I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL CORPUS DOMINI”

IL ” CORPUS DOMINI „

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Incola ego sum in terra.

(Ps. CXVIII, 19)

Queste parole, F. M., ci ricordano tutte le miserie della vita, il disprezzo che dobbiamo avere delle cose create e periture, ed il desiderio di uscirne per andare nella nostra vera patria, poiché la nostra patria non è il mondo. Tuttavia, F. M., consoliamoci nel nostro esilio: vi abbiamo un Dio, un amico, un consolatore ed un redentore, che può addolcir le nostre pene, e da questo luogo di miserie ci fa scorgere grandi beni; il che deve portarci ad esclamare, come la sposa dei Cantici: “Avete visto il mio diletto? e se l’avete visto, ah! ditegli che io altro non faccio che languire d’amore. „ — “Ah! sin a quando, Signore, esclama il santo Re profeta nei suoi trasporti d’amore e d’ammirazione; ahi sino a quando prolungherete il mio corpo esilio lontano da voi? (Ps. CXIX, 5)„ Ma, F. M., più felici dei santi dell’Antico Testamento, non solo possediamo Dio nella grandezza di sua immensità per la quale trovasi dappertutto; ma l’abbiamo ancora tal quale fu durante nove mesi nel seno di Maria, e sulla croce. Ancor più felici dei primi Cristiani che percorrevano cinquanta o sessanta miglia per aver la fortuna di vederlo, ogni parrocchia lo possiede, ogni parrocchia può goder quanto vuole della sua dolce compagnia. Ah! popolo felice quello dei Cristiani! E qual è, F. M., il mio proposito oggi? Eccolo. Voglio mostrarvi quanto è buono Iddio nella istituzione del sacramento adorabile della Eucaristia, ed i grandi vantaggi che ne possiamo cavare.

I. – F. M., ciò che forma la felicità d’un buon Cristiano, costituisce la sventura del peccatore. Ne volete la prova? Eccola. Per un peccatore che non vuol uscire dal peccato, la presenza di Dio diviene il suo supplizio: vorrebbe poter cancellare il pensiero che Dio lo vede e lo giudicherà: si nasconde, fugge la luce del sole, si immerge nelle tenebre, ha orrore di quanto può richiamargliene il pensiero: un ministro di Dio gli fa ombra, lo odia, lo fugge: ogni volta che pensa d’avere un’anima immortale, che Dio la ricompenserà o la punirà nell’eternità, a norma di quanto avrà fatto: è per lui uno strazio che lo divora senza tregua. Ah! triste esistenza quella d’un peccatore che vive nel peccato! Invano, amico mio, vorresti toglierti dalla presenza di Dio, non lo potrai! ” Adamo, Adamo, dove sei? „ — ” Ah! Signore, esclama, ho peccato, e temo la vostra presenza! „ Adamo, tutto tremante, corre a nascondersi, e proprio nel momento in cui credeva che Dio nol vedesse, la sua voce si fa sentire: “Adamo, tu mi troverai dappertutto: tu hai peccato, ed Io fui testimonio del tuo delitto: i miei occhi eran fissi su di te. „ — “Caino, Caino, dov’ è tuo fratello? „ Caino, udendo la voce del Signore, fugge come disperato. Ma Dio l’insegue colla spada alle reni: “Caino, il sangue di tuo fratello grida vendetta (Gen. III, 10). „ Oh! è dunque vero che il peccatore è nel timore, nella disperazione continua. Peccatore, che facesti? Dio ti punirà. — No, no, esclama, Dio non mi ha visto, “non vi è Dio „ — Ahi disgraziato, Dio ti vede e ti punirà. Da ciò concludo che un peccatore può ben tentare di rassicurarsi, di dimenticar i peccati, di fuggir la presenza di Dio e procurarsi quanto il suo cuore può desiderare; non sarà che un infelice: trascinerà dappertutto le sue catene ed il suo inferno. Ah! triste esistenza! No, F. M., non andiamo più oltre, questo pensiero è troppo straziante, questo linguaggio non conviene oggi davvero: lasciamo quei poveri sventurati nelle tenebre, poiché vogliono restarvi: lasciamoli dannarsi, poiché non vogliono salvarsi. “Venite, figli miei, diceva il santo re David, venite, ho grandi cose da annunciarvi; venite, e vi dirò quanto è buono il Signore con chi l’ama. Ha preparato ai suoi figli un nutrimento celeste, che produce frutti di vita. Dappertutto lo troveremo il nostro Dio: se andiamo nel cielo, là Egli vi è; se traversiamo i mari, lo vedremo al nostro fianco; se ci nascondiamo negli abissi del mare, ci accompagnerà (Ps. XXXIII, XXXII, CXXXVIII). „ No, no, il nostro Dio non ci perde di vista, come una madre non perde di vista il bambino che incomincia a muovere i primi passi. “Abramo, dice il Signore, cammina alla mia presenza e la troverai dappertutto. „ — “Mio Dio! esclama Mosè, mostratemi di grazia la vostra faccia: avrò quanto posso desiderare.„ (Es. XXXIII, 12). Ah! un Cristiano è consolato da questo caro pensiero che Dio lo vede, che Egli è testimonio delle sue pene e delle sue lotte, che Dio è al suo fianco. Ah! diciamo meglio, F. M., egli stringe Dio continuamente al suo seno. Ah! popolo cristiano, quanto sei avventurato di avere vantaggi che tanti altri popoli non hanno! E non aveva ragione di dirvi che se la presenza di Dio è un tormento pel peccatore, essa però è una felicità ineffabile, un cielo anticipato pel buon Cristiano? Sì, F. M., tutto questo è bello, è vero: ma è ancor poco, per così dire, in confronto dell’amore che Gesù Cristo ci porta nel sacramento adorabile dell’Eucaristia. Se parlassi ad increduli o ad empi che osano dubitare della presenza di Gesù Cristo in questo Sacramento adorabile, comincerei col dar loro delle prove così chiare e convincenti, da morir pel dolore d’aver dubitato d’un mistero basato su ragioni tanto forti e convincenti; io direi loro: Se Gesù Cristo è verace, lo è pure questo mistero, che preso del pane disse ai suoi Apostoli: « Eccovi del pane: ebbene lo cambio nel mio corpo; ecco del vino, lo cambio nel mio sangue: questo corpo è veramente lo stesso che sarà crocifisso, ed il sangue è lo stesso che verrà sparso per la remissione dei peccati: ogni volta che pronuncerete queste parole, voi farete il medesimo miracolo: questo potere voi lo comunicherete gli uni agli altri sino alla consumazione dei secoli „ Ma qui lasciamo da una parte queste prove: questo ragionamento è inutile per Cristiani, che tante volte gustarono le dolcezze che Dio loro comunica nel Sacramento d’amore. S. Bernardo ci dice che vi sono tre misteri ai quali non può pensare senza sentirsi il cuore morir d’amore e di dolore. Il primo è quello dell’Incarnazione, il secondo quello della Passione e Morte di Gesù Cristo, e il terzo quello del Sacramento adorabile dell’Eucaristia. Quando lo Spirito Santo ci parla del mistero dell’Incarnazione, adopera frasi che ci mettono nell’impossibilità di poter comprendere sin dove arriva l’amor di Dio per noi, dicendoci: “Così Dio ama il mondo, „ come se ci dicesse: lascio al vostro spirito, alla vostra immaginazione la libertà di formarvi quelle idee che vorrete: quand’anche aveste tutta la scienza dei profeti, i lumi dei dottori, le cognizioni degli Angeli, vi sarà impossibile comprendere l’amore che ebbe per voi Gesù Cristo in questi misteri. Quando S. Paolo ci parla dei misteri della Passione di Gesù Cristo, ecco come si spiega: “Benché Dio sia infinito in grazia e misericordia, sembra essersi esaurito per l’amor nostro. Eravamo morti, ci ha dato la vita. Eravamo destinati ad essere infelici per tutta l’eternità, e per sua bontà e misericordia cambiò la nostra sorte! (Ef. II, 4-6) „ Infine, quando S. Giovanni ci parla della carità che Gesù Cristo ebbe per noi istituendo il Sacramento adorabile dell’Eucaristia, ci dice « che ci ha amati sino alla fine » (Giov. XIII, 1) , „ cioè ha amato nel corso della sua vita l’uomo d’un amore senza confronto. Dirò meglio, F. M., ci ha amato quanto poteva amarci. O amore, quanto sei grande e poco conosciuto! Ecchè, amico mio! non ameremo un Dio che ha sospirato per la nostra felicità durante l’eternità intera?… Un Dio, che ha tanto pianto i nostri peccati, ed è morto per cancellarli! Un Dio, che volle lasciare gli Angeli del cielo, dov’è amato d’amor sì puro e perfetto, per venire in questo mondo, quantunque sapesse benissimo come sarebbe stato disprezzato. Conosceva anticipatamente le profanazioni di cui sarebbe stato oggetto in questo Sacramento d’amore. Sapeva che gli uni lo riceverebbero senza contrizione; gli altri senza desiderio di correggersi: altri forse col peccato nel cuore, e lo farebbero morire. Ma no, tutto questo non poté arrestare il suo amore. O popolo fortunato quello dei Cristiani!… “O città di Sion, rallegrati, fa conoscere il tuo giubilo, esclama il Signore per bocca del profeta Isaia, perché il tuo Dio abita in mezzo a te „ (Is. XII, 6). Sì, F. M., ciò che il profeta Isaia diceva al suo popolo, posso dirlo a voi, anzi con più verità. Cristiani, rallegratevi! Il vostro Dio vuol comparire in mezzo a voi. Questo tenero Salvatore vuol visitare le vostre piazze, le vostre e vie, le case vostre: dappertutto vuol spargere le sue benedizioni più abbondanti. O case avventurate, davanti alle quali egli passerà! O strade fortunate, che sosterranno i suoi passi santi! Potremo, trattenerci di dire dentro di noi, quando ritorneremo per la medesima via: Ecco dove è passato il mio Dio, ecco la strada che ha preso quando spargeva benefico le sue benedizioni su questa parrocchia. – Oh! quanto è consolante questo giorno per noi! Ah! se è permesso gustare qualche consolazione in questo mondo, non è in questo momento felice? Sì, dimentichiamole è possibile, tutte le miserie. Questa terra d’esilio sta per divenire veramente l’immagine della celeste Gerusalemme, le feste e le gioie del cielo discendono sulla terra. Ah! « se la mia lingua può obliare questi benefici, s’attacchi al mio palato !… „ (Ps. CXXXVI). Ah! se i miei occhi debbono ancor volgere i loro sguardi sulle cose terrene, che il cielo rifiuti loro la luce! Sì, F . M., se consideriamo tutto quanto Dio ha fatto: il cielo e la terra, questo bell’ordine che regna nel vasto universo, tutto ci annuncia una potenza infinita che ha tutto creato, una saggezza ammirabile che tutto governa, una bontà suprema che a tutto provvede con la stessa facilità che se fosse occupata d’un essere solo: tanti prodigi, non possono che riempirci di stupore e di ammirazione. Ma, se parliamo dell’adorabile sacramento dell’Eucaristia, possiamo dire che qui v’è il prodigio dell’amore d’un Dio per noi: qui la sua potenza, la grazia, la bontà sua risplendono in modo al tutto straordinario. Possiamo dire con tutta verità, che qui v’è il pane disceso dal cielo, il pane degli Angeli, che ci è dato per cibo delle anime nostre. E questo pane dei forti che ci consola, ed addolcisce le nostre pene. E qui veramente ” il pane dei viatori; „ diciamo anzi, F. M., la chiave che ci ha aperto il cielo. “Chi mi riceverà, dice il Salvatore, avrà la vita eterna: chi non mi riceverà, morrà. Chi ricorrerà, dice il Salvatore, a questo sacro banchetto farà nascere in sé una fonte che zampillerà sino alla vita eterna(Giov. VI, 54, 55). Ma per meglio conoscere l’eccellenza di questo dono, bisogna esaminare sino a qual punto Gesù Cristo ha spinto il suo amore per noi in questo Sacramento. No, F. M., non bastava al Figlio di Dio l’essersi fatto uomo per noi: per accontentare il suo amore, bisognò che si desse a ciascuno di noi in particolare. Vedete, F. M., quanto ci ama. Nel medesimo istante che i suoi poveri figli si preparavano a farlo morire, il suo amore lo porta a fare un miracolo, per restare in mezzo ad essi. Si vide, si può vedere un amore più generoso e più splendido di quello che ci mostra nel Sacramento del suo amore? Non possiamo dire, come il Concilio di Trento, che in esso la sua liberalità e generosità hanno esaurito tutte le loro ricchezze ? (Sess. XIII, cap. II). Può forse trovarsi qualche cosa sulla terra, ed anche in cielo, capace di essergli messa a confronto? Si vide alcune volte la tenerezza d’un padre, la liberalità d’un re pei suoi sudditi andar sì oltre quanto quella di Gesù Cristo nel Sacramento dei nostri altari! Vediamo che i genitori, nel testamento danno i loro beni ai figli: ma nel testamento che Gesù Cristo ci fa, non ci dà i beni temporali, poiché li abbiamo…, ma ci dà il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso. Oh! felicità del Cristiano, quanto poco sei gustata! – No, F. M., non poteva spingere più lungi il suo amore che dandosi a noi: poiché ricevendolo, lo riceviamo con tutte le sue ricchezze. Non è questa la vera prodigalità d’un Dio per le sue creature? Sì, se Dio ci avesse data la libertà di domandargli quanto desideravamo, avremmo osato spinger sì lontano le nostre speranze? “D’altra parte, Dio stesso, benché Dio, poteva trovare cosa più preziosa da dosarci?„ domanda S. Agostino. Sapete, F . M., che cosa indusse Gesù Cristo ad acconsentire di restar notte e giorno nelle nostre chiese? Ah! F. M., fu perché ogni volta volessimo vederlo, potessimo trovarlo. Ah! tenerezza di padre, quanto sei grande! Può esserci cosa più consolante per un Cristiano, che sa di adorare un Dio presente in Corpo ed Anima!” Ah! Signore, esclama il Re-profeta, un giorno passato vicino a Voi, è preferibile a mille passati nelle adunanze del mondo!„ (Ps. LXXXIII, 11) Che cosa rende le nostre chiese così sante e rispettabili? Non è la presenza di Gesù Cristo? Ah! popolo felice quello dei Cristiani!

II. — Ma, chiederete, cosa dobbiamo fare per testimoniare a Gesù Cristo il nostro rispetto e la riconoscenza nostra? — Ecco, F. M.:

1° Non ci presenteremo davanti a Lui se non col più grande rispetto, e lo seguiremo in processione con gioia tutta celeste, raffigurandoci alla mente il gran giorno di quella processione che si farà dopo il giudizio universale. – Sì. F. M., per penetrarci del rispetto più profondo basta ricordarci che siamo peccatori, che siamo indegni di seguire un Dio così santo e puro. E un padre buono che tante volte abbiam disprezzato ed oltraggiato, che ci ama ancora, e ci dice che è pronto ad accordarci perdono. Cosa fa Gesù Cristo quando lo portiamo in processione? Eccolo. E come un re buono in mezzo ai suoi sudditi, come un buon padre circondato da’ suoi figli, come un buon pastore che vigila il suo gregge. Qual pensiero dobbiamo avere seguendo il nostro Dio? Eccolo. Dobbiamo seguirlo come i primi fedeli lo seguivano quand’era sulla terra, e beneficava tutti. Se avessimo la ventura di accompagnarlo con fede viva, potremmo essere sicuri di ottenere quanto gli domanderemo. Leggiamo nel Vangelo, che due ciechi, trovatisi sulla via seguita dal Signore, si posero a gridare: “O Gesù! Figlio di Davide, abbi pietà di noi! „ Gesù, n’ebbe compassione e domandò loro cosa volessero. “Ah! Signore, gli dissero, fate che noi vediamo. „ — “Ebbene! vedete, „ disse loro il buon Salvatore. (Matt. XX, 30-34).Un gran peccatore, Zaccheo, desiderando vederlo, s’arrampica su d’un albero: ma Gesù Cristo, che non ora venuto che per salvare i peccatori, gli gridò: “Zaccheo, discendi, perché oggi voglio fermarmi in casa tua. „ In casa tua! È come se gli avesse detto: Zaccheo, da lungo tempo la porta del tuo cuore è chiusa pel tuo orgoglio e le tue ingiustizie: aprimi oggi, vengo a darti il perdono. Sull’istante Zaccheo discende, si umilia profondamente davanti al suo Dio, ripara tutte le sue ingiustizie, e non vuol più che la povertà ed i patimenti per sé. O  fortunato momento che gli valse una felicità eterna! Un altro giorno in cui il Salvatore passava per un’altra via, una povera donna, afflitta da dodici anni da una perdita di sangue, lo seguiva. “Ah! diceva tra sé, se avessi la fortuna di toccare anche solo il lembo del suo abito, sono sicura che guarirei. „ (Luc. XIX, 1-10). Piena di confidenza, corre a gettarsi ai piedi del Salvatore, tocca il lembo del suo abito e sull’istante è liberata dal suo male. Sì, F. M., se avessimo la medesima fede, la medesima confidenza, otterremmo le medesime grazie: perché è lo stesso Dio, lo stesso Salvatore, lo stesso Padre, animato dalla stessa carità. “Venite, diceva il Profeta, venite, Signore, uscite dai vostri tabernacoli, mostratevi al popolo vostro che vi desidera e vi ama. „ Ahimè! quanti ammalati da guarire: quanti ciechi, cui render la vista! Quanti Cristiani, che seguiranno Gesù Cristo, e la loro povera anima è ricoperta di piaghe! Quanti Cristiani che sono nelle tenebre, e non vedono che son vicini a cadere nell’inferno! Mio Dio! Guarite gli uni ed illuminate gli altri! Povere anime, quanto siete sventurate! S. Paolo ci dice che essendo ad Atene, trovò scritto sa un altare: “Al Dio ignoto, „ o almeno dimenticato (Act. XVII, 23). Ah! F. M.! io potrei ben dirvi al contrario: vengo ad annunciarvi un Dio che sapete essere il vostro Dio, e non lo adorate e lo disprezzate. Quanti Cristiani che nei giorni di domenica non sanno che fare del loro tempo; che non si degnano neppure di venire per qualche breve momento a visitare il loro Salvatore, che arde di desiderio di vederli a sé vicini, per dir ad essi che li ama e vuol colmarli di benefizi. Oh! qual vergogna per noi!… Succede qualche novità? Si lascia tutto, e si corre. Per Iddio altro non facciamo che disprezzarlo e fuggirlo; il tempo ci pesa alla sua santa presenza; quanto facciamo è sempre lungo. Ah! qual differenza tra i primi fedeli e noi! essi consideravano come il tempo più felice di lor vita quello in cui avevano la fortuna di passare i giorni e le notti intere nelle chiese a cantar le lodi del Signore, od a piangere i loro peccati: ma oggi non è più così. Egli è lasciato, abbandonato da noi, v’è persino chi lo disprezza: la maggior parte ci presentiamo nelle chiese, in questi luoghi sacri, senza rispetto, senza amor di Dio, senza neppur sapere cosa vi veniamo a fare. Gli uni lasciano occupare il loro spirito ed il cuore da mille cose terrestri, e forse anche peccaminose: gli altri vi stanno con noia e disgusto: altri s’inginocchiano a fatica, mentre un Dio sparge il suo sangue prezioso pel loro perdono: altri infine lasciano appena discendere il Sacerdote dall’altare e subito sen fuggono. Mio Dio, come i figli vostri vi amano poco, o piuttosto vi disprezzano! Infatti, quale spirito di leggerezza e dissipazione non mostrate voi, quando siete in chiesa! gli uni dormono, gli altri parlano, e quasi nessuno si occupa di quanto dove fare.

2° F. M., tutti noi, fatti per Iddio, ricolmati di continuo de’ suoi benefizi più abbondanti, tutti dobbiamo testimoniargli la nostra riconoscenza, e affliggerci di vederlo tanto oltraggiato. Dobbiam fare come un amico che si rattrista per la sventura di un amico: così gli mostra sincera amicizia. Eppure, F. M., per quanti servigi abbia quest’amico potuto rendere all’amico, non avrà fatto mai quanto Dio ha fatto per noi. — Ma, chi deve, a quanto pare, dimostrare un amore più grande ed ardente per gli oltraggi che Gesù Cristo riceve da parte dei cattivi Cristiani? — Certamente tutti debbono affliggersi dei disprezzi che gli si fanno, e procurar di risarcirnelo: ma alcuni fra i Cristiani vi sono obbligati in modo particolare; ed eccoli: sono coloro che hanno la ventura d’appartenere alla confraternita del Ss. Sacramento. Dico: “Che hanno la fortuna. „ Ah! può darsi sorte più cara di quella d’esser scelti per far riparazione a Gesù Cristo degli oltraggi che riceve nel Sacramento del suo amore? Ma non illudetevi, F. M; come confratelli, siete obbligati a condurre una vita ben più perfetta che il resto dei Cristiani. I vostri peccati sono assai più sensibili per Gesù Cristo. Miei cari, non basta portare una candela in mano, per mostrar d’essere fra coloro che Dio ha scelto: ma bisogna che ci distingua la nostra vita, come la candela ci distingue da chi non l’ha. Perché, F. M., brillano queste candele? se non perché la vita vostra dev’essere un modello di virtù, e voi dovete gloriarvi d’essere figli di Dio, pronti a dar la vita per sostenere gli interessi del vostro Dio, al quale vi consacraste con grande sincerità? Sì, F. M., affaccendarsi ad abbellir le chiese ed i tabernacoli: sono queste buone e lodevoli dimostrazioni esteriori: ma non bastano. I Betsamiti, quando l’arca del Signore passò per il loro territorio, mostrarono la maggior premura e lo zelo più ardente: appena scortala, il popolo uscì in folla per incontrarla: tutti si affrettarono di uccidere buoi pel sacrificio. Eppure cinquanta mila furon colpiti da morte, perché non era stato abbastanza grande il loro rispetto!. (1 Re, VI). Oh! F. M., ci deve ben far tremare quest’esempio! Cosa rinchiudeva quell’arca? Ahimè! un po’ di manna, le tavole della legge: eppure, perché coloro che vi s’avvicinano non sono abbastanza penetrati della sua presenza, il Signore li colpisce di morte. Ma, ditemi, chi riflettendo alquanto alla presenza di Gesù Cristo, non sarebbe colto da timore? Quanti, F. M., sono così sciagurati da far compagnia al Salvatore, col cuore macchiato di colpe! Ah! disgraziato, potrai ben piegar le ginocchia, mentre Dio si alza per benedire il suo popolo: i suoi sguardi penetranti non lasceranno di vedere gli orrori che sono nel tuo cuore. Ma se l’anima nostra è pura, presentiamoci a seguire Gesù Cristo come un gran re che esce dalla sua città capitale a ricevere gli omaggi dei sudditi, e colmarli di benefici. Leggiamo nel Vangelo, che i due discepoli d’Emmaus camminavano col Salvatore senza conoscerlo: quando lo riconobbero, scomparve. Rapiti di gioia, si dicevano l’un l’altro: “Come mai non l’abbiamo conosciuto? I nostri cuori non si sentivano forse infiammati d’amore quando ci parlava spiegandoci la santa Eucaristia?„ (Luc. XXIV, 13-32) Mille volte più felici, . M., di quei discepoli, che camminavano con Gesù Cristo senza conoscerlo, noi sappiamo che è il nostro Dio ed il nostro Salvatore, che parla in fondo al nostro cuore, e vi fa nascere un numero infinito di buoni pensieri, di buone ispirazioni. “Figlio mio, ci dice, perché non vuoi amarmi? Perché non lasci quel maledetto peccato, che mette un muro di separazione tra noi due? Ah! figlio mio, vuoi dunque abbandonarmi? vorrai costringermi a condannarti ai supplizi eterni? Figlio mio, eccoti il perdono: vuoi tu pentirti? „ Ma che gli dice il peccatore? “No, no, Signore, preferisco vivere sotto la tirannia del demonio ed esser riprovato, anziché domandarvi perdono. „ Ma, mi direte, noi non diciamo questo al buon Dio. — Ed io vi soggiungo, che lo dite continuamente, ogni volta Iddio vi manda il pensiero di convertirvi. Ah! infelice, verrà un giorno che domanderai quanto oggi rifiuti; e forse non ti sarà accordato. È certo, F. M., che se avessimo la fortuna di tanti santi, ai quali Dio si faceva vedere, come a S. Teresa, talora come bambino nella culla, talora confitto sulla croce, avremmo senza dubbio maggior rispetto ed amore per Lui: ma non lo meritiamo; e poi ci crederemmo già santi: il che ci sarebbe argomento d’orgoglio. Ma, sebbene il buon Dio non ci conceda una tal grazia, non è meno presente e pronto ad accordarci quanto gli domanderemo. – Raccontasi nella storia, che un sacerdote, dubbioso di questa verità, dopo aver pronunciato le parole della consacrazione: “Come è possibile, diceva tra sé, che le parole di un uomo facciano un sì gran miracolo? „ Ma Gesù Cristo, per rimproverargli la sua poca fede, fece trasudare sangue all’Ostia santa in grande abbondanza. Ascoltate che cosa ci dice il medesimo autore: essendosi appiccato il fuoco in una cappella, tutta la costruzione fu abbruciata e distrutta: e la santa Ostia restò sospesa in aria, senza appoggio alcuno: venuto il sacerdote a riceverla in un vaso, subito vi discese dentro (È il miracolo delle sante Ostie di Faverney, nella diocesi di Besançon, avvenuto il ’26 Maggio 1608. Mgr de Ségur, La Francia ai piedi del Ss. Sacramento, xv, ricorda alcune particolarità del fatto in modo un po’ differente dal racconto del Beato). . Leggiamo nella storia ecclesiastica (Questo celebre miracolo avvenne in Parigi l’anno 1290. Vedi Rohrbacher, Storia universale…, lib. LXXVI), che la fantesca d’un giudeo, per pura compiacenza verso del padrone, gli portò un’Ostia santa. Dopo ricevutala in bocca, questa disgraziata la prese, la mise nel fazzoletto e la portò al padrone. Questo mostro, ebbro di gioia per aver Gesù Cristo in suo potere, come già i padri suoi quando lo misero in croce, si abbandonò a quanto il furor suo poté ispirargli. Gesù Cristo volle mostrargli quanto vivamente sentisse gli oltraggi che gli faceva. Il disgraziato, messa l’Ostia santa su d’una tavola, la colpì parecchie volte col temperino: l’Ostia si coperse tosto tutta di sangue: il che fece fremere la moglie ed i figli suoi, presenti a così raccapricciante spettacolo. Ripresala, la sospende ad un chiodo, e le dà molti colpi di staffile e di lancia: il sangue usciva in grande abbondanza come prima. La riprende per la terza volta, e la getta in una caldaia d’acqua bollente. Subito l’acqua fu cambiata in sangue: e nello stesso istante Gesù Cristo riprende la forma che aveva sull’albero della croce. In tal modo sembrava volesse Gesù Cristo tentar se poteva di commuoverlo. Ma il disgraziato, simile a Giuda, considera il suo delitto come troppo grande, e, disperando del perdono, fu condannato ad esser abbruciato vivo. F. M., non possiamo udir questi orrori senza fremere. Ahimè! quanti Cristiani lo trattano ancor più crudelmente! Ma, mi direte, come è possibile diportarsi in tal modo? — Ahimè! amico mio, Dio voglia che non vi tocchi mai tale sventura! Ogni volta che acconsentite al peccato!: un pensiero di orgoglio lo calpesta sotto i piedi e gli dà la morte: un pensiero impuro gli squarcia il cuore. — Ahimè! in questa processione raffiguriamoci il Salvatore come se andasse al Calvario: gli uni gli davano dei calci, gli altri lo ricoprivano d’ingiurie e di bestemmie… soltanto alcune anime sante lo seguivano piangendo, e mescolavano le lor lagrime col Sangue prezioso, di cui bagnava la via. Oh! quanti Giudei e carnefici stanno per seguire Gesù Cristo, e non si accontenteranno solo di farlo morire una volta, ma sopra tanti calvari, quanti sono i loro cuori! Ah! è possibile che un Dio che ci ama tanto sia così disprezzato e maltrattato? Sì, F. M., se amassimo il buon Dio, ci faremmo una gioia ed una felicità di venir tutte le domeniche a passar alcuni istanti per adorarlo, domandargli la grazia di perdonarci: considereremmo questi momenti come i più belli della vita. Ah! che gli istanti passati con questo Dio di bontà sono dolci e consolanti! Siete nell’affanno! venite a gettarvi un momento a’ suoi piedi, e vi sentirete consolati. Siete sprezzati dal mondo? venite qua, e troverete un amico che non vi mancherà di fedeltà. Siete tentato? oh! è qui che troverete delle armi forti e terribili per vincere il vostro nemico. Temete il giudizio formidabile che ha fatto tremare i più gran santi? approfittate del tempo in cui il vostro Dio è il Dio della misericordia, ed in cui vi è sì facile ottenere la sua grazia. Siete oppresso dalla povertà? Venite qui,vi troverete un Dio infinitamente ricco, e che vi dirà che tutti i suoi beni sono per voi, non in questo mondo, ma nell’altro. “E là ch’io ti preparo dei beni infiniti; disprezza questi beni perituri, e ne avrai altri che non periranno mai. „ Vogliamo incominciare a gustare la felicità dei santi? veniamo qui, e ne gusteremo il beato inizio. Ah! quanto fa bene, F. M., il godere i casti amplessi del Salvatore! Non li avete mai gustati? Se aveste avuto tal felicità non potreste più abbandonarla. Non meravigliamoci più che tante anime sante abbiano passata la lor vita nella sua casa giorno e notte: esse non potevano più separarsi dalla sua presenza. – Leggiamo nella storia, che un santo sacerdote trovava tante dolcezze e consolazioni nelle chiese, che dormiva sul pavimento dell’altare per aver la fortuna, svegliandosi di trovarsi presso il suo Dio: e Dio, per ricompensarlo, permise che morisse ai piedi dell’altare. Vedete S. Luigi, che nei suoi viaggi, Invece di passar la notte nel letto, la passava aipiedi degli altari, vicino alla dolce presenza del suo Salvatore. Perché, F. M., abbiamo tanta indifferenza e disgusto quando dobbiamo venir qui? Ahimè! perché mai gustammo questi momenti felici. Che dobbiam concludere da tutto ciò? Eccolo. Dobbiam riguardare come il momento più felice di nostra vita quello, in cui possiamo tener compagnia ad un amico sì buono. Seguiamolo in processione con un santo timore: siamo peccatori, domandiamogli con dolore e lagrime il perdono dei nostri peccati e saremo sicuri di ottenerlo… Riconciliati, sollecitiamo il dono prezioso della perseveranza. Diciamogli che piuttosto di offenderlo ancora, preferiamo morire. No, F. M., fin che non amerete il vostro Dio non sarete mai contenti: tutto vi peserà tutto vi annoierà: ma dacché l’amerete, passerete una vita felice, e aspetterete la morte con desiderio… Quella morte avventurata che ci riunirà al nostro Dio!… Ah! felicità! quando verrai?… Quanto è lungo questo tempo! Ah! vieni! tu ci procurerai il più grande di tutti i beni, il possesso di Dio!… Ciò che… vi desidero.

LE TRIBOLAZIONI NELLA CHIESA (8) – OBBLIGHI DI UN PASTORE (V)

OBBLIGHI DEI PASTORI E DEI FEDELI NELLE TRIBOLAZIONI DELLA CHIESA (8)

ESPOSTI DAL P. ALFONSO MUZZARELLI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ,

ROMA – STAMPERIA DELLA S. GC. DE PROPAGANDA FIDE, AMMINISTRATA DAL SOC. CAV. PIETRO MARIETTI – 1866

DEGLI OBBLIGHI DI UN PASTORE NELLE TRIBOLAZIONI DELLA CHIESA (V)

Mi sono alquanto diffuso nell’esempio di questo illustre Atleta della libertà Ecclesiastica. Ma non è egli il solo. Basta scorrere le vite dei Santi Pastori, per esempio di S. Ambrogio, di S. Anselmo, di S. Antonino, di S. Carlo Borromeo, e da per tutto si trovano luminosi esempi di giusta resistenza alla loro invasione dei laici. Ora avrebber essi esposta la loro vita e la pace della Chiesa per conservare l’immunità e la giurisdizione Ecclesiastica, se non lo avesser creduto necessario? O pure la Chiesa ricorderebbe con lode il lor coraggio apostolico, se nol credesse degno d’ammirazione? Passo al presente all’ultima ricerca, cioè della vita e dell’esempio necessario e nella pace, e nella persecuzione ad un Vescovo. Il Concilio di Trento ei somministra in pochi tratti il metodo di vita, e l’esemplarità dovuta da un Pastore in ogni circostanza in faccia al suo gregge; e da questo metodo sarà facile l’argomentare come debba diportarsi, quando vede se stesso, e la sua Chiesa perseguitata, e combattuta (Concil. Trident. Sess. 25 de reform. cap. 1). « Optandum est (dice il Sacro Concilio), ut ii, qui Episcopale Ministerium suscipiunt, quæ suæ sint partes, agnoscant; ac se non ad propria commoda, non ad divitias, aut luxum; sed ad labores, et sollicitudines pro Dei gloria vocatos esse intelligant. Nec enim dubitandum est, et fideles reliquos ad religionem, innocentiamque facilius inflammandos, si præpositos suos viderint non ea, quæ mundi sunt, sed animarum salutem, ac cœlestem patriam cogitantes. Hæc cum ad restituendam ecclesiasticam disciplinam præcipue esse necessaria Sancta Synodus animadvertat; admonet Episcopos omnes, ut secum ea sæpe meditantes factis etiam ipsis, ac vitae actionibus, quod est veluti perpetuum quoddam prædicandi genus, se muneri suo conformes ostendant: în primis vero ita mores suos omnes componant, ut reliqui ab eis frugalitatis, modestiæ, continentiæ, acquæ nos tantopere commendat Deo, sanetae humilitatis exempla petere possint. Quapropter exemplo Patrum nostrorum in Concilio Carthaginensi, non solum iubet, ut Episcopi modesta suppellectili, et mensa, ac frugali vietu contenti sint; verum etiam in reliquo vitæ genere, ac tota cius domo caveant, ne quid appareat, quod a sancto hoc instituto sit alienum; quodque non simplicitatem, Dei zelum, ac vanitatum contemptum præseferat. Omnino vero iis interdicit, ne ex redditibus Ecelesiæ consanguineos, familiares suos augere studeant: cum el Apostolorum canones prohibeant, ne res ecclesiasticas, quæ Dei sunt, consanguineis donent, sed, sì pauperes sint, iis, ut pauperibus, distribuant eas autem non distrahant, nec dissipent illorum causa: immo quam maxime potest, eos saneta Synodus monet, ut omnem humanum hune erga fratres, nepoles, propinquosque carnis affectum, unde multorum malorum in Ecclesia seminarium extat, penitus deponat. » [Sarebbe desiderabile che chi riceve il ministero episcopale conosca i propri doveri e comprenda di essere stato chiamato non per cercare la propria utilità, né per procurarsi ricchezze o vivere nel lusso, ma a fatiche e preoccupazioni per la gloria di Dio. Non c’è dubbio che anche gli altri fedeli saranno piú facilmente incitati alla religione e all’onestà, se vedranno i loro pastori preoccupati non delle cose del mondo, ma della salvezza delle anime e della patria celeste. Il santo Sinodo comprende che questi principi sono fondamentali per il rinnovamento della disciplina nella Chiesa ed esorta tutti i vescovi perché, meditandoli spesso, anche con i fatti stessi e le azioni della vita, si mostrino conformi al loro ufficio: cosa che può considerarsi un continuo modo di predicare. E prima di tutto, diano un andamento tale a tutto il loro modo di vivere, che gli altri possano prendere da essi esempio di frugalità, di modestia, di continenza e di umiltà, che ci rende tanto graditi a Dio. Sull’esempio, quindi, di quanto prescrissero i nostri padri al Concilio di Cartagine (412), non solo comanda che i vescovi si contentino di una modesta suppellettile, di una sobria mensa e di un vitto frugale, ma che si guardino bene perché nel resto della loro vita e in tutta la loro casa non vi sia nulla di alieno da questo santo genere di vita, che non mostri zelo per Iddio e disprezzo per le vanità. In modo particolare, poi, proibisce loro assolutamente di cercare di favorire esageratamente i loro parenti e familiari con i redditi della Chiesa, poiché anche i canoni degli apostoli proibiscono loro di donare ai loro parenti i beni ecclesiastici che sono di Dio. Se poi fossero poveri, li diano loro come poveri, ma non li sottraggano e non li dissipino per essi. Anzi il santo Sinodo li esorta vivamente, perché depongano del tutto questo affetto umano della carne verso i fratelli, i nipoti e i parenti, da cui nella Chiesa hanno avuto origine tanti mali. Le cose dette dei vescovi non solo devono valere tenuto conto del grado di ciascuno per tutti quelli che hanno benefici ecclesiastici, sia regolari che secolari, ma si stabilisce che debbano valere anche per i cardinali della Santa Chiesa Romana, poiché sarebbe inconcepibile che quelli col consiglio dei quali il Romano Pontefice governa la Chiesa universale, non debbano poi brillare per le virtù e per una vita castigata, che attiri a buon diritto gli sguardi di tutti. Vuole dunque il Sacro Concilio ed esige dai Vescovi: la Frugalità, la Modestia, la Continenza, l’Umiltà, non di qualunque ge- nere, ma tale, che tutti gli altri da loro ne possano prender esempio. Vuole e comanda, che queste belle virtù traspirino e nella loro mensa, e nelle loro suppellettili, e in tutta la loro famiglia di modo che da per tutto si veda semplicità, zelo della gloria di Dio, e disprezzo di tutte le vanità mondane. Vuole e comanda, che le rendite della Chiesa si impieghino in usi pii, e non mai in accrescere lo stato dei congiunti, avvertendo, che quest’umano affetto è nella Chiesa di Dio un seminario di molti mali.]. – Queste regole generali di vita per tutti i Pastori della Chiesa si possono vedere minutamente ridotte a una legge pratica dai Concili Provinciali di Milano celebrati sotto l’insigne Pastore di quella Chiesa, dico l’immortale S. Carlo Borromeo. Io ne ho riportato un breve squarcio. nell’Opuscolo intitolato: Abusi nella Chiesa: ma ciascuno può da se stesso molto meglio mettersi all’esame di quelle savissime leggi. Che se alcuno replicasse, che di que’ tempi il lusso tra i secolari non era così eccessivo, come ai tempi nostri, e che perciò più facilmente potevano moderare lo splendor della lor famiglia anche gli Ecclesiastici; rispondo: primo, che ciò è falso, perché l’istesso S. Carlo nella sua Istruzione ai Confessori dice espressamente così: Sono ridotte le pompe di questi tempi nel maggior colmo, che possano essere (Act. 4, p. 652, edit. Lugdun. ann. 1862). Secondo, perché quanto è maggiore il lusso nei secolari, tanto dev’essere maggiore la moderazione negli Ecclesiastici, essendo inutile ogni altro mezzo per estirpare il lusso, fino a tanto che i secolari potranno dire: che gli Ecclesiastici insegnano una cosa, e ne fanno un’altra. Se un arboscello è molto inclinato da una parte, non basta tirarlo al mezzo per raddrizzarlo, ma bisogna piegarlo violentemente dall’altra, perché lasciandolo in libertà torni al suo sito, e alla sua dirittura naturale. Altrimenti se uno si contentasse di tirarlo soltanto al mezzo, lasciandolo poi andare, ripiglierebbe subito la sua prima inclinazione. Voglio dire, che quanto è maggiore il lusso ne’ laici, tanto dev’essere maggiore la semplicità, e la frugalità degli Ecclesiastici, per riformare col loro esempio il mondo ingannato. Guardate, se siamo lontani che quella scusa abbia nessuna forza nel caso nostro. Certo è, che senza distinzione alcuna di tempo né di circostanze decide su questo particolare il Cardinal Bellarmino (ad Nepot. Controv. 8) così: « Certum est peccare mortaliter eos Episcopos, qui non sunt contenti frugali mensa, et tenui suppellectili, et reliqua non insumunt in reparationem Ecclesiæ, et usum pauperum ». Ed è da notare, che appoggia la sua decisione sull’autorità di (2, 2 qu. 183, art. 7) S. Tomaso. Replica non molto di poi spiegando sempre più chiaramente la sua opinione: « Frugalius vivere debent, multoque cum minori pompa, quam divites huius mundi. Negue conviviorum aut lautities illis est licita, neque alius domesticus apparatus. Nam, ut ait Hieronymus, de altari illis vivere fas est, non luxuriari. » – Passo innanzi adesso, e dico così: Se la frugalità, la modestia, l’umiltà, il disinteresse, la semplicità d’un Vescovo dev’esser somma in ogni tempo, molto più lo dev’essere in tempo di persecuzione. E perché? Perché questo è un mezzo necessario per recidere e per deludere la persecuzione medesima. Questa proposizione viene corroborata da tre gagliarde ragioni. Primo; perché questo è quello, che ordinariamente vuole Iddio col permettere la persecuzione. Secondo; perché questo è quello, che più spaventa il furore della Podestà secolare. Terzo; perché questo è quello, che rende un Vescovo quasi affatto libero per esercitare il suo ministero, e per difendere la sua Chiesa. Spiego tutte queste ragioni una per una.

Primo: Dio col permettere la persecuzione ordinariamente domanda riforma negli Ecclesiastici, e specialmente nei Pastori. Dunque in tempo di persecuzione i Pastori devono in singolar modo attendere a riformarsi non solo nello spirito, ma anche nell’esterno tenor di vita. Questo si prova con un argomento d’induzione. Imperocchè ordinariamente le persecuzioni si sono permesse da Dio in pena, e in emenda dei falli. Chi è colui, dice Geremia (Thren. III, 37 et segg.) il quale va dicendo, che i mali d’Israele sono accaduti senza comando del Signore? « Quis est iste, qui dixit, ut fieret, Domino non iubente? Ex ore Altissimi non egredientur nec bona, nec mala? » Questa diventa una falsa difesa dei peccati. Quid murmuravit homo vivens, vir pro peccatis suis? Esploriamo puree ricerchiamo i nostri passi, e torniamo al Signore; per questo Egli è divenuto inesorabile, e ha stesa dinanzi a’ suoi occhi una nube, perché non passino al suo cospetto le nostre orazioni: Scrutemur vias nostras, et quæramus, et revertamur ad Dominum… Nos inique egimus, et ad iracundiam provocavimus idcirco tu inexorabilis es…. Opposuisti nubem tibi, ne transeat oratio. Questo è quello, che dice anche Iddio per bocca del Profeta Amos (Am. III, 4): Osservate, se v’è male nessuno, che non sia stato fatto dal Signore: Si erit malum in civitate, quod non fecerit Dóminus. Io l’ho detto in altro luogo (Lettera a Sofia) su la scorta del Vangelo. Quando il vizio è arrivato a diseccare, o a infracidare molti tralci della vite, i quali non fanno più frutto, viene l’agricoltore celeste, e gli recide, e gli (Joa. XV, 2) separa; e in quella stessa occasione rimonda i tralci fruttiferi, acciocchè facciano più frutto. Quando tra il grano eletto si è mescolata molta paglia, il capo di famiglia prende in mano il vaglio (Luc. III, 17), e separa l’uno dall’altra, raduna il frumento nel suo granaio, e ammucchia le paglie sul fuoco per arderle. Quando la religione è divenuta quasi soltanto una esterior apparenza, e lo zelo non si distingue ormai più dall’interesse, perché producono quasi gli stessi effetti, allora Iddio permette nella sua Chiesa una gran tentazione; affinché (Luc. III, 34, et 35) si scuoprano gli occulti pensieri dei cuori (Joan. II, 19) ipocriti. Per questo Iddio permise la profanazione del Tempio (2 Machab. V, 17 et sequ. VI, 12 et seq.) sotto Antioco, e non la permise. sotto Seleuco, cioè « propter peccata habitantium civitatem… propter quod et accidit circa locum destructio. . .. perché non propter locum gentem, sed propter gentem locum Deus elegit. Ideoque et ipse locus particeps factus est populi malorum. » La permise Iddio per correzione del suo popolo: « Reputent ea, quæ ceciderunt, non ad interitum, sed ad correctionem esse generis nostri.» Per questo Iddio permise nella sua Chiesa la crudele persecuzione di Decio, e di Diocleziano, come osservano Eusebio, e S. Cipriano (Eused. hast. lib. 8, c. 1, S. Cypr. ep. 7, et lib. de Lapsis edit. Venet. 1758, col. 435); rilevando specialmente la corruttela, la negligenza, l’avarizia dei Pastori di quel tempo. Per questo ha permesso Iddio tant’altre (Sanct. Bernardin. Senens, in Apoc. cap. 2 Edit. Venet. 1745, 1.5, p. 18) persecuzioni nella sua Chiesa; e ciò ben si conosce col riflettere, che le persecuzioni non sono ordinariamente cessate, se non con qualche riforma specialmente degli Ecclesiastici; e così avvenne dell’eresia di Lutero, la quale non fece gran progressi dopo le riforme del Concilio di Trento. Dunque ogni qual volta si vuole il termine di qualche atroce persecuzione: Scrutemus vias nostras, et quæramus, et revertamur ad Dominum; altrimenti non avranno nessuno forza le nostre orazioni; Opposuisti nubem tibi, ne transeat oratio.

Secondo: non v’è cosa, che spaventi tanto la podestà secolare, quanto la sobrietà, l’umiltà e il disinteresse d’un Vescovo. Dunque in tempo di persecuzione sono sommamente necessarie queste virtù in un Pastore per far argine alle invasioni della secolar podestà. La ragione è molto chiara, se si rifletta, che l’idolo del mondo è l’interesse, l’onore, e la grandezza, e che queste sono le cose, che nel mondo si stimano, e che queste sono i premi, che dà il mondo, e che la privazione di questi beni è uno dei maggiori castighi del mondo. Quando adunque il mondo vede un Vescovo, che non cura nessuna di queste cose, si spaventa ne’ suoi disegni, perché non ha più come assalirlo, né con speranza di premi, né con minacce di povertà, e d’esilio, e in conseguenza resta molte volte avvilito nelle sue pretese. Infatti le prime mosse del mondo contro la Podestà Ecclesiastica incominciano d’ordinario dall’impadronirsi de’ suoi Beni, per avere in mano il freno; con cui regolare a capriccio la sua giurisdizione, e la sua fede. Dunque non v’è un mezzo migliore in tempo di persecuzione per resistere alle macchine del mondo, quanto un totale disprezzo de’ suoi beni. – In fine il disinteresse è quello, che rende un Vescovo. Quasi affatto libero nell’esercizio del suo ministero e nella difesa del suo gregge. Dunque il disinteresse è sommamente necessario al Vescovo in tempo di battaglia. Anche questo si manifesta ad evidenza riflettendo, che le Maggiori tentazioni per tradire il proprio impiego nascono d’ordinario dalla cupidigia d’avere, o di conservare i beni del mondo; e quanto più uno è spogliato di questo attacco, tanto è più coraggioso per intraprendere qualunque affare di servigio di Dio, e della Chiesa; ma dei primi non è così: « Qui volunt divites fieri in tentationem, et in laqueum diaboli, ‘et desideria multo inutilia, et nociva, quæ mergunt homines in interitum, et perditionem. Radix enim omnium malorum est cupiditas: quam quidam appetentes erraverunt a fide.  Al contrario coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori. – 1 Timot. VI, 9 ».  E pure troppo è verissimo quello, che dice, e ripete l’Ecclesiastico (Eccles. XI, 10): Si fueris dives; non eris immunis a delictose esagererai, non sarai esente da colpa; e (XXXIV, 5) si aurum diligit, non iustificabitur – se ami l’oro, non sarai giustificato … Onde per evitare questi pericoli non v’è altro rimedio, che posseder le ricchezze, come se non si avessero, ed esser poveri di spirito in mezzo all’abbondanza. Per questo anche ha detto Gesù Cristo quella gran sentenza: (Luc. XIV,  33). Qui non renuntiat omnibus, quæ possidet, non potest meus esse discipulus; che chi non rinunzia coll’affetto a tutto ciò che possiede, non può essere discepolo. Ora dico io, come può essere distaccato col cuore dai beni della Chiesa quel Vescovo, il quale se ne serve per far buona comparsa nel mondo, e mette prima da parte tutti i suoi comodi, e tutta quella, che il mondo chiama decenza dello stato superiore talvolta alla decenza dei ricchi del secolo; e poi destina gli avanzi, e le briciole, che cascano dalla mensa, al sovvenimento dei poveri, i quali per altro sono quasi egualmente padroni dei beni della sua Chiesa? Come può un tal Vescovo aver le mani libere per esercitare la sua autorità, e per difendere la sua fede, quando il mondo lo minacci di spogliarlo di tutto quello, che sino allora amò con tanta sollecitudine? Non mancheranno pretesti e dettami per acquietare insieme la propria cupidigia, e la propria coscienza; e si vorranno conciliare insieme questi due padroni, cioè Dio, e il mondo; ma sì perderà certamente Iddio, perché servire a due padroni non si può; e questo è di fede. – Ma un Vescovo, che non abbia attacco né ai suoi comodi, né al proprio lustro, e che possa dire, che il mondo non trova in lui niente del suo, non ha nemmeno nessuna paura della morte. Ma un Cristiano frugale, e disinteressato non ha grande inimicizia colla morte, perché la morte poco gli può togliere, e molto gli può dare col metterlo ai confini di quell’eternità, dove sarà liberato di tutto il peso del suo ministero, e riceverà cento per uno di tutto quello, che fedelmente ha distribuito ai poveri. Oltre a che Dio è impegnato ad aiutare in tale circostanza quel servo fedele, che ha mostrato tanta cura della sua famiglia, e che ha vestito e sfamato tante volte Lui medesimo nella persona de’ suoi poverelli. Dunque la frugalità, e il disinteresse rendono un Vescovo libero, e coraggioso nell’esercizio della sua giurisdizione e nell’insegnamento della Fede. Dunque la frugalità, e il disinteresse sono oltremodo a lui necessari in tempo di persecuzione, in cui si combatte la Fede e l’Autorità della Chiesa. E con ciò io credo di aver abbastanza soddisfatto a quei tre articoli, che mi proposi ad esaminare sin da principio scorrendo quei punti principali, che potrebbero esigere qualche esame in queste circostanze. Sarebbe stato facile il recare più esempi, o più autorità intorno ad ogni quesito. Ma questa non è un Opera; è un Opuscolo, che può correre agevolmente per le mani di molti senza spaventare colla sua mole, e col suo peso chi si presenta a riguardarlo, e a leggerlo. Questo è stato il costume di molti Padri, come per esempio di Tertulliano, di S. Ambrogio, di S. Cipriano, di S. Bernardo, di S. Pier Damiani, e di più altri. V’è la sua utilità nelle Opere grandi, e v’è nelle piccole. Ognuno segue il suo talento, il suo genio, e i suoi fini.

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