I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA CONFESSIONE PASQUALE

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Sulla Confessione pasquale.

“Erat autem proximum

Pascha, dies festus Judæorum”.

(JOAN. VI, 4).

Sì, Fratelli miei, ecco giunto e trascorso questo tempo fortunato in cui tanti Cristiani hanno abbandonato il peccato, ed hanno strappate le loro povere anime dagli artigli del demonio per rimettersi sotto l’amabile giogo del Salvatore. Ah! avesse Iddio voluto che fossimo nati nel bel tempo dei primitivi Cristiani, che con santa allegrezza vedevano giungere questo momento! O giorno beato! Giorno di salute e di grazia, che cosa sei diventato ora? Dove sono quelle gioie sante e celesti che formano la felicità dei figli di Dio? Sì, M. F., questo tempo di grazia riuscirà a noi di vantaggio o di danno: sarà la causa della nostra felicità, se corrispondiamo alle grazie che ci vengono prodigate in questo prezioso momento; oppure sarà la nostra perdita, se non ne approfittiamo o ne abusiamo.

— Ma, mi direte, che vuol dire questa parola Pasqua? — Non lo sapete? Ebbene! Ascoltate e lo saprete. Pasqua significa passaggio, cioè il passaggio dalla morte del peccato alla vita della grazia. Vedrete poi se le vostre Pasque sono buone, e se potete star tranquilli, massime voi, brava gente, che vi accontentate di adempiere il precetto della Chiesa, cioè di fare una sola confessione e comunione per Pasqua.

I. — Perché, F. M., la Chiesa ha stabilito il santo tempo della Quaresima? — Per prepararci a degnamente celebrare la santa Pasqua, mi rispondete; la Pasqua è il tempo in cui Dio sembra raddoppiare le sue grazie, ed eccitare i rimorsi delle nostre coscienze per farci uscire dal peccato. — Va benissimo, è ciò che vi insegna il Catechismo; ma se domandassi ad un fanciullo, qual è il peccato di coloro che non fanno Pasqua? mi risponderebbe semplicemente che è un grave peccato mortale; e se gli chiedessi: Quanti peccati mortali bastano per andare all’inferno? Mi soggiungerebbe: Basta un solo; se si muore senza averne ottenuto il perdono. Ebbene! che ne dite? Non avete fatto Pasqua? — No! mi rispondete. — Ma, poiché non avete fatto Pasqua, ed il non farla è un peccato mortale, dunque vi dannerete. Che ne pensate? Ciò non v’importa nulla? — Ah! avete ragione, dite tra voi, ma se io son dannato, non sarò solo. — Evvia! se ciò non v’importa, se v’è indifferente il salvarvi ed il perdervi, bisognerà proprio che vi consoliate, sperando che nella vostra disgrazia non sarete solo; e perciò non vi importuno più a lungo. Povera anima! che ne dite del linguaggio che tiene questo vostro corpo di peccato in cui avete la disgrazia di abitare? Oh! quante lagrime spargerete per tutta l’eternità! Oh! quanti lamenti! Oh! quanti urli manderete, là in mezzo alle fiamme senza speranza di uscirne! Oh! quanto siete disgraziata d’essere tanto costata a Gesù Cristo e d’essere da Lui separata per sempre! Perché, F. M., non avete fatto Pasqua? — Perché non l’ho voluto, mi direte. — Ma se morite in questo stato vi dannerete. — Tanto peggio! — Ebbene! ditemi, credete d’aver un’anima? — Ah! so bene che ho un’anima. — Ma, forse, credete che dopo la morte tutto sarà finito? — Ah! pensate tra voi: so che la nostra anima sarà felice od infelice, secondoché avrà fatto bene o male. — E che cosa può renderla infelice? — Il peccato, mi direte. — Vi sentite colpevole di peccato, dunque concludo che siete dannato. Non è vero, amico? Siete venuto una volta o due a confessarvi; ma siete sempre stato lo stesso. Perché? Perché non avete voluto correggervi, e vi è indifferente tanto il vivere nel peccato e dannarvi, quanto l’abbandonarlo per salvarvi. Volete dannarvi? Ebbene! non inquietatevi, lo sarete. — Non è vero, sorella mia, che avete lasciato passare Pasqua senza confessarvi? avete vissuto la Quaresima e la Pasqua, in peccato; e perché? Eccone la ragione: perché non avete più religione, avete perduta la fede, non pensate che a divertirvi un poco nel mondo, aspettando di esser gettata tra le fiamme. Vi vedremo, sorella mia, sì, un giorno vi vedremo; vedremo le vostre lagrime, la vostra disperazione; vi riconoscerò, almeno, lo credo; voi vi sarete dannata e ne eravate padrona. Ma tiriamo un velo; lasciamo nascoste nelle tenebre tutte queste sozzure fino al giorno del giudizio. Esaminiamo ora qual è la confessione e la comunione di coloro che si accontentano di accostarvisi una volta all’anno, e vedremo se essi possono esser tranquilli o no. Se per fare una buona confessione, bastasse domandar perdono a Dio, accusare i propri peccati e far qualche penitenza, il peccato, che la religione ci dipinge come una mostruosità, non avrebbe nulla di spaventevole; nulla sarebbe più facile che riparare la perdita della grazia di Dio e seguire la via che conduce al cielo, la quale invece, secondo Gesù Cristo stesso, è così difficile. Sentite ciò che Egli disse ad un giovane che gli domandava se sarebbero stati molti gli eletti, e se la via che conduce al cielo è difficile a seguirsi: Oh! come è stretta questa via! Quanto pochi sono quelli che la seguono! Oh! come sono pochi coloro che la cominciano e giungono alla fine (Matt. VII, 14)! Infatti, F. M., dopo aver vissuto per un anno intero senza fastidi, senza noie, non occupandovi che dei vostri affari temporali, delle vostre ricchezze od anche dei vostri piaceri, senza darvi pensiero di correggervi, né di lavorare per acquistare le virtù che vi mancano; verrete solo nella quindicina di Pasqua, più tardi che potrete, a raccontare i vostri peccati, come narrereste una storia: leggerete in un libro qualche preghiera, o ne farete qualche altra per un certo tempo. E con questo, tutto sarà fatto, e seguirete la vostra vita ordinaria; farete ciò che avete sempre fatto, vivrete come il solito; siete stati veduti ai giuochi e nelle osterie e vi ci si rivedrà: siete stato trovato nei balli e nei festini e vi sarete ritrovato: e così si dica del resto. Alla prossima Pasqua vi ripentirete della stessa cosa. E continuerete così fino alla morte: cioè il sacramento della Penitenza, in cui Dio sembra dimenticare la sua giustizia per non manifestare che la sua misericordia, non sarà più per voi che un gioco od un passatempo! Capite benissimo, che se nelle vostre confessioni non vi è nulla di meglio, potete giustamente concludere che esse non valgono nulla, per non dir di peggio.

II. — Ma per meglio convincervi, esaminiamo la cosa più davvicino. Per fare una buona confessione che possa riconciliarci con Dio, dobbiamo detestare i nostri peccati con tutto il nostro cuore; non perché siamo obbligati a dire al prete cose che vorremmo poter nascondere a noi stessi; ma bisogna pentirsi d’aver offeso un Dio così buono, d’esser restati sì lungo tempo nel peccato, d’aver disprezzato tutte le grazie colle quali ci sollecitava ad uscirne. Ecco, F. M., ciò che deve fare scorrere le nostre lagrime e spezzare il nostro cuore. Ditemi, se aveste questo vero dolore, non vi affrettereste a riparare il male che ne è la causa e a mettervi subito in grazia di Dio? Che direste di un uomo che guastatosi ingiustamente col suo amico e che poi, riconoscendo il suo torto se ne pente e non cerea il modo di riconciliarsi? Se l’amico suo fa qualche passo in proposito, non approfitterà egli dell’occasione? Ma se invece, non facesse conto di tutto ciò, non avreste ragione di dire che gli è indifferente d’essere in buona o cattiva relazione con quella persona? Il paragone è giusto. Chi ha la disgrazia di cadere nel peccato, o per debolezza od inavvertenza od anche per malizia, se ne ha un vero dolore, potrà restare lungamente in questo stato? Non ricorrerà subito al sacramento della Penitenza? Ma, se resta un anno nel peccato e vede con fastidio avvicinarsi il tempo della Pasqua, perché bisogna confessarsi; se, invece di presentarsi in principio di Quaresima al tribunale di Penitenza, per aver qualche tempo in cui potersi mortificare e non passare subito dal peccato alla sacra Mensa; se non vuol sentire parlare che a Pasqua della confessione, che cerca di ritardare per quanto gli è possibile presentandosi poi colle disposizioni di un condannato che vien condotto al supplizio; che cosa significa tutto questo? Eccovelo, che se la Pasqua fosse prolungata fino a Pentecoste, voi non vi confessereste che a Pentecoste: o se non venisse che ogni dieci anni, non vi confessereste che ogni dieci anni; e finalmente, se la Chiesa non ve lo comandasse, vi confessereste soltanto all’ora della morte. Che ne dite? Non è vero, che non è né il rimorso d’aver offeso Dio ciò che vi fa confessare; né l’amor di Dio, ciò che vi fa fare la Pasqua? — Ah! mi soggiungerete, è già qualche cosa, fare la S. Pasqua; e poi noi non la facciamo senza sapere il perché. — Ah! voi non sapete nulla; fate Pasqua per abitudine, per dire che l’avete fatta e, se voleste dire la verità, direste che ai vostri antichi peccati ne avete aggiunto uno nuovo. Non è dunque l’amor di Dio, né il rimorso di averlo offeso, che vi fa confessare e fare la Pasqua, e nemmeno il desiderio di condurre una vita più cristiana. Eccone la prova: se amaste il buon Dio, potreste acconsentire a commettere il peccato con tanta facilità, anzi con tanto piacere? Se aveste orrore del peccato, come dovreste averlo, potreste conservarlo per un anno intero sulla coscienza? Se aveste un vero desiderio di condurre una vita più cristiana, non si vedrebbe almeno qualche piccolo cambiamento nel vostro modo di vivere? No, M. F., non voglio parlarvi oggi di quei disgraziati, i quali non accusano che a metà i loro peccati per timore di non poter fare la Pasqua o d’essere rimandati; o forse per coprire col velo della virtù la loro vita vergognosa; e che, in questo stato s’avvicinano alla sacra Mensa e consumano la loro riprovazione, abbandonano il loro Dio al demonio, per esalare la loro anima dannata nell’inferno. No, voglio sperare che questo non vi riguardi; ma pure continuerò a dirvi che le vostre confessioni annuali non hanno nulla che possa tranquillizzare. — Ma, mi direte, che cosa bisogna fare perché la confessione sia buona? — Se volete saperlo, eccovelo: ascoltate bene, e vedrete se potete star sicuri. Affinché la vostra confessione meriti il perdono, bisogna ch’essa sia umile esincera, accompagnata da un vero dolore causato dal rimorso d’aver offeso Dio, e non per i castighi che merita il peccato, ed un fermo proposito di non più peccare per l’avvenire. Ciò premesso, dico che è ben difficile che tutte queste disposizioni si trovino in coloro che non si confessano che una volta all’anno: lo vedrete. Cos’è un cristiano ai piedi del prete, al quale fa la confessione dei suoi peccati? È un peccatore che viene col dolore nel cuore, e si getta ai piedi del suo Dio come un reo davanti al giudice, per accusarsi lui stesso e domandare la grazia. Come s’accuserà? Ecco: Io sono un colpevole indegno del nome di figlio: ho vissuto finora in un modo tutto opposto a ciò che mi comandava la mia religione; non ho avuto che disgusto per ciò che si riferisce al servizio di Dio; i santi giorni della domenica e quelli di festa non sono stati per me che giorni di piaceri edi gozzoviglie; o, per dir meglio, non ho fatto nulla di bene fino ad ora; sono perduto edannato se Dio non ha pietà di me. Ecco, F. M., i sentimenti di un Cristiano che ha in orroreil peccato. Ma, ditemi, si accusano così quelli che trovano non essere abbastanza il restare dodici mesi nel peccato, etrovano che le Pasque si avvicinano troppo veloci? Ahimè! Dio mio! voi vedete le confessioni annue che fanno questi poveri disgraziati, evedete che lefanno con una noia mortale. Oh! no, no, costui, non è più un reo, coperto di vergogna e penetrato di dolore d’aver offeso Dio, che s’umilia, s’accusa lui stesso, e domanda un perdono di cui si riconosce infinitamente indegno: ma ahimè! oserò dirlo? è un uomo che sembra raccontare una storia, e la racconta male, cerca di mascherarsi e di comparire colpevole il meno che può. Ascoltatelo: non è lui che ha commesso quel peccato d’impurità, è un altro che ve l’ha sollecitato, come se non fosse stato padrone di non seguire quel consigliere. Non è lui che s’è incollerito: è colpa del suo vicino che gli ha detto una parola pungente. Ha mancato alla Messa, sì, ma la compagnia ne fu la causa. Una volta mangiò di grasso in un giorno proibito; se non vi fosse stato spinto non l’avrebbe fatto. Egli ha parlato male, ma fu quello ch’era vicino a lui che l’ha fatto peccare. Diciamo meglio: il marito accusa la moglie, la moglie accusa il marito; il fratello la sorella e la sorella il fratello; il padrone il servo ed il servo cerca, per quanto può, di scaricarsi sul suo padrone. Dicendo il Confiteor, accusano se stessi, dicendo: E mia colpa: due minuti dopo si scusano ed accusano gli altri. Niente umiltà, niente sincerità, niente dolore: ecco le disposizioni di quelli che non si confessano che una volta all’anno. Un parroco dal modo con cui s’accusano, s’accorgerà ch’essi non hanno affatto le disposizioni necessarie per ricevere l’assoluzione. Se dà loro un po’ di tempo per non far loro commettere un sacrilegio, che cosa fanno essi? Ascoltateli: mormorano dicendo che non hanno il tempo di ritornare e che un’altra volta non saranno meglio disposti; e finiscono col dirvi che se non si vuol riceverli, andranno da un altro, che non sarà così scrupoloso, e che li assolverà… Come se Dio non potesse vivere senza di essi! Poveri ciechi!… Vedete da questo quali siano le loro disposizioni. Il sacerdote, dal modo con cui s’accusano, vede ch’essi non dicono tutto; è obbligato di far loro mille domande; essi non dicono né il numero, né le circostanze che cambiano la specie. Vi sono certi peccati ch’essi non vorrebbero dire e neppur nascondere. Che fanno? Li dicono per metà, come se il prete potesse sapere ciò che avviene nel loro cuore. Si accontentano di raccontare in blocco i peccati, senza nemmeno distinguerne i pensieri dai desideri. Il sacerdote chiederà: Non avete mai avuto pensieri di superbia, di vanità, di vendetta o d’impurità? Sapete che quando ci si fermiamo su volontariamente essi sono peccato. Avete commesso qualcheduna di queste mancanze? — Può darsi, risponderà, ma non me ne ricordo. — Ma bisogna dire approssimativamente il numero, altrimenti le confessioni non valgono nulla. — Ah! reverendo, come volete che mi ricordi di tutti i pensieri che ho avuti in un anno? ciò m’è impossibile. — Ah! Dio mio, che confessioni, o piuttosto che sacrilegi! … E neppure, F. M., si occupano delle circostanze che aggravano il peccato e che possono renderlo mortale. Ascoltate come si confessano: mi sono ubbriacato, ho calunniato il mio prossimo, ho peccato contro la santa virtù della purità, ho altercato, mi sono vendicato; e se il confessore non fa domande, basta. — Ma, gli dirà il confessore, quante volte avete fatto questo? Avete commesso di questi peccati in chiesa? Era un giorno di domenica? L’avete fatto in presenza dei vostri figli, dei vostri servi? V’era molta gente? L’onore del vostro prossimo ha sofferto qualche danno? Questi pensieri di superbia vi sono venuti in chiesa, durante la santa Messa? Vi ci siete fermati su per molto tempo? Questi pensieri, contrari alla santa virtù della purità, sono stati accompagnati da cattivi desideri? Quest’altro peccato è stato per inavvertenza o per malizia? Non avete aggiunto peccato a peccato, pensando che vi costerebbe lo stesso confessarvi di molti come di pochi? Vi sono di quelli che escludono affatto il dovere di farvi alcun dettaglio dei loro peccati e vi dicono francamente che essi non hanno nulla da rimproverarsi, che non hanno tempo, che bisogna che se ne vadano. Non avete tempo, ebbene! andatevene. Andare o restare per voi è la stessa cosa. Dio mio! che disposizioni! Dio mio! Sono questi peccatori che vengono a piangere i loro peccati? Bisogna però convenire che vi sono alcuni i quali fanno il possibile per ben esaminarsi, e che dicono i loro peccati meglio che possono; ma con tale indifferenza, freddezza ed insensibilità che strazia il cuore d’un povero sacerdote. Non sospiri, non gemiti, non lagrime! non un segno che annunci il dolore dei loro peccati. Bisogna che il prete, per dar loro l’assoluzione, sia persuaso che essi hanno migliori disposizioni di quelle che mostrano. So bene che le lacrime ed i sospiri non sono segni infallibili di conversione né di contrizione. Succede troppo spesso che quelli che piangono non sono per questo più Cristiani degli altri. Ma è pure cosa impressionante sentir raccontare con tanta freddezza ed indifferenza ciò che deve necessariamente attristarci ed eccitare le nostre lagrime. Se un reo fosse sicuro che, confessando i suoi delitti, riceverà la grazia; vi lascio immaginare se potrebbe manifestarli senza lagrime, nella speranza di commuovere il cuore del giudice e meritarsi il perdono. Osservate un ammalato quando scopre le sue piaghe al medico; udite i suoi sospiri e vedete le sue lagrime. Vedete un amico che vi racconta le sue pene: i suoi atti, il tono della sua voce, il suo modo d’esprimersi, tutto in luì vi rivela il suo affanno ed il suo dolore. Perché, F. M., nulla appare di tutto questo, quando confessiamo i nostri peccati? Non lo sapete? Ebbene! ve l’insegnerò: il vostro cuore non è più commosso delle vostre parole, ed il vostro interno è simile al vostro esterno: i vostri peccati non vi danno più dolore di quello che ne dimostrate. Ecco perché, dopo le vostre Pasque, siete sì poco Cristiano, e non siete né più buono né meno peccatore di prima.

III. Ho detto che il rimorso d’aver offeso Dio, se è vero, deve necessariamente rinchiudere una sincera volontà di non voler più peccare: che se questa volontà è sincera ci porterà altresì a stare in guardia; a cacciare tutti i pensieri cattivi di vendetta, d’impurità, non appena ce ne accorgiamo; a fuggire le occasioni che ci avevan portato al peccato; a nulla trascurare per correggerci delle nostre cattive abitudini. Ebbene! amico, il vostro proposito di non più offendere il buon Dio non è dunque stato sincero, poiché vi si vedeva nelle osterie e vi ci si vede ancora; eravate stato visto in quella compagnia dove avete commesso quel peccato e vi comparite ancor oggi. Converrete con me che non avete fatto alcuno sforzo per viver meglio, che nel corso dell’anno passato. Perché questo, amico mio? Perché? Ecco: perché non desiderate affatto di correggervi, la vostra confessione non è stata che una menzogna e la vostra contrizione una larva di penitenza. Ne volete una seconda prova? Eccola. Di che vi accusavate l’anno scorso? Di ubriachezza, d’impurità, di superbia, di collera, di negligenza nel servizio di Dio? E di che vi accusate quest’anno? Delle stesse cose. E di che vi accuserete l’anno venturo se sarete ancora in vita? Ancora delle stesse cose. E perché, F. M., perché non desiderate affatto di condurre una vita più cristiana; ma vi confessate solo per sdebitarvi e per dire che avete fatto Pasqua; o, se voleste attestare la verità, direste che vi confessate ogni anno per aggiungere un nuovo peccato agli antichi; dicendo così, direste quello che veramente fate. Voi, dunque, non vi accorgete che il demonio vi inganna. S’egli a voi proponesse di abbandonar tutto, a voi che avete l’abitudine di confessarvi una volta l’anno, ne avreste orrore, non vorreste crederlo. Ma egli per avervi un giorno in suo potere, si accontenta di tenervi sempre nelle vostre cattive abitudini. Dubitate di quello che dico? Esaminate la vostra condotta, e vedete se vi siete corretto di qualche peccato dopo tanti anni che vi confessate solo a Pasqua; o per meglio dire, se ogni anno non vi affondate sempre più nell’abisso del peccato.  Ma, mi direte, tutto questo non ci spinge troppo a farci fare la Pasqua. — È vero, ma perché ingannarvi? Vi inganna già abbastanza il demonio; non c’è bisogno che anch’io mi unisca a lui. Io vi dico la pura verità; voi poi farete ciò che più vi aggrada. Io mi comporto in mezzo a voi come un medico in mezzo ad un gran numero di ammalati: egli propone a ciascuno i rimedi convenienti per ristabilirsi in salute; di quelli che disprezzano questi rimedi, egli non si cura; ma a quelli che vogliono usarne dice il gran bene che ne avranno stando alle prescrizioni, e nel medesimo tempo ricorda il male che ne verrà loro se non osserveranno i suoi ordini. Sì, F. M., io faccio lo stesso: vi faccio considerare quanto sono grandi i vantaggi che ci promettono i Sacramenti: o per dir meglio, che se non frequentiamo i Sacramenti, non vedremo mai la faccia di Dio, e siamo sicuri d’esser dannati. Quanto a quelli che, o per ignoranza, o per empietà, disprezzano questi salutari rimedi, i quali soli possono riconciliarli con Dio, faccio come quel medico che lascia da una parte coloro che non vogliono i suoi rimedi. Ma a quelli che mostrano desiderio di prenderli, bisogna assolutamente far conoscere le disposizioni che bisogna portarvi. Io penso, F. M., che forse tutto quello che vi ho detto, vi darà qualche inquietudine sulle vostre confessioni passate; lo desidero con tutto il mio cuore, affinché tocchi dalla grazia del buon Dio e dai rimorsi della coscienza usiate i mezzi che Dio vi offre oggi per uscire dal peccato. Ma, mi direte, cosa bisogna fare per riparare a tutto? — Volete saperlo e farlo? Ecco. Dovete ricominciare le vostre confessioni da quando credete d’averle fatte senza dolore; accuserete il numero delle confessioni e delle comunioni; e direte anche se avete taciuto qualche peccato, e se avete fatto qualche sforzo per non più ricadervi. Bisogna, perché le vostre confessioni possano consolarvi, che ogni confessione abbia operato in voi qualche cambiamento; bisogna che facciate, come dice S. Paolo parlando di Gesù Cristo, che uscì dalla tomba per non rientrarvi mai più (Rom. VI, 9); così voi, confessati i vostri peccati, non dovete tornare a commetterli mai più. Dovete nel vostro cuore, al posto di quella collera, di quell’aria di disprezzo che traspariva ad ogni menoma ingiuria che vi si faceva, far nascere la dolcezza, la bontà e la carità. Voi alla mattina ed alla sera mancavate di recitare le vostre orazioni, vi si vedeva farle senza attenzione e senza rispetto; ora, se siete veramente usciti dal peccato, vi si vedrà ogni mattina e sera fare le vostre preghiere con quel rispetto ed attenzione che il pensiero della presenza di Dio deve ispirarvi. Nei santi giorni di domenica vi si vedeva spesso entrare in chiesa quando le funzioni eran già molto avanzate; ora se avete ben fatto la Pasqua vi si vedrà di buon’ora prepararvi per santamente assistere a questa grande azione. Si vedrà quella madre, invece di correre di casa in casa ad osservare la condotta dell’una e dell’altra, la si vedrà occupata nelle sue faccende, ad istruire i suoi figli o, per meglio dire, la virtù trasparirà da ogni sua azione. Essa farà come quella giovane che da qualche tempo s’era data ai piaceri, anche ai più vergognosi; ma avendo riflesso sul suo spaventevole stato, e sentendo orrore di se stessa, si convertì. Qualche tempo dopo incontrò un giovane col quale spesso aveva trescato: questi cominciò a tenerle il solito linguaggio. Essa lo guardò con un’aria di disprezzo e d’indignazione, ricordandosi che questo disgraziato era stato la causa ch’ella offendesse il buon Dio. Stupito, le disse ch’essa senza dubbio non lo conosceva più. “Ah! disgraziato, t’ho conosciuto troppo! Vedo che tu sei sempre lo stesso, sepolto nel fango della colpa; ma, quanto a me, grazie a Dio, non son più la medesima; ho abbandonato quel maledetto peccato che aveva tanto sfigurata la povera anima mia. Ah! no, mille volte morire piuttosto che ricadere negli antichi peccati! „ Oh! bel modello per un Cristiano che ha avuto la disgrazia di peccare! Che dobbiamo dunque concludere? Eccolo, F. M.. Se non volete dannarvi, non dovete accontentarvi di confessarvi una volta all’anno; perché, ogni volta che vi trovate in peccato, correrete rischio di morirvi e di perdervi per tutta l’eternità. Se siete stati così disgraziati d’aver taciuto qualche peccato, o per timore o per vergogna, o se li avete confessati senza dolore, senza il desiderio di correggervene; od anche, se dopo tanti anni che vi confessate, non avete conosciuto alcun cambiamento nella vostra vita: concludete che tutte le vostre confessioni non valgono nulla e, per conseguenza, non sono state che sacrilegi ed abbominazioni che vi getteranno nell’inferno. Per quelli che non fanno Pasqua non ho nulla da dire; giacché vogliono assolutamente dannarsi, essi ne sono i padroni. Piangiamo la loro disgrazia, preghiamo per essi: la scambievole carità che dobbiamo avere vi ci obbliga. Domandiamo a Dio dinon mai cadere in tale accecamento! Resistiamo coraggiosamente al mondo ed al demonio! Sospiriamo incessantemente la nostra vera patria che è il cielo, nostra gloria, nostra ricompensa e nostra felicità. È ciò che vi auguro…

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.