DOMENICA DI PASQUA (2021)

DOMENICA DI PASQUA 2021

Solennità delle Solennità.

Stazione a Santa Maria Maggiore

Doppio di I cl. con ottava privilegiata. – Paramenti bianchi.

Come a Natale, così a Pasqua, la più grande festa dell’anno, la Stazione si tiene a S. Maria Maggiore. Il Cristo risuscitato rivolge anzitutto al divin Padre l’omaggio della sua riconoscenza (Intr.). La Chiesa a sua volta ringrazia Iddio di averci, con la vittoria del Figlio Suo, riaperto la via, del Cielo e lo prega di aiutarci a raggiungere questo bene supremo (Oraz.). Come gli Ebrei mangiavano l’Agnello pasquale con pane non lievitato, dice S. Paolo, così noi pure dobbiamo mangiare l’Agnello di Dio con gli azzimi di una vita pura e santa (Ep., Com.) cioè, esente dai fermento del peccato. II Vangelo e l’Offertorio ci mostrano la venuta delle Marie che vogliono imbalsamare il Signore. Esse trovano una tomba vuota, ma un angelo annunzia il grande Mistero della Risurrezione. Celebriamo con gioia questo giorno nel quale Cristo, risuscitando, ci ha reso la vita (Pref. di Pasqua) ed affermiamo con la Chiesa, che » il Signore è veramente risuscitato » (Inv.); secondo il suo esempio, operiamo la nostra Pasqua, o passaggio, vivendo in modo da poter dimostrare che noi siamo risuscitati con lui.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXXXVIII: 18; CXXXVIII: 5-6.

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuisti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. 

[Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Ps CXXXVIII: 1-2.

Dómine, probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam. 

[O Signore, tu mi provi e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio sòrgere.]

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuísti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja.

[Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Oratio

Deus, qui hodiérna die per Unigénitum tuum æternitátis nobis áditum, devícta morte, reserásti: vota nostra, quæ præveniéndo aspíras, étiam adjuvándo proséquere. 

[O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio Unigénito, vinta la morte, riapristi a noi le porte dell’eternità, accompagna i nostri voti aiutàndoci, Tu che li ispiri prevenendoli.] 

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 1 Cor V: 7-8

“Fratres: Expurgáte vetus ferméntum, ut sitis nova conspérsio, sicut estis ázymi. Etenim Pascha nostrum immolátus est Christus. Itaque epulémur: non in ferménto véteri, neque in ferménto malítiae et nequitiæ: sed in ázymis sinceritátis et veritátis.” 

Omelia I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

LA RISURREZIONE SPIRITUALE

“Fratelli: Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una pasta nuova, voi che siete già senza lievito. Poiché Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e delle perversità, ma con gli azimi della purità e della verità”. (1 Cor. V, 7-8).

L’Epistola è un brano della prima lettera di S. Paolo ai Corinti. Siamo alle feste pasquali. Gli Ebrei celebravano la loro pasqua, mangiando l’agnello con pane azimo, dopo aver fatto scomparire tutto il pane fermentato. Anche i Corinti devono liberarsi da tutte le tendenze grossolane e carnali, e rinunciare al lievito del peccato. – Gesù Cristo, il nostro agnello pasquale, immolando se stesso, ha istituito una pasqua che dura sempre. Anche i Corinti, rinnovellati in Gesù Cristo, devono condurre continuamente una vita innocente e retta davanti a Dio. Cerchiamo di ricavare anche noi qualche frutto dall’insegnamento dell’Apostolo.

1. Dobbiamo liberarci dal peccato.

2. Specialmente nel tempo pasquale,

3. Sigillando la nostra conversione col banchetto eucaristico.

1.

Fratelli: Togliete via il vecchio fermento. Comunque si vogliano intendere queste parole, che l’Apostolo indirizza ai Corinti, è certo che li esorta a vivere santamente, lontani da ogni peccato, tanto più che si avvicinava la solennità di Pasqua. « Non c’è uomo che non pecchi », dice Salomone (3 Re, VIII, 46). E si pecca non solo venialmente: da molti si pecca mortalmente con la più grande indifferenza. Forse cesserà il peccato di essere un gran male, perché è tanto comune? Una malattia non cessa di essere un gran male, perché molto diffusa; e il peccato non cessa di essere il gran male che è, perché commesso da molti. Dio, autorità suprema, ci dice: «Osservate la mia legge e i miei comandamenti» (Lev. XVIII, 5). E noi non ci curiamo della sua legge e dei suoi comandamenti, che mettiamo sotto i piedi. Quale guadagno abbiamo fatto col peccato, e qual vantaggio riceviamo dal non liberarcene? Se non hai badato al peccato prima di commetterlo; consideralo almeno ora che l’hai commesso. Col peccato avrai acquistato beni, ma hai perduto Dio. Avrai avuto la soddisfazione della vendetta; ma ti sei meritato un condegno castigo; perché « quello che facesti per gli altri sarà fatto per te: sulla tua testa Dio farà cadere la tua mercede » (Abdia, 15). Se non aggraverà su te la sua mano in questa vita, l’aggraverà nella futura. Avrai provato godimenti terreni, ma hai perduto il diritto ai godimenti celesti. Ti sei attaccato a ciò che è momentaneo, ma hai perduto ciò che è eterno. Ti sarai acquistata la facile estimazione degli uomini, ma hai perduto l’amicizia di Dio. Hai abusato un momento della libertà; ma sei caduto nella schiavitù del peccato. « Che cosa hai perduto, che cosa hai acquistato?… Quello che hai perduto è più di quello che hai acquistato » (S. Agostino Enarr. in Ps. CXXIII, 9). – Il peccatore, però, da questo stato di perdita può uscire, rompendo le catene del peccato. Egli lo deve fare. Dio stesso ve lo incoraggia: « Togliti dai tuoi peccati e ritorna al Signore » (Eccli. XVII, 21), dice egli. « Io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via, e viva… E l’empietà dell’empio non nuocerà a lui, ogni qual volta egli si converta dalla sua empietà » (Ezechiele XXXIII, 11…. 12). Non si è alieni dal ritornare a Dio; ma non si vuole far subito. Si vuole aspettare in punto di morte. Ma la morte ha teso le reti a tutti i varchi, e frequenti sono le sue sorprese. Può coglierci da sani, quando nessuno ci pensa; può coglierci da ammalati; quando non si crede tanto vicina, o si crede di averla già allontanata. Non sono pochi quelli che muoiono senza Sacramenti, perché si illudono che la malattia non sia mortale, o che il pericolo sia stato superato. E poi, non è da insensati trattare gli affari della più grande importanza, quando non si possono trattare che a metà, con la mente preoccupata in altre cose? E nessuno affare può essere importante quanto la salvezza dell’anima nostra; ed è imprudenza che supera ogni altra imprudenza volerlo trattare quando il tempo ci verrà a mancare, quando non avremo più la lucidità della mente. – Nessuno che è condannato a portare un peso, aspetterebbe a levarselo di dosso domani, se potesse levarselo quest’oggi. Nessuno che ha trovato una medicina, che può guarire una malattia recente, si decide a prenderla quando la malattia sarà inveterata. Nel nostro interno c’è la malattia del peccato; non lasciamola progredire. Un medico infallibile, Gesù Cristo, ci ha dato una medicina per la nostra guarigione spirituale, la confessione; non trascuriamola.

2.

Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Per i Cristiani la festa pasquale è una festa che dura per tutta la vita, perché Gesù Cristo, nella festa pasquale, si è immolato una volta per sempre. Per tutta la vita, dunque, i Cristiani devono vivere in unione con Dio, mediante la santa grazia. E se il Cristiano avesse perduta la grazia? Non deve lasciar passare la Pasqua, senza riacquistarla Nei giorni della settimana santa la Chiesa ci ha rappresentato al vivo i patimenti di Gesù; e con questa rappresentazione voleva dire: Ecco, o peccatore, a qual punto i tuoi peccati hanno ridotto l’Uomo-Dio. Ecco in quale stato si è trovato per volerti liberare da essi. Ecco la croce su cui è morto per riparare i danni della colpa. Ecco il fiele da cui fu abbeverato, ecco le spine che gli forarono il capo, ecco i chiodi che gli trapassarono le mani e i piedi, ecco la lancia che gli aperse il costato, da cui uscirono acqua e sangue per lavacro delle anime. E tu rifiuterai di purificarti in questo lavacro? Davanti allo spettacolo di Dio che muore in croce per liberare gli uomini dal peccato, persino la natura si commuove: la terra trema, e le pietre si spezzano, e tu solo, o Cristiano resterai indifferente, mostrandoti più duro delle pietre? Imita piuttosto la moltitudine convenuta a quello spettacolo, che « tornava battendosi il petto » (Luc. XXIII, 48). Questa mattina la Chiesa ti invita a risorgere dal peccato col ricordo della risurrezione di Gesù Cristo. Essa ti rivolge le parole del salmista: « Questo giorno l’ha fatto il Signore, esultiamo e rallegrandoci in esso » (Salm. CXVII, 24. — Graduale —). Come prender parte all’esultanza della Chiesa in questo giorno, se l’anima nostra è morta alla grazia? Poiché l’esultanza che la Chiesa ci domanda non è l’esultanza delle piazze, delle osterie, dei caffè, degli spettacoli. È l’esultanza che viene dalla riconciliazione dell’uomo con Dio, dalla riacquistata libertà di suoi figli. Il peccatore non è insensibile all’invito della Chiesa. Ma la voce della Chiesa è soffocata da un’altra voce, per lui più forte, dalla voce del rispetto umano. Che diranno, se si verrà a sapere che sono andato a confessarmi? Se si tratta di curare una ferita non si ascoltano le voci dei profani, ma quella del chirurgo. Trattandosi di guarire le ferite prodotte dal peccato, saremmo ben stolti, se dessimo più peso alle chiacchiere dei negligenti, dei superbi, dei viziosi, che alla voce autorevole della Chiesa. Pensa quale consolazione procurò alla vedova di Naim la risurrezione del figlio. Le lagrime che avevano commosso Gesù, ora si sono cangiate in lagrime di consolazione. « Di quel giovane risuscitato gioì la vedova madre; degli uomini risuscitati spiritualmente goda ogni giorno la santa madre Chiesa» (S. Agostino Serm. 98, 2). Nel suono delle campane più festoso del solito essa vorrebbe farti sentire le parole dell’Apostolo: «E’ ora di scuoterci dal sonno» (Rom. XIII, 11). Svegliati, dunque, e non voler persistere nel pericolo di passare, senza svegliarti, dal sonno del peccato al sonno della morte.

3.

Gli Ebrei, purificata la casa da tutto ciò che era fermentato, mangiavano l’agnello pasquale. I Cristiani, devono anch’essi mangiare il vero Agnello pasquale, di cui l’antico agnello era tipo. Purificati, nella confessione, dal lievito dei peccati della vita trascorsa, con coscienza pura e retta intenzione, partecipino al banchetto pasquale. È quanto inculca l’Apostolo. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, ne col lievito della malizia e della perversità; ma con gli azimi della purità e della verità.Quando si fanno feste solenni il banchetto ha sempre una parte principale. Il banchetto eucaristico deve avere una parte principalissima nella letizia della solennità pasquale. Poco importa assidersi a un banchetto materiale, se l’anima si lascia digiuna.« Peccando non abbiamo conservato né la pietà, né la felicità; ma, pur avendo perduto la felicità, non abbiam perduto la volontà di essere felici» (De Civitate Dei, L. 22, c. 30). L’uomo ha perduto il Paradiso terrestre, ma vi ritornerebbe ancor volentieri. Il Paradiso terrestre, perduto da Adamo, non possiamo più possederlo; ma possiamo possedere, ancor pellegrini su questa terra, un altro paradiso. Sta da noi, dopo aver preparato l’anima nostra ad accogliere l’Ospite divino, andargli incontro, riceverlo, metterlo nell’anima nostra, come su un piccolo trono. Il nostro cuore diventerebbe l’abitazione di Dio, e, dove c’è Dio, c’è il Paradiso. La Chiesa vorrebbe che noi li gustassimo sovente questi momenti di Paradiso. E, visto che noi non siamo tanto docili alla sua voce, ci prega, ci scongiura, ci comanda di voler provare queste delizie interne almeno a Pasqua. are Pasqua! Due parole che spaventano tanti Cristiani, e che, invece, dovrebbero essere accolte con la brama con cui un assetato accoglie l’annuncio d’una vicina sorgente ristoratrice. Accostarsi alla Confessione e alla Mensa eucaristica, vuol dire mettere il cuore in pace, trovare la felicità perduta.Sulla fine d’Ottobre del 1886 si presenta al confessionale dell’abate Huvelin, nella chiesa di S. Agostinoa Parigi, un giovane ragguardevole, Carlo de Foucald. Era stato luogotenente dei Cacciatori d’Africa, coraggioso e fortunato esploratore del Marocco. Nel suo cuore c’era l’inquietudine e la tristezza.« Signor abate — dice dopo un leggero inchino —io non ho la fede, vengo a chiederle d’istruirmi ». L’abate Huvelin lo guardò: « Inginocchiatevi confessatevi a Dio; crederete ». — « Ma non sono venuto per questo». —« Confessatevi ».Quel giovane cedette. S’inginocchiò, e confessò tutta la sua vita. Quando il penitente fu assolto, l’abate gli domanda: « Siete digiuno? » — « Sì ». — « Andate e comunicatevi». Il giovane si accostò subito alla sacra Mensa e fece « la sua seconda Prima Comunione ». Quella Confessione e quella Comunione furono il principio d’un’altra vita. Egli esce dal tempio con la pace nel cuore; pace che gli trasparisce sempre dagli occhi, dal sorriso, nella voce e nelle parole. Egli, da oggi, si prepara alla vita di trappista, di sacerdote, di eremita, che finirà nel Sahara, dopo esser vissuto vittima di espiazione per sé e per gli altri (Renato Bazin, Carlo de Foucauld. Traduzione dal Francese di Clelia Montrezza. Milano 1928, p. 48-49). Forse, il pensiero di dover cominciare una vita nuova, dopo essersi accostati alla Confessione e alla Comunione, intrattiene parecchi dal compiere il loro dovere in questi giorni. Eppure è nostro interesse procurare al nostro cuore una pace vera e una santa letizia, oltre essere nostro dovere è nostro interesse, e massimo interesse, incominciare una vita nuova, intanto che ne abbiamo il tempo; senza contare che « una grave negligenza richiede anche una maggiore riparazione» (S. Leone M. Serm. 84, 2). Facciamo una buona Pasqua col proponimento di camminare in novità di vita, e di non volere imitare gli Ebrei, che dopo aver mangiato l’agnello pasquale nella notte della loro liberazione, rimpiangono l’Egitto, la terra della loro oppressione. « Noi pure mangiamo la Pasqua, cioè Cristo… Nessuno di coloro che mangiano questa pasqua si rivolga all’Egitto, ma al cielo, alla superna Gerusalemme » (S, Giov. Crisost.); da dove ci verrà la forza di compiere il nostro pellegrinaggio, senza ritornare sui passi della vita passata.

Alleluja 

Alleluia, alleluia Ps. CXVII:24; CXVII:1 Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea. 

[Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso.] 

V. Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja. 

[Lodate il Signore, poiché è buono: eterna è la sua misericòrdia. Allelúia, allelúia.] 1 Cor V:7 

V.Pascha nostrum immolátus est Christus. 

[Il Cristo, Pasqua nostra, è stato immolato.]

Sequentia

“Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni. Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus. Dic nobis, María, quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis. Angélicos testes, sudárium et vestes. Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére. Amen. Allelúja.” 

[Alla Vittima pasquale, lodi òffrano i Cristiani. – L’Agnello ha redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. – La morte e la vita si scontràrono in miràbile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo. – Dicci, o Maria, che vedesti per via? – Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la glória del Risorgente. – I testimónii angélici, il sudàrio e i lini. – È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea. Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium 

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Marcum. 

 Marc. XVI:1-7.

“In illo témpore: María Magdaléne et María Jacóbi et Salóme emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Jesum. Et valde mane una sabbatórum, veniunt ad monuméntum, orto jam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt júvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Jesum quǽritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus, ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis ejus et Petro, quia præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.” 

[In quel tempo: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, e Salòme, comperàrono degli aromi per andare ad úngere Gesú. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sàbato, arrivàrono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicévano tra loro: Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro? E guardando, vídero che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giòvane seduto sul lato destro, rivestito di càndida veste, e sbalordírono. Egli disse loro: Non vi spaventate, voi cercate Gesú Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avévano posto. Ma andate, e dite ai suoi discépoli, e a Pietro, che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse.]

Omelia II

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Brescia, Tip. E libr. Queriniana; vol. II, 1894]

RAGIONAMENTO I

Risurrezione di Cristo e la ragione umana.

[Mons. G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. II, Queriniana, Brescia, 1894]

Nell’augusta nostra Religione vi è un fatto solenne e strepitoso, che è il vertice della vita di Cristo, che getta una luce sfolgorante sulla sua divina missione, che suggella tutta l’opera sua e fa scintillare sulla sua fronte gli infiniti splendori della sua divinità: voi mi avete già compreso: esso è il fatto della sua Risurrezione, che la Chiesa in questo giorno, con tutta la pompa del sacro rito e con santo tripudio del suo cuore, rammenta e festeggia. Tutta la nostra Religione, tutta la nostra fede poggia, come sulla sua pietra fondamentale, su questa verità: Gesù Cristo è vero Dio. – Ora le prove svariatissime della divinità di Gesù Cristo si legano e si intrecciano tra loro per guisa, che tutte mettono capo e quasi si incentrano nel gran fatto della Risurrezione. È questo il miracolo dei miracoli, la prova delle prove della sua Divinità: se questa non regge agli assalti della ragione umana e della miscredenza, tutto intero si sfascia l’edificio della nostra fede: se questa prova sta salda di fronte agli assalti dei nemici tutti, con essa e per essa sta ritta in piedi la grand’opera di Cristo, la Chiesa, e con la Chiesa e per la Chiesa la sua dottrina. Ecco perché gli Apostoli, fin dal primo dì che annunziarono il Vangelo, appellarono costantemente al miracolo della Risurrezione: ecco perché 1’Apostolo gridava ai Corinti – Se Cristo non è risuscitato, è vana la nostra predicazione, vana ancora la nostra fede; noi siamo falsi testimoni di Dio, voi siete ancora nei vostri peccati…. e siamo i più miserabili di tutti gli uomini (Iai Cor. XV, 14, 15, 17, 19) – Questo gran fatto, questo gran miracolo della Risurrezione da oltre diciotto secoli, cioè dal dì che fu annunziato fino ad oggi, è divenuto il bersaglio degli assalti più fieri della miscredenza. Dopo tante e sì lunghe prove: dopo tante e sì vergognose sconfitte, pareva che la miscredenza, fatta più savia, dovesse darsi per vinta e cessare dagli assalti. Ma non è così: gli uomini della miscredenza moderna, simili ai giganti della favola, proseguono nella loro lotta e confidano di dare la scalata al cielo, di balzare dal suo trono Cristo stesso, ed eccoli tutti affaccendati intorno al fondamento della sua Divinità, il miracolo della Risurrezione: agli ordigni antichi di guerra aggiungono i nuovi e fanno ogni sforzo per scrollarlo e rovesciarlo. Ma sono fanciulli, che, martellando la base granitica della più superba vetta dell’Alpi, credono di atterrarla. Si, dilettissimi figli! È certamente cosa che affligge e addolora il vederci costretti dopo tanti secoli a ripigliare le armi usate già dai primi apologisti per difendere il fatto e insieme il dogma capitale della nostra fede. Ma se è necessità il farlo, si faccia. La nostra fede non teme né le occulte insidie, né gli scoperti assalti della miscredenza, sia antica, sia moderna, da qualsivoglia parte le vengano. Essa attende a pie’ fermo i suoi nemici e sul terreno della pura ragione accetta qualunque combattimento, ad armi uguali. Il fatto, su cui poggia la massima prova della Divinità di Cristo, è la sua Risurrezione: gli nomini della miscredenza lo negano: la Chiesa l’afferma ed oggi canta per tutto il mondo – Resurrexit Dominus vere -. Io vi do parola di mostrarvi a tutto rigore questo fatto e questo miracolo, e di mostrarvelo, notatelo bene, con la sola ragione. Voi, che tenete salda la fede, vi sentirete in essa rinfrancati: e se tra voi che mi ascoltate, vi fosse alcuno che ha smarrita la fede, o in essa vacilla, dovrà toccare con mano che il fondamento della nostra Religione non paventa la luce della più severa discussione, della critica più inesorabile e non domanda di meglio che d’essere chiamato in giudizio. L’argomento è vasto e vi prego che non mi venga meno la vostra attenzione e la vostra pazienza, di cui forse avrò bisogno. Gesù Cristo è Egli veramente risorto? Si può dimostrare con la sola ragione ? L’una e 1’altra cosa io affermo e voi siate giudici se attengo la mia promessa. – Il fatto o miracolo, che siamo per esaminare, ha due parti distinte, ma inseparabili, la morte e la Risurrezione: non vi è Risurrezione vera di Cristo se non è preceduta da una morte vera: non occorre dimostrarlo. Ora la morte e la Risurrezione di Cristo sono due fatti, e come tutti i fatti, non si possono provare che con la testimonianza. Nessuno adunque esiga prove matematiche o metafisiche; l’argomento non le comporta. Né vi sia chi creda la certezza dei fatti essere inferiore alla certezza delle prove matematiche. Chi di voi dubita che i Romani siano stati disfatti a Canne, che Cesare sia stato trucidato, che Napoleone sia morto a S. Elena? Nessuno. E come e perché voi tenete questi fatti con assoluta certezza? Li avete voi veduti? No. Ve li accertano uomini degni di fede e vi basta: la vostra certezza è incrollabile. Ma quali condizioni si domandano perché voi possiate prestare pienissima fede ai testimoni che affermano un fatto qualunque? Due condizioni sono necessarie e bastevoli: che i testimoni non si ingannino, né vogliano ingannare: in altri termini, si domanda in essi la scienza di ciò che asseriscono e la probità o sincerità. Poste queste due condizioni essenziali, la loro testimonianza è irrecusabile e la certezza che ne deriva, assoluta. Sulla affermazione di due o tre testimoni forniti di queste due doti, un tribunale condanna a vita ed anche all’estremo supplizio un uomo come uno scellerato. Si può dare certezza maggiore? Ed ora a noi, o fratelli. Eccovi i due fatti della morte e della Risurrezione di Cristo: sono due fatti esterni, che cadono entrambi sotto dei sensi e che per conseguenza non si possono provare che con la testimonianza di uomini degni di fede. Li abbiamo noi questi uomini degni di fede? Sì, e tali che per numero e qualità non potrebbero essere più autorevoli. E da prima accertiamoci sulla verità della morte di Cristo. Abbiamo quattro scrittori di quattro libri distinti, che si chiamano Vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni: tutti e quattro sono contemporanei ai fatti che narrano e due han visto ciò che scrivono. Tutti e quattro, narrati i patimenti di Cristo e la sua crocifissione, dicono semplicemente: – Egli spirò -. Altri testimoni, Pietro, Paolo, Giacomo, lo ripetono nelle loro lettere, e con loro lo attestano in modo diretto e indiretto tutti quelli che vissero con Gesù Cristo e lo seguirono. Per voi, uomini della critica e della scienza, basta l’autorità di Platone, di Cicerone, di Tacito e di Svetonio per essere certi della morte di Socrate, di Cesare, di Caligola, di Claudio: perché per essere certi della morte di Cristo non vi basterà la testimonianza dei biografi di Lui e degli storici o scrittori contemporanei? Testimoni della morte di Cristo sono i Giudei, gli Scribi, i Sacerdoti, gli Anziani, i Farisei e tutta quella gran folla, che lo seguì sul Calvario, che contemplò e contò con gioia crudele le ore e quasi i minuti della sua agonia. Era la vigilia della maggior festa d’Israele,, la Pasqua, e una moltitudine immensa da ogni angolo della Palestina traeva a Gerusalemme. Il nome di Gesù, del gran profeta e taumaturgo, risuonava dovunque, e immaginate voi qual turba dovesse accorrere al Calvario, appena si sparse la voce ch’Egli là doveva essere confitto in croce. In mezzo a quella turba e più presso alla croce, su cui agonizzava Gesù, stavano senza dubbio i suoi implacabili nemici, lieti della vittoria e aspettanti l’estremo anelito della odiata loro vittima. Pensate voi se, memori della promessa ripetuta da Cristo – Risorgerò dopo tre dì – non dovevano accertarsi della sua morte! Non è tutto: Gesù la sera del giorno innanzi aveva sofferto tale stretta di cuore da cadere in deliquio e sudar sangue: la notte era stata orribile: abbandonato, rinnegato e tradito dai suoi cari, lasciato in balìa d’una soldatesca feroce, che ne aveva fatto ogni strapazzo; al mattino spietatamente flagellato e coronato di spine; poi trascinato sul colle, inchiodato sulla croce, esposto così straziato e sanguinolente all’aria, al sole, divorato dalla febbre, colmo di dolori morali senza nome, senza una stilla di conforto, tutto lacero e pesto, ridotto ad una sola piaga, doveva soccombere; anzi fa meraviglia che dopo tanti dolori e sì orrida carneficina potesse vivere tre ore in croce. Aveva chinato il capo, era cessato l’anelito affannoso, il corpo tutto s’era abbandonato,, un pallore mortale si era diffuso sul suo volto e la folla spettatrice aveva gridato: – Egli è morto – La festa era imminente: i corpi dei giustiziati dovevano essere levati di là e i manigoldi venuti per il tristo ufficio, visti ancor vivi i due ladroni crocifissi a lato di Gesù, secondo la barbara usanza, a colpi di mazza, fracassarono loro le gambe e li finirono. Venuti a Gesù e, -vistolo già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno di loro, quasi per assicurarsi della sua morte, gli diede una lanciata nel petto, che gli dovette squarciare il cuore. Poco appresso un discepolo di Gesù ne chiese il corpo a Pilato per seppellirlo; e Pilato, prima di concederglielo, ebbe a sé il centurione, che presiedeva il drappello dei soldati presenti al supplizio e, accertatosi che Gesù era veramente morto, glielo accordò. Non basta ancora: il corpo di Gesù in sul calare della notte, fu tolto dalla croce, avvolto in un lenzuolo con una mistura di cento libbre di aloe e mirra e deposto in un sepolcro nuovo scavato, secondo l’uso dei Giudei, nella viva roccia e chiusane la bocca con una grossa pietra, che fu suggellata dai Giudei stessi, i quali vi posero a guardia alcuni soldati finché fosse passato il terzo dì, entro il quale Gesù aveva promesso di risorgere. Siamo sinceri, o signori. Poniamo che Gesù non fosse veramente morto sulla croce; che la sua morte fosse un deliquio, una sincope, o se vi piace meglio, una finta morte; vi domando: poteva Egli sopravvivere chiuso là nel sepolcro, avviluppato in tanti aromi, stretto nel lenzuolo, senz’aria, senza soccorso, senza cura di sorta? Riconosciamolo; se non era morto, doveva certamente morire. – Finalmente non vogliate dimenticare, che gli Ebrei non posero mai in dubbio la realtà della morte di Cristo, che era pure il partito più sicuro per negare il miracolo della Risurrezione; ma ricorsero, come vedremo, al ridicolo espediente del furto del cadavere e della menzogna dei discepoli. Qual prova più evidente che non era possibile negare la verità della morte di Cristo? Concludiamo adunque questa prima parte del nostro ragionamento, affermando con la massima sicurezza : Gesù, allorché fu calato nella tomba, era indubitatamente morto – È Egli veramente risorto? Come è certissimo il primo fatto della morte, è certissimo altresì il secondo della Risurrezione. Sì: quei testimoni, che provano il primo fatto, provano pure anche il secondo, e, se ci si permette il dirlo e se è possibile, anche con maggior forza. Come poc’anzi ho fatto avvertire, intanto si potrebbe dubitare ragionevolmente della testimonianza di quelli che affermano un fatto qualunque in quanto ché, o li possiamo supporre ingannati e allucinati, o li possiamo credere bugiardi e ingannatori. Dimostrata la impossibilità di queste due ipotesi, la certezza del fatto rimane là in tutto lo splendore della evidenza. La critica più sottile e più diffidente può essa dar luogo al sospetto, che i testimoni della Risurrezione di Cristo si fossero ingannati, che fossero vittima d’una allucinazione? Il terzo dì dopo la morte di Cristo, il sepolcro dove fu collocato il corpo esangue, è aperto e l’intera Gerusalemme lo può vedere vuoto a tutto suo agio. Che è avvenuto di quel corpo? Non lo si saprà mai, risponde il Renan. Come, non lo si saprà mai? Volete voi gettare le tenebre sulla luce del sole e far ammutolire le mille lingue, che lo predicano dovunque e a tutti, a costo della vita? Quel Gesù, che fu deposto nel sepolcro e che là si cerca indarno, è visto da parecchie donne lungo la via; è visto dalla Maddalena presso il sepolcro; è visto da Pietro; è visto da Giacomo, è visto il giorno stesso della Risurrezione da due discepoli, che se ne andavano ad un vicino castello. È visto da sette discepoli insieme sulla riva del lago di Genezaret; è visto nel Cenacolo da dieci discepoli e poco dopo da undici ivi raccolti; è visto da centoventi persone presso Betania; è visto, scrive S. Paolo, da circa cinquecento persone, molte delle quali vivevano ancora quando l’Apostolo dettava la sua lettera. È visto da uomini, da donne, ora insieme, ora separatamente, di giorno, di notte, in casa, a mensa, sulle sponde del lago, sulla via, sul monte, in un giardino; parlano con Lui, con Lui mangiano, lo toccano, ascoltano le sue parole, lo interrogano, risponde e ciò per quaranta giorni, in Gerusalemme, nella Giudea, nella Galilea. E tutte queste apparizioni non sarebbero che illusioni e allucinazioni? Illusioni e allucinazioni, che durano sì a lungo, in tanti e sì diversi luoghi, in centinaia di persone di sesso e di carattere diverse, che cominciano nello stesso giorno e finiscono lo stesso giorno? Non nego, o signori, la potenza meravigliosa della allucinazione, gli scherzi stranissimi della fantasia. So che Teodorico vedeva sulla mensa il teschio sanguinoso di Simmaco per suo comando ucciso; so che di Socrate e di Torquato Tasso si narra come si vedessero a fianco un genio: e celebre è l’ombra di Banco, creazione del sommo tragico inglese, creazione stupenda perché rispondente alla natura umana. Ma chi mai potrebbe pareggiare a queste creazioni del genio poetico o a quegli scherzi di fantasia le apparizioni di Cristo registrate nei Vangeli, negli Atti e nelle Lettere degli Apostoli? Teodorico solo vedeva sulla sua mensa la testa di Simmaco, una sola volta e se ne comprende il perché: nessuno di quei commensali la vedeva e compativano il misero re ed erano più che certi, la sua essere una illusione. Socrate e Tasso vedevano il loro genio, ma non lo vedevano gli amici, gli scolari: era una allucinazione momentanea, conosciuta come tale, senza importanza pratica, senza nesso alcuno con la Religione. Quale immensa differenza tra queste allucinazioni e le apparizioni di Cristo per il numero, per i testimoni, per il modo, per le circostanze e per 1’importanza del fatto e della dottrina, con cui sono strettamente unite? In tutta la storia della Umanità è impossibile trovare alcun che, non dico di uguale, ma di simile alla narrazione evangelica. – Se la storia delle apparizioni di Cristo potesse dare anche solo l’ombra di sospetto d’una continuata allucinazione, dovremmo rinunciare ad ogni certezza dei sensi, la storia intera perderebbe ogni base, nessun giudice potrebbe pronunciare una sentenza, nemmeno sopra la deposizione di dieci testimoni consenzienti e cadremmo in un desolante scetticismo. E dire, o signori, che questa è la spiegazione dell’autore troppo celebre della vita di Gesù! [Renan] – Alle pie donne, e sopra tutto alla Maddalena, ai discepoli non pareva vero che Gesù fosse morto: credevano confusamente alla immortalità dell’anima; intesero alcune espressioni di Cristo come una cotal promessa della sua Risurrezione: alla Maddalena, nell’ardore della sua fede, parve di udirlo e di vederlo nell’orto: le sfuggì nell’impeto della gioia la magica parola – È risorto -. Gli Apostoli erano chiusi e silenziosi nel Cenacolo: parve loro di sentire un lieve soffio che passava sul loro capo e taluno affermò d’aver udito in quel silenzio il saluto ordinario di Gesù – Pace – Bastò: si disse: È risorto: lo abbiamo udito: l’abbiamo veduto: e così nacque e si stabilì universale e fermissima la fede nella Risurrezione di Gesù e nella sua dottrina e così nacque e si stabilì il Cristianesimo. Esso poggia sopra la allucinazione d’una donna, per un cotal contagio e per una certa tendenza alla imitazione comunicata ad altre donne ed ai discepoli! – Fratelli, arrestiamoci. Voi forse credete ch’io scherzi riportandovi questa spiegazione della Risurrezione di Cristo e che io insulti alla memoria d’un uomo, a cui non fe’ difetto l’ingegno e la coltura e un senso estetico non comune. No, non ischerzo, né insulto chichessia: ho riferito fedelmente il pensiero e la spiegazione di quell’uomo, che parve compendiare in sé tutta la scienza razionalistica moderna. Siffatte ipotesi o spiegazioni non si confutano: accennarle è sfatarle. È più facile concepire che 1’eccelso colosso del Montebianco poggi sopra la punta di un ago di quello che 1’intero Cristianesimo con tutti i suoi dogmi, con tutta la sua morale, con lo stupendo organismo della sua gerarchia poggi sulla affermazione d’una donna, che in un istante di allucinazione esclama: – Gesù è risorto! – Né qui vi spiaccia, o fratelli, por mente ad un’altra osservazione, che mi parrebbe colpa passare sotto silenzio. Non nego che le allucinazioni siano possibili, ancorché non mai nelle proporzioni, che il razionalismo gratuitamente attribuisce ai testimoni della Risurrezione di Cristo. Ma quando queste allucinazioni sono possibili? Quando gli animi sono preparati a subirle, in preda a grande aspettazione, ad ardentissimi desideri, a passioni violente. Una madre che aspetta con ansia febbrile il ritorno d’ un figlio, che piange sconsolata sopra un bambino perduto, facilmente potrà credere di vederlo, di abbracciarlo. La fantasia dà esistenza reale al desiderio vivissimo. È forse questo il caso degli Apostoli? Ma se le donne non credono a ciò che vedono? Se credono involato il corpo di Cristo? Se gli Apostoli le reputano colte da delirio? Se essi stessi, vedendo Gesù, non credono ai propri occhi e pensano di trovarsi alla presenza d’un fantasma? Se è necessario che Gesù faccia loro toccare le mani, le cicatrici del suo corpo, segga e mangi con loro? Se uno dei discepoli si ostina a negar fede ai compagni, che affermano d’ aver veduto Gesù risorto e solo allora si arrende quando con le sue mani tocca le cicatrici delle sue mani e del suo costato? Gli Apostoli adunque e le donne erano ben lungi dal dar corpo alle ombre, dall’essere vittime d’una allucinazione, essi che spinsero la incredulità oltre i confini del verosimile. Ma tutti questi testimoni della Risurrezione di Cristo, si dice, eran rozzi, ignoranti, creduli, inchinevoli ad ammettere tutto ciò che è meraviglioso e sovrannaturale. La maggior parte, si; non tutti. Ma diasi che lo fossero tutti. Qui non si tratta di lunghi e sottili ragionamenti, di cose ardue, sulle quali 1’autorità degli ignoranti non ha peso alcuno. Qui trattasi di un morto che è risuscitato: trattasi d’un fatto visibile, materiale, ripetutamente e in vari modi avvenuto. Qui non si domandano ragionamenti, discussioni, esperienze difficili: basta aver occhi, orecchi e mani, per vedere, udire e toccare e gli Apostoli e le donne avevano tutto questo al pari e forse meglio di tutti gli accademici di Parigi e del mondo. Dov’è il tribunale, che dovendo verificare il fatto d’un ferimento o d’un omicidio avvenuto sopra una piazza, rifiuti la testimonianza di dieci, di venti persone con la ragione, che sono ignoranti, rozze, illetterate? Esso esigerà soltanto di conoscere con sicurezza se hanno veduto od udito ciò che attestano e se siano moralmente degne di fede. Due cose, o fratelli, sin qui son poste fuori d’ogni controversia: Cristo veramente morì: gli Apostoli e i testimoni della Risurrezione di Lui non furono ingannati, non poterono ingannarsi, non si possono supporre giuoco d’una illusione od allucinazione. Ora procediamo nel nostro ragionamento. – Giunti a questo punto della nostra dimostrazione, per negar fede alla testimonianza degli Apostoli, dei Discepoli e delle donne affermanti d’aver visto Gesù Cristo risorto, una sola via rimane aperta ed è l’affermare francamente, che essi vollero ingannare od ingannarono. Ebbene: io assumo di provare che non solo non vollero ingannare, ma che non avrebbero potuto ingannare quando pure l’avessero voluto. A me il dimostrarlo, a voi l’ufficio di giudici severissimi. Uno sguardo, o fratelli, a questi testimoni della Risurrezione di Cristo: sono uomini semplici, rustici, ignoranti, timidi, ignari delle cose del mondo finché volete; ma sinceri, schietti,, pieni di candore, come fanciulli, impotenti a mentire. Venuti dalla Galilea, ove avevano lasciato le reti e le loro barchette, portavano seco la semplicità della campagna, la felice ignoranza degli inganni e dei raggiri. È una lode, che più volte rende loro chi ce li rappresentò come poveri illusi. Tanta è la loro schiettezza, che negli scritti lasciatici, confessano al mondo intero i loro difetti, le loro debolezze, le gare e gelosie, che tra loro si manifestavano, la grossolana loro ignoranza, i rimproveri avuti dal Maestro, i loro timori, la fuga, gli spergiuri del loro capo, il tradimento orribile del loro compagno, gli inganni, in cui caddero, le loro illusioni, la loro ostinata incredulità, e il tutto narrano senza arte, senza debolezza, senza fasto, senza scusarsi o difendersi, con una semplicità infantile. E si vorrebbe che questi uomini ingannassero i loro fratelli, il mondo intero? Questi testimoni si presentano ai loro fratelli, a tutti gli uomini, annunziatori della dottrina del loro Maestro, a cui protestano di non aggiungere, né levare una sillaba. La dottrina ch’essi professano e che predicano in pubblico e in privato, come necessaria a salute, condanna e abbomina la menzogna e l’inganno sotto qualsivoglia forma; essa si compendia in questa sentenza del Maestro: – È, è; no, no – Possiamo noi credere che i discepoli e i maestri di questa dottrina si facessero artefici e propagatori della più scellerata menzogna, del più sacrilego inganno? A chi mai può bastare 1’animo di credere tutti i discepoli di Cristo e le donne stesse sì pie, sì generose, di crederli, dico, tutti bugiardi, sacrileghi, che si beffano di Dio e degli uomini? E poi veniamo a ragionamento più serrato e decisivo. O gli Apostoli e le donne credevano alla Risurrezione di Cristo, o non credevano: se credevano od anche solo ne dubitavano, a qual partito dovevano naturalmente appigliarsi? È chiaro: dovevano dire: Cristo risorgerà, come ha promesso: aspettiamo che risorga e lo annunzieremo: Egli avrà provata la sua divina missione; e non dovevano nemmeno pensare ad architettare 1’inganno e la menzogna. O non credevano alla Risurrezione, e allora perché mentire, ingannare i fratelli, gettarsi in una lotta disperata per far servigio ad un uomo, che conoscevano per un impostore? E non dimenticate che gli Apostoli e le donne erano Giudei credenti, pieni di venerazione per Mosè e per la legge, in cui erano nati, cresciuti ed educati. Vi sembra possibile che a questa legge loro, e dei padri loro ad un tratto potessero osare di sostituirne un’altra, che troppo bene sapevano essere fondata sulla impostura? Questi Apostoli e queste pie donne, dopo la catastrofe del Calvario e perdute le speranze della Risurrezione, dovevano rientrare in se stessi; dovevano vedere la difficilissima condizione, in cui li aveva messi il Maestro; resi invisi o sospetti a tutte le autorità per Lui, che dopo promessa la Risurrezione non risorgeva. E per Lui avrebbero mentito? Lui proclamato Messia e Redentore del mondo; Lui adorato come Dio; Lui che li aveva ingannati? Che altro sperare dall’insano tentativo che vessazioni, persecuzioni e una morte come quella del Maestro, il cui cadavere doveva stare loro sotto gli occhi? Senza capo, senza amici, senza forza, fuggiti da tutti, tremanti sui pericoli che li circondavano, dovevano in fretta pigliare la via di Galilea e farsi dimenticare, ritornando alle loro barchette e alle loro reti. Ma contro ogni verosimiglianza supponiamo che non temessero né Dio, né gli uomini; che spingendo il coraggio fino all’audacia, anzi alla disperazione, persistessero nella folle idea di fondare la nuova Religione sul fatto della Risurrezione del Maestro, ch’essi sapevano impossibile: supponiamo ch’essi volessero ripigliare l’opera, in cui il maestro era sì miseramente perito, e predicandolo risorto, farlo credere Salvatore del mondo e Figlio di Dio. Per riuscire nell’intento, dovevano ordire la trama e per modo, che presentasse almeno la possibilità della riuscita. i discepoli e le pie donne e tutti i testimoni della Risurrezione dovevano darsi la parola e riunirsi a consiglio. Quando? Precisamente in quel brevissimo spazio di tempo, che corse tra la morte di Cristo e l’affermazione che era risorto; non prima, perché non credevano possibile la sua morte; non dopo, perché il profeta era già chiarito falso profeta. Vi pare possibile siffatta riunione in quei momenti di trepidazione, di confusione e di suprema angoscia? Ma diasi possibile. Il più audace tra i convenuti doveva ragionare in questi sensi: Noi sappiamo che il Maestro non risorgerà; che per Lui tutto è ornai finito; ma noi dobbiamo compire l’opera per Lui iniziata e fondare la nuova Religione, ch’Egli aveva ideato. Affermiamo audacemente la sua Risurrezione; facciamone il capo saldo della Religione e predichiamo che il Maestro è Dio, che bisogna credere in Lui; morire per Lui; è una menzogna enorme, che ci costerà carceri, esili, la morte; ma non importa: così vendicheremo il Maestro e noi stessi. Giuriamo tutti di affermare sempre e dovunque, a costo della vita, che Gesù è risorto. L’empia e insensata proposta come doveva essere-accolta ? Quei poveri Apostoli conoscevano abbastanza se stessi da sentire l’impossibilità dell’impresa: – Vivente il Maestro, siamo fuggiti tutti ieri sera; l’abbiamo abbandonato, negato; uno di noi l’ha tradito; abbiamo contro di noi l’autorità dei Romani e del nostro Sinedrio: se il Maestro fu messo in croce, che sarà di noi? Come terremo il segreto, tutti, anche le donne? Se un solo tradisce, e scopre la congiura, siamo perduti tutti. E poi come e perché ingannare il mondo? Quale il guadagno qui in terra? E potremo sfuggire al braccio di Dio? – Erano riflessioni troppo ovvie perché non si affacciassero nemmeno alla mente degli Apostoli e delle donne e rendessero impossibile 1’impresa. Ma passiamo anche su questo e poniamo che la stoltissima ed empia proposta fosse accolta da tutti. Bisognava recarla ad effetto e subito prima che passasse il terzo dì, termine ultimo della prova fissato da Cristo stesso. La cosa più necessaria ed urgente era quella di levare il corpo del Maestro dal sepolcro e farlo sparire. Ma presso quel sepolcro stavano le guardie, probabilmente straniere, e senza dubbio vegliavano più che mai, avvertite del pericolo. Si potevano corrompere e guadagnare col danaro. Sì: ma ci voleva danaro e non poco e subito: chi lo forniva, se tutti erano poveri? Chi avrebbe assunto la pericolosissima missione di farne la proposta a quei soldati? Se avessero respinta l’offerta e trascinato chi la faceva dinanzi al Sinedrio? Se, avuto il danaro, non avessero mantenuta la promessa e denunziato i corruttori? Chi poteva assicurare il segreto tanto necessario? Potevasi rapire il corpo con la forza, mettendo in fuga i soldati. Ci volevano armi e coraggio: supporre quelle e più questo in quegli uomini, in quelle angustie, è un sogno. Ma supponiamo che tentassero un colpo di mano e assaltassero le guardie. Queste vincitrici, il corpo rimaneva: vinte, avrebbero detto: siamo state soverchiate dal numero e il corpo fu involato dai discepoli e la trama nell’uno e nell’altro caso era svelata. Ma i soldati potevano dormire e lo si disse dai Giudei: i discepoli vennero e se ne portarono il corpo di Cristo e fu possibile 1’affermazione: – Gesù è risorto -. I soldati dormivano! Tutti? E gli Apostoli e i discepoli potevano supporre che dormissero? E nessuno si destò al rumore dei discepoli, che venivano e tornavano, al rumore della grossa pietra levata dalla bocca del sepolcro? È troppo. E chi disse che i soldati dormivano? I soldati istessi. E i dormenti sono testimoni? E non furono puniti come infedeli al loro dovere? È troppo. Setto od otto anni appresso un Evangelista afferma solennemente, che i capi del popolo con danaro guadagnarono i soldati, perché spacciassero la favola, che mentre essi dormivano, i discepoli avevano fatto sparire il corpo di Cristo. Chi levossi a smentire il Vangelista? Nessuno! prova evidente che non era calunnia. Ma sovrabbondiamo in concessioni con i nostri avversari. Che donne e discepoli entrassero nell’infame ed empia congiura di affermare la Risurrezione di Cristo; che riuscissero a far scomparire il cadavere di Lui e tutto ciò fosse stabilito ed eseguito in quelle quarant’ore, che trascorsero fra la morte di Cristo e il grido emesso: – E risorto -. Voi vedete che è un cumolo di cose affatto moralmente impossibili. — Non im porta. — Si conceda tutto. – Esiste la congiura di ingannare la nazione e il mondo intero: ne fanno parte necessaria tutti i discepoli e le donne e spetta a queste fare i primi passi. Una congiura di questo genere, ordita in fretta e in furia, di cui fanno parte alcune decine di uomini e parecchie donne! Consci tutti della propria e dell’altrui debolezza, provata testè a fatti, potevano essi fidarsi a vicenda? Dove tra congiurati non sia sicura ed assoluta la fiducia, la congiura non è possibile. Perché quelle donne e quei discepoli di Cristo potessero accingersi alla scelleratissima impresa, bisogna supporli tutti, senza eccezione, tristi e malvagi in sommo grado: bisogna crederli tutti senza Religione, senza coscienza. Ingannare i loro fratelli e ingannarli in ciò che vi è di più augusto e di più santo, la Religione! Tener mano ad una congiura, che ha per iscopo di rovesciare la Religione propria e de’, loro padri per fondarne un’altra, il cui autore sarebbe un impostore od un pazzo! Dite: vi sembra possibile che Apostoli ignoranti, grossolani sì, ma onesti e retti; che codeste donne pie potessero e volessero prestarsi all’opera nefanda? – E proseguiamo ancora: Chi si accinge ad una impresa scabrosa e in cui sono in giuoco non la sola quiete, ma l’onore, la libertà e la vita istessa, a due cose particolarmente deve badare: l’impresa è possibile? Se è possibile, offre essa la speranza d’una mercede proporzionata ai pericoli e alle fatiche, che si devono sostenere? Per quanto li supponiamo ignoranti e inesperti del mondo codesti Apostoli e codeste donne, è forza convenire che dovevano vedere chiarissimamente la impossibilità della disperata impresa. Si riconoscevano poveri, ignoranti, timidi, nuovi del mondo, senza credito, senza amici, senza capo; vedevano di fronte a sé l’autorità della Sinagoga, per scienza, credito, ricchezza, potere, prestigio del passato, onnipotente; vedevano dietro ad essa l’autorità romana stessa, che nel terribile dramma del Maestro per timore aveva ceduto alla Sinagoga e l’aveva abbandonato al suo furore dopo averne tentato invano la difesa. Potevano essi nutrire speranza di riuscire là dov’era fallito il Maestro? E qual mercede attendere da un’impresa sì dissennata se non le carceri, i flagelli, gli esili, la morte più crudele e il disprezzo e l’infamia nella memoria dei futuri? Erano tutte considerazioni d’una evidenza massima, che rendevano impossibile la congiura negli uomini più audaci e più perversi; che dire poi negli Apostoli e nelle donne, sì timidi, sì onesti e sì religiosi? E tempo di conchiudere il nostro ragionamento. Non si può sollevare il più lieve dubbio sulla verità della morte di Cristo: la certezza della sua Risurrezione non può essere maggiore per il numero e per la qualità dei testimoni, che l’affermano; essi non poterono essere ingannati, né allucinati; essi non ingannarono, né poterono ingannare, quand’anche per una ipotesi assurda l’avessero voluto. – Mi sembra d’aver mostrato a punta eli logica, tutto questo e chiusa ogni via a qualunque sofisma e ne appello a voi stessi, o fratelli, alla vostra ragione. Quale la conseguenza che ne discende? Questa: – Cristo è veramente risorto -. Dunque, la dottrina ch’Egli ha insegnato è vera; dunque Egli è veramente Dio, il nostro Salvatore; prostrandoci pieni di fede e d’amore per Lui, coll’apostolo Tommaso esclamiamo: – Mio Signore e mio Dio! -.

 Credo…

IL CREDO

Offertorium 

Orémus 

Ps. LXXV: 9-10.

Terra trémuit, et quiévit, dum resúrgeret in judício Deus, allelúja. 

[La terra tremò e ristette, quando sorse Dio a fare giustizia, allelúia.]

Secreta

Súscipe, quaesumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, Paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant. 

[O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.] –

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

1 Cor V: 7-8

Pascha nostrum immolátus est Christus, allelúja: itaque epulémur in ázymis sinceritátis et veritátis, allelúja, allelúja, allelúja.

[Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, allelúia: banchettiamo dunque con gli àzzimi della purezza e della verità, allelúia, allelúia, allelúia.]

Postcommunio 

 Orémus.

Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concordes. 

[Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.