Come Verbo e Sapienza increata del Padre e come Uomo-Dio Egli è realmente la sorgente di tutte le divine cognizioni e di tutta la salvezza, ed il punto principale da cui diramansi le diverse vie delle creature. – Chi vuole salvarsi deve andare dal Padre in Lui e per Lui. Egli è veramente il libro della vita, in cui stanno scritti i nomi dei predestinati. E perciò questo mistero è una splendida dimostrazione della gloria, della divinità e maestà del Salvatore a cui ed in cui tutto affluisce e si concentra. Perciò Egli esulta nello Spirito Santo e rende grazie all’eterno suo Padre, ma non unicamente in riguardo proprio, poiché la carità sua Lo muove altresì a ringraziare a nome degli Apostoli e di quanti saranno i predestinati per la fede e l’amore alla sua Persona.

3. Dalle parole sopraccitate il Salvatore trae la conseguenza. Se solamente per Lui noi possiamo salvarci ed arrivare sino al Padre, ne segue necessariamente che dobbiamo sottometterci e unirci a Lui totalmente. Per questo Ei dice: « Venite a me »; vale a dire, unitevi a me mediante la fede e l’amore; « prendete su di voi il mio peso ed il mio giogo», cioè, il giogo della mia dottrina, de’ miei precetti e della sudditanza al mio dominio. » – « Imparate da me », fatevi miei discepoli nell’umiltà e nella mansuetudine. In altri termini dobbiamo essere come i fanciulli ed i piccoli che Egli loda ed ai quali promette la vita eterna. Dobbiamo, quindi, togliere da noi ogni propria soddisfazione e presunzione, cercare solo in Gesù la felicità temporale ed eterna e sottometterci a Lui con tutta umiltà e prontezza. Solo così possiamo sperare che il Padre ci mostri Cristo e che Cristo ci conduca dal Padre; allora solamente potremo essere annoverati tra gli eletti ed inscritti nel libro della vita, che è quanto il Salvatore da noi desidera. E per indurci ad accettare l’invito suo, aggiunge alcune ragioni bellissime e di somma efficacia. E prima, a ciò deve muoverci la nostra grande ed universale indigenza. Siamo inclinati naturalmente ed irresistibilmente alla cognizione della verità, all’amore ed alla felicità perfetta. Ma dove trovarle? In noi no certamente, e non nel mondo e nemmeno nelle creature; in Dio unicamente, in Gesù Cristo, verità, bontà e bellezza infinita, il solo che possa renderci completamente felici. Tutti d’altronde siamo pieni di miserie, di travagli e di patimenti nel corpo e nell’anima, nell’ordine naturale e nel soprannaturale. Gemiamo sotto l’impero delle passioni disordinate, del peccato e dei mali e penalità della vita. Dove trovare aiuto, conforto e pace piena allo spirito se non nel Salvatore? Le sue parole, i suoi esempî ci confortano, e la sua grazia ci rende tutto possibile e soave. Per questo Ei ci dice: « Venite a me, o voi tutti, che siete, addolorati ed oppressi, ed io vi ristorerò ». – La seconda ragione per unirci a Cristo è la sua medesima Persona ed amabilità. Troppo conosciamo la insufficienza nostra e sentiamo la necessità che qualcuno ci regga. Orbene; possiamo scegliere soltanto tra Cristo e il mondo; ma, come risalta la benignità, la mansuetudine, la fedeltà e il disinteresse di Cristo in comparazione dell’egoismo, della superbia e della tirannia del mondo! La dottrina di Gesù così conforme alla retta ragione nobilita e consola; pochi sono i suoi precetti, copiose le grazie e magnifica la ricompensa che ci promette. Egli è saggio, ricco e potente, e vuole essere personalmente la nostra mercede; solo in Lui troveremo la vera pace dell’anima. Stando così le cose, non esclameremo con S. Pietro: Signore, da chi andremo? Voi avete parole di vita eterna. Chi vuole salvare l’anima propria deve unirsi a Cristo mediante la fede e l’amore. Egli è la via che ci rende felici. Che ci rimane, dunque, da desiderare in Cielo e sulla terra, se non Dio, il Dio del nostro cuore, l’eredità nostra per tutti i secoli? Quid enim mihi est in cœlo? et a te quid volui super terram? (Salm. LXXII, 25). – « Mihi autem adhærere Deo bonum est; ponere in Domino Deo spem meam ». (Id. 28). Che dolce cosa è lo stare uniti a Dio e in Lui collocare tutta la nostra speranza!

CAPITOLO IX.

Era buono.

Quando il Salvatore entrò in Gerusalemme l’ultima volta per la festa dei Tabernacoli, tutti parlavano di Lui. Alcuni dicevano: È un sedizioso; altri: È buono (Giov. VII, 12). Questi ultimi avevano ragione. L’uomo è ciò che sono le sue opere, E queste si manifestano nel tratto col prossimo. Il Salvatore Era buono; e come no? se era Dio, e Dio è la bontà medesima?

I. Era buono verso i ricchi. Due sorta d’ingiustizia si commettono di frequente in riguardo ai ricchi, odiandoli o idolatrandoli: il primo modo è invidia, il secondo stoltezza. Ben diversamente comportavasi il Salvatore, il quale amò i ricchi, desiderando loro ogni bene; poiché anch’essi hanno un’anima e sono figli di Dio. Li compativa per le loro ricchezze e li avvisava di regolarsi bene con esse, ché sono un grande pericolo per l’anima; ma riscontrava altresì nei ricchi e nelle ricchezze un mezzo potente nel regno di Dio e la salvezza degli nomini. Per questo non trascurò i ricchi e procurò di attrarli al bene, sebbene in un modo conveniente e degno di Dio. Non andava in cerca di loro, ma voleva che essi si muovessero a cercar Lui. Erode l’avrebbe visto volentieri alla sua corte, ma Egli non volle mai andarci. Guarì il figlio del regolo da lontano, senza pensare di andar alla sua casa. Pregato dal centurione gentile, si mise tosto in cammino Verso la sua abitazione, ma non vi entrò, da che il centurione medesimo per umiltà vi si oppose. Invece, si oppone con amabile insistenza all’archisinagogo, e lo segue in casa, perché la figlia di lui era già morta e poteva operare al di lui favore qualche cosa. Dava sempre ascolto alle suppliche dei ricchi, senza badare a contrarietà né attendere riconoscenza.

2. Fu parimente buono coi poveri, cogli afflitti e cogl’infermi, tanto che questi erano sempre l’oggetto della sua predilezione, imperocché non sono i sani, diceva, coloro che abbisognano del medico, ma gl’infermi (Matt. IX, 12). Come la calamita attrae a sé il ferro, così Gesù era sempre circondato da miserabili e da languenti. Aveva un’intima e ardente compassione per i poveri e i disgraziati, perché sono figli di Dio, suoi fratelli e così ricolmi di tante sciagure. E questa compassione non la teneva nascosta nel suo interno, ma la manifestava colle sue parole, colle sue lagrime, coi conforti che prodigava e con infiniti altri benefizi. Non aspettava che i disgraziati venissero a Lui, ma Egli stesso usciva a cercarli, pronto a offrir loro il suo aiuto, senza badare alle loro importunità od alle ingratitudini. Nulla risparmiò per soccorrerli, ponendo a servizio della sua bontà la sua sapienza e la sua onnipotenza.

3. Tra tutti i disgraziati preferiva i peccatori, come i più infelici e degni di compassione. Il mondo non ha alcun rimedio per questi sofferenti, non sa calcolare la loro sfortuna, e lascia che disperati si perdano per sempre. Così facevano i farisei; ma ben altrimenti il Salvatore, il quale come buon pastore e padre misericordioso usciva incontro al figliuol prodigo per ratificare con un bacio d’amore le sue parole di pentimento e rimetterlo nello stato suo primitivo. Sì nota era la usa bontà verso i peccatori, che i nemici varie volte se ne servirono per gli storti loro fini, e tentarono di perderlo valendosi della sua misericordia (Giov. VIII, 3; Luc, VI, 7).

4. Anche con questi nemici il Signore era buono sopra ogni misura. Un incredibile impegno mettevano essi nell’esacerbare il Cuore di Gesù, resistendo a tutti gli sforzi, ch’Ei faceva per salvarli. In una delle feste più solenni del Tempio i giudei Lo circondarono per lapidarlo con i sassi che portavano in pugno. Allora il Signore indirizzò loro queste parole: Molte buone opere vi ho fatto, per quale di queste mi lapidate? — Non ti lapidiamo per un’opera buona, risposero ì Giudei, ma perché tu essendo uomo, ti fai Dio » (Giov. X, 32). Ed era vero: preziosi benefici sopra benefici avea loro fatto; ma la dottrina non incontrò che opposizioni; i suoi miracoli malevolenza; la più nera ingratitudine i suoi benefici; ed odio mortale e la morte più crudele ed ignominiosa l’amor suo. E malgrado tutto questo il Salvatore continua ad esercitare il suo ministero con ammirabile carità e mansuetudine; non li abbandona, risponde alle scortesi ed importune loro domande, e dalle medesime prende occasione per vieppiù istruirli e farli avvisati del castigo che li attende. È non cessa di mostrar loro la sua bontà con nuovi benefici, finchè inchiodato sopra una croce, apre il Cuor suo e pronunzia già moribondo parole di perdono per suoi nemici. – Oh! sì, il Salvatore. era realmente buono. Come immagine vera e personale della bontà di Dio (Sap. VII, 26), passò pel mondo facendo del bene, perché Dio era con Lui (Att. X, 38). Siccome nessuno può sottrarsi ai raggi benefici e vivificanti del sole (Salm. XVIII, 7), così non vi è alcun essere che questa bontà e quest’amore non rallegri e renda felice. E che consegue da ciò? Che dobbiamo essere buoni anche noi, com’era il Salvatore? Sì, senza dubbio; ma la prima conseguenza è che dobbiamo amare Colui che fu buono sopra ogni cosa. Noi amiamo tutto ciò che è buono e tutti coloro che sono buoni con noi; perché non ameremo Gesù? Non ci dimostra Egli la sua bontà? Tutto abbiamo ricevuto da Lui: l’inestimabile grazia del Battesimo e della fede, e quella di vivere nel seno della Chiesa Cattolica, per la quale godiamo beni superiori ad ogni comparazione, e, chi sa ancora, il beneficio di essere stati perdonati innumerevoli volte dell’abuso fatto delle sue grazie e della sua misericordia! Ricordiamoci di tutto questo ch’Ei ci diede, e dell’altro bene più ineffabile che vuol continuare a darci, Sé medesimo nell’Eucaristia, e vedremo che non dobbiamo amare nessuno tanto quanto il Salvatore.

CAPITOLO X.

Passione e morte.

Il crogiuolo dove si mette a prova l’amore sono i patimenti. Tanto grande è l’amore quanta è la disposizione a soffrire per la persona amata, ed il Salvatore medesimo non seppe arci altra misura dell’amor suo per noi, che facendolo passare pel battesimo di fuoco della sua Passione (Luc. XII, 49). E questo battesimo di sangue è così sublime che non v’ha cosa che possa muovere tanto i cuori generosi ed eccitarli a ricambiare amore con amore, patimenti con patimenti. Si danno tre motivi principali per ciò. – Il primo è la causa della Passione. Sentiamo compassione e persino una specie di rispetto verso un uomo che sconta con gravi tormenti e pene ciò che deve per le sue colpe, se li sopporta con spirito di penitenza e per soddisfare alla giustizia. Il Salvatore scontava ciò che non doveva: la sua vita era stata innocentissima e santissima, ed appunto perciò fu eletto da Dio quale vittima propiziatoria per i peccati nostri e per quelli di tutto il mondo. Le nostre colpe e quelle di tutti gli uomini gridavano vendetta al cielo se non davasi una giusta riparazione; e la Passione di Cristo coi suoi inauditi tormenti altro non era se non la ripercussione terribile dei peccati, che cadde sopra il Salvatore, nostro pietosissimo mallevadore. invece di cadere sopra di noi. I quale da Dio fu preordinato propiziatore in virtù del suo Sangue per mezzo della fede, affine di far conoscere la sua giustizia nella remissione dei peccati (Rom. III, 25). L’amore ineffabile del Figlio di Dio fece che si offrisse per noi. E che morisse sulla croce per i nostri peccati. Scontò ciò che non doveva (Sal. LXVIII, 5). Lo stesso ripete con tenerissime parole in altro luogo l’Apostolo: Egli mi amò, e diede Sé stesso per me (Gal. II, 20). In questo modo dobbiamo considerare la Passione del Signore: sul Calvario, dietro i Giudei, immediati strumenti della morte di Gesù. stiamo noi, carichi di colpe, come principalissimi moventi di sì orribili tormenti. In tutte le particolarità della Passione può ciascuno dire a sé medesimo: Ciò che qui patisce Cristo, lo dovevi patire tu! Il Salvatore ci portò inoltre una nuova religione con la sua fede e la sua morale, con una nuovo ordine di grazia ed un nuovo sacrifizio, e conveniva che colla sua morte ratificasse la fede. aprisse le ricchissime sorgenti della grazia, consacrasse col suo Sangue l’altare del sacrifizio, ed era necessario soprattutto che ci precedesse Egli colla croce della mortificazione e del dolore, e ce la rendesse meritoria di vita eterna; tutto questo eseguì mediante la sua Passione. Finalmente, volle il Salvatore riunirci tutti qui sulla terra, in un immenso e magnifico regno, e così uniti, condurci al Cielo. Ma il mondo giaceva sotto il potere di satana, e soltanto un duello a morte poteva guadagnarci questo regno delle anime. Come principe generoso, Gesù Cristo volle riscattare noi, suo popolo, colla sua morte. Il suo sangue fu il brezzo ch’Ei versò per comprarci un posto nel regno della sua Chiesa: sarà mai possibile dimenticarci della sua generosità? Per tutto questo, le cause della Passione di Cristo sono intimamente legate a suoi medesimi: per noi, pel bene supremo ed inapprezzabile della salvezza delle anime nostre patì e morì nostro Signore Gesù Cristo.

2. Un altro motivo che deve servire ad eccitare la nostra compassione e gratitudine è la molteplicità e grandezza dei dolori della Passione. Sono sì grandi, sì svariati, sì nuovi, che invano ne cercheremmo di somiglianti altrove. Dolori interni, nel corpo e nell’anima; dolori provenienti da Sé medesimo e da altri e molte volte da tutte le parti. Non vi fu alcuno tra coloro che Lo circondavano, che non contribuisse alla sua Passione; ebbe moltissimo da soffrire per parte di amici e di nemici, dicasi lo stesso del genere dei tormenti: oltraggi, diffamazioni, disprezzi, burle, ingratitudini, tradimenti ed ingiurie, così sensibili ad ogni cuor nobile. In nessun luogo trovò giustizia; tutti gl’incaricati ad esercitarla Lo lasciarono senza appoggio, Lo abbandonarono e Lo condannarono alla morte più crudele ed ignominiosa. Troviamo nella sua Passione supplizi crudeli ed umilianti, come la flagellazione e la crocifissione; pene contro ogni consuetudine e diritto, quali la coronazione di spine e le atroci ingiurie nella casa di Caifasso; patimenti misteriosi e degni d’ammirazione, che solo Lui poteva soffrire, come l’agonia nell’orto e la morte sulla croce. Furono tali queste interiori angustie dell’anima, che sorpassarono in intensità ed amarezza. Tutti i patimenti umani. Tutti i generi di tormenti immaginabili oppressero il Salvatore da tutte le parti, di maniera che possono applicarsi a Lui le parole che pronunziava il profeta Geremia, riferendosi alle calamità di Gerusalemme: O voi tutti che passate per questa via, considerate e vedete se vi è dolore uguale al mio (Thr. I, 12). Immensa come il mare è l’afflizione mia (Ib. II, 13). – Per comprendere in qualche maniera la profondità e l’amarezza di questi tormenti, sarebbe necessario che ci formassimo un’idea della natura e complessione dell’umanità di Cristo, della delicatezza e sensibilità del suo Corpo, e dell’impressione che facevano sulla di Lui anima i dolori e gli oltraggi. Era vivissimo in Lui il conoscimento della propria dignità divina e dell’onore che Gli si doveva. Pochi giorni innanzi incedeva trionfalmente per queste medesime vie, acclamato come profeta e taumaturgo rispettato e venerato da molti dei principali e più saggi figli del suo popolo, e l’intera città Gli si era prostrata ai piedi rendendogli omaggio. Ed, ora tutto termina col fine più ignominioso! Sacrificare la propria vita per condurre a capo un’azione eroica, lasciando dietro di sé la gloria e l’universale riconoscenza, è un’impresa di cui molti sono capaci; ma morire come un colpevole e volgare malfattore, abbandonato e negletto da Dio e dagli uomini, senza onore, senza conforto, con una morte che manifesta tutto l’abbandono e l’impotenza umana, in mezzo alla gioia feroce di perfidi nemici (Matt. XXVII, 49), questa è la cosa più dura, più triste e straziante che immaginare si possa. Tanto sentì il Salvatore e lo manifestò in quel grido d’angoscia che diede dall’alto della croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Ib. XXVII, 46) e già prima l’avea predetto per bocca dei profeti: Ma io sono un verme, e non un uomo; l’obbrobrio degli uomini, e il rifiuto della plebe (Sal. XXIV, 7). Egli non ha vaghezza né splendore, e noi l’abbiamo veduto, e non era bello a vedersi: e noi non avemmo inclinazione per lui. Dispregiato e l’infimo degli uomini. Ed era quasi ascoso il suo volto, ed egli era vilipeso, onde noi non ne facemmo alcun conto… Lo reputammo come un lebbroso, e come flagellato da Dio (Is. LIII, 2 sgg.). Mi collocò in luoghi tenebrosi, come quei, che son morti per sempre… Ed oltre a ciò, quand’io alzi le grida, e lo pregai, ha chiuso il varco alla mia orazione… È bandita dall’anima la pace: non so più che sia bene. Ogni termine per me è sparito, e la aspettazione mia nel Signore. Ricordati della miseria, miseria mia eccedente, e dell’assenzio, e del fiele. Queste cose ho di continuo alla memoria, e si strugge l’anima mia dentro di me (Thr. 3). Oh terribile Calvario, testimonio dell’abbandono di un Dio e di quell’ora tristissima in cui, vittima volontaria dell’amor suo smisurato per noi, il Salvatore, Signore di quanto esiste, santissimo, gloriosissimo, il più bello ed amabile tra i figli degli uomini, patisce quella morte ch’Ei medesimo erasi eletta! Sarà possibile che ce ne dimentichiamo?

3. Finalmente la Passione di Gesù Cristo è gloriosa pel modo che la soffrì e le diede fine. Imperocchè non Lo colse d’improvviso ed impensatamente. Tutto era stato previsto e da Lui scelto e determinato, sino dall’eternità. Quante volte l’annunziò a’ suoi discepoli! Nell’ora segnata della cattura ricusò ogni difesa; miriadi d’Angeli, com’Ei disse, sarebbero stati pronti a difenderlo; con una semplice parola Egli atterrò la banda de’ suoi nemici. E colla stessa libertà e padronanza con cui comincia la Passione la porta a compimento, chinando il capo prima di spirare, per far comprendere che nessuno avrebbe potuto privarlo della vita contro sua volontà e che disponeva di essa con perfetta padronanza. Veramente, si sacrificò per noi perché volle (Is. LIII, 7). La seconda dote che risplende nella Passione è l’ammirabile fortezza e magnanimità. Non patisce nostro Signore con indifferenza stoica né con orgoglioso disprezzo della morte, ma nemmeno con debolezze ed abbattimenti. Sente vivamente i dolori e non arrossisce di manifestarli, non per lamentarsi, ma perché ci serva di conforto nel vedere che in realtà patisce indicibili tormenti e che per essi sconta ciò che dovevamo noi a Dio pei nostri peccati, come Sommo Sacerdote, il quale, secondo afferma San Paolo, nei giorni della sua carne avendo offerto preghiere e suppliche con forte grido e con lacrime a colui che lo poteva salvare dalla morte, fu esaudito per la sua riverenza (Ebr. V, 7). – L’ultimo distintivo della sua Passione e morte fu la santità; imperocchè patì e morì esercitando le più alte e sublimi virtù. Perdona ai suoi carnefici; implora la misericordia del Padre per quanti cooperano alla sua morte; pensa e provvede colla più delicata sollecitudine a sua Madre che costantemente persevera ai pie’ della croce; ascolta ed esaudisce la pia invocazione del ladrone convertito; dà compimento alle ultime profezie e, con un sospiro d’immenso amore agli uomini e di sommessione e filiale abbandono all’eterno suo Padre, al medesimo consegna l’anima propria. Per questo la di Lui morte non solo è santa, ma è l’esempio altresì, la causa e perfezione della morte di tutti i santi. – Così spirò il Salvatore, lottando colla morte, e morendo come uno di noi, non obbligato, ma volontariamente per darci a conoscere l’amore che ci portava. – Lì, a’ pie’ della croce, nel contemplare le ‘ultime gocce di sangue che escono dall’aperta ferita del Costato e dal cuore trafitto del Signore, ricordiamoci di quelle parole: Nessuno ha carità più grande che quella di colui che dà la sua vita pe’ suoi amici (Giov. XV, 13). Io ho abbandonato la mia casa, ho rigettato la mia eredità ed ho lasciato la dolce vita mia nelle mani dei miei nemici (Ger. XII, 7). Io sono il buon pastore che dà la vita per le sue pecorelle (Giov. X, 14); e di quelle altre bellissime di S. Paolo: Ma Dio dà a conoscere la sua carità verso di noi, mentre essendo noi tuttora peccatori… Cristo per noi morì (Rom. V, 8-9). La croce ci dice tutto questo. Non poteva nostro Signore Gesù Cristo fare e patire più di quanto fece e patì per provarci l’amor suo. Ma se l’amore esige corrispondenza, sarà forse troppo che Gli offriamo tutte le cose del mondo e la nostra propria vita? La risposta fu data da un’anima generosa che desiderava consacrarsi totalmente a Dio in un severo Ordine di penitenza. Vollero precedentemente provarla, e la condussero nel coro della chiesa, dove dovea trascorrere lunghe ore durante le notti d’inverno; le indicarono in seguito il refettorio, luogo di digiuno più che di refezione; indi il duro letto, più adatto per passare le notti insonni che per un riposo tranquillo, e la richiesero infine che cosa pensasse della sua vocazione. « Avrò nella mia cella un crocifisso? » domandò a sua volta. E ricevuta una risposta affermativa aggiunse risolutamente: « Allora spero di adempiere tutti i doveri della mia vocazione. » È il pensiero medesimo che esprimeva l’Apostolo san Paolo: Ma di tutte queste cose (nelle tribolazioni, nelle angustie, nella fame, nelle persecuzioni) siam più che vincitori per Colui che ci ha amati (Rom. VIII, 37).