DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Il pensiero che domina tutta la liturgia di questo giorno è la fiducia in Dio in mezzo alle lotte e alle sofferenze di questa vita. Essa appare nella lettura della storia di David nel Breviario e da un episodio della vita di S. Pietro, di cui è prossima la festa. Quando Dio scacciò Saul per il suo orgoglio, disse a Samuele di ungere come re il più giovane dei figli di Jesse, che era ancora fanciullo. E Samuele l’unse, e da quel momento lo Spirito di Dio si ritirò da Saul e venne su David. Allora i Filistei che volevano ricominciare la guerra, riunirono le loro armate sul versante di una montagna;Saul collocò il suo esercito sul versante di un altra montagna in modo che essi erano separati da una valle ove scorreva un torrente. E usci dal campo dei Filistei un gigante, che si chiamava Golia. Esso portava un elmo di bronzo, una corazza a squame. gambiere di bronzo e uno scudo di bronzo che gli copriva le spalle; aveva un giavellotto nella bandoliera e brandiva una lancia il cui ferro pesava seicento sicli. E sfidando Israele: «Schiavi di Saul, gridò, scegliete un campione che venga a misurarsi con me! Se mivince, saremo vostri schiavi, se lo vinco io, voi sarete nostri schiavi » – Saul e con lui tutti i figli d’Israele furono allora presi da spavento, Per un po’ di giorni il Filisteo si avanzò mattina e sera, rinnovando la sua sfida senza che nessuno osasse andargli incontro. Frattanto giunse al campo di Saul il giovane David, che veniva a trovare i suoi fratelli, e quando udì Golia e vide il terrore d’Israele, pieno di fede gridò: «Chi è dunque questo Filisteo, questo pagano che insulta l’esercito di Dio vivo? Nessuno d’Israele tema: io combatterò contro il gigante ». « Va, gli disse Saul, e che Dio sia con te! » David prese il suo bastone e la sua fionda, attraversa il letto del torrente, vi scelse cinque ciottoli rotondi e si avanzò arditamente verso il Filisteo. Golia vedendo quel fanciullo, lo disprezzò: « Sono forse un cane, che vieni contro di me col bastone? » E lo maledisse per tutti i suoi dèi. David gli rispose: « Io vengo contro di te in nome del Dio d’Israele, che tu hai insultato: oggi stesso tutto il mondo saprà che non è né per mezzo della spada, né per mezzo della lancia, che Dio si difende: Egli è il Signore e concede la vittoria a chi gli piace ». Allora il gigante si precipitò contro David: questi mise una pietra entro la sua fionda e dopo averla fatta girare la lanciò contro la fronte del gigante, che cadde di colpo a terra. David piombò su di lui e tratta dal fodero la spada di Golia, Io uccise tagliandogli la testa che innalzò per mostrarla ai Filistei. A questa vista i Filistei fuggirono e l’esercito di Israele innalzato il grido di guerra li insegui e li massacrò. « I figli d’Israele, commenta S. Agostino, si trovavano da quaranta giorni di fronte al nemico. Questi quaranta giorni per le quattro stagioni e per le quattro parti del mondo, significano la vita presente durante la quale il popolo cristiano non cessa mai dal combattere Golia e il suo esercito, cioè satana e i suoi diavoli. Tuttavia questo popolo non avrebbe potuto vincere se non fosse venuto il vero David, Cristo col suo bastone, cioè col mistero della croce. David, infatti, che era la figura di Cristo, usci dalle file, prese in mano il bastone e marciò contro il gigante: si vide allora rappresentata nella sua persona ciò che più tardi si compi in N. S. Gesù Cristo. Cristo, infatti, il vero David, venuto per combattere il Golia spirituale, cioè il demonio, ha portato da sé la sua croce. Considerate, o fratelli, in qual luogo David ha colpito Golia: in fronte ove non c’era il segno della croce; cosicché mentre il bastone significava la croce, cosi pure quella pietra con la quale colpì Golia rappresentava Cristo Signore. » (2° Notturno). Israele è la Chiesa, che soffre le umiliazioni che le impongono i nemici. Essa geme attendendo la sua liberazione (Ep.), invoca il Signore, che è la fortezza per i perseguitati (All.), «Il Signore che è un rifugio e un liberatore » (Com.), affinché le venga in aiuto « per paura che il nemico gridi: Io l’ho vinta » (Off.). E con fiducia essa dice: « Vieni in mio aiuto, o Signore, per la gloria del tuo nome, e liberami » (Grad.). « Il Signore è la mia salvezza, chi potrò temere? Il Signore è il baluardo della mia vita, chi mi farà tremare? Quando io vedrò schierato contro di me un esercito intero il mio cuore sarà senza paura. Sono i miei persecutori e i miei nemici che vacillano e cadono » (Intr.). Cosi sotto la guida della divina Provvidenza, la Chiesa serve Dio con gioia in una santa pace (Or.); il che ci viene mostrato dal Vangelo scelto in ragione della prossimità della festa del 29 giugno. Un evangeliario di Wurzbourg chiama questa domenica, Dominica ante natalem Apostolorum. Infatti è la barca di Pietro che Gesù sceglie per predicare, è a Simone che Gesù ordina di andare al largo, ed è infine Simone, che, dietro l’ordine del Maestro, getta le reti, che si riempiono in modo da rompersi; infine è Pietro che, al colmo dello stupore e dello spavento, adora il Maestro ed è scelto da Lui come pescatore d’uomini. « Questa barca, commenta S. Ambrogio, ci viene rappresentata da S. Matteo battuta dai flutti, da S. Luca ripiena di pesci; il che significa il periodo di lotta che la Chiesa ebbe al suo sorgere e la prodigiosa fecondità successiva. La barca che porta la sapienza e voga al soffio della fede non corre alcun pericolo: e. che cosa potrebbe temere avendo per pilota Quegli che è la sicurezza della Chiesa? Il pericolo s’incontra ove è poca fede; ma qui è sicurezza poiché l’amore è perfetto » (3° Nott.). Commentando il brano di Vangelo molto simile a questo (vedi mercoledì di Pasqua) ove S. Giovanni racconta una pesca miracolosa, che ebbe luogo dopo la Resurrezione del Salvatore, S. Gregorio scrive: « che cosa significa il mare se non l’età presente nella quale le lassitudini e le agitazioni della vita corruttibile assomigliano a flutti che senza tregua si urtano e si spezzano? Che cosa rappresenta la terra ferma della riva, se non la eternità del riposo d’oltre tomba? Ma poiché i discepoli si trovavano ancora in mezzo ai flutti della vita mortale, si affaticano sul mare, mentre il Signore, che si era spogliato della corruttibilità della carne, dopo la Risurrezione era sulla riva » (3° Notturno del mercoledì di Pasqua). In S. Matteo il Signore paragona « il regno dei cieli a una rete gettata in mare che raccoglie ogni sorta di pesci. E quando è piena, i pescatori la tirano a riva e prendono i buoni e rigettano i cattivi ». Orsù, coraggio: mettiamo tutta la nostra confidenza in Gesù. Egli ci salverà, mediante la Chiesa, dagli attacchi del demonio, come salvò per mezzo di David l’esercito d’Israele che temeva il gigante Golia.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 1; 2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum.

[Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 18-23.

“Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli: Ritengo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria futura, che deve manifestarsi in noi. Infatti il creato attende con viva ansia la manifestazione dei figli di Dio. Poiché il creato è stato assoggettato alla vanità non di volontà sua; ma di colui che ve l’ha assoggettato con la speranza che anch’esso creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, invero, che tutta quanta la creazione fino ad ora geme e soffre le doglie del parto. E non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi gemiamo in noi stessi attendendo l’adozione dei figliuoli di Dio, cioè la redenzione del nostro corpo”].

IL RE DELLA MUNIFICENZA.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

L’epistola d’oggi comincia con una frase celebre del grande Apostolo San Paolo. Già di queste frasi San Paolo ce ne ha lasciate molte. Era anche, umanamente parlando, uno scrittore così poderoso! « I dolori del tempo non sono proporzionati alle gioie dell’eternità » o più alla lettera « le sofferenze di questo mondo non sono coadeguate alla futura gloria che in noi dovrà manifestarsi ». – Se c’è un uomo che abbia molto faticato e sofferto a questo mondo, è proprio Lui, San Paolo. Faticato più di tutti i suoi colleghi, lo dice Lui con ispirato accento; e scusate se è poco! E pari alle fatiche i dolori ineffabili del suo apostolato, irto di difficoltà materiali, di morali contraddizioni; una vita così angosciosa da parere una morte, da poter egli chiamarla tale. « Quotidie morimur.» E non crediamo, che Paolo non sentisse tutto questo peso e tutte queste punture: era un forte, non era un insensibile. Anzi la sua era una sensibilità squisita. Soffriva atrocemente. Soffriva quando esercitava l’apostolato con quella sua foga impetuosa, soffriva quando era costretto all’inazione — a starsene, anche lui, uomo di azione, di zelo, « le braccia al sen conserte ». In tutto questo martirio apostolico, apostolato martirizzatore, c’era un conforto per S. Paolo, il vero, il grande conforto. Guardava in su, guardava in là. Tutto questo martirio doveva finire e trasformarsi: alla lotta doveva subentrare la vittoria, alla fatica il riposo, al patimento la gioia, alla umiliazione la gloria. L’Apostolo vi guarda con una fede inconcussa, che diviene speranza irremovibile. E trova che il premio sperato e promesso, promesso e sperato, è di gran lunga superiore alla posta che si richiede. « Non sunt condigno passiones huius temporis ad futuram gloriam que revelabitur în nobis; » parole auree che ciascun fedele può e deve ripetere per conto proprio, soggetto com’è ai dolori della prova, aperto come deve essere alla speranza del premio.Ma dunque, dirà qualcuno più saputello, ma dunque San Paolo è un calcolatore? che impiega il suo capitale al 100 per uno? anzi all’infinitoper uno? e di questo buon affare egoisticamente si compiace? e lo predica perché buono a tutti? Adagio alle conseguenze stiracchiate…Ben diversa da quella del calcolatore avido ed egoista, la figura spirituale di San Paolo e di quanti ripetono fidenti il suo gesto e la sua parola!Paolo è un innamorato di Dio del quale sa due cose; che Egli chiede ai suoi figliuoli e ai suoi soldati parecchio, che Egli darà loro moltissimo. Questa ricompensa Paolo non può non accettarla; ma accettandola, accettandola come ricompensa divina alla fatica umana, poiché è ricompensa, e Dio vuol che lo sia, accettandola dunque così, San Paolo vuole sentirla ancora più come una misericordia che una giustizia; vuol sentire nel Dio rimuneratore il Dio generoso. E il mezzo logico per rimanere in quella forma di sentimento è presto trovato. Pur meritandolo, nel senso che bisogna porre noi le condizioni « sine qua non » del premio che i desiderî avanza, il premio rimane sempre più un dono che un premio; premio per un decimo, dono per novantanove centesimi. Dio va con la sua ricompensa bene al di là del punto dove arriverebbero i nostri meriti. Tra il nostro «facere et pati» e il suo rimunerare non c’è proporzione, questo supera a dismisura quello. E ciò perché Dio è Dio e lo sarà sempre, è il Re della munificenza, della magnificenza. Re e Padre ha benignamente mascherato e maschera (prendete la parola con un po’ di grano di sale) il suo dono finale con la giustizia di un premio « corona justitiæ, » ma ha pagato e paga il suo premio con la esattezza del matematico e la tirchieria del mercante, colla generosità del principe. A noi l’essergli, come Padre, di ciò doppiamente grati.

Graduale

Ps LXXVIII: 9; 10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum?

V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos.

[Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX: 5; 10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja [Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V: 1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

(“In quel tempo mentre intorno a Gesù si affollavano le turbe per udire la parola di Dio, Egli se ne stava presso il lago di Genesaret. E vide due barche ferme a riva del lago; e ne erano usciti i pescatori, e lavavano le reti. Ed entrato in una barca, che era quella di Simone, richiese di allontanarsi alquanto da terra. E stando a sedere, insegnava dalla barca alle turbe. E finito che ebbe di parlare, disse a Simone: Avanzati in alto e gettate le vostre reti per la pesca. E Simone gli rispose, e disse: Maestro, essendoci noi affaticati per tutta la notte, non abbiamo preso nulla; nondimeno sulla tua parola getterò La rete. E fatto che ebbero questo, chiusero gran quantità di pesci: e si rompeva la loro rete. E fecero segno ai compagni, che erano in altra barca, che andassero ad aiutarli E andarono, ed empirono ambedue le barchette, di modo che quasi si affondavano. Veduto ciò Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, Signore, perché io son uomo peccatore. Imperocché ed egli, e quanti si trovavano con Lui, erano restati stupefatti della pesca che avevano fatto di pesci. E lo stesso era di Giacomo e di Giovanni, figliuoli di Zebedeo: compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere, da ora innanzi prenderai degli uomini. E tirate a riva le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguitarono”).

OMELIA

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla Speranza.

Diliges Dominum Deum tuum. (MATTH. XXII, 37).

È vero, F. M., che S. Agostino ci dice che, quand’anche non ci fosse né il cielo da sperare, né l’inferno da temere, non per questo bisognerebbe lasciare d’amare il buon Dio; perché Egli è infinitamente amabile e merita d’essere amato; tuttavia Dio, per incoraggiarci ad attaccarci a Lui ed amarlo sopra tutte le cose, ci promette una ricompensa eterna. Se noi compiamo degnamente sì bella opera, che costituisce tutta la felicità dell’uomo sulla terra, ci prepariamo la nostra felicità e la nostra gloria nel cielo. Se la fede c’insegna che Dio vede tutto, ch’Egli è testimonio di tutto ciò che facciamo e soffriamo, la virtù della speranza ci fa sopportare le nostre pene con un’intera sommissione alla sua santa volontà, col pensiero che ne saremo ricompensati per tutta l’eternità. Noi vediamo che fu appunto questa bella virtù che sostenne i martiri in mezzo ai loro tormenti, i solitari nei rigori delle loro penitenze, i santi, infermi o ammalati, nelle loro malattie. Sì, F. M., se la fede ci scopre dovunque Dio presente, la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, col felice pensiero d’una ricompensa eterna. Ora, poiché questa virtù addolcisce tanto i nostri mali, vediamo insieme in che cosa consiste questa bella e preziosa virtù della speranza.

1° Se noi abbiamo, F. M., la felicità di conoscere per mezzo della fede che c’è un Dio, il quale è nostro Creatore, nostro Salvatore e nostro sommo Bene, e non ci ha creati che per conoscerlo, amarlo, servirlo e possederlo; la speranza c’insegna che, sebbene indegni di questa felicità, noi possiamo aspirarvi per i meriti di Gesù Cristo. Per rendere, F. M., le nostre azioni degne d’essere ricompensate occorrono tre cose: la fede, che ci fa in esse veder Dio presente; la speranza, che ce le fa compiere con l’unico scopo di piacere a Lui; e l’amore, che ci attacca a Lui come al nostro sommo Bene. Sì, M. F., noi non conosceremo mai il grado di gloria che ogni azione ci procura nel cielo, se la facciamo puramente per amor di Dio; i santi stessi che sono in cielo non riescono a comprenderlo. Eccone un esempio meraviglioso. Leggiamo nella vita di S. Agostino che, scrivendo egli a S. Girolamo per domandargli di quale espressione bisognasse servirsi per far meglio sentire la grandezza della felicità che godono i santi in cielo; nel momento in cui scriveva, secondo il solito al principio di tutte le sue lettere, “Salute in Gesù Cristo Signor nostro, „ la sua camera fu illuminata da una luce affatto straordinaria, più bella che il sole in pieno meriggio e pregna di mille profumi; egli ne fu si rapito che per poco non ne morì di piacere. Nello stesso istante, sentì uscir da questa luce una voce e dirgli: “Ah! mio caro amico Agostino, tu mi credi ancor sulla terra: grazie a Dio, io sono in cielo. Tu vuoi domandarmi di qual termine si potrebbe servirsi per far meglio sentire la felicità che godono i santi: sappi, amico mio, che questa felicità è sì grande e tanto al di sopra di tutto ciò che una creatura possa pensare, che ti sarebbe più facile contare tutte le stelle del firmamento, metter l’acqua di tutti i mari in un’ampolla, stringer tutta la terra nella tua mano, che comprendere la felicità di chi è minimo fra i beati nel cielo. E avvenuto a me ciò che avvenne alla regina di Saba: ella aveva concepito una grande idea del re Salomone per la voce corsa della sua riputazione: ma dopo aver visto ella stessa il bell’ordine che regnava nel suo palazzo, la magnificenza senza pari, la scienza e la sapienza di questo re, ne fu sì meravigliata, si rapita che se ne ritornò a casa dicendo che tutto ciò che le si era detto non era nulla in confronto di quello che aveva visto ella medesima. Io ho fatto altrettanto per la bellezza del cielo e la felicità di cui godono i beati; credeva d’aver compreso qualche cosa di queste bellezze che sono rinchiuse nel cielo e della felicità di cui godono i santi; ma, malgrado tutti i pensieri più sublimi ch’io ho potuto concepire, tutto ciò non è nulla in confronto di quella felicità che forma il retaggio dei beati. „ – Leggiamo nella vita di S. Caterina da Siena che Dio le fece vedere qualcosa della bellezza del cielo e della sua felicità. Ella ne fu sì rapita che cadde in estasi. Ritornata in sé, il confessore le domandò che cosa il buon Dio le avesse fatto vedere. Rispose che Dio le aveva tatto vedere qualcosa della bellezza del cielo e della felicità dei santi, ma che era impossibile dirne la minima parte tanto sorpassava tutto ciò che noi possiamo pensare. Ebbene, P. M, ecco dove conducono le nostre buone azioni se noi le facciamo con lo scopo di piacere a Dio: ecco i beni che la virtù della speranza ci fa attendere e desiderare.

2° La virtù della speranza ci consola e ci sostiene nelle prove che il buon Dio ci manda. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona del santo Giobbe, là sul letamaio, coperto d’ulceri da capo a piedi. Aveva perduti tutti i suoi figli, rimasti schiacciati sotto le rovine della sua casa. Egli stesso si vide trascinato giù dal suo letto e buttato su di un letamaio all’angolo della via, e abbandonato da tutti: il suo povero corpo era tutto coperto di putredine; i vermi lo rodevano vivo, tanto ch’era costretto di toglierli con cocci di vasi infranti; era insultato persino da sua moglie, che, invece di consolarlo, lo copriva d’ingiurie, dicendogli: “Lo vedi, il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? Vedi come ti ricompensa? Domandagli la morte, che almeno ti libererà da’ tuoi mali!„ I suoi migliori amici pareva venissero a trovarlo unicamente per accrescere i suoi dolori. Tuttavia malgrado questo miserrimo stato in cui era ridotto, egli non cessava di sperar sempre in Dio. “No, mio Dio, diceva egli, io non cesserò mai di sperare in voi; mi toglieste anche la vita, io non lascerei di sperare in voi e d’avere una gran confidenza nella vostra bontà. — Perché, mio Dio. dovrei io scoraggiarmi o abbandonarmi alla disperazione? Io farò a Voi l’accusa dei miei peccati che sono la causa de’ miei mali; ma spero che voi, Voi stesso sarete il mio Salvatore. La mia speranza è che Voi mi ricompenserete un giorno dei mali ch’io soffro per vostro amore. Ecco, F. M., ciò che noi possiamo chiamare una speranza vera; poiché, non ostante gli sembrasse che tutta la collera di Dio fosse piombata su di lui, egli non cessava perciò di sperare in Dio. Senza esaminare il perché di tanti mali, si contenta di dire che sono effetto de’ suoi peccati. – Vedete voi, F. M., i grandi beni che la speranza gli procura? Tutti lo trovano infelice; e lui solo, sul suo letamaio, abbandonato da’ suoi e disprezzato dagli altri; lui solo si trova felice, perché mette la sua confidenza in Dio. Ah! se nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie, avessimo questa grande confidenza in Dio, quanti beni non accumuleremmo. per il cielo! Ahimè! quanto siamo ciechi, F. M.!Se invece di disperarci nelle nostre miserie, avessimo la ferma speranza che il buon Dio tutto questo c’invia come altrettanti mezzi per farci meritare il cielo, con quanta gioia non le soffriremmo! Ma, mi direte voi, che vuol dire questa parola: sperare? — Eccolo, F . M. Vuol dire sospirare a qualche cosa che deve renderci felici nell’altra vita; vuol dire desiderare ardentemente la liberazione dei mali di questa vita e desiderare il possesso d’ogni sorta di beni capaci di soddisfarci pienamente. Quando Adamo ebbe peccato e si vide oppresso da tante miserie, tutta la sua consolazione era nel pensiero che, non solo questi dolori gli meritavano il perdono del suo peccato, ma anche gli procuravano beni per il cielo. Quanto è grande la bontà di Dio, F. M., nel ricompensare con tanti beni la minima delle nostre azioni, e per tutta l’eternità! — Ma, per farci meritare questa felicità, il buon Dio vuole che noi abbiamo una grande confidenza in Lui, quasi fanciulli verso un buon padre. E per questo che noi lo vediamo in molti passi della sacra Scrittura, prendere il nome di Padre, affine d’inspirarci una maggior confidenza. Egli vuole che noi ricorriamo a Lui in tutte le nostre pene sia dell’anima, sia del corpo. Ci promette di soccorrerci tutte le volte che faremo ricorso a Lui. S’Egli prende il nome di Padre, è per inspirarci una maggior confidenza nella sua bontà. Vedete come ci ama! Per bocca del suo profeta Isaia, Egli ci ammaestra che ci porta nel proprio seno. “Una madre, dice, che porta il proprio figlio in seno non può dimenticarlo; e, quand’anche fosse tanto barbara da giungere anche a questo, Io non dimenticherò mai colui che mette la sua confidenza in me„ Egli si lamenta persino che non abbiamo abbastanza fiducia in Lui, e ci avverte di “non metter più la nostra confidenza nei re e nei principi, perché la nostra speranza sarà ingannata (Ps CXLV, 2). „ E va più innanzi ancora, poiché giunge fino a minacciar la sua maledizione se non avremo grande confidenza in Lui, e per bocca del suo profeta Isaia ci dice: “Maledetto colui che non mette la sua fiducia nel suo Dio!„ e più innanzi ” Benedetto colui che ha fiducia nel Signore ! „ (Ger. XVII, 5, 7). Vedete la parabola del Figliuol prodigo, ch’Egli propone con tanto piacere, affine d’inspirarci una grande confidenza in Lui. ” Un padre, ci dice, aveva un figlio che domandò ciò che poteva spettargli della eredità. Questo buon padre gli diede la sua parte di beni. E il figlio lo abbandona, parte per un paese straniero, e si lascia andare ad ogni sorta di disordini. Ma poco dopo, le sue dissolutezze l’avevano ridotto alla più grande miseria. Senza danaro e senza alcuna risorsa. Egli avrebbe voluto nutrirsi degli avanzi del cibo dei porci, da lui custoditi. Vedendosi oppresso da tanti mali, si ricordò d’aver abbandonato un buon padre, che lo aveva sempre colmato d’ogni sorta di benefizi in tutto il tempo ch’era rimasto presso di lui, e disse tra sé: “Mi alzerò e, colle lagrime agli occhi, andrò a gettarmi ai piedi di mio padre: egli è tanto buono che spero avrà ancor pietà di me. Gli dirò: “Mio tenero padre, io ho peccato contro di voi e contro il cielo: non merito più d’esser posto nel numero dei vostri figli; mettetemi tra i vostri servi e sarò ancor troppo felice. „ Ma che fa questo buon Padre? Gesù Cristo — e questo tenero padre è Lui stesso — ci dice che ben lungi dall’attendere che il figlio venga a gettarsi ai suoi piedi, appena lo scorge da lontano, egli stesso accorre per abbracciarlo. Il figlio vuol confessare i suoi peccati, ma il padre non permette più che gliene parli. “No, no, figlio mio, non è più questione di peccati; non pensiamo che a gioire.„ Questo buon padre invita tutti a ringraziare il buon Dio perché suo figlio morto è risuscitato, perché, dopo averlo perduto l’ha ritrovato. E per testimoniargli quanto lo ami, gli rende tutti i suoi diritti e la sua amicizia. (Luc. XV.). – Ebbene! ecco, F . M., come Gesù Cristo accoglie il peccatore ogni volta che ritorna a Lui: gli perdona non solo, ma gli rende tutti i beni che il peccato gli aveva rapiti. Dopo ciò, M. F., chi non avrà una grande fiducia nella carità del buon Dio? Egli va più innanzi e ci dice che quando noi abbiamo la fortuna d’abbandonare il peccato per amar Lui, tutto il cielo s’allieta. E se leggete più innanzi ancora, non vedete con qual premura Egli corre in cerca della pecorella smarrita? Una volta trovatala, ne prova tanta gioia che se la mette persino sulle spalle per evitarle la fatica del ritorno (Luc. XV). Vedete con qual bontà accoglie la Maddalena a’ suoi piedi, (Luc. VII),  con qual tenerezza la consola; e non solo la consola, ma la difende altresì contro gl’insulti dei farisei. Vedete con quanta carità e con quanto piacere perdona all’adultera; essa l’offende ed è proprio Lui che vuol farsi suo protettore e suo salvatore (Giov. VIII). Vedete la sua premura nel seguire la Samaritana; per salvare l’anima sua va Lui stesso ad aspettarla presso al pozzo di Giacobbe: le indirizza Lui per primo la parola per mostrarle anticipatamente la sua bontà; e mostra di chiederle acqua, per darle la sua grazia e il cielo (Ibid. IV). – Ditemi F. M., quali pretesti avremo noi per scusarci quando Egli ci mostrerà quanto era buono a nostro riguardo e come ci avrebbe ricevuti se avessimo voluto far ritorno? Con quanta gioia ci avrebbe perdonato e reso la sua grazia? Non potrà Egli dirci: Ah! infelice, se tu sei vissuto e morto nel peccato è perché non hai voluto uscirne; mentre Io desideravo tanto perdonarti! Vedete, M. F., quanto il buon Dio vuole che andiamo a Lui con confidenza nei nostri mali spirituali! Egli ci dice, per bocca del suo profeta Michea, che quand’anche i nostri peccati fossero così numerosi come le stelle del firmamento, come le gocce d’acqua del mare, come le foglie delle foreste e come i granelli d’arena chiusi nell’oceano, se noi ci convertiamo sinceramente, Egli ci promette che li dimenticherà tutti; e ci dice ancora che quand’anche i nostri peccati avessero reso l’anima nostra nera come il carbone o rossa come lo scarlatto, Egli ce la renderà candida come la neve. „ (Isai. I, 18) E soggiunge che Egli getta i nostri peccati nel caos del mare perché non appariscano mai più. Quanta carità, F. M., da parte di Dio! Con quanta confidenza non dobbiamo rivolgerci a Lui! Ma qual disperazione per un Cristiano dannato sapere quanto il buon Dio avrebbe desiderato perdonargli s’egli avesse voluto chiedergli perdono. F. M., se noi andremo dannati, bisognerà pur confessare che l’avremo voluto noi, poiché il buon Dio ci ha detto tante volte che voleva perdonarci. Ahimè, quanti rimorsi di coscienza, quanti buoni pensieri, quanti desiderii la voce di Dio ha suscitato in noi! O mio Dio! quanto è stolto l’uomo che si danna, mentre può così facilmente salvarsi! Ah! F. M., per convincerci di tutto questo, non abbiamo che da esaminare ciò ch’Egli ha fatto per noi durante i trentatré anni che visse sopra la terra. – Inoltre dobbiamo avere grande confidenza in Dio anche per i nostri bisogni temporali. Per eccitarci a rivolgerci a Lui con gran confidenza per ciò che riguarda il corpo, Egli ci assicura che avrà cura di noi; e noi stessi vediamo quanti miracoli ha fatto piuttosto che lasciarci mancare il necessario. Nella santa Scrittura vediamo ch’Egli ha nutrito il suo popolo per quarant’anni nel deserto, con la manna che cadeva ogni giorno dal cielo prima del levar del sole. Durante i quarant’anni che rimasero nel deserto i loro abiti non si logorarono punto. Nel Vangelo ci dice di non metterci in pena per ciò che riguarda il nutrimento e il vestito: “Guardate, ci dice, gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nulla nei granai; eppure, con quanta cura il Padre vostro celeste li nutre: non siete voi da più di loro? voi siete figliuoli di Dio. Uomini di poca fede, non mettetevi adunque in pena per ciò che mangerete o per ciò di cui vi vestirete. Guardate i gigli dei campi, come crescono: eppure non lavorano, non filano; vedete come sono vestiti: vi garantisco io che Salomone, in tutta la sua magnificenza, non fu mai vestito come uno di loro. So adunque, conclude questo divin Salvatore, se il Signore si prende tanta cura per vestire un’erba, che oggi è, e domani vien gettata a bruciare, con quanta maggior ragione non si prenderà cura di voi, che siete i suoi figli? Cercate adunque anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza.„ (Matt. VI). Vedete ancora quanto Egli vuole che abbiamo fiducia: “Quando mi pregherete, ci ammaestra, non dite: Mio Dio, ma Padre nostro, perché sappiamo che il figlio ha una fiducia illimitata in suo padre.„ Quando fu risorto, apparve a Maddalena e le disse: “Va da’ miei fratelli, e di’ loro ch’io ascendo al Padre mio, che è anche Padre vostro.„ (Giov. XX, 17). M. F., dunque non converrete voi meco che, se siamo tanto infelici sulla terra, ciò non può essere se non perché non abbiamo abbastanza fiducia in Dio?

3° In terzo luogo, F. M., dobbiamo avere grande fiducia in Dio nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie. Bisogna, che questa grande speranza del cielo ci sostenga e ci consoli; ecco ciò che hanno fatto tutti i santi. Leggiamo nella vita di S. Sinforiano che, mentre veniva condotto al martirio, sua madre, che l’amava davvero in Dio, salì sopra un muro per vederlo passare, e, levando la voce quanto poté, “Figlio mio, figlio mio, gli gridava, guarda il cielo; coraggio, figlio mio! ti sostenga la speranza del cielo! figlio, coraggio! se il cammino del cielo è difficile, è per altro molto breve.„ E questo fanciullo, animato dalle parole di sua madre, sostenne con grande intrepidezza i tormenti e la morte. S. Francesco di Sales aveva una sì grande fiducia in Dio, che pareva insensibile alle persecuzioni che gli si movevano. Egli diceva a se stesso: Poiché nulla avviene senza che Dio lo permetta, le persecuzioni non sono che pel nostro bene. „ Leggiamo nella sua vita che una volta fu orribilmente calunniato; eppure egli non perdé nulla della sua tranquillità ordinaria. Scrisse ad un amico che qualcuno l’aveva avvertito che si straziava la sua fama in un bel modo; ma ch’egli sperava che il buon Dio aveva ordinato tutto questo per la sua gloria e per la salute dell’anima sua. E si accontentò di pregare per quelli che lo calunniavano. Ecco, F. M., la fiducia che dobbiamo avere in Dio. Quando siamo perseguitati e disprezzati è segno che noi siamo davvero Cristiani, figli, cioè, di un Dio disprezzato e perseguitato.

4° In quarto luogo, M. F., se dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché siamo sicuri che non mancherà mai di venire in nostro soccorso in tutte le nostre pene, purché andiamo a Lui come figli al padre; dobbiamo avere altresì una grande fiducia nella sua santa Madre, che è tanto buona, e desidera tanto di aiutarci in tutti i nostri bisogni temporali, ma specialmente quando vogliamo tornare a Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci fa vergogna a confessarlo, gettiamoci a’ suoi piedi e siamo sicuri ch’ella ci otterrà la grazia di confessarci bene, e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il nostro perdono. Per darvene una prova, eccone un esempio mirabile. Si racconta nella storia che un uomo, per lungo tempo, condusse una vita molto cristiana, tanto da sperarne il cielo. Ma il demonio, che tutto fa a nostra rovina, lo tentò sì spesso e sì a lungo, che lo fece cadere in peccato grave. In seguito, rientrato in sé, comprese tutta l’enormità del suo peccato, e il primo pensiero fu di ricorrere al rimedio salutare della confessione. Ma ne concepì tanta vergogna che non poté mai determinarsi a confessarlo. Straziato dai rimorsi che non gli lasciavano un istante di riposo, prese l’insensata risoluzione d’annegarsi, sperando con ciò di metter fine a’ suoi tormenti. Ma giunto alla riva del fiume, fremette al pensiero dell’infelicità eterna in cui stava per precipitarsi, e se ne tornò piangendo a calde lacrime, e pregò il Signore di perdonargli senza ch’egli fosse obbligato a confessarsi. Credette ritrovare la pace dell’anima visitando molte chiese, facendo preghiere e penitenze; ma, non ostante le preghiere e le penitenze, i rimorsi lo perseguitavano sempre. Il buon Dio non voleva concedergli il perdono che per la protezione della sua santa Madre. Una notte ch’egli era immerso in una grande tristezza, si sentì fortemente inspirato d’andar a confessarsi. S’alzò di buon mattino e si portò alla chiesa; ma, quando fu là per confessarsi, si senti più che mai tormentato dalla vergogna del suo delitto, e non ebbe la forza di fare ciò che la grazia del buon Dio gli aveva inspirato. Qualche tempo dopo si ripeté la stessa cosa: si portò di nuovo alla chiesa, ma fu di nuovo trattenuto dalla vergogna e, in quel momento di disperazione, risolvé di morire piuttosto che dichiarare il suo peccato al confessore. Però gli venne in mente di: raccomandarsi alla santa Vergine. Prima di andare a prostrarsi ai piedi dell’altare della Madre di Dio, le mostrò il bisogno che aveva del suo soccorso, e la scongiurò con le lacrime agli occhi di non abbandonarlo. Quale bontà da parte della Madre di Dio, quanta premura a soccorrerlo! Non s’era ancora inginocchiato che tutte le sue pene scomparvero e si cambiò il suo cuore. Egli s’alzò pieno di coraggio e di fiducia, andò a trovare il suo confessore e gli confessò tutti i suoi peccati versando torrenti di lacrime. A mano a mano che confessava i suoi peccati gli pareva di togliersi un peso enorme dalla coscienza. In seguito, confessò che, quando ricevette l’assoluzione, provò maggior contento che se gli avessero donato tutto l’oro del mondo. Ahimè, F. M., quale sventura per quest’uomo, se non fosse ricorso alla santa Vergine. Ora brucerebbe nell’inferno. Sì, M. F., in tutte le nostre pene sia dell’anima sia del corpo, dopo che in Dio, ci occorre una grande fiducia nella santa Vergine. Ecco un altro esempio che varrà a inspirarci una tenera fiducia in Lei, specialmente quando vogliamo concepire un grande orrore del peccato. S. Alfonso de’ Liguori racconta che una gran peccatrice di nome Elena, essendo entrata in chiesa, il caso, o piuttosto la Provvidenza, che dispone di tutto per il bene dei suoi eletti, volle ch’ella sentisse un discorso sulla divozione al santo Rosario. Ebbe sì forte impressione da ciò che disse il predicatore sull’eccellenza e sui mirabili effetti di questa santa pratica che le venne il desiderio d’avere una corona. E subito dopo la predica l’acquistò; ma, per qualche tempo, aveva cura di nasconderla per timore che fosse vista e messa in ridicolo. In seguito cominciò a recitarla, ma con poco gusto e divozione. Ma qualche tempo dopo la santa Vergine le fece sentire tanta divozione e tanto piacere, ch’ella non sapeva più stancarsi di recitarla; e per mezzo di questa pratica di pietà, tanto accetta alla santa Vergine, meritò da Lei uno sguardo di compassione, che le fece concepire orrore della sua vita passata. La sua coscienza le divenne un inferno e non le lasciava più riposo né giorno né notte. Straziata continuamente da rimorsi implacabili, non poteva più resistere alla voce interiore, che le diceva che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per aver la pace ch’ella bramava tanto, e cercava ovunque senza trovarla mai: che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per tutti i mali dell’anima sua. Invitata da questa voce, condotta e incalzata dalla grazia, andò a gettarsi ai piedi del ministro del Signore e a lui confessa tutte le miserie dell’anima sua, tutti i suoi peccati; e lo fa con tanta contrizione, con tanta abbondanza di lacrime che il confessore, sommamente meravigliato, non sa a che attribuire questo miracolo della grazia. Finita la confessione, Elena va a presentarsi ai piedi dell’altare della santa Vergine, e là, penetrata dei sentimenti della più viva riconoscenza, “Ah! santissima Vergine, esclama, è vero, fin qui sono stata un mostro; ma voi, che siete tanto potente presso Dio, aiutatemi, di grazia, a correggermi: io voglio occupare il resto dei miei giorni a far penitenza.„ Da quel momento rientrò in sé, spezzò per sempre i vincoli delle funeste compagnie che l’avevano tenuta nei disordini, donò tutti i suoi beni ai poveri e si abbandonò a tutti i rigori della penitenza che il suo amore per Dio e il ribrezzo de’ suoi peccati poterono inspirarle. Iddio, per mostrare quanto le era grato per la fiducia che ella aveva avuto nella Madre sua, nell’ultima sua malattia le apparve insieme alla Ss. Vergine per confortarla. Ella rese così nelle loro mani la sua bell’anima che aveva sì bene purificata con le lacrime e la penitenza, di modo che, dopo il buon Dio, è alla protezione della santissima Vergine che questa gran penitente dovette la sua salvezza. – Ecco ancora un altro esempio, non meno ammirabile, di fiducia nella santa Vergine, il quale mostra quanto sia utile la divozione alla Madre di Dio per aiutarci a uscir dal peccato. Narra la storia che un giovine, ben educato da’ suoi genitori, ebbe la sventura di contrarre un’abitudine sciagurata che gli fu causa di un’infinità di peccati. Siccome aveva ancora il timor di Dio e desiderava rinunciare a’ suoi disordini, di quando in quando faceva qualche sforzo per uscirne; ma il peso delle sue malvagie abitudini lo trascinava sempre. Detestava il suo peccato, ma pure vi ricadeva ad ogni istante. Vedendo che non riusciva a correggersi, s’abbandonò allo scoraggiamento e prese la risoluzione di non confessarsi più. Il suo confessore, che non lo vedeva più venire al tempo fisso, volle fare un nuovo sforzo per ricondurre questa povera anima a Dio. Va a trovarlo in un momento in cui era solo a lavorare. Questo povero giovine, vedendo venire il sacerdote, cominciò a sospirare e ad emettere grida di lamento. “Che avete, amico mio, gli domanda il sacerdote? — Ah! io non mi correggerò mai e ho risoluto di tralasciar tutto. Che dite mai, mio caro? Io so invece che se voi farete ciò ch’io vi dirò, riuscirete a correggervi e otterrete il perdono. Andate subito a gettarvi ai piedi della santa Vergine e poi venite a trovarmi.„ Il giovine andò all’istante a gettarsi ai piedi di un altare della Madonna e, bagnando di lacrime il pavimento, la supplicò d’aver pietà di un’anima che aveva costato il Sangue di Gesù Cristo, suo divin Figlio, e che il demonio voleva trascinare nell’inferno. In quel momento senti nascere in sé una sì gran fiducia che si alzò e andò a confessarsi. La sua conversione fu sincera: tutte le sue malvage abitudini furono assolutamente distrutte, ed egli servì il buon Dio per tutta la sua vita. — Riconosciamolo tutti, F. M. che, se noi restiamo nel peccato, è proprio perché non vogliamo usare dei mezzi che la religione ci offre, né far ricorso con fiducia a questa buona Madre, che avrebbe tanta pietà anche di noi, come l’ebbe di tutti quelli che l’hanno pregata prima di noi.

5° In quinto luogo, o F. M., osservo che la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio e non al mondo. Noi dobbiamo cominciare a praticare questa virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, con fervore, pensando quanto grande sarà la ricompensa della nostra giornata se faremo bene tutto ciò che dovremo fare, col solo scopo di piacere a Dio. Dite, M. F., se in tutto ciò che facciamo avessimo la fortuna di pensare alla grande ricompensa che il buon Dio lega a ciascuna delle nostre azioni, di quali sentimenti di rispetto e d’amore non saremmo noi penetrati! Vedete come sarebbero pure le nostre intenzioni facendo l’elemosina. — Ma, mi direte voi, quando io faccio qualche elemosina, è appunto per il buon Dio che la faccio, non per il mondo. — Però, M. F., noi siamo ben contenti quando ci si vede, quando ci si loda, e ci piace anche dirlo noi altri di nostra bocca. Nel nostro cuore amiamo pensarvi e ci compiacciamo nel nostro interno; — ma, se avessimo questa bella virtù nell’anima, non cercheremmo che Dio: il mondo non ci sarebbe per nulla, né cureremmo noi stessi. Non meravigliamoci adunque, F. M., se facciamo sì male le nostre azioni. È perché non pensiamo davvero alla ricompensa che il buon Dio vi annette, se le facciamo unicamente per piacere a Lui. Quando facciamo un favore a qualcuno che, ben lontano d’esserci riconoscente, ci paga d’ingratitudine, se avessimo questa bella virtù della speranza, noi ne saremmo ben contenti, pensando che la nostra ricompensa sarà ben più grande presso Dio. Francesco di Sales ci dice che, se si presentassero a lui due persone per ricevere qualche beneficio, egli sceglierebbe quella che crederebbe meno riconoscente, perché il merito sarebbe più grande presso Dio. E il santo re Davide diceva che, quando faceva qualche cosa,la faceva sempre alla presenza di Dio, come se dovesse essere giudicato subito dopo per riceverne la ricompensa; ciò che lo portava a far bene tutto ciò che faceva per piacere a Dio solo. Infatti, quelli che non hanno questa virtù della speranza fanno tutto per il mondo o per farsi amare o stimare, e perdono ogni ricompensa. – Dicevo che dobbiamo avere grande fiducia inDio nelle nostre malattie e nei nostri affanni: è precisamente qui dove il buon Dio ci attende per vedere se gli mostreremo una grande fiducia. Leggiamo nella vita di S. Elzeario che la gente del mondo lo scherzava pubblicamente per la sua devozione; e i libertini se ne facevano giuoco. Santa Delfina gli disse un giorno che il disprezzo che si faceva della sua persona ricadeva sulla sua virtù. – Ahimè! rispose egli piangendo, quando penso a tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto per me. io ne sono sì commosso che, quand’anche mi cavassero gli occhi, non avrei parole per lamentarmi pensando alla gran ricompensa di quelli che soffrono per amor di Dio: qui è tutta la mia speranza, e ciò che mi sostiene in tutte le mie pene. „ E si capisce. Che cosa mai può consolare un povero ammalato nelle sue pene se non la grandezza della ricompensa che il buon Dio gli promette nell’altra vita? – Leggiamo nella storia che un predicatore, essendo andato a predicare in un ospedale, tenne un discorso sulle sofferenze. Egli dimostrò come le sofferenze ci acquistino grandi meriti per il cielo, e quanto un’anima che soffre con pazienza è accetta al buon Dio. Nello stesso ospedale v’era un povero ammalato che da molti anni soffriva assai, ma, sventuratamente sempre lamentandosi. Il discorso gli fece comprendere quanti beni egli aveva perduto pel cielo, sicché dopo la predica, cominciò a piangere e a singhiozzare in modo fuori del solito. Un sacerdote che lo vide gli domandò perché si abbandonasse a così grande affanno e se qualcuno l’avesse offeso, aggiungendo che, nella sua qualità d’amministratore egli poteva fargli render giustizia. “Oh! no, signore, rispose il povero uomo, nessuno mi ha offeso, ma io stesso mi son fatto troppo gran torto. — Come? gli domandò il sacerdote. — Ah! reverendo, quanti beni ho perduto in tanti anni ch’io soffro, e nei quali avrei tanto meritato per il cielo se avessi avuto la fortuna di sopportare i miei mali con pazienza! Ahimè! quanto grande è la mia sventura! Io che mi credevo così degno di compassione, se avessi ben compreso il mio stato, sarei il più felice nomo del mondo.„ Ah! F. M., quanti dovranno tener lo stesso linguaggio in punto di morte, mentre se avessero avuto la fortuna di sopportarle in pace per il buon Dio, le loro pene, le quali non hanno servito che a perderli per il cattivo uso che ne hanno fatto, li avrebbero condotti al cielo. Si domandò un giorno a una povera donna che da lungo tempo soffriva in letto mali terribili, e che tuttavia si mostrava sempre contenta, le si domandò, dico, che cosa potesse sostenerla in uno stato sì lacrimevole.” Quando penso, rispose ella, che il buon Dio vede tutte le mie sofferenze e me ne compenserà per tutta l’eternità, io ne provo tanta gioia, soffro con tanto piacere, che non cambierei il mio stato con tutti gl’imperi del mondo. ,, Convenite meco, F . M., che quelli che hanno questa bella virtù nel cuore, cambiano ben presto il dolore in dolcezza. – Ah! F. M. se noi vediamo tanti infelici nel mondo maledire la loro esistenza e passar la loro povera vita in una specie d’inferno per gli affanni e la disperazione che li perseguitano ovunque, sappiate che tutte queste sventure non provengono che dal non voler essi metter la loro confidenza in Dio, né pensare alla grande ricompensa che li attende in cielo. – Leggiamo nella vita di S. Felicita che, temendo ella che il più piccolo de’ suoi figliuoli non avesse il coraggio di sostenere il martirio, “Figlio mio, gli gridava, guarda il cielo che sarà la tua ricompensa: ancora un istante e tutti i tuoi dolori saranno finiti. „ Tali parole, uscite dalla bocca d’una madre, diedero tanta forza a quel piccolo fanciullo, che abbandonò con una gioia incredibile il suo povero corpicino a tutti i tormenti che i carnefici vollero infliggergli. E S. Francesco Saverio ci dice che, essendo tra i barbari, ebbe a soffrire senz’alcun conforto, tutto ciò che gli idolatri potevano inventare; ma ch’egli aveva posto la sua fiducia in Dio per modo da dover riconoscere che il buon Dio l’aveva sempre soccorso in maniera visibile. Gesù Cristo, per mostrarci quanto dobbiamo aver confidenza in Lui e non temer mai di domandargli ciò che ci è necessario per l’anima o por il corpo, ci dice nell’Evangelo che un uomo essendo andato di notte a domandar tre pani a un suo amico per offrirli a uno ch’era venuto a trovarlo, l’amico gli rispose ch’era già in letto co’ suoi figliuoli e che non bisognava incomodarlo. Ma il primo continuò a pregarlo, dicendo che non aveva neppur un pane da offrire al suo ospite. E l’altro fini per dargli ciò che domandava, non perché  fosse suo amico, ma per liberarsi da un importuno. Di qui, conclude Gesù Cristo: “Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto; e siate sicuri che ogni volta che domanderete qualcosa al mio Padre in Nome mio, voi l’otterrete. „ – Da ultimo soggiungo che la nostra speranza dev’essere universale, che dobbiamo cioè ricorrere a Dio in tutto ciò che ci possa accadere. Se siamo ammalati abbiamo grande fiducia in Lui, giacché è Lui stesso quegli che ha guarito tanti infermi durante la sua vita mortale: e se la mostra salute può contribuire alla sua gloria ed alla salvezza dell’anima nostra, siamo sicuri di ottenerla, se invece ne sarà più utile la malattia, Egli ci darà la forza di sopportarla con pazienza per ricompensarcene poi nell’eternità. — Se ci troviamo in qualche pericolo, imitiamo i tre fanciulli che il re aveva fatto gettare nella fornace di Babilonia. Essi posero talmente la loro fiducia in Dio. che il fuoco non fece che abbruciare le corde che li legavano; così che essi passarono tranquilli nella fornace ardente come in un giardino di delizie. — Siamo noi tentati? Mettiamo la nostra fiducia in Gesù Cristo e saremo sicuri di non soccombere. Questo tenero Salvatore ci ha meritato la vittoria nelle tentazioni lasciandosi tentare Egli stesso. — Siamo noi impigliati in una cattiva abitudine? temiamo di non poterne uscire? abbiamo fiducia in Dio, poiché Egli ci ha meritato ogni sorta di grazie per vincere il demonio. — Ecco, F. M., di che consolarci nelle miserie che sono inseparabili dalla vita. Ma udite ciò che dice S. Giovanni Crisostomo: « Per meritare tanta fortuna, non bisogna essere presuntuosi, esponendoci al pericolo di peccare. Il buon Dio ci ha promesso la sua grazia solo a patto che, da parte nostra, facciamo tutto il possibile per evitare le occasioni del peccato. Bisogna altresì guardarci dall’abusare della pazienza del buon Dio restando nel peccato, col pretesto che Dio ci perdonerà anche se tardiamo a confessarci. Guardiamocene bene, finché duriamo nel peccato, noi siamo in gran pericolo di cader nell’inferno; e tutto il pentirci che faremo alla morte, se saremo restati volontariamente nel peccato, non ci assicurerà affatto della nostra salvezza; perché avendo potuto uscirne, non l’avremo fatto. » Ah, noi insensati! Come mai osiamo restare nel peccato mentre non siamo certi neppur d’un minuto di vita? Nostro Signore ci ha detto che la morte verrà proprio quando meno ci penseremo. Aggiungo, che se non dobbiamo sperar troppo, non bisogna neppur disperare della misericordia di Dio, che è infinita. La disperazione è un peccato più grande di tutti quelli che possiamo aver commessi, perché siamo sicuri che Dio non ci rifiuterà mai il suo perdono se ritorneremo a Lui sinceramente. La grandezza dei nostri peccati non deve farci temere di non poter più ottenerne il perdono, perché tutti i nostri peccati in confronto della misericordia di Dio sono ancor meno d’un granello di sabbia in confronto di una montagna. Se Caino, dopo aver ucciso il fratello, avesse voluto chieder perdono a Dio, egli ne sarebbe stato sicuro. Se Giuda si fosse gettato ai piedi di Gesù Cristo per pregarlo di perdonargli, Gesù Cristo avrebbe rimesso anche a lui, come già a S. Pietro, il suo peccato. – Concludiamo. Volete voi ch’io vi dica perché si sta così a lungo nel peccato e perché ci angustiamo tanto per il momento in cui bisogna accusarsene? E perché noi siamo orgogliosi, e non per altro. Se avessimo l’umiltà non resteremmo mai nel peccato, né temeremmo affatto d’accusarlo. Domandiamo a Dio, F. M., il disprezzo di noi stessi e noi temeremo il peccato e lo confesseremo, subito appena commesso. Concludo dicendovi che dobbiamo domandar sovente a Dio questa bella virtù della speranza, che ci farà compiere tutte le nostre azioni con l’intenzione di piacere a Dio solo. Guardiamoci bene dal disperare giammai nelle malattie e nei nostri affanni. Pensiamo che tutte queste cose non sono che altrettanti beni che Dio ci manda perché formino il pegno di quella ricompensa eterna ch’io vi auguro di cuore…

 IL CREDO

 Offertorium

Orémus Ps XII: 4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum.

[Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes.

[Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XVII: 3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus.

[Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per …

[Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA SPERANZA

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla Speranza.

Diliges Dominum Deum tuum.

(MATTH. XXII, 37).

È vero, F. M., che S. Agostino ci dice che, quand’anche non ci fosse né il cielo da sperare, né l’inferno da temere, non per questo bisognerebbe lasciare d’amare il buon Dio; perché Egli è infinitamente amabile e merita d’essere amato; tuttavia Dio, per incoraggiarci ad attaccarci a Lui ed amarlo sopra tutte le cose, ci promette una ricompensa eterna. Se noi compiamo degnamente sì bella opera, che costituisce tutta la felicità dell’uomo sulla terra, ci prepariamo la nostra felicità e la nostra gloria nel cielo. Se la fede c’insegna che Dio vede tutto, ch’Egli è testimonio di tutto ciò che facciamo e soffriamo, la virtù della speranza ci fa sopportare le nostro pene con un’intera sommissione alla sua santa volontà, col pensiero che ne saremo ricompensati per tutta l’eternità. Noi vediamo che fu appunto questa bella virtù che sostenne i martiri in mezzo ai loro tormenti, i solitari nei rigori delle loro penitenze, i santi, infermi o ammalati, nelle loro malattie. Sì, F. M., se la fede ci scopre dovunque Dio presente, la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, col felice pensiero d’una ricompensa eterna. Ora, poiché questa virtù addolcisce tanto i nostri mali, vediamo insieme in che cosa consiste questa bella e preziosa virtù della speranza.

1° Se noi abbiamo, F. M., la felicità di conoscere per mezzo della fede che c’è un Dio, il quale è nostro Creatore, nostro Salvatore e nostro sommo Bene, e non ci ha creati che per conoscerlo, amarlo, servirlo e possederlo; la speranza c’insegna che, sebbene indegni di questa felicità, noi possiamo aspirarvi per i meriti di Gesù Cristo. Per rendere, F. M., le nostre azioni degne d’essere ricompensate occorrono tre cose: la fede, che ci fa in esse veder Dio presente; la speranza, che ce le fa compiere con l’unico scopo di piacere a Lui; e l’amore, che ci attacca a Lui come al nostro sommo Bene. Sì, M. F., noi non conosceremo mai il grado di gloria che ogni azione ci procura nel cielo, se la facciamo puramente per amor di Dio; i santi stessi che sono in cielo non riescono a comprenderlo. Eccone un esempio meraviglioso. Leggiamo nella vita di S. Agostino che, scrivendo egli a S. Girolamo per domandargli di quale espressione bisognasse servirsi per far meglio sentire la grandezza della felicità che godono i santi in cielo; nel momento in cui scriveva, secondo il solito al principio di tutte le sue lettere, “Salute in Gesù Cristo Signor nostro, „ la sua camera fu illuminata da una luce affatto straordinaria, più bella che il sole in pieno meriggio e pregna di mille profumi; egli ne fu si rapito che per poco non ne morì di piacere. Nello stesso istante, sentì uscir da questa luce una voce e dirgli: “Ah! mio caro amico Agostino, tu mi credi ancor sulla terra: grazie a Dio, io sono in cielo. Tu vuoi domandarmi di qual termine si potrebbe servirsi per far meglio sentire la felicità che godono i santi: sappi, amico mio, che questa felicità è sì grande e tanto al di sopra di tutto ciò che una creatura possa pensare, che ti sarebbe più facile contare tutte le stelle del firmamento, metter l’acqua di tutti i mari in un’ampolla, stringer tutta la terra nella tua mano, che comprendere la felicità di chi è minimo fra i beati nel cielo. E avvenuto a me ciò che avvenne alla regina di Saba: ella aveva concepito una grande idea del re Salomone per la voce corsa della sua riputazione: ma dopo aver visto ella stessa il bell’ordine che regnava nel suo palazzo, la magnificenza senza pari, la scienza e la sapienza di questo re. ne fu sì meravigliata, si rapita che se ne ritornò a casa dicendo che tutto ciò che le si era detto non era nulla in confronto di quello che aveva visto ella medesima. Io ho fatto altrettanto per la bellezza del cielo e la felicità di cui godono i beati; credeva d’aver compreso qualche cosa di queste bellezze che sono rinchiuse nel cielo e della felicità di cui godono i santi; ma, malgrado tutti i pensieri più sublimi ch’io ho potuto concepire, tutto ciò non è nulla in confronto di quella felicità che forma il retaggio dei beati. „ – Leggiamo nella vita di S. Caterina da Siena che Dio le fece vedere qualcosa della bellezza del cielo e della sua felicità. Ella ne fu sì rapita che cadde in estasi. Ritornata in sé, il confessore le domandò che cosa il buon Dio le avesse fatto vedere. Rispose che Dio le aveva tatto vedere qualcosa della bellezza del cielo e della felicità dei santi, ma che era impossibile dirne la minima parte tanto sorpassava tutto ciò che noi possiamo pensare. Ebbene, P. M, ecco dove conducono le nostre buone azioni se noi le facciamo con lo scopo di piacere a Dio: ecco i beni che la virtù della speranza ci fa attendere e desiderare.

2° La virtù della speranza ci consola e ci sostiene nelle prove che il buon Dio ci manda. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona del santo Giobbe, là sul letamaio, coperto d’ulceri da capo a piedi. Aveva perduti tutti i suoi figli, rimasti schiacciati sotto le rovine della sua casa. Egli stesso si vide trascinato giù dal suo letto e buttato su di un letamaio all’angolo della via, e abbandonato da tutti: il suo povero corpo era tutto coperto di putredine; i vermi lo rodevano vivo, tanto ch’era costretto di toglierli con cocci di vasi infranti; era insultato persino da sua moglie, che, invece di consolarlo, lo copriva d’ingiurie, dicendogli: “Lo vedi, il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? Vedi come ti ricompensa? Domandagli la morte, che almeno ti libererà da’ tuoi mali!„ I suoi migliori amici pareva venissero a trovarlo unicamente per accrescere i suoi dolori. Tuttavia malgrado questo miserrimo stato in cui era ridotto, egli non cessava di sperar sempre in Dio. “No, mio Dio, diceva egli, io non cesserò mai di sperare in voi; mi toglieste anche la vita, io non lascerei di sperare in voi e d’avere una gran confidenza nella vostra bontà. — Perché, mio Dio. dovrei io scoraggiarmi o abbandonarmi alla disperazione? Io farò a Voi l’accusa dei miei peccati che sono la causa de’ miei mali; ma spero che voi, Voi stesso sarete il mio Salvatore. La mia speranza è che Voi mi ricompenserete un giorno dei mali ch’io soffro per vostro amore. Ecco, F. M., ciò che noi possiamo chiamare una speranza vera; poiché, non ostante gli sembrasse che tutta la collera di Dio fosse piombata su di lui, egli non cessava perciò di sperare in Dio. Senza esaminare il perché di tanti mali, si contenta di dire che sono effetto de’ suoi peccati. – Vedete voi, F. M., i grandi beni che la speranza gli procura? Tutti lo trovano infelice; e lui solo, sul suo letamaio, abbandonato da’ suoi e disprezzato dagli altri; lui solo si trova felice, perché mette la sua confidenza in Dio. Ah! se nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie, avessimo questa grande confidenza in Dio, quanti beni non accumuleremmoper il cielo! Ahimè! quanto siamo ciechi, F. M.!Se invece di disperarci nelle nostre miserie, avessimo la ferma speranza che il buon Dio tutto questo c’invia come altrettanti mezzi per farci meritare il cielo, con quanta gioia non le soffriremmo! Ma, mi direte voi, che vuol dire questa parola: sperare? — Eccolo, F . M. Vuol dire sospirare a qualche cosa che deve renderci felici nell’altra vita; vuol dire desiderare ardentemente la liberazione dei mali di questa vita e desiderare il possesso d’ogni sorta di beni capaci di soddisfarci pienamente. Quando Adamo ebbe peccato e si vide oppresso da tante miserie, tutta la sua consolazione era nel pensiero che, non solo questi dolori gli meritavano il perdono del suo peccato, ma anche gli procuravano beni per il cielo. Quanto è grande la bontà di Dio, F. M., nel ricompensare con tanti beni la minima delle nostre azioni, e per tutta l’eternità! — Ma, per farci meritare questa felicità, il buon Dio vuole che noi abbiamo una grande confidenza in Lui, quasi fanciulli verso un buon padre. E per questo che noi lo vediamo in molti passi della sacra Scrittura, prendere il nome di Padre, affine d’inspirarci una maggior confidenza. Egli vuole che noi ricorriamo a Lui in tutte le nostre pene sia dell’anima, sia del corpo. Ci promette di soccorrerci tutte le volte che faremo ricorso a Lui. S’Egli prende il nome di Padre, è per inspirarci una maggior confidenza nella sua bontà. Vedete come ci ama! Per bocca del suo profeta Isaia, Egli ci ammaestra che ci porta nel proprio seno. “Una madre, dice, che porta il proprio figlio in seno non può dimenticarlo; e, quand’anche fosse tanto barbara da giungere anche a questo, Io non dimenticherò mai colui che mette la sua confidenza in me„ Egli si lamenta persino che non abbiamo abbastanza fiducia in Lui, e ci avverte di “non metter più la nostra confidenza nei re e nei principi, perché la nostra speranza sarà ingannata (Ps CXLV, 2). „ E va più innanzi ancora, poiché giunge fino a minacciar la sua maledizione se non avremo grande confidenza in Lui, e per bocca del suo profeta Isaia ci dice: “Maledetto colui che non mette la sua fiducia nel suo Dio!„ e più innanzi ” Benedetto colui che ha fiducia nel Signore ! „ (Ger. XVII, 5, 7). Vedete la parabola del Figliuol prodigo, ch’Egli propone con tanto piacere, affine d’inspirarci una grande confidenza in Lui. ” Un padre, ci dice, aveva un figlio che domandò ciò che poteva spettargli della eredità. Questo buon padre gli diede la sua parte di beni. E il figlio lo abbandona, parte per un paese straniero, e si lascia andare ad ogni sorta di disordini. Ma poco dopo, le sue dissolutezze l’avevano ridotto alla più grande miseria. Senza danaro e senza alcuna risorsa. Egli avrebbe voluto nutrirsi degli avanzi del cibo dei porci, da lui custoditi. Vedendosi oppresso da tanti mali, si ricordò d’aver abbandonato un buon padre, che lo aveva sempre colmato d’ogni sorta di benefizi in tutto il tempo ch’era rimasto presso di lui, e disse tra sé: “Mi alzerò e, colle lagrime agli occhi, andrò a gettarmi ai piedi di mio padre: egli è tanto buono che spero avrà ancor pietà di me. Gli dirò: “Mio tenero padre, io ho peccato contro di voi e contro il cielo: non merito più d’esser posto nel numero dei vostri figli; mettetemi tra i vostri servi e sarò ancor troppo felice. „ Ma che fa questo buon Padre? Gesù Cristo — e questo tenero padre è Lui stesso — ci dice che ben lungi dall’attendere che il figlio venga a gettarsi ai suoi piedi, appena lo scorge da lontano, egli stesso accorre per abbracciarlo. Il figlio vuol confessare i suoi peccati, ma il padre non permette più che gliene parli. “No, no, figlio mio, non è più questione di peccati; non pensiamo che a gioire.„ Questo buon padre invita tutti a ringraziare il buon Dio perché suo figlio morto è risuscitato, perché, dopo averlo perduto l’ha ritrovato. E per testimoniargli quanto lo ami, gli rende tutti i suoi diritti e la sua amicizia. (Luc. XV.). – Ebbene! ecco, F . M., come Gesù Cristo accoglie il peccatore ogni volta che ritorna a Lui: gli perdona non solo, ma gli rende tutti i beni che il peccato gli aveva rapiti. Dopo ciò, M. F., chi non avrà una grande fiducia nella carità del buon Dio? Egli va più innanzi e ci dice che quando noi abbiamo la fortuna d’abbandonare il peccato per amar Lui, tutto il cielo s’allieta. E se leggete più innanzi ancora, non vedete con qual premura Egli corre in cerca della pecorella smarrita? Una volta trovatala, ne prova tanta gioia che se la mette persino sulle spalle per evitarle la fatica del ritorno (Luc. XV). Vedete con qual bontà accoglie la Maddalena a’ suoi piedi, (Luc. VII),  con qual tenerezza la consola; e non solo la consola, ma la difende altresì contro gl’insulti dei farisei. Vedete con quanta carità e con quanto piacere perdona all’adultera; essa l’offende ed è proprio Lui che vuol farsi suo protettore e suo salvatore (Giov. VIII). Vedete la sua premura nel seguire la Samaritana; per salvare l’anima sua va Lui stesso ad aspettarla presso al pozzo di Giacobbe: le indirizza Lui per primo la parola per mostrarle anticipatamente la sua bontà; e mostra di chiederle acqua, per darle la sua grazia e il cielo (Ibid. IV). – Ditemi F. M., quali pretesti avremo noi per scusarci quando Egli ci mostrerà quanto era buono a nostro riguardo e come ci avrebbe ricevuti se avessimo voluto far ritorno? Con quanta gioia ci avrebbe perdonato e reso la sua grazia? Non potrà Egli dirci: Ah! infelice, se tu sei vissuto e morto nel peccato è perché non hai voluto uscirne; mentre Io desideravo tanto perdonarti! Vedete, M. F., quanto il buon Dio vuole che andiamo a Lui con confidenza nei nostri mali spirituali! Egli ci dice, per bocca del suo profeta Michea, che quand’anche i nostri peccati fossero così numerosi come le stelle del firmamento, come le gocce d’acqua del mare, come le foglie delle foreste e come i granelli d’arena chiusi nell’oceano, se noi ci convertiamo sinceramente, Egli ci promette che li dimenticherà tutti; e ci dice ancora che quand’anche i nostri peccati avessero reso l’anima nostra nera come il carbone o rossa come lo scarlatto, Egli ce la renderà candida come la neve. „ (Isai. I, 18). E soggiunge che Egli getta i nostri peccati nel caos del mare perché non appariscano mai più. Quanta carità, F. M., da parte di Dio! Con quanta confidenza non dobbiamo rivolgerci a Lui! Ma qual disperazione per un Cristiano dannato sapere quanto il buon Dio avrebbe desiderato perdonargli s’egli avesse voluto chiedergli perdono. F. M., se noi andremo dannati, bisognerà pur confessare che l’avremo voluto noi, poiché il buon Dio ci ha detto tante volte che voleva perdonarci. Ahimè, quanti rimorsi di coscienza, quanti buoni pensieri, quanti desiderii la voce di Dio ha suscitato in noi! O mio Dio! quanto è stolto l’uomo che si danna, mentre può così facilmente salvarsi! Ah! F. M., per convincerci di tutto questo, non abbiamo che da esaminare ciò ch’Egli ha fatto per noi durante i trentatré anni che visse sopra la terra. – Inoltre dobbiamo avere grande confidenza in Dio anche per i nostri bisogni temporali. Per eccitarci a rivolgerci a Lui con gran confidenza per ciò che riguarda il corpo, Egli ci assicura che avrà cura di noi; e noi stessi vediamo quanti miracoli ha fatto piuttosto che lasciarci mancare il necessario. Nella santa Scrittura vediamo ch’Egli ha nutrito il suo popolo per quarant’anni nel deserto, con la manna che cadeva ogni giorno dal cielo prima del levar del sole. Durante i quarant’anni che rimasero nel deserto i loro abiti non si logorarono punto. Nel Vangelo ci dice di non metterci in pena per ciò che riguarda il nutrimento e il vestito: “Guardate, ci dice, gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nulla nei granai; eppure con quanta cura il Padre vostro celeste li nutre: non siete voi da più di loro? voi siete figliuoli di Dio. Uomini di poca fede, non mettetevi adunque in pena per ciò che mangerete o per ciò di cui vi vestirete. Guardate i gigli dei campi, come crescono: eppure non lavorano, non filano; vedete come sono vestiti: vi garantisco io che Salomone, in tutta la sua magnificenza, non fu mai vestito come uno di loro. So adunque, conclude questo divin Salvatore, se il Signore si prende tanta cura per vestire un’erba, che oggi è, e domani vien gettata a bruciare, con quanta maggior ragione non si prenderà cura di voi, che siete i suoi figli? Cercate adunque anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza.„ (Matt. VI). Vedete ancora quanto Egli vuole che abbiamo fiducia: “Quando mi pregherete, ci ammaestra, non dite: Mio Dio, ma Padre nostro, perché sappiamo che il figlio ha una fiducia illimitata in suo padre.„ Quando fu risorto, apparve a Maddalena e le disse: “Va da’ miei fratelli, e di’ loro ch’io ascendo al Padre mio, che è anche Padre vostro.„ (Giov. XX, 17). M. F., dunque non converrete voi meco che, se siamo tanto infelici sulla terra, ciò non può essere se non perché non abbiamo abbastanza fiducia in Dio?

3° In terzo luogo, F. M., dobbiamo avere grande fiducia in Dio nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie. Bisogna, che questa grande speranza del cielo ci sostenga e ci consoli; ecco ciò che hanno fatto tutti i santi. Leggiamo nella vita di S. Sinforiano che, mentre veniva condotto al martirio, sua madre, che l’amava davvero in Dio, salì sopra un muro per vederlo passare, e, levando la voce quanto poté, “Figlio mio, figlio mio, gli gridava, guarda il cielo; coraggio, figlio mio! ti sostenga la speranza del cielo! figlio, coraggio! se il cammino del cielo è difficile, è per altro molto breve.„ E questo fanciullo, animato dalle parole di sua madre, sostenne con grande intrepidezza i tormenti e la morte. S. Francesco di Sales aveva una sì grande fiducia in Dio, che pareva insensibile alle persecuzioni che gli si movevano. Egli diceva a se stesso: Poiché nulla avviene senza che Dio lo permetta, le persecuzioni non sono che pel nostro bene. „ Leggiamo nella sua vita che una volta fu orribilmente calunniato; eppure egli non perdé nulla della sua tranquillità ordinaria. Scrisse ad un amico che qualcuno l’aveva avvertito che si straziava la sua fama in un bel modo; ma ch’egli sperava che il buon Dio aveva ordinato tutto questo per la sua gloria e per la salute dell’anima sua. E si accontentò di pregare per quelli che lo calunniavano. Ecco, F. M., la fiducia che dobbiamo avere in Dio. Quando siamo perseguitati e disprezzati è segno che noi siamo davvero Cristiani, figli, cioè, di un Dio disprezzato e perseguitato.

4° In quarto luogo, M. F., se dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché  siamo sicuri che non mancherà mai di venire in nostro soccorso in tutte le nostre pene, purché andiamo a Lui come figli al padre; dobbiamo avere altresì una grande fiducia nella sua santa Madre, che è tanto buona, e desidera tanto di aiutarci in tutti i nostri bisogni temporali, ma specialmente quando vogliamo tornare a Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci fa vergogna a confessarlo, gettiamoci a’ suoi piedi e siamo sicuri ch’ella ci otterrà la grazia di confessarci bene, e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il nostro perdono. Per darvene una prova, eccone un esempio mirabile. Si racconta nella storia che un uomo, per lungo tempo, condusse una vita molto cristiana, tanto da sperarne il cielo. Ma il demonio, che tutto fa a nostra rovina, lo tentò sì spesso e sì a lungo, che lo fece cadere in peccato grave. In seguito, rientrato in sé, comprese tutta l’enormità del suo peccato, e il primo pensiero fu di ricorrere al rimedio salutare della confessione. Ma ne concepì tanta vergogna che non poté mai determinarsi a confessarlo. Straziato dai rimorsi che non gli lasciavano un istante di riposo, prese l’insensata risoluzione d’annegarsi, sperando con ciò di metter fine a’ suoi tormenti. Ma giunto alla riva del fiume, fremette al pensiero dell’infelicità eterna in cui stava per precipitarsi, e se ne tornò piangendo a calde lacrime, e pregò il Signore di perdonargli senza ch’egli fosse obbligato a confessarsi. Credette ritrovare la pace dell’anima visitando molte chiese, facendo preghiere e penitenze; ma, non ostante le preghiere e le penitenze, i rimorsi lo perseguitavano sempre. Il buon Dio non voleva concedergli il perdono che per la protezione della sua santa Madre. Una notte ch’egli era immerso in una grande tristezza, si sentì fortemente inspirato d’andar a confessarsi. S’alzò di buon mattino e si portò alla chiesa; ma, quando fu là per confessarsi, si senti più che mai tormentato dalla vergogna del suo delitto, e non ebbe la forza di fare ciò che la grazia del buon Dio gli aveva inspirato. Qualche tempo dopo si ripeté la stessa cosa: si portò di nuovo alla chiesa, ma fu di nuovo trattenuto dalla vergogna e, in quel momento di disperazione, risolvé di morire piuttosto che dichiarare il suo peccato al confessore. Però gli venne in mente di: raccomandarsi alla santa Vergine. Prima di andare a prostrarsi ai piedi dell’altare della Madre di Dio, le mostrò il bisogno che aveva del suo soccorso, e la scongiurò con le lacrime agli occhi di non abbandonarlo. Quale bontà da parte della Madre di Dio, quanta premura a soccorrerlo! Non s’era ancora inginocchiato che tutte le sue pene scomparvero e si cambiò il suo cuore. Egli s’alzò pieno di coraggio e di fiducia, andò a trovare il suo confessore e gli confessò tutti i suoi peccati versando torrenti di lacrime. A mano a mano che confessava i suoi peccati gli pareva di togliersi un peso enorme dalla coscienza. In seguito confessò che, quando ricevette l’assoluzione, provò maggior contento che se gli avessero donato tutto l’oro del mondo. Ahimè, F. M., quale sventura per quest’uomo, se non fosse ricorso alla santa Vergine. Ora brucerebbe nell’inferno. Sì, M. F., in tutte le nostre pene sia dell’anima sia del corpo, dopo che in Dio, ci occorre una grande fiducia nella santa Vergine. Ecco un altro esempio che varrà a inspirarci una tenera fiducia in Lei, specialmente quando vogliamo concepire un grande orrore del peccato. S. Alfonso de’ Liguori racconta che una gran peccatrice di nome Elena, essendo entrata in chiesa, il caso, o piuttosto la Provvidenza, che dispone di tutto per il bene dei suoi eletti, volle ch’ella sentisse un discorso sulla divozione al santo Rosario. Ebbe sì forte impressione da ciò che disse il predicatore sull’eccellenza e sui mirabili effetti di questa santa pratica che le venne il desiderio d’avere una corona. E subito dopo la predica l’acquistò; ma, per qualche tempo, aveva cura di nasconderla per timore che fosse vista e messa in ridicolo. In seguito cominciò a recitarla, ma con poco gusto e divozione. Ma qualche tempo dopo la santa Vergine le fece sentire tanta divozione e tanto piacere, ch’ella non sapeva più stancarsi di recitarla; e per mezzo di questa pratica di pietà, tanto accetta alla santa Vergine, meritò da Lei uno sguardo di compassione, che le fece concepire orrore della sua vita passata. La sua coscienza le divenne un inferno e non le lasciava più riposo né giorno né notte. Straziata continuamente da rimorsi implacabili, non poteva più resistere alla voce interiore, che le diceva che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per aver la pace ch’ella bramava tanto, e cercava ovunque senza trovarla mai: che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per tutti i mali dell’anima sua. Invitata da questa voce, condotta e incalzata dalla grazia, andò a gettarsi ai piedi del ministro del Signore e a lui confessa tutte le miserie dell’anima sua, tutti i suoi peccati; e lo fa con tanta contrizione, con tanta abbondanza di lacrime che il confessore, sommamente meravigliato, non sa a che attribuire questo miracolo della grazia. Finita la confessione, Elena va a presentarsi ai piedi dell’altare della santa Vergine, e là, penetrata dei sentimenti della più viva riconoscenza, “Ah! santissima Vergine, esclama, è vero, fin qui sono stata un mostro; ma voi, che siete tanto potente presso Dio, aiutatemi, di grazia, a correggermi: io voglio occupare il resto dei miei giorni a far penitenza.„ Da quel momento rientrò in sé, spezzò per sempre i vincoli delle funeste compagnie che l’avevano tenuta nei disordini, donò tutti i suoi beni ai poveri e si abbandonò a tutti i rigori della penitenza che il suo amore per Dio e il ribrezzo de’ suoi peccati poterono inspirarle. Iddio, per mostrare quanto le era grato per la fiducia che ella aveva avuto nella Madre sua, nell’ultima sua malattia le apparve insieme alla Ss. Vergine per confortarla. Ella rese così nelle loro mani la sua bell’anima che aveva sì bene purificata con le lacrime e la penitenza, di modo che, dopo il buon Dio, è alla protezione della santissima Vergine che questa gran penitente dovette la sua salvezza. – Ecco ancora un altro esempio, non meno ammirabile, di fiducia nella santa Vergine, il quale mostra quanto sia utile la divozione alla Madre di Dio per aiutarci a uscir dal peccato. Narra la storia che un giovine, ben educato da’ suoi genitori, ebbe la sventura di contrarre un’abitudine sciagurata che gli fu causa di un’infinità di peccati. Siccome aveva ancora il timor di Dio e desiderava rinunciare a’ suoi disordini, di quando in quando faceva qualche sforzo per uscirne; ma il peso delle sue malvagie abitudini lo trascinava sempre. Detestava il suo peccato, ma pure vi ricadeva ed ogni istante. Vedendo che non riusciva a correggersi, s’abbandonò allo scoraggiamento e prese la risoluzione di non confessarsi più. Il suo confessore, che non lo vedeva più venire al tempo fisso, volle fare un nuovo sforzo per ricondurre questa povera anima a Dio. Va a trovarlo in un momento in cui era solo a lavorare. Questo povero giovine, vedendo venire il sacerdote, cominciò a sospirare e ad emettere grida di lamento. “Che avete, amico mio, gli domanda il sacerdote? — Ah! io non mi correggerò mai e ho risoluto di tralasciar tutto. Che dite mai, mio caro? Io so invece che se voi farete ciò ch’io vi dirò, riuscirete a correggervi e otterrete il perdono. Andate subito a gettarvi ai piedi della santa Vergine e poi venite a trovarmi.„ Il giovine andò all’istante a gettarsi ai piedi di un altare della Madonna e, bagnando di lacrime il pavimento, la supplicò d’aver pietà di un’anima che aveva costato il Sangue di Gesù Cristo, suo divin Figlio, e che il demonio voleva trascinare nell’inferno. In quel momento senti nascere in sé una sì gran fiducia che si alzò e andò a confessarsi. La sua conversione fu sincera: tutte le sue malvage abitudini furono assolutamente distrutte, ed egli servì il buon Dio per tutta la sua vita. — Riconosciamolo tutti, F. M.. che, se noi restiamo nel peccato, è proprio perché non vogliamo usare dei mezzi che la religione ci offre, né far ricorso con fiducia a questa buona Madre, che avrebbe tanta pietà anche di noi, come l’ebbe di tutti quelli che l’hanno pregata prima di noi.

5° In quinto luogo, o F. M., osservo che la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio e non al mondo. Noi dobbiamo cominciare a praticare questa virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, con fervore, pensando quanto grande sarà la ricompensa della nostra giornata se faremo bene tutto ciò che dovremo fare, col solo scopo di piacere a Dio. Dite, M. F., se in tutto ciò che facciamo avessimo la fortuna di pensare alla grande ricompensa che il buon Dio lega a ciascuna delle nostre azioni, di quali sentimenti di rispetto e d’amore non saremmo noi penetrati! Vedete come sarebbero pure le nostre intenzioni facendo l’elemosina. — Ma, mi direte voi, quando io faccio qualche elemosina, è appunto per il buon Dio che la faccio, non per il mondo. — Però, M. F., noi siamo ben contenti quando ci si vede, quando ci si loda, e ci piace anche dirlo noi altri di nostra bocca. Nel nostro cuore amiamo pensarvi e ci compiacciamo nel nostro interno; — ma, se avessimo questa bella virtù nell’anima, non cercheremmo che Dio: il mondo non ci sarebbe per nulla, né cureremmo noi stessi. Non meravigliamoci adunque, F. M., se facciamo sì male le nostre azioni. È perché non pensiamo davvero alla ricompensa che il buon Dio vi annette, se le facciamo unicamente per piacere a Lui. Quando facciamo un favore a qualcuno che, ben lontano d’esserci riconoscente, ci paga d’ingratitudine, se avessimo questa bella virtù della speranza, noi ne saremmo ben contenti, pensando che la nostra ricompensa sarà ben più grande presso Dio. Francesco di Sales ci dice che, se si presentassero a lui due persone per ricevere qualche beneficio, egli sceglierebbe quella che crederebbe meno riconoscente, perché il merito sarebbe e più grande presso Dio. E il santo re Davide diceva che, quando faceva qualche cosa,la faceva sempre alla presenza di Dio, come se dovesse essere giudicato subito dopo per riceverne la ricompensa; ciò che lo portava a far bene tutto ciò che faceva per piacere a Dio solo. Infatti, quelli che non hanno questa virtù della speranza fanno tutto per il mondo o per farsi amare o stimare, e perdono ogni ricompensa. – Dicevo che dobbiamo avere grande fiducia inDio nelle nostre malattie e nei nostri affanni: è precisamente qui dove il buon Dio ci attende per vedere se gli mostreremo una grande fiducia. Leggiamo nella vita di S. Elzeario che la gente del mondo lo scherzava pubblicamente per la sua divozione ; e i libertini se ne facevano giuoco. Santa Delfina gli disse un giorno che il disprezzo che si faceva della sua persona ricadeva sulla sua virtù. – Ahimè! rispose egli piangendo, quando penso a tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto per tue. io ne sono sì commosso che, quand’anche mi cavassero gli occhi, non avrei parole per lamentarmi pensando alla gran ricompensa di quelli che soffrono per amor di Dio: qui è tutta la mia speranza, e ciò che mi sostiene in tutte le mie pene. „ E si capisce. Che cosa mai può consolare un povero ammalato nelle sue pene se non la grandezza della ricompensa che il buon Dio gli promette nell’altra vita? – Leggiamo nella storia che un predicatore, essendo andato a predicare in un ospedale, tenne un discorso sulle sofferenze. Egli dimostrò come le sofferenze ci acquistino grandi meriti per il cielo, e quanto un’anima che soffre con pazienza è accetta al buon Dio. Nello stesso ospedale v’era un povero ammalato che da molti anni soffriva assai, ma, sventuratamente sempre lamentandosi. Il discorso gli fece comprendere quanti beni egli aveva perduto pel cielo, sicché dopo la predica, cominciò a piangere e a singhiozzare in modo fuori del solito. Un sacerdote che lo vide gli domandò perché si abbandonasse a così grande affanno e se qualcuno l’avesse offeso, aggiungendo che, nella sua qualità d’amministratore egli poteva fargli render giustizia. “Oh! no, signore, rispose il povero uomo, nessuno mi ha offeso, ma io stesso mi son fatto troppo gran torto. — Come? gli domandò il sacerdote. — Ah! reverendo, quanti beni ho perduto in tanti anni ch’io soffro, e nei quali avrei tanto meritato per il cielo se avessi avuto la fortuna di sopportare i miei mali con pazienza! Ahimè! quanto grande è la mia sventura! Io che mi credevo così degno di compassione, se avessi ben compreso il mio stato, sarei il più felice nomo del mondo.„ Ah! F. M., quanti dovranno tener lo stesso linguaggio  n punto di morte, mentre se avessero avuto la fortuna di sopportarle in pace per il buon Dio, le loro pene, le quali non hanno servito che a perderli per il cattivo uso che ne hanno fatto, li avrebbero condotti al cielo. Si domandò un giorno a una povera donna che da lungo tempo soffriva in letto mali terribili, e che tuttavia si mostrava sempre contenta, le si domandò, dico, che cosa potesse sostenerla in uno stato sì lacrimevole.” Quando penso, rispose ella, che il buon Dio vede tutte le mie sofferenze e me ne compenserà per tutta l’eternità, io ne provo tanta gioia, soffro con tanto piacere, che non cambierei il mio stato con tutti gl’imperi del mondo. ,, Convenite meco, F . M., che quelli che hanno questa bella virtù nel cuore, cambiano ben presto il dolore in dolcezza. – Ah! F. M. se noi vediamo tanti infelici nel mondo maledire la loro esistenza e passar la loro povera vita in una specie d’inferno per gli affanni e la disperazione che li perseguitano ovunque, sappiate che tutte queste sventure non provengono che dal non voler essi metter la loro confidenza in Dio, né pensare alla grande ricompensa che li attende in cielo. – Leggiamo nella vita di S. Felicita che, temendo ella che il più piccolo de’ suoi figliuoli non avesse il coraggio di sostenere il martirio, “Figlio mio, gli gridava, guarda il cielo che sarà la tua ricompensa: ancora un istante e tutti i tuoi dolori saranno finiti. „ Tali parole, uscite dalla bocca d’una madre, diedero tanta forza a quel piccolo fanciullo, che abbandonò con una gioia incredibile il suo povero corpicino a tutti i tormenti che i carnefici vollero infliggergli. E S. Francesco Saverio ci dice che, essendo tra i barbari, ebbe a soffrire senz’alcun conforto, tutto ciò che gli idolatri potevano inventare; ma ch’egli aveva posto la sua fiducia in Dio per modo da dover riconoscere che il buon Dio l’aveva sempre soccorso in maniera visibile. Gesù Cristo, per mostrarci quanto dobbiamo aver confidenza in Lui e non temer mai di domandargli ciò che ci è necessario per l’anima o por il corpo, ci dice nell’Evangelo che un uomo essendo andato di notte a domandar tre pani a un suo amico per offrirli a uno ch’era venuto a trovarlo, l’amico gli rispose ch’era già in letto co’ suoi figliuoli e che non bisognava incomodarlo. Ma il primo continuò a pregarlo, dicendo che non aveva neppur un pane da offrire al suo ospite. E l’altro fini per dargli ciò che domandava, non perché  fosse suo amico, ma per liberarsi da un importuno. Di qui, conclude Gesù Cristo: “Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto; e siate sicuri che ogni volta che domanderete qualcosa al mio Padre in Nome mio, voi l’otterrete. „ – Da ultimo soggiungo che la nostra speranza dev’essere universale, che dobbiamo cioè ricorrere a Dio in tutto ciò che ci possa accadere. Se siamo ammalati abbiamo grande fiducia in Lui, giacché è Lui stesso quegli che ha guarito tanti infermi durante la sua vita mortale: e se la mostra salute può contribuire alla sua gloria ed alla salvezza dell’anima nostra, siamo sicuri di ottenerla, se invece ne sarà più utile la malattia, Egli ci darà la forza di sopportarla con pazienza per ricompensarcene poi nell’eternità. — Se ci troviamo in qualche pericolo, imitiamo i tre fanciulli che il re aveva fatto gettare nella fornace di Babilonia. Essi posero talmente la loro fiducia in Dio. che il fuoco non fece che abbruciare le corde che li legavano; così che essi passarono tranquilli nella fornace ardente come in un giardino di delizie. — Siamo noi tentati? Mettiamo la nostra fiducia in Gesù Cristo e saremo sicuri di non soccombere. Questo tenero Salvatore ci ha meritato la vittoria nelle tentazioni lasciandosi tentare Egli stesso. — Siamo noi impigliati in una cattiva abitudine? temiamo di non poterne uscire? abbiamo fiducia in Dio, poiché Egli ci ha meritato ogni sorta di grazie per vincere il demonio. — Ecco, F. M., di che consolarci nelle miserie che sono inseparabili dalla vita. Ma udite ciò che dice S. Giovanni Crisostomo: « Per meritare tanta fortuna, non bisogna essere presuntuosi, esponendoci al pericolo di peccare. Il buon Dio ci ha promesso la sua grazia solo a patto che, da parte nostra, facciamo tutto il possibile per evitare le occasioni del peccato. Bisogna altresì guardarci dall’abusare della pazienza del buon Dio restando nel peccato, col pretesto che Dio ci perdonerà anche se tardiamo a confessarci. Guardiamocene bene, finché duriamo nel peccato, noi siamo in gran pericolo di cader nell’inferno; e tutto il pentirci che faremo alla morte, se saremo restati volontariamente nel peccato, non ci assicurerà affatto della nostra salvezza; perché avendo potuto uscirne, non l’avremo fatto. » Ah, noi insensati! Come mai osiamo restare nel peccato mentre non siamo certi neppur d’un minuto di vita? Nostro Signore ci ha detto che la morte verrà proprio quando meno ci penseremo. Aggiungo, che se non dobbiamo sperar troppo, non bisogna neppur disperare della misericordia di Dio, che è infinita. La disperazione è un peccato più grande di tutti quelli che possiamo aver commessi, perché siamo sicuri che Dio non ci rifiuterà mai il suo perdono se ritorneremo a Lui sinceramente. La grandezza dei nostri peccati non deve farci temere di non poter più ottenerne il perdono, perché tutti i nostri peccati in confronto della misericordia di Dio sono ancor meno d’un granello di sabbia in confronto di una montagna. Se Caino, dopo aver ucciso il fratello, avesse voluto chieder perdono a Dio, egli ne sarebbe stato sicuro. Se Giuda si fosse gettato ai piedi di Gesù Cristo per pregarlo di perdonargli, Gesù Cristo avrebbe rimesso anche a lui, come già a S. Pietro, il suo peccato. – Concludiamo. Volete voi ch’io vi dica perché si sta così a lungo nel peccato e perché ci angustiamo tanto per il momento in cui bisogna accusarsene? E perché noi siamo orgogliosi, e non per altro. Se avessimo l’umiltà non resteremmo mai nel peccato, né temeremmo affatto d’accusarlo. Domandiamo a Dio, F. M., il disprezzo di noi stessi e noi temeremo il peccato e lo confesseremo, subito appena commesso. Concludo dicendovi che dobbiamo domandar sovente a Dio questa bella virtù della speranza, che ci farà compiere tutte le nostre azioni con l’intenzione di piacere a Dio solo. Guardiamoci bene dal disperare giammai nelle malattie e nei nostri affanni. Pensiamo che tutte queste cose non sono che altrettanti beni che Dio ci manda perché formino il pegno di quella ricompensa eterna ch’io vi auguro di cuore…

LO SCUDO DELLA FEDE (161)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (29)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi.

PUNTO I.

Presso chi sia la vera Bibbia, la vera parola di Dio: chi sieno i veri corruttori della Bibbia.

50. Apost. Resto grandemente sorpreso, stupito, sbalordito dell’orrida descrizione, che fatta mi avete della vostra Riforma (ossia di voi stesso) dal giorno della sua nascita sino a’ suoi funerali inclusive. Nulla posso rispondere a quello che ne avete detto; poiché la confessione di un reo della sua propria reità è tale una prova della medesima; che non ammette risposta, sempre che è libera totalmente e spontanea come è la vostra. Nulla tampoco risponder posso contro gli elogi da voi fatti alla Cattolica Chiesa, essendo fuor d’ogni dubbio non esservi prova più autentica, incontrastabile di ciò che ha di buono, di lodevole un individuo, quanto la libera testimonianza dei suoi nemici; e molto più quando essi testificano a loro proprio danno e confusione. Ciò nonostante mi siete venuto in sospetto di poca lealtà, perché taciute mi avete tante brutte magagne che i vostri Emissarii, voleva dire i vostri Missionarj, mi hanno scoperte nella Cattolica Chiesa, e persino me le han fatte vedere stampate in certi libercoli che mi han regalati, dalle quali la Riforma va esente e onde almeno per questa ragione meritava essa i vostri elogj. Ditemi dunque: non è egli vero che la Chiesa Cattolica non ha la vera Bibbia, che ha corrotto in mille guise la parola di Dio, perché  non ammette altra Bibbia come autentica, che quella detta la Volgata dopo averla ripiena di corruzioni, di errori? Non è egli vero che la Riforma non si è macchiata di tale iniquità, e possiede la genuina parola di Dio, perché la sua Bibbia è stata esattamente tradotta dai veri Originali Greco ed Ebraico?… Rispondete.

Prot. « Giudicano i dotti (protestanti) che la Volgata debba preferirsi alle altre odierne (edizioni) latine, perché più antica di tutte, e nella Chiesa Occidentale è stata pubblicamente ricevuta per molti anni; onde meritamente deve molto stimarsi, né deve temerariamente rigettarsi, come di poi più diffusamente dimostreremo. » (Walton, Prelegom. X, N. 3, p. 72.).

« Giovanni Brosio, nostro compatriota, scrisse un trattato dottissimo, nel quale fa le difese dell’antica Versione (la Volgata), moltissimi luoghi della quale confrontati coll’edizione di Bezza e di altri, dimostra che sono onninamente retti » (Il celebre Millio, Prolegom. In N. Test. Oxon, 1707, p. 138.)

« Annotai poi quelle cose che credei bene doversi annotare alla Versione Latina (la Volgata) da gran tempo ricevuta, la quale sempre moltissimo stimai, non solo perché non contiene dogma alcuno insalubre, ma anche perché ha in sé molto di erudizione, quantunque usi un genere di dire assai ruvido. Per quelli che non hanno imparato né l’ebraico, né il greco è sicurissima la Versione Volgata, la quale non ha dogma: alcuno cattivo, siccome il consenso di tanti secoli e di tante genti ha giudicato. » (Ugone Grozio, Præf. ad Comment. in Libros V. Vet. Test. — et in Vot. pro pace.)

« Preceduto avea la Volgata, negletta di poi malamente, essendo essa la prestantissima di tutte le Versioni… Imperocchè i miei stessi discepoli tanto protestanti come pontifici facilmente si rammenteranno quanto grandemente io commendi l’uso sì critico, sì ascetico della Volgata, e vituperi il disprezzo di essa. » (Dav, Michaels, Supplem. ad Lèxio hebraic. part. 3, p. 992. = e nella Biblioteca Orientale, T. I, N. 311).

« Oh quanto immeritamente Erasmo riprende in molti luoghi l’antico Interprete (l’autore della Volgata) come dissenziente dai Codici greci! Dissente, lo confesso, da quegli esemplari (del Nuovo Testamento) i quali esso Erasmo aveva trovato, Ma non abbiamo trovato, che appoggiata sia neppure in un luogo coll’autorità degli altri Codici anche antichissimi quella interpretazione che egli riprende; che anzi in alquanti luoghi osservato abbiamo, che sebbene la lezione dell’antico Interprete non convenga alle volte co’ nostri greci esemplari, con tutto ciò quadra assai meglio; sembra, cioè che abbia séguito un più emendato esemplare. » (Bezza, presso Rich, Simon, Hist. critique du Nuov. Test. chap. 28).

« Nelle sue Note ai Vangeli e agli Atti (Isacco Casabuoni) spesso preferisce la lezione della Volgata a quella dell’odierno testo greco, e dimostra che la Volgata combina con gli antichi Manoscritti Greci. » Ora veniamo a noi.

51. « Riguardo alle Versioni di Beza e del Pescatore, dei quali molto stimo l’erudizione, ed a quelle degli altri ,, l’erudizione de’ quali non istimo tanto, molti hanno ammonito che spesso sono stravolte a sensi privati….. Della: Versione Ginevrina, la quale ne’ luoghi non controversi non è da disprezzarsi, il Re Giacomo, etc.? » (Grozio, Vot. Pro pace, pag. 674)

« Anche in Inghilterra « ad oggetto che il popolo si acconciasse alle innovazioni, i depredatori (riformatori) si avvisarono di dar fuori una Bibbia ordinata a tale scopo, la quale Bibbia non era che una continuata alterazione del testo originale in tutti quei luoghi in cui si credé necessaria! Questo per avventura si fu l’atto il più sfacciato…. In esso noi ravvisiamo la vera indole degli Eroi della Protestante Riforma. » (Cobbet, Op. cit. Lett 7, § 208.).

Apost. Non potrete al certo negare che almeno la Bibbia tradotta in italiano da Giovanni Diodati, e che i vostri Missionarii ci presentano come una gemma preziosissima, non sia perfettamente genuina e sicura.

Prot. « Siccome questo Interprete non aveva altro fine che d’istruire i seguaci del suo partito, egli ha adattato (accomodée) la sua interpretazione e le sue note alla loro dottrina. Necessitava assolutamente, che a tenore de’ principii di Ginevra, essi trovas- sero la loro Confessione di fede nella Scrittura, e per tal motivo convenne che egli restringesse in alcuni luoghi, a tenore di questa idea, ciò che nell’originale esisteva in termini troppo generali. » (Così Riccardo Simone, non solo protestante, ma panegirista dei protestanti, citato dal Martini, ediz. Venez. Del 1832, vol. 64°, p. 6).

PUNTO II.

Non è vero che la Chiesa Cattolica proibisca in modo assoluto la lettura della Bibbia in lingua volgare, ne sottragga il frutto ai fedeli, o ne proibisca l’uso alla protestante, perché la creda contraria alla sua fede. — Società Protestante promotrice della Dottrina Cristiana altre di simil fatta: loro qualità, brutti maneggi e tenebrosi intenti.- Fede Cattolica: – sua verità – Culto de’ Santi, perché abolito dai pretesi Riformatori.

52. Apost. Da quanto mi avete detto chiaramente risulta, che la sola Chiesa Cattolica possiede la vera Bibbia, la genuina parola di Dio: che la sua Volgata, la più esatta di tutte le versioni, la più conforme agli Originali, è preferibile a tutti li odierni greci Esemplari; che i protestanti son quelli che hanno una Bibbia erronea; che l’hanno di più interamente corrotta, stravolgendola a sensi privati, eccetto i soli luoghi non controversi. Tale è la vostra sentenza, né io ho ché ripetervi. Ma ditemi, perché la Chiesa Cattolica ne proibisce la lettura in lingua volgare, e così priva i fedeli del gran frutto della parola di Dio?… Come! Proibire la parola di Dio! Ciò fa senz’altro perché la ravvisa contraria a’ suoi dogmi, ai suoi insegnamenti.

Prot. Non mi aspettava questa tua conseguenza; poiché vuol poco a conoscere che la Bibbia dev’esser contraria non già a chi la mantiene illibata, segno manifesto che nulla ha che temere dalle sue divine sentenze; ma bensì a coloro che la travisano, la corrompono, non essendovi altra ragione che questa di tal sacrilego attentato. Ma rispondiamo per ordine.

« Il pretendere di asserire che la Chiesa Cattolica rifiuti accordare ai suoi aderenti la lettura della Bibbia, è ciò un calunniarla. Là, per lo meno, dov’ella trova la semplicità e fedeltà cristiana, non lo fa giammai, ma si sforza di prevenire le ricerche di pura curiosità, i dubbi di pura critica, la lettura non approfondita. Non vi è dubbio che questa sua cura potrebbe quà e là essere spinta troppo oltre…. Ma in presenza degli emissarj inmglese che, simili agli uccelli di rapina, ai bracchi, vanno a seminare la discordia dappertutto, senza considerare l’uomo tal quale egli è, né  rispettando nel loro orgoglio anglicano convenienza di sorta, questa severità e queste ansiose cure de’ preti cattolici per le loro pecorelle sembrar dovrebbero pienamente giustificate anche allora quando non ne fossimo persuasi! » (Il celebre Dottor Leo di Berlino, Risposta al giornale di Halla. Vedi Annales catholiques de Genève; 4 Livr. 1855, P. 273.)

« Quando pure vi fossero (nella Bibbia) dottrine al tutto lontane dalla ragione, già se ne avrebbe anco di troppo per porre dall’uno dei lati ogni uso di ragione nel dichiarare le Sante Scritture; perocchè quello (N. B.) non varrebbe che a dimostrare esser vero il sistema Cattolico solamente?» (Zimmermann, nella Gazzetta Letteraria di Lipsia 1829, N.27) Hai capito?

53. Apost. Se così è, perché quella vostra Società inglese detta “Società promotrice della Dottrina Cristiana” – in un suo libercoletto intitolato Roma e la Bibbia (Londra 1855) va declamando che Roma proibisce ai fedeli la lettura della Bibbia, perché la conosce contraria al suo religioso sistema?

Prot. « Ti prego riflettere che questa Società, per promuover la Dottrina Cristiana, va di continuo pubblicando delle Opere, l’oggetto delle quali si è di dare a credere al popolo d’Inghilterra che la Cattolica Religione è idolatra e condannabile, e che per conseguenza una terza parte della totalità de’ nostri consudditi sono idolatri, e destinati all’eterna perdizione, e che non dovrebbero essi conseguentemente dei medesimi diritti, dì che noi protestanti godiamo. Questi calunniatori conoscono bene, che que- sta stessa Cattolica Religione fu per novecento: anni l’unica religione cristiana conosciuta dai nostri antenati. Egli è questo un fatto, che essi non possono mascherare alle persone intelligenti. E perciò tanto essi, quanto il clero protestante stanno costantemente applaudendo al cangiamento, che ebbe luogo circa a dugent’anni fa, il qual cangiamento passa sotto il nome di Riforma » (Coblet, Opera citata, Lett. 1, § 2)  – « Chiunque sia nell’animo non dico del tutto, ma almeno così fattamente preoccupato, che il cuore guisa scevro ed immacolato, certo che altamente si corruccia, e con ferma e salda voce si fa innanzi a reclamare contro quelle diverse lingue e quelle orribili favelle veramente infernali; con che i nemici del Cattolicismo non dubitano di menargli addosso l’ultimo colpo mortale. Cotal linguaggio non è certamente quello. della verità, ma sì quello della passione che trabocca, quello che si pare chiaramente dell’interesse, e per conseguenza che nulla determina e stabilisce! » (Alberti Teofilo, ossia, Meditazioni religiose 1828, p. 75.).

« Cotesti corifei e servili seguaci dello spirito non di verità, ma di setta e di partito, bene avventuratamente sono eglino vinti, e le loro dottrine messe a terra da nient’altro che da un Catechismo qualunque che a caso capitasse nelle mani di un Cattolico. » (Fessler: Le mie vedute intorno alla religione, ed alla Chiesa, Lipsia 1807, part. 2 pag. 58).

« Costoro vanno sempre d’attorno levando novelli rumori, suscitando nuove differenze, e ingerendo discordie. Essi soli alimentano l’odio dei partiti religiosi, essi e non altri, siccome avversi al Cristianesimo, tutto ciò che è cattolico censurano. » (Lessing, Opuscoli teologici di vario argomento, part. 2, p. 21).

« L’odio, di che andiamo discorrendo, odio vile, di cui prendono baldanza i nostri teologi contro il Cattolicismo e la Gerarchia Romana, è prodotto dalla moda; e i banditori protestanti le vanno dietro e se ne fanno belli. » (Fogli di conversazione letteraria, del 1835, N. 124).

« La fede del cattolico, a cui il talento dell’uomo va sottomesso, non è già, come altri vorrebbero persuadere, contro la ragione; che anzi questa la giustifica pienamente. La fede cattolica non è altro che. la ragione credente sottoposta all’autorità divina. » (Marhemecke. La Simbolica).

« L’opera eziandio dei venerandi Padri radunati in Concilio nella città di Trento, non fu e non è che una deduzione la più conseguente, e in pari tempo un confermare il dogma cattolico secondo i dettami della Santa Scrittura e della Tradizione Apostolica. » (Fessler, Storia degli Ungheresi; T. 8, p. 184.).

« Chiamar la fede della Chiesa Romana priva di luce e di verità, egli è un’ingiustizia che regge al paragone colle più inique. Non l’han difesa questa fede tanti uomini sommi e generosi, onore dell’umanità? Non han cercato altri con i propri scritti di renderle il suo, senza cavilli ed inganni, ma sì colle leggi dell’intelligenza?» (F. Bonteweeke. Manuale delle scienze filosofiche, Gottinga 1820) Con tutto ciò accusano e condannano questa Chiesa come superstiziosa e idolatra! Che te ne pare?

54. Apost. L’accusano in tal modo e la condannano pel suo culto dei Santi, e altresì pel superstizioso immenso dispendio che spreca pel culto religioso in generale: le quali cose, come ben sapete, i Riformatori spinti furono ad abolire per assoluto dovere di cristiana delicata coscienza. Non è egli vero?

Prot. Per ristringermi alla sola Inghilterra su questo grave rapporto, e non dilungarmi di troppo:

« Bisognerebbe che fossimo precisamente contrarii a ciò che sempremai si è pensato esser gli Inglesi, se tuttora affettassimo di credere che la distruzione dei Sacrarii de’ nostri antenati derivò da motivi di coscienza…. I signori Riformatori depredaron le Chiese cattedrali così come i Conventi e le loro Chiese E però non deve fare in modo alcuno meraviglia che assai per tempo, in sul bel principio della pia loro ed onorata intrapresa, volgessero eglino i loro frettolosi passi verso Cantorbery, che a preferenza d’ogni altro luogo erasi contaminato del manifesto peccato di possedere ricchi altari, tombe, immagini d’oro e d’argento insieme con dei manifestamente peccaminosi diamanti ed altre pietre preziose… »

« Ma erano a Cantorbery due oggetti, per cui i nibbj della Riforma vi furono particolarmente tratti, cioè il monastero di S. Agostino, e la tomba di Tommaso A. Becket. Il Santuario del primo, siccome era opera di gran magnificenza, offerse un copioso bottino ai saccheggiatori, i quali se avessero potuto avere accesso al Sepolcro di Gesù Cristo, e trovato lo avessero ricco del pari, eglino fuor di dubbio lacerato lo avrebbero a brani. »

«Ma come che ricca  si fosse questa preda, ve ne aveva pur una più grande nel Santuario di Tommaso A. Becket nella Chiesa cattedrale…. Questa tomba di Becket era di legno lavorato colla massima squisitezza, intarsiato abbondevolmente di ricchi metalli, e densamente tempestato di pietre preziose di ogni sorta. Qui stava un oggetto per la riformatrice pietà da fissarvi sopra è suoi sguardi divini. Che se in una delle nostre Chiese ora trovar si potesse per avventura un Santuario cosiffatto, oh! come griderebbero i Swaddlers per un’altra. Riforma!… »

Ogni altare di chiesa aveva, come già osservai, più o meno di oro o di argento. Parte di questo consisteva in sacre immagini, parte in turiboli, candelieri ed altri oggetti…. La parte fanatica de’ Riformatori prendevasi diletto in questionare, etc…. Ma ben altri erano i pensieri che occupavano l’animo dei derubatori! Eglino erano assorti in meditare sul valore delle Immagini, dei turiboli e degli altri sacri arredì.! » (Cobbet, Oper. cit. Lett. 6, §° 117, e seg. – e – 207).

Apost. Ora comincio a comprendere perché anche nella mia Italia certi miei padroni gridano allo spreco delle spese del culto, all’agiatezza degli Ecclesiastici, alla dabbenaggine di chi prega i Santi, etc.; e ardentemente desiderano una Protestante Riforma. – Ma ritornando al nostro primo subietto, dico che se la Bibbia fosse contraria alla vostra Riforma e favorevole al Cattolicismo, come voi supponete, i vostri Riformatori non l’avrebbero data nelle mani di tutti come l’unico giudice in materia di fede, come l’unica regola del cristiano, secondo il senso in cui da ciascuno è intesa. Questo avvenimento è una vera disfida fatta al Cattolicismo, che sola dimostra quanto fosser sicuri di aver dalla loro la parola di Dio.