UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX- “NULLIS CERTE”

« …Nel mondo sarete angustiati; ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv XVI, 33); Beati coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia (Mt V,10), siamo preparati a seguire le illustri vestigia dei Nostri Predecessori, ad emularne gli esempi, e a patire ogni cosa sopra ed acerba, ed anche a dare la vita, anziché disertare in alcun modo la causa di Dio, della Chiesa e della giustizia. » Questo è ancora il motto che deve animare un “vero” Cattolico a resistere all’azione delle forze del male che si abbattono costantemente sulla Chiesa Cattolica, come del resto nel santo Vangelo è ampiamente preannunziato citando le feroci persecuzioni che i “congregati delle nazioni” scateneranno sulla Chiesa, sui credenti laici e chierici, sulle società e popoli cristiani. Qui il Santo Pontefice rivendica per sé e su tutti Cattolici del mondo i diritti della Santa Sede a cui veniva “consigliato” da un Imperatore francese di cedere i territori ribelli, ubbidendo ai “suggerimenti” delle logge massoniche che lo sostenevano nel suo dominio, prima poi di rovesciarlo rovinosamente sostituendo il suo traballante impero con una repubblica chiaramente di ideologia massonica che tuttora angaria quel popolo un tempo cristiano. La persecuzione è continuata in maniera subdola, fino alle vicende attuali, in cui è divenuta la più terribile di ogni tempo, molto più delle celebri dieci della Chiesa nascente. Molti penseranno che la persecuzione non ci sia ancora ma … ciechi che non comprendono che le persecuzioni materiali, fanno soffrire, e possono perfino uccidere il corpo, procurando nel contempo un merito straordinario al martire consapevole di affrontare anche la morte nell’attesa della eterna beatitudine. Come molti dottori della Chiesa hanno sapientemente rilevato, alle dieci persecuzioni degli imperatori romani, sono susseguite le persecuzioni ben più insidiose per l’anima: quelle delle eresie succedutesi dal IV secolo in poi … arianesimo, ebionismo, monofisismo, monotelismo, pelagianesimo, semipelagianesimo, macedonianesimo …. luteranesimo,  e diverse altre fino al giansenismo, all’americanismo, al fineysmo … in successione e tutte in condizione di uccidere, come hanno fatto, un’infinità di anime. Ma, oggi che viviamo il modernismo anticristiano della sinagoga del demonio infiltrata nei palazzi vaticani, e che come sapientemente affermava il Santo Pontefice Pio X, è la somma di tutte le eresie, noi abbiamo la persecuzione contemporanea e concentrata di tutte le eresie, persecuzione più dannosa che mai, perché non percepita come tale dalla quasi pressoché maggioranza degli esseri umani che, pertanto, andando incontro alla morte certa dell’anima – pur restando il corpo indenne da lesioni – è votata all’eterna dannazione. È questa veramente la persecuzione di gran lunga la peggiore – anche senza aspettare il marchio della bestia ed il tatuaggio-chip sottopelle – perché occulta, inconsapevole e che dà la morte elargendo apparentemente salvezza, come la morte di un malato che, credendo oltretutto di assumere un rimedio salutare alla sua malattia, ingerisce un veleno dolce, ma mortale, e qual morte …. quella eterna dell’anima! Ancora una volta le profezie bibliche sono state esatte fino all’ultima virgola, trattino, apex… Almeno noi del pusillus grex cerchiamo di farci trovare nell’osservanza operosa della fede quando il Signore Gesù nostro Giudice verrà a giudicarci per poter essere incoronati, dopo le feroci persecuzioni, dalla eterna gloria.


Pio IX
Nullis certe

Noi non possiamo certamente spiegarvi a parole, Venerabili Fratelli, quanto gaudio e quanta letizia, fra le Nostre gravissime amarezze, Ci abbiano recato sia da parte di Voi tutti, sia dei Fedeli affidati alle vostre cure, la singolare e meravigliosa fede, la pietà e l’osservanza verso Noi e questa Sede Apostolica, e l’egregio consenso, l’alacrità, il fervore e la costanza nel difendere i diritti della medesima Sede e nel patrocinare la causa della giustizia. Infatti, allorché prima della Nostra Lettera Enciclica a Voi spedita il 18 giugno dell’anno scorso, e poi dalle Nostre due Allocuzioni concistoriali, con sommo dolore del vostro animo conosceste i gravissimi mali da cui erano miseramente colpite le cose sacre e civili in Italia. Voi comprendeste gli iniqui e temerari moti di ribellione contro i legittimi Principi della stessa Italia, e contro il sacro e legittimo Principato Nostro e di questa Santa Sede; Voi, secondando tosto i Nostri voti e le Nostre cure, non frapponendo alcun indugio, vi affrettaste con ogni zelo ad ordinare nelle vostre diocesi pubbliche preghiere. Quindi non solo con le vostre lettere, piene di profondo ossequio e carità a Noi inviate, ma anche con le lettere pastorali e con altri scritti dotti e religiosi, diffusi nel popolo, alzaste l’episcopale vostra voce – con lode insigne del vostro Ordine e del vostro nome – a propugnare strenuamente la causa della santissima nostra Religione e della giustizia, e a condannare con ogni vigore i sacrileghi attentati commessi contro il civile Principato della Chiesa Romana. Difendendo costantemente questo Principato, vi siete compiaciuti di professare e di insegnare che esso fu dato al Romano Pontefice per singolare disegno di quella divina Provvidenza che regge e governa ogni cosa, affinché Egli, per il fatto di non essere mai soggetto a nessun potere civile, possa esercitare sopra tutto il mondo, con pienissima libertà e senza alcun impedimento, il supremo ufficio del ministero apostolico a Lui divinamente affidato dallo stesso Nostro Signore Gesù Cristo. – Ammaestrati dalle vostre istruzioni e trascinati dal vostro egregio esempio, i figliuoli a Noi carissimi della Chiesa Cattolica con sommo impegno gareggiarono e gareggiano per esprimerci da parte loro i medesimi sentimenti. Infatti da tutte le regioni dell’intero orbe cattolico ricevemmo innumerevoli lettere, sia di ecclesiastici, sia di laici, d’ogni dignità, ordine, grado e condizione, e perfino lettere sottoscritte da centinaia di migliaia di Cattolici, con le quali essi manifestano e confermano la loro venerazione e devozione filiale verso di Noi, e verso la Cattedra di Pietro; detestando fortemente la ribellione e gli attentati commessi in alcune Nostre province, sostengono che il patrimonio del beato Pietro debba assolutamente conservarsi integro ed inviolato, e si debba difenderlo da ogni offesa; ciò non pochi, tra loro, dimostrarono con dottrina e sapienza in libri appositamente dati alla luce. Ora, queste preclare manifestazioni sia Vostre, sia dei Fedeli, meritevoli certamente di ogni lode ed encomio, e degne di venire iscritte nei fasti della Chiesa Cattolica a caratteri d’oro, Ci commossero talmente che non Ci potemmo astenere dall’esclamare lietamente: “Benedetto sia Dio e il Padre del Signor nostro Gesù Cristo, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, che così ci consola in sì travaglio“. Perciò in mezzo alle gravissime angustie dalle quali veniamo oppressi, nulla poteva riuscirci più gradito, nulla più giocondo, nulla più desiderato, che il vedere di quale concorde ed ammirabile premura Voi tutti, Venerabili Fratelli, siete animati ed accesi per difendere i diritti di questa Santa Sede, e con quale egregia volontà i Fedeli affidati alle vostre cure in ciò vi secondano. Quindi, Voi assai agevolmente potete pensare quanto la paterna Nostra benevolenza verso Voi e verso gli stessi Cattolici si accresca ogni giorno a buon diritto e meritatamente. – Ma, mentre il Nostro dolore veniva alleggerito da un così stupendo impegno ed amore sia Vostro, sia dei Fedeli verso Noi e questa Santa Sede, una nuova cagione di tristezza Ci venne da altra parte. Perciò Noi vi scriviamo questa Lettera, affinché in cosa di tanta importanza siano noti soprattutto a Voi i sentimenti del Nostro animo. Non molto tempo fa, come la maggior parte di Voi già conoscerà, venne dal giornale di Parigi, intitolato Moniteur, divulgata una lettera dell’Imperatore dei Francesi, con la quale egli rispondeva a una Nostra epistola, in cui con ogni calore pregavamo la Maestà sua imperiale a volere, col validissimo suo patrocinio nel Congresso di Parigi, mantenere integro ed inviolabile il dominio temporale Nostro e di questa Santa Sede, e rivendicarlo dalla iniqua ribellione. Ora, nell’anzidetta sua risposta quel supremo Imperatore, ricordando un certo suo consiglio propostoci poco tempo innanzi intorno alle province ribelli del Nostro dominio pontificio, Ci esorta a volere rinunziare al possedimento di quelle province, ritenendo che solo così possa ora rimediarsi al presente turbamento delle cose. – Ciascuno di Voi, Venerabili Fratelli, intende benissimo che Noi, memori del gravissimo Nostro dovere, non abbiamo potuto tacere dopo aver ricevuto una tale lettera. Perciò, senza frapporre indugio, Ci affrettammo a rispondere allo stesso Imperatore dichiarando limpidamente e apertamente, con apostolica libertà dell’animo Nostro, che in nessun modo affatto Noi potevamo annuire al suo consiglio, “perché esso presenta insuperabili difficoltà, tenuto conto della dignità Nostra e di questa Santa Sede e del Nostro Sacro carattere e dei diritti della stessa Sede, i quali non appartengono alla successione di qualche reale famiglia, ma bensì a tutti i Cattolici“. Contemporaneamente abbiamo manifestato “non potersi da Noi cedere ciò che non è Nostro, e che comprendiamo che la vittoria, che si vorrebbe fosse concessa ai ribelli dell’Emilia, sarebbe di stimolo agl’indigeni ed ai forestieri perturbatori delle altre province a fare la stessa cosa, vedendo la prospera fortuna toccata a quei primi“. Fra le altre cose, allo stesso Imperatore dichiarammo “non potere Noi rinunziare alle dette Province dell’Emilia, appartenenti al Nostro Pontificio dominio senza violare i solenni giuramenti dai quali siamo legati senza suscitare querele e moti nelle altre Nostre Province, senza recare ingiuria a tutti i Cattolici; infine, senza debilitare i diritti non solo dei Principi d’Italia, che furono ingiustamente spogliati dei loro domini, ma ancora di tutti i Principi del mondo cristiano, i quali non potrebbero con indifferenza vedere introdotti certi principii“. – Né abbiamo tralasciato di notare che “la Maestà Sua non ignorava con quali uomini, con quale danaro e con quali aiuti i recenti attentati di rivolte a Bologna, a Ravenna ed in altre città erano stati provocati e compiuti, mentre la massima parte di quei popoli, quasi attonita, si guardò dal partecipare a quegli scompigli inaspettati, e si mostrò del tutto aliena dal volerli seguire“. E poiché il serenissimo Imperatore credeva che Noi dovessimo cedere quelle Province pei moti di ribellione ivi di quando in quando suscitati, abbiamo risposto opportunamente che un argomento di tal fatta, come quello che prova troppo, non prova nulla. Infatti, moti non dissimili accaddero spessissimo sia negli Stati d’Europa, sia altrove; e nessuno pensa che da ciò si possa trarre motivo per diminuire il civile dominio di un legittimo Principe. – Non abbiamo omesso di esporre al medesimo Imperatore che l’ultima sua lettera era molto diversa dalla precedente, scritta a Noi prima della guerra d’Italia e che Ci recava non afflizione ma consolazione. Avendo poi giudicato, da certe parole della lettera imperiale pubblicata nel menzionato giornale, di dover temere che le predette Nostre Province dell’Emilia dovessero già considerarsi come separate dal pontificio Nostro dominio, perciò abbiamo pregato, in nome della Chiesa, la Maestà Sua di fare in modo, anche per il suo proprio bene e vantaggio, che tale Nostro timore fosse pienamente dileguato. E con quella paterna carità con cui dobbiamo provvedere alla eterna salute di tutti, gli abbiamo richiamato alla mente che da ciascuno si dovrà un giorno dare stretta ragione di sé al tribunale di Cristo, ed incontrare un giudizio severissimo; perciò ciascuno deve sforzarsi di pensare come sperimentare gli effetti della misericordia anziché quelli della giustizia. – Queste sono le cose principali che fra le altre abbiamo risposto al sommo Imperatore dei Francesi; le stesse cose abbiamo giudicato di dover completamente manifestare a Voi, Venerabili Fratelli, affinché Voi in prima, ed anche tutto l’Orbe cattolico, sempre più sappiate che Noi, aiutandoci Dio, pel gravissimo debito dell’ufficio Nostro, senza timore alcuno facciamo ogni sforzo, e non tralasciamo nessun tentativo per difendere con forza la causa della Religione e della giustizia, ed il civile Principato della Chiesa Romana. Noi facciamo ogni sforzo per mantenere costantemente integre ed inviolate le possessioni temporali della Chiesa e i suoi diritti, i quali spettano a tutto l’Orbe cattolico; con ciò provvediamo altresì alla giusta causa degli altri Principi. – Confidando nel divino aiuto di Colui che disse: “Nel mondo sarete angustiati; ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv XVI, 33); “Beati coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia” (Mt V,10), siamo preparati a seguire le illustri vestigia dei Nostri Predecessori, ad emularne gli esempi, e a patire ogni cosa sopra ed acerba, ed anche a dare la vita, anziché disertare in alcun modo la causa di Dio, della Chiesa e della giustizia. Ma ben facilmente potete arguire, Venerabili Fratelli, da quanto dolore siamo trafitti vedendo da quale atrocissima guerra la santissima Nostra Religione, con grandissimo detrimento delle anime, è combattuta, e da quali turbini veementissimi è sconquassata la Chiesa, e questa Santa Sede. Facilmente ancora comprendete come gravissima sia la Nostra angoscia ben sapendo quanto è grande il pericolo delle anime in quelle sconvolte Nostre Province, dove, per opera specialmente di pestiferi scritti diffusi nel pubblico, la pietà, la Religione, la fede e l’onestà dei costumi di giorno in giorno vengono scosse. – Voi dunque, Venerabili Fratelli, che siete chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, e che con tanta fede, costanza e virtù vi accendeste a propugnare la causa della Religione, della Chiesa e di questa Sede Apostolica, continuate con maggior animo ed impegno a difendere la medesima causa, ed ogni giorno infiammate maggiormente i Fedeli affidati alle vostre cure, affinché essi, sotto il vostro indirizzo, non cessino mai di porre ogni opera, ogni impegno ed ogni consiglio per la difesa della Chiesa Cattolica e di questa Santa Sede, e per la conservazione del civile Principato della medesima e del Patrimonio del Beato Pietro, la tutela del quale appartiene a tutti i Cattolici. – Quello però che massimamente, per quanto sappiamo e possiamo, chiediamo da Voi, Venerabili Fratelli, che insieme con Noi, e unitamente ai Fedeli affidati alle vostre cure, porgiate senza interruzione fervidissime preghiere a Dio Ottimo Massimo affinché Egli comandi ai venti ed al mare, e col suo potentissimo aiuto assista Noi, assista la Sua Chiesa, sorga e giudichi la causa Sua; ed oltre a ciò con la celeste Sua grazia voglia, propizio, illuminare tutti i nemici della Chiesa e di questa Apostolica Sede, e con la onnipotente Sua virtù si degni di ridurli nelle vie della verità, della giustizia e della salute. – Affinché Iddio, supplicato da Noi, più facilmente porga l’orecchio alle preghiere Nostre e Vostre e di tutti i Fedeli, domandiamo soprattutto, Venerabili Fratelli, l’intercessione dell’Immacolata e Santissima Madre di Dio, Maria Vergine, la quale è di tutti noi amantissima Madre, speranza certissima e potente tutela e sostegno della Chiesa, e del cui patrocinio niente è più valido presso Dio. Imploriamo altresì il suffragio del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, che Cristo Signor Nostro stabilì quale pietra fondamentale della sua Chiesa, contro cui le porte dell’inferno non potranno mai prevalere; e chiediamo ancora il suffragio del suo coapostolo Paolo e di tutti i Santi, che con Cristo regnano in cielo. Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che Voi, per la vostra esimia religione e per il vostro zelo sacerdotale, nei quali siete sommamente prestanti, vorrete secondare solertissimamente questi Nostri voti e queste Nostre richieste. E frattanto, come pegno dell’ardentissima Nostra carità verso Voi, impartiamo l’Apostolica Benedizione, che muove dall’intimo del Nostro cuore, a Voi, Venerabili Fratelli, come a tutto il Clero, ed ai Fedeli laici affidati alla vigilanza di ciascuno di Voi.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 19 gennaio 1860, anno decimoquarto del Nostro Pontificato.

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2021)

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2021)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

Noi celebreremo l’Ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, se, come dice S. Agostino, ascenderemo con Lui e terremo in alto i nostri cuori. I nostri pensieri siano lassù dove Egli è, e quaggiù avremo il riposo. Ascendiamo ora con Cristo col cuore e, quando il giorno promesso sarà venuto lo seguiremo anche col corpo. Rammentiamoci però che né l’orgoglio, né l’avarizia, né la lussuria salgono con Cristo; nessun nostro vizio ascenderà con il nostro medico, e perciò se vogliamo andare dietro il Medico delle anime nostre, dobbiamo deporre il fardello dei nostri vizi e dei nostri peccati » (Mattutino). Questa Domenica ci prepara alla Pentecoste. Prima di salire al cielo Gesù, nell’ultima Cena ci ha promesso di non lasciarci orfani, ma di mandarci il Suo Spirito Consolatore (Vang., All.) affinché in ogni cosa glorifichiamo Dio per Gesù Cristo (Ep.). — Come gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, anche noi dobbiamo prepararci, con la preghiera e la carità (Ep.) al santo giorno della Pentecoste, nel quale Gesù, che è il nostro avvocato presso il Padre, ci otterrà da Lui lo Spirito Santo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

[Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre.

[Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

[“Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.”]

La carità, dice letteralmente la odierna Epistola, copre una moltitudine di peccati: sentenza che ha una notissima parafrasi popolare nella esclamazione posta dal Manzoni in bocca a Lucia di fronte all’Innominato: Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia! Sentenza, che, a voler sottilizzare, presenta, ossia presenterebbe una certa difficoltà. Che cosa significa propriamente? Che cosa vuol dire l’Apostolo? La carità di cui parla che cancella o copre (le due metafore, appunto perché metafore, si possono equivalere) che carità è? La carità verso Dio? E allora la sentenza è una tautologia. Sfido, quando un’anima ha la carità i peccati sono belli e svaniti; come quando uno ha caldo, il freddo se n’è bello e ito. La carità verso il prossimo nei limiti soprattutto pratici, in cui essa è possibile anche senza amor di Dio? Certo bisogna intenderla così, così l’intende il buon senso cristiano. Giacché di fatto ci può essere, c’è un certo amor del prossimo anche là dove e quando ancora non arda completo l’amore verso Dio. C’è della gente che ha cuore e non ha fede. Che ha cuore, ma non osserva ancora tutt’intiera la legge. C’è della gente che ha molto, ha parecchio da farsi perdonare da Dio. – Ebbene l’Apostolo riprende l’insegnamento del Maestro: per essere perdonati (da Dio) bisogna perdonare (agli uomini); perché Dio sia buono con noi, dobbiamo noi essere buoni coi nostri fratelli. I casi son due; e ve li espongo, perché uno dei due può essere benissimo il caso vostro. Il miglior caso è questo: un uomo ha da poco o da molto disertato i sentieri della bontà, della verità forse; ma adesso comincia a rientrare in se stesso, ad accorgersi della cattiva strada, per cui si è messo, a sentirne dolorosamente il disagio… Non parliamo ancora di conversione, ma di un lontano principio di essa. Non parliamo di fuoco, ma la scintilla c’è: un oscuro desiderio della casa paterna improvvidamente abbandonata, del Padre che vi attende il prodigo figlio. Che fare? e che cosa consigliare a quest’anima? Non, s’intende, come mèta integrale e finale, ma come primo avviamento operoso e pratico e profondo? Fa’ del bene al tuo prossimo, tutto il bene che puoi, il maggior bene che ti possa.. Fa’ del bene, fa’ della carità, anche se, per avventura, tu avessi smarrito la fede o l’avessi smozzicata ed informe. Fa’ del bene! Perché, lo ha detto così bene San Vincenzo: è mistero la SS. Trinità, mistero la Incarnazione del Verbo, e davanti al mistero può ribellarsi, orgogliosa la tua ragione, ma non è mistero che un tuo fratello soffra la fame e che tu potresti sfamarlo con le briciole del pane che ti sopravanza. E allora: da bravo, coraggio! Comincia di lì. Dà del pane a chi ha fame. Fa quest’opera buona; esercita questa carità. È carità che farà del bene anche a te, bene materiale, ma anche un po’ spirituale a colui che lo riceve; bene spirituale a te che lo dai. Ti farà del bene, ti renderà più buono, meno cattivo, sarebbe più esatto dire: diminuirà, sia pur di poco, ma diminuirà la tua lontananza da Dio benedetto. Anzi, questo lo farà anche se tu non lo pensi e non ne abbia l’intenzione; come medicina fa del bene anche al malato che la prende senza sapere che è medicina, senza desiderare di guarire. La carità avvicina l’uomo all’uomo e avvicina l’uomo a Dio. Lo rende meno dissimile da Lui, meno difforme da Lui. E Dio ce lo ha detto, ce lo ha detto Gesù Cristo: Vuoi essere perdonato? Perdona. Dio tratta noi nella stessa misura e forma che noi trattiamo i nostri fratelli. Spietati noi coi fratelli? Spietato Dio con noi; tutto giustizia e niente misericordia. Misericordiosi noi coi fratelli nostri? Misericordioso Dio con noi; pieno di misericordia e di perdono. – Non si potevano saldare più nettamente, profondamente le due cause: l’umana e la divina, la filantropia e la carità! E questa saldatura mi permette di dire una parola anche a quelli che fossero o si fingessero buoni Cristiani: siate caritatevoli, fate carità, abbiate misericordia anche voi, perché innanzi tutto non c’è un Cristiano senza torti con Dio; ma se ci fosse, non dovrebbe fare a Dio il torto di essere senza cuore pei figli di Lui, suoi fratelli, di vantarsi o credersi perfetto, senza carità, senza misericordia.

(p. G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Graduale

Allelúja, allelúja.
Ps XLVI: 9
V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja.

[Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo.
Allelúia.]

Joannes XIV: 18
V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja.

[Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rellegrerà. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: disse Gesù ai suoi discepoli: Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.]

OMELIA

QUANTO SIA GRANDE LA GLORIA DEL CIELO E QUANTO FACILE IL. MERITARLA

[F. M. Zoppi: Omelie, Panegirici e Sermoni. T. II – Milano, Tipog. Di Giuditta Bonardi-Pogliani, MDCCCXLII]

Prossimo il divin Redentore alla sua morte, e dandola Egli come già avvenuta, levati gli occhi al cielo, così andava pregando il suo Padre, come leggiamo nell’odierno Vangelo: Padre, l’ora è venuta; glorificate il vostro Figliuolo, glorificatemi di quella gloria, ch’Io ebbi presso di Voi prima che esistesse il mondo. E volea dire: fate parte all’umana natura ch’Io assunsi, di quella gloria che ebbe sempre la nostra natura divina. Ora poiché Gesù Cristo assumendo la nostra umanità sollevata di tanto, questa è pure la gloria ch’Egli acquistò e andò a preparare per ciascuno di noi. La preghiera di Lui adunque dev’essere la nostra preghiera: perocché dove dev’egli tendere il nostro cuore se non a questa gloria, la gloria eterna del Paradiso? La preghiera di Lui inoltre dev’essere la nostra preghiera d’ogni momento: perocché vorremo noi forse differire a desiderare e chiedere la nostra glorificazione l’ultimo giorno di nostra vita? Differì Egli all’ora sua, perché la sapeva; Venit hora; ma noi non sappiamo la nostra; ogni ora può essere quella della nostra glorificazione, perché ogni ora può essere quella della nostra morte. Sapeva Egli di non poter essere glorificato se non dopo aver resa degna soddisfazione per i nostri peccati alla giustizia del Padre colla sua passione e morte; ma noi incerti dell’ora nostra dovendo sempre vivere in modo che possiamo ogni momento essere glorificati, dobbiamo altresì ogni momento pregare come se fosse quello della nostra glorificazione. Perché dunque, ben lungi dal domandarla ogni momento, o non vi si pensa neppure, o di rado, o freddamente? Perché anzi si pensa e si corre dietro alla gloria del mondo? O perché, pensando pure alla gloria del Paradiso, si reputa cosa troppo ardua e difficile il meritarla? – Ah potessi io in oggi accendere in voi un vivo desiderio della gloria del Paradiso! potessi inspirare in voi un ardente impegno di volerla conseguire! A questo doppio fine salutevolissimo, esaminando io pur solo la preghiera di Gesù Cristo, vi dirò colle sacre Scritture alla mano, e co’ sentimenti del santo padre Agostino, contemplatore ammirabile di quella gloria, ch’essa è gloria somma; e se vi dirò che è cosa giusta che si meriti, vi dirò altresì che non fa d’uopo di molto per meritarla. Così io verrò a recarvi in mezzo alle vostre afflizioni quel conforto, che è il solo degno di un vero Cristiano, e che deve fargli dimenticare qualunque terrena calamità. Io sarei beato appieno e appieno beati farei voi pure, se avessi e dar vi potessi una chiara, perfetta cognizione della gloria che ci sta apparecchiata ne’ cieli. Ma l’occhio umano non ha mai veduta cosa che la pareggi, dice l’Apostolo, l’orecchio non udì giammai meraviglie simili, né mai lo spirito seppe penetrare sì avanti e montare sì alto. Può essere lo scopo de’ nostri desiderj, delle nostre speranze, de’ nostri sospiri, dice sant’Agostino, Desiderari potest, concupisci potest, suspirari potest; ma dessa non si può né raggiungere col pensiero, né dipingere colle parole, Digne cogitari et verbis explicari non potest. Io non ne so altro se non che sarò con Dio, sarò felice, lo sarò per sempre, e che la mia felicità e gloria non può essere che somma, perché costò il prezzo sommo de’ sudori, obbrobrj, patimenti e del sangue e della morte di Gesù Cristo; perché essa è inventata e preparata a premio degli eletti dalla somma sapienza e potenza e dall’amor sommo di Dio; perché sta nella visione e nel possesso del Bene sommo, immutabile, eterno. Questa è l’unica idea ch’io ne abbia e che ve ne possa dare; e dovrebbe pur bastare a non farci bramare più altro; perocché dopo di ciò potremo noi gustare altra cosa o pensare, ad altra gloria? Ciò nullameno, volendo io pure parlarne in qualche modo, non trovo idea migliore di quella che ce ne dà Gesù Cristo nell’atto che la domanda al Padre per l’assunta sua umanità con dire, Glorificatemi di quella gloria ch’Io ebbi presso di Voi, Clarifica me, Pater, apud temetipsum claritate quam habui apud te. Perocché questa, sì, questa stessa sarà anche la gloria nostra; accertandoci Gesù Cristo che ci tiene apparecchiato quel regno medesimo di gloria, che il suo divin Padre ha destinato per Lui: Ego dispono vobis sicut disposuit mihi Pater meus regnum. Egli è dunque presso Dio, apud te; Egli è in Dio, apud te; Egli è a faccia a faccia con Dio, che noi dobbiamo essere glorificati; Egli è della gloria stessa ond’è glorificato Gesù Cristo: Io sono la vostra mercede, Ego merces tua; Egli è della gloria stessa ond’è glorificato Iddio. Ah miei dilettissimi, ella è troppo grande perché possiamo comprenderla! Magna nimis. Mirando noi dunque a faccia scoperta la gloria di Dio, come dice l’Apostolo, Revelata facie gloriam Domini speculantes, che cosa diverremo noi? Saremo interamente trasformati nell’imagine di Dio, In eandem imaginem transformamur. Questo corpo, ora sì debole, infermo, soggetto ai danni dell’età, all’influenza maligna dell’aria, a tanti malori, alla morte, alla corruzione, si cangerà, Immutabimur. Sì, anche questo fango risplenderà del lume della gloria di Dio; parteciperà anch’esso della natura e felicità divina, Consortes divinæ naturæ. Restarono sopraffatti e pieni di pura eviva gioja i tre Apostoli sul Tabor, al vedere il volto del loro divin Maestro splendere come il sole, e le vesti di Lui biancheggiare come la neve. Ora tale sarà pure il nostro corpo in cielo. Deposta la somiglianza d’Adamo peccatore, prenderà quella di Gesù Cristo glorioso: ne spariranno tutte le macchie e le pene del peccato, e coperto di luce come di una veste sarà più puro dell’oro, più chiaro del sole, Amictus lumine sicut vestimento. Più non avrà a soffrire né i morsi della fame, né i rigori del freddo, né le noje del caldo, né i dolori delle malattie, né la stanchezza delle fatiche, né la tristezza delle tenebre, né le grida del pianto, né gli orrori della morte, Mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor; perocché corruttibile adesso e mortale, fa d’uopo che si rivesta in allora d’incorruttibilità e di immortalità: Oportet enim corruptibile hoc induere incorruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. Reso quasi spirituale volerà ovunque agile più che il vento; sottile penetrerà ogni cosa più che il fuoco; impassibile reggerà ad ogni onta più che il bronzo. Bello insomma, sano e robusto in ogni suo membro; e pienamente pago in ogni suo senso, imiterà la bellezza, la forza, la beatitudine del suo divin Creatore, In eandem imaginem transformamur. Ah miei dilettissimi, a qual sorte ascriveremmo noi il potere adesso riparare nel nostro corpo le ingiurie degli anni, e rinnovellarlo come all’età della nostra prima gioventù? Qual gioja adunque deve recarci il pensier solo di quella beata eterna trasformazione? Che se tale sarà la somiglianza con Dio del nostro corpo, che ora con Lui non ne ha alcuna, quale sarà poi quella della nostra mente, del nostro cuore, dell’anima creata già ad immagine e somiglianza di Lui? Questa mente, ora sì corta nelle sue viste, sì incerta ne’ suoi giudizj, involta in tante tenebre, che travede appena sì poche cose attraverso delle medesime, illustrata in allora dal lume di quella gloria, diverrà un terso specchio della divina Sapienza, Gloriam Domini speculantes; penserà, giudicherà, ragionerà, come pensa, giudica, ragiona Iddio. Non vi sarà scienza che non conosca, non arcano di natura che non penetri, non mistero di grazia che non veda chiaramente. Quanto apprezzate ora chi parla molti linguaggi? allora li saprete tutti. Quanto vi piacerebbe in adesso di poter penetrare nell’animo altrui e discernere gli spiriti! vedrete in allora il cuore degli altri, come ora ne vedete il volto. Quanto invidiate ora chi mostrasi versato negli studj ed erudito de’ passati avvenimenti! Conoscerete in allora le dottrine di tutti i saggi e le storie di tutti i tempi. Ora vi sorprendono le finezze di certe arti, le sottigliezze di certi ingegni; in allora vi saranno sì note, sì chiare le invenzioni di tutte le mani, le speculazioni di tutte le menti, come se fossero invenzioni, speculazioni vostre. Vi sarà poi tolta quella benda che ora vi pone la fede sopra le più grandi verità. Non crederete più, ma vedrete come Dio sia uno e trino; come Gesù sia Dio e uomo; come Maria sia Vergine e Madre; e quant’altri misteri formano ora il merito della vostra fede, saranno in allora altrettante splendide verità che comprenderete appieno in premio d’averle credute. Se ora tanto godiamo quando ci riesca di penetrare o scoprire cosa che altri non iscorga o non abbia mai scoperta, se un piccolo parto del nostro ingegno ci accontenta tanto; che sarà poi quando sapremo il tutto, il tutto vedremo, come il sa, come il vede Iddio? Ma il contento e la beatitudine, più che del corpo, più che della mente, è propria del cuore. Qui è dove scorrerà quel fiume di pace, dove si verserà quel torrente di piacere, onde sono inebriati i beati della gloria di Dio. Creato il cuor nostro d’una capacità immensa, non trova qui bene che lo riempia e lo appaghi: i tedj, gli affanni, le melanconie fanno qui infelice il cuore di chi pur si vede circondato dalla prosperità e dalla gloria: egli è turbato da’ suoi timori, sconvolto dalle sue passioni, in contrasto continuo co’ suoi affetti, e non mai saziato dalle stesse più sante sue speranze. Ma là, siccome vedremo Dio a faccia svelata, e perciò non avremo più fede; così, vedendolo, lo possederemo, e non avremo perciò più speranza, e vedendolo e possedendolo lo ameremo, e perciò il nostro cuore sarà tutto carità, tutto pieno, tutto pago di santo amore; perocché, dandosi Iddio a vedere a noi, ci fa dono intero di sé stesso, e così strettamente, intimamente, perfettamente si unisce con noi, che noi ci trasformiamo in Lui: Revelata facie gloriam Domini speculantes, in eandem imaginem transformamur. Vedendo quindi, amando, possedendo Iddio, che altro ci resterà a bramare? Sapienza, santità, felicità? Simili saremo a Dio in ogni cognizione, in ogni virtù, in ogni gaudio; saremo saggi, santi, beati al par di Dio: Similes ei erimus, quoniam videbimus eum sicuti est. Immersi in Dio come goccia in mare, ci confonderemo, ci perderemo in quel pelago immenso di rettitudine, di bontà, di pace, di ogni bene: In eandem imaginem transformamur. Di Dio solo respirerà questo cuore felicissimo, vivrà di Dio solo; amerà solo questo bene infinito, e godrà, come dice sant’Agostino, infinitamente di questo bene che ama e che possiede, e ond’è posseduto, Amat, et fruitur. Aggiunga, se può, gradi al suo amore, dove il bene che ama è infinito; aggiunga, se può, gradi al suo contento, ove ogni bene si trova nel bene che ama. Così dunque tutto il cuore amerà Dio, dice sant’Agostino, che tutto il cuore non basterà alla piena dell’amore; così tutto il cuore godrà di Dio, che tutto il cuore non basterà alla piena della contentezza, o amore, tu sei il più dolce degli affetti, quando non sei che desiderio! che sarai tu quando diverrai godimento? O anime sante, un momento solo di amor di Dio come inonda il cuore di gaudio! che sarà poi quando vivrete di questo amore? Non saremo soli a possedere, a goder Dio, è vero, e vari saranno i gradi di quella gloria beata, come vari sono i nostri meriti. Tutti nondimeno ne parteciperemo in modo che la gloria dell’uno non iscemerà quella dell’altro. Egli è nel mondo ove l’onor di un solo fa spesso la disgrazia di molti, ove v’ha o chi si consola della mia caduta, o chi non sa perdonarmi ch’io sia onorato e felice. Ma là molte saranno le mansioni, ma senza invidia; vi saranno de’ grandi, ma senza fasto od umiliazione, senza gare o rivalità. Ciascuno di quella famiglia beata non brama eredità maggiore di quella che gli assegna il Padre; perocché quella è una eredità, dice sant’Agostino, che non si restringe dal numero degli eredi, ma si comunica a tutti egualmente senza dividersi: ciascuno quindi diverrà felice senza fare degli sgraziati; ciascuno anzi è tanto contento della gloria altrui quanto della propria, e per vicendevole perfettissima carità ciascuno riconosce per proprio il bene altrui, e tutti riconoscono per proprio il bene di tutti. Il bene di tutti è Dio; quanti ivi sono si traformano in Dio, e Dio in essi. Quotquot ibi sunt, dii sunt, dice santo Agostino. Vede dunque ciascuno ne’ suoi compagni l’immagine di Dio e di sé stesso, e come questa il porta ad amar Dio, così quella ad amar gli altri. La varietà della gloria, perciò. non è che una moltiplicazione del loro amore e della loro felicità, e passar di gloria in gloria, sono tutti del pari trasformati nell’istessa immagine di Dio, come dallo spirito del Signore, Revelata facie gloriam Domini speculantes in eandem imaginem trans ormamur de claritate in claritatem tanquam a Domini spiritu. Quindi la società de’ beati, anzichè creare invidia od alterare la loro felicità, oh quanto accresce il loro gaudio! Qual gioja al vederci colà uniti con quei gran Santi, di cui ammiriamo ora la vastità della dottrina, il rigore della penitenza, l’eroismo delle virtù! Qual consolazione al trovarci con i nostri genitori che colla loro cristiana educazione, cogli amici che co’ buoni loro esempi,coi nostri direttori che co’ savj loro consigli ci hanno messi e condotti sulla strada di questa gloria! Vi rammentate, ci diremo in allora, quando ci andavamo confortando colla speranza di rivederci in Paradiso? ci siamo: i nostri voti sono compiuti. Che contentezza il poter dire, Ti ringrazio, Angelo mio; egli è per la tua custodia ch’io mi trovo in questo soggiorno beato: Vi ringrazio, o Santi miei avvocati; egli è perla vostra protezione ch’ora io sono beato: Vi ringrazio, Maria Santissima, egli è per la vostra mediazione ch’io regno con voi.E sino a qual tempo noi godremo di questa gloria beata? Tempo? Ella è la gloria di questo esiglio che ci lascia e convien lasciare al più tardi sul sepolcro: il solo pensiero che un giorno ci potesse mancare, basterebbe a renderla imperfetta e ad amareggiarla. Ma in quella patria beata non v’ha più tempo, Tempus non erit amplius. Epperò quella gloria come è somma nel grado; così lo è nella durata, e come non hamisura, così non ha termine. Ella è la gloria stessa domandata da Gesù Cristo al suo divin Padre per l’assunta sua umanità, la quale come non ebbe principio, così non avrà mai fine, Ea claritate quam habui, priusquam mundus esset, apud te; ella è gloria eterna. Passerà il mondo, passeranno dopo di lui milioni di secoli, e non sarà passato neppur un momento di quella gloria. Oh mio Dio! possedervi senza timore di perdervi; amarvi per sempre e per sempre essere da voi amato; essere salvo, santo, felice con voi, ed esserlo eternamente:qual dolce pensiero! O santa Sionne, ove tutto resta e nulla passa, come dice sant’Agostino, O santa Sion, ubi totum stat, et nihil fluit, al ricordarsi di te chi non sistruggerà in pianto finché siede esule qui sul fiume di questa Babilonia? Se non che, o miei dilettissimi, quella è corona di gloria e di giustizia ad un tempo; conviene perciò meritarla prima di conseguirla; prima di poter dire con Gesù Cristo, Padre, fatemi parte della vostra gloria, Nunc me clarifica tu, Pater, conviene poter dire del pari con Lui, Io vi ho glorificato sopra la terra, Ego te clarificavi super terram. Poteva essere puro dono della sua grazia; ma non è egli giusto che Dio voglia darla a premio del merito? Anche i mondani non acquistano gloria senza qualche sorta almeno di merito; e qual gloria? falsa, passeggera, corruttibile. E la gloria vera, immortale, incorruttibile del cielo, non è giusto che si abbia a meritare? Et illi quidem, ut corruptibilem coronam accipiant, nos vero incorruptam. – Non pensiate perciò che molto vi voglia a meritarla. Oh a quanto più caro prezzo bisogna comperare la gloria falsa, la vana felicità del mondo! Qui vi vogliono o grandi talenti, o protezioni potenti, o imprese straordinarie, o lunghi servigi, o favorevoli circostanze, o basse e servili strisciature: il merito qui o non è conosciuto, o non è apprezzato, o non è preferito: bisogna qui difenderlo o contro il merito superiore de’ concorrenti, o contro i segreti maneggi degli emuli, o contro la malignità de’ censori, o contro il merito stesso che vi fa più nemici che ammiratori; qui la gloria e la prosperità non è che di pochi, talvolta per azzardo, sempre a poco tempo. Laddove la vera gloria e felicità del Paradiso è per tutti, per sempre, al prezzo il più comodo, I merito il più comune. Il regno de’ cieli, dice sant’Agostino, è di chi lo vuol comperare, Ecce venale est regnum Dei. E quanto vale? Se lo considerate in sé stesso, il valore n’è infinito: no, dice l’Apostolo, le più splendide, le più eroiche virtù di questa vita non hanno confronto colla gloria futura che ci sarà rivelata e comunicata in quel regno, Non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam, quæ revelabitur in nobis. Ma se considerate il prezzo che ne esige il celeste Venditore, vale nulla più di quanto potete dare; date ciò che avete, e avete dato ciò che vale, Tantum valet, quantum habes. Potreste aver merito maggiore di quello di compiere i doveri del vostro stato comunque comune? Tanto basta: questo è tutto il travaglio che vi ha dato a compiere il Padrone divino nella sua vigna. Purché possiate dire con Gesù Cristo d’averlo compiuto, Opus consummavi quod dedisti mihi, ut faciam, la mercede non vi può mancare; il regno di Dio è vostro. E a fare pur questo poco, che cosa v’ha che non vi ajuti? Legge, consigli, parola divina, soccorsi della grazia, forza dei Sacramenti, meriti del sangue di Gesù Cristo: tutto vi dà mano o supplemento. Ma forse avete precedenti gravissimi debiti a scontare? Ah quel Padrone non è come il mondo,che si dimentica de’ servigi e non mai de’ torti: egli premia tanto la penitenza di Agostino come l’innocenza di Luigi; voi cominciate appena a piangere le vostre colpe, e già non gli siete più debitore. Forse vi trovate in una situazione difficile? Ma quanti beati trovansi in cielo che furono nella stessa vostra situazione! Qual difficoltà che non sia smentita dal loro esempio; perocchè se essi l’hanno superata, perché non la potete superare voi pure? Le malattie forse, la povertà od altre circostanze vi impediscono di fare ciò che dovreste fare? Il Padrone che vi ha a dare la mercede è tanto buono che non solo tien conto di ciò che fate, ma premia ancora la volontà di fare, come l’opera stessa: Voluisti? dice sant’Agostino, fecisti! E quando pure l’opera che il Signore vi ha dato a fare, vi avesse a costare alcun poco, ve ne costò meno per rendervi o ricco o comodo od onorato nel mondo? E che cosa avete finalmente raccolto? Il travaglio fu molto, scarsa la ricompensa, Seminastis multum et intulistis parum, dice l’Apostolo, e questa pure va quanto prima a restare tutta sulla vostra tomba. Ah se aveste travagliato tanto pel regno di Dio,voi potreste disputarla co’ più gran Santi. E non conveniva il farlo per rendere sommamente glorioso e beato il corpo, la mente, il cuore, e glorioso e beato per sempre? A che dunque, o mio corpo, ti curo tanto e t’accarezzo? Tu t’infermi, t’invecchi e cadi nondimeno: non fia meglio castigarti per riassumerti bello, splendido, immortale? A che mi fate invanire, o miei talenti? Voi non servite che a farmi conoscere sempre più la mia ignoranza: non fia meglio impiegarvi nella scienza de’ santi e per l’acquisto del paradiso ove non v’ha ignoranza? 0 mio cuore, a che ti perdi dietro i beni di questo esiglio? ti turbano presenti, ovvero ti sfuggono, ti solleticano e poi ti amareggiano: non fia meglio sospirare dietro a quell’unico sommo bene che soddisfa appieno e per sempre? O parenti, o amici, a che tanti riguardi tra di noi? Non servono che a tradirci l’un l’altro: non fia meglio correggerci a vicenda liberamente per essercene grati in Paradiso eternamente? O povertà, o malattie, o disgrazie d’ogni sorta, a che mal vi soffro e di voi mi lagno? Voi segnate la strada del crocifisso mio Redentore che conduce alla gloria: non sia meglio sostenervi in pace e nel silenzio, finché mi abbiate condotto a quella meta beata? Lassù portiamo dunque le nostre ricerche; non travagliamo che per lassù; non abbiamo altri sentimenti che di lassù, Quæ sursum sunt, quærite; quæ sursum sunt, sapite. Là sì slancino e si fermino tutti gli affetti del vostro cuore, ove ci sta preparata la gloria vera, la vera felicità: Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XLVI: 6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

[Dio ascende nel giubilo, e il Signore al suono della tromba]

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem.

[Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja.

[Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus.

[Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA