STORIA APOLOGETICA DEL PAPATO – Introduzione (1)

STORIA APOLOGETICA DEL PAPATO DA SAN PIETRO A PIO IX

DI MONS. FÈVRE

Protonotario apostolico

I Papi non hanno bisogno che della verità

(J. DE MAISTRE, “du Pape”, lib. II, Cap. XIII)

TOMO PRIMO

PARIGI – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMBRE, 13 – 1878

DICHIARAZIONE  DELL’AUTORE.

Se, in questo libro, ho dato il nome di santo a qualche personaggio non ufficialmente canonizzato, dichiaro, conformemente al decreto di Urbano VIII, che ho parlato come storico e senza voler invadere il dominio della giurisdizione pontificia. Inoltre, se c’è in quest’opera qualche parola o frase di significato oscuro, equivoco od impreciso, protesto che la mia intenzione è che sia presa nel senso più ortodosso e più conforme al sentimento della Chiesa Romana, madre e padrona di tutte le Chiese. L’autore di questo libro, sacerdote per grazia di Gesù Cristo e prelato per autorità della Santa Sede, dichiara di essere cattolico, apostolico, romano, e adotta senza riserve le conseguenze di questa dichiarazione. Infine, sottoponiamo il nostro libro e tutte le nostre parole, così come le nostre opere precedenti e la nostra persona, alla censura della Santa Chiesa, il cui capo visibile ed infallibile è il Sovrano Pontefice Pio IX, il Papa dell’Immacolata Concezione, del Sillabo e del Concilio.

JUSTIN FÈVRE,   Protonotario.

A PIO IX PONTEFICE MASSIMO

INTRODUZIONE – 1 –

La pubblicazione di una Storia Apologetica del Papato risveglia nella mente una domanda preliminare: a cosa serve, dice il lettore devoto, e a quale scopo? Il Vicario di Gesù Cristo, depositario e propagatore della luce e dell’amore divino, avrebbe bisogno di scuse? E la storia dei suoi benefici millenari non ha forse una sua giustificazione? – Per il credente, senza dubbio, per il lettore cristiano, il Papato non ha bisogno di difesa; più lo si difende, più si deve anche temere di sembrare di dare ragione all’accusatore e di scuotere la fede dei buoni cattolici. Tuttavia, se si va al fondo delle cose, se si penetra nel mistero dell’istituzione pontificia, si vedranno scomparire queste delicatezze, e si capirà non solo che non c’è pericolo nel difendere i Papi, ma che c’è il dovere di difenderli se vengono attaccati, e che questa apologia, se è tanto decisiva quanto necessaria, deve essere, per le menti stanche o agitate, un raggio di grazia e di salvezza.

I. La Chiesa quaggiù è, secondo la grande dottrina di Mœhler, l’incarnazione permanente di Gesù Cristo, e il capo della Chiesa è il vicario di Gesù Cristo sulla terra, rappresentandolo, non del Dio della gloria, ma del Dio di Betlemme e di Nazareth, del Cedron e del Golgota, il continuatore mistico dell’Uomo-Dio, umiliato, perseguitato, crocifisso per redimere l’uomo dal peccato originale e per restituirlo, per quanto lo richiede l’economia della salvezza, all’ordine soprannaturale della grazia. Queste esigenze del peccato, da un lato, e, dall’altro, questa meta sublime e difficile della Redenzione, preannunciano il destino del Sovrano Pontefice. Se torno alla culla dell’umanità, vedo prima di tutto l’uomo posto in un giardino di delizie; poi vedo il paradiso perduto, l’uomo esiliato sulla terra, che scende la china della degradazione continua, e sepolto sotto le acque vendicatrici del diluvio. Non appena la razza umana rinasce dal sangue di Noè, dimentica la punizione provvidenziale, ritorna alla sua corruzione, cade nell’idolatria, al punto che, per impedire la dissoluzione degli insediamenti umani e la distruzione della specie, Dio è costretto a scegliere un piccolo popolo che sottopone alla verga della legge mosaica, mentre abbandona il resto alla frusta dei conquistatori, alla furia della guerra, alla durezza della schiavitù, a tutti i progressi dell’abiezione. L’uomo è creato per gli splendori della luce e non ama più. È chiamato all’onore delle virtù e si diletta nella bassezza del vizio; deve vivere in vista delle beatitudini eterne e, rinunciando alla speranza, non vuole più che le gioie fugaci e ingannevoli del tempo. Il suo peccato diventa come una seconda natura che soffoca la prima; la sua degradazione gli sembra preferibile ad ogni grandezza. Ora il Papa è sulla terra il sovrano dispensatore dei misteri di Dio; egli non deve badare solo all’integrità ed alla purezza dei mezzi di salvezza; deve ancora portarli alle ultime profondità della vita intellettuale e morale del genere umano, per rigenerare la natura caduta, per santificarla in tutte le sue relazioni ed in tutte le sue opere. – Non sarebbe conoscere la degradazione primitiva e le sue formidabili conseguenze se non si scoprisse in essa una fonte di opposizione permanente alla missione dei Sovrani-Pontefici. La missione del Papa è di applicare, come capo supremo della Chiesa, il merito e la luce della Redenzione all’umanità degradata. Il mondo, da parte sua, è sempre pronto a ribellarsi alla verità ed alla grazia, e si sforza costantemente di non limitare le deviazioni della sua ragione e le debolezze della sua volontà. Piuttosto essere contaminati che rivivere: questo è il sentimento segreto, spesso il grido pubblico di molti. Dalle passioni attaccate nelle loro ultime roccaforti ed evocate per mantenerne il possesso, nasce la guerra alla Santa Chiesa. Questa è la fonte primaria della lotta contro il Pontificato; la sua origine non deve essere cercata più in là. L’uomo è come un cavallo indomito che rifiuta il freno; la società è come un malato che rifiuta di essere curato; e nelle debolezze come negli eccessi di forza c’è sempre un sentimento di odio, uno scatto d’ira, un piano per attaccare il benefattore della razza umana, troppo felici quando l’attacco non arriva se non al crimine. Questo crimine, che sembra confondere i piani di Dio, al contrario, ne assicura il misericordioso compimento. Per la salvezza del mondo era necessaria una vittima; per mantenere intatta la luce della rivelazione, per preservare questo povero mondo dalla corruzione, bisognava aggiungere nuovi nomi al martirologio e offrire nuove vittime all’altare. Il Pontificato è la continuazione di Gesù Cristo; ora il Salvatore ha redento l’umanità, e se viene innalzato alla gloria, è dopo essersi costituito il principio e la fine della Redenzione morendo sulla croce. Non c’è redenzione o trionfo senza crocifissione. La vita, il sublime destino, l’augusta missione dei Papi, è una vita di lotte, un destino di sacrificio, una missione di dolore mortale e di angoscia senza fine. I Pontefici romani non sono elevati così in alto se non col fine di dominare, dal vertice della grandezza, l’immenso orizzonte in mezzo al quale essi hanno ad ogni passo, una lotta da sostenere contro i nemici di Cristo. Se non si vedessero in tutte le ore del giorno e della notte combattuti dall’errore dei figli deviati e dalle passioni dei figli corrotti, non sarebbero allo stesso grado riconoscibili come veri vicari di Gesù crocifisso, per compiere la missione ricevuta dal Padre celeste. Un Papa misconosciuto, perseguitato, crocifisso: questi è il vero Papa! Così profondo è questo piano, che Gesù Cristo ha stabilito l’Apostolo San Pietro come suo Vicario qui sulla terra solo dopo avergli offerto in spettacolo il grande esempio del Calvario, e che non ha affidato le pecore e gli agnelli alle sue cure se non dopo aver ottenuto tre volte la protesta del suo amore. Gesù Cristo chiese a Pietro di provargli che aveva la forza di soffrire, e la protesta di Pietro fu che, come amante di Gesù Cristo, sarebbe stato capace di prosciugare il calice della tribolazione fino alla fine. – Il Pontificato, dunque, è veramente il martirio o la via del martirio; è la battaglia o un luogo fortificato sempre pronto a sostenere il combattimento; è la morte o una continua disposizione dell’anima a sfidare la morte. Perché tutto questo bagliore di gloria, tutta questa grandezza di rispetto con cui il mondo pronuncia il nome dei Sovrani Pontefici? È perché il mondo sappia che il Papa è la seconda vittima del Calvario, sempre pronto a soffrire ed a morire, proprio quando sarà necessario che un uomo si voti alla morte per la salvezza del popolo. La Chiesa e il mondo cattolico vogliono circondare di grandezza e di gloria il trono, o, per meglio dire, la croce dei Sovrani Pontefici. Ma non è un trono di grandezza mondana che erge al successore  di San Pietro l’affetto dei popoli; è piuttosto una testimonianza di venerazione e di gratitudine per il sangue di un martire dell’anima. Il Pontificato, inoltre, non è annientato perché soffre persecuzione. La più grande prova, al contrario, della sua necessaria e riconosciuta esistenza, forte ed immortale, è la serie ininterrotta di attacchi che, ora in un modo, ora in un altro, si elevano contro la Santa Sede, senza che il Papa sia spaventato, nella sua lunga e gloriosa carriera, né dalle passioni ausiliarie sempre pressanti, né dalle idee false, né dalle idee solo in parte vere che accettano il concorso delle passioni. Non è di logica perfetta assicurare, come si fa oggi, che l’uomo decaduto non abbia bisogno della guida e dell’insegnamento dei Papi, e che la società pubblica possa distruggere il Sovrano Pontificato senza farsi alcun male. Trovo persino queste affermazioni volgari e puerili. Respingendo i Papi in nome delle proprie idee e passioni personali, gli uomini mostrano al contrario la necessità di una direzione suprema; e dichiarando una guerra implacabile al Pontificato, la società civile è meglio in grado di scoprire l’inadeguatezza delle sue leggi, l’impotenza delle sue forze ed il bisogno di un centro fissato da Dio. – Dal semplice punto di vista del senso comune, non è logico dire, perché un vigoroso destriero rifiuta il suo freno, che questo freno sia inutile; questo freno, che rifiuta con forza, gli è ancor più necessario. Questo è ciò che chiamiamo, nella società, bisogno pressante, desideri generali, fatalità di circostanze, cose che possono essere ammesse in una società puramente umana e variabile, purché rispondano ad interessi legittimi e siano suscettibili di una formula di applicazione. Nelle istituzioni divine, tale ragionamento non è applicabile. Chi ha più bisogno dell’autorità di un padre se non il figlio che rifiuta questa autorità? Nonostante queste illusioni infantili e queste lotte incessanti, il Pontificato continuerà, e non solo continuerà, ma il brillare dei suoi trionfi si misurerà con la grandezza delle sue lotte: ad ogni vittoria, il Pontificato appare più cattolico e la sua influenza diventa più universale. Noi non proviamo alcuna inquietudine per la sorte della Cattedra Apostolica, né da parte dei persecutori perché si chiamano Nerone, né da parte dei filosofi perché si chiamano Celso, né da parte degli eretici perché si chiamano Lutero o Giansenio, né da parte dei poeti perché si chiamano Voltaire o Béranger, né da parte dei socialisti perché si chiamano Mazzini o Proudhon, né dai politici perché si chiamano Cavour o Bismarck. Povere creature, che hanno creduto, con delle mani di carne, di fermare il carro di fuoco di Ezechiele! Il carro li ha schiacciati con il peso della sua forza ed eclissati con lo splendore della sua gloria. Non solo non mi preoccupo dei clamori, non ho paura degli attentati che si elevano contro la Santa Sede, ma, a questo spettacolo, sento nel mio cuore un non so che di gioia. Se il Pontificato romano non fosse una grande istituzione, un’istituzione più grande del mondo, non sarebbe scosso dalle passioni terrene, attaccato dalle ambizioni che ne congiurano la rovina. Perché allora queste grida di rabbia non si alzano contro i sovrintendenti del protestantesimo, contro i rabbini della sinagoga, contro gli interpreti del Corano, contro i poteri religiosi dei falsi culti? Poiché queste stesse idee, queste stesse passioni che combattono il Pontificato, lo considerano come un’istituzione potente, come l’unico nemico da temere, dimenticano naturalmente tutto il resto; esso non ispira loro alcun terrore. Inoltre, se temete il Pontificato, voi che vi proclamate padroni del mondo, è perché il Pontificato vi supera in potenza: così lo confessa il vostro cuore, così lo proclamano i vostri sforzi disperati. Cosa otterrete dunque immolando uno o due Papi? Voi farete diventare vera alla lettera la parola di Gesù Cristo; prenderete la vita di un uomo, ma darete nuova forza all’istituzione. Farete del Papa un martire, ma alla triplice corona aggiungerete nuove palme: in altre parole, fornirete le prove più persuasive a favore della divinità dell’istituzione apostolica. In poche parole, il Papa rappresenta la reazione contro il peccato originale ed il principio della Redenzione; l’individuo e la società si mostrano, al momento attuale, come sono sempre stati, degradati e refrattari. Il Papa può sempre essere crocifisso; i Giudei hanno potuto anche aver crocifisso Gesù Cristo, e se la società europea vuole spargere il sangue del giusto, potrà farlo; ma questo sangue ricadrà su di essa e sui suoi figli: sui suoi figli, che vagheranno senza legge, senza altare, nel mondo delle prevaricazioni, e saranno allora costretti a gridare dal profondo della loro miseria in mezzo a rivoluzioni senza fine: « Il vicario di Gesù Cristo era veramente il salvatore e il padre dell’Europa! » La persecuzione e il martirio sono dunque la condizione naturale della vita del Sovrano Pontefice. La forza dell’istituzione pontificia non viene meno dal fatto che sia nata sul Calvario e che, da questo monte cosparso di sangue, diffonda la luce sul mondo prostrato ai suoi piedi e che chiede misericordia. È in spirito di fede e di pietà che abbreviamo la storia del Papato in questa breve formula; primo, per consolare le anime che si lasciano turbare dal rumore delle tempeste; secondo, per mostrare agli attuali nemici della Santa Sede che non hanno il merito dell’originalità nella lotta. In questo concorso di persecuzione, al contrario, sono solo essi che sostengono una causa che è persa in anticipo, e questa sconfitta infallibile, che assicura la loro disgrazia nella storia, prepara per la Cattedra apostolica solo un supplemento di gloria e di potere.

II. Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, è il Salvatore del genere umano, e il Sovrano Pontefice, successore di San Pietro, è, per la salvezza degli uomini, il Vicario di Gesù Cristo. L’opera storica dei Romani Pontefici è dunque, attraverso i secoli, l’estensione misteriosa dell’Incarnazione del Figlio di Dio e della nostra Redenzione attraverso la Croce: è un faro innalzato sulla montagna per illuminare i popoli; è un’istituzione di grazia per rigenerarli, e quindi un segno di contraddizione eterna. La guerra contro tutte le passioni dell’umanità è il comando che i Papi hanno ricevuto dall’alto; la resistenza spesso offensiva e gratuitamente aggressiva di tutte le passioni contro la Santa Sede è la risposta ordinaria dell’umanità. Benefici celesti, benefici poco conosciuti: questa, in poche parole, è la storia della Monarchia Pontificia. Questa guerra di passioni contro la Santa Sede ha attraversato tre fasi nella sua evoluzione bimillenaria: una fase di persecuzioni sanguinose, una fase di eresie e scismi, una fase di ipocrita oppressione della tirannia. Da tre secoli stiamo attraversando quest’ultima fase. L’obiettivo dei nemici del Papato è il suo annientamento. È scritto che non prevarranno; non solo essi vogliono prevalere, ma dominare tutto, e anche se non ci riescono mai, ci provano sempre. I loro attacchi abbracciano e imbarazzano tutta la storia dall’Età della Grazia, dice Rohrbacher, ma la imbarazzano solo in quanto rimandano la concessione e lo sbocciare di grandi benedizioni. Ora, in questa lunga guerra contro la Santa Sede, i suoi nemici hanno seguito quattro piani distinti: 1° rovesciarla con la violenza; 2° degradarla con l’umiliazione; 3° privarla di ogni appoggio esterno per lasciarlo solo di fronte alla rivolta; 4° asservirla a Roma o tenerla lontano da essa, per confinarla ad Avignone o a Gerusalemme (quest’ultimo è il piano attuale che ha coinvolto Gregorio XVII prima e poi Gregorio XVIII – ndr- ). Il piano di distruzione con la violenza risale a Nerone, che fece crocifiggere il primo Papa. I Cristiani, condannati allo sterminio, non potendo trovare riparo, si rifugiavano nelle catacombe. I successori di San Pietro, anche quando furono inseguiti in questi passaggi sotterranei, furono strappati dall’altare dove consacravano il pane della vita e dal pulpito da cui riversavano parole di speranza immortale. L’annientamento della loro opera e del loro potere fu perseguito con la stessa implacabilità dai Traiani e dai Domiziani, dai Diocleziani e dai Marco Aureli. L’odio della Cattedra Apostolica esasperava non meno gli uomini di Stato del Palatino e i giureconsulti del Foro che la vile moltitudine degli anfiteatri e dei carnefici del circo. Era persino diventato un assioma che era meglio tollerare un rivale con la porpora che un Papa a Roma. Diocleziano arrivò persino a trascurare la difesa dell’impero per sterminare con più efficacia i Cristiani. Nonostante l’energia dell’attacco, l’estensione delle sue risorse e gli scoppi progressivi della sua furia, cosa fecero i Cesari dopo due secoli e mezzo di guerra ad oltranza? Un’ammenda onorevole, un atto sfolgorante di omaggio e di sottomissione al Papato, nella persona di Costantino! Il tempio del Vaticano e la città del Bosforo sono ancora lì come due trofei che testimoniano di questa vittoria. – Il progetto di degradazione attraverso l’umiliazione segue il progetto di distruzione mediante la violenza: è il sistema dei degenerati successori di Costantino, dei re barbari e dei Cesari tristi di Bisanzio. Durante tutto questo periodo, il capriccio degli imperatori prolungò le vacanze della Sede apostolica. Il Papato è talmente asservito, che i Pontefici eletti non possono prendere possesso senza un placet dei governanti. Nell’esercizio delle loro funzioni, incontrano solo ostacolati e traversie. Le imprese di Costanza e Valente sono ben note. Odoacre, dopo la morte di Simplicio, dichiarò nulla ogni elezione fatta senza il suo consenso. Teodorico fece morire Giovanni I, rifiutò un’elezione legittima e scelse Felice a suo piacimento. Suo nipote, Atalarico, causò lo scisma tra Bonifacio e Dioscoro. Teodato fece accettare il suo prescelto, Papa Silverio, sotto pena di morte; Belisario e Teodora nominarono, allo stesso tempo, Vigilio a Costantinopoli. Nessuno ignora oggi gli attacchi di Luitprando, di Rachis, Astolfo, Didier, di Leone l’Isaurico e di Costantino Copronimo. Furono esaurite lungo tre secoli, quindi, tutte le risorse della brutalità e della perfidia; per tre secoli, i Papi furono perseguitati, spogliati dei loro beni, oltraggiati, assassinati. Certamente, se questo progetto non è riuscito, non è stata né per mancanza di zelo né per mancanza di perseveranza. – E il risultato? Carlo Magno dà gli ultimi ritocchi alla costituzione del potere temporale dei Papi. Se il piano di umiliare il Papato non riuscì meglio di quello di annientarlo, bisogna ora isolarlo, secolarizzarlo e lasciare che sia la rivoluzione ad agire contro di esso; questo è il sistema in vigore alla caduta dell’Impero Carovingio.

II. Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, è il Salvatore del genere umano, e il Sovrano Pontefice, successore di San Pietro, è, per la salvezza degli uomini, il Vicario di Gesù Cristo. L’opera storica dei Romani Pontefici è dunque, attraverso i secoli, l’estensione misteriosa dell’Incarnazione del Figlio di Dio e della nostra Redenzione attraverso la Croce: è un faro innalzato sulla montagna per illuminare i popoli; è un’istituzione di grazia per rigenerarli, e quindi un segno di contraddizione eterna. La guerra contro tutte le passioni dell’umanità è il comando che i Papi hanno ricevuto dall’alto; la resistenza spesso offensiva e gratuitamente aggressiva di tutte le passioni contro la Santa Sede è la risposta ordinaria dell’umanità. Benefici celesti, benefici poco conosciuti: questa, in poche parole, è la storia della Monarchia Pontificia. Questa guerra di passioni contro la Santa Sede ha attraversato tre fasi nella sua evoluzione bimillenaria: una fase di persecuzioni sanguinose, una fase di eresie e scismi, una fase di ipocrita oppressione della tirannia. Da tre secoli stiamo attraversando quest’ultima fase. L’obiettivo dei nemici del Papato è il suo annientamento. È scritto che non prevarranno; non solo essi vogliono prevalere, ma dominare tutto, e anche se non ci riescono mai, ci provano sempre. I loro attacchi abbracciano e imbarazzano tutta la storia dall’Età della Grazia, dice Rohrbacher, ma la imbarazzano solo in quanto rimandano la concessione e lo sbocciare di grandi benedizioni. Ora, in questa lunga guerra contro la Santa Sede, i suoi nemici hanno seguito quattro piani distinti: 1° rovesciarla con la violenza; 2° degradarla con l’umiliazione; 3° privarla di ogni appoggio esterno per lasciarlo solo di fronte alla rivolta; 4° asservirla a Roma o tenerla lontano da essa, per confinarla ad Avignone o a Gerusalemme (quest’ultimo è il piano attuale che ha coinvolto Gregorio XVII prima e poi Gregorio XVIII – ndr- ). Il piano di distruzione con la violenza risale a Nerone, che fece crocifiggere il primo Papa. I Cristiani, condannati allo sterminio, non potendo trovare riparo, si rifugiarono nelle catacombe. I successori di San Pietro, anche quando furono inseguiti in questi passaggi sotterranei, furono strappati dall’altare dove consacravano il pane della vita e dal pulpito da cui riversavano parole di speranza immortale. L’annientamento della loro opera e del loro potere fu perseguito con la stessa implacabilità dai Traiani e dai Domiziani, dai Diocleziani e dai Marco Aureli. L’odio della Cattedra Apostolica esasperava non meno gli uomini di Stato del Palatino e i giureconsulti del Foro che la vile moltitudine degli anfiteatri e dei carnefici del circo. Era persino diventato un assioma che era meglio tollerare un rivale nella porpora che un Papa a Roma. Diocleziano arrivò persino a trascurare la difesa dell’impero per sterminare con più efficacia i Cristiani. Nonostante l’energia dell’attacco, l’estensione delle sue risorse e gli scoppi progressivi della sua furia, cosa fecero i Cesari dopo due secoli e mezzo di guerra ad oltranza? Un’ammenda onorevole, un atto sfolgorante di omaggio e di sottomissione al Papato, nella persona di Costantino. Il tempio del Vaticano e la città del Bosforo sono ancora lì come due trofei che testimoniano di questa vittoria. Il progetto di degradazione attraverso l’umiliazione segue il progetto di distruzione mediante la violenza: è il sistema dei degenerati successori di Costantino, dei re barbari e dei Cesari tristi di Bisanzio. Durante tutto questo periodo, il capriccio degli imperatori prolungò le vacanze della Sede apostolica. Il Papato è talmente asservito, che i Pontefici eletti non possono prendere possesso senza un placet dei governanti. Nell’esercizio delle loro funzioni, incontrano solo ostacolati e traversie. Le imprese di Costanza e Valente sono ben note. Odoacre, dopo la morte di Simplicio, dichiarò nulla ogni elezione fatta senza il suo consenso. Teodorico fece morire Giovanni I, rifiutò un’elezione legittima e scelse Felice a suo piacimento. Suo nipote, Atalarico, causa lo scisma tra Bonifacio e Dioscoro. Teodato fece accettare il suo prescelto, Papa Silverio, sotto pena di morte; Belisario e Teodora nominarono, allo stesso tempo, Viglio a Costantinopoli. Nessuno ignora oggi gli attacchi di Luitprando, di Rachis, Astolfo, Didier, di Leone l’Isaurico e di Costantino Copronymo. Furono esaurite lungo tre secoli, quindi, tutte le risorse della brutalità e della perfidia; per tre secoli, i Papi furono molestati, spogliati dei loro beni, oltraggiati, assassinati. Certamente, se questo progetto non è riuscito, non è stata né per mancanza di zelo né per mancanza di perseveranza. E il risultato! Carlo Magno dà gli ultimi ritocchi alla costituzione del potere temporale dei Papi. Se il piano di umiliare il Papato non riuscì meglio di quello di annientarlo, bisogna ora isolarlo, secolarizzarlo e lasciare che sia la rivoluzione ad agire contro di esso; questo è il sistema in vigore alla caduta dell’Impero Carovingio. La storia del Papato non ha un’epoca più disastrosa. L’Italia è attaccata da tutte le parti, dai Magiari, dai Normanni e dai Saraceni. La città eterna non è altro che un conglomerato di piazze fortificate con torri. Gli Stéfaneschi dominano il Gianicolo, i Frangipane il Palatino; qui i Conti, là i Massimi; ovunque formidabili fortini muniti di bastioni. La mole di Adriano, affacciata sull’unico ponte che collega le due sponde del Tevere, è la fortezza dei Cenci, saccheggiatori che depredano senza pietà tutti i passanti. Intorno a Roma, si vedono solo castelli abitati da briganti e campagne devastate da legioni di banditi. Cosa ne è stato del Papato? Nel 965, Rodfredo rapì il Papa e lo gettò in una fortezza della Campania. Otto anni dopo, Benedetto VI viene strangolato. Un antipapa deruba la tomba degli Apostoli… Dono II viene assassinato. Giovanni XIV muore di fame in un oscuro sotterraneo. Giovanni XV è rinchiuso in Vaticano (… nulla di nuovo anche oggi, sotto il sole – ndr.-). Poco dopo, le elezioni pontificie passano nelle mani degli imperatori tedeschi. Certamente, mai la barca di Pietro era stata assalita da una tempesta più violenta; mai era stata così vicina ad essere inghiottita in questo oceano oscuro, coperta dai resti delle istituzioni umane sgretolate. « Epoca nefasta – esclama Baronio, – in cui la Sposa di Cristo, sfigurata da una terribile lebbra, divenne la zimbella dei suoi nemici! » Fu un’epoca doppiamente nefasta, possiamo aggiungere, perché la società vedeva anche cadere i suoi principi e svanire le sue speranze. E il risultato? Il Papato risollevato da Ildebrando, che esercitava un potere incontrastato sulle nazioni cristiane e in tutte le sfere dell’attività sociale, da Gregorio VII a Bonifacio VIII. – Infine, rimane un ultimo progetto, più moderato degli altri, che non vuole né distruggere, né umiliare o secolarizzare il Papato, ma portarlo fuori dall’Italia: questo è il sistema scelto durante il soggiorno dei Papi ad Avignone. Questo soggiorno, chiamato dagli stessi italiani la cattività di Babilonia, non aggiunse nulla al prestigio del Papato e fu un elemento di durata per il grande scisma d’Occidente; Roma e l’Italia vi trovarono almeno prosperità? Ughelli risponde che « … le disgrazie degli italiani durante l’assenza dei Papi superavano di gran lunga quelle subite dalle orde barbariche ». Sfogliando Muratori, vediamo rinnovarsi e aggravarsi le disgrazie delle epoche passate. Famiglie potenti dominano o contendono nelle città principali; bande di predoni devastano le campagne: questo è il decimo secolo con gli elementi aggiuntivi di empietà e libertinaggio. Roma, tuttavia, è divisa tra gli Orsini e i Colonna. La popolazione diminuisce. La parte abitata della città presenta uno spettacolo rivoltante di abbandono e desolazione; le strade sono ingombre di detriti; le basiliche sono disadorne, gli altari spogliati, le funzioni senza maestà; niente più viaggiatori, nessun pellegrino; ovunque i furfanti commettono furti, rapine, omicidi ed ogni tipo di crimine. « Roma – dice Petrarca – tende le sue braccia smagrite verso il Papa, e il seno d’Italia, implorando il suo ritorno, è gonfio di singhiozzi di dolore. » – Siete felici, Romani? I rovi laddove i vostri padri incoronavano gli eroi; le vigne sul campo della vittoria; un giardino cresciuto nel Foro ed i banchi dei senatori nascosti dal letame: ecco i monumenti che ricordano i trionfi dei Colonna, degli Arnaldo da Brescia, dei Brancaleone e dei Rienzo. Ammirevole attenzione della Provvidenza e legge misteriosa della storia! In ogni prova del Papato, Dio tira fuori dai suoi tesori un grande uomo, e il grande uomo è grande solo quanto la sua devozione alla Cattedra Apostolica. Dopo le persecuzioni, Costantino; dopo le umiliazioni, Carlo Magno; dopo le lacrime, Gregorio VII, Innocenzo III, Gregorio IX e Bonifacio VIII; dopo la traslazione, Nicola V, Pio II, Giulio II, Leone X, San Pio V e Sisto V. Al contrario, coloro che si scontrano contro la pietra fondamentale della Chiesa si sfracellano nel loro potere, e immancabilmente si sviliscono agli occhi dei posteri.

III. La storia del Papato ci viene offerta sotto due aspetti diversi, uno terreno, l’altro celeste; da un lato le prove, dall’altro i trionfi. Il Papa è sempre perseguitato, egli è sempre vittorioso sulla persecuzione. Due forze, le uniche i cui successi sono durevoli, lo aiutano a conquistare questa vittoria perpetua: la forza di Dio e la forza dell’uomo, l’assistenza dall’alto e la fedele corrispondenza alle grazie che rafforzano la natura. Tra le qualità eminenti che sono state per la Santa Sede il risultato della sua fedeltà all’aiuto del cielo, ce ne sono due principali che spiegano quasi tutta la sua storia: la consumata prudenza e il coraggio passivo a tutta prova. Il mondo si muove lentamente, e nello sviluppo del suo destino è soggetto ad una doppia legge: da un lato, la materia deve servire alla santificazione dello spirito; dall’altro, gli eventi sulla terra devono coltivare i semi della creazione e della grazia, in modo da glorificare Dio. L’errore e la colpa degli uomini che sono a capo delle cose umane è quella di ignorare questa doppia legge e di voler precipitare il movimento dei secoli. Nell’impazienza del loro genio o nell’infermità delle loro passioni, vogliono piegare i fatti secondo le loro opinioni personali, concentrarsi sul benessere dell’attività dei popoli e creare chi la società, chi la religione, chi un partito, chi il futuro. Lavorando contro la volontà di Dio, tutti questi uomini consumano la loro vita in questo arduo lavoro, e quasi sempre, prima di morire, vedono le cose stesse che hanno arbitrariamente regolato, ridersi dei loro disegni. Leggete la storia: vedrete chiaramente questa contraddizione perpetua tra la volontà dell’uomo e il successo dei suoi sforzi. Alessandro, Cesare, Napoleone, grandi uomini e grandi popoli subiscono tutti le stesse vicissitudini. La forza può assicurare loro il successo per un giorno, ma la forza è solo una grande debolezza quando non è il braccio della verità. Il conquistatore scompare e con lui la sua opera. Solo sa quello che fa chi serve Dio nella sua Chiesa e che, volgendo le cose passeggere al trionfo dei principi permanenti, prende consiglio non dagli interessi transitori, ma dalle leggi che rimangono: questa è stata una virtù dei Pontefici ed il principio della loro prudenza. Durante i primi tre secoli della Chiesa, contenti del loro pane quotidiano e dei loro doveri, vissero poveri e morirono martiri. Estratti dalle catacombe da Costantino, arricchiti dalla pietà dei fedeli e degli imperatori, sono rimasti semplici nei loro desideri, l’anima umile e forte, le mani aperte. Alla caduta dell’impero, spesso minacciati, imprigionati, esiliati, colpititi, sostennero con la loro maestà la confusione del Basso Impero e attutirono l’urto delle invasioni. Nel IX secolo, l’indebolimento dell’Impero d’Oriente, la protezione dei re franchi contro gli attacchi dei re longobardi, e l’amore dei romani, sollevano il trono temporale dei Papi. – Infine, sempre tranquilli circa i piani di Dio, sempre impegnati a diffondere la vita, la luce e l’amore di cui hanno il deposito, i Sommi Pontefici non fanno violenza agli eventi; li ricevono dalla mano di Dio, che li produce o li permette, limitandosi, quando si compiono, a comportarsi nei loro confronti secondo le regole della sapienza cristiana. Questo non è il ruolo che piace all’orgoglio, l’azione che colpisce gli occhi distratti; ma poiché questa azione e questo ruolo sono conformi ai disegni della Provvidenza e alla natura delle cose, assicurano alla Cattedra Apostolica la situazione che le è propria, incomparabile per durata, legittimità e successo, a nessun’altra situazione. Quella pazienza così meritoria nei confronti del tempo, quella saggezza così perspicace alla presenza di principi, saggezza e pazienza che elevano così in alto la prudenza pontificia, diventano più degne di attenzione, se si considera che non solo richiedono una fede imperturbabile nel futuro, ma richiedono anche un coraggio eroico per resistere alla rapidità e alla violenza degli eventi. Il coraggio che i Pontefici romani devono mostrare non è quello del soldato che affronta la morte donandola, coraggio stimabile quando è giusto, comune tra gli uomini del resto. È un coraggio più difficile e più raro, quello che sopporta freddamente i risentimenti e le carezze dei principi e dei popoli; quello che, alieno da ogni esaltazione, senza speranza umana, sacrifica il riposo alla coscienza e affronta quelle tristi morti in prigione, nel bisogno e nell’oblio. C’è una difficoltà? I Papi negoziano, e nei loro negoziati spingono la condiscendenza fino ai suoi limiti. Dopo aver atteso, approfittando delle circostanze, giunta la preghiera alla rivendicazione dei diritti, se il persecutore persiste, i Papi presentano le mani alle catene e la testa al carnefice, offrendo in tutta la sua purezza lo spettacolo di una giustizia umile e spoglia alle prese con l’orgoglio della forza. Da Nerone a Diocleziano, restano nella capitale dell’impero, consci del tipo della loro morte perché avvertiti da quella dei loro predecessori, e tranne uno che fu sottratto dalla vecchiaia alla spada, tutti ebbero la gloria di essere colpiti sulla loro sede. Da Diocleziano a Michele Cerulario, passando per Costanza, Valente, Costantino Copronimo, Leon l’Isaurico, e tutta quella serie di principi codardi, di donne vili ed eunuchi ambiziosi, le cui bassezze inette hanno dato il loro nome alla storia di Costantinopoli, vediamo i Papi respingere inesorabilmente le sottigliezze greche, subire le pretese di un prefetto imperiale, prendere la via dell’esilio piuttosto che cedere, e resistere, se necessario, fino allo spargimento del loro sangue. Nel Medioevo, le guerre dei signori, i vincoli del feudalesimo tendenti ad imbrigliare la Chiesa nei pesi del vassallaggio, l’ambizione dei Cesari tedeschi, ci mostrano in Gregorio VII, Innocenzo III, Gregorio IX, Innocenzo IV, Bonifacio VIII, e, molti altri, il coraggio dei Papi sempre uguale a se stesso. Infine, ai nostri giorni, gli attacchi della rivoluzione fornirono a Pio VI, Pio VII e Pio IX l’opportunità di salire alle altezze di Leone, Gregorio ed Innocenzo. (Oggi l’infame setta dei massoni-kazari e dei finti-ecclesiastici falsi profeti, ha eclissato il Papa imprigionandolo e rendendolo impedito nelle sue funzioni ma … fino a quando vincerà la bestia e l’anticristo? … ma noi Cattolici lo sappiamo già dall’Apocalisse! – ndr. -). In breve, dall’epoca della grazia, la verità non ha avuto alcun difensore perpetuo se non il Vescovo di Roma. I vescovi greci hanno consegnato la Chiesa d’Oriente ai teologastri coronati di Bisanzio; i vescovi inglesi hanno venduto le chiese della Gran Bretagna ad Enrico VIII; alcuni vescovi del Nord hanno consegnato a Gustavo Wasa e a Cristiano le chiese dei regni scandinavi; i vescovi slavi abbandonarono le chiese della Russia allo zar Pietro: mai un Pontefice romano ha ceduto a nulla di simile. In questa lunga genealogia del Papato, non si è trovato nessuno che avesse permesso al potere secolare di invadere l’integrità del dogma, la purezza della morale e l’indipendenza del ministero apostolico. C’è, nel coraggio di subire la sorte attirata dalla propria inesperienza, una nobiltà che tocca i cuori e li dispone al perdono; ma quando una prudenza consumata ha preceduto un coraggio ferreo, e queste due virtù vengono ad unirsi sulla stessa fronte con l’alone dell’innocenza, la gravità degli anni e la maestà degli acciacchi, si produce un sentimento che muove le viscere, e nessuna gloria può controbilanciarne l’effetto infallibile sugli uomini.

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