DOMENICA II DOPO PASQUA (2021)

DOMENICA II DOPO PASQUA (2021)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

Questa Domenica è chiamata la Domenica del Buon Pastore (Questa parabola fu da Gesù pronunziata il terzo anno del suo ministero pubblico allorché, alla festa dei Tabernacoli, aveva guarito a Gerusalemme il cieco nato. Questi è dai Giudei cacciato dalla Sinagoga, ma Gesù gli offre la sua Chiesa come asilo e paragona i farisei ai falsi pastori che abbandonano il loro gregge). Infatti, San Pietro, che Gesù risuscitato ha costituito capo e Pastore della sua Chiesa, ci dice nell’Epistola che Gesù Cristo è il pastore delle anime, che erano come pecore erranti. Egli è venuto per dare la propria vita per esse ed esse gli si sono strette intorno. Il Vangelo ci narra la parabola del Buon Pastore che difende le pecore contro gli assalti del lupo e le preserva dalla morte (Or.), e annunzia pure che i pagani si uniranno agli Ebrei dell’Antica Legge e formeranno una sola Chiesa e un solo gregge sotto un medesimo Pastore. Gesù le riconosce per sue pecorelle ed esse, come i discepoli di Emmaus « i cui occhi si aprirono alla frazione del pane » (Vang., 1° All., S. Leone, lezione V), riconoscono a loro volta, all’altare ove il sacerdote consacra l’Ostia, memoriale della passione, che Gesù « il Buon Pastore che ha dato la sua vita per pascer le pecorelle col suo Corpo e col suo Sangue » (S. Gregorio, lezione VII). Levando allora il loro sguardo su Lui (Off.), esse gli esprimono la loro riconoscenza per la sua grande misericordia (Intr.). « In questi giorni, dice S. Leone, Io Spirito si è diffuso su tutti gli Apostoli per l’insufflazione del Signore e in questi giorni il Beato Apostolo Pietro, innalzato sopra tutti gli altri, si è sentito affidare, dopo le chiavi del regno, la cura del gregge del Signore » (2° Notturno). È questo il preludio alla fondazione della Chiesa. Stringiamoci dunque intorno al divino Pastore delle anime nostre, nascosto nell’Eucarestia, e di cui il Papa, Pastore della Chiesa universale, è il rappresentante visibile.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXXII: 5-6. Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini cœli firmáti sunt, allelúja, allelúja.

[Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Ps XXXII: 1. Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.

[Esultate, o giusti, nel Signore: ai buoni si addice il lodarlo.]

Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini cœli firmáti sunt, allelúja, allelúja.

[Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúja: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui in Filii tui humilitate jacéntem mundum erexísti: fidelibus tuis perpétuam concéde lætítiam; ut, quos perpétuæ mortis eripuísti casibus, gaudiis fácias perfrui sempitérnis.

[O Dio, che per mezzo dell’umiltà del tuo Figlio rialzasti il mondo caduto, concedi ai tuoi fedeli perpetua letizia, e coloro che strappasti al pericolo di una morte eterna fa che fruiscano dei gàudii sempiterni].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. [1 Petri II: 21-25]

Caríssimi: Christus passus est pro nobis, vobis relínquens exémplum, ut sequámini vestígia ejus. Qui peccátum non fecit, nec invéntus est dolus in ore ejus: qui cum male dicerétur, non maledicébat: cum paterétur, non comminabátur: tradébat autem judicánti se injúste: qui peccáta nostra ipse pértulit in córpore suo super lignum: ut, peccátis mórtui, justítiæ vivámus: cujus livóre sanáti estis. Erátis enim sicut oves errántes, sed convérsi estis nunc ad pastórem et epíscopum animárum vestrárum.

[Caríssimi: Cristo ha sofferto per noi, lasciandovi un esempio, affinché camminiate sulle sue tracce. Infatti Egli mai commise peccato e sulla sua bocca non fu trovata giammai frode: maledetto non malediceva, maltrattato non minacciava, ma si abbandonava nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava; egli nel suo corpo ha portato sulla croce i nostri peccati, affinché, morti al peccato, viviamo per la giustizia. Mediante le sue piaghe voi siete stati sanati. Poiché eravate come pecore disperse, ma adesso siete ritornati al Pastore, custode delle anime vostre]. –

In queste due parole « mors et vita » si compendia tutta la storia dell’umanità, individua e sociale. Due parole che si integrano a vicenda pur sembrando diametralmente contrarie, parole la cui sovrana importanza dal campo fisiologico si riverbera nel mondo spirituale. Che cosa è il Cristianesimo? Dottrina di vita, o dottrina di morte? Amici e nemici hanno agitato il problema, delicato e difficile anche per la varietà dei suoi aspetti, grazie ai quali quando fu imprecato al Cristianesimo dai neo pagani, come a dottrina velenosa e deprimente di morte, si poté rispondere e si rispose da parte nostra, rivendicando al Cristianesimo l’amore, il culto della vita; e quando invece da noi si esalta la dinamica vitale del Cristianesimo, si poté e si può dagli avversari rammentare tutto un insieme cristiano di austere parole di morte. La soluzione dell’enigma ce la dà San Pietro nella Epistola odierna. Il Cristianesimo è tutto insieme un panegirico di vita e un elogio di morte; ci invita a respirare la vita a larghi polmoni, ci invita ad accettare quel limite immanente della vita che è la morte. Tutto sta nel determinare bene: a che cosa dobbiamo morire per essere Cristiani? e a che cosa dobbiamo rinascere? Ce lo dice San Pietro in due parole dopo averci rimesso davanti l’esempio di N. S. Gesù Cristo, che prese sopra di sé i nostri peccati, espiandoli in « corpore suo super lignum. » Noi Cristiani dobbiamo morire al peccato, vivere alla giustizia. Morire al peccato, come chi dicesse morire alla morte, negare la negazione. Negare la negazione è la formula scultoria della affermazione. Morire alla morte è formula di vita…. e noi dobbiamo morire al peccato, cominciando dal convincerci che il peccato è morte, e che quindi si vive davvero morendo a lui. Purtroppo, il grande guaio è la riputazione che il peccato si è venuto usurpando. Il male morale si è usurpato una fama di cosa viva e vivificatrice. Noi viviamo, dicono con orgogliosa e fatua sicurezza quelli che si godono la vita e cioè la sfruttano, la sciupano, quelli che lasciano la briglia sciolta a tutte le passioni, non escluse le più vergognose e mortifere. Noi viviamo, dicono i seguaci del mondo; i loro divertimenti, le loro dissipazioni, i loro giochi, i loro folli amori, le loro vanità gonfie e vuote, tutto questo chiamano vita, esaltano come se fosse veramente tale. E della vita tutto questo simula le apparenze. Ma è febbre, calore sì, ma calore morboso; troppo calore… anche il precipitare è un moto, ma chi vorrebbe muoversi a quel modo? chi vorrebbe considerare come forma classica di moto il precipitare, la corsa pazza d’una automobile priva dei suoi freni? Così si muovono, così vivono i mondani. A guardar bene, sono come quei prodighi che vivono mangiando il capitale. Bella forma di economia! Il peccato ci logora, ci sciupa; è usura, logoramento delle nostre risorse più vitali. Così in realtà chi vive nel peccato, muore ogni giorno più alla vera vita. Chi folle, persegue l’errore, atrofizza, a poco a poco, quella capacità di rintracciar il vero che solo merita il nome di intelligenza, di vita intellettuale. Chi ama il fango, la materia, paralizza, a poco a poco, quella capacità di amare spiritualmente che è la vera forma di amare. Il programma della nostra vita cristiana deve essere un altro, tutt’altro; vivere per la giustizia. Gesù Cristo voleva che la giustizia fosse per noi cibo e bevanda. Beati quelli e solo quelli che hanno fame e sete di giustizia. Questo ardore per la giustizia è nell’uomo vita vera e duratura. Parola sintetica quella parola giustizia: tutto ciò che è diritto, che è vero, che è alto, che è dovere nostro, volontà di Dio. In questo mondo superiore devono appuntarsi le nostre volontà, dirigersi i nostri sforzi. Lì è vita, la forza, l’entusiasmo, la gioia vera, umana. Il cristianesimo ci ha fatto sentire la nostra vocazione autentica. Siamo una razza divina. Le razze inferiori possono vivere di cose basse: le superiori solo di cose alte. Razza divina, noi abbiamo bisogno proprio di questo cibo divino che è la giustizia. Di questo, con questo viviamo. Senza di esso, fuori di esso è la morte.

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Alleluja

Allelúja, allelúja Luc XXIV: 35.

Cognovérunt discípuli Dóminum Jesum in fractióne panis. Allelúja

[I discepoli riconobbero il Signore Gesú alla frazione del pane. Allelúia].

Joannes X: 14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ. Allelúja.

[Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.

Joann X: 11-16.

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercennárius autem et qui non est pastor, cujus non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves: mercennárius autem fugit, quia mercennárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et alias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovili: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor”.

(“In quel tempo Gesù disse ai Farisei: Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle. Il mercenario poi, o quei che non è pastore, di cui proprie non sono le pecorelle, vede venire il lupo, e lascia lo pecorelle, e fugge; e il lupo rapisce, e disperde le pecorelle: il mercenario fugge, perché è mercenario, e non gli cale delle pecorelle. Io sono il buon Pastore; e conosco le mie, e le mie conoscono me. Come il Padre conosce me, anch’io conosco il Padre: e do la mia vita per le mie pecorelle. E ho dell’altre pecorelle, le quali non sono di questa greggia: anche queste fa d’uopo che io raduni: e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo gregge e un solo pastore”.)

OMELIA

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Sulla Perseveranza.

“Qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit”       

(chi pervererà fino alla fine sarà salvo)

(MATTH. X, 22).

Chi combatterà e persevererà fino alla fine dei suoi giorni, senza lasciarsi vincere, ci dice il Salvatore del mondo; oppure, caduto, si sarà rialzato e persevererà, sarà coronato, cioè sarà salvo: sono parole, F. M., che dovrebbero farci tremare ed agghiacciare dallo spavento, se consideriamo da una parte i pericoli a cui siamo esposti e dall’altra, la nostra debolezza ed il numero dei nemici che ci circondano. Perciò non meravigliamoci, se i più grandi santi hanno abbandonato parenti ed amici, ricchezze e piaceri per andare gli uni a nascondersi nelle foreste, gli altri a piangere nelle grotte; altri ancora a chiudersi fra quattro mura per passare nelle lacrime il resto della loro vita, ed essere più liberi e sciolti da tutti gli impacci del mondo, per non occuparsi che di combattere i nemici della loro salute, convinti che il cielo sarebbe dato solo alla loro perseveranza. — Ma, mi direte, cosa vuol dire perseverare? — Ecco. Esser pronti a sacrificare tutto: le ricchezze, la volontà, la libertà e la stessa vita, piuttosto che dispiacere a Dio. — Ma, mi direte ancora: cos’è il non perseverare? — Eccolo. Ricadere nei peccati che già abbiamo confessati, seguire le cattive compagnie che ci hanno portato al peccato, il più grande di tutti i mali, poiché con esso abbiam perduto il nostro Dio, abbiamo attirato su di noi tutta la sua collera, strappiamo la nostra anima al cielo e la condanniamo all’inferno. Volesse Iddio che i Cristiani che hanno la ventura di riconciliarsi con Dio per mezzo del sacramento della Penitenza, lo comprendessero bene! E per darvene un’idea, vi mostrerò i mezzi che dovete usare per perseverare nella grazia che avete ricevuto nel sacro tempo pasquale. Io ne trovo cinque principali, cioè: la fedeltà nel seguire i movimenti della grazia di Dio, la fuga delle cattive compagnie, la preghiera, la frequenza dei Sacramenti ed infine la mortificazione. Veramente oggi potrete dire che quello che sentirete non vi riguarda; almeno, un buon terzo di voi. Io, parlarvi della perseveranza? ma sono dunque un falso pastore? non lavoro dunque che alla vostra rovina spirituale? Il demonio si servirà di me per affrettare la vostra dannazione? dunque farò io tutto il contrario di ciò che Dio mi ha comandato di fare: Egli non mi manda in mezzo a voi che per salvarvi, e la mia occupazione sarà quella di trascinarvi nell’abisso? che io sia il crudele carnefice delle vostre anime! Dio mio! Quale disgrazia! Parlarvi della perseveranza! Ma questo linguaggio non conviene che a coloro che hanno abbandonato risolutamente il peccato, e che hanno stabilito di perdere mille vite piuttosto che tornare a commettere la colpa; dire ad un peccatore di perseverare! Dio mio! non sarò io la più disgraziata creatura che la terra abbia portata? No, no, non è questo il linguaggio che dovrei tenere, ma piuttosto: cessa, amico mio, di perseverare nel tuo stato deplorevole, altrimenti ti perderai. Io, dire di perseverare a quest’uomo che da parecchi anni non fa più Pasqua o la fa male? No, no, amico, se perseveri, sei perduto; il cielo non sarà mai per te! Io, dire a quella persona, che si accontenta di fare la Pasqua, di perseverare? ma non sarebbe questo il metterle una benda davanti agli occhi e trascinarla all’inferno? Io, dire di perseverare a quei padri e a quelle madri che fanno Pasqua e rallentano il freno ai loro figli? Ah! no, non voglio essere il carnefice della loro povera anima. Io, dir di perseverare a quelle giovani che hanno fatto la Pasqua col pensiero ed il desiderio di tornare ai balli ed ai piaceri? Oh! povero me! che orrore! che abbominazione! che catena di delitti e di sacrilegi! Io, dire di perseverare a quelle persone che frequentano cinque o sei volte all’anno i Sacramenti e non fanno apparire alcun cambiamento nel loro modo di vivere? gli stessi lamenti nelle loro pene, gli stessi impeti di collera, la stessa avarizia, la stessa noncuranza dei poveri; sempre pronti a calunniare e a denigrare la fama del prossimo… Dio mio! quanti Cristiani ciechi e venduti all’iniquità! Io, dire di perseverare a quelle persone che, senza inquietarsi o per rispetto umano, mangiano di grasso nei giorni proibiti, e lavorano senza scrupolo nei giorni di domenica? Dio mio! che disgrazia! A chi dunque mi volgerò? Non ne so nulla. Ah! no, no, F . M., non della perseveranza nella grazia avrei oggi dovuto parlarvi! Avrei piuttosto dovuto dipingervi lo stato spaventoso e disperato di chi non ha fatto Pasqua o l’ha fatta male, e persevera in questo stato. Ah! volesse Dio che mi fosse permesso di descrivervi la disperazione d’un peccatore davanti al tribunale del Giudice divino, e farvi sentire quei torrenti di maledizioni: “Va, maledetto dannato, va, peccatore indurito, va a piangere la tua vita peccaminosa ed i tuoi sacrilegi. Ah! non ti basta l’avervi marcito durante la tua vita… „ Bisognerebbe trascinarli sino alle porte dell’inferno, prima che il demonio ve li precipiti per sempre, e far loro sentire le grida, le urla di quegl’infelici dannati, e mostrare a ciascuno il posto a lor riservato. Dio mio! potrebbero vivere ancora?!!! Un cielo perduto… Un inferno… un’eternità.. Essi hanno disprezzato i dolori… che dico i dolori? la morte d’un Dio… Ecco la ricompensa della perseveranza nel peccato; sì, ecco il soggetto di cui avrei dovuto trattare oggi. Ma parlarvi della perseveranza, la quale suppone un’anima che teme più il peccato che la morte, che passa i suoi giorni nell’amor del suo Dio; un’anima spoglia di ogni affetto terreno e i cui desiderii non sono che pel cielo …Ebbene, dove volete ch’io mi rivolga? Dove io potrei trovarla quest’anima? Ah! dov’è? Qual è il paese fortunato che la possiede? Ahimè! io non ne ho trovato; od almeno, ne ho trovate ben poche. Dio mio! forse voi ne vedete alcuna ch’io non conosco. Io vi parlerò dunque come se fossi sicuro che ve ne fossero almeno più una o due, per mostrar loro i mezzi ch’esse devono usare per continuare la via fortunata che hanno cominciata. Ascoltate bene, anime sante, se pure ve n’ha alcuna tra quelli che mi ascoltano, ascoltate ciò che Iddio vi dirà per bocca mia.

I. — Anzitutto, il primo mezzo di perseverare nella via che conduce al cielo, è d’esser fedele nel seguirla, e nell’approfittare dei movimenti della grazia che Dio vuol accordarci. Tutti i santi non sono debitori della loro felicità che alla loro fedeltà nel seguire i movimenti operati in essi dallo Spirito Santo, ed i dannati non possono attribuire la loro disgrazia che al disprezzo che ne hanno fatto. Questo solo può bastare per farvene sentire tutto il valore, e la necessità d’esservi fedele. — Ma, mi direte, come, in qual modo possiamo conoscere se corrispondiamo a ciò che la grazia vuole da noi, oppure se vi resistiamo? — Se non lo sapete, ascoltatemi un momento e ne saprete ciò che è essenziale. In primo luogo la grazia è un pensiero il quale ci fa sentire la necessità d’evitare il male e di fare il bene. Entriamo, in qualche particolarità familiare, perché possiate meglio comprendere, e vedrete quando le resistete, oppure quando le siete fedeli. La mattina, quando vi svegliate, il buon Dio vi suggerisce il pensiero di offrirgli il vostro cuore, di offrirgli il vostro lavoro, di fare tosto in ginocchio la vostra preghiera: se lo fate subito e di buona volontà, seguirete le ispirazioni della grazia; e se non lo fate, ovvero lo fate male, non le seguite. Vi sentite ad un tratto il desiderio d’andarvi a confessare e di correggervi dei vostri difetti, di non rimanere nello stato in cui siete; pensando che se aveste a morire vi dannereste. Se seguite queste buone ispirazioni che vi dà Iddio, siete fedeli alla grazia. Ma voi lasciate passare tutto questo senza il pensiero di fare qualche elemosina, qualche penitenza, d’andare a messa nei giorni feriali, di mandarvi i vostri servi: non lo fate. Ecco F. M., che cos’è seguire la grazia o resistervi. Questo è ciò che si chiama la grazia interiore. Quelle che sono chiamate grazie esteriori, sono per esempio, una buona lettura, una conversazione con una persona dabbene, che vi fa sentire la necessità di cambiar vita, di meglio servir il buon Dio, il rimorso che proverete se non lo fate, in punto di morte: è un buon esempio che vi si presenta dinanzi e che sembra stimolarvi affinché vi abbiate a convertire; è infine un’istruzione che vi insegna i mezzi che bisogna usare per servire Dio e adempiere i vostri doveri verso di Lui, verso noi stessi e verso il prossimo. Badate bene, da qui dipende la vostra salvezza o la vostra dannazione. I santi non si sono santificati che con la loro grande attenzione nel seguire tutte le buone ispirazioni, che Dio mandava loro; ed i dannati non sono caduti nell’inferno se no perché le hanno disprezzate; e ne vedrete la prova. Vediamo nell’Evangelo che tutte le conversioni, operate da Gesù Cristo durante la sua vita, hanno fondamento sulla perseveranza! Come S. Pietro è stato convertito, F . M.? Sappiamo, è vero, che Gesù Cristo lo guardò, che S. Pietro pianse il suo peccato, ma che cosa ci assicura della sua conversione, se non l’aver egli perseverato nella grazia, e mai più peccato? (Luc. XXII, 61, 62). Come è stato convertito S. Matteo? Sappiamo, è vero, che Gesù Cristo, avendolo visto al suo banco, gli disse di seguirlo, e che egli lo seguì, ma ciò che ci assicura che la sua conversione fu vera è il fatto che egli non si sedette più a quel banco, e non commise più ingiustizie; è il fatto che dopo aver cominciato a seguire Gesù Cristo, non lo lasciò più. (Luc. V, 27, 28) La perseveranza nella grazia, la rinuncia per sempre al peccato, furono i segni certissimi della sua conversione. Sì, F. M., quand’anche aveste vissuto venti o trent’anni nella virtù e nella penitenza, se non perseverate, tutto è perduto per voi. Sì, dice un santo vescovo al suo popolo, quand’anche aveste dato ogni vostro avere ai poveri, lacerato il vostro corpo e ridottolo tutto una piaga, sofferto, da solo, quanto tutti i martiri assieme, foste stato scorticato come S. Bartolomeo, segato tra due tavole come il profeta Isaia, arrostito lentamente come S. Lorenzo; se, per disgrazia, non perseverate, cioè se ricadrete nel peccato che già avete confessato, e la morte avesse a sorprendervi in questo stato, tutto sarebbe perduto. Chi di noi si salverà? Forse chi avrà combattuto quaranta o sessant’anni? No, F. M. Forse chi sarà invecchiato nel servizio di Dio? No, F. M., se non persevera. Salomone, di cui lo Spirito Santo dice, parlando di lui, che fu il più saggio dei re della terra (III Reg. IV, 31); quantunque paresse sicuro della propria salute, pure ci lasciò a questo riguardo in una grande incertezza. Saul ce ne presenta un’immagine ancor più spaventosa. Scelto da Dio stesso per reggere il suo popolo, colmato di tante benedizioni, muore riprovato. (I Reg. XXXI, 6) Ah! disgraziato! ci dice S. Giovanni Crisostomo, guardati bene, dopo aver ricevuto la grazia del tuo Dio, di non disprezzarla. Io tremo allorquando considero con quanta facilità il peccatore ricade nel peccato già confessato; come oserà domandare perdono?„ Sì, F. M., vi basterebbe per non ricadere mai più nel peccato, vi basterebbe coll’aiuto della grazia, confrontare lo stato disgraziato in cui vi aveva ridotto il peccato con quello! in cui v’ha messo la grazia. Sì, F. M., un’anima che ricade nel peccato, abbandona il suo Dio al demonio, fa opera di carnefice e lo crocifigge sulla croce del suo cuore; strappa la sua anima dalle mani del suo Dio, la trascina all’inferno, l’abbandona a tutto il furore ed alla rabbia dei demoni, le chiude il cielo, e rivolge a sua condanna tutti i patimenti del suo Dio. Ah! Dio mio, chi potrebbe tornare a commettere il peccato, se si facessero tutte queste riflessioni? Ascoltiamo, F. M., le terribili parole del Salvatore: “Chi avrà combattuto fino alla fine sarà salvo. „ E poi tremiamo ad ogni momento. Non vi sarà più cielo per noi se non siamo più fermi di quanto siamo stati fino ad ora; ma non è ancora tutto. Giacche potete perseverare nella pratica della virtù e dannarvi. Le vostre confessioni sono ben fatte? Avete prese tutte le precauzioni che dovevate usare per ben fare le vostre confessioni e comunioni? Avete ben esaminata la vostra coscienza prima di avvicinarvi al tribunale della penitenza? Avete confessato tutti i vostri peccati come voi li conoscevate senza dire, forse, che non è male, che non è nulla, oppure: lo dirò un’altra volta? Avete vero dolore dei vostri peccati? L’avete domandato a Dio andando al confessionale? Avreste preferito la morte piuttosto che tornare a commettere i peccati che avevate appena confessati? Siete nella ferma risoluzione di non più frequentare quelle persone con cui avete fatto del male? Protestate al buon Dio che se doveste ancora offenderlo, preferireste ch’egli vi faccia morire? Eppure, anche con tutto questa disposizioni, tremate sempre; vivete una specie di speranza e di diffidenza. Oggi siete nell’amicizia di Dio, tremate che, forse domani, non siate in odio a Lui, e riprovato. Ascoltate S. Paolo, quel vaso d’elezione, che era stato scelto da Dio per portare il suo nome davanti ai principi e re della terra, che ha condotte tante anime a Dio, i cui occhi si offuscavano ad ogni momento per l’abbondanza delle lagrime ch’egli spargeva; egli esclamava ad ogni momento: “Ahimè! non cesso di mortificare il mio corpo e di ridurlo in servitù, e temo che dopo aver predicato agli altri i mezzi d’andare in cielo, non sia io stesso cacciato e dannato (I Cor. IX, 27)„ In un altro punto sembra avere un po’ più di confidenza; ma su che è fondata questa confidenza? “Sì, mio Dio, esclama, io sono come una vittima pronta per essere immolata, ben presto il mio corpo e la mia anima saranno separati, vedo che non vivrò più a lungo; ma la mia confidenza sta in ciò che ho sempre seguito le ispirazioni che la grazia di Dio m’ha dato. Da quand’ebbi la ventura di convertirmi, ho condotto tante anime a Dio quanto m’è stato possibile, ho sempre combattuto, ho fatto una guerra continua al mio corpo. Ah!quante volte ho domandato a Dio la grazia di disfarmi di questo miserabile corpo, che mi conduceva verso il male (II Cor. XII, 8); finalmente, grazie a Dio, riceverò la ricompensa di chi ha combattuto e perseverato fino alla fine (II Tim. IV, 8).„ O mio Dio! quanto son pochi quelli che perseverano, e per conseguenza, quanto pochi si salvano! Leggiamo nella vita di S. Gregorio che una dama romana gli scrisse per domandargli l’aiuto delle sue preghiere, affinché Dio le facesse conoscere se i suoi peccati le erano stati perdonati e se, un giorno, riceverebbe la ricompensa delle sue buone opere.”Ah! diceva ella, temo che Dio non m’abbia perdonata. „ — ” Ahimè! le dice S. Gregorio, mi domandate una cosa difficilissima; pure vi dirò che, se perseverate, potete sperare che Dio vi perdonerà e che andrete in cielo; ma se non perseverate, malgrado tutto ciò che avrete fatto, vi dannerete. „ Quante volte non teniamo lo stesso linguaggio, tormentandoci per sapere se ci salveremo o ci danneremo! Pensieri inutili, F. M.! Ascoltate Mosè che, vicino a morire, fece radunare le dodici tribù d’Israele. “Sapete, disse loro, che vi ho teneramente amati, che non ho cercato se non la vostra salute e la vostra felicità; ora che vado a render conto a Dio di tutte le mie azioni, bisogna vi avverta che vi raccomando di non dimenticare questo: servite fedelmente il Signore, ricordatevi di tante grazie, di cui vi ha colmati; ed a qualunque costo non separatevi mai da Lui. Vedrete nemici che vi perseguiteranno e faranno il possibile per farvi abbandonare, ma fatevi coraggio, siete sicuri di vincerli se siete fedeli a Dio (Deuter. XXXI). Ahimè! F. M., le grazie che Dio ci accorda sono ben più numerose ed i nemici che ci circondano sono ben più potenti. Io dico: le grazie, poiché essi non avevano ricevuto che qualche ricchezza e la manna; e noi abbiamo avuto la fortuna di ricevere il pendono dei nostri peccati, di strappare le nostre anime dall’inferno e d’esser nutriti non della manna, ma del Corpo e del Sangue adorabile di Gesù Cristo!… Dio mio! che fortuna! Non bisogna dunque rivolgerci indietro, e lavorare continuamente per non perdere questo tesoro. Si quanti non perseverano, perché temono il combattimento!  Leggiamo nella storia che un santo prete incontrò un giorno un cristiano che era in continua apprensione di soccombere alla tentazione. ” Perché temete? gli dice il prete. — Ahimè! padre, disse, temo d’esser tentato, di cadere, di perire. Ah! esclama piangendo, non ho forse di che tremare se tanti milioni di angeli soccombettero in cielo, se Adamo ed Eva sono stati vinti nel Paradiso terrestre, se Salomone, che era considerato il più saggio dei re, e che era giunto al più alto grado di perfezione, ha insozzato i suoi bianchi capelli coi delitti più vergognosi e disonoranti; se quest’uomo, dopo essere stato l’ammirazione del mondo ne è diventato l’orrore e l’obbrobrio; quando considero un Giuda che cadde ed era in compagnia di Gesù Cristo stesso; se tanti lumi fulgidi si sono spenti, che devo pensare di me che non sono che peccato? Chi potrebbe contare il numero delle anime che sono nell’inferno e che, senza le tentazioni, sarebbero in cielo? Dio mio! chi non può tremare e avere speranza di perseverare? — Ma, amico, gli dice il santo prete, non sapete ciò che ci dice S. Agostino, che cioè il demonio è simile ad un grosso cane incatenato, che abbaia e fa grande strepito, ma non morde se non chi gli si avvicina troppo? Abbiate confidenza in Dio, fuggite le occasioni di peccato, e non soccomberete. Se Eva non avesse ascoltato il demonio, se quand’egli le proponeva di trasgredire l’ordine di Dio, ella fosse fuggita, non sarebbe caduta. Quando sarete tentato, scacciate subito la tentazione e, se potete, fate devotamente il segno della croce, pensate ai tormenti che sopportano i dannati per non aver saputo resistere alla tentazione; alzate gli occhi al cielo e vedrete la ricompensa di chi combatte; chiamate in aiuto il vostro buon Angelo custode, gettatevi prontamente nelle braccia della Madre di Dio, invocando la sua protezione; sarete sicuro allora d’esser vittorioso dei vostri nemici, e ben presto li vedrete coperti di confusione.„ Se soccombiamo, F. M. , è dunque perché non vogliamo usare i mezzi che il buon Dio ci offre per combattere. Bisogna soprattutto esser convinti che, da soli, non possiamo che perderci; ma che con una grande confidenza in Dio possiamo tutto. S. Filippo Neri diceva spesso a Dio: “Ahimè! Signore, custoditemi! bene, io sono così cattivo che mi sembra a ogni momento di tradirvi; io sono sì poca cosa che, anche quand’esco per fare una buona opera, dico tra me: tu esci cristiano di casa e forse entrerai pagano, dopo aver rinnegato il tuo Dio. „ Un giorno, credendosi solo in una solitudine, si mise a gridare: ” Ahimè! sono perduto, sono dannato! „ Uno che lo senti venne da lui, dicendogli: “Amico, perché disperate della misericordia di Dio? non è essa infinita? — Ah! gli disse il gran santo io non dispero, anzi spero molto; ma dico che sono perduto e dannato se Dio m’abbandona a me stesso. Quando considero quante persone hanno perseverato fino alla fine e che per una sola tentazione si sono perdute; questo mi fa tremare notte e giorno, nel timore d’esser del numero di quei disgraziati. „ Ah! F. M., se tutti i santi hanno tremato per tutta la loro vita nel timore di non perseverare, che sarà di noi che, senza virtù, quasi senza confidenza in Dio, dal canto nostro carichi di peccati, non facciamo attenzione a metterci in guardia per non lasciarci prendere nelle insidie che il demonio ci tende? noi che camminiamo come ciechi in mezzo ai più grandi pericoli, che dormiamo tranquillamente tra una folla di nemici i più accaniti per trarci a perdizione? — Ma, mi direte, che bisogna dunque fare per non soccombere? — Eccolo: bisogna fuggire le occasioni che ci hanno fatto cadere altre volte; ricorrere incessantemente alla preghiera, e finalmente frequentare spesso e degnamente i Sacramenti; se fate questo, se seguite questa via, siete sicuri di perseverare; ma se non prendete queste precauzioni, avrete bel fare e prendere tutte le vostre misure; ma non sfuggirete per questo la dannazione.

II. — In secondo luogo, per quanto vi è possibile, dovete fuggire il mondo, perché il suo linguaggio ed il suo modo di vivere sono interamente opposti a ciò che deve fare un buon Cristiano; cioè una persona che cerca i mezzi più sicuri per andare in cielo. Domandatelo a S. Maria Egiziaca che abbandonò il mondo e passò la vita in fondo ad un orrido deserto: essa vi dirà ch’è impossibile poter salvare la propria anima e piacere a Dio, se non si fugge il mondo; perché dappertutto non vi si trova che lacci e agguati; e siccome è contrario a Dio, bisogna assolutamente disprezzarlo ed abbandonarlo per sempre. Dove avete sentito cattive canzoni e infami discorsi, che vi fanno nascere un’infinità di cattivi pensieri e di cattivi desideri? Non fu quando vi siete trovato in quella compagnia di libertini? Chi v’ha fatto fare giudizi temerari? Non fu il sentire parlare male del prossimo in compagnia di quei maldicenti? Chi v’ha dato l’abitudine di osare sguardi e contatti abbominevoli su voi o su altri? Non fu dopo aver frequentato quell’impudico? Qual è la causa per cui voi non frequentate più i Sacramenti? Non è forse da quando siete andato con quell’empio, che ha cercato di farvi perdere la fede, dicendovi che erano bestialità le cose che vi diceva il prete; che la religione serviva solo per tener in freno i giovani; che si era imbecilli andando a raccontare ad un uomo le proprie azioni; che tutti coloro che sono istruiti si ridono di tutto questo, fino alla morte,… allora poi confesseranno che si sono ingannati? (S. Gregorio Magno. — S. Leone Magno. — S. Agostino. — Massillon. — È vero che Voltaire ed altri, in punto di morte hanno confessato che si sono ingannati: cioè, sono vissuti da empi e sono morti nella loro empietà. (Nota del Beato). – Il Beato è d’accordo col libro della Sapienza che ci mostra gli empi nel giorno del giudizio parlare cosi dei giusti: “Ecco quelli che altre volte noi abbiamo derisi, e di cui ci siamo burlati. Noi, insensati, consideravamo la loro vita come una follia e la loro morte come disonorante. Ma ora essi sono annoverati nel numero dei figli di Dio, ed hanno la loro eredità tra i santi „ (Sap. v, vers. 3 e seg.). Ebbene! amico, senza quella cattiva compagnia, avreste avuto tutti questi dubbi? No, certo. Ditemi, sorella, da quanto tempo provate tanto diletto per i piaceri, le danze, i balli, gli appuntamenti, gli ornamenti mondani? Non forse da quando avete frequentato quella giovanotta mondana che non è ancora contenta d’aver perduta la sua povera anima e che ha perduta la vostra? Ditemi, amico, da quanto tempo frequentate i giuochi, le osterie? Non fu da quando avete conosciuto quel libertino? Da quando vi si sente vomitare ogni sorta di bestemmie e d’imprecazioni? Non forse dacché siete a servizio presso quel padrone, che grida continuamente e la cui bocca non è che una sorgente d’abbominazione? – Sì, F. M., nel giorno del giudizio, ogni libertino vedrà l’altro libertino domandargli la sua anima, il suo Dio, il suo paradiso. Ah! disgraziato, si diranno l’un l’altro, rendimi la mia anima che m’hai rovinata, rendimi il cielo che m’hai rapito. Disgraziato, dov’è la mia anima? Strappala dunque dall’inferno in cui deve piombare. Ah! senza di te non avrei certo commesso quel peccato che mi danna! Io non lo conoscevo neppure. No, io non avrei mai avuto quel pensiero; ah! il bel cielo che mi hai fatto perdere! Addio, bel cielo che m’hai rapito! Sì, ogni peccatore si getterà su chi gli ha dato cattivo esempio e l’ha portato per la prima volta al peccato. “Ah! dirà, avesse Iddio voluto ch’io non t’avessi conosciuto mai! Ah! se almeno fossi morto prima di vederti, ora sarei in cielo; e non andrei mai più… Addio, bel cielo, per ben poco io t’ho perduto!… „ No, F. M.,  non persevererete mai nella virtù se non fuggite le compagnie del mondo; potreste ben volervi salvare, ma fatalmente vi dannerete. O l’inferno o la fuga: non c’è via di mezzo. Scegliete ciò che preferite. Da quando un giovane od una giovane seguono il loro talento… sono giovani riprovati… Avrete un bel dire che non fate male, che forse io sono scrupoloso. Io vi dico che sarà sempre così, che, se non cambiate, un giorno sarete nell’inferno; e non solo lo vedrete, ma, di più, lo proverete. Tiriamo un velo, F. M., e passiamo ad un altro argomento.

III. — In terzo luogo per aver la fortuna di perseverare nella grazia di Dio dopo aver ricevuto il sacramento della Penitenza, è assolutamente necessaria la preghiera. Colla preghiera potete tutto, siete, per così dire, passi la frase, padroni della volontà di Dio; e senza la preghiera, non siete capaci di nulla, e questo solo basta per mostrarvi la necessità della preghiera. Tutti i santi hanno cominciato la loro conversione colla preghiera e con essa hanno perseverato; e tutti i dannati si sono perduti per la loro negligenza nella preghiera. Per perseverare la preghiera è assolutamente necessaria. Ma distinguo: non una preghiera fatta dormendo, appoggiati ad una sedia, o sdraiati sul letto; non una preghiera fatta vestendosi o spogliandosi o camminando; non una preghiera fatta accendendo il fuoco, sgridando i figli ed i servi; non una preghiera fatta girando tra le mani il cappello od il berretto; non una preghiera fatta baciando i figli, od accomodando il fazzoletto od il grembiule; non una preghiera fatta colla mente attenta a cose estranee; non una preghiera fatta a precipizio come una cosa che ci annoia, e della quale non vediamo che il momento di liberarci; tutto questo non è più una preghiera, ma un insulto che facciamo a Dio. Lungi dal trovarvi i mezzi per garantirci dalla caduta nel peccato, questa preghiera stessa ci è un argomento di caduta; perché invece di attingere un nuovo grado di grazia, Dio ci ritira quella che ci aveva già data, per punire il disprezzo che noi facciamo della sua augusta presenza. Invece d’indebolire i nostri nemici li rendiamo più forti; invece di strappar ad essi le armi che avevano per combatterci ne procuriamo loro di nuove; invece di mitigare la giustizia di Dio, l’irritiamo sempre più! Ecco, F. M., il profitto che abbiamo dalle nostre preghiere. Ma la preghiera di cui vi parlo, preghiera che è sì potente presso Dio, che attira su noi tante grazie, che sembra quasi legare la volontà di Dio, che sembra, per così dire, obbligarlo ad accordarci ciò che gli domandiamo, è una preghiera fatta in una specie di diffidenza e di speranza. Diffidenza, considerando la nostra indegnità ed il disprezzo che abbiamo fatto di Dio e delle sue grazie, riconoscendoci indegni di comparire davanti a Lui e di osare domandar grazia, noi che tante volte l’abbiamo già ricevuta, e l’abbiamo sempre contraccambiato con ingratitudini, il che deve condurci in ogni momento della nostra vita, a credere che la terra s’aprirà sotto i nostri piedi, che tutti i fulmini del cielo sono pronti a colpirci, e che tutte le creature gridano vendetta in vista degli oltraggi da noi arrecati al loro Creatore; perciò tremanti davanti a Lui aspettiamo se Dio lancerà la sua folgore per annientarci, o se vorrà perdonarci ancora una volta. Col cuore spezzato dal rimorso d’aver offeso un Dio sì buono, lasciamo scorrere le nostre lagrime di pentimento e di riconoscenza: il nostro cuore ed il nostro spirito sono compresi dell’umiltà del nostro nulla, e della grandezza di Colui che abbiamo offeso e che ci lascia ancora la speranza del perdono. Lungi dal considerare il tempo della preghiera come un momento perduto, lo consideriamo come il più felice ed il più prezioso della nostra vita, perché un Cristiano peccatore, non deve avere in questo mondo altra occupazione che quella di piangere ai piedi del suo Dio. Lungi dall’occuparsi anzitutto dei suoi affari temporali, e di preferirli a quelli della sua salute, li considera come inezie, anzi ostacoli alla propria salvezza, e non ha per essi che quelle cure ed attenzioni che Dio gli comanda, convinto che se non li compie lui vi penseranno altri; ma che, se non ha la fortuna di ottenere la grazia e di rendersi Dio favorevole, tutto è perduto per lui, e nessuno vi penserà per lui. Non abbandona la preghiera che a gran pena; i momenti in cui si trova alla presenza di Dio, sono un nulla, o meglio passano come un lampo; se il suo corpo lascia la presenza di Dio, il suo cuore ed il suo spirito sono fissi in lui. Durante la preghiera non pensa più al lavoro, né a sedersi, né a coricarsi… Un Cristiano deve essere tra la diffidenza e la speranza. La speranza, cioè ricordando la grandezza della misericordia di Dio, il desiderio ch’egli ha di renderci felici, e ciò che ha fatto per renderci degni del cielo. Animati da un pensiero sì consolante ci indirizzeremo a Lui con grande confidenza, e diremo con san Bernardo: “Dio mio, quello che vi domando non l’ho meritato, ma voi l’avete meritato per me. Se m’esaudite, è solo perché voi siete buono e misericordioso. „ Con questi sentimenti che fa un Cristiano? Eccolo. Penetrato dalla più viva riconoscenza, prende la ferma risoluzione di non più oltraggiare il suo Dio, che gli ha accordata la grazia. Ecco, F. M., la preghiera di cui vi voglio parlare, e che ci è assolutamente necessaria per ottenere il perdono dei nostri peccati ed il prezioso dono della perseveranza.

IV. — In quarto luogo per aver la fortuna di conservare la grazia di Dio dobbiamo aggiungere la frequenza dei Sacramenti. Un Cristiano che usa santamente della preghiera e dei Sacramenti, è così terribile pel demonio come un soldato sul suo cavallo, cogli occhi fulminei, armato di corazza, sciabola e pistola, davanti al nemico disarmato la sua sola presenza lo spaventa e lo mette  in fuga. Ma se scende dal cavallo ed abbandona le sue armi; subito il suo nemico gli si getta addosso, lo schiaccia sotto i piedi e se ne rende padrone; mentre, quand’era armato, la sua sola presenza sembrava annientarlo. Vera immagine questa d’un Cristiano munito delle armi della preghiera e dei Sacramenti. No, no, un Cristiano che prega, e che colle disposizioni necessarie frequenta i Sacramenti è più terribile pel demonio che quel soldato di cui v’ho parlato. Che cos’era che rendeva S. Antonio sì terribile alle potenze dell’inferno se non la preghiera? Ascoltate il linguaggio che gli teneva un giorno il demonio, chiedendogli perché lo faceva tanto soffrire, egli che era il suo più crudele nemico. “Ah! quanto siete dappoco; gli disse S. Antonio, io che non sono che un povero solitario, che non posso tenermi in piedi, con un solo segno di croce vi metto in fuga. „ Considerate ancora ciò che disse il demonio a S. Teresa, egli che per il grande amore di lei per Iddio e la frequenza dei Sacramenti, non poteva nemmeno respirare dov’ella era passata. Perché? Perché i Sacramenti ci danno tanta forza per perseverare nella grazia di Dio, che non s’è mai visto un santo allontanarsi dai Sacramenti e perseverare nell’amicizia del Signore; nei Sacramenti essi hanno trovato la forza per non lasciarsi vincere dal demonio: eccone la ragione. Quando preghiamo, Dio ci dà degli amici, ci manda or un santo od un angelo per consolarci; come fece con Agar, la serva di Abramo, (Gen. XXI, 17), col casto Giuseppe quand’era in prigione; e così con S. Pietro… ; ci fa sentire con più abbondanza le sue grazie per fortificarci ed incoraggiarci. Ma nei Sacramenti, non è un santo od un Angelo, è Lui stesso che viene colle sue folgori per annientare il nostro nemico. Il demonio, vedendolo nel nostro cuore, si precipita come un disperato negli abissi; ecco precisamente perché il demonio fa ogni cosa possibile per allontanarcene e farceli profanare. Sì, F. M., dal quando una persona frequenta i Sacramenti, il demonio perde tutta la sua potenza. Però bisogna distinguere: sono terribili al demonio quelli che frequentano i Sacramenti colle necessarie disposizioni, che hanno veramente in orrore il peccato, e che usano tutti i mezzi che Iddio ci dà per non più ricadervi ed approfittare delle grazie ch’Egli ci fa. Non voglio parlarvi di quelli che oggi si confessano e domani ricadono nel loro peccato; non voglio parlarvi di quelli che s’accusano dei loro peccati con poco rimorso e pentimento, come se narrassero una storia dilettevole; né di quelli che non hanno disposizioni o quasi, che vengono a confessarsi forse senza fare l’esame di coscienza, e che dicono quello che capita loro in mente; s’accostano alla sacra Mensa senza avere scrutato i nascondigli del proprio cuore, senza aver domandato la grazia di conoscere i propri peccati e di sentirne il dolore, e senza aver presa alcuna risoluzione di non più peccare. No, no, questi non lavorano che alla loro rovina. Invece di combattere contro il demonio, essi si mettono dalla sua parte e si gettano da sé nell’inferno. No, no, non è di costoro che voglio parlarvi. Se tutti quelli che frequentano i Sacramenti fossero ben disposti, quantunque il numero ne sia piccolo, pure vi sarebbero assai più eletti che non vi siano. Ma parlo di quelli che si allontanano o dal tribunale di penitenza, o dalla sacra Mensa, per comparire con grande confidenza davanti al tribunale di Dio, senza timore d’esser condannati per le mancanze di preparazione nelle loro confessioni o comunioni. Dio mio! quantunque siano rari, quanti Cristiani si sono perduti!

V. — In quinto luogo per avere la somma ventura di conservare la grazia che abbiamo ricevuta nel sacramento della Penitenza, dobbiamo praticare la mortificazione: è la via che hanno tenuto tutti i santi. O castigate questo corpo di peccato, o presto cadrete. Vedete il santo re Davide, per domandare a Dio la grazia di perseverare, mortificò il suo corpo per tutta la sua vita. Vedete S. Paolo che vi dice ch’egli trascinava il suo corpo come un cavallo. Innanzi tutto non dobbiamo mai lasciar passare un pasto senza privarci di qualche cosa, affinché possiamo in fine di ogni pasto offrire a Dio qualche privazione. Riguardo al sonno, di quando in quando, diminuiamolo un po’. Nella nostra fretta di parlare quando abbiamo qualche cosa da dire, priviamocene per il buon Dio. Ebbene, F. M., chi sono quelli che prendono tutte queste precauzioni di cui vi ho mostrato l’importanza? Dove sono? Ahimè! non ne so niente! Quanto sono rari! e quanto ne è piccolo il numero! Ma, e dove sono quelli che avendo ricevuto il perdono dei loro peccati, perseverano nello stato fortunato in cui li ha messi la penitenza? Ahimè! Dio mio, e dove bisogna cercarli? Tra quelli che mi ascoltano vi sono dei Cristiani tanto fortunati? Ahimè! non ne so nulla. Che dobbiamo dunque concludere, F. M. Ecco. Se ricadiamo, come prima, quando occasioni ci si presentano, è perché non prendiamo migliori risoluzioni, non aumentiamo le nostre penitenze, e non raddoppiamo le  nostre preghiere e le nostre mortificazioni. Tremiamo per le nostre confessioni, che all’ora della nostra morte non abbiamo a trovare che dei sacrilegi, e per conseguenza, la nostra rovina per tutta l’eternità. Felici, mille volte felici, quelli che persevereranno fino alla fine, poiché il cielo è per essi!…

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps LXII:2; LXII:5  Deus, Deus meus, ad te de luce vígilo: et in nómine tuo levábo manus meas, allelúja.

Secreta

Benedictiónem nobis, Dómine, cónferat salutárem sacra semper oblátio: ut, quod agit mystério, virtúte perfíciat.

[O Signore, questa sacra offerta ci ottenga sempre una salutare benedizione, affinché quanto essa misticamente compie, effettivamente lo produca].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes X: 14. Ego sum pastor bonus, allelúja: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ, allelúja, allelúja.

[Io sono il buon pastore, allelúia: conosco le mie pecore ed esse conoscono me, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Præsta nobis, quaesumus, omnípotens Deus: ut, vivificatiónis tuæ grátiam consequéntes, in tuo semper múnere gloriémur.

[Concédici, o Dio onnipotente, che avendo noi conseguito la grazia del tuo alimento vivificante, ci gloriamo sempre del tuo dono.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.