UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – OPTATISSIMA PAX

In piena fase postbellica, dopo tragedie di ogni tipo, il Sommo Pontefice Pio XII, l’ultimo Pontefice che liberamente si è potuto esprimere prima dell’invasione massonica nella Chiesa della sinagoga di satana del 1958, scriveva questa breve lettera per pacificare gli animi ancora esacerbati dalle recenti vicende che avevano portato a conflitti non ancora sopiti tra popoli e Nazioni, anche tra quelle un tempo accomunate da una stessa fede cristiana, ricordando subito la vera causa della tragedia appena conclusa …  «Ricordino tutti che quella congerie di mali, che negli anni trascorsi abbiamo dovuto sopportare, si è abbattuta sull’umanità principalmente perché la divina Religione di Gesù Cristo, che è fautrice di mutua carità tra i cittadini, i popoli e le genti, non regolava, come sarebbe stato necessario, la vita privata, domestica e pubblica.» Poche ma chiare parole con le quali il Vicario della Sapienza incarnata inchiodava tutti i fautori della aperta ribellione di popoli ingrati al sommo ed eterno Creatore, all’unigenito Figlio di Dio Redentore, ed alla sua unica Chiesa, faro di verità e di luce dei popoli e delle società. Ed ancor questa è e sarà la causa di ulteriori ed ancor più drammatici eventi che si stanno svolgendo proprio oggi davanti ai nostri occhi attoniti, eventi che hanno una portata spirituale immensa, capace di sprofondare milioni, o meglio miliardi di anime nel fuoco della eterna dannazione, anime ingannate da chi avrebbe dovuto proteggerle, averne cura, nutrirle con il latte divino della dottrina di Cristo, portarle al benessere spirituale e, Dio permettendo, al benessere materiale che potesse liberare l’uomo dalle necessità corporali che ostacolano l’unione con Dio medesimo. – A questi folli innamorati di satana, laici delle conventicole mondialiste (politici, medici, giornalisti, economisti dediti ai culti esoterici)  e soprattutto ai conniventi religiosi finti o veri (questi ultimi ancora pochi invero) che occupano – usurpandoli – tutti i posti che il Signore aveva stabilito a salvezza dei suoi figli adottivi, ricordiamo che il loro mentore, il baphomet-signore dell’universo, è il serpente falso ingannatore, loro crudele nemico e che, al momento in cui arriverà dall’Oriente come un baleno il Giudice divino in tutto il suo splendore, saranno bruciati dal soffio della sua bocca e sprofondati nello stagno di fuoco in eterno, membri della bestia o del falso profeta che siano. Tornate alla fede di Cristo, pentitevi, rinnegate il vostro falso “dio” cornuto, fate penitenza ed il Signore misericordioso vi salverà.  Svegliatevi da questo sogno che vivete, prima che sia troppo tardi, quando al risveglio vi troverete con le mani vuote di quei beni che credevate di avere. Fumo, sterco, paglia bruciata .. questo vi ritroverete nel mare di fuoco e nelle tenebre nelle quali in eterno rimpiangerete di avere amato il vostro ventre, gonfiato di aria il vostro orgoglio, rubato vili metalli, pietre dure, carta stampata, palazzi di fango.

PIO XII

EPISTOLA ENCICLICA

OPTATISSIMA PAX

PUBBLICHE PREGHIERE PER LA PACIFICAZIONE DEI POPOLI

La pace desideratissima, che deve essere «la tranquillità dell’ordine» e la «tranquilla libertà», dopo le cruente vicende di una lunga guerra ancora oscilla incerta, come tutti notano con tristezza e trepidazione, e tiene come sospesi in un’ansia angosciosa gli animi dei popoli; mentre invece in non poche Nazioni – già devastate dal conflitto mondiale e dalle rovine e dalle miserie che ne sono state la conseguenza dolorosa – le classi sociali vicendevolmente agitate da un acre odio, con innumerevoli tumulti e turbolenze, minacciano, come tutti vedono, di scalzare e sovvertire gli stessi fondamenti degli stati. Davanti a questo funesto e miserevole spettacolo l’animo Nostro è oppresso da somma amarezza e Ci sembra che il paterno e universale mandato, che abbiamo da Dio ricevuto, non solo Ci muova a esortare tutte le genti a volere estinguere i segreti odi e a rinnovare felicemente la concordia, ma anche ad ammonire tutti coloro che sono Nostri figli in Cristo, perché vogliano sollevare al cielo più ferventi preghiere; sappiamo infatti che ciò che viene fatto senza la propiziazione divina riesce manchevole e sterile, secondo la sentenza del salmista: «Se non è il Signore che edifica la casa, inutilmente lavorano coloro che la costruiscono» (Sal 126,1). – Immensi sono i mali, cui è necessario porre rimedio, rimedio che non può essere ulteriormente prorogato. Poiché da una parte l’economia in molte nazioni, per causa delle ingenti spese militari e delle enormi distruzioni belliche, è in stato di tale incertezza ed esaurimento che spesso non è in grado di risolvere i problemi che si prospettano e di alimentare quelle opere opportune, con le quali si potrebbe dar lavoro a quanti sono, purtroppo, costretti contro la loro volontà ad un ozio infruttuoso; dall’altra parte, purtroppo, non mancano coloro che esasperano e sfruttano la miseria delle classi proletarie, con segreto ed astuto calcolo, e impediscono quindi quei nobili sforzi con i quali si cerca di ricostruire, con retto ordine e con giustizia, le fortune andate disperse. Ma è necessario, finalmente, che tutti comprendano che non con le discordie, con i tumulti, con le stragi fraterne si possono riacquistare i beni perduti o salvare quelli in pericolo, ma soltanto con operosa concordia, con mutua cooperazione, con pacifico lavoro. – Coloro che, con piano premeditato, sollevano in modo inconsulto la folla eccitandola a tumulti, a sedizioni e a offese della libertà altrui, senza dubbio non giovano a mitigare l’indigenza del popolo, ma piuttosto l’accrescono e provocano l’estrema rovina, esacerbando l’odio e interrompendo il corso delle opere della vita cittadina. Infatti le lotte tra fazioni «furono e saranno per molti popoli una calamità più grande della stessa guerra, della fame e delle epidemie». – Ma in pari tempo è doveroso che tutti comprendano che la crisi sociale è tanto grande al presente e tanto pericolosa per l’avvenire da rendere necessario che ciascuno – e specialmente chi ha beni maggiori – anteponga il bene comune ai vantaggi e alle utilità private. – E prima d’ogni altra cosa è assolutamente urgente pacificare gli animi, riportarli a un fraterno consenso, a una mutua comprensione, a una cooperazione vicendevole, in modo da poter attuare quelle dottrine e quelle norme direttive che sono consentanee agli insegnamenti cristiani e alle condizioni dell’ora presente. – Ricordino tutti che quella congerie di mali, che negli anni trascorsi abbiamo dovuto sopportare, si è abbattuta sull’umanità principalmente perché la divina Religione di Gesù Cristo, che è fautrice di mutua carità tra i cittadini, i popoli e le genti, non regolava, come sarebbe stato necessario, la vita privata, domestica e pubblica. Se dunque, per questo allontanamento da Cristo, la retta via è stata smarrita, è necessario far ritorno a Lui sia nella vita pubblica sia in quella privata; se l’errore ha ottenebrato le menti, è necessario ritornare a quella verità, che essendo stata divinamente rivelata, indica il cammino che conduce al cielo; se finalmente l’odio ha apportato frutti mortiferi, occorre riaccendere quell’amore cristiano che può da solo sanare tante piaghe mortali, superare tanti paurosi pericoli, addolcire tante angosciose sofferenze. – E poiché già si avvicinano le soavi solennità natalizie, che ci conducono alla contemplazione del Bambino Gesù che vagisce nel presepio e dei cori angelici imploranti sugli uomini la pace, riteniamo opportuno rivolgere una viva esortazione a tutti i cristiani e in particolar modo a coloro che sono nel fiore dell’età, affinché visitino numerosi il sacro presepio e qui preghino, per ottenere dal divino Bambino che voglia benigno estinguere e allontanare le fiamme che sono minacciosamente agitate dall’odio nelle sedizioni e nei tumulti. Egli illumini con la sua luce celeste le menti di quelli che spesso, piuttosto che mossi da ostinata malizia, sono tratti in inganno da errori ammantati dalle piacevoli apparenze della verità; egli reprima e plachi negli animi l’odio, componga le discordie, faccia rivivere e crescere la carità cristiana. A coloro che godono di molti beni, egli insegni una provvida generosità verso i poveri; a coloro poi che tribolano per le loro condizioni povere e disagiate, egli, con il suo esempio e con il suo aiuto, apporti le spirituali consolazioni e li conduca a desiderare soprattutto quei beni celesti, che sono i beni migliori e che non verranno mai meno. – Nelle presenti angustie, Noi confidiamo molto nelle preghiere dei bambini innocenti, che il divin Redentore in modi particolari accoglie e predilige. Innalzino dunque essi verso di lui, durante le solennità natalizie, le loro candide voci e le loro esili manine, simbolo dell’interiore innocenza, implorando pace, concordia, mutua carità. E oltre alle fervide preghiere uniscano quegli esercizi di pietà cristiana e quelle offerte generose, con le quali la divina giustizia, offesa da tante colpe, possa essere placata, e in pari tempo gli indigenti possano ricevere – nella misura che le disponibilità di ciascuno permette – gli opportuni aiuti. – Abbiamo piena fiducia, venerabili fratelli, che con solerte impegno e diligenza, di cui abbiamo tante prove, voi farete sì che queste Nostre paterne esortazioni siano attuate e ottengano felici frutti e che tutti, in modo speciale i fanciulli, corrispondano, con volenteroso trasporto, a questi Nostri inviti che voi farete vostri. – Confortati da questa soave speranza, sia a voi singolarmente e universalmente venerabili fratelli, sia ai greggi affidati alle vostre cure, impartiamo con effusione d’animo l’apostolica benedizione, quale attestato della Nostra paterna benevolenza e auspicio delle grazie celesti.

Roma, presso San Pietro, il 18 dicembre, dell’anno 1947, IX del Nostro pontificato.

DOMENICA PRIMA DI QUARESIMA (2021)

DOMENICA PRIMA DI QUARESIMA (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Giovanni in Laterano

Semidoppio. – Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

Questa Domenica è il punto di partenza del ciclo quaresimale, (Secr.) cosicché l’assemblea liturgica si tiene oggi, fin dal IV secolo a S. Giovanni in Laterano, che è la basilica patriarcale del romano Pontefice ed il cui nome rievoca la redenzione operata da Gesù, essendo questa Basilica dedicata anche al SS.mo Salvatore. Subito dopo il battesimo, Gesù si prepara alla vita pubblica con un digiuno di 40 giorni, nel deserto montagnoso, che si estende fra Gerico e le montagne di Giuda (Gesù si riparò, dice la tradizione, nella grotta che è nel picco il più elevato chiamato Monte della Quarantena). Là satana, volendo sapere se il figlio di Maria era il figlio di Dio, lo tenta (Vang.). Gesù ha fame e satana gli suggerisce di convertire in pane le pietre. Allo stesso modo opera con noi e cerca di farci abbandonare il digiuno e la mortificazione in questi 40 giorni. È la concupiscenza della carne. – Il demonio aveva promesso al nostro primo padre che sarebbe diventato simile a Dio; egli trasporta Gesù sul pinnacolo del Tempio e lo invita a farsi portare in aria dagli Angeli per essere acclamato dalla folla. Tenta noi ugualmente nell’orgoglio, che è opposto allo spirito di preghiera e alla meditazione della parola di Dio. È l’orgoglio della vita. Come aveva promesso ad Adamo una scienza uguale a quelli di Dio, che gli avrebbe fatto conoscere tutte le cose, satana assicura Gesù che gli darà l’impero su tutte le cose se Egli prostrato in terra lo adorerà (Lucifero, il più bello degli angeli, si credette in diritto, secondo alcuni teologi, all’unione ipostatica che l’avrebbe elevato alla dignità di Figlio di Dio. Egli cercò di farsi adorare come tale da Gesù, come l’anticristo si farà adorare nel tempio di Dio (II ai Tessal.). Il demonio allo stesso modo cerca con noi, di attaccarci ai beni caduchi, quando stiamo per sovvenire il prossimo con l’elemosina e le opere di carità. È la concupiscenza degli occhi o l’avarizia. – Il Salmo XC che Gesù usò contro satana, — poiché la spada dello Spirito, è la parola di Dio (Agli Efesini, VI, 17).— serve di trama a tutta la Messa e si ritrova nell’ufficiatura odierna. « La verità del Signore ti coprirà come uno scudo », dichiara il salmista. Questo salmo dunque è per eccellenza quello di Quaresima, che è un tempo di lotta contro satana, quindi il versetto 11: «Ha comandato ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie », suona come un ritornello durante tutto questo periodo, alle Lodi e ai Vespri. Questo Salmo si trova intero nel Tratto e ricorda l’antico uso di cantare i salmi durante la prima parte della Messa. Alcuni dei suoi versetti formano l’Introito col suo verso, il Graduale, l’Offertorio e il Communio. In altra epoca, quest’ultima parte era formata da tre versetti invece di uno solo e questi tre versetti seguivano l’ordine della triplice tentazione riferita nel Vangelo. – Accanto a questo Salmo, l’Epistola, che è certamente la stessa che al tempo di S. Leone, dà una nota caratteristica della Quaresima. S. Paolo vi riassume un testo di Isaia: «Ti esaudii nel tempo propizio e nel giorno di salute ti portai aiuto» (Epist. e 1° Nott.). S. Leone ne fa questo commento: « Benché non vi sia alcuna epoca che non sia ricca di doni celesti, e che per grazia di Dio, ogni giorno vi si trovi accesso presso la sua misericordia, pure è necessario che in questo tempo le anime di tutti i Cristiani si eccitino con più zelo ai progressi spirituali e siano animate da una più grande confidenza, allorché il ritorno del giorno nel quale siamo stati redenti ci invita a compiere tutti i doveri della pietà cristiana. Così noi celebreremo, con le anime ed i corpi purificati, questo mistero della Passione del Signore, che è fra tutti il più sublime. È vero che noi dovremmo ogni giorno essere al cospetto di Dio con incessante devozione e rispetto continuo come vorremmo essere trovati nel giorno di Pasqua. Ma poiché questa forza d’animo è di pochi; e per la fragilità della carne, viene rilassata l’osservanza più austera, e dalle varie occupazioni della vita presente viene distratta la nostra attenzione, accade necessariamente che la polvere del mondo contamini gli stessi cuori religiosi. Perciò è di grande vantaggio per le anime nostre questa divina istituzione, perché questo esercizio della S. Quaresima ci aiuti a ricuperare la purità delle nostre anime riparando con le opere pie e con i digiuni, gli errori commessi negli altri momenti dell’anno. Ma per non dare ad alcuno il minimo motivo di disprezzo o di scandalo, è necessario che il nostro modo di agire non sia in disaccordo col nostro digiuno, perché è inutile diminuire il nutrimento del corpo, quando l’anima non si allontana dal peccato » (2° Notturno). – In questo tempo favorevole e in questi giorni di salute, purifichiamoci con la Chiesa (Oraz.) « col digiuno, con la castità, con l’assiduità ad intendere e meditare la parola di Dio e con una carità sincera » (Epist.).

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XC: 15; XC: 16

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Ps XC:1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorábitur. [Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo].

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur.

[O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI:1-10.

“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” –  Deo gratias.

[Fratelli: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Nel tempo favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salute ti ho recato aiuto». Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salute. Noi non diamo alcun motivo di scandalo a nessuno, affinché il nostro ministero non sia screditato; ma ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, mediante una grande pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, nelle sommosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con la purità, con la scienza, con la mansuetudine, con la bontà, con lo Spirito Santo, con la carità sincera, con la parola di verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia di destra e di sinistra; nella gloria e nell’ignominia, nella cattiva e nella buona riputazione; come impostori, e siam veritieri; come ignoti, e siam conosciuti; come moribondi, ed ecco viviamo; come puniti, e non messi a morte; come tristi, e siam sempre allegri; come poveri, e pure arricchiamo molti; come privi di ogni cosa, e possediamo tutto]. (2 Cor VI, 1-10).

FAR FARE BUONA FIGURA A DIO.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938) ]

Veramente S. Paolo in questo brano di lettera parla se non proprio ai sacerdoti, certo per i ministri di Dio. Per fortuna, ministri di Dio, in un certo senso almeno, lo siamo tutti noi Cristiani, dobbiamo esserlo, e perciò vale per noi tutti la esortazione fondamentale per gli Apostoli: evitare le brutte figure (morali) e fare bella figura (morale). E la ragione addotta è quella che rende la esortazione più interessante e più universale: col non fare brutta figura, fare anzi bella figura, noi, per… non far fare brutta figura, per far fare bella figura a Dio. Ne siamo i ministri: ecco perché le nostre belle o brutte figure rimbalzano su di Lui. Rappresentanti di Dio! Che grande parola. Ed essa è proprio matematicamente esatta, precisa quando si tratta di noi Sacerdoti, di noi apostoli veri e propri. La gente ci confonde un po’ con Dio; giudica Lui, giudica della Religione da quello che noi, proprio noi, siamo e facciamo. Ma giudizi analoghi gli uomini senza fede o con poca fede pronunciano davanti alla condotta di un fedele Cristiano. E se questi sono buoni, il volgo suddetto ne conclude che buona è la religione, buono è quel Dio di cui la religione si ispira e nutre. Ma viceversa con la stessa logica fa rimbalzare sulla religione, su Dio le nostre miserie. E conclude che la religione non serve a nulla, a nulla di buono e grande, quando nulla di grande e di buono essa produce in noi. – Il ragionamento per cui si giudica della religione in sé, della sua bontà ed efficacia universale da uno a pochi casi, è un ragionamento che vale fino ad un certo punto, zoppica, zoppica assai, alla stregua della logica pura ed ideale. Zoppica ma cammina. Non avrebbe il diritto di farlo ma lo si fa, con una facilità, una frequenza, una sicurezza impressionante. E di questo bisogna tener conto, che lo si fa, come teniamo conto, nella vita, di tanti altri fatti che ci appaiono o misteriosi o paradossali, ma sono fatti e « contra factum non valet argumentum. » Questo fatto deve metterci addosso un brivido ed un fuoco. Brivido di terrore pensando alla debolezza delle nostre spalle, al peso davvero formidabile. Si fa così presto noi a cadere. Quando e dopo che avremo ubbidito agli istinti egoistici e alla loro desolante miseria si dirà da parecchi: ecco che cosa è la religione! Ecco a cosa serve Dio! Noi avremo screditato, noi screditeremo, noi screditiamo ciò che al mondo vi è di più sacro. Sconquassiamo dei pilastri giganteschi della vita. Perciò prendiamo come programma nostro la parola di Paolo: « noi non diamo di scandalo in cosa alcuna. » E non fermiamoci, ma continuiamo: « anzi ci mostriamo in ogni cosa degni di raccomandazione. » Il che non sarà che un rifarci alla bella parola di Gesù Cristo: « veggano tutto il bene che voi fate, voi, miei discepoli, e glorifichino perciò il Padre che sta nei Cieli ». – Dicano amici e nemici osservandoci: come sono buoni i veri figli di Dio; come è buono il Padre celeste che li ispira e li guida.

 Graduale

Ps XC,11-12

Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]

Tractus.

Ps XC: 1-7; XC: 11-16

Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorántur.

V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum.

V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero.

V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis.

V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno.

V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno.

V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit.

V. Quóniam Angelis suis mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum,

V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem.

V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum,

V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne,

V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.

[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio.

Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia.

Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto.

Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo.

La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni.

Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio.

Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà.

V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi.

Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra.

Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone.

«Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome.

Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione.

Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.

Matt IV: 1-11

“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”

[Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatoglisi il tentatore, disse: Se tu sei Figliuol di Dio, di’ che queste pietre diventino pani. Ma egli rispondendo, disse: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa che Dio comanda. Allora il diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: Se tu sei Figliuolo di Dio, gettati giù; imperocché sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa che Dio comanda. Allora il imperocché sta scritto: che ha commesso ai suoi angeli la cura di te, ed essi ti porteranno sulle mani, affinché non inciampi talvolta col tuo piede nella pietra. Gesù disse: Sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la loro magnificenza; e gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Vattene, Satana, imperocché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi lui solo. Allora il diavolo lo lasciò; ed ecco che gli si accostarono gli Angeli, e lo servivano.]

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. II, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulle tentazioni.

Jesus ductus est in desertum a Spiritu, ut tentaretur a diabolo.

(MATTH. IV, 1).

Che Gesù Cristo, Fratelli miei, abbia scelto il deserto per farvi orazione, non deve recarci meraviglia; la solitudine era la sua delizia! che poi lo Spirito Santo ve lo abbia condotto, questo deve sorprenderci ancor meno; giacché il Figlio di Dio non poteva avere altra guida che lo Spirito Santo. Ma che sia stato tentato dal demonio; che più volte sia stato portato da questo spirito delle tenebre, chi oserebbe crederlo se non fosse Gesù Cristo medesimo che ce lo dice per bocca di S. Matteo? Eppure, o M. F., anziché fare meraviglie, noi dovremmo invece rallegrarci e ringraziare senza fine il nostro buon Salvatore, che volle essere tentato solo per meritarci vittoria nelle nostre tentazioni. Quanto siamo fortunati, o F. M.! Dal giorno in cui il nostro caro Salvatore si è sottoposto alla tentazione, per vincere le nostre, a noi non manca altro che la buona volontà. – Ecco, M. F., i grandi vantaggi che noi ricaviamo dalla tentazione del Figliuol di Dio. Ed ecco l’argomento mio; vorrei dimostrarvi:

1° Che la tentazione ci è assai necessaria per farci conoscere ciò che siamo;

2° Che noi dobbiamo temere molto le tentazioni; perché il demonio è assai furbo e astuto; e perché una sola tentazione può bastare a piombarci nell’inferno, se noi abbiamo la disgrazia di acconsentirvi;

3° Che dobbiamo combattere fortemente sino alla fine; perché solo a questa condizione conquisteremo il cielo.

Se io volessi provarvi, o F. M., che esistono i demoni e che essi ci tentano, bisognerebbe pensare ch’io parlassi a un popolo idolatra o pagano, o almeno a Cristiani avvolti nella più profonda e deplorevole ignoranza; bisognerebbe dire ch’io sono convinto che voi non avete mai studiato il catechismo. Quando fanciulli vi si domandava: Tutti gli angeli sono rimasti fedeli a Dio? Non è vero che voi tosto rispondevate: No; una parte si è ribellata a Dio, è stata cacciata dal paradiso e precipitata nell’inferno? E quando si continuava a chiedervi: Che cosa fanno gli angeli ribelli? Subito, non è vero, che soggiungevate: Essi lavorano a tentare gli uomini, e fanno ogni sforzo per trascinarli al male? Ma io possiedo di questa verità altre prove, e ancor più convincenti. Voi sapete che fu il demonio che tentò i nostri progenitori nel paradiso terrestre, dove riportò la prima vittoria, vittoria che lo rese così ardito e orgoglioso. – Fu il demonio che tentò Caino e lo trascinò a uccidere il fratello Abele. Nell’antico Testamento leggiamo che il Signore disse al demonio: “Donde vieni? „ ed esso rispose: “Ho fatto il giro del mondo; „ (Job. I, 7) prova ben chiara è questa, o M. F., che il demonio gira la terra a fine di tentarci. Leggiamo nel Vangelo che Maddalena avendo confessato a Gesù Cristo i suoi peccati, uscirono da lei sette demoni (Luc. VIII, 2). Vediamo altresì in altro luogo del Vangelo che lo spirito immondo, uscito da un uomo, esclama: “Vi tornerò con altri demoni peggiori di me. „ (Ibid. VI, 26). Ma non è questo, F. M., che vi è più necessario di sapere; di tutto ciò nessuno di voi dubita. Quello che a voi maggiormente gioverà, si è conoscere in qual maniera il demonio possa tentarvi. Per ben persuadervi della necessità di respingere le tentazioni, domandate a tutti i Cristiani dannati, perché mai si trovino nell’inferno, essi che erano creati pel cielo: e ad una voce vi risponderanno che, essendo stati tentati, hanno accondisceso alla tentazione. Domandate pure a tutti i Santi che regnano in cielo, che cosa ha procurato loro tanta felicità, e tutti vi soggiungeranno: Fu perché, essendo tentati, abbiamo, con la grazia di Dio, resistito alla tentazione e disprezzato il tentatore. Ma chiederete, forse: Che cosa è dunque la tentazione? Eccolo, miei cari; ascoltate bene, e vedrete e intenderete. Siete tentati ogni volta che vi sentite portati a fare una cosa che Dio proibisce, o a non compiere ciò che Egli comanda. Dio vuole che facciate bene le vostre preghiere, mattina e sera, in ginocchio, con devozione. Dio vuole che passiate santamente il giorno della Domenica nella preghiera, cioè assistendo a tutte le funzioni (A tutte le funzioni, cioè alla Messa, è un precetto della Chiesa, e alle altre funzioni, il Vespro, la spiegazione della dottrina cristiana, pratiche consigliate e utili assai) e astenendovi da ogni lavoro. Dio vuole che i figli abbiano grande rispetto pel padre e per la madre, e i servi pei loro padroni. Dio vuole che amiate tutti e facciate del bene a tutti, anche ai vostri nemici; che non mangiate carne nei giorni proibiti; che vi diate grande premura di apprendere i vostri doveri; che perdoniate sinceramente a chi vi ha fatto qualche torto. Dio vuole che non pronunciate mai bestemmie, maldicenze, calunnie, parole sconce; che non facciate mai cose brutte. Questo lo capite facilmente. Ebbene. Se non ostante che il demonio vi tenti di fare ciò che Dio proibisce, voi non lo fate, vuol dire che non cedete alla tentazione; se invece lo fate, allora acconsentite e soccombete. – Sapete, o F. M., perché il demonio lavora con tanto furore per trascinarci al male? Perché non potendo offendere Dio egli stesso, vuol farlo offendere dalle altre creature. Ma quanto siamo fortunati noi, o M. F.! Che bella sorte è la nostra di avere per nostro modello un Dio! Se siamo poveri, abbiamo per modello un Dio che nasce in una stalla ed è adagiato in una mangiatoia su di un po’ di paglia. Se siamo disprezzati, abbiamo per modello un Dio che ci precede, coronato di spine, coperto d’un vile manto di porpora e trattato da pazzo. Se soffriamo, abbiamo per modello un Dio tutto coperto di piaghe che muore della morte più dolorosa che mai possa immaginarsi. Se siamo perseguitati, oseremo noi lamentarci, o M. F., noi che abbiamo per modello un Dio che muore pe’ suoi carnefici? E se siamo tentati dal demonio, noi abbiamo per modello il nostro amabile Redentore, che fu tentato dal demonio e due volte trasportato da questo spirito infernale. Sicché, o M. F., in qualunque stato di sofferenze, di pene o di tentazioni ci sia dato trovarci, dovunque e sempre, abbiamo il nostro Dio che ci precede e ci assicura la vittoria ogni volta che lo desideriamo. – Ecco, F. M., ciò che deve grandemente consolare il Cristiano: il pensiero che ogni qualvolta nella tentazione ricorrerà a Dio, sarà certo di non soccombere.

I. — Ho detto che la tentazione era a noi necessaria per farci conoscere che da noi stessi siamo nulla. S. Agostino ci insegna che dobbiamo ringraziare Dio pei peccati da cui ci ha preservati, come per quelli che ebbe la bontà di perdonarci. Abbiamo così spesso la disgrazia di cadere nei lacci del demonio, perché confidiamo troppo nelle nostre risoluzioni e nelle nostre promesse, e non abbastanza in Dio. Ciò che è verissimo. Quando nulla ci affanna e tutto va a seconda dei nostri desideri, noi osiamo credere che nulla sarà capace di farci cadere; dimentichiamo il nostro nulla, la nostra povertà e debolezza; facciamo le più belle proteste d’essere pronti a morire piuttosto che lasciarci vincere. Ne abbiamo un esempio in S. Pietro, che diceva al Signore: “Quand’anche tutti gli altri vi rinnegassero, io non lo farò mai„ (Matt. XXVI, 33). Ahimè! Dio per mostrargli quanto poca cosa è l’uomo, abbandonato a se stesso, non ha adoperato né re né principi, né armi; ma si servì della voce d’una fantesca, che parlando non sembrava interessarsi troppo di lui. Poco prima si diceva pronto a morire per Gesù, ora afferma che non lo conosce, che non sa di chi gli si voglia parlare; e per meglio assicurare che non lo conosce, giura. – Mio Dio, di che cosa siamo capaci abbandonati a noi stessi! Vi sono certuni, i quali, a quanto dicono, sembrano invidiare i Santi, che han fatto grandi penitenze; e sono convinti di potere anch’essi fare altrettanto. Leggendo la vita dei martiri noi ci sentiamo pronti a soffrire ogni cosa per Iddio. Un breve istante di patire è subito passato, diciamo noi; poi viene un’eternità di ricompensa. E che fa il buon Dio, perché ci possiamo conoscere un poco, o meglio, per mostrarci che noi siamo nulla? Eccovelo: permette al demonio di accostarsi un po’ più a noi. E allora osservate quel Cristiano, che poco fa sembrava portare invidia ai solitari che si cibano di radici e d’erbe, e che risolveva di trattare sì duramente il suo corpo; ohimè! un leggero dolor di capo, una puntura di spillo gli cava lamenti, per un nonnulla, si affligge e strilla. Poco fa avrebbe voluto fare tutte le penitenze degli anacoreti, ed ora per una cosa da nulla si dispera. Osservate quest’altro che sembra pronto a dare pel Signore la sua vita; i più duri tormenti non parrebbero capaci di arrestarlo; invece una piccola maldicenza, una calunnia, un trattamento alquanto freddo, un leggero torto ricevuto, un beneficio ricambiato con ingratitudine fanno sorgere tosto nel suo animo sentimenti di odio, di vendetta, d’avversione, a tal segno, spesse volte, che non vuol più fermare il suo sguardo su chi lo ha offeso, o almeno lo guarda con freddezza, con un occhio il quale mostra chiaro ciò che egli porta in cuore. E quante volte svegliandosi di notte questo è il suo primo pensiero, pensiero che non lo lascia dormire. Ah! M. F., come è vero che noi siamo poca cosa e che dobbiamo fare ben poco assegnamento sulle nostre belle risoluzioni! Voi vedete dunque ora quanto sia necessaria la tentazione per persuaderci del nostro nulla, e perché l’orgoglio non finisca di dominarci. Sentite che cosa diceva S. Filippo Neri. Considerando egli quanto siamo deboli e nel pericolo di perderci ad ogni momento, così supplicava il buon Dio piangendo : “Mio Dio, tenetemi la vostra mano sul capo; voi sapete ch’io sono un traditore; voi conoscete quanto sono cattivo; se mi abbandonate un solo istante temo di tradirvi. „ Ma dentro di voi penserete, forse, che le persone più tentate siano gli ubbriaconi, i maldicenti, i viziosi, che si gettano a corpo perduto nelle brutture, gli avari, che rubano in mille modi. No, M. F., non sono costoro i più tentati: questi il demonio li disprezza e non li molesta, per timore che non facciano tutto il male che egli vorrebbe; giacché più essi vivranno e maggior numero di anime i loro cattivi esempi trascineranno all’inferno. Infatti. se il demonio avesse stimolato con forti tentazioni quel vecchio vizioso, spingendolo in tal modo ad abbreviarsi la vita di quindici o vent’anni, egli non avrebbe tolto il fiore della verginità a quella giovinetta, immergendola nel fango più vergognoso dell’impudicizia; non avrebbe sedotto quella donna, insegnata la malizia a quel giovinetto, che nel male durerà forse fino alla morte. Se il demonio avesse spinto quel ladro a rubare ad ogni occasione, già da tempo avrebbe finito i suoi giorni sul patibolo e non avrebbe indotto il suo vicino a imitarlo. Se il demonio avesse tentato quell’ubbriacone a bere sempre senza misura, da lungo tempo egli sarebbe morto per le sue crapule; mentre avendo avuto prolungata l’esistenza, ha potuto indurre altri a rassomigliargli. Se il demonio avesse tolta la vita a quel sonatore, a quel promotore di balli, o a quell’oste, in una partita di divertimento o in altra occasione; quanti, senza di costoro, non si sarebbero perduti, e invece si danneranno! S. Agostino ci insegna che il demonio non li molesta troppo costoro, anzi li disprezza. – Ma, direte voi, chi sono i più tentati? Miei cari, ascoltatemi attentamente. I più tentati sono coloro che, con la grazia di Dio, sono pronti a sacrificar tutto per salvare la loro anima; e che rinunciano a tutto ciò che sulla terra è desiderato con tanta avidità. E costoro non sono tentati da un demonio solo, ma da migliaia, che si rovesciano su di essi per farli cadere nei loro lacci. Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia che san Francesco d’Assisi stava con tutti i suoi religiosi in un gran campo, dove aveva costrutte piccole capanne di giunco. Vedendo che i suoi frati facevano penitenze assai straordinarie, san Francesco ordinò loro di raccogliere tutti i cilizi, e se ne fecero parecchi mucchi. V’era un giovane, a cui Dio in quel momento fece la grazia di poter vedere il suo Angelo custode. Da un lato vedeva quei buoni religiosi che non sapevano stancarsi di far penitenza, dall’altro il suo Angelo custode gli fece vedere un’accolta di diciotto mila demoni, che tenevano consiglio per trovar modo di far cadere quei religiosi con la tentazione. Ce ne fu uno che disse: “Voi non capite nulla. Questi frati sono così umili, così distaccati da se medesimi, così uniti a Dio, hanno un superiore il quale li guida sì bene, che è impossibile poterli vincere: aspettiamo che il superiore sia morto; allora cercheremo di farvi entrare giovani senza vocazione, che vi porteranno il rilassamento, e a questa maniera saranno nostri.„ Un po’ più lontano, all’ingresso della città, vide un demonio solo che stava seduto presso la porta per tentare quelli che erano dentro. Quel santo giovane domandò al suo Angelo custode, perché a tentare quei religiosi vi erano tante migliaia di demoni, mentre per un’intera città ve n’era un solo, e per giunta se ne stava seduto? E l’Angelo gli rispose che le persone del mondo non avevano neppur bisogno di tentazione, perché da se stesse si lasciavano andare al male; mentre i religiosi rimanevano fermi nel bene, malgrado tutti gli agguati del demonio e tutta la guerra che poteva contro di essi ingaggiare. – Ed ora, eccovi, F. M., la prima tentazione che il demonio muove a chi si è messo a servire meglio il Signore: il rispetto umano. Per tal guisa questa persona non ha più il coraggio di mostrarsi; si nasconde a quelli coi quali si era prima divertita; se le si dice che ha fatto un gran cambiamento, ne prova vergogna. Il pensiero di ciò che diranno gli altri l’angustia sempre, e la riduce a non aver più la forza di fare il bene dinanzi al mondo. Se il demonio non può vincerla col rispetto umano, fa nascere in lei uno straordinario timore: che le sue confessioni non sono ben fatte, che il confessore non la conosce, che ella potrà ben adoperarsi, ma si dannerà ugualmente, che per lei, il lasciar tutto o continuare la sua via, vale lo stesso, giacché ha troppe occasioni di cadere. Perché mai avviene, o F. M.. che una persona quando non pensa a salvare l’anima propria e vive nel peccato, non è affatto tentata? mentre appena vuol mutar vita, cioè desidera di tornare a Dio, tutto l’inferno le si rovescia addosso? – Sentite ciò che insegna S. Agostino: “Ecco, egli dice, come si comporta il demonio col peccatore; egli agisce alla guisa stessa di un carceriere, il quale tiene parecchi prigionieri chiusi in carcere, ma avendo la chiave in tasca, non si dà cura di loro, persuaso che essi non possono fuggire. Così fa il demonio con un peccatore, che non pensa a uscire dal suo peccato; non si dà briga di tentarlo — sarebbe questo tempo perso, perché quello sventurato non solo non pensa ad abbandonare il peccato, ma rende sempre più pesanti le sue catene. Sarebbe dunque cosa inutile il tentarlo, e lo lascia vivere in pace; se pure è possibile goder pace quando si è in peccato. Gli nasconde, quanto può, il suo stato fino all’ora della morte, e in quel momento lavora a fargli la più spaventosa descrizione della sua vita, per piombarlo nella disperazione. Ma con una persona che ha risolto di cambiar vita e di darsi a Dio, egli usa un contegno ben diverso. „ Finché S. Agostino menò una vita disordinata, egli quasi non conobbe che cosa fosse la tentazione. Si credeva in pace, come racconta egli medesimo; ma dal momento che stabilì di voltare le spalle al demonio dovette lottare con esso con ogni accanimento durante cinque anni, usando contro di lui le lagrime più amare e le penitenze più austere. – Mi dibattevo con esso, egli scrive, oppresso dalle mie catene. Oggi mi credevo vincitore, domani giacevo steso a terra. Questa guerra crudele ed accanita durò cinque anni. Pure Dio mi fece la grazia di superare il nemico. Rammentate altresì le lotte che ebbe a sopportare S. Gerolamo, quando volle consacrarsi a Dio e risolvette di visitare la Terra Santa. Vivendo in Roma egli aveva concepito il desiderio di lavorare alla propria salvezza: perciò, lasciata quella città andò a seppellirsi in un orrido deserto per darsi liberamente a tutto ciò che il suo amore per Iddio poteva suggerirgli. E il demonio, che prevedeva quante conversioni quella risoluzione generosa avrebbe prodotte, sembrò scoppiare di dispetto e non gli risparmiò alcuna tentazione. Io penso che nessun altro santo sia stato tentato più fortemente di lui. Ecco come si esprimeva scrivendo a persona amica: “Mio caro, voglio mettervi a conoscenza delle mie afflizioni e dello stato a cui il demonio vuol ridurmi. Quante volte in questa solitudine, resa insopportabile dall’ardore del sole, quante volte il ricordo dei piaceri di Roma è venuto ad assalirmi; il dolore e l’amarezza, di cui l’anima mia è ricolma, mi fanno versare giorno e notte torrenti di lacrime. Mi nascondo nei luoghi più remoti per lottare contro le tentazioni e piangere i miei peccati. Il mio corpo è tutto sfigurato e coperto di ruvido cilicio. Mio letto è la nuda terra, ed anche nelle malattie radici ed acqua formano il mio nutrimento. E non ostante questi rigori, la mia carne risente ancora le impressioni dei piaceri che disonorano Roma; la mia memoria ritorna ancora fra quelle gioviali compagnie, fra le quali ho tanto offeso Dio. In questo deserto, al quale mi sono volontariamente condannato per evitare l’inferno, fra queste rocce tetre, dove sono unica mia compagnia gli scorpioni e le bestie feroci, malgrado tutto l’orrore che mi circonda e mi spaventa, la fantasia mi riscalda di fuoco impuro il corpo già presso a morire; il demonio osa ancora offrirmi piaceri da godere. Vedendomi così umiliato da tentazioni, il cui solo pensiero mi fa morire di orrore, non sapendo più a quale penitenza assoggettare il mio corpo per tenerlo attaccato a Dio; mi getto a terra, a’ pie del mio Crocifisso, irrigandolo di lacrime; e, quando non posso più piangere, afferro una pietra, mi batto il petto fino a far uscire sangue dalla bocca; e invoco misericordia, fintantoché il Signore abbia pietà di me. Chi potrà comprendere in quale stato infelice io mi trovo, io che desidero ardentemente di piacere a Dio e di non amare che lui solo? Vedendomi continuamente eccitato a offenderlo, quale dolore ne risento! Soccorretemi, amico caro, con l’aiuto delle vostre preghiere; perché io sia più valente a respingere il demonio, che ha giurato di perdermi eternamente.„ (Epist. 22 ad Eustoch.). – Ecco, F. M., i combattimenti ai quali Dio permette che i grandi Santi siano sottoposti. Ah! miei cari, siamo ben degni di compassione, se non siamo aspramente combattuti dal demonio. Stando alle apparenze dovremmo dire che siamo amici del demonio; egli ci lascia vivere in una falsa pace, ci ha addormentati col pretesto che abbiamo fatto qualche buona preghiera, alcune elemosine e che abbiamo fatto meno male di tanti altri. Infatti, se voi chiedete a quell’assiduo frequentatore d’osterie, se il demonio lo tenta; vi risponde semplicemente di no, e che nulla lo inquieta. Domandate a quella giovane vanitosa, quali assalti le muove il demonio; ella ridendo vi risponderà: Nessuno; e vi dirà che ella non sa che cosa voglia dire essere tentata. Ecco, F. M., qual è la tentazione di tutte più terribile: il non essere tentati; ecco la condizione di coloro che il demonio tiene in serbo per l’inferno. E se non credessi di essere troppo audace, potrei anche dirvi che il demonio si guarda bene dal tentarli o dal disturbarli, riguardo alla loro vita passata, per timore che aprano gli occhi sui loro peccati. Ripeto dunque, F. M., che la maggiore sventura per un Cristiano è il non essere tentato, perché c’è motivo di credere che il demonio lo consideri come cosa sua, e aspetti soltanto la morte per trascinarlo nell’inferno. Ed è facile capirlo. Osservate un Cristiano che si dà qualche pensiero della sua salvezza: tutto ciò che lo attornia è per lui stimolo al male; spesso non può nemmeno levar gli occhi senza sentirsi tentato, non ostante le sue preghiere e le sue austerità; invece un vecchio peccatore, che forse da vent’anni s’avvoltola e si trascina nelle lordure, vi affermerà che non è tentato. Tanto peggio, o cari, tanto peggio. Questo deve appunto farvi tremare: il non conoscere le tentazioni; perché il dire che non siete tentati, è come se diceste che il demonio non c’è più, o che ha perduto tutta la sua rabbia contro i Cristiani. “Se voi non avete tentazioni, dice S. Gregorio, questo avviene perché i demoni sono vostri amici, vostra guida e vostri pastori; ora vi lasciano passare in pace la vostra povera vita, alla fine dei vostri giorni vi trascineranno negli abissi. „ S. Agostino ci dice che la più grande tentazione è quella di non avere tentazioni — perché è lo stesso che essere riprovato, abbandonato da Dio e lasciato alla mercè delle proprie passioni.

II. — Ho detto in secondo luogo che la tentazione ci è assolutamente necessaria per mantenerci umili e diffidenti di noi stessi, e per obbligarci a ricorrere a Dio. Leggiamo nella storia che un solitario, essendo estremamente tentato, il Superiore gli disse: “Volete che preghi Iddio perché vi liberi dalle vostre tentazioni? No, padre, rispose il monaco, questo fa sì che io non perda mai la presenza di Dio; giacché io ho sempre bisogno di ricorrere a Lui, perché m’aiuti a lottare. „ Frattanto, o F. M., possiamo dire che, quantunque sia umiliante l’essere tentati, pure è segno certo che siamo sulla strada del cielo. Non ci rimane che una cosa da fare: combattere con coraggio, perché la tentazione è tempo di raccolta; ed eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che una santa era da così gran tempo tormentata dal demonio, che si credeva dannata. Iddio le apparve per consolarla, e le disse che ha maggiormente guadagnato meriti durante quella prova, che non in tutto il resto di sua vita. S. Agostino ci dice che, senza le tentazioni, tutto ciò che facciamo avrebbe scarso merito. Invece di affliggerci quando siamo tentati, dobbiamo ringraziare il Signore, e lottare con coraggio, perché siamo sicuri d’essere sempre vittoriosi. Mai Dio permetterà al demonio di tentarci al disopra delle nostre forze. – Una cosa certa poi, o F. M., è questa: che noi dobbiamo, cioè, aspettare che la tentazione finisca con la nostra morte. Il demonio, che è uno spirito, non si stanca mai; dopo averci tentato, durante cento anni, egli è ancora così forte e così furioso come se ci assalisse la prima volta. Non dobbiamo assolutamente credere di poter vincere il demonio e fuggirlo in modo da non essere più tentati; poiché il grande Origene dice che i demoni sono assai più numerosi degli atomi che volteggiano nell’aria e delle gocce d’acqua che compongono il mare; il che vuol significare che sono sterminati di numero. S. Pietro ci dice: “Vigilate continuamente perché il demonio si aggira attorno a voi, come un leone, cercando alcuno da divorare. „ (I Piet. V, 8) E Gesù Cristo in persona ci dice: “Pregate senza interruzione per non cedere alla tentazione „ (Matt. XXVI, 41), il che vuol dire che il demonio ci aspetta dappertutto. Inoltre dobbiamo attenderci d’essere tentati in qualunque luogo e in qualunque stato ci troviamo. Vedete quel sant’uomo, che era tutto coperto di piaghe e quasi fetente: il demonio non cessò di tentarlo per corso di sette anni: S. Maria Egiziaca fu tentata per diciannove anni; S. Paolo per tutta la sua vita, cioè dal momento in cui si convertì a Dio. S. Agostino per consolarci dice che il demonio è un cane legato alla catena, che abbaia, fa gran rumore, ma non morde se non coloro che gli si accostano troppo. Un santo sacerdote trovò un giovane molto agitato e gli chiese perché s’inquietasse così: “Padre mio, rispose, temo di essere tentato e di soccombere. — Vi sentite tentato? soggiunse il sacerdote; fate un segno di croce, elevate il cuore a Dio ; se il demonio continua, continuate anche voi, e sarete sicuro di non macchiare l’anima vostra. „ Vedete ciò che fece S. Macario, il quale andando in cerca di ciò che gli occorreva per fare stuoie, incontrò per via un demonio con una falce infuocata che gli correva addosso quasi per ucciderlo. S. Macario, senza scomporsi, alzò il cuore a Dio. E il demonio andò in sì gran furore che esclamò: “Ah! Macario quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare. Però quello che tu fai lo faccio anch’io; se tu vegli, io non dormo punto; se tu digiuni, io non mangio mai; una cosa sola tu hai e della quale io manco. Il santo gli domandò che cosa fosse; e il demonio dopo avergli risposto: l’umiltà; sparì.„ Sì, F. M., pel demonio l’umiltà è una virtù formidabile. Perciò vediamo che S. Antonio, quando era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente, dicendo al Signore: – Mio Dio, abbiate pietà di questo grande peccatore: e il demonio prendeva la fuga.

III. — Ho detto in terzo luogo che il demonio si scatena contro quelli, che hanno veramente a cuore la loro salvezza, e li perseguita continuamente, accanitamente; sempre nella speranza di vincerli. Eccovene un bell’esempio. Si racconta che un giovane solitario, già da parecchi anni aveva lasciato il mondo per non pensare che a salvare l’anima sua. Il demonio concepì contro di lui per questa risoluzione tale furore che quel giovane credette di essere vicino a precipitare nell’inferno. Cassiano, che riferisce il fatto, racconta che il solitario, essendo tormentato da tentazioni impure, dopo molte lacrime e penitenze, pensò di andare a visitare un vecchio monaco, per averne consolazione; sperando che gli suggerirebbe rimedi per meglio vincere il nemico; e specialmente per raccomandarsi alle sue preghiere. Ma la cosa ebbe ben diverso risultato. Quel vecchio, che aveva passata quasi tutta la sua vita senza lotte, invece di consolare il giovane solitario, mostrò grandissima sorpresa ascoltando il racconto delle sue tentazioni, lo rimproverò aspramente, gli rivolse parole dure, chiamandolo infame, sciagurato, e dicendogli che era indegno del nome di solitario, perché gli accadevano simili cose. Il povero giovane se ne andò così desolato che si credette perduto e dannato; e s’abbandonò alla disperazione. Diceva tra sé: “Giacché sono dannato, non v’è bisogno ch’io resista o combatta; m’abbandonerò a tutto quello che il demonio vorrà; eppure Dio sa che io ho lasciato il mondo unicamente per amare Lui e salvare l’anima mia. Perché, o Signore, esclamava egli nella sua disperazione, mi avete dato così poche forze? Sapete eh? Voglio amarvi, che sento tanto dispiacere e rammarico di disgustarvi, perché dunque non mi date la forza, perché lasciate che io debba cadere? Giacché per me tutto è perduto, e non ho più mezzo di salvarmi, tornerò nel mondo. „ – Mentre così disperato era in procinto di abbandonare il suo ritiro, Dio fece conoscere lo stato dell’anima sua ad un santo abate, di nome Apollo, che godeva grande fama di santità. Questi gli andò incontro, e vedendolo così turbato, fattosi vicino a lui, con grande dolcezza gli chiese che cosa avesse e quale fosse la causa del suo turbamento e della tristezza che gli appariva in volto. Ma il povero giovane era così profondamente concentrato ne’ suoi pensieri, che non rispose nulla. Il santo abate che vedeva l’agitazione dell’anima di lui lo sollecitò tanto perché gli confidasse che cosa lo agitava, per qual motivo egli era uscito dalla sua solitudine, e qual fosse lo scopo del suo viaggio, che il giovane vedendo come il suo stato fosse palese a quel santo abate, sebbene egli lo celasse quanto poteva, versando lagrime in grande abbondanza, e mandando singhiozzi i più commoventi, gli rispose: Torno al mondo perché sono dannato: io non ho più speranza di potermi salvare. Sono stato a trovare un vecchio religioso ed egli è rimasto scandalizzato della mia vita. Giacché io sono tanto sventurato da non poter piacere a Dio, ho deciso di abbandonare la mia solitudine per ritornare al mondo, dove mi abbandonerò a tutto ciò che il demonio vorrà. Eppure ho sparso tante lacrime, perché non vorrei offendere Dio. Volevo salvarmi; facevo volentieri penitenza; ma non ho forza abbastanza e non andrò più innanzi. „ Il santo abate ascoltandolo parlare e vedendolo piangere così, gli rispose mescolando a quelle del giovane le sue lacrime: “Amico mio, ma non vedete che ben lungi dall’aver offeso Dio, voi, al contrario, perché siete a Lui accetto, siete stato così fortemente tentato? Consolatevi, mio caro, e ripigliate coraggio; il demonio vi crederà vinto, ma invece voi lo vincerete; tornate, almeno fino a domani, nella vostra cella. Non perdete il coraggio: io stesso sono al pari di voi tentato ogni giorno. Non dobbiamo contare sulle nostre forze, ma sulla misericordia di Dio: vi aiuterò a vincere pregando con voi. Amico mio, il Signore è tanto buono che non ci abbandona al furore dei nostri nemici senza darci la forza per vincerli; è Dio, sapete, che mi manda per dirvi di non perdervi di coraggio, che sarete liberato. „ Il povero giovane tutto consolato, tornò alla sua solitudine abbandonandosi fra le braccia della misericordia divina ed esclamando: “Credevo, o Signore, che voi vi foste ritirato per sempre da me. „ – Frattanto Apollo va vicino alla cella del vecchio monaco, che aveva così male accolto il povero giovane, e si prostra colla faccia a terra dicendo: “Signore, mio Dio, voi conoscete le nostre debolezze, liberate, vi prego, quel giovane dalle tentazioni che lo scoraggiano; voi vedete le lacrime che egli ha sparso pel dolore che aveva di avervi offeso! Fate che questa tentazione passi nello spirito di questo vecchio monaco, perché impari ad avere pietà di quelli, che voi permettete che siano tentati. „ Appena finita la preghiera, vide il demonio sotto la forma di un orrido moretto che lanciava una freccia di fuoco impuro contro la cella del vecchio, il quale, appena ne fu tocco, cadde in una agitazione spaventosa e incessante. Si alzò, uscì, rientrò. Dopo aver fatto per lungo tempo così, pensando che non potrebbe mai vincere, imitò l’esempio del giovane solitario e prese la risoluzione di tornare nel mondo. Essendogli impossibile di resistere al demonio, disse addio alla sua cella e partì. Il santo abate che lo teneva d’occhio senza che egli se n’accorgesse, — Iddio gli aveva ratto conoscere che la tentazione del giovane era passata nello spirito del vecchio, — accostatoglisi, gli domandò dove andasse e perché mai, dimenticando la gravità propria dell’età sua, si mostrasse così agitato; certamente egli aveva qualche inquietudine sulla salvezza dell’anima sua. Il vegliardo s’avvide che Dio gli aveva fatto conoscere ciò che passava dentro il suo spirito. “Tornate indietro, gli disse il santo, e non dimenticate che questa tentazione vi ha assalito nella vostra vecchiaia, perché impariate a compatire le debolezze dei vostri fratelli e a consolarli. Voi avevate scoraggiato quel povero giovane, che era venuto a confidarvi le sue pene; invece di consolarlo eravate in procinto di farlo cadere nella disperazione; senza una grazia straordinaria sarebbe stato perduto. Sapete perché il demonio aveva mosso a quel povero giovane una guerra così crudele e accanita? Perché vedeva in lui grandi disposizioni per la virtù, ciò che gli cagionava una profonda gelosia ed invidia, e perché una virtù così costante non poteva essere vinta che da tentazione assai forte e violenta. Imparate ad aver compassione degli altri ed a stender loro la mano per non lasciarli cadere. Se il demonio vi ha lasciato tranquillo, durante tanti anni di solitudine, questo è avvenuto perché egli vedeva in voi poco di buono; invece di tentarvi, vi disprezza.„ Da questo esempio vediamo che invece di scoraggiarci nelle tentazioni, dobbiamo consolarci ed anche rallegrarcene, poiché sono tentati soltanto quelli, i quali colla loro maniera di vivere, il demonio prevede si guadagneranno il cielo. D’altra parte, o M. F., dobbiamo essere ben persuasi, che è impossibile di piacere a Dio e salvare l’anima senza essere tentati. Vedete Gesù Cristo; dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti fu egli pure tentato e trasportato dal demonio due volte; Egli che era la santità in persona. Non so, o F . M., se voi capite bene che cosa sia tentazione. La tentazione non è soltanto un cattivo pensiero di impurità, d’odio e di vendetta che bisogna cacciar via; ma sono pure tentazioni tutte le molestie che ci assalgono, come una malattia in cui ci sentiamo portati a lamentarci, una calunnia che ci strazia, un’ingiustizia commessa a nostro danno, la perdita dei beni, del padre, della madre, d’un figliuolo. Se non ci sottomettiamo di buon animo alla volontà di Dio, cediamo alla tentazione, perché il Signore vuole che sopportiamo tutte queste prove per amor suo; e d’altra parte il demonio fa ogni sforzo per farci mormorare contro Dio. Ed ora eccovi quali sono le tentazioni, che bisogna maggiormente temere, e che conducono a rovina un numero di anime più grande di quel che si creda: sono quei piccoli pensieri di amor proprio, di stima di noi stessi; quei piccoli applausi a tutto quel che facciamo, e a ciò che si dice di noi: noi ravvolgiamo tutto questo nella nostra mente, amiamo vedere le persone alle quali abbiamo fatto del bene, amiamo che pensino a noi e abbiano un buon concetto di noi: ci è caro che qualcheduno si raccomandi alle nostre preghiere, e ci diamo premura di sapere se hanno ottenuto quello che abbiamo domandato a Dio per essi. Sì, M. F., ecco una delle più ardue tentazioni, e su di essa dobbiamo attentamente vegliare, perché il demonio è astuto; e chiedere ogni mattina a Dio la grazia di essere bene attenti ogni volta che il demonio verrà a tentarci. Perché sì spesso facciamo il male, e vi pensiamo solo dopo che l’abbiamo commesso? – Perché al mattino non abbiamo domandato questa grazia o l’abbiamo domandata male. In fine, o M. F., dobbiamo combattere energicamente, e, non come siamo soliti fare, buttando un bel no in faccia al demonio e nello stesso tempo stendendogli la mano. Mentre S. Bernardo, che si trovava in viaggio, stava riposando in una camera, di notte, una donna di vita allegra venne a fargli visita per sollecitarlo a peccato, — subito egli si mise a gridare “ai ladri „ e quella spudorata fu costretta a ritirarsi. Ritornò per ben tre volte, ma fu ignominiosamente cacciata. Vedete S. Martiniano che una donna di mala vita venne a tentare, S. Tommaso d’Aquino, al quale fu mandata in camera una giovane per farlo cadere: per liberarsene i due santi si appigliarono allo stesso espediente; preso un tizzone acceso le rincorsero e le obbligarono subito a fuggire vergognosamente. Lo stesso S. Bernardo sentendosi tentato andò a immergersi fino alla gola in uno stagno gelato. S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, si avvoltolarono fra le spine. S. Macario d’Alessandria andò in un padule, ove era una gran quantità di vespe, le quali gli si misero attorno e ridussero il suo corpo simile a quello di un lebbroso. Tornato al convento, il superiore che lo riconosceva soltanto dalla voce, gli chiese perché mai si fosse ridotto in quello stato. “Perché, egli rispose, il mio corpo voleva rovinare la mia anima, io l’ho ridotto in questa condizione. „ – Che cosa dobbiamo dunque concludere da tutto questo, F. M.? Eccolo: 1° Di non credere che noi saremo, in un modo o nell’altro liberati dalle tentazioni, fino a che vivremo; e per conseguenza dobbiamo risolvere di combattere fino alla morte. 2° Quando siamo tentati ricorriamo subito a Dio per tutto il tempo in cui la tentazione dura; il demonio continua a tentar perché spera sempre di poterci guadagnare. 3° Fuggiamo, per quanto è possibile tatto ciò che può indurci in tentazione; e non perdiamo mai di vista che gli angeli cattivi furono tentati una sol volta e che dalla tentazione precipitarono nell’inferno. Bisogna avere una grande umiltà, ed essere ben persuasi che, da soli, ci è impossibile di non soccombere e che, unicamente aiutati dalla grazia di Dio, non cadremo. Fortunato colui, o F . M., che all’ora della sua morte, potrà ripetere come S. Paolo: “Ho combattuto valorosamente, ma, colla grazia di Dio, ho vinto: perciò aspetto la corona di gloria che Dio dà a coloro che gli furono fedeli fino alla morte. „ (II Tim, IV, 18). E questa la felicità…

 Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XC: 4-5:

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Secreta

Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus temperémus.

[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XC: 4-5

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Postcommunio

Orémus.

Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium.

[Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo Sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLE TENTAZIONI

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. II, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulle tentazioni.

Jesus ductus est in desertum a Spiritu, ut tentaretur a diabolo.

(MATTH. IV, 1).

Che Gesù Cristo, Fratelli miei, abbia scelto il deserto per farvi orazione, non deve recarci meraviglia; la solitudine era la sua delizia! che poi lo Spirito Santo ve lo abbia condotto, questo deve sorprenderci ancor meno; giacché il Figlio di Dio non poteva avere altra guida che lo Spirito Santo. Ma che sia stato tentato dal demonio; che più volte sia stato portato da questo spirito delle tenebre, chi oserebbe crederlo se non fosse Gesù Cristo medesimo che ce lo dice per bocca di S. Matteo? Eppure, o M. F., anziché fare meraviglie, noi dovremmo invece rallegrarci e ringraziare senza fine il nostro buon Salvatore, che volle essere tentato solo per meritarci vittoria nelle nostre tentazioni. Quanto siamo fortunati, o F. M.! Dal giorno in cui il nostro caro Salvatore si è sottoposto alla tentazione, per vincere le nostre, a noi non manca altro che la buona volontà. – Ecco, M. F., i grandi vantaggi che noi ricaviamo dalla tentazione del Figliuol di Dio. Ed ecco l’argomento mio; vorrei dimostrarvi:

1° Che la tentazione ci è assai necessaria per farci conoscere ciò che siamo;

2° Che noi dobbiamo temere molto le tentazioni; perché il demonio è assai furbo e astuto; e perché una sola tentazione può bastare a piombarci nell’inferno, se noi abbiamo la disgrazia di acconsentirvi;

3° Che dobbiamo combattere fortemente sino alla fine; perché solo a questa condizione conquisteremo il cielo.

Se io volessi provarvi, o F. M., che esistono i demoni e che essi ci tentano, bisognerebbe pensare ch’io parlassi a un popolo idolatra o pagano, o almeno a Cristiani avvolti nella più profonda e deplorevole ignoranza; bisognerebbe dire ch’io sono convinto che voi non avete mai studiato il catechismo. Quando fanciulli vi si domandava: Tutti gli angeli sono rimasti fedeli a Dio? Non è vero che voi tosto rispondevate: No; una parte si è ribellata a Dio, è stata cacciata dal paradiso e precipitata nell’inferno? E quando si continuava a chiedervi: Che cosa fanno gli angeli ribelli? Subito, non è vero, che soggiungevate: Essi lavorano a tentare gli uomini, e fanno ogni sforzo per trascinarli al male? Ma io possiedo di questa verità altre prove, e ancor più convincenti. Voi sapete che fu il demonio che tentò i nostri progenitori nel paradiso terrestre, dove riportò la prima vittoria, vittoria che lo rese così ardito e orgoglioso. – Fu il demonio che tentò Caino e lo trascinò a uccidere il fratello Abele. Nell’antico Testamento leggiamo che il Signore disse al demonio: “Donde vieni? „ ed esso rispose: “Ho fatto il giro del mondo; „ (Job. I, 7) prova ben chiara è questa, o M. F., che il demonio gira la terra a fine di tentarci. Leggiamo nel Vangelo che Maddalena avendo confessato a Gesù Cristo i suoi peccati, uscirono da lei sette demoni (Luc. VIII, 2). Vediamo altresì in altro luogo del Vangelo che lo spirito immondo, uscito da un uomo, esclama: “Vi tornerò con altri demoni peggiori di me. „ (Ibid. VI, 26). Ma non è questo, F. M., che vi è più necessario di sapere; di tutto ciò nessuno di voi dubita. Quello che a voi maggiormente gioverà, si è conoscere in qual maniera il demonio possa tentarvi. Per ben persuadervi della necessità di respingere le tentazioni, domandate a tutti i Cristiani dannati, perché mai si trovino nell’inferno, essi che erano creati pel cielo: e ad una voce vi risponderanno che, essendo stati tentati, hanno accondisceso alla tentazione. Domandate pure a tutti i Santi che regnano in cielo, che cosa ha procurato loro tanta felicità, e tutti vi soggiungeranno: Fu perché, essendo tentati, abbiamo, con la grazia di Dio, resistito alla tentazione e disprezzato il tentatore. Ma chiederete, forse: Che cosa è dunque la tentazione? Eccolo, miei cari; ascoltate bene, e vedrete e intenderete. Siete tentati ogni volta che vi sentite portati a fare una cosa che Dio proibisce, o a non compiere ciò che Egli comanda. Dio vuole che facciate bene le vostre preghiere, mattina e sera, in ginocchio, con devozione. Dio vuole che passiate santamente il giorno della Domenica nella preghiera, cioè assistendo a tutte le funzioni (A tutte le funzioni, cioè alla Messa, è un precetto della Chiesa, e alle altre funzioni, il Vespro, la spiegazione della dottrina cristiana, pratiche consigliate e utili assai) e astenendovi da ogni lavoro. Dio vuole che i figli abbiano grande rispetto pel padre e per la madre, e i servi pei loro padroni. Dio vuole che amiate tutti e facciate del bene a tutti, anche ai vostri nemici; che non mangiate carne nei giorni proibiti; che vi diategrande premura di apprendere i vostri doveri; che perdoniate sinceramente a chi vi ha fatto qualche torto. Dio vuole che non pronunciate mai bestemmie, maldicenze, calunnie, parole sconce; che non facciate mai cose brutte. Questo lo capite facilmente. Ebbene. Se non ostante che il demonio vi tenti di fare ciò che Dio proibisce, voi non lo fate, vuol dire che non cedete alla tentazione; se invece lo fate, allora acconsentite e soccombete. – Sapete, o F . M., perché il demonio lavora con tanto furore per trascinarci al male? Perché non potendo offendere Dio egli stesso, vuol farlo offendere dalle altre creature. Ma quanto siamo fortunati noi, o M. F.! Che bella sorte è la nostra di avere per nostro modello un Dio! Se siamo poveri, abbiamo per modello un Dio che nasce in una stalla ed è adagiato in una mangiatoia su di un po’ di paglia. Se siamo disprezzati, abbiamo per modello un Dio che ci precede, coronato di spine, coperto d’un vile manto di porpora e trattato da pazzo. Se soffriamo, abbiamo per modello un Dio tutto coperto di piaghe che muore della morte più dolorosa che mai possa immaginarsi. Se siamo perseguitati, oseremo noi lamentarci, o M. F., noi che abbiamo per modello un Dio che muore pe’ suoi carnefici? E se siamo tentati dal demonio, noi abbiamo per modello il nostro amabile Redentore, che fu tentato dal demonio e due volte trasportato da questo spirito infernale. Sicché, o M. F., in qualunque stato di sofferenze, di pene o di tentazioni ci sia dato trovarci, dovunque e sempre, abbiamo il nostro Dio che ci precede e ci assicura la vittoria ogni volta che lo desideriamo. – Ecco, F . M., ciò che deve grandemente consolare il Cristiano: il pensiero che ogni qualvolta nella tentazione ricorrerà a Dio, sarà certo di non soccombere.

I. — Ho detto che la tentazione era a noi necessaria per farci conoscere che da noi stessi siamo nulla. S. Agostino ci insegna che dobbiamo ringraziare Dio pei peccati da cui ci ha preservati, come per quelli che ebbe la bontà di perdonarci. Abbiamo così spesso la disgrazia di cadere nei lacci del demonio, perché confidiamo troppo nelle nostre risoluzioni e nelle nostre promesse, e non abbastanza in Dio. Ciò che è verissimo. Quando nulla ci affanna e tutto va a seconda dei nostri desideri, noi osiamo credere che nulla sarà capace di farci cadere; dimentichiamo il nostro nulla, la nostra povertà e debolezza; facciamo le più belle proteste d’essere pronti a morire piuttosto che lasciarci vincere. Ne abbiamo un esempio in S. Pietro, che diceva al Signore: “Quand’anche tutti gli altri vi rinnegassero, io non lo farò mai„ (Matt. XXVI, 33). Ahimè! Dio per mostrargli quanto poca cosa è l’uomo, abbandonato a se stesso, non ha adoperato né re né principi, né armi; ma si servì della voce d’una fantesca, che parlando non sembrava interessarsi troppo di lui. Poco prima si diceva pronto a morire per Gesù, ora afferma che non lo conosce, che non sa di chi gli si voglia parlare; e per meglio assicurare che non lo conosce, giura. – Mio Dio, di che cosa siamo capaci abbandonati a noi stessi! Vi sono certuni, i quali, a quanto dicono, sembrano invidiare i Santi, che han fatto grandi penitenze; e sono convinti di potere anch’essi fare altrettanto. Leggendo la vita dei martiri noi ci sentiamo pronti a soffrire ogni cosa per Iddio. Un breve istante di patire è subito passato, diciamo noi; poi viene un’eternità di ricompensa. E che fa il buon Dio, perché ci possiamo conoscere un poco, o meglio, per mostrarci che noi siamo nulla? Eccovelo: permette al demonio di accostarsi un po’ più a noi. E allora osservate quel Cristiano, che poco fa sembrava portare invidia ai solitari che si cibano di radici e d’erbe, e che risolveva di trattare sì duramente il suo corpo; ohimè! un leggero dolor di capo, una puntura di spillo gli cava lamenti, per un nonnulla, si affligge e strilla. Poco fa avrebbe voluto fare tutte le penitenze degli anacoreti, ed ora per una cosa da nulla si dispera. Osservate quest’altro che sembra pronto a dare pel Signore la sua vita; i più duri tormenti non parrebbero capaci di arrestarlo; invece una piccola maldicenza, una calunnia, un trattamento alquanto freddo, un leggero torto ricevuto, un beneficio ricambiato con ingratitudine fanno sorgere tosto nel suo animo sentimenti di odio, di vendetta, d’avversione, a tal segno, spesse volte, che non vuol più fermare il suo sguardo su chi lo ha offeso, o almeno lo guarda con freddezza, con un occhio il quale mostra chiaro ciò che egli porta in cuore. E quante volte svegliandosi di notte questo è il suo primo pensiero, pensiero che non lo lascia dormire. Ah! M. F., come è vero che noi siamo poca cosa e che dobbiamo fare ben poco assegnamento sulle nostre belle risoluzioni! Voi vedete dunque ora quanto sia necessaria la tentazione per persuaderci del nostro nulla, e perché l’orgoglio non finisca di dominarci. Sentite che cosa diceva S. Filippo Neri. Considerando egli quanto siamo deboli e nel pericolo di perderci ad ogni momento, così supplicava il buon Dio piangendo : “Mio Dio, tenetemi la vostra mano sul capo; voi sapete ch’io sono un traditore; voi conoscete quanto sono cattivo; se mi abbandonate un solo istante temo di tradirvi. „ Ma dentro di voi penserete, forse, che le persone più tentate siano gli ubbriaconi, i maldicenti, i viziosi, che si gettano a corpo perduto nelle brutture, gli avari, che rubano in mille modi. No, M. F., non sono costoro i più tentati: questi il demonio li disprezza e non li molesta, per timore che non facciano tutto il male che egli vorrebbe; giacché più essi vivranno e maggior numero di anime i loro cattivi esempi trascineranno all’inferno. Infatti se il demonio avesse stimolato con forti tentazioni quel vecchio vizioso, spingendolo in tal modo ad abbreviarsi la vita di quindici o vent’anni, egli non avrebbe tolto il fiore della verginità a quella giovinetta, immergendola nel fango più vergognoso dell’impudicizia; non avrebbe sedotto quella donna, insegnata la malizia a quel giovinetto, che nel male durerà forse fino alla morte. Se il demonio avesse spinto quel ladro a rubare ad ogni occasione, già da tempo avrebbe finito i suoi giorni sul patibolo e non avrebbe indotto il suo vicino a imitarlo. Se il demonio avesse tentato quell’ubbriacone a bere sempre senza misura, da lungo tempo egli sarebbe morto per le sue crapule; mentre avendo avuto prolungata l’esistenza, ha potuto indurre altri a rassomigliargli. Se il demonio avesse tolta la vita a quel sonatore, a quel promotore di balli, o a quell’oste, in una partita di divertimento o in altra occasione; quanti, senza di costoro, non si sarebbero perduti, e invece si danneranno! S. Agostino ci insegna che il demonio non li molesta troppo costoro, anzi li disprezza. – Ma, direte voi, chi sono i più tentati? Miei cari, ascoltatemi attentamente. I più tentati sono coloro che, con la grazia di Dio, sono pronti a sacrificar tutto per salvare la loro anima; e che rinunciano a tutto ciò che sulla terra è desiderato con tanta avidità. E costoro non sono tentati da un demonio solo, ma da migliaia, che si rovesciano su di essi per farli cadere nei loro lacci. Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia che san Francesco d’Assisi stava con tutti i suoi religiosi in un gran campo, dove aveva costrutte piccole capanne di giunco. Vedendo che i suoi frati facevano penitenze assai straordinarie, san Francesco ordinò loro di raccogliere tutti i cilizi, e se ne fecero parecchi mucchi. V’era un giovane, a cui Dio in quel momento fece la grazia di poter vedere il suo Angelo custode. Da un lato vedeva quei buoni religiosi che non sapevano stancarsi di far penitenza, dall’altro il suo Angelo custode gli fece vedere un’accolta di diciotto mila demoni, che tenevano consiglio per trovar modo di far cadere quei religiosi con la tentazione. Ce ne fu uno che disse: “Voi non capite nulla. Questi frati sono così umili, così distaccati da se medesimi, così uniti a Dio, hanno un superiore il quale li guida sì bene, che è impossibile poterli vincere: aspettiamo che il superiore sia morto; allora cercheremo di farvi entrare giovani senza vocazione, che vi porteranno il rilassamento, e a questa maniera saranno nostri.„ Un po’ più lontano, all’ingresso della città, vide un demonio solo che stava seduto presso la porta per tentare quelli che erano dentro. Quel santo giovane domandò al suo Angelo custode, perché a tentare quei religiosi vi erano tante migliaia di demoni, mentre per un’intera città ve n’era un solo, e per giunta se ne stava seduto? E l’Angelo gli rispose che le persone del mondo non avevano neppur bisogno di tentazione, perché da se stesse si lasciavano andare al male; mentre i religiosi rimanevano fermi nel bene, malgrado tutti gli agguati del demonio e tutta la guerra che poteva contro di essi ingaggiare. – Ed ora, eccovi, F. M., la prima tentazione che il demonio muove a chi si è messo a servire meglio il Signore: il rispetto umano. Per tal guisa questa persona non ha più il coraggio di mostrarsi; si nasconde a quelli coi quali si era prima divertita; se le si dice che ha fatto un gran cambiamento, ne prova vergogna. Il pensiero di ciò che diranno gli altri l’angustia sempre, e la riduce a non aver più la forza di fare il bene dinanzi al mondo. Se il demonio non può vincerla col rispetto umano, fa nascere in lei uno straordinario timore: che le sue confessioni non sono ben fatte, che il confessore non la conosce, che ella potrà ben adoperarsi, ma si dannerà ugualmente, che per lei, il lasciar tutto o continuare la sua via, vale lo stesso, giacché ha troppe occasioni di cadere. Perché mai avviene, o F. M.. che una persona quando non pensa a salvare l’anima propria e vive nel peccato, non è affatto tentata? mentre appena vuol mutar vita, cioè desidera di tornare a Dio, tutto l’inferno le si rovescia addosso? – Sentite ciò che insegna S. Agostino: “Ecco, egli dice, come si comporta il demonio col peccatore; egli agisce alla guisa stessa di un carceriere, il quale tiene parecchi prigionieri chiusi in carcere, ma avendo la chiave in tasca, non si dà cura di loro, persuaso che essi non possono fuggire. Così fa il demonio con un peccatore, che non pensa a uscire dal suo peccato; non si dà briga di tentarlo — sarebbe questo tempo perso, perché quello sventurato non solo non pensa ad abbandonare il peccato, ma rende sempre più pesanti le sue catene. Sarebbe dunque cosa inutile il tentarlo, e lo lascia vivere in pace; se pure è possibile goder pace quando si è in peccato. Gli nasconde, quanto può, il suo stato fino all’ora della morte, e in quel momento lavora a fargli la più spaventosa descrizione della sua vita, per piombarlo nella disperazione. Ma con una persona che ha risolto di cambiar vita e di darsi a Dio, egli usa un contegno ben diverso. „ Finché S. Agostino menò una vita disordinata, egli quasi non conobbe che cosa fosse la tentazione. Si credeva in pace, come racconta egli medesimo; ma dal momento che stabilì di voltare le spalle al demonio dovette lottare con esso con ogni accanimento durante cinque anni, usando contro di lui le lagrime più amare e le penitenze più austere. – Mi dibattevo con esso, egli scrive, oppresso dalle mie catene. Oggi mi credevo vincitore, domani giacevo steso a terra. Questa guerra crudele ed accanita durò cinque anni. Pure Dio mi fece la grazia di superare il nemico. Rammentate altresì le lotte che ebbe a sopportare S. Gerolamo, quando volle consacrarsi a Dio e risolvette di visitare la Terra Santa. Vivendo in Roma egli aveva concepito il desiderio di lavorare alla propria salvezza: perciò, lasciata quella città andò a seppellirsi in un orrido deserto per darsi liberamente a tutto ciò che il suo amore per Iddio poteva suggerirgli. E il demonio, che prevedeva quante conversioni quella risoluzione generosa avrebbe prodotte, sembrò scoppiare di dispetto e non gli risparmiò alcuna tentazione. Io penso che nessun altro santo sia stato tentato più fortemente di lui. Ecco come si esprimeva scrivendo a persona amica: “Mio caro, voglio mettervi a conoscenza delle mie afflizioni e dello stato a cui il demonio vuol ridurmi. Quante volte in questa solitudine, resa insopportabile dall’ardore del sole, quante volte il ricordo dei piaceri di Roma è venuto ad assalirmi; il dolore e l’amarezza, di cui l’anima mia è ricolma, mi fanno versare giorno e notte torrenti di lacrime. Mi nascondo nei luoghi più remoti per lottare contro le tentazioni e piangere i miei peccati. Il mio corpo è tutto sfigurato e coperto di ruvido cilicio. Mio letto è la nuda terra, ed anche nelle malattie radici ed acqua formano il mio nutrimento. E non ostante questi rigori, la mia carne risente ancora le impressioni dei piaceri che disonorano Roma; la mia memoria ritorna ancora fra quelle gioviali compagnie, fra le quali ho tanto offeso Dio. In questo deserto, al quale mi sono volontariamente condannato per evitare l’inferno, fra queste rocce tetre, dove sono unica mia compagnia gli scorpioni e le bestie feroci, malgrado tutto l’orrore che mi circonda e mi spaventa, la fantasia mi riscalda di fuoco impuro il corpo già presso a morire; il demonio osa ancora offrirmi piaceri da godere. Vedendomi così umiliato da tentazioni, il cui solo pensiero mi fa morire di orrore, non sapendo più a quale penitenza assoggettare il mio corpo per tenerlo attaccato a Dio; mi getto a terra, a’ pie del mio Crocifisso, irrigandolo di lacrime; e, quando non posso più piangere, afferro una pietra, mi batto il petto fino a far uscire sangue dalla bocca; e invoco misericordia, fintantoché il Signore abbia pietà di me. Chi potrà comprendere in quale stato infelice io mi trovo, io che desidero ardentemente di piacere a Dio e di non amare che lui solo? Vedendomi continuamente eccitato a offenderlo, quale dolore ne risento! Soccorretemi, amico caro, coll’aiuto delle vostre preghiere; perché io sia più valente a respingere il demonio, che ha giurato di perdermi eternamente.

„ (Epist. 22 ad Eustoch.). – Ecco, F. M., i combattimenti ai quali Dio permette che i grandi Santi siano sottoposti. Ah! miei cari, siamo ben degni di compassione, se non siamo aspramente combattuti dal demonio. Stando alle apparenze dovremmo dire che siamo amici del demonio; egli ci lascia vivere in una falsa pace, ci ha addormentati col pretesto che abbiamo fatto qualche buona preghiera, alcune elemosine e che abbiamo fatto meno male di tanti altri. Infatti se voi chiedete a quell’assiduo frequentatore d’osterie, se il demonio lo tenta; vi risponde semplicemente di no, e che nulla lo inquieta. Domandate a quella giovane vanitosa, quali assalti le muove il demonio; ella ridendo vi risponderà: Nessuno; e vi dirà che ella non sa che cosa voglia dire essere tentata. Ecco, F. M., qual è la tentazione di tutte più terribile: il non essere tentati; ecco la condizione di coloro che il demonio tiene in serbo per l’inferno. E se non credessi di essere troppo audace, potrei anche dirvi che il demonio si guarda bene dal tentarli o dal disturbarli, riguardo alla loro vita passata, per timore che aprano gli occhi sui loro peccati. Ripeto dunque, F. M., che la maggiore sventura per un Cristiano è il non essere tentato, perché c’è motivo di credere che il demonio lo consideri come cosa sua, e aspetti soltanto la morte per trascinarlo nell’inferno. Ed è facile capirlo. Osservate un Cristiano che si dà qualche pensiero della sua salvezza: tutto ciò che lo attornia è per lui stimolo al male; spesso non può nemmeno levar gli occhi senza sentirsi tentato, non ostante le sue preghiere e le sue austerità; invece un vecchio peccatore, che forse da vent’anni s’avvoltola e si trascina nelle lordure, vi affermerà che non è tentato. Tanto peggio, o cari, tanto peggio. Questo deve appunto farvi tremare: il non conoscere le tentazioni; perché il dire che non siete tentati, è come se diceste che il demonio non c’è più, o che ha perduto tutta la sua rabbia contro i Cristiani. “Se voi non avete tentazioni, dice S. Gregorio, questo avviene perché i demoni sono vostri amici, vostra guida e vostri pastori; ora vi lasciano passare in pace la vostra povera vita, alla fine dei vostri giorni vi trascineranno negli abissi. „ S. Agostino ci dice che la più grande tentazione è quella di non avere tentazioni — perché è lo stesso che essere riprovato, abbandonato da Dio e lasciato alla mercè delle proprie passioni.

II. — Ho detto in secondo luogo che la tentazione ci è assolutamente necessaria per mantenerci umili e diffidenti di noi stessi, e per obbligarci a ricorrere a Dio. Leggiamo nella storia che un solitario, essendo estremamente tentato, il Superiore gli disse: “Volete che preghi Iddio perché vi liberi dalle vostre tentazioni? No, padre, rispose il monaco, questo fa sì che io non perda mai la presenza di Dio; giacché io ho sempre bisogno di ricorrere a lui, perché m’aiuti a lottare. „ Frattanto, o F. M., possiamo dire che, quantunque sia umiliante l’essere tentati, pure è segno certo che siamo sulla strada del cielo. Non ci rimane che una cosa da fare: combattere con coraggio, perché la tentazione è tempo di raccolta; ed eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che una santa era da così gran tempo tormentata dal demonio, che si credeva dannata. Iddio le apparve per consolarla, e le disse che ha maggiormente guadagnato meriti durante quella prova, che non in tutto il resto di sua vita. S. Agostino ci dice che, senza le tentazioni, tutto ciò che facciamo avrebbe scarso merito. Invece di affliggerci quando siamo tentati, dobbiamo ringraziare il Signore, e lottare con coraggio, perché siamo sicuri d’essere sempre vittoriosi. Mai Dio permetterà al demonio di tentarci al disopra delle nostre forze. – Una cosa certa poi, o F. M., è questa: che noi dobbiamo, cioè, aspettare che la tentazione finisca con la nostra morte. Il demonio, che è uno spirito, non si stanca mai; dopo averci tentato, durante cento anni, egli è ancora così forte e così furioso come se ci assalisse la prima volta. Non dobbiamo assolutamente credere di poter vincere il demonio e fuggirlo in modo da non essere più tentati; poiché il grande Origene dice che i demoni sono assai più numerosi degli atomi che volteggiano nell’aria e delle gocce d’acqua che compongono il mare; il che vuol significare che sono sterminati di numero. S. Pietro ci dice: “Vigilate continuamente perché il demonio si aggira attorno a voi, come un leone, cercando alcuno da divorare. „ (I Piet. V, 8) E Gesù Cristo in persona ci dice: “Pregate senza interruzione per non cedere alla tentazione „ (Matt. XXVI, 41), il che vuol dire che il demonio ci aspetta dappertutto. Inoltre dobbiamo attenderci d’essere tentati in qualunque luogo e in qualunque stato ci troviamo. Vedete quel sant’uomo, che era tutto coperto di piaghe e quasi fetente: il demonio non cessò di tentarlo per corso di sette anni: S. Maria Egiziaca fu tentata per diciannove anni; S. Paolo per tutta la sua vita, cioè dal momento in cui si convertì a Dio. S. Agostino per consolarci dice che il demonio è un cane legato alla catena, che abbaia, fa gran rumore, ma non morde se non coloro che gli si accostano troppo. Un santo sacerdote trovò un giovane molto agitato e gli chiese perché s’inquietasse così: “Padre mio, rispose, temo di essere tentato e di soccombere. — Vi sentite tentato? soggiunse il sacerdote; fate un segno di croce, elevate il cuore a Dio ; se il demonio continua, continuate anche voi, e sarete sicuro di non macchiare l’anima vostra. „ Vedete ciò che fece S. Macario, il quale andando in cerca di ciò che gli occorreva per fare stuoie, incontrò per via un demonio con una falce infuocata che gli correva addosso quasi per ucciderlo. S. Macario, senza scomporsi, alzò il cuore a Dio. E il demonio andò in sì gran furore che esclamò: “Ah! Macario quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare. Però quello che tu fai lo faccio anch’io; se tu vegli, io non dormo punto; se tu digiuni, io non mangio mai; una cosa sola tu hai e della quale io manco. Il santo gli domandò che cosa fosse; e il demonio dopo avergli risposto: l’umiltà; sparì.„ Sì, P. M., pel demonio l’umiltà è una virtù formidabile. Perciò vediamo che S. Antonio, quando era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente, dicendo al Signore: – Mio Dio, abbiate pietà di questo grande peccatore: e il demonio prendeva la fuga.

III. — Ho detto in terzo luogo che il demonio si scatena contro quelli, che hanno veramente a cuore la loro salvezza, e li perseguita continuamente, accanitamente; sempre nella speranza di vincerli. Eccovene un bell’esempio. Si racconta che un giovane solitario, già da parecchi anni aveva lasciato il mondo per non pensare che a salvare l’anima sua. Il demonio concepì contro di lui per questa risoluzione tale furore che quel giovane credette di essere vicino a precipitare nell’inferno. Cassiano, che riferisce il fatto, racconta che il solitario, essendo tormentato da tentazioni impure, dopo molte lacrime e penitenze, pensò di andare a visitare un vecchio monaco, per averne consolazione; sperando che gli suggerirebbe rimedi per meglio vincere il nemico; e specialmente per raccomandarsi alle sue preghiere. Ma la cosa ebbe ben diverso risultato. Quel vecchio, che aveva passata quasi tutta la sua vita senza lotte, invece di consolare il giovane solitario, mostrò grandissima sorpresa ascoltando il racconto delle sue tentazioni, lo rimproverò aspramente, gli rivolse parole dure, chiamandolo infame, sciagurato, e dicendogli che era indegno del nome di solitario, perché gli accadevano simili cose. Il povero giovane se ne andò così desolato che si credette perduto e dannato; e s’abbandonò alla disperazione. Diceva tra sé: “Giacché sono dannato, non v’è bisogno ch’io resista o combatta; m’abbandonerò a tutto quello che il demonio vorrà; eppure Dio sa che io ho lasciato il mondo unicamente per amare lui e salvare l’anima mia. Perché, o Signore, esclamava egli nella sua disperazione, mi avete dato così poche forze? Sapete eh? Voglio amarvi, che sento tanto dispiacere e rammarico di disgustarvi, perché dunque non mi date la forza, perché lasciate che io debba cadere? Giacché per me tutto è perduto, e non ho più mezzo di salvarmi, tornerò nel mondo. „ – Mentre così disperato era in procinto di abbandonare il suo ritiro, Dio fece conoscere lo stato dell’anima sua ad un santo abate, di nome Apollo, che godeva grande fama di santità. Questi gli andò incontro, e vedendolo così turbato, fattosi vicino a lui, con grande dolcezza gli chiese che cosa avesse e quale fosse la causa del suo turbamento e della tristezza che gli appariva in volto. Ma il povero giovane era così profondamente concentrato ne’ suoi pensieri, che non rispose nulla. Il santo abate che vedeva l’agitazione dell’anima di lui lo sollecitò tanto perché gli confidasse che cosa lo agitava, per qual motivo egli era uscito dalla sua solitudine, e qual fosse lo scopo del suo viaggio, che il giovane vedendo come il suo stato fosse palese a quel santo abate, sebbene egli lo celasse quanto poteva, versando lagrime in grande abbondanza, e mandando singhiozzi i più commoventi, gli rispose: Torno al mondo perché sono dannato: io non ho più speranza di potermi salvare. Sono stato a trovare un vecchio religioso ed egli è rimasto scandalizzato della mia vita. Giacché io sono tanto sventurato da non poter piacere a Dio, ho deciso di abbandonare la mia solitudine per ritornare al mondo, dove mi abbandonerò a tutto ciò che il demonio vorrà. Eppure ho sparso tante lacrime, perché non vorrei offendere Dio. Volevo salvarmi; facevo volentieri penitenza; ma non ho forza abbastanza e non andrò più innanzi. „ Il santo abate ascoltandolo parlare e vedendolo piangere così, gli rispose mescolando a quelle del giovane le sue lacrime: “Amico mio, ma non vedete che ben lungi dall’aver offeso Dio, voi, al contrario, perché siete a lui accetto, siete stato così fortemente tentato? Consolatevi, mio caro, e ripigliate coraggio; il demonio vi crederà vinto, ma invece voi lo vincerete; tornate, almeno fino a domani, nella vostra cella. Non perdete il coraggio: io stesso sono al pari di voi tentato ogni giorno. Non dobbiamo contare sulle nostre forze, ma sulla misericordia di Dio: vi aiuterò a vincere pregando con voi. Amico mio, il Signore è tanto buono che non ci abbandona al furore dei nostri nemici senza darci la forza per vincerli; è Dio, sapete, che mi manda per dirvi di non perdervi di coraggio, che sarete liberato. „ Il povero giovane tutto consolato, tornò alla sua solitudine abbandonandosi fra le braccia della misericordia divina ed esclamando: “Credevo, o Signore, che voi vi foste ritirato per sempre da me. „ – Frattanto Apollo va vicino alla cella del vecchio monaco, che aveva così male accolto il povero giovane, e si prostra colla faccia a terra dicendo: “Signore, mio Dio, voi conoscete le nostre debolezze, liberate, vi prego, quel giovane dalle tentazioni che lo scoraggiano; voi vedete le lacrime che egli ha sparso pel dolore che aveva di avervi offeso! Fate che questa tentazione passi nello spirito di questo vecchio monaco, perché impari ad avere pietà di quelli, che voi permettete che siano tentati. „ Appena finita la preghiera, vide il demonio sotto la forma di un orrido moretto che lanciava una freccia di fuoco impuro contro la cella del vecchio, il quale, appena ne fu tocco, cadde in una agitazione spaventosa e incessante. Si alzò, uscì, rientrò. Dopo aver fatto per lungo tempo così, pensando che non potrebbe mai vincere, imitò l’esempio del giovane solitario e prese la risoluzione di tornare nel mondo. Essendogli impossibile di resistere al demonio, disse addio alla sua cella e partì. Il santo abate che lo teneva d’occhio senza che egli se n’accorgesse, — Iddio gli aveva ratto conoscere che la tentazione del giovane era passata nello spirito del vecchio, — accostatoglisi. gli domandò dove andasse e perché mai, dimenticando la gravità propria dell’età sua, si mostrasse così agitato; certamente egli aveva qualche inquietudine sulla salvezza dell’anima sua. Il vegliardo s’avvide che Dio gli aveva fatto conoscere ciò che passava dentro il suo spirito. “Tornate indietro, gli disse il santo, e non dimenticate che questa tentazione vi ha assalito nella vostra vecchiaia, perché impariate a compatire le debolezze dei vostri fratelli e a consolarli. Voi avevate scoraggiato quel povero giovane, che era venuto a confidarvi le sue pene; invece di consolarlo eravate in procinto di farlo cadere nella disperazione; senza una grazia straordinaria sarebbe stato perduto. Sapete perché il demonio aveva mosso a quel povero giovane una guerra così crudele e accanita? Perché vedeva in lui grandi disposizioni per la virtù, ciò che gli cagionava una profonda gelosia ed invidia, e perché una virtù così costante non poteva essere vinta che da tentazione assai forte e violenta. Imparate ad aver compassione degli altri ed a stender loro la mano per non lasciarli cadere. Se il demonio vi ha lasciato tranquillo, durante tanti anni di solitudine, questo è avvenuto perché egli vedeva in voi poco di buono; invece di tentarvi, vi disprezza.„ Da questo esempio vediamo che invece di scoraggiarci nelle tentazioni, dobbiamo consolarci ed anche rallegrarcene, poiché sono tentati soltanto quelli, i quali colla loro maniera di vivere, il demonio prevede si guadagneranno il cielo. D’altra parte, o M. F., dobbiamo essere ben persuasi, che è impossibile di piacere a Dio e salvare l’anima senza essere tentati. Vedete Gesù Cristo; dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti fu egli pure tentato e trasportato dal demonio due volte; egli che era la santità in persona. Non so, o F . M., se voi capite bene che cosa sia tentazione. La tentazione non è soltanto un cattivo pensiero di impurità, d’odio e di vendetta che bisogna cacciar via; ma sono pure tentazioni tutte le molestie che ci assalgono, come una malattia in cui ci sentiamo portati a lamentarci, una calunnia che ci strazia, un’ingiustizia commessa a nostro danno, la perdita dei beni, del padre, della madre, d’un figliuolo. Se non ci sottomettiamo di buon animo alla volontà di Dio, cediamo alla tentazione, perché il Signore vuole che sopportiamo tutte queste prove per amor suo; e d’altra parte il demonio fa ogni sforzo per farci mormorare contro Dio. Ed ora eccovi quali sono le tentazioni, che bisogna maggiormente temere, e che conducono a rovina un numero di anime più grande di quel che si creda: sono quei piccoli pensieri di amor proprio, di stima di noi stessi; quei piccoli applausi a tutto quel che facciamo, e a ciò che si dice di noi: noi ravvolgiamo tutto questo nella nostra mente, amiamo vedere le persone alle quali abbiamo fatto del bene, amiamo che pensino a noi e abbiano un buon concetto di noi: ci è caro che qualcheduno si raccomandi alle nostre preghiere, e ci diamo premura di sapere se hanno ottenuto quello che abbiamo domandato a Dio per essi. Sì, M. F . , ecco una delle più ardue tentazioni, e su di essa dobbiamo attentamente vegliare, perché il demonio è astuto; e chiedere ogni mattina a Dio la grazia di essere bene attenti ogni volta che il demonio verrà a tentarci. Perché sì spesso facciamo il male, e vi pensiamo solo dopo che l’abbiamo commesso? – Perché al mattino non abbiamo domandato questa grazia o l’abbiamo domandata male. In fine, o M. F., dobbiamo combattere energicamente, e, non come siamo soliti fare, buttando un bel no in faccia al demonio e nello stesso tempo stendendogli la mano. Mentre S. Bernardo, che si trovava in viaggio, stava riposando in una camera, di notte, una donna di vita allegra venne a fargli visita per sollecitarlo a peccato, — subito egli si mise a gridare “ai ladri „ e quella spudorata fu costretta a ritirarsi. Ritornò per ben tre volte, ma fu ignominiosamente cacciata. Vedete S. Martiniano che una donna di mala vita venne a tentare, S. Tommaso d’Aquino, al quale fu mandata in camera una giovane per farlo cadere: per liberarsene i due santi si appigliarono allo stesso espediente; preso un tizzone acceso le rincorsero e le obbligarono subito a fuggire vergognosamente. Lo stesso S. Bernardo sentendosi tentato andò a immergersi fino alla gola in uno stagno gelato. S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, si avvoltolarono fra le spine. S. Macario d’Alessandria andò in un padule, ove era una gran quantità di vespe, le quali gli si misero attorno e ridussero il suo corpo simile a quello di un lebbroso. Tornato al convento, il superiore che lo riconosceva soltanto dalla voce, gli chiese perché mai si fosse ridotto in quello stato. “Perché, egli rispose, il mio corpo voleva rovinare la mia anima, io l’ho ridotto in questa condizione. „ – Che cosa dobbiamo dunque concludere da tutto questo, F. M.? Eccolo: 1° Di non credere che noi saremo, in un modo o nell’altro liberati dalle tentazioni, fino a che vivremo; e per conseguenza dobbiamo risolvere di combattere fino alla morte. 2° Quando siamo tentati ricorriamo subito a Dio per tutto il tempo in cui la tentazione dura; il demonio continua a tentar perché 0spera sempre di poterci guadagnare. 3° Fuggiamo, per quanto è possibile tatto ciò che può indurci in tentazione; e non perdiamo mai di vista che gli angeli cattivi furono tentati una sol volta e che dalla tentazione precipitarono nell’inferno. Bisogna avere una grande umiltà, ed essere ben persuasi che, da soli, ci è impossibile di non soccombere e che, unicamente aiutati dalla grazia di Dio, non cadremo. Fortunato colui, o F . M., che all’ora della sua morte, potrà ripetere come S. Paolo: “Ho combattuto valorosamente, ma, colla grazia di Dio, ho vinto: perciò aspetto la corona di gloria che Dio dà a coloro che gli furono fedeli fino alla morte. „ (II Tim, IV, 18). E questa la felicità…

».

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (12)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (12)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SESTO

INIZIA IL LIBRO SESTO SUI DIECI CAPITOLI

È necessario sapere che tutto questo periodo è stato diviso in dieci capitoli. Questi capitoli non esprimono l’ordine degli eventi della Chiesa che si sono svolti nel corso degli anni, ma ogni capitolo si riferisce ad ogni tempo. Questi sono i capitoli: Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l’arca dell’alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto ed una tempesta di grandine. (Ap. XI, 19). E vidi – dice la bestia che saliva dall’abisso. (Apoc.XI,7)

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA SOPRA DESCRITTA

[1] E il tempio di Dio si è aperto in cielo. Dal momento che è nato il Signore, si è manifestato il tempio di Dio nel cielo, cioè nella Chiesa. Ecco perché si insegna che la Chiesa è nel cielo, non nelle opere dell’uomo. Il tempio aperto è l’apparizione di nostro Signore. Infatti, il tempio è il Figlio di Dio, come Egli stesso dice: « distruggete questo tempio ed Io lo farò risorgere in tre giorni ».  E ai Giudei che dicevano: « Questo tempio fu costruito in quarantasei anni, egli però lo diceva del tempio del suo corpo ». (Gv. II, 19) – E l’arca dell’alleanza apparve nel suo tempio. È questa la predicazione del Vangelo per il perdono dei peccati; e dice che, quando Cristo è venuto, si sono resi presenti tutti i doni. E si produssero fulmini, e voci, e tuoni, ed un terremoto, ed una grande grandinata. Tutte queste cose sono le fulgide meraviglie della predicazione e delle lotte della Chiesa. Già nella descrizione della predicazione dei sette Angeli (Ap. VIII, 5), si era detto che ciò era avvenuto fin dalla venuta del Signore, quando essi si trovavano davanti all’altare, ma in senso generale dalla nascita di Cristo fino alla fine del mondo; poi aveva descritto in parte cosa fosse avvenuto in forma spirituale all’interno della Chiesa, e come questo si realizzerà in modo speciale al tempo dell’Anticristo, quando il tempio di Dio si aprirà in cielo e ne seguiranno lotte, come dice lui stesso: ed ho visto – dice – la bestia che è uscita dall’abisso. Dopo le tante piaghe inflitte al mondo, si dice che sorge la bestia del pozzo senza fondo, cioè l’Anticristo del popolo. Che sarebbe risorto dall’abisso, può essere dimostrato da molte testimonianze. Infatti Ezechiele dice: « Ecco, l’Assiria era un cedro del Libano, bello di rami e folto di fronde. » (Ezech. XXXI, 3), cioè un popolo numeroso sul Monte Libano. Il regno dei regni, cioè i Romani. Bello tra le nazioni, cioè forte nei suoi eserciti. L’acqua, dice, lo fa crescere, cioè le molte migliaia di uomini che gli si erano sottomessi. E l’abisso lo fece risorgere, cioè lo riportò fuori. – Isaia aveva già detto quasi le stesse parole. Paolo testimonia anche di aver già vissuto a Roma e tra i Cesari. Egli infatti dice ai Tessalonicesi: « ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio  la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri. » (2 Tess. II, 7-9). Aggiungeva poi: il mistero dell’iniquità è già all’opera; cioè l’iniquità che apparirà è già misteriosamente all’opera. Ma ciò non avviene per suo potere, né per quello del padre suo, il diavolo, ma per ordine di Dio. Per questo Paolo dice loro: «  … vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. » (ivi, 10-12) Ed Isaia dice: « Speravamo la luce ed ecco le tenebre, lo splendore, e sorse il buio » (Is. LXIX, 9). L’Apocalisse dice che saranno uccisi da Elia e da colui che verrà con lui. E che risorgeranno, non il terzo giorno come Cristo, ma il quarto giorno, affinché non ci sia nessuno somigliante al Signore.

TERMINA

COMINCIA LA DONNA E LA BESTIA

(Ap. XII, 1-18)

Et signum magnum apparuit in cælo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim: et in utero habens, clamabat parturiens, et cruciabatur ut pariat. Et visum est aliud signum in cælo: et ecce draco magnus rufus habens capita septem, et cornua decem: et in capitibus ejus diademata septem, et cauda ejus trahebat tertiam partem stellarum caeli, et misit eas in terram: et draco stetit ante mulierem, quæ erat paritura, ut cum peperisset, filium ejus devoraret. Et peperit filium masculum, qui recturus erat omnes gentes in virga ferrea: et raptus est filius ejus ad Deum, et ad thronum ejus, et mulier fugit in solitudinem ubi habebat locum paratum a Deo, ut ibi pascant eam diebus mille ducentis sexaginta. Et factum est prælium magnum in cœlo: Michael et angeli ejus præliabantur cum dracone, et draco pugnabat, et angeli ejus: et non valuerunt, neque locus inventus est eorum amplius in cœlo. Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur diabolus, et satanas, qui seducit universum orbem: et projectus est in terram, et angeli ejus cum illo missi sunt. Et audivi vocem magnam in caelo dicentem: nunc facta est salus, et virtus, et regnum Dei nostri, et potestas Christi ejus: quia projectus est accusator fratrum nostrorum, qui accusabat illos ante conspectum Dei nostri die ac nocte. Et ipsi vicerunt eum propter sanguinem Agni, et propter verbum testimonii sui, et non dilexerunt animas suas usque ad mortem. Propterea laetamini caeli, et qui habitatis in eis. Væ terræ, et mari, quia descendit diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet. Et postquam vidit draco quod projectus esset in terram, persecutus est mulierem, quae peperit masculum: et datae sunt mulieri alae duae aquilae magnae ut volaret in desertum in locum suum, ubi alitur per tempus et tempora, et dimidium temporis a facie serpentis. Et misit serpens ex ore suo post mulierem, aquam tamquam flumen, ut eam faceret trahi a flumine. Et adjuvit terra mulierem, et aperuit terra os suum, et absorbuit flumen, quod misit draco de ore suo. Et iratus est draco in mulierem: et abiit facere praelium cum reliquis de semine ejus, qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Jesu Christi. Et stetit supra arenam maris.

(Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: E un grande segno fu veduto nel cielo: Una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sulla sua testa una corona dì dodici stelle: ed essendo gravida, gridava pei dolori del parto, patendo travaglio nel partorire. E un altro segno fu veduto nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette diademi, e la sua coda traeva la terza parte delle stelle del cielo, ed egli le precipitò in terra: e il dragone si pose davanti alla donna, che stava per partorire, affine di divorare il suo figliuolo, quando l’avesse dato alla luce. Ed ella partorì un figliuolo maschio, il quale ha da governare tutte le nazioni con scettro di ferro: e il figliuolo di lei fu rapito a Dio e al suo trono, e la donna fuggi alla solitudine, dove aveva un luogo preparatole da Dio, perché ivi la nutriscano per mille duecento sessanta giorni. E seguì in cielo una grande battaglia: Michele coi suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono: ma non vinsero, e il loro luogo non fu più trovato nel cielo. E fu precipitato quel gran dragone, quell’antico serpente, che si chiama diavolo e satana, il quale seduce tutto il mondo: e fu precipitato per terra, e con lui furono precipitati i suoi angeli. E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Adesso è compiuta la salute, e la potenza, e il regno del nostro Dio, e la potestà del suo Cristo: perché è stato scacciato l’accusatore dei nostri fratelli, il quale li accusava dinanzi al nostro Dio dì e notte. Ed essi lo vinsero in virtù del sangue dell’Agnello, e in virtù della parola della loro testimonianza e non amarono le loro anime sino alla morte. Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate. Guaì alla terra e al mare, perocché il diavolo discende a voi con grande ira, sapendo di avere poco tempo. E dopo che il dragone vide com’era stato precipitato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il maschio: ma furono date alla donna due ale di grossa aquila, perché volasse lungi dal serpente nel deserto al suo posto, dov’è nutrita per un tempo, per tempi e per la metà d’un tempo. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna dell’acqua come un fiume, affine di farla portar via dal fiume. Ma la terra diede soccorso alla donna, e la terra aprì la sua bocca, e assorbì il fiume che il dragone aveva gettato dalla sua bocca. “E si adirò il dragone contro la donna: e andò a far guerra con quelli che restano della progenie di lei, i quali osservano i precetti di Dio e ritengono la confessione di Gesù Cristo. “Ed egli si fermò sull’arena del mare).

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

[2] Ed un gran segno apparve nel cielo. Il cielo è la Chiesa. Il grande segno, è Dio che si fa uomo. Una donna – si dice – vestita di sole e con la luna sotto i piedi. Si è spesso detto che il genere è diviso in molte specie, ma esse ne sono tutte una sola. Infatti, ciò che è il cielo, questo è il tempio nel cielo, questo è la donna vestita di sole; essa ha la luna sotto i suoi piedi: come dire, la donna vestita di sole e la luna sotto i suoi piedi, o la luna vestita di sole e la luna sotto i suoi piedi. Ma tutte queste cose sono bipartite. Con questo vuol dire che la Chiesa ha una parte di essa sotto i suoi piedi. Questa parte, che è sotto i suoi piedi, “sembra” appartenere alla Chiesa, ma non è la Chiesa, perché è la congregazione malvagia che con il serpente, il diavolo ed il suo falso profeta, trascina le stelle superiori verso questa Chiesa, onde cercare sempre alleati per poterli gettare nella Gehenna. Questa donna, ancora prima della venuta del Signore, gemeva nei dolori del parto: essa è l’antica Chiesa dei Patriarchi, dei Profeti e dei Santi Apostoli, che ha sofferto con lacrime e pene per il suo anelito, fino a vedere che il frutto del suo popolo secondo la carne, promesso da tempo, in Cristo, prendesse il corpo di quello stesso popolo. Rivestita di sole, cioè manifestata nella buona opera, attraverso la quale attende la speranza della risurrezione in Cristo, splendore di luce e gloria della promessa. La luna di solito splende di notte: essa è la Chiesa, che non può essere contemplata dai malvagi nelle tenebre di questo secolo, e la caduta dei corpi dei Santi per il debito della morte, che non può mai mancare. E  come la vita diminuisce, così pure cresce. Infatti la speranza dei dormienti non è del tutto estinta, come alcuni pensano; ma essi hanno una luce nelle tenebre, così come la luna in mezzo alle tenebre, come quelle che abbiamo detto essere sotto i piedi della donna. La corona di stelle sono i Santi. E sul suo capo una corona di dodici stelle; cioè in Cristo le dodici tribù di Israele. La Chiesa è costruita sul numero dodici, e che molto prima della venuta del Signore, come prima del sorgere del sole, già risplendeva nella notte del mondo. Ed un grande segno è apparso in cielo: il cielo è la Chiesa; il grande segno è Cristo e le migliaia di stelle splendenti, sono da intendere essere i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, i Sacerdoti ed i confessori, risplendenti delle luci delle loro virtù. E un altro segno apparve in cielo: un grande drago rosso, cioè il diavolo. Ha detto un altro segno per opposizione. Sopra ha detto un grande segno, qui un altro segno: perché è unica la Chiesa, quella della confessione e quella del mistero dell’iniquità, che, con lo stesso nome e con il carisma della Chiesa, compie segni e prodigi, cercando di divorare il figlio della Chiesa. Così è apparso in cielo un dragone, cioè nella Chiesa è apparsa la malvagia congregazione con il diavolo, che, mosso dall’invidia, cerca di divorare il figlio della Chiesa, cioè l’uomo dedito alla penitenza. E questo alla maniera di Erode, il nemico interno, che assentendo al segno visto in Oriente, finge di adorare Cristo che, sfuggitogli per l’ispirazione dello Spirito Santo, vuole uccidere con tutte le sue forze. Erode è il diavolo. Il segno in Oriente è il Cristo nella Chiesa, che ci fa nascere alla luce. Dice che … aveva sette teste e dieci corna. E su ciascuna delle teste sette diademi. Le teste sono i re; e le corna sono i regni, come esporremo in questo libro. Infatti ci sono tanti regni quanti sono le corna: perché questi sono una cosa sola. Con le sette teste ci si riferisce a tutti i re e con le dieci corna a tutti i regni. Ma non possono essere dieci i regni, perché in tutto il mondo ci sono quattro regni: e cioè, la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro (Dan. II, 32). Ed è in questo quarto regno di ferro, cioè quello dei Romani, che si svolge l’evento narrato, perché i regni sono in tutto quattro, e si espandono poi fino a quattordici. Diciamo allora quello che tutti gli scrittori ecclesiastici ci hanno trasmesso dalla tradizione: alla fine del mondo, quando il regno dei Romani sarà distrutto, ci saranno dieci re che si divideranno il mondo romano; e sorgerà l’undicesimo re, un piccolo re, cioè l’Anticristo, da un piccolo popolo di Giudei, cioè dalla tribù di Dan, che, unico tra i suoi fratelli, non ricevette eredità nella terra Promessa, ma gli fu concesso un territorio nell’Aquilone (a nord). Questi invero aveva imitato colui che aveva detto: « Metterò il mio trono nell’Aquilone » (Is. XIV, 13). Ed è per questo che si dice piccolo, al quale cioè non si deve l’onore reale. Egli è l’Anticristo, che sconfiggerà tre tra i dieci re, cioè il re degli Egiziani, il re d’Africa e il re d’Etiopia; uccisi questi, anche gli altri sette re sottometteranno il loro collo all’Anticristo. E la sua coda attirava la terza parte delle stelle del cielo e le gettava sulla terra. Questo deve essere inteso in due modi, o degli Angeli che sono stati cacciati dal cielo, o degli uomini che sono stati cacciati dalla Chiesa. La coda del serpente sono i profeti malvagi ed i predicatori mendaci, che fanno precipitare le stelle che a loro aderiscono, dal cielo sulla terra. Nella Sacra Scrittura, sotto il nome di stelle, a volte si intende la giustizia dei Santi, che brillano nelle tenebre di questa vita, altre volte la falsità degli ipocriti, che ostentano le buone opere che compiono per ricevere lode degli uomini. Se coloro che vivono rettamente fossero come stelle, Paolo non direbbe ai suoi discepoli: « in mezzo ad una nazione, stolta e perversa, in mezzo alla quale voi brillate come torce nel mondo » (Fil. II, 15). Ed inoltre, se tra coloro che sembrano compiere opere giuste non vi fossero di quelli che cercano la ricompensa nella lode umana per le loro azioni, Giovanni non avrebbe visto le stelle cadere dal cielo dicendo: « il serpente mosse la coda e trascinò la terza parte delle stelle ». La coda del serpente trascina la terza parte delle stelle, perché, a causa dell’ultima persecuzione dell’Anticristo, alcuni che sembravano brillare verranno trascinati via. Far precipitare le stelle sulla terra è trarre – per l’amore del mondo – alla malvagità di un errore evidente, coloro che sembrano dediti alla vita spirituale. La coda, come detto, sono gli iniqui predicatori; quelli che imitano quelle stelle che sono sotto i piedi della donna. Ha detto la … terza parte delle stelle del cielo, perché nessuno potesse pensar trattarsi di quella terza parte che ne è fuori, cioè ai pagani, bensì ad una delle due parti che sono in cielo, cioè ai Cristiani dentro la Chiesa. Dice che c’erano due segni in un solo luogo: la donna che è la Chiesa, e in una sola Chiesa esserci due parti: una da Dio, e l’altra dal diavolo, ed il diavolo con i suoi re ed il suo regno. Non c’è infatti nessun altro re, nessun altro regno al quale i falsi fratelli appartengano, se non quello del mondo; essi dicono infatti di credere in Cristo, ma servono invece il diavolo, sono protetti dall’amicizia regale, e con le loro acclamazioni, ripudiando Cristo con un pretesto di condanna apparentemente legale, lo confessano con la bocca, ma gli dicono con le loro opere: « … Non abbiamo altro re che Cesare » (Gv. XIX, 15). – Il dragone si è fermato davanti alla donna che stava per partorire per divorare il suo bambino appena dato alla luce. Quante volte lo Spirito annunzia ciò che accadrà raccontando il passato, avvertendo che ciò che è stato già realizzato accadrà nella Chiesa! Infatti la Chiesa partorisce sempre, con gran travaglio, il Cristo nelle sue membra: per questo promette sempre la venuta del Figlio dell’uomo, perché Egli viene nella luce nei Santi per mezzo di sofferenze simili a quelle che il Signore stesso ha sofferto. Il dragone nel cielo, cerca sempre di divorare colui che deve nascere con cose celestiali, cioè attraverso la nequizia spirituale. E questo figlio maschio, cioè forte nella osservanza della penitenza, è rapito fino al trono di Dio. Infatti ogni figlio dell’uomo soffre quel che soffre e per quel che soffre, resuscita al terzo giorno; tutto il corpo dei suoi nemici interni si è manifestato nel re Erode, secondo quanto è detto nel Vangelo: « … sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino, … torna  – dice a Giuseppe – nella terra del Bambino » (Mt. II: 20) Che cos’è Erode, se non il diavolo che regna nei vizi? Che cos’è la « terra del bambino » se non la Gerusalemme celeste? Nessuno può tornare nella sua terra se il diavolo non è morto, cioè eliminato. Così in Erode si è manifestato il Cristo che nasce continuamente e che è sempre da lui cercato: pur sapendo che fosse già nato, non ha chiesto: dove è nato Cristo, ma « … dove dovrà nascere il Messia? »  (Mt. II, 4). Fu così costretto a dire la verità, come Caifa che non parlava da se stesso, ma profetizzava come Sommo Sacerdote: « … è giusto che un solo uomo muoia per il popolo » (Gv. XI, 51). E la donna diede alla luce un figlio maschio, cioè forte nella lotta, onde poter vincere, … colui cioè che, non imitando nessuno dei santi uomini e che, vedendo in contemplazione la Verità medesima, opera la giustizia, per conoscere e seguire la Verità in persona, cioè Cristo, ad immagine e somiglianza del quale è stato creato. Colui che deve governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro. Certamente è così che anche il suo corpo nascente, cioè la Chiesa, ha il potere di governare con scettro di ferro: perché chiunque è diventato spirituale e quindi come Dio, secondo l’Apostolo, « … giudica ogni cosa e non è giudicato da nessuno » (1 Cor. II, 15). Secondo dice il Signore stesso: A colui che vince, a colui che mantiene le mie opere fino alla fine, io darò potere sulle nazioni; le governerà con uno scettro di ferro e saranno frantumate come vasi di argilla con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio (Ap. II, 26). – E il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. Chiunque si conformi a Dio con tutto l’ardore dell’anima, è come un morto che risorge attraverso la penitenza. E quando risorge, viene portato dalla sua vita attiva, alla contemplativa: e risplendendo gli occhi del suo cuore come un’aquila davanti ai raggi del sole, non fa più ritorno dalle cose celesti; è allora che si dice che il figlio maschio è stato rapito fino al trono di Dio. – La donna è fuggita nel deserto, dove ha un posto preparato da Dio, per esservi nutrita per milleduecentosessanta giorni. Abbiamo detto che la donna era la Chiesa. La natura selvaggia  indubbiamente è il deserto. E cos’è il deserto, se non un luogo abbandonato, dove non ha accesso nessun operatore? Nel deserto di solito vivono fiere e serpenti, non uomini. Si dice che la donna fugge in questo deserto, cioè tra gli uomini malvagi, dove non si trova la via che è Cristo. Perciò dice « deserto », tra scorpioni e vipere, e tra tutta la potenza di satana, che la Chiesa ha da Dio il potere di calpestare. Infatti, come tutta la Chiesa, anche Israele è stato tra tali serpenti nutrito e diretto nel deserto, dopo che il serpente fu sconfitto dalla croce « … Il Signore disse a Mosè: Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita. »  (Num. XXI, 8-9): tutto questo è avvenuto in figura per noi. Infine, Davide aggiunse all’immagine precedente figurata nel deserto, il senso proprio che si realizza in tutto il mondo; infatti dice: « Lo dicano i riscattati del Signore, che egli liberò dalla mano del nemico e radunò da tutti i paesi, dall’oriente e dall’occidente, dal settentrione e dal mezzogiorno. Vagavano nel deserto, nella steppa, non trovavano il cammino per una città dove abitare, etc. … » (Sal. CVI, 2). E così ha descritto tutta la Chiesa nel deserto, cioè in Israele, che sono quelli che vedono Dio. Geremia dice che il deserto sono gli uomini malvagi: « Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. » (Ger. XVII, 5). Ed ecco che i malvagi sono la terra del deserto, ove si dice che Dio non abiti. In questa terra abita la donna, cioè la Chiesa, e lì si nutre di dottrina celeste fino alla fine dei 1.290 giorni, cioè dalla prima venuta del Signore fino alla seconda venuta, fino alla liberazione dai malvagi. Poi si è combattuta una battaglia in cielo, cioè nella Chiesa, dove il suddetto dragone combatte sempre contro i Santi. Michele e i suoi Angeli hanno combattuto con il dragone. Michele si riferisce a Cristo; e i suoi Angeli, agli uomini santi. Non c’è nessuno al di fuori del Signore che abbia gli Angeli, solo il Nostro Signore Gesù Cristo, come dice Daniele: « Or in quel tempo sorgerà Michele, il grande Arcangelo, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo » (Dan. XII, 1). Il drago combatteva insieme con i suoi angeli. -Lungi da noi il credere che il diavolo ed i suoi angeli abbiano osato combattere in cielo, visto che fin sulla terra egli ha dovuto chiedere a Dio il permesso di fare il male ad un solo uomo, come nel caso di Giobbe. Ha ricevuto il potere di combattere contro la progenie della donna, cioè con i Santi, ma non con il Figlio di Dio, né con i suoi Angeli. Combatte quindi in cielo con Cristo rivestito d’umanità, ma nella Chiesa. Ma non hanno prevalso e non c’era posto per loro in cielo. Si riferisce in tal modo a tutti i Santi che, credendo in Cristo e allo stesso tempo rifiutando il diavolo, lo cacciano via. Il dragone fu gettato a terra, il vecchio serpente, il cosiddetto diavolo e satana, il seduttore del mondo intero; fu gettato a terra e i suoi angeli furono gettati in terra con lui. Il principe serpente è il diavolo, e i suoi angeli sono gli uomini malvagi e gli spiriti immondi. Essi sono stati tutti gettati sulla terra con il loro principe. Si dice « terra », per indicare l’uomo carnale, chi ama ciò che è terreno ed al quale cui è stato detto: « tu sei terra e nella terra ritornerai » (Gen. III,19). Ma all’uomo giusto è stato detto: “Tu sei il cielo, e in cielo andrai“. Coloro che sono stati gettati a terra per essere calpestati dai piedi dei Santi sono esclusi dai giusti, come sta scritto: « camminerai su un aspide ed un serpente e calpesterai il leone ed il drago » (Psal. XC, 13). E questo non perché i Santi li calpestino, in quanto essi non restituiscono il male per il male, ma perché costoro amano il terreno e i Santi desiderano il celeste non desiderando nulla di terreno, e soffrono le tribolazioni e la povertà con pazienza: così dunque si dice che li calpestino con l’anima, non con il corpo. Infatti Cristo, che ha lasciato per sempre l’esempio ai suoi seguaci, dice « … io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza di satana » (Lc. X, 19). – Poi ho sentito una voce forte in cielo dire: Ora è venuta la salvezza, la potenza ed il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo. La grande voce in cielo è la Vittoria di Cristo e la salvezza che Egli ha concesso alla sua Chiesa, quando è apparso nella carne. Tutti i regni del mondo lo servono, cioè i Santi; ed Egli ha distrutto gli idoli, apparsi essere un nulla. Prima della sua venuta Egli era atteso dai Patriarchi e dai Profeti, ma non era contemplato; alla sua venuta diceva infatti ai suoi discepoli: « molti giusti e profeti volevano vedere ciò che voi vedete » (Mt. XIII, 16): cioè vedermi nella carne. Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete; beati gli orecchi che sentono ciò che voi sentite. Poi essi dissero: Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire. Se, come alcuni pensano, fosse stata la voce degli Angeli quella che si udiva dal cielo, non avrebbero detto: “l’accusatore dei nostri fratelli”, bensì il nostro accusatore; e non “che li accusa”, ma « che li accusava ». Infatti, se gli Angeli chiamano i giusti che vivono sulla terra i loro fratelli, non dovrebbero rallegrarsi del fatto che il diavolo sia stato cacciato sulla terra, perché il diavolo e gli uomini insieme abitano sulla terra. Così inteso, non ci sarebbe alcuna gioia negli uomini che vivono con i demoni. Ma, come abbiamo detto sopra, crediamo che questa sia la voce degli Apostoli, al sapere che il diavolo fosse tenuto legato, e che il Figlio di Dio incarnato regnasse nei suoi Santi, quando dicevano: ora è venuta la salvezza e il regno del nostro Dio, perché è stato gettato a terra l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava giorno e notte, come vediamo accadere ora nella Chiesa. La Sacra Scrittura suole chiamare “la luce del giorno” le cose buone e “la notte” le cose contrarie. Pertanto, (il diavolo) non cessa di accusare, giorno e notte, perché ci accusa sia nelle cose buone che di quelle cattive. Ci accusa di giorno quando nelle cose prospere insinua il male con parole, azioni o pensieri. Accusa di notte quando nelle avversità mostra che non abbiamo pazienza. Come se fosse ancora in cielo (questa frase non è nella Vulgata, appartiene al Commentario di Tyconium, non al testo biblico dell’Apocalisse). Infatti, così essi maledicono la terra, dicendo: … Guai a te, terra e mare! cioè coloro che non sono nel cielo, che è la Chiesa. La terra ed il mare quindi sono gli uomini malvagi. Perché il diavolo è sceso fino a voi con grande ira, sapendo che non ha che poco tempo. Far scendere il diavolo sulla terra e sul mare significa farlo abitare negli uomini malvagi. Esso viene cacciato dal cielo quando viene cacciato dai Santi; poi, allontanato dai Santi, scende dai suoi. Ed infatti gli empi non possono arrivare in cielo se non hanno eliminato il diavolo; e quando esso è stato rifiutato da loro, allora si dice che non ci sarà più posto per il diavolo in cielo. Quando il serpente vide che era stato gettato a terra si avventò sulla donna che aveva partorito il figlio maschio. Quanto più il diavolo è scacciato, tanto più si avventa furiosamente. – Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, per volare dal suo posto nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente. Le due ali, che diciamo essere i due Testamenti, ella le ha ricevute per fuggire dal serpente nel deserto. Al suo posto, vengono messi uomini malvagi, secondo quanto vien detto: « Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi » (Mt. X, 16). Un tempo, due tempi e mezzo tempo, si riferisce alla passione del Signore fino alla fine del mondo, come abbiamo detto sopra. Il serpente vomitò dalla bocca dietro la donna come un fiume d’acqua. Abbiamo già detto sopra che il serpente è il diavolo. E il fiume d’acqua è il popolo persecutore della Chiesa. Non potendo ingannare spiritualmente i Santi, egli incita il popolo contro la Chiesa, per sedurli con modi o con parole, con il fine di avere sempre qualcosa per cui accusarli, secondo dice: … trascinarla con la sua corrente. Ma la terra venne in aiuto della donna; la terra aprì la sua bocca e inghiottì il fiume vomitato dalla bocca del serpente. La terra in questo luogo è Cristo, il Figlio di Dio incarnato, così com’è scritto: « … la nostra terra ha portato il suo frutto » (Psal. LXXXIV, 13), cioè i suoi Santi che in essa germogliano. Perché il Signore nostro Gesù Cristo, che intercede per noi ed allontana da noi queste persecuzioni, siede alla destra del suo potere con la terra stessa: perché tutte le volte che le persecuzioni vengono inflitte alla Chiesa, vengono sviate dalle preghiere della santa terra. Quando i cattivi perseguitano la Chiesa, allora i buoni, meditando nell’anima la passione del Signore, gioendo in mezzo ai flagelli, sopportano con pazienza tutte le contrarietà. Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù Cristo. Ma questo non quando il diavolo è stato scaraventato via, come letto, quando cioè è stato cacciato dal cielo; ma quando alla fine verrà ad abitare in quel suo vaso, l’Anticristo, che ora è ancora legato; infatti non devasta ancora apertamente la Chiesa, poiché vediamo che alcuni vi ritornano con una lunga, altri con una breve penitenza; ma dopo che sarà entrato in quel suo « vaso », allora nessuno si convertirà, perché tutti coloro che troverà immersi nella vita carnale, li sottometterà al giogo del suo potere. Tuttavia prima Elia deve predicare, e ci deve essere un tempo di pace, e poi, dopo i tre anni e mezzo di predicazione di Elia, lui e tutti gli angeli suoi ribelli devono essere cacciati dal cielo, dove aveva avuto il potere di ascendere per questo tempo. Allo stesso modo, l’Apostolo Paolo dice che l’Anticristo sorge dall’inferno: « Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio » (2 Tess. II, 3). Ma quando poi, attraverso la predicazione di Enoc ed Elia, molti tra i Giudei torneranno alla conoscenza della verità, e quando alla fine la Giudea si convertirà, avverte che ci saranno feroci persecuzioni ai tempi dell’Anticristo, in modo tale che si accetti la predicazione dei suoi ministri d’iniquità; e coloro che si oppongano saranno oppressi con le catene delle sofferenze. E non vi sarà tra loro un predicatore, perché la predicazione non raggiunga il cuore del malvagio, e la lingua dei buoni, legata dalla persecuzione, tacerà. Ci saranno poi molti tra i Giudei infedeli che perseguiteranno i Giudei convertiti. Ma dobbiamo capire per ora in modo spirituale, ciò che avverrà poi in modo reale. Dice che … il dragone si riempì di rabbia contro la donna; e se ne andò a fare la guerra ai suoi figli rimasti; cioè, non potendo continuare la persecuzione contro i Santi, perché uniti alla terra santa, si arma sempre di più, e si trincera nel mistero dell’iniquità, con cui può sempre insidiare, secondo dice: e si posò sulla sabbia del mare, cioè sulla moltitudine del suo popolo, dove è riconosciuto come re.

TERMINA LA SPIEGAZIONE SULLA DONNA ED IL SERPENTE

COMINCIA LA STORIA DELLA BESTIA E DEL MEDESIMO DRAGONE

(Ap. XIII, 1-10)

Et vidi de mari bestiam ascendentem habentem capita septem, et cornua decem, et super cornua eju s decem diademata, et super capita ejus nomina blasphemiæ. Et bestia, quam vidi, similis erat pardo, et pedes ejus sicut pedes ursi, et os ejus sicut os leonis. Et dedit illi draco virtutem suam, et potestatem magnam. Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem: et plaga mortis ejus curata est. Et admirata est universa terra post bestiam. Et adoraverunt draconem, qui dedit potestatem bestiæ: et adoraverunt bestiam, dicentes: Quis similis bestiæ? et quis poterit pugnare cum ea? Et datum est ei os loquens magna et blasphemias: et data est ei potestas facere menses quadraginta duos. Et aperuit os suum in blasphemias ad Deum, blasphemare nomen ejus, et tabernaculum ejus, et eos qui in caelo habitant.  Et est datum illi bellum facere cum sanctis, et vincere eos. Et data est illi potestas in omnem tribum, et populum, et linguam, et gentem, et adoraverunt eam omnes, qui inhabitant terram: quorum non sunt scripta nomina in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi. Si quis habet aurem, audiat. Qui in captivitatem duxerit, in captivitatem vadet: qui in gladio occiderit, oportet eum gladio occidi. Hic est patientia, et fides sanctorum.

(E vidi salire dal mare una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi, e sopra le sue teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi era simile al pardo, e i suoi piedi come piedi d’orso, e la sua bocca come bocca di leone. E il dragone le diede la sua forza e un grande potere. E vidi una delle sue teste come ferita a morte: ma la sua piaga mortale fu guarita. E tutta la terra con ammirazione seguì la bestia. É adorarono il dragone che diede potestà alla bestia: e adorarono la bestia, dicendo: Chi è simile alla bestia? E chi potrà combattere con essa? E le fu data una bocca che proferiva cose grandi e bestemmie: e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. E aprì la s ua bocca in bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo nome, e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi, e di vincerli. E le fu data potestà sopra ogni tribù, e popolo, e lingua, e nazione, e lei adorarono tutti quelli che abitano la terra: i nomi dei quali non sono scritti nel libro di vita dell’Agnello, il quale fu ucciso dal cominciamento del mondo. Chi ha orecchio, oda. Chi mena in schiavitù, andrà in schiavitù: chi uccide di spada, bisogna che sia ucciso dì scada. Qui sta la pazienza e la fede dei Santi.)

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA INNANZI DESCRITTA 

[3] E ho visto una bestia che si sorgeva dal mare. In precedenza aveva detto che la bestia sorgeva dall’abisso; qui dice: dal mare. Queste due bestie ne sono una sola. Il mare e l’abisso, dai quali ha detto sorgesse la bestia, sono la medesima cosa. Ciò che è il mare e l’abisso, questo è la bestia. Così ha visto il popolo sorgere dal popolo, che cioè fuoriusciva come un fiore nasce dalla radice. Come l’erba velenosa, che muore in inverno per rinascere in primavera dallo stesso seme, così, quando gli uomini malvagi muoiono nel loro tempo, da loro nascono altri malvagi che li imitano. Per questo Giovanni Battista ha detto dei Giudei: … razza di vipere (Mt. III, 7); perché come dalle vipere nascono le vipere, così dagli uomini malvagi nascono gli uomini malvagi. Coloro che li imitano nel comportamento, anche se non sono loro figli naturali, vengono chiamati pure figli, a causa di questa imitazione. Allo stesso modo, chiamiamo figli del demonio, coloro che imitano il diavolo, mentre coloro che imitano i Santi, li diciamo figli dei Santi e semenza dei Santi, e figli di Dio coloro che imitano Dio. Ecco in qual modo dobbiamo intendere la bestia che sorge dall’abisso, che sorge dal mare, che sorge dalla terra: esse sono tutte la stessa medesima bestia. – Solo il diavolo, cacciato dal cielo, cioè l’antico serpente, non è mai transitato per questo mondo come uomo, ma per il suo ruolo e le sue opere è come una bestia. E questa bestia non deve cercarsi in un solo posto, perché essa è in tutto il mondo. E poiché questa bestia esercita il suo potere attraverso i re, per questo deve essere inteso come regno dei Romani, che soggiogano pressoché tutto il mondo al loro potere. Per questo si dice pure che alla fine del mondo, l’Anticristo regna su tutto il mondo con dieci corna e sette teste. Costui è la terribile bestia che Daniele descrive come una: « bestia, spaventosa, terribile, d’una forza eccezionale, con denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava » (Dan. VII, 7). Il quarto regno che oggi domina il mondo è proprio l’Impero Romano, di cui si dice nella visione della statua che: … ha gambe di ferro, e piedi, parte di ferro e parte di argilla (Dan. II, 33). Ecco che ora menziona quella parte di ferro, dicendo che i suoi denti sono di ferro e grandi. E fa ancor più meraviglia perché, mentre nel simboleggiare i tre regni si serve di tre bestie, la leonessa, l’orso e il leopardo – cioè nella leonessa: la testa d’oro, che è il regno di Babilonia; nell’orso, il petto e le braccia d’argento, che è il regno dei Persiani e dei Medi, e nel leopardo, col ventre e i fianchi di ottone, che è il regno di Macedonia – non paragona il regno dei Romani a nessuna specifica bestia, ma dice solo che è terribile. A meno che, forse, per rendere la bestia più spaventosa e che incutesse gran terrore, non abbia taciuto il suo nome, di modo che tutto ciò che di maggior voracità si possa pensare delle bestie, lo intendessimo per i Romani, ricapitolando in un unico Impero Romano tutti i regni che prima erano separati. E l’altro che segue: … divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava, significa che tutte le nazioni vengono da esso distrutte, o sottomesse al suo tributo. … E aveva dieci corna: elenca i re più crudeli, e di quei re – non di un solo regno, per esempio della Macedonia, della Siria, dell’Asia e dell’Egitto, ma di vari regni in tutto il mondo – ne fa un unico regno. Come noi diciamo che queste dieci corna sono i dieci imperatori che con la loro persecuzione hanno dato origine a tutta la moltitudine di martiri, così noi crediamo, in senso figurato, che alla fine del mondo ci saranno dieci re: di questi, l’Anticristo dopo averne uccisi tre, regnerà con i sette che ora son chiamati le sette teste. Si dice che questa bestia sia terribile e diversa dalle altre bestie; ma quando arrivò l’Agnello, mosso a guerra contro di essa, morendo le strappò la preda. E questi: l’Agnello e la bestia, si vedono ora essere nemici all’interno della Chiesa. La bestia è il nome generico del nemico dell’Agnello. Ma nella narrazione è necessario capire, a seconda dei luoghi, a quale aspetto della bestia ci si riferisca; infatti la bestia, che è un corpo unico, ha molti e diversi membri. A volte la bestia si riferisce al diavolo; altre volte al suo corpo, che sono gli infedeli, cioè coloro che non hanno ricevuto il Battesimo; altra volta, è una delle teste della bestia medesima che sembrava essere ferita a morte ed è risorta, il che è la parodia della vera fede, e sono cioè i cattivi Cristiani all’interno della Chiesa. Altre volte la bestia si riferisce solo ai prepositi, cioè ai Vescovi o ai sacerdoti che vivono carnalmente all’interno della Chiesa. Tutte queste membra sono un unico corpo. In questo passo, la bestia che emerge dal mare si riferisce al corpo del diavolo… che aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci corna e sulle teste nomi blasfemi. – Il dragone è apparso con queste corna e le sue teste nel cielo, cioè nella Chiesa. E quando dice: … sopra la sua testa, un nome di blasfemia, questo è da intendersi nel senso che gli uomini malvagi e gli amanti del mondo chiamano “dio” i loro re; certo non il Dio che ha fatto tutte le cose e da cui tutte le cose sono, ma lodano i loro re, sia vivi che morti, e pensano che essi siano stati traslati come in cielo e tra i santi. In un altro luogo (Ap. XVII, 3) si parla di un nome di blasfemia, riferito a coloro che dicono di essere all’interno della Chiesa e perseguitano la Chiesa. La bestia che ho visto era come un leopardo, e le sue zampe erano come le zampe di un orso, e le sue fauci come le fauci di un leone: la paragona ora ad un leopardo per la varietà del suo popolo, ad un orso per la sua malizia e la ferocia, e ad un leone per la forza del corpo e la superbia del linguaggio. E il drago gli diede il suo potere ed il suo trono. Il drago ha dato il suo potere alla bestia, poiché tiene i falsi fratelli all’interno della Chiesa, quelli che sembrano essere la Chiesa ma … non lo sono. E attraverso di loro il diavolo compie le sue azioni contro coloro che vuole sedurre all’interno della Chiesa; per questo ha detto alla Chiesa: So che voi abitate dove satana ha il suo trono (Ap. II, 13). Essi ingannano i semplici « con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno » (Tess. II, 9-10), secondo dice: e vidi una delle sue teste che sembrava fosse stata ferita a morte, ma la sua ferita mortale era guarita. Abbiamo detto sopra che la bestia aveva sette teste: questa ne è l’ottava. È la stessa cosa di quel che abbiamo già detto: colui cioè, che sembra stare nella Chiesa con aspetto di santità, non è nella Chiesa: infatti essa è il simulacro inventato dal diavolo per ingannare i religiosi sotto il nome della religione. Si dice che questa testa sembrasse mortalmente ferita, e che la sua ferita mortale fosse guarita; questo dignifica che essi sembrano seguaci di Cristo crocifisso, ma non lo sono … crocifissi: infatti non portano la sofferenza della croce di Cristo per Dio, bensì per le lodi del mondo. Mostrasi dunque che ne è l’ottava, cioè il simulacro delle altre sette: e non è separata da quelle teste, poiché la bestia medesima insieme a tutti i Santi crede e dice che ha come capo Cristo, … che era stato ferito dalla spada ma si era riavuto (Ap. XIII, 14), cioè che è morto e risorto. In realtà, però, delle sette teste essa è l’ottava. E tutta la terra, in ammirazione, seguì la bestia. Il diavolo ha dentro la Chiesa coloro che, camuffati da pecore, appaiono all’esterno giusti mentre dentro sono lupi rapaci. Per questo non vengono scoperti come gli altri uomini chiaramente malvagi, ma sono considerati addirittura Santi, perché uniti ad essi nella medesima unità ed azione: ed il diavolo possiede costoro che si trovano in seno alla Chiesa e tra il popolo, sotto un’apparenza di santità. Ecco perché c’è un cambiamento di parole (nel testo): per non dire  che meravigliata tutta la terra ha seguito la bestia, che è come dire: se i cattivi fossero apertamente cattivi, si vedrebbe che sono la bestia. Ma poiché simulano la santità, col sembrare impartire benedizioni tra la gente, ecco che il testo dice: e ammirata, tutta la terra ha seguito la bestia. Qui chiamiamo « terra » il popolo carnale, così come abbiamo detto che la Chiesa è il cielo: è in ammirazione, quindi, tutto il suo popolo, attraverso i suoi sacerdoti simili ad esso, seguendo la bestia, cioè il diavolo, o meglio il simulacro stesso che il diavolo ha inventato per loro; affinché, sotto il nome della testa uccisa e rediviva, cioè Cristo, potesse farne suoi alleati. Lo Spirito dice che essi seguono la bestia, ma in realtà essi dicono di seguire Cristo, non con le opere però, ma solo con la lingua. – Ed adorarono il dragone, perché aveva dato potere alla bestia. Nelle loro parole dicono quindi di adorare Dio, che ha dato il potere a Cristo: cioè sanno che Cristo si è incarnato. Dice più tardi che la bestia aveva una testa che sembrava come quasi ferita a morte.  E si noti che non dice “uccisa”, ma quasi uccisa … che sembrava come ferita a morte. Infatti essi non seguono Cristo nella sua passione, ma desiderano essere santi solo di nome: perciò dice che la testa “sembrava come se fosse    uccisa”, (quasi occisum). Poi ha fatto un cambio di nome, passando da tutto il corpo al capo, dando il nome di terra alla bestia, col dire: e meravigliata, tutta la terra seguì la bestia. Quella testa, che abbiamo detto essere l’ottava tra le sette, sono i sacerdoti che la ammirano, e le persone che la seguono: con il che si capisce chiaramente che chiama bestia lo stesso capo, e la bestia “terra”; e, come è stato già detto, questa va intesa secondo i luoghi. – E si prostrarono davanti alla bestia, dicendo: “Chi è come la bestia, o chi può combattere contro di essa? Essi dicono: Chi è Cristo? o chi può sconfiggerlo? Lo dicono a parole, ma nelle loro azioni seguono la bestia. Gli è stata data una bocca per proferire una grande bestemmia. Questo lo dice in generale di tutti, cioè di tutto il corpo, poiché è stato dato loro di parlare con la parola delle Scritture, ed una bocca per esaltarsi e vanagloriarsi, o per parlare di cose celesti. Ma ha detto che è stata data loro la blasfemia, perché non si sollevano apertamente contro la Chiesa, alla quale dicono di essere uniti e, dicendo di essere figli di Dio, tendono trappole ai figli di Dio. E gli è stato dato il potere di agire per quarantadue mesi. Ha parlato qui di soli quarantadue mesi, che sono i tre anni e mezzo del regno dell’Anticristo; ma ora nella calma, con il pretesto della religione, meditano contro la Chiesa quello che diranno poi, a guerra in corso, con parole chiare. Ed ella ha aperto la sua bocca per bestemmiare contro Dio. In precedenza, nei tre anni e mezzo antecedenti, e cioè, come abbiamo detto sopra, dalla Passione del Signore all’Anticristo, non hanno bestemmiato apertamente contro la Chiesa, camuffati sotto l’apparenza con nome di santità, formando parte del mistero dell’iniquità. Quando arriverà però il tempo dell’Anticristo, quando avverrà la separazione, cioè quando la Chiesa sarà chiaramente divisa, e l’uomo del peccato si sarà manifestato in tutto il mondo, allora saranno messi a nudo: si manifesterà, si comprenderà e conoscerà ciò che prima, sotto la maschera della religione, con parole occulte, si bestemmiava contro Dio, mentre ora parla come Chiesa Cattolica. Infatti così Dio dice che i malvagi parlano a Dio, per sedurre: « … poiché l’abietto fa discorsi abietti e il suo cuore trama iniquità, per commettere empietà e affermare errori intorno al Signore, per lasciare vuoto lo stomaco dell’affamato e far mancare la bevanda all’assetato. » (Is. XXXII, 6). Chi proferisce menzogne a Dio, se non chi finge di servire Dio per ingannare? Essi infatti parlano a Dio, perché pronunciano sante parole cattoliche; ma parlano per poter ingannare l’ignorante e l’incauto per mezzo di queste parole, e non ricordando gli insegnamenti di Cristo, si comportano, per mezzo di queste parole, come i farisei e si sono seduti sulla cattedra di Mosè, … ed ambiscono i primi seggi ed i primi onori, per essere chiamati maestri dagli uomini (Mt. XXIII, 6). Così, quando fuoriusciranno, bestemmieranno apertamente, ma solo quelli che bestemmiavano in modo occulto, come è detto: … aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua tenda, contro tutti quelli che abitano in cielo. La tenda è posta lungo il cammino, mentre l’abitazione è la casa. Ecco perché la « tenda » appartiene ai servi di Dio che, camminando verso le cose celesti, non vogliono avere nulla in questo mondo; il cielo è la Chiesa. – Ha spiegato quindi che cos’è la tenda di Dio, riferendosi a coloro che abitano in cielo, e si comprende perché sia contro questi che ha aperto la sua bocca; infatti bestemmiano sempre contro coloro che abitano in cielo, cioè contro coloro che desiderano seguire Cristo in modo chiaro, ma, come detto, non lo fanno apertamente. Perché dicono: questi che vediamo non sono santi, dacché i Santi sono i perfetti, che sono rinchiusi nelle loro dimore, o che dimorano nella solitudine del deserto. Infatti noi, non vediamo che questi sono migliori di noi. Dicono queste cose, come detto, per ingannare, in modo da sedurre i semplici e gli ignoranti, che forse nel tempo avrebbero potuto essere buoni, poiché dice: Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli, che sono coloro di cui abbiamo parlato sopra, essere i semplici, cioè gli ingannati. Quelli che pensano di essere ancora buoni sono già stati sconfitti da ogni lato possibile; e, vivendo nella cecità dell’ignoranza, dicono che la luce e le tenebre sono una cosa sola; pensano cioè che la Chiesa e la Sinagoga godano della stessa vita, poiché già chiaramente ingannati, e incorporati nella bestia, camminano nelle tenebre. – E gli fu dato potere su ogni tribù, popolo, lingua e nazione; e tutti gli abitanti della terra la adoravano. Ha detto tutti, ma sono gli abitanti della « terra », la terra di cui abbiamo parlato prima, cioè la terra carnale. Infatti il cielo è la Chiesa; il diavolo e la bestia sono venerati solo dagli abitanti della « terra », come si dice: quelli il cui nome non è stato scritto, fin dalla creazione del mondo, nel libro della vita dell’Agnello sacrificato. Noi intendiamo dunque un solo corpo invece che molte membra. Sopra ha detto: tutti gli abitanti della terra la adoravano. Il diavolo possiede questa terra come suo corpo, e poiché il nome del diavolo non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, così tutto il suo corpo è sigillato con lui fin dall’inizio del mondo; infatti prima che l’Agnello esistesse, cioè che la Chiesa fosse, è stato rigettato dalla vita nella prescienza di Dio. Trattasi dell’Agnello e della bestia che, fin dall’origine del mondo, non è stata iscritta nel libro della vita con l’Agnello. Chi ha orecchie, ascolti. Ogni volta che lo Spirito afferma ciò che debba essere inteso in modo diverso da quanto detto, conclude così: … chi ha orecchie, ascolti; vale a dire, intenda chi ha le orecchie del cuore; e se è già risorto con Cristo, non cerchi nulla sulla terra, ma cerchi ciò che ne è al di sopra: cosicché non succeda che, nello scegliere quel che è terreno – prigioniero – venga strappato al cielo e precipitato nell’inferno, secondo dice: Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la virtù dei santi. Chi sono i prigionieri, se non coloro che sono stati ingannati dal dragone e dalla bestia? Chiunque guidi un prigioniero, se lo uccide, non uccide un guerriero, ma un prigioniero. Questo è l’inganno di cui abbiamo parlato sopra, che si compie nella Chiesa per mezzo dei malvagi sacerdoti, che fingono di servire Dio onde sedurre l’ignorante, ottenendo seguaci, così che essi e la bestia siano una cosa sola. Descritta così la bestia in generale occultata nell’ipocrisia, cioè nella simulazione della santità, passa a descrivere poi l’altra bestia che proferisce chiaramente bestemmie nei soli prepositi, cioè i Vescovi; la descrive allo stesso modo, ma non ipocritamente occulta, come abbiamo detto accadere nella bestia descritta, bensì come manifesta a chiare parole.

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA STORIA DELLA TERZA BESTIA

(Ap. XIII, 11-17)

Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia Agni, et loquebatur sicut draco. Et potestatem prioris bestiæ omnem faciebat in conspectu ejus: et fecit terram, et habitantes in ea, adorare bestiam primam, cujus curata est plaga mortis. Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de cælo descendere in terram in conspectu hominum. Et seduxit habitantes in terra propter signa, quæ data sunt illi facere in conspectu bestiæ, dicens habitantibus in terra, ut faciant imaginem bestiæ, quae habet plagam gladii, et vixit. Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loquatur imago bestiæ: et faciat ut quicumque non adoraverint imaginem bestiæ, occidantur. Et faciet omnes pusillos, et magnos, et divites, et pauperes, et liberos, et servos habere caracterem in dextera manu sua, aut in frontibus suis: et nequis possit emere, aut vendere, nisi qui habet caracterem, aut nomen bestiæ, aut numerum nominis ejus. Hic sapientia est. Qui habet intellectum, computet numerum bestiæ. Numerus enim hominis est: et numerus ejus sexcenti sexaginta sex.

(E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelli dì un agnello, ma parlava come il dragone. Ed esercitava tutto il potere della prima bestia nel cospetto di essa: e fece sì che la terra e i suoi abitatori adorassero la prima bestia, la cui piaga mortale era stata guarita. E fece grandi prodigi sino a far anche scendere fuoco dal cielo sulla terra a vista degli uomini. E sedusse gli abitatori della terra mediante i prodigi che le fu dato di operare davanti alla bestia, dicendo agli abitatori della terra che facciano un’immagine della bestia, che fu piagata di spada e si riebbe. E le fu dato di dare spirito all’immagine della bestia, talché l’immagine della bestia ancora parli: e faccia sì che chiunque non adorerà l’immagine della bestia, sia messo a morte. E farà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi abbiano un carattere sulla loro mano destra, sulle loro fronti. E che nessuno possa comprare o vendere, eccetto chi ha il carattere, il nome della bestia, o il numero del suo nome).

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DELLA TERZA BESTIA

[4] E ho visto un’altra bestia sorgere dalla terra. Abbiamo sopra esposto essere questa: gli uomini, il mare e la terra, cioè il corpo del diavolo. Un’altra bestia ascendente dalla terra. Sorgere dalla terra è insuperbire della gloria terrena. Ciò ch’è il mare, è la terra. Dice “altra” riguardo alla sua missione, ma la bestia è sempre e solo una. Infatti nel mare avvengono delle cose, e sulla terra altre; il mare si agita, mentre la terra resta quieta. Il « mare » è il popolo apertamente malvagio; la « terra » sono i Vescovi, i sacerdoti e la falsa religione, che sotto una maschera di santità, non sembrano agitarsi nel mondo, ma appaiono operare nella quiete, fingendo di essere la Chiesa, che non sono: infatti in questa bestia bestemmiano apertamente ciò che, nella bestia sopra descritta, bestemmiavano occultamente. E quella (bestia) che ha sette teste e questa qui, sono una stessa e la medesima: ma quella delle sette teste è quella che si diceva avesse un’ottava testa, che sembrava fosse stata uccisa, cioè che fosse stata crocifissa con Cristo. Ma come in quella bestia sembrava esserci una ottava testa, perché blasfemava la Chiesa in segreto, così ora questa bestia bestemmia apertamente ciò che l’altra blasfemava in occulto. E come abbiamo spiegato sopra a proposito del mare, del dragone e della bestia, che abbiamo detto essere una stessa unica realtà, ci resta ancora da dire qualcosa per dimostrare ciò che abbiamo già esposto. Cosa si intende con il nome di « mare », se non il cuore del popolo carnale agitato da pensieri di superbia? E cosa si esprime sotto il nome di « dragone » se non l’antico nemico, che possedendole, penetra nelle anime del mondo, e sembra nuotare nei loro pensieri pieni di lussuria? Ecco perché sopra dice correttamente: ho visto una bestia che sorgeva dal mare; mentre di questa si dice che sorgeva dalla terra, ma con essa è una sola, e si pone ambiguamente nel mezzo tra l’Agnello e la prima bestia onde sedurre fingendo di essere un agnello, per attaccare l’Agnello. Essa desidera maggiormente dominare i migliori, tuttavia ne viene impedita per decisione divina, che dispone di tutte le cose in modo mirabile. Anela alla longevità nella vita presente per soddisfare ai piaceri della carne, e tuttavia ne viene rapidamente strappata. Riguardo all’acqua, si dice attraverso il salmista: « … e chiuse le acque quasi in un otre »  (Psal. LXXVII, 13). Le acque in un otre sono i desideri lussuriosi, con i quali si desidera ferire l’Agnello: quando la sua azione è inefficace, si affonda nel cuore del carnale. Questa bestia della terra sono i predicatori malvagi della Chiesa, che, abbandonati ai loro piaceri, profetizzano le menzogne del loro cuore. Questa è la bestia che compie segni e prodigi, mentendo al cospetto degli uomini davanti a lui, cioè prima che arrivi l’Anticristo. E aveva due corna simili a quelle dell’agnello: cioè i due Testamenti, la Legge ed il Vangelo, attraverso i quali fingeva di profetizzare, apparendo tra il suo popolo come Agnello e fingendo di essere uomo giusto. E parlava come un dragone. Infatti era pieno della malizia del diavolo: con questa realizzerà segni davanti agli uomini tanto che sembrerà che i morti risuscitino, cioè con la loro predicazione sembrerà che molti si convertiranno, ma solo agli occhi degli uomini. Questa è quella seduzione al Signore (seductio ad Dominum): finge di essere un agnello, per inoculare occultamente i veleni del dragone. Non sembrerebbe un agnello se parlasse chiaramente come un dragone, finge di essere un agnello per divorare con maggior sicurezza l’Agnello. Parla a Dio, ma con il fine di allontanare coloro che cercano Dio dal sentiero della verità. Perciò il Signore, ammonendo la sua Chiesa, dice: « Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi vestiti da agnelli, ma interiormente sono lupi rapaci » (Mt. VII, 15). Dobbiamo comprendere allora ciò che i lupi sembrano voler significare. Questi sono delle bestie che cercano le pecore, si aggirano intorno ai recinti dei pastori: non osano però entri locali delle case. Vegliano sul sonno dei cani e sull’assenza o sull’incuria del pastore: stringono le pecore al collo, per strangolarle rapidamente. Sono bestie rapaci, ed hanno per natura un corpo molto rigido, così che non possano piegarsi facilmente. Essi si lasciano trasportare dalla loro impetuosità, ed è per questo che sempre feriscono. Inoltre, se sono essi per primi a vedere un uomo, sono spinti da un impulso naturale a levare l’ululato, ma se è l’uomo che li vede per primo, fingono di stare colà fermi, docili. Occorre quindi fare attenzione perché non succeda che, se nel trattare dei misteri spirituali non si riesca a risplendere per la grazia, i lupi che hanno visto per primi non possano credere di assalire con il solenne ausilio della parola. Non è forse vero che dovremmo paragonare a questi lupi quelli che si ribellano apertamente contro la Chiesa, come gli eretici, che perseguitano le pecore di Cristo? Ululano vicino agli ovili, più di notte che di giorno. Di notte, perché predicano tra gli ignoranti, non potendolo fare di giorno, perché sarebbero scoperti dai sapienti. La notte è l’ignoranza e il giorno è la sapienza: perché è sempre di notte che i malvagi oscurano la luce di Cristo con le tenebre della loro interpretazione; e nella misura in cui essa si presti alla loro opinione, cercano di offuscarla. Si aggirano quindi nei pressi degli ovili, cioè vicino alle sette chiese; eppure non osano entrare negli ovili di Cristo, cioè non hanno l’audacia di entrare nella Chiesa, che è la luce. E così essi non sono guariti, perché Cristo non vuole portarli nella sua “locanda”, dove ha guarito colui che, scendendo da Gerusalemme, venne derubato dai ladri; il Samaritano, cioè Cristo, dopo aver lavato a questi le sue ferite, untone il corpo con olio e vino e postolo a cavalcare sul suo asino, lo conduce alla locanda; e lo affida al custode della locanda, cioè ai santi Vescovi, perché lo guarisca (Lc. X, 30). Infatti, coloro che non cercano il medico non ricevono il rimedio, poiché, se lo cercassero, non lo insulterebbero apertamente. Essi ricercano l’assenza del pastore, cioè cercano di uccidere i pastori delle chiese o di bandirli: ed infatti, quando sono presenti i pastori, essi non possono divorare le pecore di Cristo. Quando il pastore viene allontanato, questi, con un’intenzione corporale e carnale, ma che sembra spirituale – però è dura e rigida – non tendono mai a ritrattare il loro errore, cercando di rubare il gregge del Signore. Per questo l’Apostolo dice: « … sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa » (Tt. III, 10). Il vero interprete delle Scritture di Cristo si fa beffe di loro, per cui lanciano inutilmente i loro fatui attacchi e non possono fare alcun danno, e se si presentano a qualcuno con l’astuto inganno della loro tesi, vengono messi a tacere. Perché è muto chi non annuncia la parola di Dio con la gloria alla quale essa ha diritto. Attento a non farti prendere la parola dall’eretico, se non l’hai scoperto prima tu, perché strisciando nasconde la sua perfidia. Ma quando si riconosce la frode della sua empietà, non si può temere il danno della sua falsa voce pia. Quindi si eviti il veleno perfido del suo discorso. Essi attaccano e stringono alla gola le pecore, ferendone le parti più vitali: pericolosi infatti sono i morsi degli eretici che, essendo più pericolosi e più rapaci di queste medesime bestie, non mettono mai fine alla loro avidità ed empietà. E non bisogna lasciarsi commuovere dal fatto che sembri avere forma umana: anche se esternamente sembra un uomo, la bestia all’interno freme. Non c’è da stupirsi che il Signore abbia detto: vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete. Se qualcuno è commosso dall’aspetto, se ne valutino i frutti. Si sente dire di qualcuno chiamato sacerdote, e se ne conoscono le rapine: questi è vestito come pecora, ma si comporta come un predatore. È una pecora esternamente, ma è un lupo all’interno, che non pone misura alle sue rapine. Come nella notte, le sue membra indurite dal ghiaccio paralizzante, con la bocca insanguinata, corre da un luogo all’altro in cerca di qualcuno da divorare. Non sembra un lupo che con un insaziabile desiderio carnale di morte umana cerchi di soddisfare la sua rabbia con la morte dei popoli fedeli? Egli ulula le Scritture, non le commenta, perché nega l’Autore della parola. Questi è colui che voleva stare con i discepoli, non con la semplicità, ma nell’inganno, e diceva al Signore: Maestro, ti seguirò ovunque tu andrai. E il Signore gli disse: « La volpe ha una tana, e gli uccelli del cielo hanno nidi dove possono riposare; ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il suo capo » (Mt VIII, 19). Infatti Gesù aveva visto che la sua anima era come una volpe ingannevole, e gli uccelli, cioè i demoni, che abitavano dentro di lui. Il Signore infatti non cerca l’apparenza dell’obbedienza, ma la purezza dell’intenzione. E continua dicendo: « chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. » (Mt. XVIII, 5). In questo testo il Signore insegna che la semplicità deve essere priva dell’orgoglio, la carità senza invidia, la pietà non rabbiosa. Si raccomanda quindi agli adulti ché recuperino un’anima da bambino. Infatti, poiché un bambino non si attribuisce nulla da se stesso, soddisfa il criterio della virtù; e poiché non sa usare la ragione, non conosce il peccato. Tuttavia, poiché a molti non la virtù, ma è la debolezza che sembra essere la semplicità senza ragione, si è avvertiti a ricevere la vera semplicità. E quindi dice: « Chi riceve questo bambino in nome mio riceve me, e chi riceve me riceve Colui che mi ha mandato ». Chi riceve un imitatore di Cristo, riceve Cristo. E chi riceve l’immagine di Dio riceve Dio. Il capo di Cristo è Dio, cioè la Divinità che non abita in un’anima contorta. Perciò, per quanto vi sia possibile, mostrate una fede sincera ed osservate con animo pio l’obbedienza ai Comandamenti, in modo che non vi si possa dire: « le volpi hanno le tane. » Infatti la volpe è un animale ingannevole e si avvicina sempre travestita per operare rapine mediante le sue truffe. Non può sopportare che ci sia qualcosa di definito, di tranquillo o di sicuro, perché cerca la preda tra le abitazioni degli uomini. Si paragonano gli eretici alle volpi … ecco perché quando indica il popolo, esclude gli eretici. Due discepoli vennero, ed uno disse: ti seguirò, l’altro disse: lasciami andare prima a seppellire mio padre. E il Signore gli disse: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu seguimi » (Mt. VIII, 21) … e vai ad annunciare il regno di Dio. E all’altro disse: « Le volpi hanno le tane »; e perciò il Figlio dell’uomo, abbondando l’iniquità, non ha dove posare la testa, affinché si possa capire che Dio non respinge il culto delle vesti, ma la frode. Egli, respinto l’ingannatore, sceglieva l’innocente, dicendogli: “Seguimi“. Invece altro dice a colui il cui padre sapeva essere il diavolo, e di cui vien detto: « dimentica la casa di tuo padre » (Psal. XLIV, 11). Questo (seguimi) non lo disse a colui nel quale vide vivere le volpi: infatti la volpe è nella maggior parte dei casi l’animale della frode, che prepara la tana delle anime, e vuole sempre nascondersi nella tana. Così sono gli eretici, che non sanno prepararsi una casa, ma cercano di ingannare gli altri con le loro circospezioni. Chi è semplice vive sempre in una casa. Ma l’eretico è in una tana, come l’astuta volpe che cerca di ingannare la gallina del Vangelo della quale è scritto: « … quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! » (Mt. XXIII: 37). Giustamente è detto che esse hanno delle tane, perché hanno perso la casa che avevano. Questo animale non sarà mai domato, non è di alcuna utilità, né è utile come cibo. Per questo l’Apostolo dice: « Evita l’eretico dopo che sia stato ammonito una volta » (Tt. III,10). Infatti non è di lui che Cristo dice: « Il mio cibo è fare la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Gv. IV, 34). Ed anche il Signore ci ordina di cacciarli dalle sue vigne, dicendoci: « cacciatene le volpi, le volpi piccoline che guastano le vigne, » (Cant. II, 15). Cioè, esse devastano le viti più piccole, non quelle più grandi. E così Sansone (Giud. XV, 4) « … catturò trecento volpi; prese delle fiaccole, legò coda e coda e mise una fiaccola fra le due code » le accese e le liberò nelle messi degli stranieri: con questo intendeva dire che gli eretici cercano di dare fuoco ai frutti degli altri. Non c’è da stupirsi che essi siano paragonati alla bestia, perché non smettono di divorare gli altri, come dice: « parlava come un dragone ed esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza. » Dice questo della prima bestia, sopra raccontata, cioè quella che aveva visto sorgere dal mare, alla quale il diavolo aveva dato il suo grande potere. Ha detto che questo potere è esercitato dalla bestia alla presenza della bestia, cioè dei Vescovi e dei cattivi sacerdoti che egli descrive: tutto il potere del popolo è, come detto sopra, nella coda delle cavallette e dei cavalli. Dice « alla presenza della bestia », perché i Vescovi o i presbiteri, distribuendo i sacramenti, fanno davanti al popolo ciò che è utile alla volontà del diavolo sotto l’abito del carisma della Chiesa. E fa sì che la terra e tutti coloro che vi abitano, adorino quella prima bestia, la cui ferita mortale è stata guarita. Anche in questo caso ha fatto una trasposizione dei nomi. Aveva chiamato « terra » quella bestia con le teste, e « bestia » anche la sua testa: ha detto in precedenza che la ferita della prima bestia era guarita: di questa in vero dice: la sua ferita era guarita, perché pure l’ottava testa di quella bestia, è questa bestia. Insegna a chiamare bestia tutte le parti della bestia, perché in tutte le azioni dei suoi c’è il diavolo, che è la bestia. Questa bestia, poi, che abbiamo descritto con due corna – e detta essere parte di quella bestia – fa sì che adorino quella bestia, cioè che coloro che sono stati ingannati eseguano i suoi ordini: per questo ha chiamato la bestia « terra », per trasferire al « capo come ucciso », cioè a coloro che sembrano seguire Cristo nella passione col loro ufficio e con la loro condotta, il nome della bestia, per non dover dire, come se apertamente malvagi, che la bestia faceva loro adorare la bestia, in quanto di Cristiani hanno solo il nome ma non la condotta. Ma se una cosa è la bestia e un’altra è la terra, in quanto il popolo è la bestia, cosa sarà la terra? Ha detto, non senza gran ragione: la terra e coloro che abitano in essa. Se non ci fosse stata una ragione, sarebbe bastato dire la terra o quelli che abitano la terra; ma così indica la violenza dell’inganno, nel senso che erano sedotti l’anima ed il corpo. Infatti chi cade con la forza, non essendo sedotto, viene reso prigioniero solo del corpo; ma chi è sedotto è invece posseduto nel corpo e nell’anima che abita nello stesso corpo; per questo ha detto: Egli fa sì che la terra e coloro che abitano in essa adorino la bestia la cui ferita mortale è stata guarita. Esaminiamo ancora con maggiore attenzione. Nostro Signore Gesù Cristo è ferito dalla spada, ed è sopravvissuto. E qui ha detto: la bestia che ha la ferita di spada, e visse. Dice che è adorato il dragone, e che anche la bestia è adorata, poiché solo il dragone era adorato tra i suoi. Non essendo però così nella Chiesa, che ha Cristo nel suo corpo come mediatore tra Dio ed essa stessa, pure il diavolo mette tra lui e i suoi (un mediatore), ma solo nel nome ad imitazione di Cristo. La bestia che – dice – ha due corna, che è il suo corpo con tutti i cattivi sacerdoti, non ha nessuno tra il diavolo e i suoi, se non l’unico Verbo, per cui si dice di adorare Cristo morto e risorto; e in questo Verbo costoro adorano in realtà il diavolo che ha inventato un tale simulacro per i suoi, così che, attraverso i cattivi sacerdoti, potesse escludere molte migliaia di uomini dalla Chiesa e gettarli nel tormento dell’inferno. Satana stesso si traveste da angelo di luce (2 Cor. XI,14) affinché i suoi sacerdoti possano ottenere le ricchezze del mondo e conseguire dal popolo attestati di lode, e possano così promettere al popolo una pace sicura. Il diavolo stesso, quindi, occupa il suo posto e quello del mediatore, perché non ha un mediatore proprio, bensì un simulacro di Cristo. Dice che questa falsa immagine è appunto la bestia che aveva la ferita della spada e che è sopravvissuta. Ed infatti è la bestia che sotto questo nome si pone tra se stesso ed i suoi: per questo quando dice che adorano la bestia che ha la ferita della spada ed è vissuta, indica in realtà il diavolo che si trasfigura in angelo di luce, in Colui cioè che ha veramente la ferita della spada e vive, cioè in Cristo. – Noi veneriamo l’Agnello che ha la ferita di spada e vive; essi adorano la bestia, che è travisata a sua somiglianza. Così, i tre: il diavolo, la bestia che sembra essere immolata, e il popolo, sono due per mezzo del simulacro; e se mai si dicesse che è adorata la bestia mediatrice, la cosa si dovrebbe riferire al diavolo, che occupa due posti: il suo e quello di questo “mediatore” nominativo. Si dice il nome « mediatore », che sono gli stessi sacerdoti che, sotto il pretesto di religione, fingono di servire Dio, ma sotto il nome di Dio adorano il diavolo. Con noi hanno in comune Cristo morto e risorto, e lo adorano solo di nome. Ed in Colui che dicono esser risorto, cioè in Cristo – di cui adorano il nome solo a parole, mentre lo negano con le loro azioni – adorano il diavolo, che ha la ferita della spada e vive, ma solo per imitazione ed usurpando il nome di Cristo, al posto del quale cerca di essere adorato mediante un titolo ingannevole, per mezzo del quale i suoi ministri possono trasformarsi in apostoli di Cristo, al solo scopo di sottometterci alla servitù e di adorare invece che Dio, il proprio ventre. In altre circostanze, essi adorerebbero il diavolo ancora sotto il nome degli idoli. Ma qualcuno dirà: qui dice che la bestia ha la ferita, non che simula di aver la ferita. Ecco che la Scrittura ben conosce la mente di coloro che han fatto così, come quando diceva dei Giudei: « … essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua » (Gv. XVIII, 28). La Scrittura non afferma che coloro che erano già molto contaminati potessero peccare se entravano nel Pretorio; né afferma che i Giudei temessero di contaminarsi, coscienti di un crimine così grande sapendo che era Cristo che essi avevano rinnegato; ma la Scrittura lo riporta come affermando ciò che fingevano. Così anche ora dice: la bestia che ha la ferita di spada e vive, ma secondo il loro pensiero: del suo stesso pensiero lo Spirito aveva già detto sopra, non che era stata immolata, « ma che sembrava essere stata immolata. » – E fa sì che la terra e i suoi abitanti adorino la prima bestia, la cui ferita mortale era stata guarita. E fa grandi segni; fino far scendere il fuoco dal cielo alla terra davanti agli uomini; cioè dalla Chiesa lo Spirito scende agli uomini; “alla terra” si riferisce agli uomini; e come i maghi fanno segni davanti agli occhi degli uomini, lo stesso li fanno anche questi alla presenza degli uomini; offrono anche segni veri, ma davanti agli uomini: perché alla presenza del popolo conferiscono lo Spirito battezzando ed ordinando sacerdoti o riconciliando e consacrando basiliche. E seducono coloro che abitano la terra. Certo, con questi veri segni ecclesiastici essa (la bestia) inganna costoro affinché non abitino nei luoghi celesti, ma sui terreni; infatti si identifica con la sua condotta nelle loro abitazioni e nel deserto, cioè in occulto e nel deserto. E seduce coloro che abitano sulla terra: seduce cioè i carnali, quelli che abbiamo dimostrato essere la bestia; li seduce per mezzo di questi segni sacerdotali. – Con questi le è stato concesso di operare attraverso l’immagine della bestia che sembra avere la ferita di una spada e rivive, cioè che sembra operare come Cristo, che è morto e risorto: per mezzo di questi carismi essa seduce la terra, affinché essi si facciano immagine della bestia. E gli è stato concesso di dare lo spirito all’immagine della bestia: fa intendere cioè che allo stesso popolo che ha fabbricato ed adorato questa falsa immagine, facendosi immagine della bestia, dà l’uno e l’altro spirito: l’uno celeste, attraverso il santo carisma; l’altro, lo spirito proprio del discepolo della cattedra di Mosè. Fa scendere il fuoco dal cielo. Il fuoco del cielo è lo Spirito Santo, che è sceso sugli Apostoli, come si legge negli Atti degli Apostoli. Ed avverte che essi danno entrambi gli spiriti: uno dal cielo e uno dalla terra; in entrambi gli spiriti battezzano e attraverso questo battesimo i Santi beneficiano dello Spirito Santo; mentre i proseliti che essi ingannano, beneficiano dello spirito della bestia, affinché siano figli dell’inferno più che essi stessi, e possano eccellere nel male. Egli presenta la manifestazione della stessa bestia, dicendo: e farà sì che vengano uccisi, quanti non adorano l’immagine della bestia. In questo testo, per immagine della bestia intendiamo la bestia. Perché a volte chiama immagine lo stesso popolo, che appare cioè cristiano nel nome, in quanto con i loro segni gli pseudoprofeti, cioè i sacerdoti, li ingannano nel farsi (simulacro della bestia); altre volte chiama l’immagine della bestia la stessa similitudine del nome di Cristo: infatti la bestia, cioè il diavolo, ha finto questa similitudine, nella quale egli stesso è adorato. E così i falsi profeti, che sono i sacerdoti malvagi, certamente ingannano i terreni, affinché si facciano immagine della bestia; e fanno che siano uccisi quelli che non adorano l’immagine della bestia; non l’immagine nella quale con inganno si convertono, ma l’immagine di colui che fa somigliare il popolo a sé. E come si diceva nel Vangelo: quelli che osservano i comandamenti del Padre celeste saranno simili al Padre loro che sta nei cieli, così anche chi fa la volontà del diavolo è simile a lui, e sotto un solo nome di Cristo, di Colui che è stato ferito dalla spada ed è redivivo, che è il Signore Gesù Cristo nei suoi Santi, forma un solo corpo; e così pure la bestia, che simula questo simulacro di Cristo, forma un solo corpo con gli ipocriti. Cristo è la testa per i suoi. E il diavolo, per i suoi. Questa bestia con due corna fa adorare l’immagine della prima bestia; cioè il popolo adora l’immagine del diavolo, e questo è: i suoi sacerdoti, il cui capo, come dicevamo, sembrava ferito a morte. E fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un segno sulla mano destra o sulla fronte. Questo appartiene al mistero, cioè si descrive il mistero dell’iniquità. Ha detto sopra: “farà”, riferendosi a quanti non adorano. E qui dice: fa che tutti, piccoli …; questo “fa” e “farà”, si riferisce al futuro, nel senso che quel che si fa ora spiritualmente, è ciò che sarà fatto apertamente al tempo dell’Anticristo,. Così, in questo modo, mescola entrambi i tempi, dicendo “fa” e “farà”. I santi che sono nella Chiesa ricevono Cristo nella mano e sulla fronte. Per mano si intende l’azione dei Santi; per fronte, la conoscenza dell’opera di Cristo che essi seguono. E manifestano nella Chiesa ciò in cui credono e ciò che fanno. Al contrario, gli ipocriti hanno in mano e sulla fronte, sotto il nome di Cristo, il marchio dell’immagine della bestia, nelle loro opere e nella loro conoscenza. Si mostra inoltre che l’unica bestia con due corna sono molte. Quando dice “fa”, mostra che è uno solo; e quando dice di ricevere un segno su di loro, implica che sono molti, ma è sempre uno solo. Che grande male, e non solo un piccolo danno, è quando un solo falso profeta inganna tutto un popolo, come dice il Signore: sorgeranno molti falsi profeti e sedurranno molti (Mt. XXIV, 11). Succede spiritualmente nella Chiesa quello che si realizzerà apertamente al tempo dell’Anticristo. – Quando abbiamo descritto la bestia con sette teste, abbiamo detto che l’ottava testa erano i falsi sacerdoti; ora è giusto descrivere l’Anticristo, attraverso quegli stessi re, che erano il segno dell’Anticristo, riconoscendoli dalle loro sigle. Le sette teste di questa bestia sono le sette colline sulle quali la donna è distesa: cioè la città di Roma; e come ci sono sette colli, così ci sono sette re. (Questo testo appartiene al capitolo XVII del libro dell’Apocalisse. Beato, come Vittorino, include questo testo ed il suo commento in questo libro che corrispondente al capitolo XIII). Cinque sono già caduti, uno c’è ancora, l’altro non è ancora arrivato: quando arriverà, durerà solo per poco tempo. E la bestia, che c’era e non c’è più, ne è l’ottava (Ap. XVII, 9). È importante considerare il momento in cui è stato pubblicato lo scritto dell’Apocalisse; quando Giovanni vide queste cose in visione, in quel momento era Cesare Domiziano. Prima di lui c’era stato il fratello Tito, ed il padre era Vespasiano; Vitello (Otto) e Galba: sono questi i caduti (manca il nome di Otto. Egli incorpora nel suo Commento anche la leggenda del ritorno di Nerone dall’Oriente). Uno era al potere all’epoca in cui fu scritta l’Apocalisse e questi era Domiziano. L’altro non è ancora arrivato, si riferisce a Nerva. Quando arriverà, sarà qui per un breve periodo di tempo. Questi infatti non è riuscito a portare a termine che un mandato di due anni. E la bestia che avete visto – dice – è uno dei sette, perché prima che questi re regnassero, regnò Nerone: e sarà l’ottavo: e questo ottavo prefigurava l’Anticristo che ha da venire. È l’ottavo e deve venire. Oppure ora, quando arriverà, sarà contato come ottavo! E poiché in lui è la consumazione, ha così detto: “E al venire fa la sua distruzione“. Infatti i dieci re, che abbiamo descritto sopra, che egli ritroverà nel regno di Roma, questi re avranno ricevuto il potere reale, quando l’Anticristo si sarà allontanato dall’oriente, o si sarà lanciato contro la città di Roma con i suoi eserciti. Daniele mostra (Dan. VII) queste dieci corna con il diadema, delle quali furono divelse le prime tre: cioè i primi tre re sarebbero stati uccisi dall’Anticristo, mentre gli altri sette gli avrebbero dato onore, reverenza e potere; e tutti questi odieranno la prostituta, cioè la città di Roma, mangeranno le sue carni e la consumeranno con il fuoco (Ap. XVII, 16). L’Anticristo mostrerà segni così grandi, prodigi e cose ammirevoli davanti agli occhi dei carnali, fino a far scendere fuoco dal cielo, però agli occhi degli uomini (Ap. XIII, 13): non sono segni veri, ma falsi: come fanno oggi i maghi per mezzo degli angeli decaduti; simulerà castità e purezza, anche se sarà molto impuro; e restaurerà il Tempio del Signore a Gerusalemme e farà sì che l’immagine dorata dell’Anticristo sia posta nel Tempio di Gerusalemme in modo che l’angelo decaduto possa entrarvi e da lì rispondere. Poi, dice, l’Anticristo farà sì che schiavi e liberi ricevano un segno sulla fronte o sulla mano destra, il numero del suo nome, cioè seicentosessantasei. Egli ingannerà il popolo, e a somiglianza di Cristo dirà: Io sono l’Alfa e l’Omega, cioè il primo e l’ultimo. Formiamo il numero suddetto, in modo che dal numero scopriamo il suo nome o il suo marchio. Il suo numero, ha detto, è (è probabile che nel testo di Tyconium si trovi X(ji) ξ ς (666 in notazione greca), che Beato ha trasformato in ACXY; e poi maxime in ACXYME.) ACXY, in numero è 666, che scriveremo secondo i greci ACXYME; infatti tra i lettori, si scrive in primo luogo all’Asia. Quindi ACXY somma 666. E queste lettere separatamente sono un numero, e se si raggruppano in un monogramma, formano il marchio, il nome, ed il numero, con questo segno:

Questo monogramma (lo scriveremo qui: PX) che sarà posto sulla fronte e sulla mano destra, contiene il numero del suo nome, numeri che formano, sommati insieme, TCCCXXXV (1.335). Togliendo XLV (45), si ha TCCXC (1.290), cioè i giorni che regnerà, e questo, come detto sopra, è contenuto nel monogramma PX, vale a dire in una singola lettera, poiché in latino “mono” significa uno, e “gramma”, lettera; infatti in un unico segno si riassume il nome e la sua cifra, da porre sulla fronte o sulla mano destra, PX. Quindi è l’ “anti”, cioè, il contrario al Cristo – infatti “anti” vuol dire  “contro” – poiché simulerà l’essersi manifestato come Cristo. Presentata questa somiglianza, al quale la diversità (l’eresia) si fa simile, la fa adorare mediante questo segno sulla fronte o sulla mano: in modo che nessuno possa comprare o vendere, se non colui che ha questo segno sulla mano o sulla fronte. Daniele aveva predetto in precedenza l’ira ed il furore di Dio, quando dice: « Pianterà il suo tempio fra il mare ed il monte splendido e santo »  (Dan. XI, 45), cioè Gerusalemme. Lì metterà la sua immagine d’oro, come aveva fatto Nabucodonosor, in modo che, come abbiamo detto, nessuno possa comprare o vendere, se non venera questa immagine dopo aver avuto il marchio. E farà uccidere coloro che non lo venerano, e con le compere si vedrà chi potrà essere ucciso. Perciò egli non farà commerciare nessuno, se non colui che ha il marchio della bestia, o il suo numero, o il numero del suo nome: cioè se non presenta il marchio, o il nome della bestia, o il numero del suo nome, che sono una cosa sola. Prima aveva detto: solo il segno che si mette sulla mano o sulla fronte; poi, per mezzo di sinonimi, mostra che si chiama segno, nome, o numero del suo nome. Ricordando questo, il Signore, mettendo in guardia le Chiese dai pericoli e dagli ultimi tempi, dice: « Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo – chi legge comprenda – » (Mt. XXIV, 15). Si dice “ira-furore” quando Dio si irrita perché al suo posto si adorano gli idoli, o quando vengano introdotti nelle Chiese i dogmi degli eretici. C’è desolazione perché gli uomini increduli e carnali, sedotti da falsi segni e portenti, si allontanano dalla vera salvezza. Una delle teste della bestia, che abbiamo detto sopra essere quella dei falsi profeti, che sembrava uccisa a morte, e la cui ferita mortale era stata guarita, si riferisce a Nerone, figura dell’Anticristo: e siccome è l’ottava bestia, è lo stesso Anticristo che ora subdolamente regna nella Chiesa attraverso i falsi sacerdoti e poi devasterà apertamente la Chiesa: infatti i Giudei crocifissero Cristo e al posto di Cristo aspettano il Nerone Anticristo. Dio lo manderà, redivivo (si include nel suo testo anche la leggenda di “Nero redivivus”), come un re degno per i degni, e come il Cristo che i Giudei meriteranno; e come Anticristo non avrà il nome di Nerone, ma porterà un altro nome, ed anche istituirà un altro tipo di vita: ed affinché i Giudei lo ricevano tal come Cristo, fingerà di essere casto e puro. Per questo Daniele dice: non conoscerà desiderio di donne, mentre un tempo era molto impuro; e non conoscerà nessun Dio dei suoi padri (Dan. XI, 37): non potrà sedurre il popolo della circoncisione, cioè i Giudei, se non come vindice della Legge. Per questo non chiamerà i Santi perché adorino gli idoli, ma solo perché pratichino la circoncisione. Coloro che ha potuto sedurre in questo modo, dopo essere stati sedotti, li renderà suoi seguaci in modo tale da essere chiamato da loro cristo, ed elargirà molti doni ai Santi sedotti. E dividerà la terra tra quelli del suo esercito, e coloro che non può sottomettere con il terrore, li sottometterà lusingandoli con doni. Sorge dall’inferno, che a proposito della prima bestia abbiam detto essere sorta dall’abisso con parola d’ira: « Le acque lo avevano nutrito, l’abisso lo aveva fatto innalzare » (Ez. XXXI, 4). E sebbene egli abbia un nome falso ed un abito diverso, lo Spirito dice che è la cifra di un uomo, e il suo numero è seicentosessantasei. Così, in numerose lettere greche si ritrovano i numeri DCLXVI (666 in numerazione latina); e questi, per le sette teste, cioè i sette regni che gli sono stati sottomessi, sarà chiamato con sette nomi, e avrà un ottavo nome, che abbiamo detto sopra essere ACXYME: con questo nome comporrà il marchio sulla mano e sulla fronte. Esponiamo alla vostra carità questi sette nomi: EVANTAS, che in latino significa “serpente”, perché fu il primo inganno per Eva. Il suo secondo nome è DAMNATUS, perché ha causato un grande danno al mondo. Il suo terzo nome è ANTEMO, cioè astemio, che teme cioè il vino, astenendosi da esso. Il suo quarto nome in lingua gotica è GENSERICUS. Il suo quinto nome in tutte le lingue è ANTICHRIST. Il sesto nome in greco è TEITAN, e il settimo nome in latino è DICLUX. Intendiamo che questo nome sia espresso come antifrasi: per essere stato privato della luce eterna, e strappato ad essa, si traveste tuttavia da angelo di luce, e presume di dirsi: luce (dic lux!).

DEGLI STESSI NOMI

    1 EVANTAS = 666                                                 5 ANTICRISTO = 666

    2 DAMNATUS = 666                                            6 TEITAN = 666

    3 ANTEMUS = 666                                                 7 DICLUX = 666

     4 GENSERICUS = 666                                           8 ACXYME = 666

Qui è richiesta la saggezza. Il saggio calcoli il numero della bestia, perché è il numero di un uomo (Ap. XIII, 18), cioè del Cristo, di cui la bestia assume il nome. Con ciò che risulta da ciascuna delle lettere si è formato questo numero e questo nome, così interpretato come: DCLXVI (666).

IL MAESTRO DI QUESTO REGISTRO ED IL SIGNIFICATO DELLE LETTERE

(Riproduciamo qui la traduzione del testo latino del Magister laterculi hujus et ratio litterarum, che Flórez ha consapevolmente omesso perché, secondo lui, era privo di significato, ma che è incluso nell’edizione di Sanders e Romero-Pose)

[5] Se da latino pretendete di conoscere la cifra, cominciate prima con le lettere latine e cercate il significato, quante e quali lettere latine entrano nel numero, che secondo il valore numerico latino si sviluppano in tutto il contesto, e in esse troverete i nomi dell’Anticristo. E la ragione di essere il numero sei (666?), cioè DICLUX, infatti è chiamato DICLUX unendo un nome per antifrasi, è perché porterà sette nomi per i sette regni; e i Santi spiegheranno il loro nome con il numero delle lettere, ciascuno secondo la propria lingua, il latino secondo il latino, il greco secondo le lettere greche, e così via, tutti secondo ciascuna. E quando tu, latino, conoscerai il numero con le lettere latine, in questo modo lo conoscerai da ciascuna di esse; e in tutti i nomi troverai 16 lettere dell’alfabeto:

A C D E G H I K I K L M N R S T U X

e questo perché sappiamo che Eva è stata ingannata in paradiso nel suo 16° anno di vita. Non troverete nei loro nomi le rimanenti 7 lettere, cioè:

BFOPQYZ,

perché sappiamo che esso è privo della grazia settiforme. Spieghiamo, come abbiamo promesso, queste lettere alla vostra carità, e faremo distribuire queste lettere dell’alfabeto in 7 parti. In queste parti conoscerete i 7 nomi della bestia, tranne ACXYME, con il quale egli farà il marchio e le scritture (indirizzate) all’Asia; e dove (vedete) in questo alfabeto l’Età, che troverete nelle lettere doppie, e qui dovete capire che c’è il nome ed il numero, di cui facciamo conoscere i nomi singolarmente.

COME  SARÀ RICONOSCIUTO L’ANTICRISTO QUANDO COMINCERÀ A REGNARE IN TUTTO IL MONDO

[6] E gli fu concesso di fare guerra ai santi, di vincerli e di ucciderli; vincerà quelli che troverà accordati con lui; e ucciderà quelli che non sono in accordo con lui. « Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato. Chi ha orecchi, ascolti: Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la fede dei santi. Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua – come fece Nabucodonosor –  alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. » (Ap. XIII, 7-18). Per questo il nostro Signore Gesù, avvertendo la sua Chiesa, dice:  « Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. » (Mt. XXIV, 20) Quando arriverà l’ora dell’Anticristo, egli perseguiterà così tanto la Chiesa che i Santi fuggiranno verso gli eremi ed il deserto. Allora accadrà che tutti i principi della terra, ed anche i piccoli, signori e schiavi, ricchi e poveri, riceveranno il marchio sulla mano destra o sulla fronte, perché nessuno potrà comprare o vendere, se non chi ha questo marchio = PX e il numero del suo nome DCLXVI. Per questo il Signore dice: pregate che la vostra fuga non avvenga in inverno o di sabato. Perché ai tempi dell’Anticristo la Chiesa dovrà fuggire nelle solitudini di Gerico e dell’Arabia, come se fosse ferma ai tempi di Elia. Quando verrà, l’Anticristo proclamerà l’antica Legge e la circoncisione: tutta l’umanità sarà obbligata ad osservare la legge giudaica; ma gli eletti ed i santi spirituali, che non crederanno nell’Anticristo, si allontaneranno da questa persecuzione e abiteranno nelle solitudini, come se ne discute ampiamente in questo libro; per questo il Salvatore ci avverte che dobbiamo pregare che non avvenga in inverno né di sabato questa fuga, durante la tirannia della nostra persecuzione. Infatti se sarà d’inverno che si avvierà la persecuzione dei nostri nemici, la fragilità umana del corpo non sarà in grado di resistere al freddo: ovunque si cercherà di avvicinarsi agli uomini, fuggendo dai rigori del freddo, là si sarà subito fermati, Questo sarà il decreto dell’Anticristo per tutta la terra: che chiunque non abbia questo marchio PX sulla fronte o sulla mano destra, sia fermato e presentato a lui. Ma i Santi che poi abiteranno le solitudini dei monti ed i luoghi nascosti dei boschi non si avvicineranno a nessun uomo per non essere fermati; e per questo ci si dice che dobbiamo pregare perché la nostra fuga non si compia in inverno, quando per l’asprezza del vento e del freddo, fermati dagli uomini di allora e catturati, saremo portati alla presenza dell’Anticristo. Il sabato sarà un giorno di osservanza della Legge e così, secondo la Legge, in questo giorno non è lecito camminare, né fare lavori servili. Se al tempo dell’Anticristo si trova qualcuno che cammini o che svolga un qualsiasi lavoro durante il sabato, sarà presentato all’Anticristo come trasgressore della legge e trasgressore dei comandamenti. E questo perché, come abbiamo detto, l’Anticristo ordinerà che la legge giudaica sia osservata da tutti gli uomini e rispettata a tal punto che si applicherà la pena di morte (per i trasgressori). Ecco perché nei Salmi, prevedendo il futuro, il profeta Davide pregava, dicendo: « Affinché distruggi nemico e difensore » (Psal. VIII, 3). L’Anticristo stesso, pur essendo il più impuro, predicherà la castità e la sobrietà; infatti non berrà vino, né a lui avrà accesso alcuna donna per l’amore; e così ingannerà il popolo proclamandosi nemico della Chiesa e difensore della legge giudaica. Ma se si vuol riferire al senso spirituale, pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato: l’inverno a cui ci si riferisce è la  fede quando dovesse diventare fredda, tanto da tornare al paganesimo. Secondo dice pure il Salvatore che « … per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà » (Mt. XXIV, 12). E nomina il sabato affinché, … man mano che la vostra fede si raffredderà, non cadiate nel giudaismo e, secondo il comandamento dell’Anticristo, non santifichiate il sabato. Questi precetti dell’Anticristo nessuno li può evitare, se non chi creda nella Santa Trinità, in un solo Dio, e sia all’interno dell’unica Chiesa Cattolica Apostolica, si contenti della povertà apostolica, che non ama nulla di questo mondo se non Cristo, e si rallegri molto delle tribolazioni di questo mondo affinché possa prosperare, ed evitare con tutta la forza della sua anima sia i principi di questo mondo che i gaudenti mondani, affinché possa meditare giorno e notte la legge del Signore e dilettarsi della vita contemplativa e della solitudine; gli altri invece che son trovati esser carnali ed amanti di questo mondo, si sottometteranno senza alcuna difficoltà al giogo del suo potere.

[7] SULL’ANTICRISTO E SU COME ELIMINERÀ L’IMPERATORE ROMANO E SI IMPADRONIRÀ DELL’IMPERO DA SE STESSO (*)

(*) Questo excursus sull’Anticristo in questa edizione, come in quella di Flórez, si trova alla fine del prologo del secondo libro.

INIZIA LA STORIA DEL DECIMO SEGNO (*)

(*) Si veda all’inizio di questo Libro VI, nei dieci capitoli.

(Ap. XIV, 1-5)

Et vidi: et ecce Agnus stabat supra montem Sion, et cum eo centum quadraginta quatuor millia, habentes nomen ejus, et nomen Patris ejus scriptum in frontibus suis.  Et audivi vocem de cælo, tamquam vocem aquarum multarum, et tamquam vocem tonitrui magni: et vocem, quam audivi, sicut citharœdorum citharizantium in citharis suis. Et cantabant quasi canticum novum ante sedem, et ante quatuor animalia, et seniores: et nemo poterat dicere canticum, nisi illa centum quadraginta quatuor millia, qui empti sunt de terra. Hi sunt, qui cum mulieribus non sunt coinquinati: virgines enim sunt. Hi sequuntur Agnum quocumque ierit. Hi empti sunt ex hominibus primitiæ Deo, et Agno: et in ore eorum non est inventum mendacium: sine macula enim sunt ante thronum Dei.

(E vidi: ed ecco l’Agnello che stava sul monte di Sion, e con lui cento quarantaquattro mila persone, le quali avevano scritto sulle loro fronti il suo nome e il nome del suo Padre. E udii una voce dal cielo, come rumore di molte acque, e come rumore di gran tuono: e la voce, che udii, era come di citaristi che suonino le loro cetre. E cantavano come un nuovo cantico dinanzi al trono e dinanzi ai quattro animali e ai seniori: e nessuno poteva dire quel cantico, se non quei cento quarantaquattro mila, i quali furono comperati di sopra la terra. Costoro sono quelli che non si sono macchiati con donne: poiché sono vergini. Costoro seguono l’Agnello dovunque vada. Costoro furono comperati di tra gli uomini primizie a Dio e all’Agnello, e non si è trovata menzogna nella loro bocca: poiché sono scevri di macchia dinanzi al trono di Dio.)

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA SOPRA DESCRITTA

[8] E io guardai, e vidi un agnello sul monte Sion, e con lui cento quaranta quattro mila persone, che avevano sulla fronte il nome dell’agnello e il nome del Padre suo. Fa comprendere che quella del marchio sulla fronte, sia un’imitazione quando dice che Dio e Cristo uomo sono scritti sul frontale della Chiesa. E udii una voce dal cielo come un fragore di grandi acque, che è quella dei cento quaranta quattro mila. Le acque qui sono i Santi. E il fragore di un grande tuono. La voce che udii era come quella di suonatori di arpa che si accompagnano nel canto con le loro arpe. Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro animali e ai vegliardi; E nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquaranta quattro mila. Non ha detto che nessuno poteva sentire, bensì che nessun poteva comprendere (La Vulgata impiega il verbo dicere; nel testo di Beato, c’è discere = imparare, che è mutuato dalla versione greca). Ed infatti, « … che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità » (2 Tm. III, 7), ma solo quei cento quaranta quattro mila, come si dice: che sono stati riscattati dalla terra: questi sono coloro che non si sono contaminati con donne; ma coloro che si uniscono legittimamente con le donne non si contaminano. Si riferisce solo ai maschi, cioè a coloro che sono forti contro il diavolo. Questi tengono delle arpe in mano, che sono cioè i cuori di chi loda. Infatti le arpe sono i cuori tesi sul legno, e per legno intendiamo la croce. Per cuori, intendiamo la carne inchiodata alla croce, cioè la penitenza, quasi per dire la morte, come dice l’Apostolo: « Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal. II, 19). Diciamo “maschio”, anche se nel maschio è rappresentata pure la donna che non sia stata illegalmente unita ad un uomo, ed anche perché tutti sono generati dal maschio. Perché sono vergini. Egli chiama tutti i penitenti “vergini”, cioè i casti ed i pudici: come scrive l’Apostolo a tutta la Chiesa: « avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta » (2 Cor. XI, 2). Questi seguono l’Agnello ovunque vada. Solo coloro che si considerano figli o vergini seguono Cristo ovunque Egli li conduca. Essi sono tutti quelli che Egli ha chiamato alla penitenza, perché questi sono stati redenti tra gli uomini fin dal principio da Dio e dall’Agnello. Fin già da Adamo, i giusti purificati sono stati redenti dalle fiamme del mondo, compresi quelli di prima della venuta di Cristo, e molti ancor prima del suo avvento sono stati liberati dalla misericordia del Signore, come leggiamo dei tre giovani liberati dalla fornace del fuoco ardente (Dan. III, 49); ed ora che il mondo è redento dal suo sangue, molti sono liberati sul suo esempio, e molti caduti nel peccato sono reintegrati dal frutto della penitenza, e di questi dice: Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia. Non dice che non hanno sulla bocca menzogna, ma che non fu trovata, come dice l’Apostolo: « … e tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati » (1 Cor. VI, 11). « la malvagità dell’empio non gli sarà di danno, se desiste dalla sua iniquità » (Ez. XXXIII, 12). Come lo trova il Signore quando lo chiama, così parimenti lo giudica. Come lo troverà nell’ultimo giorno, così lo condannerà o lo incoronerà. Nel modo più chiaro Dio promette questo non solo ai piccoli, ma pure a tutti coloro che credono rettamente e vivono rettamente nella carità e nella pazienza, che fanno degna penitenza, e che non si troverà in loro una lingua mendace, secondo Egli dice: « confiderà nel Nome dei Signore il resto di Gerusalemme Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. » (Sof. III, 13). Come è stato scritto dal Signore: « … egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, » (1 Pt. II, 22). Non ha peccato, perché è vissuto senza peccato. In Lui non è stato trovato alcun inganno, perché se nella Chiesa non c’è inganno, questo avviene perché Essa è rivestita di Cristo. E se c’è inganno nella lingua, questa non è la Chiesa, perché rimane nella menzogna: la Chiesa non mente, perché rimane nella carità e nella luce, e Dio rimane in Essa. Così dice l’Apostolo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore » (2 Cor. V, 21), e cioè ha preso su di sé i nostri peccati che non si trovavano in Lui. Perché senza questa distinzione è impossibile credere che Cristo abbia fatto peccato. Non ha commesso Egli peccato, non si è trovato ingannato: ciò che è peccato, questo è inganno. Questi è l’Agnello mite e senza inganno, che sta in piedi sul Monte Sion. Stare in piedi sulla montagna significa che è sulla Chiesa perché ci esorta ad elevarci e ci incita a fare penitenza. Alzarsi in piedi è proprio di chi combatte. E si dice giustamente che chi combatte con la bestia è in piedi nella battaglia. Nel tempo del pellegrinaggio in questo mondo presente, la Chiesa è chiamata Sion, perché nel suo pellegrinare da lontano contempla dalla sua torre di osservazione, la promessa dei beni celesti. Ed è per questo che Sion fu chiamata « … colei che contempla dalla torre di guardia », perché disprezzando sensibilmente le cose terrene, perseverando con lo spirito e l’anima nella contemplazione, tende sempre alle cose celesti. Qui è chiamata Sion, e in futuro si chiamerà la « Gerusalemme celeste ». Pur se in questo mondo la Chiesa è anche  chiamata Gerusalemme, questa Gerusalemme è schiava insieme ai suoi figli: ma al contrario, quella che viene dall’alto è libera e madre di tutti noi (Gal. IV, 26). Di questa si dice: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati » (Mt. XXIII, 37). Di essa è stato detto: « Esulta, o sterile che non hai partorito, … perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore. » (Is. LIV, 1). Gerusalemme in latino significa « visione di pace ». Ma la Chiesa qui non può avere pace perché è nella battaglia della persecuzione. In questa Gerusalemme vive con la bestia, e qui il falso profeta ha la pace perché non lavora per quella futura. Questa Gerusalemme sta ai piedi della donna che lapida i profeti ed uccide coloro che le sono mandati. In questa Gerusalemme ogni giorno l’Agnello è crocifisso nelle sue membra ed è immolato. Infatti chi soffre ogni giorno non può avere pace in questo mondo. Ma per la pace futura, la Gerusalemme, che qui è la Chiesa, e che è il Monte Sion, soffrirà con l’Agnello, affinché un giorno, a sofferenza finita, possa essere unita agli altri che hanno vinto. Infatti colà, annichilata, vinta ogni avversità, possiederà la pace – che è Cristo – alla sua presenza. – Qui termina e ricapitola dal tempo delle persecuzioni in Africa.

TERMINA IL LIBRO SESTO.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (13)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (11)

 Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (11)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO QUINTO

(Ap. VIII, 2-5)

Et vidi septem angelos stantes in conspectu Dei: et datæ sunt illis septem tubæ. Et alius angelus venit, et stetit ante altare habens thuribulum aureum: et data sunt illi incensa multa, ut daret de orationibus sanctorum omnium super altare aureum, quod est ante thronum Dei. Et ascendit fumus incensorum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo. Et accepit angelus thuribulum, et implevit illud de igne altaris, et misit in terram: et facta sunt tonitrua, et voces, et fulgura, et terræmotus.

(E vidi i sette Angeli che stavano dinanzi a Dio: e furono loro date sette trombe. E un altro Angelo venne, e si fermò avanti l’altare, tenendo un turibolo d’oro: e gli furono dati molti profumi affinché offerisse delle orazioni di tutti i santi sopra l’altare d’oro, che è dinanzi al trono di Dio. E il fumo dei profumi delle orazioni dei santi salì dalla mano dell’Angelo davanti a Dio. E l’Angelo prese il turibolo, e lo empié di fuoco dell’altare, e lo gettò sulla terra, e ne vennero tuoni, e voci, e folgori, e terremoto grande.)

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA NEL LIBRO QUINTO

[1] In questo libro si ricapitola dalle origini dicendo: e vidi i sette angeli in piedi davanti a Dio. I sette Angeli sono le sette chiese sopra descritte, ma sono anche altre visioni che si dovrebbero contemplare attraverso questi sette Angeli … che ricevettero sette trombe, cioè una predicazione perfetta, come sta scritto: « … alza la tua voce come una tromba » (Is. LVIII, 1). E un altro Angelo venne e si fermò davanti all’altare. Anche questo tipo di narrazione usato qui deve essere inteso in senso spirituale. Spesso ciò che si propone in senso spirituale, lo si riassume in un piccolo paragrafo, e lo si racconta brevemente. E, finito ciò che aveva intercalato per oscurarlo, torna al suo proposito. Prima ha detto che i sette Angeli ricevettero le trombe, e ora dice: un altro angelo è venuto e si è fermato accanto a quello vicino all’altare. Questo Angelo è Cristo, che sta accanto alla Sua Chiesa ripiena di Spirito Settiforme: questo perché si possa capire che Egli è venuto dopo i sette Angeli. Giovanni invero vide questo nello stesso tempo, e quando venne l’Angelo, essi ricevettero le sette trombe, cioè annunciarono Cristo in tutto il mondo. Certamente la Chiesa ha predicato prima della venuta di Cristo, ma solo in Giudea. Dio infatti comandò, per mezzo di Mosè, che nessuno salisse all’altare finché Cristo non fosse venuto con un turibolo d’oro. Chiamiamo turibolo d’oro, quel che è il corpo di Cristo. Il Signore stesso è diventato un turibolo da cui Dio ha ricevuto il dolce profumo e si è reso propizio al mondo. « A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme » (1 Pt. II, 21): e poi « siamo diventati il buon profumo di Cristo » (2 Cor. II, 15). Gli furono regalati molti profumi affinché, rappresentando le preghiere dei santi, potesse offrirli sull’altare dorato, posto davanti al trono. Traeva cioè i profumi delle orazioni dei Santi. Infatti ha lasciato in eredità alla sua Chiesa le preghiere con cui Dio è placato, secondo quanto dice: il fumo dei profumi che rappresentano le preghiere dei santi è salito davanti a Dio per mano dell’Angelo. L’Angelo prese l’incensiere e lo riempì con la brace dall’altare. Abbiamo già detto che l’incensiere è il corpo di Cristo, e l’altare è la Chiesa. Il Signore ha preso il suo corpo, cioè la Chiesa, perché essa, imitando Cristo attraverso la fede, è congiunta al corpo di Cristo come un membro, e compiendo la volontà del Padre l’ha riempita con la brace dell’altare, cioè con la sua potenza, come dice: « Come il Padre mio mi ha mandato alla passione, così anch’Io mando voi alla passione » (Gv. XX, 21), passione, che consiste nel sacrificio e nella propiziazione a Dio. Su questo la Chiesa riceve tutto il potere in cielo ed in terra quando, nell’Offerta del Signore, compie il sacrificio di Dio. E lo gettò sopra la terra… poiché dalla Chiesa è venuta l’ira sul mondo, secondo si dice per mezzo di Zaccaria: « In quel giorno farò dei capi di Giuda come un braciere acceso in mezzo ad una catasta di legna e come una torcia ardente fra i covoni; essi divoreranno a destra e a sinistra tutti i popoli vicini. » (Zac. XII, 6); poiché chi non obbedisce alla Chiesa incorrerà sicuramente nell’ira di Dio. E si udirono voci di tuoni, fulmini e terremoti. Le voci, i tuoni e i lampi della Chiesa sono la predicazione; i terremoti, invece, sono le persecuzioni che la Chiesa subisce ovunque, perché ovunque predichi soffre sempre tribolazione. Dice che questo sarebbe accaduto nel tempo, e diretto verso tutti i poteri fino alla fine. Poi ripete ciò che ha detto, per esporre uno ad uno la missione dei sette Angeli di cui si è parlato. E i sette angeli delle sette trombe si prepararono a suonare (Ap. VIII, 6-7). Cioè le sette chiese si preparano a predicare. Il primo angelo suonò la sua tromba, e vi furono grandine e fuoco mescolati a sangue. L’ira di Dio si abbatté, e si ebbe in essa la morte di molti. Fu gettata sopra la terra: la terza parte della terra fu bruciata, la terza parte degli alberi fu bruciata, tutta l’erba verde fu bruciata.

[2] Terra, alberi ed erba sono la stessa cosa. Ha parlato qui di tre “parti”, perché vi sono tre ordini, cioè la Chiesa, poi i falsi fratelli, quelli si chiamano Cristiani, ed una terza parte che sono gli infedeli. È contro queste due ultime parti, malvagie gemelle, che combatte la Chiesa: e queste due parti combattono contro la Chiesa. Così, Dio promette per mezzo di Zaccaria, di colpire i pastori e coloro che sono uniti a loro in tutto il mondo e di disperdere le pecore (Zac. XIII, 7); di queste tre parti, se ne libera una, e se ne uccidono le altre due, cioè gli infedeli ed i cattivi Cristiani, i Cristiani cioè solo di nome, ma pagani nelle loro opere. E queste parti sono due. Ed in due modi l’uomo si separa da Dio, o per la fede o per le opere. Infatti, così come chi non ha fede è separato da Dio, anche chi se ne allontana per le opere si dice separato da Dio Onnipotente, anche se, stando all’interno della Chiesa, sembra avere fede. Di queste tre parti che sono in tutto il mondo, una sarà risparmiata, e sono le “pecore”  , che è la Chiesa. «  Insorgi, spada – dice – contro i pastori, contro colui che è mio compagno. Oracolo del Signore degli eserciti. Percuoti il pastore e sia disperso il gregge, allora volgerò la mano sopra i pastori e succederà in tutta questa terra » Due terzi saranno sterminati e moriranno, e un terzo rimarrà in essa, certamente tutto questo accadrà nella terra: In tutto il paese, – oracolo del Signore – due terzi saranno sterminati e periranno; un terzo sarà conservato. Farò passare questo terzo per il fuoco e lo purificherò come si purifica l’argento; lo proverò come si prova l’oro. Invocherà il mio nome e io l’ascolterò; dirò: “Questo è il mio popolo”. Esso dirà: “Il Signore è il mio Dio“. » (Zac. XIII-7-9). Prima del giorno del giudizio, avverrà già la separazione tra tutti quelli che sembrano o si reputano popolo di Dio, e quelli che si pensa essere il solo popolo di satana nel mondo: quando avverrà la separazione, che si attuerà mediante la persecuzione che avrà luogo nel mondo, allora apparirà il terzo di Dio, e ad essi, a coloro che vede soffrire per il suo Nome, Dio dice: voi siete il mio popolo; … ed il popolo dice: voi siete il mio Dio. L’erba verde, a sua volta, si riferisce alla carne impinguata e lussuriosa: « Ogni uomo è come l’erba » (Is. XL, 6). Queste tre parti sono tra loro discordi; ma solo una è di Dio, ed è quella che si salva o in questo mondo o nel giudizio. Secondo che si dice attraverso Giobbe: « Non lascia vivere l’iniquo e rende giustizia ai miseri. » (Giob. XXXVI, 6). La Sacra Scrittura spesso chiama gli umili: « poveri »; per questo nel Vangelo li cita, aggiungendovi lo spirito, quando dice: « beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli » (Mt. V, 3). Infatti, sebbene le ricchezze mostrino visibilmente i potenti, quando questi in sé stessi non sono orgogliosi, nella loro coscienza sono anch’essi poveri. Ma chiama empi coloro che si sono separati dalla pietà della fede, o quelli che ciò che credono per fede lo contraddicono con le loro cattive abitudini. Dio onnipotente infatti condanna la malizia della superbia, non l’eccellenza della ricchezza, come dice: Dio non respinge il potente, come tale; ma non salva i malvagi, e rende giustizia ai poveri, cioè distruggerà i superbi, e libererà gli umili con il suo giudizio. Oppure renderà giustizia ai poveri, perché coloro che sono ingiustamente oppressi in questo mondo, saranno poi i giudici dei loro oppressori nel giorno del giudizio. Infatti ci sono due parti nel giudizio, quella degli eletti e quella dei reprobi. Ma entrambe queste parti sono contenute in ognuna delle stesse parti. Infatti alcuni sono giudicati e periscono; altri non sono giudicati ma periscono; altri sono giudicati e regnano. Sono giudicati e periscono quelli ai quali sarà applicata la sentenza del Signore: « … io avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non mi avete dato da bere. Ero un forestiero e non mi avete ospitato. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero malato ed in prigione e voi non mi avete visitato » (Mt. XXV, 42). A questi era stato premesso: andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli. Di altri che non sono giudicati nel giudizio finale e periscono, il profeta dice: « … non risorgeranno gli empi nel giudizio » (Psal. I, 5); e dei quali il Signore dice: « chi non crede è già giudicato » (Gv. III,18). Di questi anche San Paolo dice: « Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge » (Rm. II, 12). Anche tutti gli infedeli risorgeranno, però non per il giudizio, bensì per il tormento … Infatti la causa di coloro che sono già stati sottoposti al giudizio del Giudice rigoroso e condannati per la loro infedeltà, non viene esaminata. D’altra parte, coloro che mantengono la professione di fede, ma non hanno opere corrispondenti a tale professione, sono redarguiti onde perire. Ma coloro che non hanno neppure posseduto i misteri della fede non sentiranno il rimprovero del Giudice nel giudizio finale, perché, condannati a priori dalle tenebre della loro incredulità, non meritano di essere rimproverati con la condanna di Colui che hanno disprezzato. Chi, almeno a parole, ha fede almeno ascolterà le parole del Giudice. Quelli che, nella loro condanna, non ascolteranno nemmeno le parole dell’eterno Giudice, è perché hanno preferito non conservare che a parole il rispetto della fede. Periranno legalmente coloro che, posti sotto la legge, hanno peccato; a questi, nella loro condanna, non si dice nulla della legge, perché non si sono sforzati di osservare nulla della legge. Il principe che governa la repubblica terrena, punisce il cittadino che commette un crimine all’interno del regno in un certo modo, ma in altro modo il nemico che combatte fuori dal regno. Nel primo caso, esamina i suoi diritti, e lo condanna con parole che trova adeguate; contro il nemico, invece, dichiara guerra, impiega strumenti di distruzione, e lo punisce con i castighi adeguati alla sua malvagità; e non chiede al malvagio quale legge abbia; né è necessario che questi sia ucciso secondo una legge alla quale non si è mai sottomesso. Così, nel giudizio finale, la condanna legale colpirà colui che, avendo fatta professione di fede, ha deviato nella sua condotta. L’uomo che viene messo a morte senza conoscere alcun giudizio, è colui che non possiede la legge della fede. – Parte degli eletti, sono giudicati e regnano: essi sono quelli che lavano le macchie della vita con le loro lacrime. Infatti nel riscattare i mali di un tempo con le loro azioni successive, nascondono agli occhi del Giudice ciò di cui si erano un tempo macchiati mediante le elemosine riparatrici. Quando arriva, il Giudice dice a quelli alla destra: Avevo fame e mi avete dato da mangiare. Avevo sete e mi avete dato da bere. Ero straniero e mi avete accolto. Ero nudo e mi avete rivestito. Ero malato e mi avete visitato. Ero carcerato e siete venuti a trovarmi. A questi dice: Venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato per voi fin dalla fondazione del 0mondo. Altri non sono giudicati e regnano: sono coloro che sono andati al di là anche degli insegnamenti della legge mediante le virtù della perfezione, in quanto non si sono accontentati di adempiere solo a ciò che la legge divina comanda a tutti ma, avendo il desiderio di una maggiore perfezione, hanno voluto realizzare più di quanto appreso dai precetti generali; a questi dice la voce del Signore: « Voi che avete lasciato le vostre cose e mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo siederà sul trono di sua maestà, anche voi siederete sui dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele (Mt. XIX, 28). Di questi ancora il profeta dice: « Il Signore verrà a giudicare con gli anziani del suo popolo » (Is. III, 14).  – Salomone ne parlava anche a proposito dello sposo della santa Chiesa, dicendo: «  … è stimato alle porte della città dove siede con gli anziani del paese » (Prov. XXXI, 23). Questi, quindi, non vengono giudicati e regnano nel giudizio finale, perché vengono come giudici insieme al loro Fondatore: ed infatti lasciando tutto, hanno seguito questi precetti con una devozione più determinata di quanto abbiano sentito dire che fosse stato ordinato a tutti in generale. Perciò con un precetto speciale si obbliga pochi altri perfetti, e non a tutti in generale, quello che il giovane ricco si sentì dire: « va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo. Vieni e seguimi » (Mt. XIX, 21). Pertanto se un comandamento generale obbligasse tutti a questo precetto, sarebbe certamente peccaminoso per noi possedere qualcosa di questo mondo. Tuttavia, una cosa è ciò che le Sacre Scritture obbligano tutti a fare in generale, e un’altra cosa è ciò che viene comandato ai più perfetti in particolare. Questi giustamente non sono vincolati al giudizio universale, perché nella loro vita sono andati ben oltre i precetti generali. Chi, consigliato dalla perfidia, ha disprezzato la legge, non viene giudicato e perisce; chi invece, su consiglio della pietà, va oltre i precetti generali della legge di Dio, non viene giudicato ma regna. Per questo s. Paolo, andando oltre anche i precetti particolari, ha esposto nella sua condotta più di quanto si era impegnato a fare secondo la legge stabilita (At. XX, 33). Infatti, pur avendo accettato che colui che predica il Vangelo viva del Vangelo, ha predicato il Vangelo agli uditori, ed ha rifiutato di essere sostenuto da coloro che lo ricevevano. Perché allora, non dovrebbe essere giudicato degno di regnare chi non si è limitato a fare il minimo, ma ha fatto qualcosa di più grande di ciò che gli era stato comandato? Si dice con giustizia: « Ai miseri del suo popolo renderà giustizia » (Psal. LXXI, 4), perché nella stessa misura in cui sono stati disprezzati in questo mondo, per la loro grande umiltà, in quella stessa misura poi nel giudizio, occupando i loro posti, ugualmente si eleveranno a maggiore altezza di potere.

TERMINA LA STORIA DELLA PRIMA TROMBA

INIZIA LA STORIA DEL SECONDO ANGELO

(Ap. VIII, 8-9)

Et secundus angelus tuba cecinit: et tamquam mons magnus igne ardens missus est in mare, et facta est tertia pars maris sanguis, et mortua est tertia pars creaturæ eorum, quæ habebant animas in mari, et tertia pars navium interiit.

(E il secondo Angelo diede fiato alla tromba: e fu gettato nel mare quasi un gran monte ardente di fuoco, e la terza parte del mare diventò sangue, e la terza parte delle creature animate del mare morì, e la terza parte delle navi perì.)

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DI QUESTA STORIA

[3] E il secondo angelo suonò la tromba: poi fu gettata in mare con come una grande montagna in fiamme. Il monte ardente è il diavolo lanciato al popolo. E la terza parte del mare si è trasformata in sangue. Il mare si riferisce a questo mondo. Quel che è la terza parte della terra o degli alberi, come esposto in precedenza, tale è pure la terza parte del mare. Ha detto terza, confermando così che ci sono tre parti in tutto il mondo. E ciò che ha detto: la terza parte del mare è diventata sangue,  quella stessa parte si trova nella Chiesa sotto il nome di Cristianesimo. Così in Egitto per la prima volta le acque diventano sangue. Il mare e l’Egitto sono questo mondo. Anche se questo è successo materialmente in Egitto, lo stesso sta accadendo spiritualmente in mezzo a noi. Le acque diventano sangue, cioè la dottrina dei filosofi è recepita carnalmente nel mondo. Questi attingono molte cose dalle Scritture, ma le interpretano secondo la carne; quindi il mare, cioè il popolo, si converte in sangue ad imitazione di quelli che la croce di Cristo, cioè la penitenza, espelle dalla Chiesa. Un terzo delle creature del mare che hanno la vita sono morte. Quello che è la creatura, lo è anche il mare: la medesima cosa è divisa in due parti. Ha detto anche che la terra e gli alberi avevano la vita, per dimostrare che si riferiva ai vivi e ai morti. E la terza parte delle navi è stata distrutta. Abbiamo detto prima che le dottrine dei filosofi e degli ipocriti distruggono la terza parte della terra, facendo proseliti. Distruggono la terra, cioè gli uomini terreni che non si elevano alle cose celesti. Quello che è il mare, questo è pure la creatura: ed in questo mare ci sono anche le navi.

TERMINA LA SECONDA TROMBA

COMINCIA IL TERZO ANGELO DELLA STORIA

(Apoc. VIII, 10-11)

Et tertius angelus tuba cecinit: et cecidit de cælo stella magna, ardens tamquam facula, et cecidit in tertiam partem fluminum, et in fontes aquarum:  et nomen stellae dicitur Absinthium, et facta est tertia pars aquarum in absinthium; et multi hominum mortui sunt de aquis, quia amaræ factæ sunt.

(E il terzo Angelo diede fiato alla tromba: e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una fiaccola, e cadde nella terza parte dei fiumi e delle fontane: e il nome della stella si dice Assenzio; e la terza parte dell’acque diventò assenzio: e molti uomini morirono di quelle acque, perché diventate amare.)

SPIEGAZIONE DELLA STESSA STORIA

[4] Suonò la tromba il terzo Angelo ed una grande stella cadde dal cielo, bruciando come una torcia. Si dice che gli uomini siano caduti dalla Chiesa. Ha detto una grande stella perché personaggi importanti sono coloro che sembrano essere nella Chiesa, ma che sono invece tra i membri dell’Anticristo. Egli chiama la Chiesa: « cielo »: quando ci si separa dalla Chiesa sollevandosi contro di essa,  si dice che « si è caduti dal cielo ». Si dice « stella » perché, anche se non hanno un cuore puro, sembrano brillare tra gli ignari. La Verità dice nel Vangelo: io sono la luce del mondo (Gv. VIII, 12), e così come lo stesso Redentore del mondo è una sola Persona con l’assemblea dei buoni – perché Egli è il Capo del corpo, e noi siamo il corpo di quel Capo -, così l’antico nemico è un’unica persona congregata con  i reprobi. Esso infatti, in qualità di capo, li presiede per mezzo dell’iniquità. – Infatti è un procedere normale in relazione ad esso, e quello che si sente dire del capo si applica ai membri, o quello che si dice dei membri si riferisce al capo. Quello che sappiamo di Cristo e del suo corpo, lo stesso si deve intendere del diavolo e delle sue membra. Infatti, quando obbediscono alle sue persuasioni, aderiscono a lui come un corpo sottomesso al capo, di cui si dice attraverso Paolo « Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, abominevoli come sono, ribelli e incapaci di qualsiasi opera buona. » (Tt. I,16), per cui sicuramente le loro azioni sono infime e scadenti, o le opere giuste non sono fatte con la rettitudine di cuore. Infatti non cercano con le loro opere delle ricompense eterne, ma dei benefici temporali. Eppure, sentendo che vengono lodati come santi, si convincono di esserlo veramente. E nella misura in cui si reputano irreprensibili agli occhi di molti, guardano con fiducia al giorno del giudizio. … cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle sorgenti delle acque. È la terza parte che viene associata all’amarezza della predicazione, come quando dice: la stella si chiama assenzio. E la terza parte degli uomini divenne simile alla stella che cadde sopra di essa. E la terza parte delle acque si trasformò in assenzio, e molte persone morirono per le acque che erano diventate amare. Le acque sono le persone. Le acque diventano amare quando viene assorbita la malefica dottrina dalla predicazione. Così al Signore è dato da bere sulla croce dell’aceto e del fiele, che rappresentano appunto la dottrina malvagia degli eretici; per questo Egli non li ha voluti bere. Ma gli uomini sono morti, colpiti da letali dottrine.

TERMINA LA TERZA TROMBA

COMINCIA LA STORIA DELLA QUARTA TROMBA

(Apoc. VIII, 12-13)

Et quartus angelus tuba cecinit: et percussa est tertia pars solis, et tertia pars lunæ, et tertia pars stellarum, ita ut obscuraretur tertia pars eorum, et diei non luceret pars tertia, et noctis similiter. Et vidi, et audivi vocem unius aquilæ volantis per medium caeli dicentis voce magna: Væ, væ, væ habitantibus in terra de ceteris vocibus trium angelorum, qui erant tuba canituri.

(E il quarto Angelo diede fiato alla tromba; e fu percossa la terza parte del sole, e la terza parte della luna, e la terza parte delle stelle, di modo che la loro terza parte fu oscurata, e la terza parte del giorno non splendeva e similmente della notte. E vidi, e udii la voce di un’aquila che volava per mezzo il cielo, e con gran voce diceva: Guai, guai, guai agli abitanti della terra per le altre voci dei tre Angeli che stanno per suonare la tromba.)

TERMINA L’AQUILA CHE VOLAVA

SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

[5] Il quarto angelo suonò la tromba e un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo degli astri fu colpito e si oscurò: il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente. Il sole, la luna e le stelle rappresentano tutti la Chiesa, la cui terza parte è stata ferita. La terza parte è solo un nome che ne designa la divisione, ma non si riferisce per nulla alla quantità. Abbiamo detto prima che in tutto il mondo ci sono tre parti. Una è la gentilità, che è al di fuori della Chiesa; nella Chiesa ce ne sono  altre due: l’una buona, e l’altra, sotto il nome di Cristianesimo, cattiva; e così si dice che siano tre. Queste due parti all’interno della Chiesa si chiamano: « giorno e notte ». E fu chiamata la terza parte del giorno e la terza parte della notte, alle quali si dice: « Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e farò notte tua madre. » (Osea IV, 5). Ed ancora, come il giorno è la « scienza », così la notte è l’« ignoranza ». Infatti l’ignoranza è la madre degli errori. Perciò essa fu colpita, perché apparissero la terza parte del giorno e la terza parte della notte: una terza parte è di Cristo, ed una terza parte è del diavolo. E perché ha detto … fu ferita e si oscurerà, se non perché diverrà oscurata; e qual è la sua ferita, se non la propria volontà? Perché non è apparsa oscurata quando è stata percossa, ma è stata ferita in vista di tale scopo, cioè è stata consegnata alla propria volontà. Infatti chi è spinto dai propri desideri, anche se sembra operare con rettitudine, è chiamato indubbiamente « tenebra dell’ignoranza ». Ed infatti la Chiesa, non fa la propria volontà, ma obbedisce ai comandi del Maestro che la guida dicendo: « … non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato, del Padre » (Gv. V, 30). Del sole, la luna e le stelle, un terzo sono oscurati, perché chi non imita Cristo, la Chiesa ed i Santi Padri che lo precedono, colpito da interessi terreni, si manifesta come oscurato durante il giorno. Il sole consiste nella luce, e le opere buone ne sono la manifestazione, secondo sta scritto: « Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli » (Mt. V, 16). Ed anche: « Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese (Lc. XII, 35). Quel che qui si designa col sole è quello stesso che nel Vangelo è rappresentato dalle lampade accese. Un’opera buona, quando brilla tra i malvagi, è una torcia collocata nella notte; ma quando brilla nella Chiesa, brilla di giorno. La buona opera, se è tale da suscitare ammirazione solo tra i cattivi, è davvero una torcia nella notte. Ma se l’operare benefico può essere ammirato dal buono e dal più perfetto, questo è proprio il sole di giorno. La buona opera, quando brilla attraverso la sola attività del corpo, illumina con la sua luce come una lampada di fango. Ma quando si eleva alla contemplazione, per sola virtù dell’anima, la sua luce si vede venire dal cielo, come dal sole. Ci sono alcuni che, quando fanno delle opere buone, obliando nel contempo le loro iniquità, fissano l’occhio del cuore al pensiero dell’opere buone compiute: pensano così di essere santi, perché con le opere buone che compiono, cancellano la memoria delle loro opere cattive nelle quali forse sono ancora coinvolti. Se mettessero in conto il rigore del giudizio, temerebbero più per le loro cattive opere che per le loro imperfette opere buone. Essi osserverebbero che hanno da temere più per quei debiti che devono ancora saldare, che per aver pagato una piccola parte del debito con le buone opere fatte. Perché non viene assolto il debitore che ha ripagato solo parte del debito, ma colui che ha scontato tutto. E ancora c’è chi cammina con superbia, perché con la sua sottile intelligenza conosce quelle cose buone che non realizza. Questi, infatti, che si compiacciono dell’abbondanza dei loro beni, quando scoprono una verità elevata che debba essere compresa, si fanno trascinare nell’orgoglio dalle loro stesse scoperte. Ci sono anche alcuni la cui intelligenza non li fa brillare, ma che si esaltano per le opere realizzate, e che considerando le proprie opere, disprezzandosi nella propria anima, si pospongono agli altri. Questi certamente, pur godendo dell’abbondanza dei loro beni, tuttavia vedono il sole risplendere (Giob. XXXI. 26). – E ci sono alcuni la cui azione in sé non è esaltante; ma quando cominciano ad essere lodati dagli uomini per questa stessa buona azione, persuasi dall’acclamazione stessa degli uomini, si ritengono grandi nel proprio pensiero e non tengono custodita la guardia del cuore. Questi in realtà, pur non vedendo il sole che brilla, vedono la luna che splende senza fine; perché nel buio della loro vita, quando fissano il loro cuore sul lume della loro opinione, perdono la grazia dell’umiltà, come la luce della notte; e vedendo la luna, non vedono se stessi, cominciando a rinnegare se stessi quando fissano gli occhi dell’anima sulla lode passeggera. Nel quarto sigillo si dice che fu percosso perché si manifestasse. E nel quinto dirà come si manifesterà in una parte della terra, affinché da lì si sappia come sarà poi la rivelazione in tutto il mondo. Vidi poi ed udii un’aquila che volava nell’alto del cielo e gridava a gran voce: “Guai, guai, guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suonare!” Egli chiama la Chiesa un’aquila che vola in mezzo al cielo, cioè che plana in mezzo ad essa, e che predica a voce alta le piaghe dell’ultimo tempo.

TERMINA LA QUARTA TROMBA

COMINCIA LA QUINTA TROMBA DELLA QUINTA STORIA

(Apoc. IX, 1-6)

Et similitudines locustarum, similes equis paratis in prælium: et super capita earum tamquam coronæ similes auro: et facies earum tamquam facies hominum. Et habebant capillos sicut capillos mulierum. Et dentes earum, sicut dentes leonum erant: et habebant loricas sicut loricas ferreas, et vox alarum earum sicut vox curruum equorum multorum currentium in bellum: et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum: et potestas earum nocere hominibus mensibus quinque: et habebant super se regem angelum abyssi cui nomen hebraice Abaddon, græce autem Apollyon, latine habens nomen Exterminans. Væ unum abiit, et ecce veniunt adhuc duo væ post hæc.

(Il quinto angelo suonò la tromba e vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso; egli aprì il pozzo dell’Abisso e salì dal pozzo un fumo come il fumo di una grande fornace, che oscurò il sole e l’atmosfera. Dal fumo uscirono cavallette che si sparsero sulla terra e fu dato loro un potere pari a quello degli scorpioni della terra. E fu detto loro di non danneggiare né erba né arbusti né alberi, ma soltanto gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. Però non fu concesso loro di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi, e il tormento è come il tormento dello scorpione quando punge un uomo. In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno; brameranno morire, ma la morte li fuggirà.)

[6] Il quinto Angelo suonò la tromba: allora vidi una stella che era caduta dal cielo sulla terra. Una stella è il corpo dei molti che cadono per i peccati, come si dice attraverso Giobbe: « … si oscurino le stelle del suo crepuscolo » (Giob. III: 9). Le stelle sono oscurate dalla caligine della notte, quando anche coloro che già brillano di grandi virtù, conservano ancora un po’ dell’oscurità della colpa. Infatti così ci sono alcuni che brillano davanti agli occhi degli uomini nell’apparenza di grandi opere; ma poiché quelle stesse opere non procedono da un cuore mondo, prigionieri come sono dei loro pensieri occulti, sono oscurati dalle tenebre notturne. E così spesso, poiché non fanno con cuore limpido le loro buone pere, perdono anche le opere che fanno con buona intenzione. E così si accecano ancor più con l’azione per mezzo della quale potevano ricevere luce. E poiché si permette che prevalga la notte, quando tra le opere buone l’intenzione del cuore non viene mondata, si dice giustamente che le stelle sono oscurate dalla loro caligine, e questo contro coloro che davanti agli occhi degli uomini brillano per le opere buone, ma nei quali prevale l’oscura malizia dell’antico nemico. E quando lasciano la luce della lode sotto la quale si trovavano per la reputazione umana, allora sono coperti dall’oscurità della notte; ed è oscurata così la loro vita da un errore evidente, in modo che appaiano veramente tali anche all’esterno, nella loro azione, non temendo più dentro di sé di manifestarsi al giudizio divino. E gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso. La stella, il pozzo, l’abisso, sono quello che abbiamo detto già. Diciamo abisso la profondità segreta del cuore umano, di cui non si conosce cosa vi si nasconda se non si manifesta attraverso la porta della lingua. Così Davide, quando pregò di non essere circondato dai suoi nemici, disse: « l’abisso non chiuda su di me la sua bocca » (Psalm. LXVIII, 16). La stella cadde allora dal cielo sulla terra e prese la chiave del pozzo dell’abisso, cioè il potere del suo cuore, per aprire il suo cuore nel quale è legato il diavolo, facendo così la sua volontà e la volontà del diavolo. E aprì il pozzo dell’abisso, cioè manifestò il suo cuore senza vergogna e senza paura di peccare. E dal pozzo è uscito un fumo come il fumo di una grande fornace, cioè è uscito dal popolo, che già si erge apertamente nel suo orgoglio contro la Chiesa, per disprezzarne la predicazione ed oscurarla, come quando si dice che non esiste: per questo dice … e il sole e l’aria sono stati oscurati dal fumo della fornace. I molti peccati commessi dal mondo oscurano la predicazione della Chiesa, per mezzo della quale il sole sorge nel cuore dei credenti, e fa sì che alcuni diventino ciechi. Come il fumo – dice – di una grande fornace. Il fumo precede il fuoco, e cos’è il fuoco se non l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’Anticristo? E cos’è il fumo se non i suoi ministri? Perché prima che il fuoco appaia, il fumo delle loro tenebre acceca gli occhi dei superbi. Questo fumo precede il fuoco della fornace, cioè l’ultima prova. Da questa generalizzazione si passa in quella parte della terra dove, per indicare la via della sua futura manifestazione, esce già qualcosa delle sue opere, e dice: dal fumo del pozzo sono uscite locuste sulla terra e ad esse è stato dato un potere come quello degli scorpioni della terra. Le locuste, per i loro agili movimenti, sono come le anime che vagano e saltano tra i piaceri del mondo; lo scorpione cammina palpando, ma la sua coda ferisce; non morde con la parte anteriore, ma con le sue parti posteriori. Gli scorpioni, quindi, sono gli uomini blandi e maliziosi che non contrastano il bene di faccia; ma, quando si allontanano, calunniano e diffamano gli altri appena ne hanno la possibilità, causando loro tutti i danni possibili: non cessano di inoculare occultamente veleni mortiferi. Quindi, gli scorpioni sono coloro  che sembrano essere deboli ed innocui di faccia, ma portano sul dorso il veleno che possono iniettare. Chi fa del male in occulto, procura la morte come in segreto. Per questo è detto anche dal salmista: « Mi hanno circondato come api, come fuoco che divampa tra le spine » (Psal. CXVII, 12). Le api hanno il miele in bocca ma hanno il veleno nel pungiglione. E tutti quelli che lusingano con la bocca, ma feriscono di nascosto con malizia, sono come le api: nel parlare porgono la dolcezza del miele, ma ferendo occultamente causano ferite, e facendo questo bruciano come fuoco di rovo. Perché la vita dei giusti non è bruciata dalle fiamme dei calunniatori: ma se in essi c’è qualcosa di peccaminoso o di vizioso, è bruciata come un rovo. È stato detto loro, di non danneggiare l’erba della terra, né nulla di verde. Si insegna qui che le locuste sono degli uomini. È stato detto di non ucciderli, tranne coloro che non hanno il sigillo di Dio sulla fronte, ma sotto un doppio aspetto. Come abbiamo detto, ci sono due parti della Chiesa: una parte è del diavolo, che come una locusta vola a balzi, gonfia di vanagloria o di vuote presunzioni; l’altra parte è di Cristo, ed è la Chiesa, impegnata con umiltà nella conoscenza della giustizia di Dio e nella pratica della penitenza, come è scritto: « è un bene che io sia umiliato, o Signore, perché impari i tuoi precetti » (Psal. CXVIII, 71). Così in tutte le Scritture si trova che c’è un riferimento generale, e che il contenuto della frase ne indica la specie. Secondo dice il Signore: « Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt. IX, 13). E a causa dei peccatori si ha misteriosamente che, convertiti, saranno guariti. Anche in questo caso è scritto: « Voi siete dei e tutti voi siete figli dell’Altissimo; ma ora morirete come uomini » (Psal. LXXXI, 6). Non sembra qui riferirsi a tutti? Ma in nessun modo sono tutti chiamati dei. Né di tutti si diceva che sarebbero morti. Così anche qui: chi non ha il sigillo di Dio sulla fronte, si riferiva in generale a tutti: e non è stato loro dato il potere di ucciderli: questo si diceva in particolare, cioè riferendosi alla porzione che torna alla penitenza, e che non viene uccisa dai malvagi, né è ferita spiritualmente, ma soffre solo nella carne, per il dolore della caduta e della prigionia. È stato loro dato il potere, non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi. Ha nominato gli anni: mesi e in altro modo, e lo interpretiamo come i cinque sensi del corpo, per cui tutti sono tormentati da tali pericoli, quando per questo motivo sono vigilanti con cautela. Il tormento che producono è come quello dello scorpione quando punge l’uomo, cioè quando inocula i veleni dei vizi. E gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno. Essi desiderano veramente morire, per vivere per Dio, così come noi moriamo per il secolo per vivere per Dio. Cercheranno questa morte ma, cercandola dal mattino, non la troveranno. Desiderano morire, e la morte fuggirà da loro. Si mostra ancora una volta la disgrazia di questa calamità: perché cercare significa lo stesso che desiderare. Desidereranno cercarla e non la troveranno.

TERMINA IL POZZO DELL’ABISSO

CONTINUA ANCORA SULLE CAVALLETTE

(Ap. IX, 7-12)

Et similitudines locustarum, similes equis paratis in prælium : et super capita earum tamquam coronae similes auro: et facies earum tamquam facies hominum. Et habebant capillos sicut capillos mulierum. Et dentes earum, sicut dentes leonum erant: et habebant loricas sicut loricas ferreas, et vox alarum earum sicut vox curruum equorum multorum currentium in bellum: et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum: et potestas earum nocere hominibus mensibus quinque: et habebant super se regem angelum abyssi cui nomen hebraice Abaddon, græce autem Apollyon, latine habens nomen Exterminans. Væ unum abiit, et ecce veniunt adhuc duo væ post hæc.

(E gli aspetti delle locuste, simili ai cavalli preparati per la battaglia: e sulle loro teste una specie di corone simili all’oro; e i loro volti simili al volto dell’uomo. E avevano capelli simili ai capelli delle donne: e i loro denti erano come di leoni. E avevano corazze simili alle corazze di ferro, e il rumore delle loro ali simile al rumore dei cocchi a più cavalli correnti alla guerra: e avevano le code simili a quelle degli scorpioni, e v’erano pungiglioni nelle loro code: e il lor potere (era) di far male agli uomini per cinque mesi: e avevano sopra di loro per re l’angelo dell’abisso, chiamato in ebreo Abaddon, in greco Apollyon, in latino Sterminatore. Il primo guaì è passato, ed ecco che vengono ancora due guai dopo queste cose.)

[7] L’aspetto delle cavallette era simile a quello dei cavalli preparati per la guerra: cioè simile a quello degli ultimi persecutori. Ora nell’ultima guerra che sarà descritta nella sesta tromba, si dice che abbiano combattuto i cavalli; di queste locuste si dice che erano simili a quei cavalli. D’altra parte, cos’è simile ai cavalli preparati per la guerra? Chi ha detto mai che questi cavalli erano preparati alla guerra, se non quando si tratti di quelle cose spirituali che avvengono nella Chiesa, e che non sono viste dagli ignoranti, ma solo dai fedeli Cattolici? In queste cavallette si mostra ancora come saranno i cavalli che combatteranno i quattro Angeli liberati alle quattro estremità della terra, come troviamo nella storia del sesto Angelo. Sulle loro teste, dice, c’erano corone che sembravano d’oro. Cosa dobbiamo intendere di queste corone d’oro, se non che esse siano il falso Cristianesimo? Abbiamo letto che i ventiquattro vegliardi, che sono la Chiesa, avevano corone d’oro: di queste si dice invece … che sembravano d’oro. Dice che sembravano, perché … non sono d’oro! Mostrano cioè in apparenza di essere la Chiesa, ma non sono la Chiesa. I loro volti erano come volti umani. Per volto si intende la conoscenza. Simulano volti umani, perché sembra che lodino Cristo con noi, con una stessa voce. Infatti gli uomini sono chiamati così per la loro capacità razionale, ma questi non sono uomini, e se li si guarda, sono cavalli, pronti cioè a correre verso il male. Volendo esse sono locuste, cioè poggiate sull’orgoglio di questo mondo ed agili per la propria vanagloria. Se si chiede loro, sono uomini: perché confessano con la bocca che conoscono Dio, ma lo rinnegano con le loro azioni. Se si pensa bene, sono donne: perché mostrano una forza fiacca ed effeminata. A meditare, sono leoni: perché sono forti nel divorare gli innocenti. Se si guarda alle loro spalle, sono come scorpioni: perché davanti adulano gli uomini, ma dal di dietro infliggono ferite attraverso le loro false profezie. E questo non lo fanno da se stessi, perché hanno per capo il diavolo che li guida. Perché, come Cristo è il capo dei buoni, così il diavolo è il capo di tutti i malvagi. Avevano capelli come i capelli di una donna. Nei capelli delle donne, si vuol mostrare non solo i flaccidi e gli effeminati, ma anche l’uno e l’altro sesso. E i loro denti come quelli di un leone, cioè forti per divorare. E avevano il petto come corazze di ferro: cioè petti forti e protetti. Fu detto questo anche al serpente, che simboleggia il diavolo: … striscerai sul tuo petto e sul tuo ventre (Gen. III, 14). Nel petto c’è l’orgoglio, nel ventre la lussuria e la golosità vorace. – … E il rumore delle sue ali come il rumore di molti cavalli che corrono in battaglia: questo è lo strepito come il rumore di chi corre in battaglia, il rumore di chi corre verso il male. Hanno code simili a quelle degli scorpioni, con pungiglioni nella coda che … hanno il potere di danneggiare gli uomini per cinque mesi. Egli definisce code i cattivi predicatori, cioè i Vescovi. Perché è così che Dio si è degnato di definirli attraverso Isaia, dicendo: « L’anziano e i notabili sono il capo, il profeta, maestro di menzogna, è la coda » (Is. IX, 15). Ma a quelli che ha descritto lì, dice che erano interni, cioè dentro la Chiesa; in questa parte c’è quanto viene dall’esterno. Il potere delle cavallette è esterno a noi, cioè fuori dai nostri, nei falsi profeti; e dentro alla Chiesa nei cattivi che, attraverso l’amicizia regale, simulano santità all’interno di essa e, sostenuti dai cattivi Cristiani, danno loro spudoratamente sicurezza. Essi hanno al di sopra, come loro re, l’angelo dell’abisso, cioè il diavolo, o il re di questo mondo. L’abisso è il popolo, nel quale il diavolo rimane legato nel profondo del cuore, e il re di questo secolo domina con sagacia. Il suo nome in ebraico è Abaddon, in greco Apolion, in latino il Distruttore. Il primo guai è passato; si vede che dietro di questo ce ne sono ancora altri due.

TERMINANO LE LOCUSTE

COMINCIA LA SESTA TROMBA DELLA STORIA

(Ap. IX, 13-16)

Et sextus angelus tuba cecinit: et audivi vocem unam ex quatuor cornibus altaris aurei, quod est ante oculos Dei, … dicentem sexto angelo, qui habebat tubam: Solve quatuor angelos, qui alligati sunt in flumine magno Euphrate. … Et soluti sunt quatuor angeli, qui parati erant in horam, et diem, et mensem, et annum, ut occiderent tertiam partem hominum. … Et numerus equestris exercitus vicies millies dena millia. Et audivi numerum eorum.

(E il sesto Angelo diede flato alla tromba: e udii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro, che è dinanzi agli occhi di Dio, la quale diceva al sesto Angelo, che aveva la tromba: Sciogli i quattro angeli che sono legati presso il gran fiume Eufrate. E furono sciolti i quattro angeli che erano preparati per l’ora, il giorno, il mese e l’anno a uccidere la terza parte degli uomini. E il numero dell’esercito a cavallo venti mila volte dieci mila. E udii il loro numero.).

INIZIA LA SPIGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

[8] Il sesto Angelo suonò la tromba. Da qui in avanti inizia l’ultima predicazione del tempo dell’Anticristo. Ed udii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro, che è dinanzi agli occhi di Dio, la quale diceva al sesto Angelo che aveva la tromba: Sciogli i quattro angeli che sono legati presso il gran fiume Eufrate.  L’Eufrate è un fiume di Babilonia. E Babilonia significa « confusione ». Ecco perché Babilonia significa il mondo, e il fiume di Babilonia è il popolo di questo mondo, ove il diavolo rimane relegato. Quando ha detto: sciogli i quattro Angeli incatenati sul lato del grande fiume Eufrate, è come se avesse detto: Predica ai quattro angoli della terra. Prima aveva parlato dei quattro venti (Ap. VII, 1); ora dice che sono i quattro Angeli. Anche qui si insegna che i venti e gli Angeli sono una cosa sola. Aveva detto in precedenza, che i venti erano trattenuti dagli Angeli; ora dice che gli Angeli sono liberati dall’Angelo. Tutto questo è l’unica Chiesa. Ma l’Angelo, da un’estremità dell’unica Chiesa, che è l’altare d’oro che sta davanti a Dio nei quattro venti della terra, ha udito che per ordine di Dio è giusto che siano liberati adesso: infatti dall’Africa si rivelerà a tutta la Chiesa. Questo Angelo mostrerà ciò che ha sofferto e ciò che sia bene per l’uomo soffrire, e che in questo consista il carattere dell’ultima persecuzione. E mostrerà con l’aiuto di Dio che il mondo non deve aspettarsi altro se non ciò che come esempio Cristo stesso ha sofferto, e la Chiesa, che sta vivendo l’ormai imminente o presente venuta del re Anticristo, sarà istruita nel rifiutare dei  precetti orgogliosi e nell’allontanarsi da coloro che ad essi obbediscono. Tu che hai – dice – una tromba, cioè che ora predichi, sciogli i quattro Angeli incatenati presso il grande fiume Eufrate, che aveva detto già trovarsi ai quattro angoli della terra, e questo per insegnare che l’Eufrate è in tutta la terra. Afferma che il popolo persecutore è il grande fiume Eufrate, nel quale si trova satana con la propria volontà legata, in modo che non faccia più alla Chiesa ciò che tanto desidera. Infatti ai tempi dell’Anticristo, al diavolo sciolto per tutto il mondo, sarà permesso di fare del male. E questo secondo quanto Dio dice di questo fiume Eufrate attraverso Geremia: « Ma quel giorno per il Signore Dio degli eserciti, è un giorno di vendetta, per vendicarsi dei suoi nemici. La sua spada divorerà, si sazierà e si inebrierà del loro sangue; poiché sarà un sacrificio per il Signore, Dio degli eserciti, nella terra del settentrione, presso il fiume Eufrate. » (Ger. XLVI, 10). Indica il sacrificio, ma che sarà di eccidio e di sgozzatura, come predice per gli stessi fratelli per mezzo di Isaia: « La spada del Signore è piena di sangue, è imbrattata di grasso, del sangue di agnelli e di capri, delle viscere grasse dei montoni, perché si compie un sacrificio al Signore in Bozrah, una grande ecatombe nel paese di Edom. »  (Is. XXXIV, 6). Bozrah e Edom sono le città di Esaù. Abbiamo già parlato dell’Aquilone. Ed i quattro Angeli sono stati liberati. La persecuzione è già iniziata: … sono pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno, ad uccidere una terza parte degli uomini. Questi sono i quattro tempi, cioè un triennio e sei mesi. Si dice che fossero preparati, perché con questi era stata percossa la terza parte del sole e della luna e delle stelle, onde mostrare ciò che fosse la terza parte del giorno e la terza parte della notte, cioè il giorno della Chiesa, e la notte della Sinagoga, che cammina con i malvagi nelle tenebre. Ma si dice sempre che ci siano tre parti, una di Cristo e due dell’Anticristo, che si preparano l’un l’altra alla guerra: per questo si era detto delle cavallette che erano come cavalli preparati alla guerra. E quando dice di aver liberato gli Angeli, dice di aver visto dei cavalli, cioè uomini con i loro cavalieri: i demoni. E il numero degli eserciti – continua – è due miriadi di miriadi; potevo sentire il loro numero. Miriadi di miriadi è un numero greco, che in latino significa migliaia di migliaia. Ma non ha detto quante miriadi. … Per uccidere la terza parte degli uomini. Questa è la terza parte da cui si separa la Chiesa, affinché le tre parti si manifestino su tutta la terra: una è fuori della Chiesa, cioè i gentili; e due sono dentro la Chiesa, gli uomini Santi ed i cattivi Cristiani, ed i due sono frammisti: quali del giorno e quali della notte: essi infatti uccidono coloro che son loro consenzienti.

TERMINA LA SPIEGAZIONEDEI QUATTRO ANGELI

INIZIA LA STORIA DEI CAVALLI

(Apoc. IX, 17-21)

Et ita vidi equos in visione: et qui sedebant super eos, habebant loricas igneas, et hyacinthinas, et sulphureas, et capita eorum erant tamquam capita leonum: et de ore eorum procedit ignis, et fumus, et sulphur. Et ab his tribus plagis occisa est tertia pars hominum de igne, et de fumo, et sulphure, quae procedebant de ore ipsorum.  Potestas enim equorum in ore eorum est, et in caudis eorum, nam caudæ eorum similes serpentibus, habentes capita: et in his nocent. Et ceteri homines, qui non sunt occisi in his plagis, neque pœnitentiam egerunt de operibus manuum suarum, ut non adorarent dæmonia, et simulacra aurea, et argentea, et aerea, et lapidea, et lignea, quae neque videre possunt, neque audire, neque ambulare,

(E così vidi nella visione i cavalli: e quelli che vi stavano sopra avevano corazze di colore del fuoco, del giacinto e dello zolfo, e le teste dei cavalli erano come teste di leoni: e dalla loro bocca usciva fuoco, e fumo, e zolfo. E da queste tre piaghe; dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo che uscivano dalle loro bocche fu uccisa la terza parte degli uomini. Poiché il potere dei cavalli sta nelle loro bocche e nelle loro code. Le loro code infatti sono simili a serpenti, hanno teste, e con esse recano nocumento. E gli altri uomini che non furono uccisi da queste piaghe, neppure fecero penitenza delle opere delle loro mani, in modo da non adorare i demoni e i simulacri d’oro, e d’argento, e di bronzo, e di pietra, e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare, e non fecero penitenza dei loro omicidii, né dei loro veneficii, né della loro fornicazione, né dei loro furti.).

[9] Così ho visto nella visione i cavalli e quelli che li cavalcavano. I cavalli sono gli uomini e i cavalieri sono gli spiriti dei demoni. Avevano corazze dal colore del fuoco, del giacinto e dello zolfo: essi erano cioè armati di fuoco, fumo e zolfo, preparati per il fuoco della futura Gehenna. E le teste dei cavalli erano come le teste di leoni. In precedenza aveva detto che le cavallette sembravano cavalli preparati per la guerra, con volti umani e code di scorpione; ora dice invece di aver visto i cavalli ed i loro cavalieri, le loro teste di leone e le loro code di serpente, preparati per incendiare: tutte queste cose indicano una stessa cosa, e descrivono la medesima realtà in modo diverso. Mai abbiamo visto una cosa del genere nei cavalli equipaggiati: questo è per far capire che questi sono uomini che compiono innumerevoli mali. Dalle loro bocche escono fuoco, fumo e zolfo; si mostra che per fumo aveva detto giacinto. È chiaro che queste cose non escono dalla loro bocca, ma sono le parole degli stessi uomini: per questo ha detto fuoco, fumo e zolfo. Secondo li avverte in un altro testo: coloro che adorano la bestia saranno puniti, e il fuoco, il fumo e lo zolfo si leveranno dai loro tormenti per sempre (Ap. XIV, 9-10). Da queste tre piaghe fu sterminato un terzo degli uomini: dal fuoco, dal fumo e dalla zolfo che usciva dalle loro bocche. Caddero infatti per sempre in queste piaghe per le parole dei loro capi, cioè dei loro principi. Poiché il potere dei cavalli è nelle loro bocche e nelle loro code: cioè nelle parole, nelle opere, negl’incarichi. Abbiamo già detto che le code sono i prepositi, cioè i Vescovi che sono i falsi profeti. Le loro code, simili a serpenti, hanno la testa. Nelle teste diciamo che sono rappresentati i principi del mondo: e … con esse fanno danni. Infatti senza di essi, i prepositi malvagi non possono causare danni all’interno della Chiesa. Si dice un terzo dei gentili. Che nessuno pensi, dicendo « gentili », che i Santi di allora si allontaneranno dai loro legittimi pastori, né che tutto il genere umano abbia le stesse superstizioni; ma si dice che ciò avvenga all’interno della Chiesa, e sotto il nome di « Cristianesimo » servano il diavolo contro la Chiesa. E gli altri uomini, non furono uccisi da questi flagelli … Ma a cosa serve non essere sterminati da queste piaghe, se si dice che … non si sono convertiti dalle loro azioni malvagie, e non hanno smesso di adorare i demoni e gli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra, che non possono vedere, né sentire, né camminare, e non si sono convertiti dai loro omicidi, né dalle loro stregonerie, né dalle loro fornicazioni, né dai loro furti? Tutto questo avviene all’interno della Chiesa, e sotto il nome di « Cristianesimo » v’è l’idolatria spirituale. – Così leggiamo in Daniele che … bevvero dalle coppe d’oro del Signore e lodarono i loro dei … come colà descritto (Dan. V, 4). Quanta stoltizia: essi bevevano in coppe d’oro e lodavano gli dei di legno e di pietra! Quando i vasi erano nel tempio degli idoli di Babilonia, e non si beveva da essi, il Signore non si sdegnava, perché erano considerati come appartenenti a Dio, anche se certamente secondo una prava opinione, essendo stati consacrati al culto divino; ma dopo che i vasi del Signore furono contaminati dal loro uso profano, l’istante dopo il sacrilegio subirono la punizione. Essi infatti lodavano i loro dei e, insultando il Dio dei Giudei che pur aveva concesso loro la vittoria, bevevano dai suoi vasi. Che cos’è questo, se non qualcosa che accade all’interno della Chiesa? Babilonia è questo mondo; i vasi del Signore sono quanto c’è di più sacro della Chiesa, cioè il Battesimo, la Consacrazione, la Legge e il Vangelo, il Simbolo, la Preghiera domenicale, l’Amen e l’Alleluia. In senso tropologico va detto che tutti gli eretici e la dottrina contraria alla verità, che pure fanno uso delle parole dei Profeti, abusano delle testimonianze della Scrittura divina riempendole delle loro opinioni, e con esse danno da bere a coloro che ingannano, e con i quali fornicano: prendono i vasi del Tempio di Dio, da essi si inebriano e non lodano Dio al quale appartengono i vasi, ma gli dei di oro, di argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra. Sembrano aurei infatti gli dei composti dalla ragione del secolo. Quelli che hanno l’eleganza della parola sono di argento, essendo stati modellati secondo l’arte della retorica. Quelli che nascono dalle favole dei poeti e utilizzano tradizioni antiche contenenti eleganza di forma o distinte per stoltizia, sono chiamati di bronzo e di ferro. Quelli che propongono cose del tutto insulse, si definiscono di legno o di pietra. Questi son tutti divisi in due gruppi nel Deuteronomio là ove si dice: « Maledetto l’uomo che fa un’immagine scolpita o di metallo fuso, abominio per il Signore, lavoro di mano d’artefice, e la pone in luogo occulto! » (Dt. XXVII, 15). Ed infatti tutti gli eretici nascondono ed occultano le opinioni menzognere nelle loro saette: « Ecco, gli empi tendono l’arco, aggiustano la freccia sulla corda per colpire nel segreto i retti di cuore » (Psal. X, 2). I gentili neppure in questa persecuzione consentiranno alle opinioni sopra menzionate, e moriranno così nella loro incredulità. – Descritta l’ultima battaglia e la morte dei gentili, si omette nel modo consueto ciò che si riferisce al settimo Angelo, quando si svolgerà l’ultima battaglia e la venuta manifesta del Signore, e si ricapitola dunque solo dal tempo della pace futura fino alla fine. – Subito poi racconta il finale nell’ordine che aveva interrotto: sembra quasi che abbia fatto come due finali. Questo perché ci potremo ricordare, quando si farà il riepilogo al termine, che la fine tiene seguito ad una sequenza interrotta. Ma in questa ricapitolazione ha fatto una cosa fuori dall’ordinario: non ha concluso con un finale entrambe le narrazioni. Infatti descrive la predicazione della pace futura aperta e forte; diafana così come la terra ed il mare sono trasparenti.

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA STORIA DELL’ANGELO POSSENTE

(Ap. X, 1-11; XI, 1-2)

Et vidi alium angelum fortem descendentem de cœlo amictum nube, et iris in capite ejus, et facies ejus erat ut sol, et pedes ejus tamquam columnœ ignis: et habebat in manu sua libellum apertum: et posuit pedem suum dextrum super mare, sinistrum autem super terram: et clamavit voce magna, quemadmodum cum leo rugit. Et cum clamasset, locuta sunt septem tonitrua voces suas. Et cum locuta fuissent septem tonitrua voces suas, ego scripturus eram: et audivi vocem de cœlo dicentem mihi: Signa quœ locuta sunt septem tonitrua: et noli ea scribere. Et angelus, quem vidi stantem super mare et super terram, levavit manum suam ad cœlum: et juravit per viventem in sœcula sœculorum, qui creavit cœlum, et ea quae in eo sunt: et terram, et ea quœ in ea sunt: et mare, et ea quœ in eo sunt: Quia tempus non erit amplius: sed in diebus vocis septimi angeli, cum cœperit tuba canere, consummabitur mysterium Dei sicut evangelizavit per servos suos prophetas. Et audivi vocem de caelo iterum loquentem mecum, et dicentem: Vade, et accipe librum apertum de manu angeli stantis super mare, et super terram. Et abii ad angelum, dicens ei, ut daret mihi librum. Et dixit mihi: Accipe librum, et devora illum: et faciet amaricari ventrem tuum, sed in ore tuo erit dulce tamquam mel. Et accepi librum de manu angeli, et devoravi illum: et erat in ore meo tamquam mel dulce, et cum devorassem eum, amaricatus est venter meus: et dixit mihi: Oportet te iterum prophetare gentibus, et populis, et linguis, et regibus multis.

XI

Et datus est mihi calamus similis virgæ, et dictum est mihi: Surge, et metire templum Dei, et altare, et adorantes in eo: atrium autem, quod est foris templum, ejice foras, et ne metiaris illud: quoniam datum est gentibus, et civitatem sanctam calcabunt mensibus quadraginta duobus.

(E vidi un altro Angelo forte, che scendeva dal cielo, coperto d’una nuvola, ed aveva sul suo capo l’iride, e la sua faccia era come il sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco: e aveva in mano un libriccino aperto: e posò il piede destro sul mare, e il sinistro sulla terra: e gridò a voce alta, come rugge un leone. E gridato ch’egli ebbe, i sette tuoni fecero intendere le loro voci. E quando i sette tuoni ebbero fatto intendere le loro voci, io stava per iscrivere: ma udii una voce dal cielo, che mi disse: Sigilla quello che hanno detto i sette tuoni, e non lo scrivere. E l’Angelo, che io vidi posare sul mare e sulla terra alzò al cielo la mano: e giurò per colui che vive nei secoli dei secoli, che ha creato il cielo e quanto vi è in esso: e la terra e quanto vi è in essa: e il mare e quanto vi è in esso, che non vi sarà più tempo: ma che nei giorni del parlare del settimo Angelo, quando comincerà a dar flato alla tromba, sarà compito il mistero di Dio, conforme evangelizzò pei profeti suoi servi. E udii la voce dal cielo che di nuovo mi parlava, e diceva: Va, e piglia il libro aperto di mano dell’Angelo, che posa sul mare e sulla terra. E andai dall’Angelo dicendogli che mi desse il libro. Ed egli mi disse: Prendilo, e divoralo: e amareggerà il tuo ventre, ma nella tua bocca sarà dolce come il miele. E presi il libro di mano dell’Angelo e lo divorai: ed era nella mia bocca dolce come miele: ma, divorato che l’ebbi, ne fu amareggiato il mio ventre: E disse a me: Fa d’uopo che tu profetizzi di bel nuovo a molte genti, e popoli, e re.

C. XII

E mi fu data una canna simile ad una verga, e mi fu detto: Sorgi, e misura il tempio di Dio, e l’altare, e quelli che in esso adorano. Ma l’atrio, che è fuori del tempio, lascialo da parte, e non misurarlo: poiché è stato dato alle genti, e calpesteranno la città santa per quarantadue mesi.).

TERMINA

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

[10] Ho visto anche – dice – un altro Angelo possente che scendeva dal cielo in una nube. È questi il Signore, rivestito della sua Chiesa, nascendo da Dio sempre dalla Chiesa. Egli è descritto in vari modi nell’essere rivestito della Chiesa: con una tunica, come si legge all’inizio di questo libro; con una veste bianca, come si legge in Daniele (Dan. VII, 9); in una nuvola: ed infatti leggiamo che i Santi sono nuvole, in Isaia: « Chi sono questi che volano come nuvole? » (Is. LX: 8). È avvolto, quindi, in una nube spirituale ed in un corpo santo… con l’arcobaleno sulla testa. L’arcobaleno è la promessa della perseveranza: si descrive la Chiesa nel Signore. Il suo volto è come il sole e le sue gambe sono come colonne di fuoco. C’è un motivo importante e una questione mirabile. All’inizio di questo libro (Ap. I, 15-16), si è parlato dapprima delle gambe di fuoco e poi del volto brillante, per mostrare che essi bruciano nella passione e brillano nella risurrezione; ora, invece, dice prima che il suo volto brilla e che le sue gambe sono come colonne di fuoco, per mostrare quale sia lo splendore della Chiesa per la passione. … Aveva in mano un libro aperto. Non c’è da stupirsi che il suo volto sia come il sole, perché quando aprirà il libro saprà cosa sta per succedere. Per « libro » intendiamo le pagine della Sacra Scrittura. Il libro arrotolato è il testo oscuro della Sacra Scrittura, che viene arrotolato dalla profondità delle sentenze, in modo che non è facile per tutti penetrarne il senso. Ciò che prima era arrotolato si apre; infatti per mezzo dei predicatori si chiarisce l’oscurità della parola sacra, come sta scritto: « … nasconde la sua dimora nelle acque, stende il cielo come una pelle » (Psal. CIII, 2). Cos’altro è designato qui con il nome di cielo, se non la Sacra Scrittura? In essa risplendono per noi il sole della saggezza, la luna della conoscenza, le stelle degli esempi e delle virtù degli antichi Padri. « Si dispiega come una pelle », perché per mezzo dei suoi scrittori si spiega con lingua di carne, quando si srotola davanti ai nostri occhi venendo esposta attraverso le parole dei dottori. Cos’altro sono queste, col nome di “acque”, se non i santi Angeli? Di questi sta scritto: « Lodate il nome del Signore, voi acque al di sopra dei cieli. » (Psal. CXLVIII, 4). – Il Signore nasconde nelle acque le alte dimore di questo cielo, perché ciò che racconta del sacro messaggio circa la natura della divinità, o le gioie eterne che ancora non conosciamo, è conosciuto in segreto solo dagli Angeli. Questo cielo, quindi, da una parte si apre davanti a noi, mentre la parte più alta di esso è nascosta nelle acque superiori: e questo perché ci sono certe cose del messaggio divino, già chiare per la manifestazione dello Spirito, mentre altre possono essere chiare solo agli Angeli, e per noi rimangono ancora celate. E ha messo il piede destro sul mare e il sinistro sulla terraferma: tanto per la predicazione. Ha messo il piede destro sul mare, cioè l’arto più forte nei pericoli più grandi, mentre il sinistro in quelli più convenienti. E gridava a voce alta come ruggisce il leone, cioè predicava con coraggio. E quando gridava, sette tuoni facevano sentire la loro voce. I sette tuoni sono le sette chiese, che ne sono poi una sola. Cos’altro potrebbe dire la Chiesa se non le sue parole? E quando l’Angelo ebbe parlato, si udirono i sette tuoni, che sono le sette trombe. Stavo per scrivere ciò che i sette tuoni avevano detto, e ho sentito una voce dal cielo che diceva: “Sigilla le cose che i sette tuoni hanno detto, e non scriverle“. Gli fu ordinato di non scrivere le parole che aveva sentito così come le aveva sentite, ma in un altro modo, cioè per allegoria, per similitudine: né scrivesse senza sigillo per i bruti e gli stolti. Così ha detto: sigillalo e non scriverlo. Perché avrebbe detto sigillalo, se non c’era niente da sigillare? Bastava dire: non scrivere. Ma ha comandato di non scrivere come voleva, senza sigillo, a causa dei bruti e degli stolti. In un altro luogo dice per i giusti: « Non sigillerai le parole di questa profezia, perché il tempo è vicino » (Ap. XXII, 10). Qui si mostra una diversità rivolta ai due, cioè ai buoni ed ai malvagi, per questi ha comandato di porre i sigilli, mentre per gli altri non l’ha fatto. « Il perverso continui pure a essere perverso, l’impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia, e il santo si santifichi ancora. » (Ap. XXII, 11). Ecco perché egli ha parlato loro in allegoria, con similitudini, affinché il giusto perseveri nella sua pazienza fino alla fine, per aver  di che essere incoronato; e il malvagio perseveri nella sua malizia fino alla fine, cosicché meriti di essere condannato. Che i giusti siano ancor più giustificati e che anche il Santo sia ancor più santificato. Cioè, benedetti siano i vostri occhi perché vedono, e le vostre orecchie perché odono. Si riferisce qui alle orecchie e agli occhi del cuore, non della carne. E Daniele fece questa distinzione della conoscenza della pace futura tra i fratelli: « conserva, disse, queste parole, e sigilla il libro fino al tempo (finale) » (Dan. XII, 4). Ma per coloro ai quali esse sono sigillate dice: « I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre … ma gli empi agiranno empiamente: nessuno degli empi intenderà queste cose, ma i saggi le intenderanno. »  (Dan. XII: 3 e 10). Alcuni spesso si chiedono se i santi dotti e gli ignoranti avranno la stessa ricompensa e la stessa dimora in cielo. Perciò si dice ora – secondo Teodosio – che il dotto otterrà il cielo medesimo, mentre i giusti senza dottrina sono paragonati alle stelle di gloria: e che c’è tanta differenza tra la santità dotta e la santità grossolana, quanto il cielo dista dalle stelle. E dunque con quel che ha detto: conserva queste parole e sigilla il libro, gli ha ordinato di oscurarne le parole e sigillare il libro in modo tale che molti leggessero e cercassero la verità del contenuto e, per la sua grande oscurità, ne interpretassero il significato in modo non conforme. Può aprire questo libro colui che conosce i misteri della Scrittura e comprende anche le parole oscure a causa della grandezza dei misteri e le interpreti correttamente, in quanto uccidendone la lettera le riferisce allo spirito che dà la vita. – Allora l’Angelo che aveva visto in piedi sul mare e sulla terra alzò la mano destra al cielo e giurò per Colui che vive per i secoli dei secoli, amen, che ha creato il cielo e tutto ciò che è in esso, la terra e tutto ciò che è in essa, il mare e tutto ciò che è in esso, perché non ci sarà più tempo, se non nei giorni in cui la voce del settimo Angelo sarà ascoltata, quando suonerà la sua tromba. La settima tromba è la fine della persecuzione e la venuta del Signore. Per questo l’Apostolo ha detto: « in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba … e i morti risorgeranno » (1 Cor. XV, 52). Nel tempo della pace futura dirà alla Chiesa che non è più il tempo della Chiesa, ma della purificazione, che essa sarà purificata dall’ultima persecuzione dell’Anticristo fino alla settima tromba. Il mistero di Dio sarà stato compiuto, secondo quanto aveva annunciato come buona novella attraverso i suoi profeti. La voce che ho sentito dal cielo mi ha parlato di nuovo e mi ha detto: Vai, prendi il libro che è aperto nella mano dell’Angelo che sta sul mare e sulla terra. La voce dal cielo è il comando di Dio che riguarda il cuore della Chiesa e ci ordina di ascoltare ciò che la Chiesa predicherà nel tempo della pace futura con il libro aperto. Andai dall’Angelo e gli dissi di darmi il libro. La Chiesa consiglia coloro che desiderano essere istruiti. Mi disse: prendilo e divoralo, cioè mettilo nel tuo cuore e scrivilo. Prendiamo questo libro già quando vogliamo compiere opere giuste. Apriamo la bocca e divoriamo il libro quando parliamo rettamente; mangiamo e distribuiamo ciò che riceviamo da Dio, quando ci è concesso il cibo della vita spirituale che aumenta nei nostri sensi quando iniziamo a predicare. Perciò un altro profeta dice: « Ho aperto la bocca ed attratto lo spirito » (Psal. CXVIII, 131). Perché non attirerei lo spirito se non aprissi la bocca. Infatti, se non ci si fosse applicati alla predicazione al prossimo, non si sarebbe accresciuta la grazia della dottrina spirituale. … Renderà le interiora amare, ma sarà alla bocca dolce come il miele. Chi ha imparato ad amare veramente Dio nel profondo del suo cuore, sa parlare dolcemente di Dio Onnipotente. Certo, la Sacra Scrittura è dolce quando riempie le viscere della vita di chi la mangia: perché è dolce da comunicare per chi l’ha interiorizzata onde viverla. Ma la parola non ha dolcezza per colui la cui vita da reprobo fa sì che gli rimorda nella coscienza. Per questo è necessario che coloro che annunciano la parola di Dio conoscano prima di tutto com’è la loro vita, e dalla loro vita dedurre cosa e come predicare. Perché la predicazione edifica maggiormente una coscienza con l’amore santo, piuttosto che con l’ostentazione della parola. Infatti amando le cose celesti che sono in lui, il predicatore sa come persuadere a disprezzare le miserie terrene. Colui che medita interiormente nella sua vita ed edifica gli altri consigliandoli con il suo esempio esteriore, sembra intingere nel cuore il calamo della lingua in ciò che scrive esteriormente per il prossimo con la mano e la parola. Questo libro renderà amare le viscere quando si inizierà a predicare e ad operare ciò che si è compreso. Ho preso il libro dalla mano dell’Angelo e l’ho divorato. Ed era nella mia bocca dolce come il miele. Ma quando l’ho mangiato, le mie viscere si sono riempite di amarezza. Poi mi disse: è necessario predicare di nuovo. Dimostra qui chiaramente che l’Angelo è un corpo: quando ne indica uno, si riferisce a molti. Mi disse: devi predicare di nuovo. La Chiesa ha mai smesso di predicare, per cui debba sentire che debba predicare di nuovo? Ma siccome descrive il tempo futuro che verrà dopo le persecuzioni africane, per dimostrare che questa sarà l’ultima predicazione, ed il rinnovamento della lotta, ecco perché ha detto ancora di nuovo. E poiché dopo, non solo in Africa ma in tutto il mondo, la Chiesa predicherà allo stesso modo, ha aggiunto: in molti popoli, lingue, nazioni e regni. C’è una sola Chiesa in tutto il mondo: quella che predica in Africa è quella che predicherà ovunque allo stesso modo. Per questo ha detto alla Chiesa africana: devi predicare di nuovo. – E mi fu data una canna di misura come un’asta, e l’Angelo che mi stava accanto mi disse: Alzati e misura il tempio di Dio e l’altare, e quelli che vi adorano in esso. Quando dice « alzati », intende l’incoraggiamento da dare alla Chiesa, affinché perseveri nella contemplazione. Infatti Giovanni non ha sentito queste cose mentre era seduto. Per “misura” intendiamo il mandato del Figlio di Dio nostro Signore, di confessare il Padre Onnipotente ed il suo Cristo, generato spiritualmente presso il Padre prima dei secoli, fatto uomo e che, superata la morte, ha ricevuto dal Padre suo in cielo un corpo, ha effuso lo Spirito Santo, dono e pegno dell’immortalità, annunciato dai profeti, descritto nella Legge: Egli che è la mano di Dio, il Verbo del Padre ed il Creatore dell’universo. Questa è la canna: la misura della fede. E nessuno adora l’altare santo se non colui che confessi questa fede: perché non tutti quelli che sembrano essere con Lui lo adorano, secondo quanto dice: la corte che è fuori dal tempio, lasciatela fuori e non misuratela. Il cortile infatti si trova alle porte del tempio e sembra appartenere al tempio ma non è il tempio, perché non appartiene al “sancta sanctorum“: in esso si rappresentano quelli che sembrano essere nella Chiesa, ma ne sono fuori. Il cortile è chiamato atrio, che è lo spazio vuoto tra le mura. A questi tali che non sono necessari è stato ordinato di lasciare la Chiesa. Perché è stato concesso ai gentili di calpestare la città santa, e la calpesteranno per quarantadue mesi. Coloro che si sono esclusi e coloro ai quali è stato concesso, calpesteranno insieme la Chiesa: e questi sono gli uomini malvagi di questo mondo.

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA STORIA DI ELIA O DELLA LEGGE E DEL VANGELO

(Ap. XI, 3-7)

… et dabo duobus testibus meis, et prophetabunt diebus mille ducentos nonaginta (*), amicti saccis. Hi sunt duæ olivæ et duo candelabra in conspectu Domini terræ stantes. Et si quis voluerit eos nocere, ignis exiet de ore eorum, et devorabit inimicos eorum: et si quis voluerit eos lædere, sic oportet eum occidi. Hi habent potestatem claudendi cælum, ne pluat diebus prophetiæ ipsorum: et potestatem habent super aquas convertendi eas in sanguinem, et percutere terram omni plaga quotiescumque voluerint. Et cum finierint testimonium suum, bestia, quæ ascendit de abysso, faciet adversum eos bellum, et vincet illos, et occidet eos. Et corpora eorum jacebunt in plateis civitatis magnæ.

(*) [I Codici dicono “novanta giorni“; il latino Vetus e la Vulgata, “sessanta” e così Tyconium. È influenzato da Dan. XII, 11.]

(… ma darò ai due miei testimoni che per mille duecento sessanta giorni profetino vestiti di sacco. Questi sono i due ulivi e i due candelieri posti davanti al Signore della terra. E se alcuno vorrà offenderli, uscirà fuoco dalla loro bocca, e divorerà i loro nemici; e se alcuno vorrà loro far male fa d’uopo che in tal guisa sia ucciso. Questi hanno potestà di chiudere il cielo, sicché non piova nel tempo del loro profetare: e hanno potestà sopra le acque per cangiarle in sangue, e di percuotere la terra con qualunque piaga ogni volta che vorranno. Finito poi che abbiano di rendere testimonianza, la bestia, che viene su dall’abisso, loro muoverà guerra, e li supererà, e li ucciderà. E i loro corpi giaceranno nella piazza della grande città.).

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA.

[11] e io darò i miei due testimoni ed essi profetizzeranno per 1.290 giorni. Questi milleduecentonovanta giorni sono tre anni e sei mesi. Tanto durerà la predicazione di Elia, e tanto pure il regno dell’Anticristo che così sommati, fanno sette anni. I due testimoni nella Chiesa, nel senso spirituale, sono i due Testamenti, cioè la Legge ed il Vangelo. Dalla passione del Signore all’Anticristo contiamo tre anni e sei mesi: cioè quarantadue mesi, cioè tre anni e mezzo, o trecentocinquanta: quindi un mese sono cento mesi per mezzo del numero dieci. Quattrocento e venti, sono cioè quattromila duecento mesi. Cioè centoventiseimila giorni, trecentocinquanta anni, per cui un giorno sono cento giorni; quindi cento volte mille e duecento novanta, cioè centoventiseimila giorni, che sono allo stesso tempo trecentocinquanta anni. Questo è tutto il tempo dalla passione del Signore fino all’Anticristo. – Ed ora spiritualmente la figura di Elia e di colui che verrà con lui – i due testimoni – cioè la Legge e il Vangelo, che viene ucciso da coloro che non li hanno osservati e per mezzo dei quali non si è adempiuto: ecco, questi sono i due testimoni, la Chiesa che profetizza attraverso i due Testamenti. E chi sono i testimoni del Signore se non i Cristiani? Coloro che in greco sono chiamati martiri, in latino son detti i testimoni: perché con la passione danno testimonianza a Cristo. Non ha detto: avrò un testimone, come se non ce ne fossero più ora; ma ha detto: « darò ai miei due testimoni », qui presenti, che sono la Legge ed il Vangelo. – Anche l’ultima persecuzione dell’Anticristo si protrarrà per gli stessi giorni. E colui che ora nuoce spiritualmente alla Chiesa, la devasterà poi apertamente. E ucciderà apertamente Elia e colui che verrà con lui, mentre ora uccide solo spiritualmente i due testimoni: vestiti – dice – di cilicio … che consiste nella confessione (exomologesis), cioè nella determinazione a manifestare il pentimento: infatti coloro a cui predicano e che vogliono ascoltarli, si convertono rapidamente alla penitenza. Questi sono i due ulivi e i due candelieri che sono alla presenza di Dio. Questi sono – dice – quelli che stanno, che sono ora nella predicazione. I due candelieri sono la Chiesa. Ma siccome essa è presente attraverso la Legge ed il Vangelo, così ha detto esserne due. Così come attraverso i quattro Angeli e i quattro venti ci si è riferito all’unica Chiesa, e così come le sette chiese ne sono una sola, così anche i sette candelieri sono indicati come un solo candeliere, e per lo più, secondo i testi, i molti costituiscono una sola Chiesa. Infatti il profeta Zaccaria vide un candeliere settiforme e due olivi, cioè i due Testamenti, versare il loro olio sul candelabro. Questa è la Chiesa con il suo olio inesauribile, che fa bruciare onde essere la luce del mondo. Infatti così dice Zaccaria: « … e mi svegliò come un uomo che è svegliato dal sonno. E dissemi: che è quel che vedi? E io dissi: Vedo un candelabro tutto d’oro; in cima ha un recipiente con sette lucerne e sette beccucci per le lucerne. Due olivi gli stanno vicino, uno a destra e uno a sinistra » (Zac. IV: 2). E quando chiese cosa fosse, l’Angelo rispose e disse: Questi sette sono gli occhi del Signore, che guardano su tutta la terra. Intendiamo questi essere gli occhi della settiforme grazia dello Spirito, che sono nella Chiesa che osserva tutta la terra del corpo dell’uomo. E quando si chiede degli olivi, che sono i due Testamenti, si dice così: « Questi, soggiunse, sono i due consacrati che assistono il Signore di tutta la terra ». (Zac. IV: 14). Se qualcuno cercasse di nuocere loro, il fuoco uscirebbe dalla loro bocca e divorerebbe i loro nemici. Il fuoco è la parola della predicazione: se qualcuno fa del male alla Chiesa ora o in futuro, mediante le orazioni della sua bocca, questi sarà bruciato nel fuoco divino. Essi [i testimoni] hanno il potere di chiudere il cielo affinché non piova nei giorni in cui profetizzano. Il cielo è la Chiesa, e la pioggia è la parola della predicazione. Essi hanno il potere di chiudere il cielo, cioè di legare: affinché la benedizione della Chiesa non scenda su colui che la perseguita; ed hanno il potere sulle acque di trasformarle in sangue e colpire la terra con ogni sorta di piaghe, tutte le volte che vogliono. Le acque sono i popoli. Le acque – i popoli – diventano sangue, quando intendendo carnalmente le opinioni dei filosofi, riprovandole la Chiesa, sono ripresi dalla sua correzione. Tutte queste cose che Dio realizza attraverso la Chiesa, le affida ai poteri della Chiesa, avendo essa ricevuto ogni potere in cielo ed in terra dal Figlio dell’uomo, di cui il Signore si è rivestito, ed il cui capo è Dio. È questo potere che è stato dato alla sua Chiesa, che chiude spiritualmente il cielo per cui non piove, e questo vuol dire che la saggezza non entra nell’uomo malvagio. Come dice di una parte della sua vigna: « alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. » (Is. V, 6); e non solo le acque non cadranno, ma renderanno inutili anche le acque che erano già cadute. Il Cristo, il Vescovo, la Chiesa, fanno ciò che vuole, perché chi opera in tutti è l’uno e medesimo Dio. E quando avran finito di testimoniare, la Bestia che sorge dall’abisso gli muoverà guerra, li vincerà e li ucciderà. Questa è la testimonianza che la Chiesa offre fino alla manifestazione della bestia, quando apertamente, nello stesso numero di giorni precedenti, i testimoni saranno uccisi dalla bestia: di modo che, così come uccide spiritualmente i due Testamenti, quando il diavolo sarà sciolto per regnare nell’Anticristo, ucciderà corporalmente i due testimoni, cioè Elia e colui che verrà con lui. Molti pensano che con Elia verranno Eliseo o Mosè; ma entrambi sono morti. La morte di Geremia non è nota; per questo i nostri maggiorenti ci hanno lasciato in eredità la tradizione che colui che verrà è Geremia. La parola stessa che gli è stata rivolta lo testimonia, dicendo: « prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo, e prima che tu nascessi ti ho consacrato: ti ho fatto profeta dei Gentili. » (Ger. 1: 5). Geremia non era un profeta tra i gentili, ma solo in Israele. E la parola verace di Dio deve fare ciò che promette, cioè che sarà profeta tra i Gentili. Questi sono i due candelabri e i due olivi che stanno davanti a Dio, vale a dire in Paradiso. Per questo ne ha preso nota, in modo che se leggendo un altro testo non lo si capisce, lo si capisca qui. Conviene che questi due siano uccisi dall’Anticristo. E siccome abbiamo detto queste cose in senso tipico, commentiamo ora le stesse parole in senso spirituale, per la vostra carità, proprio come abbiamo iniziato.

TERMINA L’ESPOSIZIONE

COMINCIA LA STORIA DEL TESTAMENTO

(Ap.XI, 7-10)

… et vincet illos, et occidet eos. Et corpora eorum jacebunt in plateis civitatis magnæ, quæ vocatur spiritualiter Sodoma, et Ægyptus, ubi et Dominus eorum crucifixus est. Et videbunt de tribubus, et populis, et linguis, et gentibus corpora eorum per tres dies et dimidium: et corpora eorum non sinent poni in monumentis: et inhabitantes terram gaudebunt super illos, et jucundabuntur: et munera mittent invicem, quoniam hi duo prophetæ cruciaverunt eos, qui habitabant super terram.

( … e li supererà, e li ucciderà. E i loro corpi giaceranno nella piazza della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il lor Signore è stato crocifisso. E gente d’ogni tribù, popolo, lingua, e nazione, vedranno i loro corpi per tre giorni e mezzo: e non permetteranno che i loro corpi siano seppelliti. E gli abitanti della terra godranno, e si rallegreranno sopra di essi: e si manderanno vicendevolmente dei presenti, perché questi due profeti hanno dato tormento agli abitatori della terra).

TERMINA

SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA.

[12]E li vincerà e li ucciderà. L’Anticristo vincerà coloro che ha ingannato perché credessero in lui. Ed ucciderà i Santi che hanno reso testimonianza a Dio. Spiritualmente, egli ora vince nella Chiesa coloro che non credono nel Vangelo e nella Legge, uccide coloro che credono in Cristo e vivono nella penitenza, come dice il Signore nel Vangelo: « vi condurranno in prigione e vi uccideranno » (Mt. XIV, 17). Chi non accetta la Chiesa, uccide i due Testamenti. E il loro corpo sarà gettato nella piazza della grande città. Ha detto un solo corpo dei due, mentre altre volte dice “corpi” al plurale, per indicare il numero della Legge e del Vangelo, e ciò per mostrare che v’è un solo corpo della Chiesa. Si riferisce qui non solo al corpo degli uccisi, ma anche a quello dei vivi. E quando ha detto « sarà gettato via », questo sta a significare: disprezzato, come è scritto: « tu hai odiato la dottrina e hai gettato le mie parole alle tue spalle » (Psalm. XLIX,17). Sarà gettato per le strade della grande città, cioè in mezzo alla Chiesa, spiritualmente chiamata Sodoma ed Egitto, dove il Signore è stato crocifisso; si riferisce certamente alla Chiesa, perché Gerusalemme non può essere restaurata, come dice il Signore: « e Gerusalemme sarà calpestata fino a quando si compia il tempo dei gentili » (Lc. XXI, 14). – E gente di ogni popolo, tribù, lingue e nazioni contemplano il suo corpo per tre giorni e mezzo. Cioè tre anni e sei mesi, cioè trecentocinquanta anni, come abbiamo detto sopra, dalla passione del Signore fino all’Anticristo. Questo, come abbiamo detto, accade spiritualmente alla Chiesa. Si mescola il tempo, il presente con il futuro. Contemplano, dice, e non contempleranno. Come dice il Signore nel Vangelo: « verrà l’ora, dice, in cui tutti coloro che vi uccidono penseranno che stanno adorando Dio » (Gv. XVI, 2). Ed ora accade quello che dice che avverrà. Per questo ha detto che « l’avrebbero fatto, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. » Non dice: « Lo faranno perché non lo conosceranno ». Non separa mai il tempo presente dall’ultimo tempo, in cui si manifesterà l’Anticristo. Ora la malizia spirituale lo sta facendo nella Chiesa. Non è permesso seppellire i loro corpi. Si riferisce al desiderio di coloro che si rifugiano nella penitenza: essi vogliono essere sepolti nel loro corpo; e coloro che sono dalla parte del diavolo non permettono loro di servire Dio con devozione. Infatti il marito perseguita la moglie, e la moglie perseguita il marito; i genitori perseguitano i figli, e i figli perseguitano i genitori; il padrone perseguita il servo, e i servi perseguitano il padrone; e, quel che è peggio, i falsi profeti perseguitano tutti; e i servi di Dio non possono resistere al loro attacco, come dice il Signore: « Guai a voi che chiudete il regno dei cieli: non entrate voi, né lasciate entrare gli altri » (Mt. XXIII, 13); ma essi tuttavia entrano sempre, nonostante la loro opposizione. In questo modo non permettono che i loro corpi siano sepolti. E lo faranno apertamente con i corpi dei vivi e dei morti: perché non permetteranno ai vivi di riunirsi a celebrare i sacri uffici in loro memoria, né pronunceranno il nome degli uccisi nella celebrazione, né permetteranno che i loro corpi siano sepolti in una tomba come testimoni di Dio. Gli abitanti della terra si rallegrano a causa loro. E festeggiano con feste e si scambiano doni. Questo è sempre stato fatto, ma mentre ora si scambiano doni, in tempi successivi gioiranno e banchetteranno. Ogni volta che i giusti sono afflitti, gli ingiusti si rallegrano e festeggiano. Si scambiano doni, cioè l’uno lo dice all’altro con gaudio, così come è scritto: « quelli che bevevano vino mi dileggiavano. » (Psal. LXVIII, 13). Perché questi due profeti hanno tormentato gli abitanti della terra. I due profeti sono i due Testamenti. Dice che tormentano la terra perché comandano di lasciare il mondo; e gli empi perseguitano coloro che vogliono servire Dio. E oltre alle piaghe, con le quali i Testamenti di Dio rimproverano il genere umano, anche la loro stessa vista grava sugli empi. Infatti essi medesimi  dicono: « È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo » (Sap. II, 15). E non solo risultano per essi gravosi, ma li faranno struggere, come sta scritto: « Gli empi lo vedranno e si adireranno, digrigneranno i denti e si consumeranno » (Psal. CXI, 10). Si rallegreranno, quindi, quando ovunque sembrerà che non si abbia più nulla da sopportare a causa dell’impazienza, poiché i giusti sono stati abbattuti ed uccisi e la loro eredità è stata abbattuta.

TERMINA LA SPIEGAZIONE

COMINCIA LA STORIA DEGLI STESSI TESTIMONI

(Ap. XI, 11-14)

Et post dies tres et dimidium, spiritus vitæ a Deo intravit in eos. Et steterunt super pedes suos, et timor magnus cecidit super eos qui viderunt eos. Et audierunt vocem magnam de cœlo, dicentem eis: Ascendite huc. Et ascenderunt in caelum in nube : et viderunt illos inimici eorum. Et in illa hora factus est terræmotus magnus, et decima pars civitatis cecidit: et occisa sunt in terræmotu nomina hominum septem millia: et reliqui in timorem sunt missi, et dederunt gloriam Deo cœli. Væ secundum abiit: et ecce væ tertium veniet cito.

(Ma dopo tre giorni e mezzo lo spirito di vita che viene da Dio entrò in essi. E si alzarono in piedi, ed un grande timore cadde sopra coloro che li videro. E udirono una gran voce dal cielo che disse loro: Salite quassù. E salirono in una nuvola al cielo: e i loro nemici li videro. E in quel punto avvenne un gran terremoto, e cadde la decima parte della città: e nel terremoto furono uccisi sette mila uomini: e il restante furono spaventati, e diedero gloria al Dio del cielo. Il secondo guai è passato: ed ecco che tosto verrà il terzo guai).

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA.

[13] … e dopo tre giorni e mezzo, lo spirito di vita di Dio è entrato in loro. Abbiamo già detto dei giorni: qui l’Angelo ha raccontato il futuro, e ha presentato come già compiuto ciò che ha sentito che si sarebbe compiuto: si sono alzati ed una grande paura si è impadronita di coloro che li contemplavano. Poi ho sentito una voce forte dal cielo che diceva loro: Venite quassù; e sono saliti in cielo nella nuvola. Questo deve essere compreso riguardo alla risurrezione, come dice l’Apostolo: « saremo presi dalle nuvole per incontrare Cristo » (1 Tess. IV, 16). Ma sta scritto pure che, prima della venuta del Signore, questo non può accadere a nessuno: « … prima Cristo, poi coloro che sono perfetti servitori di Cristo » (1 Cor. XV, 23) … che saranno presi dalle nuvole alla sua venuta. Per questo motivo sono escluse tutte le opinioni di coloro che pensano che questi due testimoni siano due uomini, cioè Elia e colui che verrà con lui, e che prima della venuta del Signore saliranno in cielo tra le nuvole. Abbiam già detto che questo non può essere fatto da nessuno se non alla venuta del Signore nella risurrezione di tutta la Chiesa, e che coloro che hanno vissuto perfettamente per mezzo dei due Testamenti saliranno ad incontrare Cristo nell’aria. Se si parla di questi due soli uomini, come potrebbero gli abitanti della terra gioire della morte di entrambi che morirebbero in una sola città? Oppure, come si scambierebbero doni su tutta la terra se ci fossero i tre giorni, e prima di gioire della loro morte sarebbero addolorati per la loro risurrezione?…. dal momento che tanti, in una così vasta distesa della terra, non riceverebbero la notizia della morte prima di quella della risurrezione. Oppure, quale banchetto o festa può esserci se, nelle piazze dei commensali, i cadaveri umani mescolano ai banchetti le esalazioni del fetore di tre giorni? Quindi è chiaro chi siano i testimoni e quali siano i giorni: sono quelli che abbiamo detto sopra, cioè dalla passione del Signore alla sua seconda venuta. E quel che dice del « grande timore che è caduto su coloro che li hanno contemplati », lo ha detto di tutti i viventi alla venuta del Signore: infatti i giusti che Cristo troverà vivi, avranno grande timore alla risurrezione di coloro che dormono, poiché la risurrezione dei morti sarà molto rapida. E se poi i giusti avranno grande timore, che ne avverrà dei peccatori? … E i loro nemici li vedranno. Qui ha separato i giusti dai peccatori, che prima aveva detto avere paura in comune. In quell’ora si è verificato un grande terremoto, cioè la persecuzione: questa è quindi una ricapitolazione, come detto, nella venuta del Signore. In quell’ora, « … chi è sul terrazzo della casa, non scenda a prendere nulla dalla casa » (Mt. XXIV, 17). L’ora indica tutto il tempo. E la decima parte della città è crollata, e con il terremoto sono morte settemila persone. I numeri dieci e sette sono numeri perfetti. E se non fossero perfetti, si dovrebbe capire il tutto per la parte; perché così dice che nella persecuzione l’intera città è distrutta, con tutti i suoi costruttori. Ci sono due edifici nella Chiesa, uno fondato sulla roccia, che è Cristo, l’altro sulla sabbia, che è la fiducia in questo mondo: è quest’ultimo edificio quello che è caduto. I sopravvissuti hanno avuto paura e hanno dato gloria al Dio del cielo. Questi invece sono coloro che son fondati sulla roccia, cioè i Santi che, alla venuta del Signore, vedendo morire i peccatori nel terremoto, essendo molto timorosi pur essendo giusti, rendono gloria a Dio con la confessione ed il disprezzo della loro vita, come sta scritto dell’uomo giusto: « il giusto godrà nel vedere la vendetta, laverà i piedi nel sangue degli empi. » (Psal. LVII, 11). Quando l’uomo giusto vede la morte del peccatore, è più attento all’osservanza dei comandamenti e quindi diventa più prudente e puro, come sta scritto: « … chi tiene conto dell’ammonizione diventa prudente. » (Prov. XV, 5). Terminata la ricapitolazione che aveva introdotto, omettendo il racconto del settimo Angelo, torna all’ordine [interrotto], dicendo: il secondo “guai” è passato! Ha detto che il primo “guai” era passato quando era finita la guerra delle locuste, e che il secondo “guai” stava arrivando; dopo aver scritto a riguardo dei cavalli, non ha detto che il secondo “guai” era passato, per non descrivere subito il terzo “guai”, perché doveva fare una ricapitolazione. Ed ora, terminata la ricapitolazione, dice che il secondo “guai” è avvenuto, non alla ricapitolazione, ma ai cavalli già descritti che non aveva concluso con il “guai”! Il terzo “guai” che segue è il settimo Angelo, con cui si finisce. Qui vediamo dunque, che ha fatto due finali consecutivi: uno di ricapitolazione e l’altro seguendo l’ordine (della narrazione). Ha narrato la fine nella Resurrezione dei testimoni, che aveva introdotto fuori dall’ordine: includendovi il secondo “guai”! dovuto alla guerra dei cavalli, dicendo: “Passò il secondo “guai!” Ed ecco, il terzo “guai”! Questo terzo “guai” è la separazione dei giusti dai peccatori alla risurrezione.

TERMINA LA STORIA DELLE SEI TROMBE

INIZIA LA SETTIMA TROMBA, CHE È LA RESURREZIONE DI OGNI CARNE.

(Ap. XI, 15-18)

Et septimus angelus tuba cecinit: et factæ sunt voces magnæ in cœlo dicentes: Factum est regnum hujus mundi, Domini nostri et Christi ejus, et regnabit in sæcula sæculorum. Et viginti quatuor seniores, qui in conspectu Dei sedent in sedibus suis, ceciderunt in facies suas, et adoraverunt Deum, dicentes: Gratias agimus tibi, Domine Deus omnipotens, qui es, et qui eras, et qui venturus es: quia accepisti virtutem tuam magnam, et regnasti. Et iratæ sunt gentes, et advenit ira tua et tempus mortuis judicetur …

(E il settimo Angelo diede fiato alla tromba: e si alzarono grandi voci nel cielo, che dicevano: Il regno di questo mondo è diventato del Signor nostro e del suo Cristo, e regnerà pei secoli dei secoli: così sia. E i ventiquattro seniori, i quali siedono sui loro troni nel cospetto di Dio, si prostrarono bocconi, e adorarono Dio, dicendo: rendiamo grazie a te, Signore Dio onnipotente, che sei, e che eri, e che sei per venire: perché hai fatto uso della tua grande potenza, e ti sei messo a regnare. E le genti si sono adirate, ed è venuta l’ira tua e il tempo di giudicare i morti …)

[14] Ha fatto riferimento all’inizio ed alla fine: ha regnato e le nazioni si sono incollerite. La sua prima venuta è: che … ha regnato; è la sua seconda venuta è: …il dare la ricompensa ai tuoi servi i profeti e a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra. Vedi – dice – è arrivato il terzo “guai”, con la voce del settimo Angelo. E dopo averlo toccato, dice che, non altri, ma solo la Chiesa ha lodato Dio e lo ha ringraziato. Per questo comprendiamo che la ricompensa del bene non è data senza il “guai”! dei malvagi. Come la Chiesa stessa dice: è giunto il momento di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai vostri servi e di distruggere coloro che distruggono la terra. Questa è l’ultimo “guai”!, che è la separazione dei giusti dai peccatori. Qui finisce, e ricapitola dalla nascita di nostro Signore Gesù Cristo, per dire la medesima cosa in altro modo e con maggiore chiarezza.

TERMINA IL QUINTO LIBRO

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (12)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (10)

I due Testimoni profetizzano (Apoc. XI, 3)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (10)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

INIZIA LA STORIA DEI CENTOQUARANTAQUATTROMILA NEL LIBRO QUARTO

(Apoc. VII, 4-12)

Et audivi numerum signatorum, centum quadraginta quatuor millia signati, ex omni tribu filiorum Israel. Ex tribu Juda duodecim millia signati : ex tribu Ruben duodecim millia signati: ex tribu Gad duodecim millia signati : ex tribu Aser duodecim millia signati: ex tribu Nephthali duodecim millia signati : ex tribu Manasse duodecim millia signati: ex tribu Simeon duodecim millia signati: ex tribu Levi duodecim millia signati: ex tribu Issachar duodecim millia signati: ex tribu Zabulon duodecim millia signati: ex tribu Joseph duodecim millia signati: ex tribu Benjamin duodecim millia signati. Post hæc vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis: stantes ante thronum, et in conspectu Agni, amicti stolis albis, et palmæ in manibus eorum: et clamabant voce magna, dicentes: Salus Deo nostro, qui sedet super thronum, et Agno. Et omnes angeli stabant in circuitu throni, et seniorum, et quatuor animalium: et ceciderunt in conspectu throni in facies suas, et adoraverunt Deum, dicentes: Amen. Benedictio, et claritas, et sapientia, et gratiarum actio, honor, et virtus, et fortitudo Deo nostro in sæcula sæculorum. Amen.

(E udii il numero dei segnati, cento quaranta quattro mila segnati, di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele. Della tribù dì Giuda dodici mila segnati: della tribù di Ruben dodici mila segnati: della tribù di Gad dodici mila segnati: della tribù di Aser dodici mila segnati: della tribù di Neftaiì dodici mila segnati: della tribù di Manasse dodicimila segnati: della tribù di Simeone dodici mila segnati: della tribù di Levi dodici mila segnati: della tribù di Issacar dodici mila segnati: della tribù di Zàbulon dodici mila segnati: della tribù di Giuseppe dodici mila segnati: della tribù di Beniamino dodici mila segnati. Dopo questo vidi una turba grande che niuno poteva noverare, di tutte le genti, e tribù, e popoli, e lingue, che stavano dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello, vestiti di bianche stole con palme nelle loro mani: e gridavano ad alta voce, dicendo: La salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli stavano d’intorno al trono, e ai seniori, e ai quattro animali: e si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dio, dicendo: Amen. Benedizione, e gloria, e sapienza, e rendimento di grazie, e onore, e virtù, e fortezza al nostro Dio pei secoli dei secoli, così sia.)

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA NEL LIBRO QUARTO.

[5] Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d’Israele. Centoquarantaquattromila è la Chiesa nel suo insieme, il che è facile da dimostrare con esempi, perché se il numero dodici è diviso in parti, e queste parti sono poi sommate, esse superano la loro pienezza, infatti il 12 ha cinque divisioni: diviso per dodici dà uno; diviso per sei dà due; diviso per quattro dà tre; diviso per tre dà quattro; diviso per due dà sei; e uno, due, tre, quattro e sei, sommati insieme, fanno sedici e superano di gran lunga il numero dodici. Ma così ne fanno un mistero. L’Uno tra i numeri non può essere diviso, perché da esso nascono tutti gli altri numeri ed è il simbolo di Dio, dal quale procede ogni inizio, e che non si può né dividere né scindere. Il due si riferisce ai due Testamenti. Il tre si riferisce alla Trinità, che è Dio, e che, pur essendo tre Persone, affermano un’unica essenza di natura. Il quattro, cos’altro significa se non i quattro Evangelisti? Il numero sei è un numero perfetto, perché è contenuto nelle sue parti, infatti ha tre divisioni: per sei, per tre e per due. Diviso per sei dà uno; per tre, due; per due, tre. E sommando il risultato di queste divisioni, cioè uno, due e tre, insieme danno sempre lo stesso numero e rendono perfetto il numero sei: per questo, nella perfezione di questo numero, Dio operò in sei giorni la creazione di tutte le creature. Queste tre divisioni del numero sei ci mostrano che la Trinità di Dio, nella trinità di: numero, misura e peso, ha operato la creazione di ogni creatura. Si può così arguire quindi, come la perfezione del numero sei, che spesso troviamo nelle Sacre Scritture, sia molto preziosa, soprattutto nella morte unica del Signore e nella risurrezione unica del Signore. Infatti la morte di nostro Signore Gesù Cristo non fu dell’anima, ma solo della carne. D’altra parte, la nostra morte non è solo della carne, ma pure dell’anima a causa del peccato: nella carne, per punizione del peccato. Ma Egli, che non aveva peccato, non morì nell’anima, ma solo nella carne; e questo a causa della somiglianza della carne peccaminosa che Egli aveva ereditato da Adamo (Rm. VIII, 3). Per questo la sua morte, unica nel suo genere, è stata benefica per la nostra duplice morte. La morte della carne di Cristo e la sua risurrezione indicano due. La morte della nostra carne e la morte della nostra anima sommano due. La resurrezione della nostra carne e la resurrezione della nostra anima sono due. Due le nostre morti e due le nostre resurrezioni. Due e due fanno quattro. L’unica morte del Signore e la Sua unica risurrezione, aggiunte alle nostre quattro, formano sei. L’unica morte del Signore e le nostre due risurrezioni sommano tre: e come il numero sei ha tre divisioni secondo quanto abbiamo detto sopra, così uno, due e tre, fanno sei. Le trentasei ore che il Signore ha trascorso nell’inferno hanno completato la morte unica del Signore e la nostra morte doppia. Dodici ore furono diurne e ventiquattro notturne. Queste ventiquattro ore sono legate alla nostra doppia morte, e le dodici ore diurne sono legate all’unica morte del Signore. Certamente poi, anche la Natività del Signore contiene il numero sei. Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni (Gv. II, 20) … dicono i Giudei nel Vangelo; ma questo si riferisce al corpo del Signore. È stato scritto quarantasei anni invece che quarantasei giorni, ed infatti si dice che in quarantasei giorni il bambino prenda forma nel grembo materno, e da quel momento cresce fino al giorno della nascita. Moltiplichiamo sei per quarantasei, e ne otterremo CCLXXVI – (duecentosettantasei), cioè nove mesi e sei giorni. Computando dall’VIII calende di aprile, quando cioè il Signore ha sofferto – e si crede anche che sia stato concepito nello stesso giorno – all’ottava delle calende di gennaio, ci avranno CCLXXVI (duecentosettanta sei) giorni, che è ancora il numero sei (2+7+6=15=6). – E che dire di quella donna nel Vangelo, che satana aveva tenuto ricurva per diciotto anni, e che il Signore ha guarito dopo tanti anni? Anche questi diciotto anni contengono il numero sei; tre volte sei fa diciotto. Quella donna rappresenta la razza umana, che il Signore ha liberato dalla prigionia del diavolo nella sesta età del mondo. Infatti i sei giorni in cui il Signore ha compiuto la sua opera compongono una settimana e rappresentano la cifra di seimila anni, che si esprime come una settimana. La prima età, da Adamo a Noè, è di MMCCXLII (duemiladuecentoquarantadue) anni. La seconda età, da Noè ad Abramo, è durata DCCCCXLII (novecentoquarantadue) anni. La terza età, da Abramo a Mosè, è di DV (cinquecentocinque) anni. La quarta, dalla partenza dei figli di Israele dall’Egitto fino al loro ingresso nella Terra Promessa è durata XL (quarant’anni). E dall’ingresso nella Terra Promessa fino a Saul, il primo re d’Israele, ci sono stati i Giudici per CCCLV (trecentocinquantacinque) anni. Saul ha regnato per XL (quaranta) anni. Da Davide fino all’inizio della costruzione del tempio sono passati XLIII (quarantatre) anni. La quinta età, dalla prima edificazione del tempio all’esilio in Babilonia, ci sono stati re per CCCCXLVI (quattrocentoquarantasei) anni. C’è stata la prigionia del popolo dalla distruzione del tempio per LXX (settanta) anni, tempio restaurato da Zerubbabel in quattro anni. Dalla restaurazione della tempio all’Incarnazione di Cristo sono passati DXL (cinquecentoquaranta) anni. Sommando tutto il tempo da Adamo a Cristo, abbiamo V.CCXXVII (5.227) anni. Dalla nascita di nostro Signore Gesù Cristo fino all’età attuale, cioè al DCCCXXII (872), sono DCCLXXXIV (784) anni. Computiamo, poi, dal primo uomo, Adamo, 16 anni, fino all’età attuale, l’anno DCCCLXXII (872), e abbiamo un totale di V.DCCCCLXXXVI (5.986). Mancano quindi XIV anni al sesto millennio (si tenga presente che l’autore conta secondo l’Era Hispanica, che si differenza dall’era cristiana di 38 anni). La sesta età terminerà quindi nell’anno MCCCLXXXVIII (anno 888). Ma ciò che resta del tempo del mondo è incerto per l’investigazione umana. Nostro Signore Gesù Cristo troncò ogni discussione su questo argomento, dicendo: « Non sta a voi conoscere il tempo e l’ora che il Padre ha stabilito con la sua autorità » (At. I, 7). Ed in un altro luogo dice pure: « ma di quella ora, nessuno sa nulla, nemmeno gli Angeli del cielo, ma solo il Padre » (Mt. XXIV, 36). E quando si dice il giorno o l’ora, a volte si riferisce al tempo, a volte è semplicemente indicazione letterale. Ma sappiatelo, il mondo dovrà finire nell’anno 6000. Se questo tempo sarà prolungato o abbreviato, Dio solo lo sa. Qualunque possa essere l’opinione su ciò che ne resti, sul settimo non possiamo fare congetture, perché non lo troviamo scritto in alcun luogo. Dio ha fatto la sua opera in sei giorni, completi da mattino a sera; circa il settimo sappiamo solo come si fosse riposato per mostrare nei sei giorni la cifra di 6.000 anni, dalla quale si deduce l’età di questo mondo, e così indicare nel settimo la risurrezione di tutti i santi. E così come il sesto giorno fece l’uomo, e dalla sua costola, cioè dal suo lato, fu fatta la donna, e da questi due progenitori si popolò e si riempì la terra, così dove intendersi nella sesta età del mondo: come il sesto giorno, il primo uomo – Adamo – nacque da nuova terra, così anche Cristo è nato – secondo Adamo – da una nuova Vergine. E perché abbiamo detto da una nuova Vergine? perché non se ne è trovata un’altra dal seme di Adamo, né un altro figlio dal suo seme come Cristo. E così come dalla costola di Adamo dormiente fu tratta la donna, e riempita la terra; così dal fianco del secondo Adamo, Cristo, dormiente nel sonno della passione, fianco fu tratta Chiesa, per riempire la terra celeste del Paradiso, di cui Davide scrisse: Penso che vedrò la bontà del Signore nella terra dei viventi (Psal. XXVI, 13). E come, alla fine del sesto giorno, leggiamo che il Signore non abbia fatto nulla, ma che abbia cessato dalle sue opere e si sia riposato; così crediamo che nel sesto millennio – finito che sarà o no – giungerà il giorno della risurrezione. Questo giorno e questa ora, dice il Signore medesimo, nessuno li conosce, nemmeno gli Angeli del cielo, ma solo il Padre (Mc. XIII, 32). Ed un altro Evangelista aggiunge che nemmeno il Figlio lo sa. Ma dobbiamo capire questo non secondo la lettera, bensì secondo il senso. Non ci succeda che, comprendendolo alla lettera, tal come gli eretici Agnoiti e Triteiti, che si sono distaccati dai Teodosiani – non lo permetta Iddio -, noi pensiamo come loro. Essi affermano che la divinità di Cristo non conosce le cose future, e quindi nemmeno ciò che è scritto sull’ultimo giorno e sull’ultima ora, dimenticando che la Persona di Cristo dice per mezzo di Isaia: « … il giorno del giudizio nel mio cuore » (Is. LXIII, 4). È chiaro pertanto che il Figlio ben lo conosceva, ma non lo ha voluto rivelare ai suoi discepoli, affinché essi, sempre sospettosi ed incerti sull’ora della morte, non mettessero la loro speranza nel mondo. A proposito del giorno, abbiamo letto che, così come nostro Signore è risorto dai morti di domenica, così anche noi speriamo di risorgere nell’ultimo secolo di domenica. Ma per calcolare ancora questo giorno, dato che ci sono molti giorni che vengono di domenica, occorrerebbe sapere in quale stagione, in quale anno, in quale ora, in quale giorno, in quale epoca avverrà la risurrezione! Non sappiamo se questi 14 anni saranno accorciati o meno, solo Dio lo sa. Tuttavia, abbiamo anche constatato che il Signore, abbia più volte mutato sentenza. Infatti abbiamo letto nella Genesi che erano stati stabiliti 120 anni di penitenza prima che arrivasse l’alluvione. Poiché gli uomini non vollero far penitenza per il tempo di 100 anni, il Signore non ha aspettato che finissero gli altri 20 anni, ma mise in atto anticipatamente quello che aveva minacciato di fare più avanti. – Lo stesso successe quando, per mezzo di Isaia, aveva detto che il re Ezechia era prossimo a morire, aggiungendogli poi ancora 15 anni (Is. XXXVIII, 5). E così pure nella minaccia contro i Nineviti: « entro quaranta giorni Ninive sarà distrutta » (Giona III, 4). Tuttavia, in seguito alle preghiere di Ezechia e dei Niniviti la sentenza del Signore fu mutata, non secondo un nuovo diverso giudizio, come se Dio possa avere mutati giudizi, Egli che non cambia mai nei secoli, come infatti è scritto: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite » (Psal. LXI, 12); Egli infatti decreta una volta sola, in faccia al mondo, ciò che realizzerà nei secoli. Può cambiare però sentenza in seguito alla conversione di coloro che hanno meritato il perdono. Dio per vero, non è irato con gli uomini, ma con i suoi vizi: e quando non li trova più nell’uomo, non lo punisce più. Così Dio manifestò a Geremia il male che stava per realizzare contro il popolo; ma se questo avesse operato bene, Egli avrebbe trasformato le minacce in perdono. Ed al contrario, Egli promette il bene al suo popolo; ma se questo farà il male, dice pure che cambierà la sua decisione. Per questo a Geremia stesso viene detto, quando prega per il popolo dei Giudei, a causa della durezza del suo cuore: « Tu non pregare per questo popolo, non innalzare per esso suppliche e preghiere né insistere presso di me, perché non ti ascolterò » (Ger. VII, 16). E a Samuele: « Hai intenzione di piangere per Saul, dopo che l’ho respinto? » (1 Sam. XVI: 1). Perciò con cenere e tela di sacco chiede che si adempia ciò che Dio aveva promesso. Non perché fosse all’oscuro delle cose future, ma perché la sicurezza non portasse alla negligenza, e la negligenza al peccato. Quindi, come abbiamo detto sopra, ogni Cattolico deve capire, sperare e temere, e considerare questi 14 anni come fossero un’ora, e di giorno e di notte, con cenere e cilicio, piangere la rovina del mondo, e non indagare sul tempo supposto; e non investigare sul giorno estremo del secolo, o sul tempo che nessuno conosce se non Dio solo. Pensi, quindi, ognuno alla propria fine, come dice la Scrittura: « In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato. » (Sir. VII, 40). Infatti è quando uno migra dal mondo, che giunge per lui la fine del mondo. Ma poiché dal numero sei siamo arrivati fino alla fine del mondo, è giusto che torniamo col numero sei, in modo che mediante questo numero, con la misericordia di Dio, possiamo spiegare non solo il mondo, ma tutta la Chiesa. Gli studiosi e gli uomini cattolici o religiosi non devono disprezzare la scienza dei numeri: perché in molti testi delle Sacre Scritture viene mostrato quale grande mistero essi contengano. Non per niente è stato detto a lode di Dio: perché « Tu hai fatto tutte le cose con misura, numero e peso » (Sap. XI, 20). Il numero sei, che è perfetto nelle sue parti, in un certo senso mostra la perfezione di questo mondo con il significato del suo numero. Allo stesso modo, i 40 giorni nei quali Mosè, Elia ed il Signore stesso hanno digiunato, non si comprendono senza la conoscenza dei numeri. Così come ci sono altri numeri nelle Sacre Scritture il cui significato può essere interpretato solo da chi conosce la scienza di quest’arte. Ci è stato dato infatti in gran parte di vivere sotto la disciplina dei numeri, come quando ad esempio contiamo le ore attraverso di essi, quando contiamo il corso dei mesi, quando sappiamo quanto ci resti per iniziare un nuovo anno, quando valutiamo le migliaia di anni dall’inizio del mondo fino alla sua fine. Infatti il Signore, nel quarto giorno della creazione, dice: « Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra »  (Gen. I, 14). Una volta completata la creazione di queste stelle, appare chiaro come la luce preceda questi astri di tre giorni. Per questo sembra che gli egiziani e gli altri popoli che seguono quest’ordine, aggiungano ogni quattro anni, nell’anno che chiamano anche anno bisestile, un’intera giornata. Ebbene, se vogliamo calcolare o considerare quali siano questi tre giorni, sappiamo che sono la centoventesima parte di un anno. E i 120 giorni, considerati a loro volta, sappiamo che costituiscono un terzo dell’anno. Poi sommato un terzo di giorno all’anno, dopo quattro anni si ha un giorno intero. Ed in una parziale ripartizione, si considerano mesi e anni superflui, che i Giudei chiamano embolismo, cioè sopraggiunti, e contano da una Pasqua all’altra, 384 giorni: ecco perché chi non conosce la scienza del calcolo numerico, spesso calcola male le Pasque. Gli egiziani chiamano questo fenomeno l’esaltazione delle stelle e della loro stabilità; lo chiamano anche bisestile. Esso si celebra nel ricordo della luce e dei giorni e delle notti che hanno preceduto le stelle, poiché hanno preceduto di tre giorni il tempo in cui è comparso il sole.  – È certo, secondo la tradizione delle Sacre Scritture, che dal numero si deduce l’intero ordine della Chiesa. Infatti mediante il numero non ci confondiamo e siamo istruiti. Si tolga il calcolo al mondo, e tutto è avvolto da una cieca ignoranza. E l’uomo non può essere distinto dagli altri animati che non conoscono la scienza dei numeri. E come abbiamo spiegato prima con il numero sei la figura della donna piegata, che rappresentava il genere umano nella sua interezza, resta a noi ora, riflettendo sulla settimana di questo mondo, distinguendo i suoi giorni e le sue notti, di venire a Cristo. E così come abbiamo detto che Dio completò le sue opere in sei giorni e si riposò nel settimo, così si dice che questo mondo è composto da sei età, e che nella settima vi sarà il riposi dei santi col Signore. E di queste, la prima età va da Adamo a Noè, ha avuto il suo mattino nella medesima condizione dell’uomo in Paradiso; ha avuto il suo vespro nel diluvio; è quasi come se il primo giorno, nella creazione della creatura razionale, Angelo e uomo, chiamati figli di Dio, fosse stato luce. Dopo l’espulsione dal Paradiso, l’uomo ebbe due figli, il semplice e l’empio: l’empio uccise il pio, e al suo posto nacque Seth, che è chiamato figlio di Dio, e così vennero alla luce due popoli, cioè quello dell’Agnello e quello della bestia. E poiché contro la volontà del Creatore dei due popoli, dell’Agnello e della bestia, si mescolarono i buoni, i figli ed i coniugi, sopraggiunse il diluvio. La seconda età va da Noè ad Abramo: esso ha avuto la sua mattina nell’arca, che è considerata la prima chiesa spirituale, e che nei suoi tre piani ha salvato tre gruppi, cioè: gli uomini, le bestie e gli uccelli; in questo secondo giorno si narra la creazione del firmamento; e i tre figli di Noè, sono simili a tre animali: l’agnello, il bue e la capra. Questi tre uomini si sono divisi tutta la terra. Questa era ha avuto poi il suo vespro nella confusione delle lingue e nella distruzione della torre del gigante Nimrod (Babele). La terza età va poi da Abramo a Davide: essa ebbe la sua mattina nella separazione di Abramo, a somiglianza del terzo giorno in cui le acque furono separate dalle acque, cioè i Patriarchi dai gentili; in essa Mosè ebbe anche la legge da Dio. Disse Dio ad Abramo: « Io sono Dio, che ti ho fatto uscire dal paese dei Caldei per darti in eredità questa terra » (Gen XV, 7). E Abramo gli disse: « Come faccio a sapere che la benedirete? » Dio gli disse: « Portami una mucca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un giovane piccione ». Questi tre animali sono i figli di Noè. L’ariete, Shem, da cui nacque l’Agnello. La mucca, Cam, da cui nacque il vitello. La capra, Japheth, da cui nacque il gran capro. Abramo divise questi animali a metà: con il numero sei, fece sei parti dell’intero mondo, tre parti a destra e tre parti a sinistra, cioè la Chiesa e la Sinagoga. Non divise gli uccelli, e questo è carne di santità unita allo Spirito di Dio, che indivisi ed uniti volano verso il cielo. Quegli animali divisi a metà, erano il simbolo del popolo gentile, diviso tra coloro che credono in Cristo, e tra gli increduli. Questa giornata ha avuto il suo vespro nell’empissimo Re Saul. – La quarta età va da Davide alla deportazione del popolo giudeo a Babilonia. Essa ebbe il suo mattino in Davide stesso, e qui iniziò lo splendore del regno e la profezia, così come nel quarto giorno furono create le stelle. Essa ha avuto poi il suo vespro nel peccato dei re e dei sacerdoti, per i quali il popolo meritò di essere deportato in Babilonia. E come il Giudeo aveva commesso quattro peccati, cioè la rapina, l’adulterio, l’omicidio e l’idolatria, peccati per i quali Geremia pianse nelle sue quattro lamentazioni alfabetiche, si allontanò dal sentiero della profezia con la quale poter giungere alla via che si chiama Cristo; egli fu gettato nel deserto, cadde nelle mani di una leonessa che lo afferrò. Un orso si alzò, prese la preda dalla leonessa. Si alzò un leopardo, che portò via la preda all’orso. Ed una terribile bestia con i denti di ferro, sette teste e dieci corna, si levò e portò via la preda al leopardo, così possedendola (Dan. VII). La quinta età va dalla deportazione di Babilonia alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo. Essa ha avuto la sua mattina in Geremia o Daniele, come nel quinto giorno vi fu la prima benedizione dei pesci dell’acqua, e degli uccelli dell’aria. Ha avuto il suo vespro nel peccato del popolo giudeo, quando è stato accecato, in modo tale da non poter nemmeno riconoscere nostro Signore Gesù Cristo. L’Agnello senza macchia venne, prese la terribile bestia, che aveva sette teste e dieci corna, la vinse e le portò via la sua preda, cioè l’uomo Giuda di cui abbiamo parlato prima. Quando l’uomo riconobbe che era stato liberato da pericoli così grandi dall’Agnello, fu spinto dall’invidia ad uccidere l’Agnello. Questa bestia, in verità, ha diviso l’uomo, perché ha posseduto anche molti cuori di eletti. Ma l’Agnello moriente strappò questa preda a Giuda. Questo è l’Agnello che i Giudei credono di mangiare al tramonto, con le vesti in vita, con il bastone in mano (Es. XII, 6,11). E Davide dice: « Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia. » (Psal. XXIX, 6). Infatti con questi bastoni, con i quali mangiano la carne dell’agnello senza macchia, Giuda Iscariota, il portabandiera dell’inganno dell’ultimo tempo, venne con numerosa truppa a prendere il Salvatore. L’Agnello parlò loro con voce addolorata in questo modo: « Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi » (Mt. XXVI, 55): con le spade: i Principi dei Sacerdoti e gli Anziani del popolo, dai quali l’Agnello viene immolato; la plebe minuta con i bastoni, di cui si dota la plebaglia blasfema. E il fatto che quest’Agnello, immagine di Dio, venga tradito al calar della notte, simboleggia la venuta della notte per i Giudei poiché, a causa della prostituzione e la legge adulterata, avendo il popolo d’Israele accettato il peccato, e bestemmiando ciecamente con testardaggine, favorendo ciò che avevano stabilito esser separato dalla luce, essi sono stati invasi dalle tenebre, cosicché il cieco assenso delle tenebre ha accompagnato la colpa del delitto. La passione di Cristo fu offerta col grande sacrificio tra la luce e le tenebre; al tramonto apparve un breve lasso di tempo di luce – dalla quale Cristo aveva preso il nome – di modo che nelle tenebre della cena cruenta nella quale era stato immolato l’Agnello, risplendesse con la sua luce Cristo, nuovamente risalito il giorno dopo dall’inferno, condannando così l’orrore della triplice morte. Per questi meriti, guadagnati dalla passione del Signore, tutti i Cristiani all’interno della Chiesa possono filare e tessere con la lana di questo medesimo Agnello senza macchia e perfetto. E quasi come sotto una sorta di trinità, cioè del filato, dell’ordito e del tessuto di un’unica sostanza di lana, essi affermano che nella Trinità c’è un solo Dio. Ma, comunque, questa lana, perché ancor meglio possa risaltare, è imbrattata dai diversi colori delle eresie mediante sfumature di tinture diverse. Alcuni lo rendono piacevole con il colore vermiglio, altri con il verde, altri con lo zafferano, altri con lo scarlatto, altri con varianti di colore, … rosso, … nero. Senza dubbio i perfetti, però, per potersi rivestire di bianco, cercano di tessere la lana bianca dell’Agnello. L’indossare un tessuto di lana bianca dell’Agnello alterato da tinte di colori diversi, è proprio degli eretici che si macchiano alterando con vari colori il vestito di lana bianca, e dall’unico tessuto di lana di Cristo, mediante il quale dovrebbero veramente brillare, si trasformano in setta di ignoranza; così, spogliandosi delle vesti perfettamente candide della lana unica dell’Agnello, danno vita a molte sette e ad eresie, che sono officine di dannazione. E quando, coll’occultarsi per mezzo dei colori dei fiori, si è profanata con l’eresia, e la colorazione scura delle erbe ha poi imbrunito la matrice di lana con la frangia, procedendo nella sua discordia, con il vestito così conciato non oserà più nel suo cuore confessare Cristo come Signore, falsandolo con favole ingannevoli. Di costoro il Signore dice nel Vangelo: « Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? » (Mt. VII, 22). Ma Egli, rispondendo, dice loro: Lasciatemi, voi operatori di iniquità; non vi ho mai conosciuto nella casa di mio Padre, cioè nella Chiesa. Ed a nessuno sarà utile il dire senza fare. Questo è l’Agnello nato da quell’ariete, Shem, figlio di Noè. Con questo Agnello vivono insieme il leone, l’orso, il leopardo, il bue, la pecora e la capra. Solo la terribile bestia con dieci corna e sette teste è in guerra con Lui. Questo Agnello è colui che sul monte Sion, cioè nella contemplazione della Chiesa, raccoglie le erbe delle virtù. È per merito suo che la bestia viene sconfitta ogni giorno e tenuta prigioniera. – Ed è ora in corso la sesta età, che si estende dalla venuta del Signore fino alla fine del mondo giungendo fino al giudizio. Essa ha la sua mattina in Cristo, la vera luce, che sempre sorge nel cuore dei credenti, e che è chiamata giorno eterno. Essa ha pure la sua sera, la Sinagoga, o l’ignoranza degli stolti, degli scismatici, degli ipocriti, degli eretici. E alla sua fine ecco la notte perpetua: lo stesso Anticristo. Questo è il giorno primo – Cristo – nella creazione, e giorno ultimo nella sua perfezione. Con quest’epoca finisce e ricapitola dall’inizio. – Infatti così dice: « In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso » (Gen I, 1). Questo è il principio, in cui Dio ha creato il cielo e la terra. Per  “cielo” intendiamo lo spirito, per “terra” la sua carne. Al principio non fece altro che questo: il Cristo uomo, come testimonia Salomone: « Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività » (Prov. VIII, 22). Dice che è stato creato all’inizio, cioè predestinato. Similmente dice: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. E a sua immagine e somiglianza è stato creato Adamo. Tuttavia, la somiglianza era riservata a Cristo. E poiché la terra era caotica e vuota, cioè invisibile e scomposta, non si poteva né vedere né toccare; ed ecco è già visibile; ecco, si può già toccare. Come quando disse: « …toccatemi e guardate; uno spirito non ha carne e ossa come vedete che io ho » (Lc. XXIV, 39). Sentite, dunque, che la terra è ordinata, ed al principio di essa, Dio ha creato il cielo e la terra, cioè lo spirito e la carne: e in questo cielo e in questa terra è contenuto tutto, il visibile e l’invisibile. Infatti ogni creatura, prima di essere creata nel suo tempo, nel Verbo stesso di Dio, cioè nel Figlio che è il principio, doveva prima essere conosciuta dagli Angeli, e così doveva essere fatta per il suo tempo. Ecco perché la conoscenza della creatura in se stessa era la sera, mentre in Dio era al mattino. Infatti la creatura è conosciuta da Dio meglio di quanto la creatura conosca se stessa. Essa cioè, si conosce più dall’arte con cui è stata modellata, che per come sia stata fatta in se stessa: per questo l’Evangelista Giovanni dice: « senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita » Tutto ciò che è stato fatto non ha vita di per sé, ma ha vita nel Verbo stesso di Dio. Di per sé non ha vita né il cielo, né la terra o la pietra, che invece hanno vita in Dio. Infatti in Dio ogni creatura vive senza inizio né mutamento, e quindi è meglio conosciuta dai santi Angeli nel Verbo di Dio, nel quale ha vita, più che in se stessa. E perché nessuno si turbi, o dica: “Il Figlio ha fatto tutte le cose, e il Padre e lo Spirito Santo no?”, – questo è lontano dalla fede cattolica – tutto ciò che è stato fatto, in cielo o in terra, è stato fatto dalla Santissima Trinità, cioè dal Padre e dal Figlio e dallo Spirito Santo, trino nelle Persone, ma un solo Dio in quanto a natura. L’opera della Trinità è comune, ma una è la potenza ed è una sola la maestà. Si comprende così quel che si dice: All’inizio Dio ha creato il cielo e la terra. Ma la terra era caotica e vuota, e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque, cioè su ogni creatura. Per Dio, intende il Padre: per Principio, il Figlio; e nello Spirito santo di Dio, lo Spirito Santo. Si guardi l’opera comune della Trinità. Quando Dio disse: “Fiat lux“, si riferiva gli Angeli. Dio infatti non era nelle tenebre; ma voleva essere conosciuto prima di tutto dalla creatura angelica, perché era già predeterminato nell’incarnarsi, e così disse: ”Fiat lux”. Questo è il giorno dell’inizio della creatura, che non si chiama primo, ma si chiama “giorno uno”, perché il primo di tutti i giorni è Cristo. Si chiama, il primo, il giorno degli Angeli, ma è in relazione alla creazione del mondo: infatti l’Angelo è stato il primo di tutte le creature a conoscere il suo Creatore. Pertanto questo è il primo giorno nella cognizione di se stesso, il secondo nella conoscenza del firmamento. – Nella conoscenza della divisione delle acque, il terzo. Nella conoscenza del sole, della luna e delle stelle, il quarto. Nella conoscenza degli uccelli e dei rettili, il quinto. Nella conoscenza degli animali e delle bestie e dell’uomo stesso, il sesto. Sì, l’uomo è stato creato nel sesto giorno. Cristo era già stato predeterminato nel suo corpo e nella sua anima, e predestinato e conosciuto dalla creatura angelica, quando fu fatto questo primo Adamo. Quando il Padre disse personalmente al Figlio: « Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gen I, 26), dimostrò l’unità della natura. Infatti disse “a nostra” in riferimento alle Persone, e “fecit Deus” in relazione alla natura. Dio ha voluto essere conosciuto così com’è “a sua immagine”, quando ha progettato l’uomo con un carattere sacro. Il volto di Dio si manifesta nell’uomo in quanto regnante sulle bestie, sugli uccelli e sul bestiame, non uomo come tale, ma la sua immagine. Si riconosce la distanza tra l’uomo ed le bestie, per cui l’uomo è preminente e gli viene comandato di dominare. Pensiamo così al secondo Adamo, Cristo, chiamato “uomo perfetto”; mentre l’altro uomo, precedente rispetto a Lui, è chiamato bestia. Ma siccome gli Angeli e gli uomini sono chiamati figli di Dio, e gli Angeli lo hanno conosciuto per primi tra tutte le creature nella sua divinità, allo stesso modo sono chiamati Angeli anche gli uomini che lo hanno conosciuto pienamente e lo conoscono nella sua umanità: per questo Egli com’è il giorno primo è così anche nell’ultimo. Prima era conosciuto nella sua divinità dalla creatura spirituale; ed ora, non dalla creatura carnale, ma da quella spirituale, cioè dall’uomo interiore, è conosciuto nella sua umanità. Lì si diceva: “Sia fatta luce affinché gli Angeli conoscano Cristo“. Qui è stato detto: « Io sono la luce del mondo » (Gv. VIII, 12), affinché gli uomini-angeli conoscano Cristo. – Là si diceva il secondo giorno: che ci sia un firmamento in mezzo alle acque, e che divida le acque l’una dall’altra. Qui è stato detto: su questa pietra, che tu hai riconosciuto, Pietro, io edificherò la mia Chiesa (Mt. XVI, 18), e separerò la Sinagoga da essa. – Là si diceva il terzo giorno: che le acque siano raccolte in un unico luogo e che la terra appaia asciutta. Qui è stato detto, quando è venuto per essere battezzato: « questo è l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo » (Gv. I, 29). Le acque si riunirono, alcune sopra il cielo, altre nell’abisso, altre nei mari: divennero così tre gruppi, uno celeste e due terreni, cioè i giusti ed i peccatori. E apparve la terra, di cui si è detto: « la nostra terra darà il suo frutto » (Sal. LXXXIV, 13). Qui la terra fa germogliare ogni giorno frutti abbondanti. – Là è stato detto al quarto giorno: che ci siano luci. Qui è stato detto: « Io sono la luce del mondo, Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché mi vede come la luce di questo mondo » (Gv. XI, 9). – Si diceva là al quinto giorno: lasciate germinare i pesci e gli uccelli. Qui è stato detto: chi non è nato dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv. III, 5). E come il Padre mi ha mandato alla passione, così Io mando voi. Là si diceva: crescete, moltiplicatevi e riempite la terra. Qui è stato detto: guai a chi è incinta ed allatta: beate le sterili che non generano! (Mt. XXIV: 19). Là si comandava la crescita e la generazione; qui si consiglia la continenza. Là, la circoncisione della carne: qui, il Battesimo per la purificazione del cuore e del corpo. Là si pensava che la benedizione fosse l’abbondanza di figli; qui, la benedizione e la grazia sono concesse doppiamente attraverso la verginità. Noi, però, così come non vietiamo il matrimonio, così non lo predichiamo. Sta scritto: chi ha moglie, viva come se non ne avesse alcuna (1 Cor. VII, 29). I matrimoni in sé sono buoni; ma in relazione alla preoccupazione delle cose ad essi proprie, sono cattivi. Chi non ha una moglie si preoccupa di come piacere a Dio; e chi ha una moglie si preoccupa delle cose del mondo, e di come piacere alla moglie, ed è diviso. Ma l’Apostolo dice: Se qualcuno non può osservare la continenza, si sposi! È meglio sposarsi due o tre volte con la benedizione, che bruciare macchiando il corpo con la fornicazione. Ma questo diciamo di uno che non si è impegnato a servire Dio mediante la pratica della religione. Se poi questi ha promesso con leggerezza e si è comportato diversamente, è condannato, secondo quanto dice l’Apostolo, … per aver fallito nel suo precedente impegno (1 Tim. V, 12). C’è, quindi, grande differenza tra la verginità ed il matrimonio come ce n’è tra il primo ed un secondo matrimonio. Perché è scritto: i buoi hanno depauperato i prati, i maiali ne hanno saccheggiato alcuni ed il resto è rimasto illeso. I maggiorenti hanno capito si trattasse del matrimonio: il prato è depauperato dai buoi perché, pur non contenendo la bellezza dei fiori, esso non perde il suo verde. Nei maiali che ne saccheggiano alcuni, sono rappresentati quei fornicatori che guazzano con la terra del loro corpo nel fango della crudeltà e del vizio. La terza parte del prato, che si dice sia illeso, è la verginità. – La distanza che c’è tra il Prefetto ed il mulattiere, vile schiavo, è la stessa che corre tra la verginità ed il matrimonio: questa verginità non è comandata nella predicazione, ma è consigliata, e ne sono predicati il merito e la gloria. Questi offici servono, tuttavia, tutti insieme come in un unico palazzo. Ma le vergini dell’anima e del corpo hanno una dignità simile a quella dei prefetti; le vergini solo dell’anima hanno invece una dignità simile a quella dei mulattieri. Agli ordini dell’Imperatore, le due dignità subordinate, cioè quella dei Prefetti e quella dei mulattieri, servono un solo Re, usano un solo veicolo come carro, e sono trasportati da un solo e medesimo giogo di muli. Entrambi quindi svolgono insieme lo stesso servizio. Ma una cosa è la dignità del prefetto ed un’altra quella del vile lavoro del mulattiere. Perseverate, sante vergini, perché avrete tanta gloria in cielo davanti all’eterno Re, quanto i Prefetti ne hanno in terra davanti all’Imperatore. – Come si scende dalla verginità al matrimonio, così si scende dalla dignità della prefettura al vile servizio del mulattiere. E anche se entrambi abitano nello stesso palazzo e sono nutriti dal medesimo Imperatore e viene loro assegnato un posto nello stesso carro, eppure tale ignominia, tale disonore opprimerà colui che, da Prefetto, si vedrà trasformato in un mulattiere, il quale, per non essere più un mulattiere, sceglierà di togliersi la vita. I suoi ingannatori gli offriranno la stessa consolazione che di solito sogliono offrire gli ingannatori delle vergini. Infatti dicono alle vergini sedotte: Sei triste perché sei diventata sposa? Avevi forse un Dio diverso quando eri vergine rispetto ad ora che sei moglie? Eri una vergine schiava dello stesso di cui ora sei anche la moglie. Appartieni alla stessa Chiesa: sei stata consacrata nei suoi stessi misteri, sei segnata col suo sigillo. Togli la tristezza dalla tua anima, perché non sei destinata al fuoco del gehenna, tra persone che fornicano con l’adulterio; ma nella grandezza del matrimonio non perdi la gloria del tuo servizio se, sposata, conservi senza peccato ciò che volevi essere da vergine. Allo stesso modo consolerà colui che è diventato un mulattiere dacché era prefetto: Perché ti affliggi? Tu sei un mulattiere al servizio dello stesso che hai servito come prefetto. Sii grato per non essere picchiato con bastoni di piombo, per non essere mutilato con la spada, per non essere imprigionato, se servi senza colpa in ciò che sei diventato, cioè un mulattiere. – Vedi che differenza c’è tra la verginità ed il primo matrimonio! Ed infatti Cristo, che è venuto in questo mondo per salvare ciò che era perduto, è andato una sola volta alla festa del matrimonio, ordinando così di sposarsi una sola volta. Infatti, sebbene Adamo non avesse peccato, gli fu data una moglie perché avesse dei figli e perché il matrimonio avvenisse in Paradiso. Ma ora non possiamo spiegare come siano organizzati questi matrimoni, perché non ci sono sulla terra paragoni. Ed allora cosa c’è di meglio che seguire l’esempio di Cristo? Cristo, vergine; sua Madre, vergine; il giusto Giuseppe, padre putativo secondo la carne, vergine! Questo è l’esempio della verginità; questo è l’esempio dell’umiltà e della carità, questo l’esempio della povertà e della nudità. Questi devono essere imitati da coloro che desiderano avere la verginità del corpo e dell’anima. Questa sarà la Chiesa. Questi sono quelli di cui è stato detto: seguiranno l’Agnello ovunque Egli vada (Ap. XIV, 4). Poiché la Chiesa ha molti membri ed un solo corpo, si dice che ce ne siano 144.000. – Ci sono molti tipi di vergini, di persone sposate ed anche di penitenti. Lo stesso vale per la vita di tutti i Santi, perché secondo i loro sforzi, i premi che meritano sono diversi. Nel corso di questo sesto giorno, non più divisi, ma nella unità, entrano con il padre Adamo in Paradiso. Non si nascondono più nudi dietro un albero, ma si inchiodano ad una sola croce con i loro abiti bianchi. In questa sesta età del mondo il genere umano si rinnova ad immagine e somiglianza di Dio. E siccome ci sono due uomini, l’uno interiore e l’altro esteriore, cioè l’anima ed il corpo, uno è stato formato dal fango della terra, l’altro è stato creato secondo Dio, perché in tutto il mistero dell’uomo interiore, ad immagine del Creatore, siamo perfetti nella bontà, nella santità e nella carità, secondo quanto dice l’Apostolo: « … ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova » (2 Cor. IV, 16). Lì si ha l’uomo interiore creato secondo Dio; ma si ha anche l’uomo esteriore fatto dal fango della terra; si ha l’uomo interiore in cui Cristo abita; e si ha l’uomo esteriore che si sgretola e si corrompe … questo è mortale, quell’altro è immortale, incorruttibile, razionale, sottile, eterno ed è quindi immagine di Dio. Ecco l’uomo interiore che si rallegra della legge del Signore; l’uomo esteriore compie le opere della carne. Poiché l’immagine è una cosa e la somiglianza un’altra: si è detto che l’immagine è nel volto, mentre la somiglianza è nelle azioni, come dice l’Apostolo: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo. » (1 Cor. XI, 1). Ed in altro luogo con le labbra di Dio: « siate santi, come io sono santo (Lev. XI, 44). Ecco che allora, la somiglianza si riferisce alla santità, alla bontà. Perciò, quando Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, aggiunse subito dopo: e Dio fece l’uomo ad immagine di Dio. Non disse: a sua immagine e somiglianza. Aveva fatto la sua immagine nell’Adamo vivente con un’anima invisibile ed immortale; ma la somiglianza era riservata a Cristo: per mezzo del quale colui che è stato fatto ad immagine di Dio è stato ricreato in Lui a somiglianza di Dio, come dice l’Apostolo: « il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita » (1 Cor. XV, 45). Pertanto, colui che era stato fatto anima vivente, non aveva ancora ricevuto la somiglianza; ma colui che è stato fatto nello spirito vivificante è stato fatto a somiglianza di Dio. Perché l’immagine è, come abbiamo detto prima, nel volto, ma la somiglianza è nelle azioni. In questa somiglianza, quindi, che è migliore e la più prossima a Dio, si mostra in modo brillante come si sia somigliante a Dio, cioè divino, armonioso, sincero, non confuso, non debole, non mutevole. È dunque – dice l’Apostolo – lo splendore della luce interiore di Cristo, che abita in lui. – Ma che cos’è quest’anima di tal qualità, o che cos’è questa somiglianza, se non la vita spirituale celeste, che non si macchia con alcuna passione, né col vizio, né con la lussuria, né con ingannevoli tinture colorate? Essa non mostra avidità, perché questa somiglianza non ha vanagloria per i desideri del mondo; non arde per il vizio della carne, non brucia di rabbia, né si comporta con crudeltà disumana; infatti, più che tormentare gli altri, tormenta se stessa; … ma ha in questa somiglianza un volto compassionevole, degli occhi misericordiosi, una lingua che difende, una volontà benefica. Questa, quindi, è la somiglianza che dovremmo desiderare, quella che possiede tale grazia e felicità, al punto da, cosa quasi incredibile, non più uomo ma, cambiando la legge e la condizione, essere chiamato Dio immortale. E proprio per questo è chiamato Dio e lo è diventato, non nascendo tale; ed è chiamato Dio per Grazia, non per natura. Perciò, unito al cielo ed alle stelle, godrà per l’eternità della vita celeste. E non dubitate, per il fatto che si sia detto che l’uomo è Dio: infatti il Dio degli dei lo ha promesso e lo ha donato. Sforzatevi di vincere, perché possiate meritare di essere chiamati Dio, come si dice: « … Ho detto: voi siete dei, e tutti voi siete figli dell’Altissimo » (Psal. LXXXI, 6). Ciò che si dice essere somigliante, è tal come prototipo di verità, perché non può essere riconosciuto come tale se non colui che abbia caratteristiche che si manifestano esternamente attraverso l’immagine del volto. E siccome abbiamo detto essere simile a Dio, questo può essere compreso dalle opere, come è detto anche in un altro testo: « Non c’è nessuno a te somigliante » (Psal. XXXIV, 10), poiché nella Scrittura si parla di Dio a volte per ereditarietà, a volte per essenza. Si dice per ereditarietà quando dice: « Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone » (Es. VII, 1). Egli dice a Mosè: « Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe » (Gen. XXVIII, 13). Chi è chiamato Dio per designazione ereditaria lo è tra tutte le altre cose; chi è chiamato Dio per essenza si chiama Dio al di sopra tutte le cose, ed è uno solo. Gli dei sono molti. Nessuno è chiamato Dio se non gli Angeli e gli uomini: e questi Angeli sono mandati agli uomini. E questi Angeli di Dio sono vicini a noi, come giudici terreni e padri eccellenti, che quando ci vedono compiere opere giuste mostrano a noi la loro lode e il loro favore. Ma quando ci vedono fare opere ingiuste, non ci permettono di andare avanti senza un flagello o una punizione. Mentre i giudici terreni di solito si comprano con i doni; questi qui non possono invece essere comprati mediante elargizioni o donativi, ma con le nostre lacrime, affinché con la sua misericordia scacci da noi la sua giusta indignazione, e ordini che la sentenza pronunciata contro di noi a causa della qualità dell’azione sia annullata dalla sua misericordia. Quando diciamo che Dio si è irato, dobbiamo pensare a ciò che ci insegna la forma abituale, per esempio: abbiamo detto che Dio si è irato con il faraone; ma l’ira qui consisteva nelle dieci piaghe, e tutte si sono abbattute sopra di lui; quando si è pentito, il Signore lo ha perdonato, ed esse si sono ritirate. Quando diciamo, quindi, che Dio è irato, non possiamo figurarlo in sé irato; ma è la furia del vento che si è irata, perché vede che il suo Signore e Creatore è disprezzato, o è il fuoco del sole, o le inondazioni delle piogge, o i terremoti, o la furia dei barbari. Tutte queste cose sono compiute, come detto, dal ministero degli Angeli di Dio: quando i beni che ci ha Egli concesso sono da noi disprezzati, si fa sentire irato con la loro stessa ira, che essi eccitano nei loro sensi per onore a Dio. È così come sogliono fare i giudici davanti a coloro che essi giudicano: se hanno saputo che essi hanno fatto qualcosa contro la volontà de re, applicano in modo integerrimo la loro ira; ed invece fingono di non essere irati quando il trasgressore ha potuto ottenere il loro perdono attraverso le sue suppliche al re o quelle degli amici del re. Ma Dio non patisce alcuna ira. Coloro che soffrono per quel che non desiderano possono essere irati; ma Dio non può patire per ciò che non desidera. E, come ho detto, tutte le cose sono state sottomesse agli Angeli di Dio, sia le celesti che le terrene, sia quelle che sono nel mare o nelle profondità. Così come si è sottomessi agli uffici dei prefetti, dei governanti e dei tribuni, secondo la decisione dei loro giudici, che invitano alcuni a gioire per la carità delle loro opere, mentre altri trascinano ai supplizi, altri mandano alle torture, o in prigione, o a morte, alla spada, al fuoco: così sono gli Angeli che ci sovrastano. Prima della venuta del nostro Redentore c’era discordia tra gli Angeli e gli uomini. Ma quando Cristo è venuto, « … è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo » (Ef. II, 14), ed Egli siede sul suo trono, cioè sulla Chiesa che ha acquistato con il suo sangue; e prepara i suoi giudizi attraverso gli Angeli ed i Vescovi o gli altri Santi, fino a quando non venga a giudicare e a regolare i conti con loro (Mt. XXV, 19). E chiede a ciascuno di rendere conto della quantità dei talenti a lui dati: e a seconda della qualità degli sforzi, elargisce le ricompense o le punizioni: dando ai giusti la gioia eterna, ma ai malvagi il tormento della punizione eterna.

[6] Abbiamo detto queste poche cose con una digressione, per mostrare come i Santi siano riconosciuti in questo mondo. Noi diciamo, con i lumi del nostro Dio, ciò che possiamo affermare attraverso i Testamenti: perché non sappiamo cosa sia successo prima del mondo, e neanche cosa succederà dopo il mondo. Noi possiamo affermare con la loro autorità solo ciò che sta nel mezzo – che è ciò di cui parliamo -. Infatti è scritto in Isaia: « Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro: “Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”. Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato”. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”. Egli disse: “Va’ e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. » (Is. VI, 1-9). Il santo Profeta ha detto tutto questo per bocca della Chiesa. Tutto questo lo può dire o fare la Chiesa, che è stata acquistata a prezzo preziosissimo. Il senso spirituale accompagna la storia narrata, per il qual motivo la riferisco. Chiediamo infatti al Signore, nel Comune della Messa, di mandarci anche una brace dell’altare, affinché, eliminata ogni macchia di peccato, si possano dapprima contemplare i misteri di Dio, e poi raccontare ciò che si è visto. Isaia, che viveva ai tempi in cui il re lebbroso governava il regno, non alzò gli occhi al cielo, né gli apparvero i misteri celesti, né gli apparve il Signore, né udì il triplice Nome santo della Trinità nel mistero della fede. Ma i misteri celesti gli furono resi noti a chiari lumi, solo dopo che il malvagio re si era allontanato e aveva perso il sommo Sacerdozio che deteneva. Ugualmente il popolo d’Israele, finché visse il faraone, non sospirò al suo Signore per il lavoro che faceva con il fango, i mattoni e la paglia; mentre questi regnava, nessuno ricercava il Dio Padre di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma quando egli morì, « … Nel lungo corso di quegli anni, il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì al Signore » (Es. II, 23), e questo perché era allora giunto il momento in cui dovevano gioire mentre prima – quando questi viveva – dovevano piangere. Se si comprende che in Ozia, nel Faraone e negli altri loro consimili, sono rappresentate le potenze nemiche, capirete come, mentre esse vivono, nessuno vede Dio, né sospira, né corre a fare penitenza. « Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale », dice l’Apostolo (Rm. VI, 12). Quando serviamo ai piaceri del mondo e ci curiamo più del corpo, che è della terra, piuttosto che dell’anima, fatta ad immagine di Dio, abbiamo questi re che regnano in noi, e quindi non possiamo vedere il Signore. Quando il peccato regna nel nostro corpo, costruiamo come le città per gli egiziani; ci muoviamo tra la cenere e le immondizie: invece del grano, ecco la paglia; al posto del cibo solido, ecco una pietra: camminiamo cioè dietro le opere di fango. Ho visto il Signore seduto su un trono eccelso ed elevato. Anche Daniele vedeva il Signore seduto da solo, ma non su di un trono alto ed esaltato. Guardate questi due Profeti: uno lo ha visto in alto, l’altro nella valle. Lo vede in alto chi in questo mondo vede questi re morti a se stessi e pratica la penitenza. Lo vede nella valle chi ha sopra di sé – come re – Ozia ed il faraone. Come annunziò la voce divina: « … riunirò tutte le nazioni e le farò scendere a giudizio nella valle di Giòsafat » (Gioel. IV: 2), che significa il giudizio del Signore? Chi è peccatore, e a me somigliante, vede il Signore seduto nella valle di Giosafat, non sul monte, non su un colle, ma nella valle, e nella valle del giudizio. Ma chi è giusto e somigliante ad Isaia lo vede seduto su di un trono eccelso ed elevato. Per far meglio comprendere, ecco ancora altro: quando medito che Egli regna sui Troni, sulle Dominazioni, sugli Angeli e sulle altre Virtù, contemplo il suo trono esaltato; ma quando considero come Egli si prende cura del genere umano, e si dice che per la nostra salvezza scenda ancor sempre sulla terra, vedo il suo trono umile e vicino alla terra. Sopra di Lui si trovavano anche alcuni Serafini, con sei paia di ali ciascuno. Ci sono, quindi, dodici ali, che rappresentano la Chiesa costituita nel numero dodici. Si dice anche che i Serafini bruciarono e si infiammarono; di questo fuoco il Salvatore dice: « … Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e cosa voglio se non che bruci? » (Lc., XII, 49). Due ali gli nascondevano il volto e due i piedi, e due ali battevano tra loro, e gridavano l’un l’altro tre volte Santo. Il senso di queste ali, nel commento su Ezechiele e l’Apocalisse, lo troverete ampiamente illustrato in precedenza, nel terzo libro. Ma ora continuiamo ciò che abbiamo iniziato. Ciò che ci sia di vero in questo, Dio solo lo sa; ciò che ci sia di verosimile, lo spiegheremo qui di seguito. Con un paio d’ali si nascondevano il viso, con due si nascondevano i piedi e due ali battevano tra loro. Occultavano il volto, non il loro, ma quello di Dio. Infatti, chi può conoscerne il principio? Cosa c’era prima che Egli creasse questo mondo? Cosa ci sarà dopo nell’eternità? Quando ha Egli creato i Troni, le Dominazioni, le Potenze, gli Angeli e tutta la corte celeste? E con un paio d’ali nascondevano i suoi piedi, non i propri, ma quelli di Dio. I piedi sono la parte più estrema del corpo. E chi può conoscere i suoi ultimi eventi? Cosa succederà dopo la distruzione del mondo? Cosa succederà dopo che il genere umano sia stato giudicato? Qual tipo di vita seguirà? Ci sarà un’altra terra? E, dopo la transizione, ci saranno degli elementi nuovi? Si creerà un altro mondo ed un altro sole? « Narrate quali furono le cose passate … Annunziate quanto avverrà nel futuro e noi riconosceremo che siete dèi » (Is. XLI, 22-23) – dice Isaia – dando ad intendere che nessuno può dire cosa ci fosse prima del mondo né cosa ci sarà dopo. E con altre due ali battevano le ali e gridavano l’un l’altro  dicendo tre volte: Santo. I due che gridavano sono la Legge ed il Vangelo. Perché da questi sappiamo solo ciò che sta nel mezzo, quello cioè che ci è reso manifesto per mezzo della lettura delle Scritture: quando è stato creato il mondo, quando è stato plasmato l’uomo, quando avvenne il diluvio, quando è stata data la Legge; … che da un solo uomo sono stati popolati tutti gli spazi della terra, e che nell’ultimo tempo il Figlio di Dio si è fatto carne per la nostra salvezza. Il resto oltre a ciò che abbiamo detto, è stato nascosto dai due Serafini con l’occultare il viso ed i piedi. E gridavano l’un l’altro. Saggiamente si sono messi l’uno di fronte all’altro: infatti ciò che si legge nell’Antico Testamento, lo troviamo nel Vangelo; e ciò che è stato letto nel Vangelo, lo si deduce ugualmente dal testo dell’Antico Testamento. Non c’è niente di dissonante tra essi, niente di contrario. E dicevano: Santo, santo, santo, santo, Signore Dio degli eserciti. In entrambi i Testamenti viene predicata la Trinità. E il nostro Salvatore è detto anche Dio degli eserciti: si prenda ad esempio il Salmo XXIII. Le Virtù, che servivano il Signore, gridarono alle altre potenze celesti di aprire la porta al Signore che stava per tornare: « Sollevate, Principi, le vostre porte, ed entri il Re della gloria. (Sal. XXIII, 7). Allora quelle Potenze, vedendo Cristo rivestito di carne, sbalordite dal nuovo mistero, si chiedono: Chi è questo Re di gloria? E ricevono la risposta: Il Signore Sabaoth, è il Re della gloria. – Piena è tutta la terra della sua gloria. Questo è ciò che dicono i Serafini sulla venuta del Signore Salvatore, la cui predicazione si diffonde in tutto il mondo e la voce degli Apostoli penetra fino ai confini della terra. Si sollevarono i frontali alla voce di coloro che gridavano. Leggiamo nell’Antico Testamento che il Signore parlava sempre a Mosè e ad Aronne alla porta del Tabernacolo perché prima del Vangelo non aveva ancora introdotto nessuno nel “Sancta Sanctorum“; ma di poi vi fu introdotta la Chiesa, secondo il detto; « M’introduca il re nella sua dimora » (Cant. I, 4). Senza dubbio, quando nostro Signore Gesù Cristo è sceso sulla terra, quell’architrave si è aperto. In greco si usa un verbo il cui significato è quello di rimuovere un ostacolo che impedisce di entrare a chi lo desideri. E tutto questo mondo si riempì di fumo, cioè della gloria del Signore. E Dio è il fuoco divoratore (Dt. IV, 24). Infatti, quando scese sul Monte Sinai davanti a Mosè, al suo passaggio si vedevano bagliori che si muovevano, e l’intero monte era pieno di fumo. Per questo si dice nel salmo: « tocca i monti ed essi fumano » (Sal. CIII, 32). E pur non potendo comprendere tutta la sostanza del fuoco, esso si diffonde in tutto il mondo come un fumo leggero e, direi, meno denso; di modo tale che diciamo: « Parzialmente conosciamo e parzialmente profetiamo. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa » (1 Cor. XIII, 9). Chiediamoci allora dove sia questo fuoco salutare: nessuno dubita che sia nei volumi sacri, con la lettura dei quali purifichiamo tutti i vizi. E questa Chiesa, che è la casa di Dio, per mezzo delle Sacre Scritture è piena di fumo. – E disse: guai a me, perché ho taciuto. Vedete che Isaia aveva peccato solo con la sua parola, e quindi le sue labbra erano impure. E questo, come penso, perché non corresse il re Ozia che entrò nel tempio.Ed infatti, dopo la morte del sacerdote Zaccaria, quando egli (Ozias) volle offrire da se medesimo le offerte di pertinenza dell’ordine sacerdotale, le portò via non piamente, ma con arroganza; e non volle ascoltare i leviti ed i sacerdoti che lo rimproveravano: « Non tocca a te, Ozia, offrire l’incenso, ma ai sacerdoti figli di Aronne che sono stati consacrati per offrire l’incenso (2 Cron. XXVI: 18). E subito gli scoppiò la lebbra sulla fronte. Qui si capisce che, mentre altri gridavano, Isaia taceva: e così considerava, dopo la sua morte, che le sue labbra fossero immonde, dicendo: Guai a me, perché ho taciuto. Isaia, com’era giusto, aveva peccato solo con le parole: per questo solo le sue labbra erano impure. Io, solo con il parlare, o lanciando sguardi lussuriosi, sono occasione di scandalo per le anime, pecco cioè con il piede, e per la partecipazione di tutte le membra, ho tutto impuro. E battezzato una volta nello Spirito, macchiandomi la tunica, ho bisogno della purificazione del secondo battesimo, cioè del fuoco. Non ci sono, come alcuni pensano, parole superflue nelle Scritture, ma ci sono molti insegnamenti occultati in esse. Una cosa è il senso letterale, un’altra il senso mistico. Vedete che il Signore nel Vangelo si cinge di una tovaglia, prepara una bacinella per lavare i piedi dei discepoli, svolgendo l’ufficio di un servo: e questo per insegnare l’umiltà, affinché possiamo servirci l’un l’altro. Io non nego, non rifiuto: che cosa dice a Pietro che rifiuta: « se non ti lavo i piedi, non avrai parte con me » (Gv. XIII, 8): ed egli rispose, « non solo i piedi, ma anche le mani e la testa ». Il Signore stava per ascendere al cielo, e poiché gli Apostoli, come uomini attaccati alla terra, avevano ancora i piedi imbrattati dalla sozzura dei loro peccati, Egli volle liberarli totalmente dai loro peccati, affinché si applicasse ad essi il testo profetico: « … quanto sono belli i piedi di coloro che predicano il Vangelo » (Rm. X, 15; Is. LII, 7), e servissero ad imitare le parole della Chiesa, che dice: « Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli? » (Cantico V, 3). Così che anche se, dopo la risurrezione, un po’ di polvere aderisce ad essi, essi la scuoteranno contro la città empia a testimonianza dello sforzo con cui l’hanno percorsa per la salvezza di tutti, fattisi Giudei con i Giudei, gentili con i gentili, o anche se macchiatisi in parte nei precedenti percorsi. Quindi, per tornare al nostro proposito, come gli Apostoli avevano bisogno della purificazione dei loro piedi, così Isaia si rende bisognoso della purificazione delle proprie labbra. D’altra parte, il popolo che non solo non fa penitenza, e che non sa che Isaia ha le labbra impure, non merita il rimedio della purificazione. Il profeta che in verità sapeva aver peccato con le sue labbra, sente l’Angelo che con un carbone purifica le sue labbra. Noi, che seguiamo la prima sentenza, affermiamo che il Testamento evangelico mandato al profeta, che contiene in sé sia i suoi insegnamenti, sia anche quelli dell’Antico Testamento, rende la parola di Dio ardente con i duplici precetti, e dopo aver toccato le sue labbra ha purificato ciò che aveva fatto nell’ignoranza. Infatti quello che noi consideriamo come labbra impure, fu eliminato per la verità della sua purificazione. Con questo forcipe fu pure visto Dio da Giacobbe sulla scala. Esso è la spada a doppio taglio. Questi sono i due centesimi che una vedova getta nelle offerte di Dio. Questa è la moneta che vale due denari, che, trovata per il Signore nella bocca del pesce, viene resa da Pietro. In questa doppia unione sono contenute le virtù. La moneta è data al profeta che, nel Salmo CXIX, implorando Dio, dicendo: « Signore, libera la mia vita dalle labbra di menzogna, dalla lingua ingannatrice » (Sal CXIX, 2). E dopo la domanda dello Spirito Santo: « Che ti posso dare, come ripagarti, lingua ingannatrice? », gli fu detto: « Frecce acute di un prode, con carboni di ginepro ». Sappiamo così che questa è stata concessa al profeta: in verità, la brace ardente che purifica la lingua dal peccato, è la parola divina, di cui si dice: « hai i carboni ardenti, ti ci siedi sopra. Questi ti serviranno d’aiuto » (Is. XLVII, 14). Guardate come son purificate le labbra di chi, morto il re Ozia o il faraone, sospira per la penitenza. Questo medesimo è la Chiesa di Dio. Questi stessi sono i CXLIV mila. E poiché, sotto la guida di Dio, con il calcolo numerico spieghiamo il mondo intero, torniamo ora al numero citato e che il santo Apostolo aveva udito dai testimoni: Ho sentito il numero di coloro che sono stati segnati: centoquarantaquattromila segnati da tutte le tribù dei figli d’Israele (Ap VII, 4). Abbiamo già detto in precedenza che i CXLIV mila rappresentano tutta la Chiesa, e abbiamo pure detto di coloro che si dice siano nel numero, e di quanti siano considerati ad immagine e somiglianza di Dio che, non imitando nessuno dei Santi, ma vedendo la stessa Verità nella contemplazione, operano la giustizia, affinché comprendano e seguano la Verità medesima nella cui immagine e somiglianza sono stati fatti. Circa il numero di coloro che sono stati segnati alla fine del mondo, quando la Giudea arriverà alla fede, si crede che siano di dodici migliaia: i CXLIV (144) mila vergini di Israele. E se ci sono così tanti vergini, quanto sarà grande il numero dei non vergini? Quando parlavamo dei numeri, e dicevamo che la perfezione era nel numero sei, raddoppiando questo stesso numero, abbiamo dodici. Questa è la Chiesa costituita sul numero dodici, cioè dagli Apostoli; che moltiplicato ancora per dodici numera 144. Dodici volte due fa 24. Questi sono i 24 Anziani. Dodici volte dieci sono 120. Questi 120 sono le anime sulle quali lo Spirito Santo è disceso a Pentecoste in lingue di fuoco. Questa è la prima Chiesa, fondata in primo luogo sulla roccia Cristo: « Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo » (1 Cor. III, 11).  Questo è il fondamento ed il modello dei membri di tutta la Chiesa. Chiunque non si trovi in questo modello, non è nel fondamento, né è nel tempio. Questo è misurato con una canna: da questo essi non saranno cacciati fuori, perché è il tempio della Gerusalemme celeste. Ai 120, aggiungiamo i 24 anziani, per un totale di 144.000. E per farne 144.000, per ognuno dei dodici si mettano 10.000; cioè, per ognuno dei dodici, mille, e per ogni altro lo stesso, finché non avremo i dodici, con la somma finale di 120.000. Aggiunti i ventiquattro Anziani, abbiamo CXLIV mila. E questa è la Chiesa intera, che crediamo sia fondata su di un numero così grande di membri, su una roccia molto forte, che è Cristo. Il numero dei santi è innumerevole, come testimonia il profeta Davide: « Ma sono grandemente onorati da me, o Dio, gli amici tuoi; grandemente possente è divenuto il loro impero. Se vorrò contarli, saran più che l’arene del mare » (Sal. CXXXVIII, 17). Essi sono contati da Cristo, al quale nulla è occulto, quelli fatti cioè a sua immagine e somiglianza. Per noi, però, sono innumerevoli perché si sono moltiplicati più della sabbia. Così dice: Poi ho guardato e c’era una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Non ha detto, dopo questo non ho visto un altro popolo, o un’altra folla, ma ho visto il popolo; cioè lo stesso che ha visto nel mistero dei CXLIV mila, e questo è quello che vede ora essere innumerevole; e quella che ha visto da tutte le tribù di Israele, è questa stessa immensa folla di ogni tribù, nazione, popolo e lingua. Ha già spiegato cosa sono i CXLIV mila, dicendo che sono innumerevoli; ed ha spiegato come vengano da tutte le tribù dei figli di Israele, dicendo: … da ogni nazione, razza, popolo e lingua. Ogni nazione, razza, tribù, popolo e lingua che viene alla fede, è innestata su questa radice; ed è la stessa dalla quale vengono le medesime dodici tribù di Israele. Infatti il Signore nel Vangelo mostra che tutta la Chiesa – sia che provenga dai Giudei che dai gentili – sono le dodici tribù di Israele, dicendo: « siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele »  (Mt XIX, 28). Poiché è chiaro che giudicheranno tutta la Chiesa, che comprende ogni razza umana, non solo quella della circoncisione; l’Apostolo ha detto che alla fine Israele completerà l’entrata delle genti: « … saranno entrate tutte le genti ed allora tutto Israele sarà salvato » (Rm. XI, 25). – Per dimostrare che i CXLIV sono la moltitudine innumerevole, e che le dodici tribù di Israele sono tutti i popoli, non ha citato i CXLIV mila, ma ha descritto solo l’innumerevole moltitudine vestita con abiti bianchi e purificata dalle lacrime. Questi non sono, come alcuni dicono, i bambini uccisi da Erode, e non è difficile dimostrare che si tratti di una questione semplice: quelli erano infatti solo della tribù di Giuda; questi, invece sono di ogni tribù, razza e lingua. Stando in piedi – dice – davanti al trono e all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con le palme nelle mani. E gridano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, ed all’Agnello! E tutti gli Angeli erano in piedi intorno al trono e agli anziani ed ai quattro animali. E spiega che erano numerosi e tutti gli Angeli stavano in piedi. Non descrive in tal modo nient’altro che la Chiesa. E poi dice: con le palme nelle mani: non senza ragione si compara la vita dei giusti ad una palma: perché la palma in basso è ruvida al tatto ed è come avvolta da una corteccia secca; ma verso l’alto è gradevole alla vista con i suoi frutti; sotto è stretta con gli avvolgimenti della sua corteccia, ma sopra si estende con ampiezza verdeggiante. Tale è la vita degli eletti, disprezzabile dal basso, bella dall’alto. In questa terra, cioè quaggiù, appare come avvolta da numerose cortecce, essendo gravata da molte tribolazioni. Nell’altissima eternità è come un espandersi con le foglie verdeggianti per l’ampiezza del premio. La palma ha anche qualcos’altro che la rende diversa da tutti gli altri tipi di alberi. Infatti ogni albero si allarga per radicarsi con forza al suolo, ma crescendo verso l’alto diventa sempre più stretto, e più è alto più diventa piccolo in cima. Al contrario, la palma inizia con minore ampiezza vicino al terreno, ma si eleva sempre più con vigore nei rami e nei frutti, e iniziando debolmente in basso, cresce sempre più verso l’alto. A chi possono essere paragonati gli altri alberi se non alle anime terrene ed a coloro che bramano i beni terreni? In questa vita sono larghi, nell’altra sono stretti. Perché sicuramente tutti coloro che amano questo mondo sono fortemente radicati nelle cose terrene e deboli nelle cose celesti; essi infatti desiderano lottare per la gloria temporale fino alla morte, ma per la speranza eterna non fanno neanche un minimo sforzo. Per i beni terreni essi tollerano ogni ingiuria, per la ricompensa celeste rifiutano il soffrire l’aggravio pure di una parola insignificante; sono abbastanza forti da poter resistere anche per un giorno intero ad una prova terrena; ma nella preghiera al cospetto di Dio, si stancano anche per il breve tempo di un’ora. Spesso soffrono la nudità, il disprezzo e la fame per acquisire ricchezze ed onori; si sacrificano con l’astinenza dal cibo, si danno da fare per ottenere benefici; ma nel cercare i beni celesti che richiedono travagli, li respingono tanto più a lungo quanto più pensano di riceverli come ricompensa. Così costoro, come tutti gli altri alberi, sono larghi in basso e stretti in alto: rimangono così forti inferiormente, ma si rimpiccioliscono verso l’alto. Ed ancora, la qualità delle palme significa la vita feconda dei giusti, che non sono forti nelle preoccupazioni terrene, ma non sono deboli in quelle celesti, che sono solleciti verso Dio in misura maggiore di quanto lo siano per il mondo. A questi si dice « Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a pro dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione ». (Rm. VI, 19). Senza dubbio egli [l’Apostolo] è condiscendente verso la loro debolezza, come se dicesse loro più chiaramente: se non puoi essere di più, sii almeno col frutto delle buone opere, così come lo sei stato prima nella condotta viziosa. E la santa libertà della carità non vi renda ora più deboli di quanto l’uso del piacere terreno vi rendesse forti nella carne. Ci sono alcuni che, quando cercano i beni celesti, abbandonano persino le azioni malsane di questo mondo; pure, a causa del loro cattivo pensiero, cadono per la debolezza dell’incostanza. A chi si può dire che somiglino costoro, se non agli alberi tutti, che non si innalzano in ampiezza in alto così come lo sono in terra? Quando essi si convertono, non perseverano come quando hanno cominciato, simili agli alberi larghi nei loro inizi, ma che poi si indeboliscono man mano: e pure, a causa delle prove temporali, essi subiscono presto il deteriorarsi delle loro virtù. I desideri celesti languono dolcemente in essi; e coloro che si mettono in cammino essendo forti e robusti, finiscono per essere deboli ed infermi; mentre avanzano con l’aumentare dell’inattività, crescono così che sembra che si stiano chinando. D’altra parte, la palma, come detto, è più larga verso l’alto rispetto allo spessore mostrato quando inizia ad elevarsi dappresso alla radice. Così molte volte la conversione degli eletti si realizza con più pienezza al termine rispetto all’inizio. E se all’inizio essa comincia tiepidamente, raggiunge poi alla fine maggior fervore: [l’eletto] ritiene infatti di essere sempre agli inizi e rimane così instancabile verso la novità. Vedendo la costanza dei giusti, il profeta dice: « ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi ». (Is. XL, 31). Essi mutano il loro vigore, perché desiderano essere forti nel lavoro spirituale, così come una volta erano forti nella carne. Prendono le ali come un’aquila perché volano nella contemplazione. Corrono senza essere affaticati, perché predicano con grande celerità più velocemente; camminano senza stancarsi, perché acquistano velocità nel loro intelletto, onde accompagnare quelli che stanno più dietro. Rendono partecipi gli altri di tutti i beni che ricevono, nella misura in cui essi rimangono immutabili nella novità: e quelli che nascono deboli nella radice al loro inizio, crescono poi forti fino al culmine della perfezione. – Continua ancora così: si prostrarono davanti al trono, si chinarono faccia a terra davanti all’Agnello e adoravano Dio dicendo: Amen. Lode, gloria, sapienza, azioni di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen. E per dimostrare che le innumerevoli moltitudini che vedeva davanti al trono fossero gli stessi Angeli che si prostravano a terra ed adoravano, non dice qui che erano adoranti né la innumerevole moltitudine, né gli animali, né gli anziani, ma solo gli Angeli. Gli Angeli stessi, sono quindi la moltitudine, sono gli anziani, e gli animali, sono quelli che si sono inchinati ed hanno adorato Dio. Uno degli anziani prese la parola e disse: “Quelli che sono vestiti di abiti bianchi, chi sono e da dove vengono? Io gli risposi: tu lo sai Signore. (Ap. VII, 13-14). “Uno degli anziani” è la Chiesa: uno insegna ad uno, cioè la Chiesa alla Chiesa. L’uno dice all’altro quale sia la ricompensa degli sforzi dei santi, dicendo: sono quelli che sono usciti dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti e le hanno rese candide nel sangue dell’Agnello. Non si tratta solo dei martiri, come alcuni pensano, ma di tutta la Chiesa. Egli infatti non ha detto che hanno lavato le loro vesti nel loro stesso sangue, ma in quello dell’Agnello, cioè nella grazia di Dio per mezzo di Cristo, come sta scritto: « e il sangue del suo Figlio ci purifica » (1 Gv 1, 7). Ecco perché stanno davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte sul suo trono, … cioè meditano sulla legge di Dio giorno e notte: sul suo trono, cioè sulla Chiesa. E colui che siede sul trono dimorerà in loro. Ed essi sono il trono, in cui Dio abiterà, cioè la Chiesa. Non avranno più né fame né arsura. Come dice il Signore: « Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete » (Gv. VI,  35). E anche: « chi beve l’acqua che Io gli darò non avrà mai sete; ma in lui sgorgherà una fonte di acqua viva, che sgorgherà nella vita eterna » (Gv. IV, 13). Il sole non li disturberà più, né si vergogneranno più. Questo è ciò che Dio dice della Chiesa attraverso Isaia: « Una tenda fornirà ombra contro il caldo di giorno e rifugio e riparo contro i temporali e contro la pioggia » (Is. IV, 6). Ed ancora: « di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte » (Sal CXX, 6). Il sole è Cristo. Colui che inciampa in Cristo, il sole lo brucia di giorno. La luna è la Chiesa. Chi inciampa nella Chiesa, la luna lo brucerà di notte. Dice che la virtù dei Sacramenti fiorisce nei suoi e che essi non sono soggetti ad alcun inganno dannoso da parte del sole e della luna. … Perché l’Agnello che è in mezzo al trono li nutrirà. L’Agnello è Cristo. Aveva detto prima che l’Agnello era diventato il libro di Colui che siede sul trono; ora è l’Agnello che si trova in mezzo al trono. In verità, Cristo è in mezzo alla Chiesa: è il suo trono e con essa risuscitò nel trono. E vi condurrò alle sorgenti delle acque della vita, come dice la Chiesa stessa: « il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Mi conduce su pascoli erbosi » (Psal. XXII, 1). E con Isaia: « Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. Non soffriranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti di acqua. Io trasformerò i monti in strade e le mie vie saranno elevate. » (Is XLIX, 9). Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Tutto questo accade spiritualmente alla Chiesa quando, perdonati i peccati, ci alziamo e ci liberiamo del primitivo uomo vecchio, ci rivestiamo di Cristo e ci riempiamo della gioia dello spirito. Questo è il modello di vita che il Signore promette alla Chiesa: « … Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. »  (Is LXV, 19). Tutto questo avviene spiritualmente nella Chiesa, e non nel mondo della cultura, le cui opere spesso appassiscono durante il loro sviluppo. Perché il più giovane morirà all’età di cento anni; questo perché chiunque cammina nella cecità dell’ignoranza, e non pensa che le promesse di Dio saranno mantenute, anche se è morto all’età di cento anni, ancora è un bambino; e il peccatore di cento anni sarà maledetto; perché chiunque comprende ciò che è giusto, e si rende ozioso nel farlo, sarà maledetto. Ogni sesso, ogni età, è immerso nell’età di Cristo, come dice l’Apostolo: « allo stato di uomo perfetto, alla maturità della pienezza di Cristo » (Ef. IV, 13). Chi muore peccatore, anche se sembra battezzato e saggio, sarà maledetto, perché nessuno pensi che chi vive a lungo sia benedetto, secondo la primitiva promessa: « perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra» (Ef. VI, 3). – Egli conclude entrambe le narrazioni con il settimo sigillo, che aveva omesso, per poter poi ricapitolare: infatti prima aveva finito nel sesto sigillo, e aveva ricapitolato; ma ora inizia il settimo sigillo.

FINISCE LA SPIEGAZIONE DEL SESTO SIGILLO

INIZIA LA SPIEGAZIONE DEL SETTIMO SIGILLO

[7] Quando aprì il settimo sigillo, ci fu silenzio in cielo (Ap. VIII,1): si vede esserci un breve tempo di silenzio, nel quale è contemplata ancora la stessa visione. Questa visione, deve ora contemplarsi con più attenzione, perché in questo settimo sigillo non si vede tanto per come gli sarà ancora concesso di contemplare. E perché molte cose gli si possano manifestare più chiaramente, si impone il silenzio. Ed infatti, se ci fosse un discorso continuo, non ci sarebbe un vero finale. Qui dobbiamo considerare che la storia finisce. Ed ora ricapitola dalla passione di Cristo per dire le stesse cose ma in altro modo.

TERMINA IL LIBRO QUARTO

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (11)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (9)

L’Angelo consegna il libro a Giovanni che misura il tempio (Apopc. X e XI.)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (9)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO QUARTO

COMINCIA IL LIBRO QUARTO DEI SETTE SIGILLI

(Ap. VI, 1-8)

Et vidi quod aperuisset Agnus unum de septem sigillis, et audivi unum de quatuor animalibus, dicens tamquam vocem tonitrui: Veni, et vide. Et vidi: et ecce equus albus, et qui sedebat super illum, habebat arcum, et data est ei corona, et exivit vincens ut vinceret. Et cum aperuisset sigillum secundum, audivi secundum animal, dicens: Veni, et vide. Et exivit alius equus rufus: et qui sedebat super illum, datum est ei ut sumeret pacem de terra, et ut invicem se interficiant, et datus est ei gladius magnus. Et cum aperuisset sigillum tertium, audivi tertium animal, dicens: Veni, et vide. Et ecce equus niger: et qui sedebat super illum, habebat stateram in manu sua.  Et audivi tamquam vocem in medio quatuor animalium dicentium: Bilibris tritici denario et tres bilibres hordei denario, et vinum, et oleum ne læseris. Et cum aperuisset sigillum quartum, audivi vocem quarti animalis dicentis: Veni, et vide. Et ecce equus pallidus: et qui sedebat super eum, nomen illi Mors, et infernus sequebatur eum, et data est illi potestas super quatuor partes terrae, interficere gladio, fame, et morte, et bestiis terræ.

[E vidi come l’Agnello aveva aperto uno dei sette sigilli, e sentii uno dei quattro animali che diceva con voce quasi di tuono: Vieni, e vedi. E mirai: ed ecco un caval bianco, e colui che v’era sopra aveva un arco, e gli fu data una corona, e uscì vincitore per vincere. E avendo aperto il secondo sigillo, udii il secondo animale che diceva: Vieni, e vedi. E uscì un altro cavallo rosso: e a colui che v’era sopra fu dato di togliere dalla terra la pace, affinché si uccidano gli uni e gli altri, e gli fu data una grande spada. E avendo aperto il terzo sigillo, udii il terzo animale che diceva: Vieni, e vedi. Ed ecco un cavallo nero: e colui che v’era sopra aveva in mano una bilancia. E udii come una voce tra i quattro animali che diceva: Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro, e non far male al vino, né all’olio. E avendo aperto il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale che diceva: Vieni, e vedi. Ed ecco un cavallo pallido: e colui che vi era sopra ha nome la Morte, e le andava dietro l’inferno, e le fu data potestà sopra la quarta parte della terra per uccidere colla spada, colla fame, colla mortalità e colle fiere terrestri.]

FINE

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DEL LIBRO QUARTO:

IL CAVALLO BIANCO

[1] Quando il primo sigillo fu aperto, si dice che vide un cavallo bianco ed un cavaliere che teneva in mano un arco ed una corona: questa fu la prima cosa che accadde; poiché dopo che il Signore ascese in cielo ed aperto ogni cosa, mandò lo Spirito Santo, con la cui parola i predicatori, come frecce che inseguono il cuore umano, colpirono l’incredulità. La corona sul capo è stata promessa dallo Spirito Santo ai predicatori. Ecco perché dice che uno degli animali abbia detto – infatti iquattro sono uno – : vieni e vedi; vieni si dice all’invitato alla fede; vedi si dice a chi non vede. Il cavallo bianco è, quindi, la parola della predicazione inviata nel mondo insieme allo Spirito Santo. Il Signore dice infatti: « Questo Vangelo sia predicato in tutto il mondo come testimonianza a tutti i popoli, e allora verrà la fine » (Mt. XXIV, 14). Quando fu aperto il secondo sigillo, ho sentito il secondo animale dire: vieni a vedere. Ed uscì un altro cavallo, rosso, e a colui che lo cavalca è dato di togliere la pace dalla terra, cosicché si uccidano a vicenda; e gli fu data una grande spada. Il cavallo rosso e colui che lo cavalcava, avente una grande spada, è figura di guerre future. Come si legge nel Vangelo: « ci saranno guerre tra i popoli, e regno contro regno, e ci saranno grandi terremoti » (Lc. XXI, 10). Quel che dice, gente contro gente, significa che si ribelleranno popoli contro popoli … e regno contro regno, cioè Chiesa contro Chiesa: perché chi, con il pretesto della religione, finge di essere Chiesa, combatte sempre contro la Chiesa. E quelli che cavalcano il cavallo rosso, si lanciano contro la Chiesa vincente, che vince sul cavallo bianco, e combattono contro di essa insieme a coloro che versano apertamente il sangue innocente. Quindi, in generale, il cavallo, rosso come specie, include tutti coloro che sono chiamati « cavallo rosso » come fossero un solo membro. Questo cavallo è considerato il popolo sinistro macchiato dal sangue dal suo cavaliere che è il diavolo. Anche il profeta Zaccaria dice che il cavallo del Signore è rosso (Zac. I, 8) – e prosegue descrivendolo come tutto il corpo dei martiri – rosso invero del suo stesso sangue; questo invece è rosso del sangue di altri, poiché gli è stata data una grande spada per togliere la pace dalla terra. Egli toglierà davvero la pace, ma a chi ha la sua speranza sulla terra; la Chiesa ha invece la pace eterna che Cristo le ha lasciato, secondo dice: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, Io la do a voi. » (Gv. XIV, 27). – Egli chiama spada in generale ogni forma di morte; non solo l’omicidio materiale, ma anche quello di chi uccide spiritualmente con un esempio mortale « … Perché attraverso il peccato è venuta la morte » (Rm. V,12), sia di coloro che sono uccisi in morte, sia di quelli uccisi in vita. E la terra del diavolo, che è il suo corpo, fa che ci si uccida reciprocamente: ci si uccide infatti a vicenda quando uno incita l’altro al peccato mortale. Quando si è aperto il sigillo, ho sentito il terzo animale dire: “Vieni e vedi”. E c’era un cavallo nero; e chi lo montava aveva in mano una bilancia. E ho sentito una voce in mezzo ai quattro animali che diceva: “Un quarto di grano per un denaro, e tre quarti di orzo per un denaro“, ma non danneggiare l’olio e il vino. Il cavallo nero indica la fame spirituale all’interno della Chiesa, poiché a causa dei cattivi prepositi la parola della predicazione non viene data ai piccoli. Come sta scritto: « i piccoli chiedevano il pane e non c’era nessuno a darglielo » (Lam. IV, 4). E poiché il Signore ha esteso la sua Chiesa in tutto il mondo per farla conoscere, dice: « ci sarà fame in vari luoghi » (Lc. XXI, 11). La parola si estende fino al tempo dell’Anticristo quando ci sarà una grande fame e quando tutti ne soffriranno danno.  – La bilancia in mano è il peso del giudizio, nel quale si mostreranno i meriti di ciascuno, nonché la simulazione della giustizia, quando si insegna all’esterno ciò che non si ha dall’interno; ed infatti dice: non nuocere all’olio e al vino. Quando in mezzo agli animali si sente dice: non danneggiare, si manifesta che all’interno della Chiesa c’è una simulazione di santità che danneggia spiritualmente la stessa Chiesa, perché conduce alla sua setta le anime deboli; per cui si dice: non causare danno, come a voler dire, non punire con le piaghe l’uomo spirituale. E descrive il mistero del male e gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti (Ef. VI, 12), ai quali non è permesso, né a se stessi, né ad altri che la rispettano, profanare la virtù dei Sacramenti. L’olio e il vino si riferiscono all’unzione ed al sangue del Signore: per cui colui presso il quale essi si ritrovano non può ricevere danno. Con il grano e con l’orzo, ci si riferisce alla Chiesa nei grandi o nei piccoli, cioè nei Vescovi e nel popolo … però non è meno un litro che tre. Il litro è una misura, e tre litri sono tre misure: come nell’unità c’è la perfezione lo stesso avviene per la Trinità. Così il Signore dice che in tre misure di farina, cioè in tre litri, si nasconde il lievito (Mt XIII, 33). E se questo non si riferisse ad un mistero, non avrebbe detto che si nascondeva. E non l’avrebbe chiamato, come per bocca di un altro Evangelista, una misura di farina. Egli insegna che da un poco di fermento, cioè di dottrina, si riempie tutto il popolo dal numero sacro, che è la Trinità. E con il prezzo insegna che il grano è uguale all’orzo. Infatti anche se ci sono piccoli e grandi, e per merito gli uni superano gli altri in santità, entrambi sono stati acquistati per un denaro, cioè con un prezzo perfetto. E sebbene nella grazia si riconosca lo spirito di donazione, tuttavia il prezzo rende uguali i meriti. Si mostra qui che i grandi ed i piccoli formano un unico corpo, cioè i Vescovi con il popolo. Gli Apostoli sono rappresentati anch’essi nell’orzo; infatti gli avanzi del miracolo di Cristo (Mt. XIV, 20) hanno riempito dodici sporte, che sono il corpo dei prepositi, cioè degli Apostoli e di tutti i Vescovi, menzionati nel numero degli Apostoli; e oltre i preposti, sette ceste, che sono il corpo della Chiesa settiforme. Entrambi sono numeri sacri, ed entrambi indicano un numero perfetto. Perché le sporte e le ceste riempite con gli avanzi mostrano i resti dell’opera di Cristo, cioè la Chiesa dell’ultima epoca, che non può in alcun modo sminuire né i Vescovi né i fedeli, così come quando, secondo San Giovanni, il Signore comandò che nulla andasse perduto di ciò che era rimasto (Gv. VI: 12). Se un calunniatore contro questo dicesse: se secondo il suo potere, invece di essere pane d’orzo, fosse stato pane di grano, bastava perché avanzassero sette ceste? Ma più utile a noi che alla curiosità degli altri, è che entrambe le cose siano ormai riunite nella Chiesa: così come è stato che con l’orzo si sono manifestati i dodici Apostoli, così è stato che con il grano si sono manifestati i sette popoli: ovunque il numero sette è la pienezza di ciò di cui si tratta. Così infatti è stato detto nella figura della Chiesa sotto il persecutore israelita: Terrò per me sette uomini, quelli che non si sono inginocchiati davanti a Baal (1 Re XIX: 18). – Nel quarto cavallo si descrive la palese falsità e l’ipocrisia. Quando ha aperto il quarto sigillo, ho sentito la voce del quarto animale che diceva: vieni a vedere. E c’era un cavallo pallido; e colui che lo montava si chiamava Morte, e l’Inferno lo seguiva. E gli fu dato il potere di uccidere con la spada, con la fame, con la morte e con le bestie della terra. Ci sono due parti nel mondo, il popolo di Dio ed il popolo del diavolo; ed il popolo del diavolo a sua volta è diviso in due parti, cioè in Cristiani e pagani. Queste due parti combattono contro un nemico comune, cioè contro la Chiesa. Per questo la Chiesa è chiamata “terza parte”, così come i falsi fratelli nella Chiesa sono chiamati “terza parte”, ed i pagani fuori della Chiesa sono chiamati pure “terza parte”. Lo spiegheremo chiaramente più avanti. Così, prima che l’uomo del peccato si riveli ovunque, e il figlio della perdizione, l’Anticristo, si manifesti pubblicamente, si è già manifestato in parte all’interno della Chiesa in queste tre parti: e là dove si vedevano in precedenza tre parti, ora nella Chiesa si è manifestata una quarta parte; queste parti sono allora: la Chiesa, il gentilesimo, gli scismatici, ed i falsi fratelli. Infatti la Chiesa non caccia via tutti i malvagi, ma solo quelli che sono apertamente malvagi, onde insegnare al mondo la tipologia della persecuzione finale. Essa tollera pazientemente gli altri, vale a dire gli ipocriti e gli scismatici; questi anche se spiritualmente sono fuori da Essa, tuttavia sembrano lavorarvi all’interno. « … è necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. » (1 Cor XI, 19). In alcune regioni si vedono solo due parti, la Chiesa ed i gentili, in altre ce ne sono tre, e tra noi quattro. Affinché possiamo risolvere il nodo della questione in questo, usiamo l’orecchio del cuore. Così sembra che ci siano due popoli nel mondo, i battezzati ed i pagani, e che entrambi siano tra loro in disaccordo nella fede; pertanto uno sembra essere fuori e l’altro dentro. Ecco perché questa parte che sembra essere dentro si chiama “Chiesa universale”. In questa Chiesa universale, che sembra essere una sola, i nostri maggiorenti dicevano esserci tre parti, oltre a quella parte che abbiamo già considerato fuori. Di queste tre parti, che sembrano essere dentro, una è di Dio, e le altre due sono del diavolo. Del diavolo sono lo scisma ed i falsi fratelli. E la Chiesa è soltanto quella che è parte di Dio: queste due parti sembrano esserne all’interno, ma sono invero all’esterno. Sebbene ci siano scismi in alcune zone, questi avvengono in una città o non molto più in là. Noi qui ora non stiamo parlando di coloro che hanno occupato e macchiato i luoghi santi in tutte le province, e dai quali la Chiesa soffre apertamente; né si considerano altri gruppi eretici della Chiesa, né le varie forme di insania o di residui ereticali, ma solo lo scisma ed i falsi fratelli. Abbiamo già detto sopra che lo scisma è così chiamato a causa della divisione delle anime. Egli (lo scismatico) crede e vive con gli altri Santi; ma vive secondo il suo piano e desidera sempre separarsi dalla Chiesa nei suoi progetti. Senza dubbio, i falsi fratelli sono chiamati ipocriti, perché non distruggono chiaramente la Chiesa, ma sembrano Santi, benché non lo siano affatto. Non perché non distrugga apertamente la Chiesa l’ipocrita non è dalla parte del diavolo, infatti l’Apostolo dice: tutto il potere del diavolo contro i Santi è spirituale e consiste nella malvagità spirituale (Ef. VI,12). Per la stessa ragione il Signore ci avverte chiaramente nel Vangelo: « Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti, ecco Io ve l’ho predetto » (Mt. XXIV: 24). In questa quarta parte è dato potere al diavolo cavalcante il cavallo pallido – cioè il popolo morto – perché uccidesse con la spada, con la fame, con la morte e con le bestie della terra. La spada si riferisce apertamente alla morte cruenta. La fame e la morte sono la fame e la morte spirituale all’interno della Chiesa, perché questa quarta parte ha fatto sì che alcuni morissero senza una celebrazione religiosa. I restanti della Chiesa, che piangono in cattività tra di loro, attendono la totale purificazione della vita promessa da Daniele, onde essere purificati dal fuoco come l’oro. Le bestie si riferiscono a tutti gli uomini malvagi. Già all’interno della Chiesa c’è questa quarta parte; con le bestie intendiamo tutti coloro che sotto parvenza di Cristianesimo si dicono essere mondani: perché non siamo stati consegnati solo alla potestà degli ordinati da Dio, ma anche a tutti coloro che camminano sulla via del male. Così perciò pregava il profeta: « Non abbandonare alle fiere la vita di chi ti loda » (Psal. LXXIII,19). Queste quattro parti sono su tre cavalli. Ecco perché le immagini raffigurate nei dipinti mostrano queste bestie essere in tutti i malvagi. Questi tre cavalli ne costituiscono uno solo, e sono usciti donde ne è uscito il bianco e combattono contro il bianco, ed hanno come unico cavaliere il diavolo, che è la morte, così come il Signore è  chiamato la vita. Dice in generale che a questi era stata data una grande spada, e descrive la figura del suo cavaliere – o spada – due volte, cioè: in quello nero, che ha una bilancia e colpisce per mezzo di una sottile simulazione: queste sono le opere delle tenebre; nell’altro, per mezzo di manifesta ipocrisia, cioè la falsità – è l’abominio della desolazione – uccide con la spada, con la fame e con le bestie della terra. E se in Africa, ove sappiamo ora avvengono queste cose della quarta parte, si sta manifestando quello che fanno gli ipocriti già riconosciuti quando erano considerati con la Chiesa, questo sta accadendo in Africa perché sia per il mondo un esempio della futura manifestazione dell’Anticristo, che sotto la bilancia, cioè sotto apparenza di religione, compie le suddette opere di iniquità con la forza delle armi. Ma l’ipocrisia è qualcosa di sottile, e con difficoltà è riconosciuta dai saggi: non si può infatti parlare di ipocrisia per chi è uscito all’esterno: questi son seguiti dall’inferno, che li attende dopo la fine del loro operare. Che questi cavalieri siano il diavolo ed i suoi, lo manifesta pure il sesto sigillo, quando si dice che i cavalli sono riuniti per l’ultima battaglia. E il profeta Gioele dice dello stesso popolo: l’aspetto dei destrieri è come quello di cavalli all’inseguimento, come strepito di carri dall’alto. Questo cavallo del Signore che è la Chiesa, il profeta Abacuc lo dichiara essere molti, e dice che attraverso di loro si rende presente nel mondo l’ira e la salvezza di Dio, e che avendo il Signore come cavaliere, la moltitudine stessa delle acque è turbata, ed infatti dice: La tua ira brucia contro i fiumi, Signore; la tua furia contro il mare, così che tu cavalchi sui tuoi cavalli, nei tuoi carri della vittoria. Stendi il tuo arco sopra gli scettri e cavalchi i tuoi cavalli attraverso il mare, agitando le grandi acque (Abac. III: 15). Il Signore lo aveva promesso anche nella figura del cavallo pallido, cioè che tra le altre disgrazie ci sarebbero state grandi piaghe e morti spirituali. Così dice che l’inferno lo avrebbe seguito: aspetta cioè che divori le anime di molti empi. Questo è il cavallo pallido. Nel quinto sigillo presenta le anime degli uccisi, sia nella quarta parte che in tutto il mondo, che chiedono vendetta secondo Dio. In questo modo si dimostra che la chiedono per gli ultimi tempi, dal momento che dicono: fino a quando rimarrete senza giustizia? E che resti poco tempo, appare dal fatto che si ordini di aspettare ancora un po’. Perché dopo il quinto (sigillo), si presenta l’ultima battaglia nel sesto.

TERMINA LA SPIEGAZIONE DEI QUATTRO CAVALLI

COMINCIA LA STORIA DELI UCCISI NEL LIBRO QUARTO

(Apoc. VI, 9-11)

Et cum aperuisset sigillum quintum, vidi subtus altare animas interfectorum propter verbum Dei, et propter testimonium (Jesu), quod habebant: et clamabant voce magna, dicentes: Usquequo Domine (sanctus et verus), non judicas, et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra? Et datæ sunt illis singulæ stolæ albæ: et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum donec compleantur conservi eorum, et fratres eorum, qui interficiendi sunt sicut et illi.

(E avendo aperto il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza (di Gesù) che avevano, e gridavano ad alta voce, dicendo: Fino a quando, Signore santo e verace, non fai giudizio, e non vendichi il nostro sangue sopra coloro che abitano la terra? E fu data ad essi una stola bianca per uno: e fu detto loro che si dian pace ancor per un poco di tempo sino a tanto che sia compito il numero dei loro conservi e fratelli, i quali debbono essere com’essi trucidati).

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA NEL QUARTO LIBRO

[2] Quando aprì – dice – il quinto sigillo, ho visto sotto l’altare di Dio le anime di coloro che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza di Gesù, che essi custodivano. E si misero a gridare a gran voce, etc… Si dice di aver visto le anime degli immolati sotto l’altare, cioè sotto terra. Infatti l’altare è chiamato cielo e terra, come lo denomina la Legge, considerandolo nel senso del vero, perché sono stati fatti due altari d’oro all’interno ed uno di bronzo all’esterno. Ma sappiamo che l’altare d’oro si chiama così – cielo – per la testimonianza che il Signore ce ne offre. Infatti dice: « … quando presenti la tua offerta davanti all’altare – e certamente le nostre offerte che presentiamo sono le preghiere – e ti ricordi lì che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare … » (Mt. V, 23): veramente le preghiere salgono al cielo. Se allora il cielo è inteso come l’altare dorato che era all’interno (infatti i [sommi] sacerdoti, che avevano ricevuto il Crisma, erano introdotti all’altare dorato una sola volta all’anno, e con ciò lo Spirito Santo ci ha dato la possibilità di comprendere che Cristo lo avrebbe fatto una volta sola); come l’altare dorato rappresenta il cielo, così l’altare di bronzo è da intendere come la terra, sotto la quale si trovano gli inferi, regione remota di castighi e fuochi, ben lungi dal riposo dei Santi: è questi un luogo in cui i giusti sono visti e sentiti dai malvagi, ma ivi non possono essere trasbordati. Colui che vede tutto voleva farci sapere che solo costoro, cioè le anime degli immolati, attendono la vendetta del loro sangue, cioè del loro corpo, sopra gli abitanti della terra. Ma poiché la ricompensa dei Santi e la condanna dei malvagi avrà luogo negli ultimi giorni, è stato detto loro di aspettare, e a consolazione dei loro corpi … fu data a ciascuno di loro una stola bianca, e fu detto loro di aspettare ancora un po’, finché sia completato il numero dei loro compagni e confratelli che dovevano essere uccisi come essi. Dobbiamo esaminare con attenzione cosa significhi che Dio parli alle anime, o che le anime dei Santi parlino a Dio; come gli Angeli parlino a Dio o Dio agli Angeli, oppure come Dio parli al diavolo, quando gli dice: donde vieni? (Giob. I,7), e come il diavolo gli risponda, dicendo: Ho percorso la terra. Dobbiamo commentare il significato di questo modo di parlare. Né Dio, che è lo Spirito supremo e sconfinato, né satana, che non ha un corpo per natura, aspirano l’aria in modo umano nel loro interno, affinché diventi parola mediante l’organo della fonazione. Ma il fatto che una natura incomprensibile parli ad una natura invisibile implica che la nostra mente, superando la modalità dell’espressione corporea, si elevi ai modi sublimi e sconosciuti della locuzione interiore. Quanto a noi, per esprimere esteriormente ciò che sentiamo, lo esteriorizziamo con l’organo della gola e mediante il suono della voce. Certo agli occhi estranei la nostra mente resta nel segreto, coperta dalla parete del corpo. Ma quando vogliamo manifestarci, usciamo come attraverso la porta della lingua, mostrandoci all’esterno tali qual siamo. La natura spirituale però non è così, perché non è doppiamente composta da corpo ed anima. Dobbiamo allora sapere che quando la natura incorporea si esprime, il suo modo di parlare non è né unico, né della medesima qualità. Dio parla agli Angeli in un modo, in altro modo gli Angeli parlano a Dio, in un certo modo Dio comunica con le anime dei Santi, in altro le anime dei Santi con Dio; con un’altra modalità ancora Dio parla al diavolo, ed in altra il diavolo a Dio. Infatti le nature spirituali non hanno l’ostacolo dell’interposizione del corpo: Dio parla ai santi Angeli nel modo in cui manifesta ai loro cuori i suoi segreti reconditi, affinché vedano nella stessa contemplazione ciò che debbano fare e le gioie della contemplazione siano i comandi della sua voce. Ad essi viene detto, come ascoltatori, ciò che li ispira come contemplativi. Quando Dio ha instillato nei loro cuori il castigo come vendetta contro l’orgoglio degli uomini, ha detto: « Venite, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio » (Gen. XI, 7).  A chi è unito a Lui si dice: vieni, perché il non decrescere mai nella contemplazione divina è il crescere continuamente in essa, e il non venir meno con il cuore è l’avvicinarsi sempre con movimento continuo. E a questi dice: andiamo giù e confondiamo il loro linguaggio. Gli Angeli salgono quando vedono il Creatore; gli Angeli scendono quando reprimono con rigorosa condanna la creatura che si vanta di ciò che è illecito. Il parlare di Dio significa, quindi, con lo scendere e confondere il loro linguaggio, mostrare in loro stessi ciò che va fatto con giustizia; e far conoscere alle loro anime con ispirazioni occulte, con la forza della visione interiore, le punizioni che devono realizzare. In altro modo gli Angeli parlano a Dio, come quando dicono in questa Apocalisse di Giovanni: « l’Agnello che è stato ucciso è degno di ricevere potenza e sapienza e divinità » (Ap. V, 12). Infatti la voce degli Angeli è la medesima ammirazione della contemplazione intima nella lode del Creatore. Il fatto di aver ammirato i prodigi della potenza divina: questo è l’aver parlato, poiché con il suscitare l’affetto del cuore con l’atto di adorazione, il clamore della voce alle orecchie dello spirito è grande e senza limiti. Questa voce si esprime attraverso parole diverse, perché si forma attraverso innumerevoli modi di ammirare. Perciò Dio parla agli Angeli quando rende loro visibile la sua volontà intima, e gli Angeli parlano a Dio quando, per il fatto che ciò che contemplano sia superiore ad essi, si elevano ad un moto di ammirazione. – In un certo modo Dio parla alle anime dei Santi, ed in un altro modo le anime dei Santi parlano a Dio. Ecco perché si dice ancora una volta nell’Apocalisse di Giovanni: ho visto sotto l’altare le anime di coloro che sono stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza di Gesù, che essi custodivano. Essi gridarono a gran voce dicendo: “Signore santo e verace, fino a quando non lo farai e non ti vendicherai del nostro sangue sul popolo della terra?”. E si aggiunge continuando: si diede ad ognuno di essi una stola bianca e si disse loro di aspettare un poco finché non fosse completo il numero dei loro compagni e fratelli. Che cosa significa che le anime esprimono la richiesta di vendetta, se non il desiderio del giorno del giudizio finale e della resurrezione dei corpi defunti? Il loro grande grido è il loro gran desiderio. Meno si piange, meno si desidera. E con quanta maggior potenza di voce ci si rivolge alle orecchie dello Spirito illimitato, più pienamente si amplia il proprio desiderio. Ed infatti le parole delle anime sono i loro desideri. Se i desidèri non fossero parole, il profeta non direbbe: « il tuo orecchio ha udito il desiderio dei loro cuori » (Psal. IX, 17). Ma se l’anima che chiede si muove di solito in un modo, e l’anima che riceve la supplica in un altro, come le anime dei Santi che sono così unite a Dio nel grembo dell’intimo segreto che ripongono in questa unione, perché si dice che chiedano, dal momento che le anime non sono mai chiaramente in disaccordo con la sua intima volontà? Come si dice che le anime chiedano se sono certe di non ignorare la volontà di Dio e sanno cosa accadrà? Tuttavia, aderendo a Lui, si dice che gli chiedano qualcosa, non perché desiderino qualcosa che sia in disaccordo con la volontà di Colui che stanno contemplando, ma perché aderendo a Lui più ardentemente, ricevano da Lui ciò che chiedono sapendo già quel che Egli voglia fare. Così bevono da Lui ciò di cui hanno sete, ed in modo ancora incomprensibile per noi, si saziano nella conoscenza anticipata di ciò di cui hanno fame quando lo chiedono. Sarebbero in disaccordo con la volontà del Creatore se si aspettassero ciò che vedono che Lui non voglia, e sarebbero meno uniti a Lui se reclamassero con desiderio flebile ciò che Egli vuole dar loro. A questi la risposta divina dice: riposati ancora un po’, finché il numero dei santi e dei tuoi fratelli sia completato. – Alle anime anelanti dice: riposate tuttavia ancora un po’, e questo perché coloro che sono ansiosi per l’ardore del desiderio ricevano consolazione dalla conoscenza anticipata: in tal caso, la voce delle anime è ciò che esse desiderano con amore; la parola di Dio che risponde è la forza in mezzo ai desideri per la certezza della retribuzione. Il rispondere loro è: lo sperare nel congiungimento dei loro fratelli, introducendo nelle proprie anime il prolungarsi del tempo di attesa, in modo che nel desiderare la risurrezione della carne siano anche felici di vedere aumentare il numero dei loro compagni fratelli. – In altro modo Dio parla al diavolo, ed in un altro modo ancora il diavolo parla a Dio. Il parlare di Dio al diavolo significa rimproverarlo delle sue vie e delle sue attività nell’attuare operazioni occulte, come quando gli dice: da dove vieni? La risposta del diavolo è tale che non può nascondere nulla alla sua onnipotente maestà; e pertanto risponde: « … Da un giro sulla terra, che ho percorsa » (Giob. I,7). Il suo modo di parlare è quello di dichiarare quel che fa perché non può nascondere nessuna delle sue azioni agli occhi di Dio. Dobbiamo quindi sapere che, come possiamo comprendere da questo testo, Dio parla al diavolo in quattro modi, ed il diavolo parla a Dio in tre modi. Dio parla al diavolo in quattro modi, infatti rimprovera la sua ingiustizia e gli oppone la giustizia dei suoi eletti, come quando dice: « Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male »; gli concede il permesso di mettere alla prova la sua innocenza, come quando gli dice: « Ecco, quanto possiede è in tuo potere »; ma gli proibisce tuttavia una prova, quando dice:  « ma non stender la mano su di lui » – Il diavolo parla a Dio in tre modi: quando comunica le sue vie, quando accusa l’innocenza degli eletti per falsi crimini, e chiede il permesso di verificare questa innocenza. Egli comunica i suoi modi quando dice: ho fatto un giro sulla terra che ho percorsa. Accusa l’innocenza degli eletti quando insinua: Giobbe non teme Dio per nulla? Non avete eretto una recinzione intorno a lui, alla sua casa e a tutti i suoi beni? Chiede il permesso di mettere alla prova questa innocenza quando dice: allunga la mano e tocca tutti i suoi beni; vedi se non ti maledice in faccia. – Ma il parlare di Dio è: da dove vieni? come abbiamo detto prima, ed è il riprovare con la forza della sua giustizia le vie della sua malvagità. Il parlare di Dio è ancora: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe, che non c’è nessuno come lui sulla terra? E questo per giustificare i suoi eletti onde renderli tali, affinché chiaramente l’angelo apostata li invidi. Il parlare di Dio è: hai tutti i suoi beni nelle tue mani: per mettere alla prova i fedeli scatenando contro di loro con segreta forza l’attacco della malizia. Il parlare di Dio è: fai attenzione solo a non mettergli la mano addosso e, nel dargli il permesso, … di limitare l’impeto di una tentazione eccessiva. Il parlare del diavolo è: ho fatto un giro sulla terra che ho percorsa: non può nascondere ai suoi occhi invisibili la rapidità della sua malizia. Il parlare del diavolo è: Giobbe teme Dio per nulla? Questo per lamentarsi contro i buoni usando i recessi dei suoi pensieri ed invidiando il suo progresso, ricercare delle occasioni di riprovazione. Il discorso del diavolo è: allunga un po’ la mano e tocca tutti i suoi beni, per affliggere i buoni, soffocarli con gli ardori della malizia. Infatti per invidia desidera che siano tentati, ed allora quasi come pregando chiede che vengano messi alla prova. Ed ora che abbiamo esposto succintamente le diverse modalità di locuzioni interne, torniamo all’ordine dell’esposizione che abbiamo un po’ interrotto.

COMINCIA LA STORIA DEL SESTO SIGILLO NEL LIBRO QUARTO

(Apoc. VI, 12-17)

Et vidi cum aperuisset sigillum sextum: et ecce terræmotus magnus factus est, et sol factus est niger tamquam saccus cilicinus: et luna tota facta est sicut sanguis: et stellae de cælo ceciderunt super terram, sicut ficus emittit grossos suos cum a vento magno movetur: et cælum recessit sicut liber involutus: et omnis mons, et insulæ de locis suis motæ sunt: et reges terræ, et principes, et tribuni, et divites, et fortes, et omnis servus, et liber absconderunt se in speluncis, et in petris montium: et dicunt montibus, et petris: Cadite super nos, et abscondite nos a facie sedentis super thronum, et ab ira Agni: quoniam venit dies magnus iræ ipsorum: et quis poterit stare?

(E vidi, aperto che ebbe il sesto sigillo: ed ecco si fece un gran terremoto, e il sole diventò nero, come un sacco di pelo: e la luna diventò tutta come sangue: e le stelle del cielo caddero sulla terra, come il fico lascia cadere i suoi fichi acerbi quand’è scosso da gran vento. E il cielo si ritirò come un libro che si ravvolge, e tutti i monti e le isole furono smosse dalla sede: e i re della terra, e i principi, e i tribuni, e i ricchi, e i potenti, e tutti quanti servi e liberi si nascosero nelle spelonche e nei massi delle montagne: e dicono alle montagne ed ai massi: Cadete sopra di noi, e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello: perocché è venuto il gran giorno della loro ira: e chi potrà reggervi?)

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA NEL QUARTO LIBRO

[3] Ed egli guardò, ed ecco, aprì il sesto sigillo, e ci fu un grande terremoto: e il sole divenne nero come una panno di crini. In questo sigillo si descrive l’ultima persecuzione. Il sole divenne nero come un cilicio, la luna divenne tutta sangue e le stelle caddero sulla terra. Il sole, la luna e le stelle sono la Chiesa, la quale amministra la luce della verità: infatti come chiamiamo l’ignoranza: « tenebre », così definiamo la conoscenza « luce ». Vediamo che queste due realtà, la luce e le tenebre, sono presenti nell’unica Chiesa. Per luce intendiamo i saggi che conoscono rettamente, credono rettamente e rettamente operano. Per tenebre intendiamo gli erranti, cioè gli eretici, gli ipocriti e gli scismatici. Essi sembrano essere come le stelle, perché simulano una santità che non possiedono. E in questi due ordini, cioè nella luce e nelle tenebre, c’è il giorno e la notte. Il giorno è la Chiesa, e la notte è l’ignoranza. Quando si dice che il sole è tramontato assumendo il colore del cilicio, significa che sarà oscurata agli increduli la luminosità della dottrina. Quel che è il sole, lo stesso è la luna, e così le stelle, vale a dire la Chiesa. Per la parte infatti si intende l’insieme. Si dice « tutto », perché in tutto il mondo ci sarà un ultimo terremoto quando arriverà l’Anticristo. Prima della sua venuta se ne avranno sì, ma non in tutto il mondo, bensì solo in alcune regioni, come sta scritto: « … Ci saranno terremoti in alcune regioni: il sole si oscurerà, la luna diventerà color sangue, le stelle del cielo cadranno sulla terra » (Mt. XXIV, 27). Tutto questo indica la simulazione della santità, fino a quando non verranno sorpresi “i santi” nella loro falsità; quando ci si separerà da essi, si dice che si oscurano e cadono. Certamente la somiglianza della santità del sole, della luna e delle stelle, cioè l’ipocrisia e la falsa religione, è stato vista da San Giovanni come collocata nel nostro cielo, cioè nella Chiesa, perché nel cielo sovrastante, come è chiamato all’inizio (Ap. IV, 1), non si potevano vedere le stelle che sono sotto il cielo. Questo è quello che sta accadendo ora nella Chiesa. Nella venuta finale dell’Anticristo, la luna che si dice sia diventata sangue, rappresenta la Chiesa dei Santi che versano il loro sangue per Cristo. Le stelle che si dice stiano cadendo, rappresentano i fedeli che perturbati. …Come l’albero di fico scosso da un grande vento, si spoglia dei suoi fichi ancora verdi: si paragona qui l’albero del fico alla Chiesa che vive nelle asperità della penitenza. Così come l’albero di fico ha molti frutti, sia buoni che cattivi, così la Chiesa pure ne ha di buoni e di cattivi. Il fico prematuramente grande, suole distaccarsi dagli altri, e ne vediamo molti agitati da un vento leggero, che esteriormente sembrano buoni, ma interiormente sono cattivi. Non appena però vengono agitati da un forte vento, cadono immediatamente a terra. Ecco perché si dice che è come l’albero di fico scosso che fa cadere i suoi fichi verdi, cioè i fichi vuoti che sembravano buoni ma non lo sono. Perché abbiamo detto tutto questo? Perché questi rappresentano gli ipocriti ed i falsi fedeli che sono all’interno della Chiesa, coloro che in tempo di pace sembrano uniti alla Chiesa, ma non appena arriva il tempo della persecuzione, si staccano dalla Chiesa, così come il fico scosso dal vento perde i suoi fichi ancora verdi…. e il cielo è stato portato via come un libro arrotolato. Per cielo intendiamo sempre la Chiesa, che si ritira al verificarsi del terremoto, cioè si separa dal male e contiene in sé, come un libro arrotolato, i Santi solo ad essa noti. Nessuno può sapere cosa ci sia dentro un libro arrotolato finché non venga letto. Quando è piegato, è impossibile per chiunque leggerlo o conoscerlo. E se uno non lo conosce, quand’anche lo calpestasse con i piedi, o lo tagliasse con la spada, non lo danneggerebbe affatto, perché tenuto come per niente. Tale sarà la Chiesa alla venuta dell’Anticristo. Il cielo si arrotolerà come un libro, perché tutte le predicazioni delle Scritture cesseranno. Ed i Santi che ci saranno in quei giorni saranno calpestati e uccisi con la spada, come un libro arrotolato, tanto che coloro che non sanno cosa ci sia dentro il libro, penseranno di rendere un favore a Dio. Ed ogni montagna ed ogni isola è stata portata via dal suo posto. Cielo, montagne e isole, rappresentano l’unica Chiesa, che al tempo dell’ultima persecuzione dell’Anticristo sarà allontanata dalla sua sede. Ma può riferirsi pure ad entrambe le parti, quella buona e quella cattiva, perché la parte buona si allontanerà dalla sua sede fuggendo via; e la parte cattiva si muoverà dalla sua sede, cioè perderà la grazia o i carismi che sembrava avere, perché non ha voluto fare penitenza pubblica, come è già stato detto: toglierò il vostro candelabro dalla sua posizione se non farete penitenza (Ap. II, 15). Ed anche: « le montagne saranno portate in fondo al mare » (Psal. XLV: 3). Le montagne sono gli Apostoli, il “mare” è il secolo. Si mostra che in quella persecuzione andranno sui monti sia coloro che si sono ritirati dalla loro sede, sia i Santi che sono rimasti nella fede. I re della terra, i magistrati ed i tribuni, i forti e tutti, schiavi o liberi. Questi re e tutti quelli che vengono citati sono i Santi, dal piccolo al più grande, che rimarranno poi forti nella persecuzione dell’Anticristo. Non senza motivo sono chiamati re ed uomini potenti, perché non sottomettono il loro collo ai più empi. Inoltre, coloro che sono poi re nel mondo, tranne il persecutore stesso, l’Anticristo, fuggendo dalla sua presenza, cercheranno un luogo di protezione e si nasconderanno, come dice: … si nasconderanno nelle grotte e nelle rupi della montagna. Non ci si riferisce qui solo alle montagne che vediamo materialmente, ma a Cristo ed ai Santi Padri, dai quali si chiede e si implora aiuto. Infatti sta scritto: « … Rifugiatevi nelle caverne delle rocce e negli antri sotterranei » (Is. II,19). La grotta e la roccia sono la stessa cosa. E diranno ai monti ed alle rupi: Cadeteci addosso e nascondeteci dalla vista di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello. Perché il grande giorno dell’ira è arrivato, e chi può resistere? L’espressione “cadere su di noi” racchiude tutto il desiderio di misericordia del supplicante e, in qualche modo, mostra come tutti coloro che ricevono la supplica, si trasformino in visceri di misericordia rispetto al supplicante, come sta scritto: « … Appena se lo vide davanti, gli si gettò al collo e pianse a lungo stretto al suo collo » (Gen. XLVI, 29). E ancora: giunga la tua misericordia su di me. Che la vostra abbondante misericordia mi prenda per mano e mi protegga. Diranno: occultiamoci, affinché l’uomo vecchio ed il peccatore si nascondano agli occhi di Dio. Infatti nell’uomo peccaminoso i peccati sono ora nascosti ed il Dio misericordioso si aspetta sempre il pentimento. Noi pecchiamo ogni giorno mentre Egli non si irrita ogni giorno. E noi nascondiamo i nostri peccati dall’ira di Dio con la misericordia di Dio stesso, come sta scritto: « … Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato. » (Psal. XXXI, 1). Copriamo i nostri peccati quando copriamo con le buone opere le cattive azioni. E anche: « la carità copre la moltitudine dei peccati » (1 Pt. IV, 8). Infatti come Dio esorta i peccatori a nascondersi dalla sua ira, così si mostra loro rifugio, dicendo: « Entra fra le rocce, nasconditi nella polvere, di fronte al terrore che desta il Signore, allo splendore della sua maestà » (Is. II, 10).  La terra a cui si riferisce è santa, ed è cioè il corpo di Cristo. Perché come può la terra fuggire in un’altra terra, se non a quella alla quale qui ci si riferisce? Ed inoltre, « In quel giorno ognuno getterà gli idoli d’argento e gli idoli d’oro, che si era fatto per adorarli … per entrare nei crepacci delle rocce e nelle spaccature delle rupi, di fronte al terrore che desta il Signore e allo splendore della sua maestà, quando si alzerà a scuotere la terra » (Is. II, 20). Non ha detto che si nascondano gli idoli, bensì gli uomini che portano gli idoli nel loro cuore, così che si seppelliscano gli idoli onde occultare l’uomo vecchio e rivestirsi dell’uomo nuovo e nascondersi nella roccia che è Cristo. Ora fa qui come una ricapitolazione: esorta ed incita tutti alla penitenza prima della persecuzione, e continuando, esorta a ricacciare gli idoli per entrare nella roccia, dicendo: quel giorno l’uomo scaccerà le sue abominazioni di oro e di pietà che si era fatto per adorarle – vane, vuote e malvagie – affinché entri in caverne compatte e nelle fenditure delle rocce. Gli idoli visibili vengono gettati via, e si entra nella roccia, cioè ci si converte pubblicamente e ci si avvicina a Cristo, quando gli idoli invisibili che si possedevano nel cuore vengono sepolti, nascosti e distrutti, quando cioè si crocifigge con Cristo l’uomo vecchio, in modo che possa essere trasformato in uno nuovo. Ma colui che secondo l’uomo vecchio, cioè esteriore, entra nella terra carnale del Signore, cioè nella carne di Cristo, e non vi seppellisce gli idoli spirituali, diventa egli stesso un idolo, e non si è quindi nascosto alla terribile vista del Signore. E questi il Signore rimprovera attraverso Isaia, dicendo: « … Urlate, o idoli, in Gerusalemme ». Invece, Giacobbe … nascose e distrusse gli idoli sotto un terebinto (Gen. XXXV: 4) fino ad oggi. Il terebinto è il corpo del Signore, come dice Egli stesso: « Come un terebinto ho disteso i rami, e i figli di mia madre hanno combattuto contro di me, come un terebinto che ha perso le sue foglie » (Sir. XXIV, 16). E ancora: « quel giorno, dice, l’uomo ha gettato via i suoi idoli » (Is. II, 20). Ha definito “un giorno”, tutto il tempo trascorso da quando il Signore ha sofferto la sua passione. Da allora gli uomini si nascondono in una terra nuova, dalla quale Egli resuscitò per far tremare la terra; vale a dire che, dal giorno in cui il Signore ha sofferto la passione, ha provato la morte ed è risorto, tutti i Santi si sono nascosti in questa roccia che è Cristo, prendendo sopra di sé il suo esempio, per seguirne le orme; per questo ha detto di nascondersi nella terra, quando è risorto per far tremare la terra. Si noti che in questo sesto sigillo si è fatta una ricapitolazione dall’inizio di Cristo, da quel versetto che dice: che i re e i potenti si nascondevano nelle grotte. Leggiamo ora Davide che dice: « Egli mi offre un luogo di rifugio nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua dimora, mi solleva sulla rupe » (Psal. XXVI, 5). Dice dunque che tutti si debbano nascondere, però non tutti si nasconderanno, tranne la parte che conosce Cristo, e di cui si parla col dire: tutta la luna è stata tinta di sangue, cioè persevera nel martirio. Ed ogni montagna ed ogni isola è stata rimossa dalla sua sede. E ogni servo e libero si nasconderà tra le montagne. Ma se di queste montagne visibili si dice che sono state rimosse dalle loro sedi, come si nasconderanno questi in esse? o come si nasconderà ogni servo, quando consta anche che tra i servi ci sarà chi verrà strappato alle nuvole? Perciò è chiaro che, quando dice che tutti si sono nascosti, ciò non accadrà in modo visibile, ma crediamo che avvenga in forma spirituale. In primo luogo, perché non tutte le regioni hanno montagne, nelle quali ogni uomo possa nascondersi. In secondo luogo, quando il Signore apparirà nel suo splendore, non si fermerà lungo il cammino, né gli uomini avranno il tempo di andare sulle montagne, nemmeno quelli che vivono sulle stesse montagne. Che dire di coloro poi che sono in campagna, per i quali la penitenza non convertirebbe da questa ignoranza, dacché la situazione delle regioni che abitano non offre loro la possibilità di nascondersi in montagna? Perché non è solo nell’ultimo terremoto, quando cioè molti elementi cadranno dal cielo, che taluni si rifugeranno sulle montagne, cioè sulla dottrina degli Apostoli, implorando la misericordia di Dio. Questo infatti è sempre accaduto dalla passione del Signore fino ad oggi. Ma in quel tempo accadrà in misura maggiore, quando si manifesterà il segno che sta arrivando il giorno del Signore, cioè il giorno del giudizio. Inoltre, questo è stato promesso ed è sempre stato realizzato, perché la santa profezia ha questa caratteristica: raccontare il futuro come già realizzato, e il passato come ancora da realizzare. Dio aveva promesso che in futuro gli altari elevati sarebbero stati distrutti, come quelli che Geroboamo aveva innalzato in Samaria, come dice il profeta Osea: « Le alture dell’iniquità, peccato d’Israele, saranno distrutte, spine e rovi cresceranno sui loro altari; diranno ai monti: “Copriteci” e ai colli: “Cadete su di noi“. (Os. VIII, 5 – X, 8). Questi altari furono distrutti da Giosia, Re di Giuda, come si legge nel Libro dei Re (II Reg. XXIII: 19). Senza dubbio però, nessuno disse ai monti: copriteci, ma coloro che avevano distrutto gli idoli, si nascosero nella terra del Signore. E questo è successo in figura per mezzo di Giosia. Tali cose sono state e saranno sempre realizzate nel Signore che distrugge ogni idolatria: Egli ha posto il suo accampamento in cima alle montagne, cioè nella meditazione contemplativa; col suo Corpo ha costruito la sua Chiesa, affinché negli ultimi tempi si evitasse il pericolo dei Giudei in queste montagne. Così il Signore nella Gerusalemme particolare descrive la distruzione generale della vecchia (Gerusalemme), dicendo: « Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili ed i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco? » (cfr. Lc. XXIII, 28), cioè se nel tempo dell’immaturità lo perseguitano così, come lo perseguiranno poi nel tempo della maturità ultima e favorevole? Quando avranno compreso che questa è la distruzione definitiva di Gerusalemme, fuggiranno sulle montagne, chiedendo di essere nascosti, e piangendo chiameranno felici coloro che non sono stati catturati o trattenuti da un qualche legame con la condizione umana del peccato. Inoltre dobbiamo considerare, avendolo davanti gli occhi del cuore, il genere di narrazione che lo Spirito Santo ha conservato in questo libro per tutti i periodi; mantenendo cioè uno stesso ordine fino al numero sei; passando poi al settimo, fa una ricapitolazione e, seguendo come in un ordine, conclude le due narrazioni nel settimo; ma questa ricapitolazione deve essere compresa secondo i testi: a volte fa la ricapitolazione di ciò che dirà dall’inizio della passione; a volte dal tempo medio, a volte solo dall’ultima afflizione, o un po’ prima. Tuttavia si mantiene invariabile la ricapitolazione fino al sesto sigillo. Ora, quindi, dopo aver descritto il sesto, torna all’inizio e ricapitola per dire, brevemente ed in altro modo, la stessa cosa.

TERMINA LA SPIEGAZIONE

COMINCIA LA STORIA DEI QUATTRO ANGELI DEI VENTI

(Apoc. VII, 1-3)

“Post hæc vidi quatuor angelos stantes super quatuor angulos terræ, tenentes quatuor ventos terræ, ne flarent super terram, neque super mare, neque in ullam arborem. Et vidi alterum angelum ascendentem ab ortu solis, habentem signum Dei vivi: et clamavit voce magna quatuor angelis, quibus datum est nocere terræ et mari, dicens: Nolite nocere terræ, et mari, neque arboribus, quoadusque signemus servos Dei nostri in frontibus eorum.”

(Dopo queste cose vidi quattro Angeli che stavano sui quattro angoli della terra, e ritenevano i quattro venti della terra, affinché non soffiassero sopra la terra, né sopra il mare, né sopra alcuna pianta. E vidi un altro Angelo che saliva da levante, e aveva il sigillo di Dio vivo: e gridò ad alta voce ai quattro Angeli, ai quali fu dato di far del male alla terra e al mare, dicendo: Non fate male alla terra e al mare, né alle piante, fino a tanto che abbiamo segnati nella loro fronte i servi del nostro Dio.).

[4] Dopo questo vidi – dice – quattro Angeli in piedi ai quattro angoli della terra, che trattenevano i quattro venti della terra. I quattro Angeli ed i quattro venti sono una identica cosa, ed è come se si dicesse chiaramente: ho visto quattro Angeli che trattengono quattro Angeli o venti. Dall’inizio abbiamo detto per qual motivo si divida una stessa cosa. Ed infatti questi Angeli o venti sono buoni e cattivi. Essi sono solo quattro, ma sono bipartiti, come spiegheremo più avanti. Questi venti hanno una parte buona ed una cattiva. Troviamo in Ezechiele i quattro venti buoni della terra, che ridanno vita alle ossa secche e alla carne morta per avviare la prima resurrezione (Ez. XXXVII, 9). Egli chiama i quattro venti – cioè l’anima e la mente – che la Chiesa ha nei quattro angoli della terra e con i quali ispira profetizzando le medesime cose negli stessi luoghi e resuscitando i morti. Questo fiato, cioè i quattro venti, è detto nel profeta Daniele essersi sollevato contro il popolo: « i quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare grande e quattro grandi bestie, salivano dal mare » (Dan. VII: 2), che l’angelo disse essere i quattro regni del mondo. I sette Angeli, come è già stato detto, sono la Chiesa; essi sono sette, anche se ne viene nominato uno solo che li comprende tutti: secondo che lo esiga la ragione, ne dice il numero. Ad esempio, ora ha parlato di quattro Angeli, per indicare che la Chiesa li trattiene ai quattro estremi confini della terra; e dal canto loro che non devastino la sua parte prima di aver impresso il sigillo, affinché essa non soffra inganno. Ma quando tutto Israele sarà salvato alla fine del mondo, sarà portato via da colui che lo trattiene. Ed allora la quarta parte degli Angeli, rilasciata al momento opportuno si apre, cioè predica, come dice l’Apostolo: « E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato qual è l’empio (2 Tess. II, 6), l’Anticristo. » E siccome abbiamo detto che i quattro Angeli sono divisi ed insieme mescolati, – essi sono cioè la Chiesa ed i regni del mondo – cercheremo di ricordare in forma opportuna che i regni del mondo, e soprattutto il regno presente, è dentro la Chiesa in tutto il mondo per mezzo dei falsi fratelli – cioè gli ipocriti – nel mistero dell’iniquità. Non esiste infatti un regno unico in cui i falsi fratelli siano relegati, ed infatti tutti i malvagi del mondo sono chiamati re, ivi precipitati dalle loro voluttà. L’Apostolo ha detto di tali principi che « Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla (la sapienza); se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria » (1 Cor. II, 8). La Scrittura nel Vangelo dice chi furono coloro che crocifissero il Signore. Ed infatti Pilato, un principe, non ha crocifisso il Signore, ma lo ha lasciato ai calunniatori. E l’Apostolo Pietro, poiché Israele aveva crocifisso Cristo, parlò loro così: « Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! ». (Act. II, 36). Ed il Signore disse che il mondo era nei falsi fratelli: « … Voi siete di quaggiù, Io sono di lassù; voi siete di questo mondo, Io non sono di questo mondo. » (Gv. VIII, 23). E in un’altra occasione disse ai suoi discepoli: « Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me » (Gv. XV, 18). – Essi trattenevano i quattro venti della terra – dice – in modo che il vento non soffiasse sulla terra, né sul mare, né su nessun albero. Egli chiama gli uomini: terra, mare e alberi; … trattenevano il vento perché non soffiasse, cioè non trasmettessero il loro spirito facendoli diventare ad essi simili. E vidi un altro Angelo che saliva donde sorge il sole, con il sigillo del Dio vivente. Egli chiama alla Chiesa un altro Angelo; da dove sorge il sole – come dice – cioè dalla passione del Signore, e grida ai quattro angoli della terra. Il sole è Cristo. Ma questo non è l’ordine della rivelazione, per cui dopo i quattro Angeli ne ha visto un altro, no, ma quello che ha visto all’inizio del libro e questo di adesso sono uno stesso Angelo di Dio: infatti è l’unico ed il medesimo: la Chiesa che predica alla Chiesa.  – E gridò a gran voce ai quattro Angeli, ai quali fu dato di devastare la terra e il mare. Prima aveva detto che gli Angeli dovessero trattenere i venti, perché non soffiassero sulla terra o sul mare; ora comanda agli Angeli di non arrecare danno alla terra o al mare. Indica con questo la stessa cosa. In un’altra ricapitolazione, al momento dell’ultima battaglia, egli dice: « Sciogli i quattro Angeli incatenati sul gran fiume Eufrate ». (Ap. IX, 14). Lo stesso vale per coloro che ha mandato a trattenere il vento. Infatti da quando il Signore ha iniziato la sua passione, il diavolo è stato legato, come dice il Signore: « Come potrebbe uno penetrare nella casa dell’uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? » (Mt. XII: 29). È chiaro che il diavolo è stato legato e soggiogato ai piedi della Chiesa, come sta scritto: « … Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi ». (Psal. CIX, 1).  Il diavolo è legato nel suo corpo, cioè negli uomini malvagi, perché non inganni le nazioni credenti ai quattro estremi della terra, cioè la Chiesa, che è il corpo di Cristo, corpo del quale Egli dice: Non causate danno né alla terra, né al mare, né agli alberi; basta segnare con un sigillo sulla fronte i servi del nostro Dio. È un ordine del Signore quello che l’Angelo, cioè il suo corpo, che è la Chiesa, annuncia e dice ai sinistri causanti danno – cioè dice all’ipocrita -: non causare danno, perché danneggi spiritualmente la Chiesa. Questa è la stessa voce che in mezzo ai quattro animali diceva a chi faceva danni: non provocare danni al vino o all’olio. Il Signore ha ordinato che la sua terra, cioè la sua Chiesa, non venga danneggiata spiritualmente, finché ogni servo di Dio non sia segnato con il sigillo.

TERMINA LA SPIEGAZIONE SOPRA I QUATTRO ANGELI DEI VENTI

MERCOLEDI’ DELLE CENERI (2021)

MERCOLEDÌ DELLE CENERI

p. Carlo m. Curci D. C. D. G.: LA NATURA E LA GRAZIA: Discorsi

Vol. I, Roma-TorinoP. Marietti ed. – 1865

IL PROBLEMA DELLA MORTE

Memento, homo, quia pulvis es, et in  pulverem reverteris.

S. Chiesa.

1. Se da quella polvere, nella quale oggi la Chiesa ci ricorda che tutti dovremo ritornare, levasse il capo uno dei nostri maggiori, che vi tornò non più che un dieci o dodici lustri addietro, io mi avviso, che ei non crederebbe ai suoi occhi dallo stupore, trovando il mondo tanto diverso da quello, che egli, dipartendosi dalla vita, lo avea lasciato. E quale delle cose pubbliche o delle private, in piccolo tempo, non si è cangiata da una Socieià, la quale, compresa dalla febbre dell’innovare, ha riputato meglio tutto ciò che fosse nuovo, e tanto se n’è levata in maggiore superbia, quanto ha potuto farlo con fretta più avventata? Che se quel redivivo, più che alle cose esteriori, potesse guardare nei pensieri della generazione vivente, ahimè! io credo, che in lui la meraviglia cederebbe il luogo alla compassione: tanta è l’alterazione delle idee, e la falsità dei giudizi, che da una scienza sciocca e dissoluta, o, peggio ancora, da non so che oracolo dì pubblica opinione fur messe in voga! Pure in tanta mutazione di cose, in tanto pervertimento d’idee ne è una, alla quale troppo rileverebbe al mondo recare almeno qualche temperamento, e la quale tuttavia, a dispetto di tutte le civiltà adulte e dei progressi umanitari, è restata ferma, invariata, immobile siccome il fato, e non mostra che, per volgere di secoli, possa mai cangiarsi. E questa, Signori miei, è la Morte. Tant’è! quanto a questa tremenda necessità della natura, tutto è rimasto nello stato pristino, primitivo, direi quasi arcaico: i medesimi prenunzi le vanno innanzi nella vecchiezza decrepita, nelle infermità fastidiose, nei subiti accidenti, che colpiscono spesso i più vigorosi e che meno se l’aspettano; le medesime strette angosciosissime dell’agonia l’accompagnano, e le viene appresso la medesima corruzione. Come morì Abele sul limitare del terrestre paradiso, così stanno, or che vi parlo, boccheggiando quelle, parecchie centinaia di uomini, pei quali questo giorno sarà l’estremo, e così morirà l’ultimo degli umani nell’ultimo dei giorni, che sarà rischiarato dal sole. Che se non si è per nulla cangiata la morte, neppure si è cangiato per nulla il terribile problema, che essa acchiude, e che anzi impone, a mal loro grado, ai meno riflessivi, ai più spensierati oggi, come fu nei tempi andati, come sarà nei futuri, la creatura ragionevole, non si potrà mai persuadere, che tutto per lei abbia a finire colla morte; ed una voce imperiosa, più forte di tutte le sofìstiche antiche e moderne, gli dice dentro, che ei non morrà tutto, che anzi colla parte migliore di sé, voglia o non voglia, dovrà essere superstite al sepolcro. Ma allora eccolo condotto, e dico ancora eccolo trascinato per forza a pensare, a riflettere ad un ordine ultramondiale di cose, nel quale, salvo il caso che sia uscito di sentimento, i suoi destini non gli possono essere indifferenti. Or, perciocché la vita presente, come nella futura ha il suo compimento, così da questa deve pigliare le sue norme ed il suo indirizzo; tanto è lungi, che i vivi debbano schivare il pensiero della morte, che per contrario il pensiero della morte è il migliore regolatore, che possano avere della vita. Di qui la santa Chiesa, senza guari curarsi dei nostri millantali progressi, come fece colle azioni semibarbare dei suoi primordi, e poscia coi popoli credenti dei tempi di mezzo, così fa coi superbi figli del secolo decimonono, i quali per avventura ne hanno tanto maggiore il bisogno, quanto più si credono sovrastare agli altri. Essa, spargendo cenere sopra tutti i capi, rammenta al popolo cristiano la sua mortalità; e con ciò, invitandolo a quei pensieri soprannaturali, che sono sì propri del sacro tempo della Quaresima, lo conduce o almeno lo invita e lo stimola a quella santità di vita, che come è la condizione necessaria della nostra salute, così è il fine immediato dei suoi austeri ammaestramenti, e dei santi suoi riti. – Dalla quale usanza, io non mi dipartirò questa mattina; soprattutto perché, pel servigio che intendo rendervi in questi discorsi quaresimali, di cui domani vi esporrò il soggetto, troppo ho uopo, che voi vi risolviate ad attendervi di proposito, piegando l’animo ai gravi e solenni pensieri della vita avvenire. Oh! sì! tregua un tratto, tregua al tumulto dei sensi, al tramestio del mondo ed all’agitarsi ed al battagliare delle passioni! apriamo il cuore alle soavi ispirazioni della grazia; e forse una non piccola vena ne schiuderò alla pietà vostra quest’oggi dimostrandovi, siccome solo il Cristiano può risolvere il gran problema della morte, pigliandone norma a regolare la vita. Che se la natura, condottici a quell’estremo passo, non sa dirci nulla di ciò che esso è, e di ciò, a cui schiude la via, male si arroga il diritto di governare essa sola la vita; e, ad ogni modo, a questo effetto sarà uopo ricorrere a quell’altro ordine d’idee e di cose, dal quale solo si può spiegare la morte. Così la grazia del Divino Spirito assista me in questa faticosa, ma pure a me carissima opera di amministrarvi la divina parola; assista voi, miei amatissimi, la cui pietà e gentilezza già per antica usanza mi è nota, a trarre frutto copioso di benedizione dell’amministrata parola!

2. Voi penserete, che il gran problema della morte riguardi unicamente ciò, che le viene appresso. Pure non è così. La morte rende problematiche le stesse condizioni della vita, e le getta in una incertezza, le colpisce di una inanità, sopra le quali l’intelletto non può quietare, se non ne abbia una spiegazione. Volete vederlo? toccarlo con mano? Venite qua! Eccoci accanto al letto di un moribondo; e perché l’ipotesi sia più calzante, supponiamo un uomo, che abbia consumata la vita ad ammassare ricchezze, giungendo a quella fortuna, da tanti invidiata, e da sì pochi raggiunta, di diventare, come dicono coll’acquolina in bocca i cupidi, milionario; supponiamo un ambizioso (e ce ne sono tanti a’ di nostri!), che per male arti sia salito a grande potenza, e ne sia tuttora investito; supponiamo una donna vana, che abbia abusato i doni di Dio, per dominare cuori non suoi: un più vano letterato o scienziato, che non abbia nella vita mirato ad altro scopo, che di fabbricarsi una grande rinomanza. I circostanti non si sanno schermire da un pensiero importuno; e, benché mondani anch’essi, talvolta lo dicono: «Ecco dunque dove è andata a finire tanta foga di vanità e tanta febbre di cupidigia! E per finire a questa maniera valea bene la spesa di sudare, di trafelare, di logorarsi il cervello e la vita, come questi ha fatto! » Ma, più che i circostanti, ne dev’essere preoccupato e trafitto il morente; e senza saperlo, se è conscio ancora di sé, starà ripetendo seco medesimo ciò, che le Scritture ed i Padri, con ben diverso intendimento, avevano detto: « La vita non fu dunque altro, che un correre alla morte! Tutti quei beni furono sogni di dormenti; e questo morire è uno svegliarmi, che me ne rivela, con subito e sterile riconoscimento, il nulla! Per questa creta passò uno spirito, che non vi resta; ed io mai più non tornerò a vedere i cari luoghi della mia adolescenza e della mia vecchiezza (Psal. CII, 14)! Se così dovea essere, meglio per me saria stato il non esser nato, o l’essere tramutato dalla culla al sepolcro: dormirei ora il mio ferreo sonno coi potenti e coi re della terra, men forse nominato, ma certo meno affaticato di loro! Quare non in vulva mortuus sum, egressus de utero non statim perii ?… Somno meo requiescerem cum regibus et consulibus terræ (Iob. III,11, 14.).» Soprattutto che dire di quel fiero ed amarissimodisinganno, pel disperato convincimento, che dunqueil sospiro naturale alla felicità fu una illusione, fuun ludibrio? A questa maniera una potenza invidiosae malefica ci avrebbe tratti del nulla, per pigliarsi giuocodei nostri dolori, ed alla quale noi non potremmo rendereche una maledizione impotente: che fu la perpetuae bestemmiatrice malinconia dello sventurato Recanatese.Lo so che, con ricorso degno dei ricorrenti,si ricorre alle bestie; ma queste non hanno coscienzadel loro stato; e l’avessero pure, si sentirebbero appagatedall’avere servito all’uomo, che finalmente èil solo loro fine: di che, alla loro maniera, si potrebberoriputare felici. Ma ciò dell’uomo stesso non puòsupporsi, il cui fine deve evidentemente essere qualchecosa migliore di lui; e nel mondo sensibile nulla è, chesia migliore di lui. E ciò è vero perfino dei più miseried abbietti di condizione, nei quali, trovandosi sempreun’anima ragionevole, è inconcepibile, che cosìeccelsa natura, assetata di felicità e di durata, nonabbia avuto altro scopo, che di purgar panni, esempligrazia, di rattoppare calzari, di spazzare camini odi girare ruote, come molto meglio avrebbe potuto farsida un giumento o dal vapore; sicché fatto questo, peralquanti anni, tutto per lei sia finito con questo. Chepensare poi di certe umane creature, che, monche odifettose, neppur questo possono fare, e si consumanotra dolori ignoti ed inesplorati, separate dal mondo, nella solitudine di qualche casolare, o nel fondo deglispedali? Saranno dunque queste state tratte dal nullaniente altro, che per patire? Così è! e fatevene ben persuasi: se non si ricorre alla natura invida e malefica, che ha fatto l’uomo per sbeffeggiarlo delle sue illusioni e dei suoi dolori, dovete concedere, che la morte, fin che si rimane tra i puri termini della natura, rende inesplicabile la stessa vita. E pure il problema è appena cominciato: il forte dimora al di là. Deh! chi può persuadersi, torno a dire, che per l’uomo tutto finisca coll’estremo fiato, strappatogli dal dissolvimento già cominciato del suo organismo? I sofisti medesimi, che lo dicono, non ci credono; ed un’anima immortale non si persuaderà in eterno, per lei non vi essere altro rifugio, che il nulla: la più tremenda catastrofe, che possa incogliere a qualsivoglia cosa che esiste! Sì! La credenza universale di tutti i popoli ed in tutti i tempi; il desiderio innato ed indomabile di una felicità, della quale è indubitato, che di qua non può aversi l’adempimento; il nobile sentimento della giustizia, che tutti vorremmo vedere compiuta, e la quale nel mondo appena è altro, che oppressione dei deboli e prepotenza dei forti ; la nostra intellezione che, remotissima da ogni materia, ci rivela un principio, come nell’operare, così nell’essere indipendente da quella, e quindi franca d’ogni possibile corrompimento; questi, Signori riveriti, sono tali saldissimi fondamenti per la natia immortalità dell’anima umana. che indarno vi diedero di cozzo i materialisti famosi di sessanta secoli; e pensate se vi abbiano a poter far buona prova quattro nebulosità teutoniche solea il gran Tutto panteistico, nel quale lo spirito umano dovrebbe andare a perdere come fumo in aria, o meglio come goccia in Oceano! Ma allora ecco giganteggiarci innanzi un’altra volta il formidabile problema: E come starà, in che attuerà là sua pura operosità intellettiva questo spirito, solitario e nudo nella immensità dello spazio? Potrà conversare coi suoi pari? e con chi e come dovremo pensare che conversi ? Sarà all’oscuro delle cose e delle persone che abbandonò, come queste sono di lui? Ma, più d’ogni altro, c’incalza quella domanda: sarà felice o misero questo spirito nel nuovo stato, e da chi ed a quai titoli gli sarà attribuita l’una o l’altra delle due così diverse condizioni? Io sfido qualunque uomo, che sia in senno, ad avere il coraggio di passare per sopra a questi problemi. Chi lo avesse darebbe manifesto indizio di non essere in senno, come non è la persona, che si professasse indifferente al suo bene ed al suo male. Quella è cosa di tanto momento, che a S. Agostino pareva rilevare ben poco di qual morte s’abbia a finire la vita; e rilevare supremamente di qual vita s’abbia a cominciare a vivere dopo la morte: Non multum curandum est eis, qui necessario morituri sunt, quid accidat, ut  moriantur; sed moriendo quo ire cogantur (De civ. Dei lib. 1, c. 2.). E, comelo stesso santo Dottore, parlando della madre dei settefratelli martiri, ebbe a dire: Non intuebatur quamvitamfinirent, sed quam inchoarent (Ser. 110. De Diversis).

3. E non vi sfugga, di grazia, quell’intuebatur, che importa un ragguardare fermo e sicuro, un intuire per intuito di fede quella vita appunto, che comincia dopo la morte. Perciocché veramente noi Cristiani di quel gran problema abbiamo in pugno sicurissima la soluzione; a tutte quelle domande abbiamo le risposte certe altrettanto che piene; e quasi mi venne detto, che delle cose del mondo di là sappiamo meglio, che quelle del mondo di qua; e certamente le sappiamo con maggiore certezza, e senza pericolo di errore: il che non avviene delle cognizioni forniteci dal senso, dalla ragione o dall’autorità umana. Anzi ciò che conosciamo della vita avvenire, ci vale un tesoro a governare il corso della presente, a vincerne le difficoltà e a districarne anche un poco i garbugli, i quali senza quella sarebbero affatto inestricabili. Per noi dunque (e parlo delle anime sinceramente cristiane), la morte è il sabato aspettatissimo del mercenario, che riceve la giusta retribuzione della settimana più o meno lunga del suo lavoro: Sicut mercenarii dies eius (Iob. XIV, 6); è il termine del faticoso pellegrinaggio e l’arrivo alla patria sospirata; è la corona, che il giusto giudice ci darà per le sostenute lotte terrene: Corona iustitiæ, quam reddet milii Bominus iustus index (II. Tim. IV, 8). E però S. Paolo, parlando in persona di tutti i giusti, diceva animosamente: « Se la casa terrena (vuol dire il corpo, e nel greco è σκήνη (= skene) che significa tenda, come di pellegrini) se la casa terrena di questa nostra abitazione si deve risolvere per morte, noi sappiamo esserci apparecchiato da Dio colassù nel cielo un edifizio, una casa cioè non fatta a mano ed eterna: Scimus quoniam si terrestris domus nostra huius habitationis dissolvatur, quod ædificationem ex Deo habemus, domimi non manufactam, æternam in cœlis (II. Cor. V, l). Vero è che, fitti in questo corpo, gemiamo per naturale ripugnanza  a dovercene separare: Qui sumus in hoc tabernaculo, ingemiscimus, e, piuttosto che spogliarcene, ci piacerebbe di essere conesso il corpo sopravvestiti della gloria: eo quod nolumus expoliari, sed supervestiri (II. Cor. V, 4).» Ma certi, siccome siamo, che lo stesso corpo ci verrà a raggiungere in quella verace patria, la morte, anche per tutto l’uomo, non è finalmente altro, che un sonno. Anzi, come notò il Crisostomo, tanto più leggera del sonno è la morte, quanto che nel sonno le migliori facoltà dell’anima sono impedite; laddove nella morte l’anima colla più nobile parte di sé rimane sciolta, attuosa e liberissima, e solo delle facoltà inferiori le viene temporaneamente impedito l’esercizio. Di qui quel tanto significativo e consolante linguaggio cristiano, secondo il quale la morte è dormizione, i trapassati sono dormienti, ed i sepolcri non sono, che cimiteri, val quanto dire, come suona quella greca voce, dormitori. E questo, che tanto vale ad attenuarci l’apprensione della nostra morte, chi non vede quanto deve eziandio contribuire a disacerbarci il dolore per la perdita dei nostri cari, o parenti od amici, ogni qual volta possiamo avere fiducia, che siano state raccolte le loro anime sotto le grandi ali del perdono di Dio? Certo l’addolorarvi in questi casi è affetto naturale e legittimissimo; e S. Paolo non vi ammonisce già a non contristarvene; ma severamente a non contristarvene, come quei disgraziati, ai quali è mutola ogni speranza, e per quali la tomba ai fiori ed alle lagrime, che vi si spargono, non ha altra risposta, che il dubbio straziante od il nulla: Ut non contristemini sicut et cæteri, qui spem non habent (I . Thessal. IV, 13). Per contrario quella speranza cristiana ardisco dire, che può, come notò S. Agostino, condire di gaudio quel dolore. Contristamur nos in nostrorum mortibus necessitate amittendi, sed cum spe recipiendi; inde contristamur, hinc consolamur; inde infirmitas affìcit, hinc fides refìcit: inde dolet humana conditio, hinc sanat divina promissio (Serm. 32. De, Verb. Ap.). Che se sia parola non dei giusti, ma di quei miseri, i quali dopo una vita empia ed iniqua, o nessuna o quasi nessuna speranza lasciarono di salute; non vi pare, che per questi la morte sia un degno saggio della divina giustizia, che di là gli attende, e di qua un ristoramento dovuto alla pubblica indignazione, ed al pubblico scandalo, quando colle loro malvagità ebbero meritata quella, e destato questo? Oh! Gl’insensati! pigmei ridicoli si credettero, come i giganti della favola, rompere guerra a Giove; ma il Dio dei Cristiani è qualche cosa di più, che il Giove favoloso dei poeti. Egli, per santificazione dei suoi eletti, lasciò loro, per breve ora, lunga sul collo la briglia; e quella, che essi credettero fortuna, fu tremendo loro castigo. Accecati dall’orgoglio, invescati dalla lascivia, trascinati da cupidità insaziate, e, per estremo lor danno, ubriachi del riuscimento, trafficarono sulla fame dei poveri, insidiarono alla innocenza di caste colombe, mentirono, spergiurarono, tradirono per arrampicarsi ad un seggio potente; chi sa? assassinarono popoli e dinastie, spogliarono la Chiesa, e congiurarono adversus Deum et sanctum puerum eius Iesum (Act. IV, 27). Ne esultarono procacemente i malvagi, che n’ebbero spalla e conforto a misfare; ne piansero, se ne angosciarono i buoni, ai quali tardava talora di vederne il fine. Ma aspettate! Dio è paziente, perché Dio è eterno. Compiuto quel novero di delitti, la cui permissione entrava nel disegno della sua Provvidenza, ecco che Egli ne coglie al varco, quando meno sel pensano, gli autori nefandi; ne interrompe coi giorni iniqui i più iniqui consigli, e ve li fiacca, ve li getta a terra, oggimai diventati massa inerte d’imputridite carogne. Allora gli ultimi dei mortali potranno intuonar loro la fiera canzone, che si legge in Isaia: « E tu dunque ancora fosti sfolgorato siccome saremo noi; ed in questo almeno non fosti dissomigliante da quegl’infimi, che conculcasti! Et tu vulneratus es sicut et nos, nostri similis effectus es. La pretesa tua gloria fu trascinata ad oscurarsi nei luoghi bui: Detracta est ad inferos gloria tua; e, caduto il sozzo tuo carcame nell’abbandono della tomba, avrà per letto la tignuola, e per coltrice sepolcrale i vermi: Concidit cadavcr tuum: sub te sternetur tinea, et operimentum tuum erunt vermes (Isa. XIV, 10, 11).»Sicché vedete, Signori miei, che per noi Cristiani,non che sciogliersi il problema della morte, essa neppureè problema. Anzi, se ho a dirvi tutto intero ilmio pensiero, aggiungerò che, sia per rispetto ai buoni,sia per rispetto ai tristi, la morte è quella, che solamenteacchiude la spiegazione della vita; e questa daquella acquista scopo, dignità, valore di cosa che s’infuturanella perpetuità dei suoi effetti, e riceve confortodi giustizia sperata. Che se, nell’ordine fisico, i naturalistentano a determinare, onde mai si derivi nell’uomol’indeclinabile necessità della morte, nel moraleessa medesima diviene una verissima necessità;tanto che, senza la morte, non si potrebbe più nullaintendere della vita. Di qui si fa manifesta quella bellaparola di S. Agostino là, dove disse, che i giusti fanno lorprò della morte che è un male, come i malvagi fannolor danno della legge che è un bene; essendo proprio deiprimi il far medicina del veleno, e dei secondi il volgerein veleno la medicina: Mali male lege utuntur, quamvis lex sit bonum; et boni bene moriuntur, quamvis mors sit malum (De Civ. Dei Ub. 13, cap. 5.).

4. Ma è oggimai tempo di esaminare quale soluzione si dia al problema, o piuttosto ai problemi, che si affollano intorno al cataletto, dagli scredenti, che si professano avversi o certo estranei a quelle idee cristiane, le quali io, sotto molta brevità, testé vi ho esposte. Ora che volete che io vi dica? per cercarne che io abbia fatto con diligenza nei moderni filosofi, non ho trovato nulla, affatto nulla, che valesse la pena di essere preso ad esame. Essi non toccano questo punto, lo schivano a vero studio; e, condottivi alcuna volta dalla necessità del discorso, o lo saltano a piè pari. o se ne sbrigano con qualche frase vaga e insignificante sopra i destini avvenire dell’umanità, ovveramente intorno all’immedesimarsi, che farà lo spirito nell’unica sustanza del gran Tutto. Ma deh! che fa egli cotesto, quanto a satisfare a quel fremito d’indignazione, che tutti sentiamo nel fondo della coscienza, al ripensare, che, parificata ogni cosa per una medesima morte, il più ed il meglio della virtù debba rimanere, non che irremunerato, ma sconosciuto: e debba restare impunito ed inulto il peggio che ebbe il vizio, quando o riuscì ad inorpellarsi per ipocrisia, o poté più procacemente imbaldanzire, perché fortunato? Che fanno quelle frasi vaghe, insignificanti a risolvere almeno quel dubbio: Come mai la natura ci avrebbe inserita nell’animo la brama focosa di una felicità, della quale la morte, in mal punto, ci rivelerebbe essere cosa affatto impossibile a conseguirsi? Come non sarebbe ciò un’illusione? un ludibrio? quasi mi venne detto un tradimento? Gli antichi si accostarono a queste gravi disquisizioni con più coraggio, che non fanno i moderni; e quantunque, nel leggere i Dialoghi di Platone, notantemente il Timeo, le Tuscolane, o i de Finibus di Tullio, non si raccolga gran cosa, e per certi capi le perplessità crescano e si rinserrino; nondimeno è sempre decoroso, per filosofi di professione, non lasciare inesplorato questo campo, che dovrebb’essere l’ultimo termine di ogni sana filosofia. Anche Porfirio, come ricorda S. Agostino, si pose in traccia di una via universale da salvare le anime cercando viam communem salvandarum animarum (De Civ. Dei lib. 10, cap. 32); quantunque 1′ odio, che quel sofista avea giurato al Cristianesmo. non gli consentendo di cercarla in questo, dovette confessare, che né presso gl’Indi, né presso gli Egiziani, né presso i Caldei, né in verun’altra filosofia ne avea trovato alcun seniore. Ma, come dissi, i filosofi moderni non ne trattano, non se ne brigano, pare che neppure conoscano la esistenza e la possibilità di quei problemi; tanto che si direbbe, che il rimorso di una colpevole apostasia gì’impedisca dal pur tentare una materia, dalla quale temono di vedere disfavillare ai loro occhi una luce, la quale essi detestano, e per giusta punizione, forse non vedranno giammai. – Lasciando dunque stare i filosofi, ci dovremmo rivolgere, per pigliar lingua, alla gente del mondo anche colta e saputa. Ma questa, per un altro motivo, né sa, né vuol sapere di siffatte malinconie; ne schiva il pensiero, ne rifugge l’aspetto e, vivendo alla carlona, affogata nelle cure e nelle agitazioni secolaresche, quando a passi di gigante viene loro addosso la morte, più per altrui, che per proprio consiglio, non si oppongono talora, che entri a loro un prete, ad amministrare le così dette consolazioni religiose più ad un mezzo cadavere, che a un moribondo. E tutto è detto, e tutto è finito! Sicché, miei cari, dal mondo e dai suoi seguaci non ci è da spillar qualche cosa che valga intorno a questo gran problema della morie, per contrapporlo a ciò, che ne pensiamo e ne diciamo noi Cristiani. Tuttavolta se nei libri vi è poco o nulla, e nei discorsi secolareschi vi è anche meno quanto ad un tale soggetto; pure nella consuetudine della vita occorrono delle circostanze, nelle quali filosofi e mondani sono quasi obbligati a significare ciò che pensino di quel medesimo soggetto, sopra qualunque altro rilevantissimo. Ed il primo caso è, quando, per affezioni di amicizia e di parentela, ovvero per ragioni di convenienza, si trovano a dovere confortare al duro passo qualcuno che sia presso a morire, od a consolare il dolore di alcun altro, a cui morte abbia di fresco rapito un qualche capo carissimo: supponete un padre, una madre, un figliuolo, un marito, una sposa. Se non fosse che il caso è cotanto mesto, ci sarebbe davvero a ridere nell’udire quella mezza dozzina di voci scucite e incoerenti, che sono tutto il capitale confortatorio, di cui il mondo può valersi messo in cotali strette! Ma se non si può ridere, deh! a cui non farebbe compassione quel sentire uomini, talora gravi ed istruiti, balbettare: falò, necessità della natura, caducità umana; e per somma grazia: costanza nella sventura, ed Ente supremo? Ciò poi è sì miserabile e sguaiato, che in questi casi anche i men Cristiani parlano, o certo vogliono sentir parlare cristianamente; ed è lepido vederli tutto in opera, affine di cacciare morti nel paradiso dei Cristiani certi cotali, che, vivendo, non si curarono neppure di sapere se ci fosse o no un paradiso. Meno goffamente sterili si mostrano gli scredenti, quando si tratta di ornare con pubbliche laudi la memoria di alcun loro trapassato; massime se uomo di qualche levatura. Ma anche qui se non ci dite che queste laudi possono in un qualsiasi modo essere sapute dai laudati e rallegrarneli; se ci dite anzi che di loro non resta nulla, non si vede per qual motivo essi abbiano dovuto tanto affaticarsi per un guiderdone, del quale, non che godimento, non possono avere neppure contezza. Lo so che questa della gloria superstite è forse la più splendida delle umane illusioni; e certo, quando la sia governata accortamente, è la più profittevole al mondo, siccome quella, dalla quale la fatuità dell’uomo mondano è lautamente alimentata è potentemente sostenuta ad imprese ardue, ed a quella segnatamente, che tra tutte è arditissima, di farsi uccidere senza spesso saperne neppure il perché. Ma, se uscite dal giro delle idee cristiane, le quali sole sanno il modo, onde possono pei suoi servi in seno a Dio rinverdire gli allori caduchi della terra, tutte le cicalate necrologiche, più che laude dei trapassati, sono mezzi a gonfiare, la vanità ed a rinfocolare le passioni dei presenti. Ai quali, a’ dì nostri, si sono aggiunti sproni ai fianchi, col potere aspirare, a furia di abbiette iniquità, ad uno di quei monumenti, onde si sta lordando questa povera Italia; il cui vitupero ai suoi rigeneratori non pare compiuto, se non lo tramandano ai posteri col linguaggio dell’arte, e colla saldezza dei bronzi e dei marmi: speriamo che i posteri, per nostro onore, si vorranno pigliare il fastidio di spazzamela. Ma checché sia di ciò, dalle cose discorse mi pare dimostrato ad evidenza, solo il Cristianesimo spiegare il problema della morte, e da questo anzi pigliare lume a rischiarare e governare la vita. Quanto alla incredulità, essa, sia che ne discorra nei libri, sia che ne parli in piana terra, o dall’alto, è stata convinta di non capirne un iota; e le tenebre, dalle quali per lei rimane avvolto tutto ciò che è al di là della tomba, debbono lasciare non meno intenebrato tutto ciò, che di qua si trova. Il perché chi per sua sventura da noi passasse a quella, farebbe il baratto del Cristianesimo, non con un sistema, ma col nulla. Ora, trattandosi dei nostri destini avvenire, dai quali solamente si può pigliare norma sicura a regolare il presente, il nulla è troppo poco; e noi, almeno fino a tanto che l’incredulità non abbia trovato il modo di non farci morire, seguiteremo a pensare cristianamente della morte; e con ciò solo ci troveremo molto acconciamente disposti a riordinare la vita.

5. Si dice nei Salmi, che Iddio si ricorda che noi siamo polvere: Recordatus est quoniam pulvissiimus (Psal. CII, 14), per farci intendere, che questa memoria lo fa inchinevole a commiserazione delle nostre debolezze. Ma indarno lo ricorderebbe Iddio, se lo dimenticassimo noi; stante che la divina pietà esige la nostra corrispondenza ai suoi inviti, e la nostra cooperazione alla sua grazia. E però la S. Chiesa ci ricorda appunto quella nostra indeclinabile caducità, col severo Memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris, sicura, siccome è, che una siffatta rimembranza è pei Cristiani invito efficacissimo ai gravi pensieri della vita avvenire. Di qui voi vi conformerete alla intenzione dell’amorosa madre, se penserete alla morte, se ne penserete cristianamente: il che importa, come io vi diceva pocanzi, valersi di quel pensiero per rischiararne e regolarne la vita. Ora a ciò fare non vi ha tempo nell’anno più appropriato della santa già cominciata Quaresima. Il sacro digiuno; riverenza alla stess’ora e rammemorazione dei quaranta dì digiunati nel deserto dal Redentore; l’apparecchio alla nostra grande solennità della Pasqua, ed ai giorni mesti della Passione, che le vanno innanzi; il disporvi, che tutti dovete fare al santo precetto pasquale; la divina parola, che scenderà sopra di voi così copiosa, quasi rugiada celeste, a rinfrescare le vostre arsure e a confortare, a consolare le vostre coscienze; chi sa? a scuotere e spoltrire qualche cuore assonnato e anneghittito; la Chiesa medesima col silenzio dei suoi organi, colla grave mestizia dei suoi riti e colla tanto espressiva austerità dei suoi cantici; tutto c’invita e soavemente ci sforza ad entrare in questo sacro tempo-quaresimale con sincera compunzione di cuore, e con ferma risoluzione di ordinare a salute la nostra vita. Deh! miei amatissimi! il tempo è breve, la morte a ciascun di noi si avvicina a gran passi; e come a molti, che qui erano presenti la passata Quaresima, quella fu l’ultima, così sarà questa per molti che sono ora presenti. E potendo ciò avvenire per tutti, non vi pare, che la prudenza dovrebbe persuaderci a giovarcene per l’anima nostra, come se davvero questa dovesse essere l’ultima per ciascuno? Da un’altra parte l’avvenire è chiuso ai nostri occhi; ma non è tanto, che non si vegga torbida l’atmosfera e gravida di tempesta. Or quando pubbliche e private calamità vi dovessero incogliere, non sarebbe bene giovarsi di questo tempo accettevole, di questi giorni di salute, per rinsaldarsi in quella fede ed in quel santo divino timore, che chi sa come e quanto dovrà esservi insidiato! Ed il quale pure potrà essere balsamo alle vostre piaghe e conforto dolcissimo della vostra speranza? E perciocché parte l’indulgenza della Chiesa, parte le sanità debilitate, parte (e perché non dirlo?) la carità rattiepidita han fatto sì, che il digiuno quaresimale siasi ridotto a molto poca cosa, voi fate di supplire a quello, procurando alle anime vostre più largo e più assiduo il nutrimento della divina parola. S. Paolo, fino, dai suoi tempi, esortava a non deserere collectionem, cioè queste sacre riunioni, nelle quali lo Spirito Santo ci parla al cuore; e si lamentava della consuetudine prevaluta in alcuni di allontanarsene: Sicut consuetudinis est quibusdam (Hebr. X, 25). Oh! no! di voi nonsia così. Ponete anzi Ordine alle vostre faccende o domestiche,o esteriori di affari, pubblici e privati permodo, che vi resti il tempo di ascoltare la predica oqui o altrove, o a quest’ora o ad un’altra; ma nonfate mancare questo pascolo di salute alle anime vostre.Già vi dissi, che domani vi esporrò il modo, onde iointendo amministrando; ed ascoltando il soggetto, cheho divisato di trattarvi, vi accorgerete che questa mattinavi abbiamo posto un buon fondamento col solo èssercirinfrescato nella mente il concetto, che, secondola nostra fede, dobbiamo avere della morte. Ma comeio alla fatica di annunziarvi la divina parola aggiungeròle povere mie preghiere, perché essa vi torni fruttuosa;così voi pregate, che dall’alto mi venga quellastessa parola, per ischiudere le labbra con apostolicalibertà: ut detur mihi sermo in aperitione oris mei cum fiducia; sicché io vi possa far noto, il mistero dell’Evangelio, osando parlare come si addice al mio ministero, ed al vostra bisogno: Notum fàcere mysterium Evangelii … ita ut in ipso audeam prout oportet, me loqui (Ephes. VI, 19).

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (8)

I Quattro Angeli presso l’Eufrate. (Ap. IX, 13-16)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (8)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO TERZO

[4] E ho visto nella mano destra di colui che siede sul trono un libro scritto dentro e fuori, sigillato con sette sigilli. Il libro che qui si indica, scritto dentro e fuori, è ogni creatura del mondo, di cui Dio contempla l’interno e di cui conosce l’esterno; oppure supera il mondo esteriore, limitato per il potere della sua potenza, o lo scruta interiormente con la chiaroveggenza della sua Maestà. Si dice [questo libro] che sia sigillato con sette sigilli, per mostrare la composizione della settimana presente che è la lunghezza del mondo. O ancora che il libro scritto comprende i due Testamenti, il Vecchio ed il Nuovo. E ciò che dice dentro e fuori, vuol dire: fuori è ciò che si vede nella lettura, cioè la Legge prima della sua venuta; e dentro, tutto ciò che non è compreso, perché nella Legge è nascosto il Vangelo; come dice Ezechiele: « come se una ruota fosse in mezzo all’altra » (Ez. X, 10), cioè il Vangelo è rimasto dentro la Legge, ma occultato, come dice pure il salmista: « Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi con grandine e carboni ardenti. » (Psal. XVII, 12), perché il messaggio nei Profeti è oscuro. Ma con la voce di Salomone che lo testimonia, diciamo: « È gloria dei re nascondere una parola, è gloria di Dio scoprirne il significato » (Prov. XXV, 2). Infatti è un onore per tutti loro – cioè per i re – nascondere i loro segreti, ed è gloria di Dio annunciare e chiarire i misteri della sua parola. « Ciò che vi dico nel buio, ditelo nella luce (Mt. X, 27) », cioè rendete chiaro ciò che sentite nel buio delle allegorie. L’oscurità stessa del messaggio di Dio è di grande utilità, perché esercita l’intelligenza, in modo che si ampli per lo sforzo e, aguzzata che sia, capti ciò che l’ozioso non può captare. Ha anche un beneficio maggiore, in quanto l’intelligenza della Sacra Scrittura, che sarebbe degradata se fosse chiara a tutti, in alcuni oscuri passaggi alimenta lo spirito, così che ne trovi il significato con una dolcezza tanto maggiore quanto maggiore è la fatica dell’opera dello spirito che l’ha cercata. Guardate cosa dice ora la voce di Ezechiele: « Io guardavo quegli esseri ed ecco sul terreno una ruota al loro fianco » (Ez. I,15). Che cos’è la ruota se non il segno della Sacra Scrittura che da ogni punto si rivolge all’anima degli ascoltatori e non si discosta per nessun principio di errore dal percorso della sua predicazione? Essa si tiene dritta sotto tutti i punti di vista, perché cammina rettamente ed umilmente sia tra le cose avverse che tra le prospere. Il cerchio dei suoi precetti si trova sia al di sopra che al di sotto: infatti le cose che si dicono in senso spirituale per i più perfetti, i più deboli le comprendono in senso letterale, e i dotti attraverso l’intelligenza spirituale vanno nel più profondo. Chi infatti tra i piccoli, nei fatti di Esaù e Giacobbe, di cui l’uno è mandato a cacciare, mentre l’altro, con l’inganno della madre, è benedetto dal padre, non si pasce della storia del testo sacro? Infatti in questa storia, esaminata con sottigliezza, si vede che Giacobbe carpì la benedizione al primogenito, ma la ricevette come a sé dovuta, poiché ottenuta dal padre come mercede del suo ingegno. Ma se qualcuno, riflettendo più profondamente, vuole scoprire le azioni attraverso i segreti dell’allegoria, immediatamente dalla storia risale al mistero. Cosa significa che Isacco vuole mangiare la cacciagione del figlio maggiore, se non che Dio onnipotente volesse dal popolo giudeo una buona opera? Ma poiché esso indugiava, Rebecca mise al suo posto il più giovane: cioè mentre il popolo giudeo cercava le buone opere, la Madre della grazia introdusse al suo posto il popolo gentile, che ha presentato al Padre onnipotente il cibo delle buone opere ricevendone la benedizione in luogo del fratello maggiore. Egli presentò le prelibatezze proprie degli animali domestici, ed il popolo gentile che non cercava di compiacere Dio con sacrifici esteriori, come dice la voce del profeta: « su di me, o Dio, i voti che ti ho fatto: ti renderò azioni di grazie » (Psal. LV, 13). Che cosa significa che Giacobbe si coprì le mani, le braccia ed il collo con le pelli di un capretto, se non che aveva l’intenzione di offrire un capretto per il peccato, come il popolo dei Gentili che annichilò in sé i peccati della carne, non vergognandosi di confessare di essere stato coinvolto nei peccati della carne? Che cosa significa vestirsi con gli abiti del fratello maggiore, se non il rivestirsi della buona condotta del fratello maggiore con i comandi della Sacra Scrittura che erano stati dati al popolo maggiore; e che il più giovane utilizza in casa i precetti che il più grande, uscendo, lascia dietro di sé? Infatti il popolo dei Gentili possiede nell’anima quei precetti che il popolo giudeo non poté ritenere, poiché vi prestò attenzione solo in senso letterale. E cosa significa ancora che Isacco non riconosce l’identità del figlio a cui dà la sua benedizione, se non ciò che il Signore ha detto attraverso il salmista del popolo gentile: « il popolo che non conoscevo mi servì; son tutto orecchie, mi obbediscono »? (Psal. XVII, 45). Che cosa significa che Isacco non riconosce colui che gli sta davanti mentre prevede quel che accadrà in futuro, se non che Dio Onnipotente, attraverso i suoi Profeti annunciava alla gentilità la grazia che avrebbe concesso, e non riconosceva con la grazia – al presente – coloro che erano già nell’errore, e senza dubbio prevedeva di acquisire questa [la gentilità] con la grazia della benedizione? Perciò si dice nella benedizione a Giacobbe, che questi assume la figura del popolo gentile: « Ecco l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto » (Gen. XXVII, 27). Così dice anche la Verità nel Vangelo: « il campo è questo mondo » (Mt. XIII, 38). Ecco allora che il popolo gentile, condotto alla fede, diffonde le virtù in tutto il mondo attraverso i suoi eletti; il profumo del figlio è il profumo di un campo da loro ripieno. Infatti altro è l’odore  della vigna, e tanto grande è il potere e la conoscenza dei predicatori, da inebriare gli spiriti degli uditori. L’olivo profuma in un altro modo, perché soave è l’opera della misericordia, che come l’olio riscalda e dà luce; in altro modo profuma il fior della rosa, perché mirabile è la fragranza che si espande e profuma con l’aroma dei martiri. Altro ancora è il fiore del giglio, perché bianca è la carne della verginità incorrotta. Altro profumo è quello del fior della violetta, perché grande è la virtù degli umili, che occupano gli ultimi posti per loro volontà, ed anche se non si elevano in alto per la loro umiltà, conservano nell’anima la purezza della regione celeste. Altrimenti profuma la spiga, quando giunge la sua stagione, perché la perfezione delle buone opere si prepara a fare compagnia a chi ha fame di giustizia. Così dunque il popolo dei Gentili è nei suoi eletti, diffusi in tutto il mondo, ed è dalle loro virtù, che l’Onnipotente agisce con tutti coloro che ricevono il profumo della buona dottrina, per cui è detto a ragione: « Ecco l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. »Ma poiché non c’è virtù per meriti propri, si aggiunge: … a colui al quale il Signore ha dato la sua benedizione. E poiché il popolo stesso degli eletti è elevato per mezzo di alcuni alla contemplazione, e per mezzo di altri è arricchito dalle opere della vita attiva, ancora si aggiunge a ragione: che Dio vi dia la vette del cielo ed il grasso della terra.  La rugiada cade dall’alto dolcemente, ed ogni volta che riceviamo la rugiada dal cielo, vediamo qualcosa di celeste nell’effusione della contemplazione intima: quando noi facciamo delle opere buone mediante il corpo, è allora che siamo arricchiti dal grasso della terra. Che cosa significa che Esaù sia poi tornato da suo padre, se non che il popolo giudeo tornerà a compiacere Dio? Per questo nella benedizione si dice anche: « … ma poi, quando ti riscuoterai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo », verrà cioè il momento in cui spezzerai il giogo del tuo collo (Gen. XXVII, 40), perché infatti alla fine il popolo giudeo sarà libero dalla schiavitù del diavolo e dal peccato. Come sta scritto: « … fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato » (Rm. XI, 25). – Qual figliolo non si nutre del medesimo racconto evangelico del miracolo compiuto quando il Signore ordinò che le giare vuote fossero riempite d’acqua e subito trasformò quest’acqua in vino? Ma se gli evangelizzatori più attenti lo ascoltano con acutezza e, credendo, venerano la storia sacra, esaminano ciò che esso indica interiormente. Colui che era in grado di cambiare l’acqua in vino, era anche in grado di riempire subito i vasi vuoti con il vino. Ma invece ordina di riempirli d’acqua, perché il nostro cuore doveva essere riempito dalla storia di questa sacra lezione; l’acqua si trasforma in vino dentro di noi quando la storia medesima, per il mistero dell’allegoria, si muta in noi in intelligenza spirituale. – La ruota nel mezzo aderisce alla terra perché si adatta al piccolo con il suo umile sermone; mentre, versando beni spirituali sui grandi, si eleva verso l’alto come in un cerchio che si rialza là dove poco prima sembrava toccar terra. E poiché serve da esempio ovunque, la ruota corre quasi come in cerchio; per questo è stato scritto nel libro della Legge: « Farai anche un candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo. » (Es. XXV, 31). Qual è il segno del candeliere se non Colui che è designato come Redentore del genere umano? Egli infonde la luce della divinità nella natura umana, per essere il candelabro del mondo, perché nella sua luce ogni peccatore possa vedere le tenebre in cui è immerso; e poiché ha assunto la nostra natura senza macchia, il candelabro del tabernacolo è fatto con l’oro più puro. Esso si rende duttile nei colpi, perché il nostro Redentore, che con il suo concepimento e la sua nascita è rimasto perfetto Dio ed Uomo, ha sofferto la passione ed il dolore, ed è così giunto alla gloria della risurrezione. Egli era un candeliere duttile d’oro purissimo, perché non aveva peccato, eppure avanzava verso l’immortalità attraverso le sofferenze della passione. Infatti mancava completamente delle virtù dell’anima, con cui avrebbe potuto avanzare giorno per giorno per mezzo della persecuzione; ma nelle sue membra, che siamo noi, avanza di giorno in giorno per mezzo della persecuzione, perché è quando siamo battuti che riusciamo a meritare di essere suoi membri, ed Egli stesso avanza; è stato scritto di questo corpo: « … dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio. » (Col. II, 19). Tutti noi siamo il suo Corpo: attraverso le articolazioni ed i legamenti il corpo è unito, perché quando il torace è unito alla testa, e le braccia al torace, e le mani alle braccia, e le dita alle mani, e le rimanenti membra sono coese con le altre membra, tutto il corpo è ben composto. Così i santi Apostoli, che sono rimasti vicini al nostro Redentore, sono come il torace che è stato unito al capo. I martiri al loro seguito, erano come le braccia unite al torace. E quando i pastori e i dottori si unirono a loro con le loro buone opere, furono come le mani unite alle braccia. Tutto il Corpo del nostro Redentore è giorno per giorno unito e nutrito in cielo per mezzo di articolazioni e legamenti: cosicché quando gli eletti vi vengono portati, unisce a sé i loro membri. Per questo si dice giustamente: riceve nutrimento e coesione per realizzare la sua crescita in Dio: infatti Dio onnipotente, il nostro Redentore, che in sé non ha nulla per cui crescere, attraverso le sue membra riceve ogni giorno un aumento. Così è scritto di nuovo: « finché tutti noi arriviamo a Lui, allo stato di uomo perfetto, alla maturità della pienezza di Cristo » (Ef. IV, 13). Il fusto di quel candelabro deve essere inteso come la Chiesa stessa, che è il suo corpo che rimane integro in mezzo a tante avversità. I bracci che escono dal fusto sono i predicatori, che hanno comunicato al mondo un dolce suono, cioè un cantico nuovo. I calici sono di solito fatti per il vino. Quale altra cosa sono le menti degli ascoltatori, se non i calici che attraverso la predicazione dei Santi vengono riempiti con il vino della saggezza? Cos’altro sono i globi se non la fluidità della predicazione, perché una sfera gira ovunque, e la predicazione che non può essere messa a tacere dalle avversità, né si vanta nella prosperità, è come una sfera: essa è forte nelle avversità, umile nella prosperità e non ha angolo di paura o di vanità. Nel suo corso non può essere arrestata, perché attraversa tutte le cose con fluidità. Continuiamo ancora con quello che abbiamo dato come esempio: sul candeliere sono descritti i gigli, dopo i bracci, i bicchieri e i globi: perché dopo quello che abbiamo chiamato la grazia e la fluidità della predicazione, segue quella fiorente patria che rinverdisce nelle anime sante, cioè con i fiori eterni. I globi si riferiscono al lavoro; i gigli, al premio. Come in Mosè, i globi sono intesi essere la dottrina della predicazione, in modo che attraverso la ruota si riscopra la stessa Sacra Scrittura. Quando il Profeta vide i santi animali, aggiunse: Ho guardato gli animali ed ho visto una ruota al suolo. In questo testo, dobbiamo chiederci, dato che le ruote sono descritte come interne: perché si dice che dapprima sia apparsa una ruota, se non perché al popolo antico è stato concesso solo l’Antico Testamento, tanto da istruire la loro mente col farla girare come una ruota? Si dice giustamente che la stessa ruota è apparsa sulla terra, perché all’uomo peccatore è stato detto: tu sei terra e ritornerai nella terra (Gen. III, 19). Così una ruota è apparsa sulla terra, perché Dio Onnipotente ha dato la legge sopra il cuore dei peccatori. Ma poiché questi animali con le ali, come dicevamo, designano i santi Evangelisti, com’è che appaiono prima come animali e poi come una ruota, se non perché fu dato per prima l’Antico Testamento e poi i santi Evangelisti lo seguirono? In questo possiamo capire che coloro che sono superiori per merito sono stati visti per primi dal Profeta: infatti il santo Vangelo è superiore all’Antico Testamento, in quanto anche i suoi predicatori devono averlo anteposto nella descrizione profetica. C’è però un’altra cosa da considerare in questa descrizione: che lo spirito di profezia riunisce in sé nello stesso tempo l’anteriore ed il posteriore, in modo tale che la lingua del Profeta non possa annunciare contemporaneamente queste cose, ma le cose complesse che vede le annuncia in discorsi separati: e annuncia o il secondo dopo il primo, o il primo dopo il secondo. Per questo anche il Profeta Ezechiele, sotto la figura della santa Chiesa universale, vede la gloria degli Evangelisti a somiglianza di animali, ed aggiunge improvvisamente ciò che è accaduto in tempi passati, per indicarci chiaramente che ha visto nello stesso tempo ciò che la lingua mortale non è in grado di dire nello stesso tempo. E siccome abbiamo già detto che i quattro animali sono figure di uomini perfetti, dobbiamo considerare anche che c’erano alcuni Santi già prima della Legge che vivevano rettamente secondo la legge naturale e si compiacevano del Signore Onnipotente. Dopo gli animali, si descrive la ruota, perché c’erano già molti eletti, perfetti per il Signore onnipotente, prima della Legge. Ma se dobbiamo considerare, come abbiamo detto, gli animali solo come gli Evangelisti, c’è un’altra cosa che dobbiamo prendere in considerazione. Il santo Profeta vide che proprio queste parole, da lui pronunciate nell’oscurità, sarebbero diventate chiare, non al popolo giudeo, ma ai Gentili. Parlandoci ha descritto prima gli animali e poi la ruota, perché quando siamo giunti alla fede, per grazia di Dio, non abbiamo conosciuto il Vangelo per mezzo della Legge, ma la Legge per mezzo del santo Vangelo. Aggiunge ancora dove e come appare la ruota quando dice: « presso gli animali c’erano quattro facce » (Ez. I, 15); e più avanti dice: « l’aspetto delle ruote e la disposizione, come una visione del mare; e avevano tutte e quattro la stessa forma, e il loro aspetto e la loro disposizione era come se una ruota fosse dentro l’altra. » Cosa significa il parlare di una ruota, aggiungendo poco dopo … come ruota dentro una ruota, se non che nell’Antico Testamento era nascosto il Nuovo Testamento per mezzo di un’allegoria? Per questo motivo la ruota che è apparsa con gli animali è descritta con quattro facce: perché la Sacra Scrittura, attraverso entrambi i Testamenti, è divisa in quattro parti: l’Antico Testamento, nella Legge e nei Profeti; e il Nuovo Testamento, nei Vangeli e negli Atti e scritti degli Apostoli. Si sa che là dove volgiamo la faccia, colà vediamo ciò che è necessario. La ruota ha quattro facce perché prima ha visto attraverso la Legge i mali che dovevano essere eliminati dal popolo, poi li ha visto attraverso i Profeti; in modo più fine poi attraverso il Vangelo, ed infine attraverso gli Atti e negli scritti degli Apostoli ha visto ciò che doveva essere eliminato dei peccati degli uomini. Si può anche capire che la ruota abbia quattro facce, perché la Sacra Scrittura, resa nota nelle quattro parti del mondo, si è manifestata attraverso la predicazione. Per questo motivo, viene anche giustamente descritta dapprima la ruota come una sola, apparsa al fianco degli animali; e poi, come se essa avesse quattro facce: infatti se la Legge non è in armonia con il Vangelo, non viene fatta conoscere alle quattro parti del mondo. – E continua: l’aspetto delle ruote e la loro disposizione, come una visione del mare. Dice giustamente che le Sacre Scritture sono simili alla visione del mare, perché in esse ci sono sentenze di gran volume ed una ricchezza di significato. E non è senza ragione che si dica che la Sacra Scrittura sia simile alla visione del mare, perché in essa le affermazioni della parola sono confermate dal Sacramento del Battesimo. Certamente consideriamo che navighiamo sul mare con le navi, quando andiamo nei paesi desiderati. E qual è il nostro desiderio se non di quella terra, della quale è scritto: « sei tu la mia sorte nella terra dei viventi. »? (Psal. CXLI, 6). Come detto, chi attraversa il mare è portato da un legno, e sappiamo che la Sacra Scrittura ci preannuncia nella Legge il legno della croce, quando dice: « Maledetto è chiunque pende dall’albero » (Dt. XXI, 23). Lo testimonia Paolo del nostro Redentore, quando dice: « … Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi » (Gal. III,13). L’albero è annunciato anche dal Profeta quando dice: « il Signore regnerà dall’albero » (Psal. XCV, 10). E in un’altra occasione: « Abbattiamo l’albero nel suo rigoglio » (Ger. XI, 19). Attraverso il Vangelo, ci viene mostrato chiaramente l’albero della croce, con cui dai Profeti viene annunciata la stessa passione del Signore. Questa stessa croce si manifesta nelle parole e nei fatti attraverso gli Apostoli, quando Paolo dice: « Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo. » (Gal. VI, 14). E di nuovo: « quanto a me, Dio non voglia che io mi glori, se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo. » Per noi, che camminiamo verso la nostra patria eterna, la Sacra Scrittura con  le quattro facce rappresenta il mare, che annuncia la croce che ci porta attraverso il legno [dell’albero] alla terra dei viventi. Se il Profeta non avesse visto la Sacra Scrittura come un mare, non avrebbe detto: « perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare » (Is. XI, 9). E continua: è la stessa forma e il loro aspetto, e la disposizione dei quattro, come se una ruota fosse dentro l’altra. La stessa loro forma è di quattro: ciò che predica la Legge, lo predicano anche i Profeti; ciò che i Profeti annunciano, il Vangelo lo rende chiaro; e ciò che il Vangelo manifesta, gli Apostoli lo predicarono al mondo. La forma dei quattro è la stessa, perché le parole divine, sebbene lontane nel tempo, sono tuttavia unite nel loro significato. « … e il loro aspetto e la loro disposizione, come una ruota dentro una ruota, » è il Nuovo Testamento, come detto, dentro l’Antico Testamento, perché ciò che l’Antico Testamento adombrava, il Nuovo Testamento lo rende chiaro. Per fare alcuni esempi tra i tanti: che cosa significa che Eva è stata creata da Adamo mentre dormiva, se non che la Chiesa ha la sua origine nella morte di Cristo? Che cosa significa che Isacco è condotto al sacrificio, raccoglie la legna, è posto sull’altare e vive, se non che il nostro Redentore, condotto alla sua passione, ha portato il legno della croce, ed è morto per noi nel sacrificio della sua umanità in modo tale da rimanere immortale per la sua divinità? – Che cosa significa che « Lì dovrà abitare fino alla morte del sommo sacerdote » (Num. XXXV, 25) ed è tornato nella sua città, se non che il genere umano, che ha peccato, è stato messo a morte? Dopo la morte del vero Sacerdote, cioè del nostro Redentore, si è liberato dalle catene dei suoi peccati ed è tornato in possesso del Paradiso? Che cosa significa quando si ordina che nel Tabernacolo si fa un Propiziatorio, sul quale si collocano due cherubini, l’uno ad un’estremità ed il secondo all’altra, d’oro puro, con le ali spiegate e che coprono il coperchio, uno volto verso l’altro con il volto rivolto verso il Propiziatorio (Es. XXV, 17-19), se non che entrambi i Testamenti concordano tra loro come un mediatore tra Dio e gli uomini? Cosa c’è indicato nel Propiziatorio se non il Redentore del genere umano stesso? Di Lui si dice attraverso Paolo: « … Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue » (Rm. III, 25). Cosa si intende per mezzo dei due Cherubini, che si chiamano la pienezza della scienza, se non i due Testamenti, di cui l’uno si trova ad un’estremità del Propiziatorio, ed il secondo all’altra estremità? Perché ciò che l’Antico Testamento, per mezzo delle profezie, cominciò a promettere circa l’Incarnazione del nostro Redentore, il Nuovo Testamento lo descrive perfettamente realizzato. I due cherubini erano d’oro puro, perché entrambi i Testamenti sono scritti con la semplice e pura verità. Essi spiegano le loro ali e coprono il coperchio, perché noi, che siamo l’oracolo di Dio Onnipotente, siamo coperti dalle colpe che ci minacciano con la protezione della Sacra Scrittura; e quando osserviamo attentamente i suoi insegnamenti, le sue ali ci proteggono dall’errore dell’ignoranza. I due Cherubini stanno in piedi uno di fronte all’altro con il volto rivolto verso il Propiziatorio, perché i due Testamenti non differiscono affatto l’uno dall’altro; e l’uno e l’altro sembrano guardarsi tra di loro, cosicché l’uno promette, l’altro mostra, e quando si vedono entrambi situati tra il Mediatore di Dio e l’uomo, i Cherubini voltando il volto l’uno dall’altro, cosa vuol dire se non che ciò che un Testamento promette, l’altro nega? Ma quando manifestano il loro accordo sul mediatore tra Dio e gli uomini, vengono posti sul Propiziatorio in modo tale che entrambi si guardino l’un l’altro. C’è una ruota dentro una ruota, perché dentro l’Antico Testamento c’è il Nuovo Testamento: e come abbiamo già detto molte volte, ciò che l’Antico Testamento prometteva, il Nuovo Testamento lo ha manifestato; e ciò che il primo annunciava in modo velato, il secondo lo ha proclamato chiaramente. L’Antico Testamento è la profezia del Nuovo Testamento, e il Nuovo Testamento è la spiegazione dell’Antico Testamento. – E continua: « Potevano muoversi in quattro direzioni, senza aver bisogno di voltarsi nel muoversi. » (Ez. I, 17). Dove vanno le parole divine se non nel cuore degli uomini? Ma essi avanzano nelle quattro direzioni, perché la Sacra Scrittura si rivolge al cuore degli uomini attraverso la Legge, indicandone il mistero. Avanza attraverso i Profeti che annunciano il Signore in modo un po’ più chiaro. Procede attraverso il Vangelo, mostrando Colui che ha annunciato; continua attraverso gli Apostoli, che predicano Colui che il Padre ha mandato a nostra redenzione. Essi hanno, quindi, volto di ruote e strade, perché le parole divine danno notizia dei precetti con la manifestazione delle opere; ma avanzano nelle quattro direzioni, perché, come detto prima, parlano in tempi diversi: o perché certamente annunciano il Signore incarnato in tutte le regioni del mondo. E si aggiunge subito sulle ruote in modo chiaro: … e non hanno girato quando hanno camminato. Questo è stato detto prima degli animali; ma non si può capire come le ruote siano lo stesso che gli animali. Abbiamo detto che le ruote sono una figura del Testamento: e l’Antico Testamento andava avanti quando, predicandolo, arrivava alle anime degli uomini; ma andava indietro perché non riusciva a conservarsi fino alla fine secondo la lettera nei suoi precetti e nei suoi sacrifici. Infatti non è rimasto invariato perché ne mancava il senso spirituale. Così quando il nostro Redentore è venuto al mondo, ha fatto comprendere in modo spirituale ciò che ha trovato già affermato in modo carnale. Infatti, quando la sua lettera viene interpretata in senso spirituale, tutto quel rivestimento materiale prende vita in Lui. Il Nuovo Testamento, invece, anche nelle pagine dell’Antico Testamento, si chiama Testamento Eterno, perché il suo significato non muta mai. Per questo si dice giustamente che le ruote avanzano camminando, e non girano sul loro cammino: infatti quando il Nuovo Testamento non si annulla, e l’Antico Testamento è già compreso in senso spirituale, esse non girano sulle loro strade, che rimangono immutabili fino alla fine del mondo. Avanzano e non indietreggiano, perché raggiungono il nostro cuore spiritualmente in modo tale che i loro precetti o la loro conoscenza non cambiano più. – E continua: Avevano tutti stabilità nelle ruote, nell’altezza ed un aspetto orribile « La loro circonferenza era assai grande e i cerchi di tutt’e quattro erano pieni di occhi tutt’intorno. » (Ez. 1: 18). Che cosa significa quando si dice che le parole della Sacra Scrittura contengono questi tre elementi che essa menziona di avere: stabilità, altezza ed un aspetto orribile, cioè terribile? Dobbiamo chiederci con grande attenzione cosa si intenda per stabilità della Scrittura divina, e per altezza, e per aspetto terribile. Dobbiamo sapere che la stabilità corrisponde alla vita di chi opera bene. Perciò Paolo dice: « Chi sta in piedi si guardi bene dal cadere » (1 Cor. X, 12); e dice anche ai suoi discepoli: « rimanete saldi nel Signore, carissimi » (Fil. IV, 1). E il Profeta, che si vedeva con la sua vita e le sue vie davanti al Signore, dice: « Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto »  (3 Re XVII, 1). L’altezza è la promessa del regno eterno, verso il quale si avanza, quando tutta la corruzione della vita morta è già sottomessa. L’aspetto orribile è la paura dell’inferno che tiene nel timore senza fine i reprobi e li mantiene sempre nel terrore. La stabilità, quindi, consiste nella rettitudine nell’adempimento dei precetti; l’altezza, nell’elevazione verso l’eterna promessa; l’aspetto orribile, nelle minacce e nei terrori del successivo supplizio. La Sacra Scrittura ha, quindi, una stabilità perché dirige i costumi nel permanere in piedi, affinché le anime dei suoi uditori non si pieghino nella direzione della concupiscenza terrena; ha un’altezza perché promette le gioie della vita eterna nella patria celeste; ed ha anche un aspetto orribile perché minaccia tutti i reprobi con i supplizi dell’inferno. Essa mostra la sua stabilità nella costruzione della morale; mostra la sua altezza nella promessa delle ricompense; mostra il suo aspetto orribile nei terrori dei castighi. È dritta nei suoi precetti, elevata nelle sue promesse, orribile nelle sue minacce. Ha stabilità quando dice: desistete dal fare il male; « … imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova » (Is. I, 17). E in altra occasione: « … dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne » (Is. LVIII,7). È alta quando è detto dallo stesso Profeta: « Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. » (Is. LX, 19). Ha un aspetto orribile quando dice, descrivendo l’inferno: « Poiché è il giorno della vendetta del Signore, l’anno della retribuzione per l’avversario di Sion. I torrenti di quel paese si cambieranno in pece, la sua polvere in zolfo, la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né di giorno né di notte, » (Is. XXXIV, 8). Il beato Giobbe lo descrive anche dicendo: « … la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di caligine e di disordine, dove la luce è come le tenebre. » (Giob. X, 21). Ha stabilità quando il Signore, attraverso di essa, si mostra benevolo, dicendo che « Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a me – oracolo del Signore – così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome. » (Is. LXVI, 22). Rimarranno veramente alla Sua presenza. coloro che non sprecano la vita nel male. Ha altezza quando aggiunge subito: « In ogni mese al novilunio, e al sabato di ogni settimana, verrà ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore – oracolo del Signore. » (Is. LXVI, 23). Cos’è un mese se non la perfezione dei giorni, e cos’è il Sabbath se non il riposo, dove non è permesso alcun lavoro servile? È di mese in mese, perché chi vive perfettamente quaggiù è portato alla perfezione della gloria. E da sabato a sabato, perché coloro che abbandonano la loro cattiva condotta qui, riposano nell’aldilà in una retribuzione celeste. Ha un aspetto orribile quando aggiunge continuando: « … e quando uscirò, vedrete i cadaveri di coloro che si sono ribellati contro di me; il loro verme non morirà e il loro fuoco non si estinguerà. ».  Cosa si può dire o pensare di più orribile che ricevere la sentenza della condanna e non porre mai fine ai dolori dei castighi? A proposito di questo orribile aspetto delle ruote, è giustamente detto da Sofonia, quando fa notare che il giorno del giudizio sta arrivando per le anime indurite, che: « È vicino il gran giorno del Signore, è vicino e avanza a grandi passi. Una voce: Amaro è il giorno del Signore! anche un prode lo grida. Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e d’allarme sulle fortezze e sulle torri d’angolo. » (Sof. I, 14-16)– Una volta spiegato le caratteristiche della ruota esterna, rimane ora da esporre anche la stabilità, l’altezza e l’aspetto orribile della ruota interna. La ruota interna ha la sua stabilità quando, per mezzo del Santo Vangelo, ci proibisce l’inclinazione verso i desideri terreni, dicendo con le parole del nostro Redentore: « State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; » (Lc. XXI, 34). Ha la sua altezza quando si promette, secondo le parole dello stesso Salvatore che dice: « A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome »  (Gv. I, 12). Cosa si può dire che sia più alto di questo potere? Cosa c’è di più sublime di questa altezza, per cui un essere creato diventi figlio del Creatore? Assume un aspetto orribile quando, parlando del reprobo, dice: « … gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti … e se ne andranno al tormento eterno » (Mt. XXV, 25 e 46). Ha stabilità quando la Verità, dando consiglio ai discepoli, dice loro: « Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. » (Lc. XII, 33). Ha l’altezza della promessa quando dice: « Ora vi dico che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli »; ha un aspetto orribile quando dice: « … mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti » (Mt. VIII, 12). A questi stessi la voce della verità dice ancora: « Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati » (Gv. VIII, 24). Ha stabilità quando, con le parole del primo Pastore, si dice: « Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’amore fraterno, all’amore fraterno la carità » (2 Pt. I, 5). È alto quando poco dopo dice: « Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. » (v. 11). In un’altra occasione fa ancora una promessa ai buoni pastori dicendo: « E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce. » (1 Pt. V, 4). Ha un aspetto orribile quando dice: « Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta. » (2 Piet. III, 10). Essa ha stabilità per mezzo di Paolo, che ci solleva dai desideri terreni, dicendo: « Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria » (Col. III, 5). Ha altezza quando promette, dicendo: « la tua vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la tua vita, apparirà, allora anche tu apparirai nella gloria con Lui » (Col. II, 4). Ha un aspetto orribile quando minaccia dicendo: « … quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli Angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al Vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza » (2 Tess. I, 7-8). Ha stabilità quando ci mette in guardia, dicendo: « Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. » (1 Tess. V, 15). Ha altezza quando promette, dicendo: «  Se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui; se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo » (2 Tm. II, 1). E in altro luogo: « … le sofferenze di questo mondo non sono paragonabili alla gloria futura. »Sembra orribile quando minaccia col dire: « ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. » (Eb. X, 27). Lo stesso poi dice: « è tremendo cadere nelle mani del Dio vivente! » Riassume tutto questo pure in una breve frase, dicendo: « … comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità » (Ef. III: 18).  La carità è certamente ampia, perché comprende l’amore dei propri nemici, e per la stessa carità con cui il Creatore ci ama ampiamente, ci sopporta anche con longanimità. Dobbiamo, quindi, manifestare al nostro prossimo ciò che vediamo si manifesta a noi indegni, del nostro Creatore. La larghezza e la lunghezza appartengono alla stabilità, che amplia le abitudini attraverso l’amore, in modo che la carità sostenga i mali del nostro prossimo con la longanimità. L’altezza è la ricompensa dei premi eterni. Della sua immensità si dice: « né l’occhio ha visto né l’orecchio ha udito, né ha raggiunto il cuore dell’uomo ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano » (1 Cor. II, 9). Ha, quindi, un’altezza sublime, perché nessun pensiero è ormai in grado di scrutare le gioie eterne dei Santi. L’inimmaginabile condanna dei supplizi è anche profonda, perché fa sprofondare chi la riceve negli abissi, per i quali la Sacra Scrittura ha un aspetto terribile, perché infonde negli ascoltatori un terrore senza fine, quando annuncia i supplizi dell’inferno. Si dice giustamente, quindi, che le ruote avevano stabilità, altezza, ed un aspetto orribile, perché la Sacra Scrittura in entrambi i Testamenti è retta nei suoi consigli, alta nella sua promessa, e terribile nelle sue minacce. Tutte le altre cose, sia interne che esterne, sono rimaste nascoste perché, occultate, si nascondevano l’un l’altra. Ed entrambe queste cose non avrebbero mai potuto essere conosciute dalla Legge se non fossero state rivelate da Cristo, come dice: sigillate con sette sigilli, cioè chiuse con tutta la pienezza dei misteri. – E vidi un Angelo potente che proclamava a voce alta:Chi è degno di aprire il libro e di scioglierne i sigilli?” (Ap. V, 2). Questo potente Angelo, che si dice proclamare chiedendo chi sia degno di aprire il libro o di scioglierne i sigilli, dobbiamo ritenere che siano tutte le Scritture in coro, o i Santi Padri che, mossi dallo stupore divino, contemplando con gli occhi della fede la disposizione dei tempi presenti, o l’ordine di tutte le cose – cose sigillate per ordine di Dio – comprendono e sostengono che il loro autore sia il Signore della Maestà, e così dicono: chi è degno di comprendere tutto questo e di aprire i segreti del Signore, segreti che Egli ha distribuito nei giorni della settimana di questo mondo con ammirevole fermezza, creati con un ordine, determinati nel suo piano e realizzati con la sua potenza? Tuttavia, Cristo ha aperto chiaramente questo libro, quando, essendosi disposto alla realizzazione del piano del Padre, è nato ed ha sofferto. Guarda … il libro è aperto! Egli apre poi le profezie di entrambi i libri in modo tale da compiere in sé tutto ciò che era stato predetto su di Lui dai Patriarchi e dai Profeti, e così ascende alla croce, realizzando le profezie fino alla fine. Poi continua e mostra gli stessi sette sigilli; cioè ciò che Cristo stesso ha fatto: Egli che ne è il capo, indica che ha dovuto formarne il corpo, che è la Chiesa. E i sette sigilli, che sono aperti da Cristo, cioè che sono stati annunciati in tutto il mondo, sono questi: il primo è la sua Incarnazione, il secondo la sua Nascita, il terzo la sua Passione, il quarto la sua Morte, il quinto la sua Risurrezione, il sesto la sua Gloria, il settimo il suo Regno. Questi sette sigilli la Chiesa li tiene aperti, e questi sigilli sono gli atti della Chiesa dalla sua passione alla venuta del Signore, come aveva promesso, dicendo: Venite, vi mostrerò ciò che deve essere fatto dopo questo (Ap. IV, 1). Ma nessuno è stato in grado di aprire il libro o di leggerlo, né in cielo, né in terra, né sotto terra (Ap. V, 3). Nessuna di tutte le creature del cielo, della terra e degli abissi, cioè né i giusti, né i vivi, né i sepolti, hanno potuto aprire il libro o vederlo, cioè contemplare lo splendore della grazia del Nuovo Testamento, che è il Vangelo, così come i figli di Israele non potevano contemplare il volto velato di Mosè, cioè della Legge dell’Antico Testamento, che contiene al suo interno il Nuovo Testamento. E Io – dice – ho pianto molto, perché nessuno era stato trovato degno di aprire il libro o di vederlo. Per la sua fragilità e la sua umanità il santo ha pianto qui, perché ha previsto che nella Chiesa nessuno fosse stato talmente degno da poter capire chiaramente tutte queste cose, né penetrarle con la riflessione. Ora, però, la Chiesa piange di dolore, e implora addolorata la sua redenzione. Ma uno degli anziani mi disse: “Non piangere, perché il leone della tribù di Davide ha trionfato; Egli aprirà il libro e i suoi sigilli”. In uno degli anziani viene rappresentato l’intero corpo dei Profeti. I Profeti hanno confortato la Chiesa annunciando, attraverso le Scritture, il Cristo della tribù di Giuda, il germoglio di Davide, che avrebbe fatto la volontà di Dio e riscattato la Chiesa. Non è di ostacolo che sia stato mostrato a Giovanni, che è figura di tutta la Chiesa, ciò che era accaduto prima della Passione, dopo la Passione di Cristo. Perché chiunque crede in Cristo vede giustamente il passato già compiuto, e le cose nuove che devono ancora succedere, e che davanti a Dio sono già avvenute; e così si conosceranno dalle Scritture le ultime cose che sono le prime, e le prime che sono le ultime. Tutte queste cose erano nascoste in Cristo, perché non si poteva ottenere la salvezza se non attraverso Cristo, come sta scritto: « … mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di Lui » (Rom. V, 8). – Continua a descrivere come e dove il Leone della tribù di Giuda abbia vinto o vinca: per questo si riferisce al passato quando promette il futuro, perché in modo sottile lo Spirito nasconde il genere nella specie, e mostra il futuro con gli eventi passati. Nello stesso modo in cui Giacobbe manifestò mediante la benedizione ai figli, con il presente ciò che sarebbe accaduto loro in futuro. Poi vidi in piedi in mezzo al trono e ai quattro  animali e agli anziani, un agnello come ucciso; questo aveva sette corna e sette occhi, che sono i sette Spiriti di Dio, inviati in tutta la terra. Qui si riferisce chiaramente ancora a nostro Signore Gesù Cristo, del quale si diceva che non fosse morto, ma quasi ucciso dalla passione e dalla morte che aveva sofferto. E dice di averlo visto in mezzo al trono, cioè nella potenza e nella grandezza della sua divinità … e dei quattro animali, il che si intende del quadruplice ordine dei Vangeli … e in mezzo agli anziani, cioè alla Legge, con cui designa il coro dei Profeti o degli Apostoli. Testimonia di aver visto l’Agnello là, non ucciso, ma come se fosse stato ucciso, cioè che aveva vinto la morte e subìto la passione. Ma come abbiamo detto altrove, la Chiesa è i Patriarchi, i Profeti e gli Apostoli, e la Chiesa è il corpo del Capo supremo: Cristo: a volte nelle Scritture tutti questi membri, insieme al Capo, sono chiamati l’Agnello; altre volte, in modo speciale, lo è solo Cristo; ed altre volte, in modo generale, lo è tutta la Chiesa. E ciò che il Capo ha sofferto in altro tempo, ora soffre nella Chiesa attraverso i suoi membri, perché si è rivestito della sua Chiesa, che in Lui è come uccisa fino alla morte. Ed ogni giorno la Chiesa è uccisa per Cristo, perché viva con Lui per sempre. Che nessuno pensi che solo gli Apostoli o i martiri siano morti per Cristo e che il martirio sia finito e che non ci siano persecutori nella Chiesa. Un tempo c’erano martiri e persecutori; ed oggi pure ci sono i martiri ed i persecutori. Ci sono due tipi di martiri: gli uni lo sono apertamente per mezzo della spada, gli altri in occulto con la penitenza. E questi sono i figli degli Apostoli, perché sono stati generati nello stesso spirito. I loro persecutori sono i figli di coloro che hanno ucciso gli Apostoli, perché sono stati generati nello stesso spirito, e uccidono Cristo nella sua famiglia, e anche l’Agnello che rimane in piedi in mezzo agli anziani, per mezzo del suo Capo, viene ucciso fino alla fine del mondo nei suoi membri. Di questi l’Apostolo dice che « … per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio », crocifiggono cioè Cristo in modo spirituale (Eb. VI, 6). Che poi non fosse qualcosa di manifesto, lo chiarisce dicendo: « O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? » (Gal. III, 1). Per colpa di questi la Chiesa soffrirà fino alla fine ciò che ha sofferto fin dall’inizio. È necessario, infatti, che il Figlio dell’uomo debba « sempre salire a Gerusalemme eche il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai principi dei sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. » (Mc. VIII, 31). Quelli che Egli chiama principi sono i governanti di questo mondo o i sacerdoti che non vogliono vivere rettamente nella loro Chiesa. Su di loro è scritto: « un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo ». (Gen. XXV, 23), cioè l’ignorante servirà il prudente, perché quando il santo sopporta i torti del Principe, si dice che serva il minore. Attesta che questo Agnello viene sempre ucciso e che si manifesta per mezzo della sua passione. Ha – dice – sette corna e sette occhi. Nelle corna c’è la forza e la potenza di Cristo. Con il numero Sette si descrive la durata del mondo, che Egli governa con mano potente, e del quale è Signore Gesù Cristo. Come sta scritto: « Gesù pieno dello Spirito Santo » (Lc. IV, 1). Distribuisce alla sua Chiesa, per mezzo dei carismi e delle grazie i doni di questo Spirito, ed infatti non c’è su tutta la terra chi possa avere lo Spirito di Dio tranne la Chiesa. – Venne e prese il libro dalla mano destra di Colui che siede sul trono. Dobbiamo considerare con attenzione ed esporre chi sia Colui che si dice abbia preso il libro. È veramente l’Agnello, cioè l’Uomo assunto, che per la nostra salvezza si è degnato di consegnarsi volontariamente alla morte: questi è Colui che prende il libro, cioè la potenza delle opere di Dio, dalla destra di Colui che siede sul trono; Egli riceve tutte le cose da Dio Padre, come dice Egli stesso: « Tutto quello che il Padre possiede è mio » (Gv. XVI, 15). Ha preso questo libro quando, risuscitando dai morti, ha mostrato e fatto conoscere al mondo il mistero della Trinità, nascosto dall’eternità, e ha dato potere alla Chiesa, dicendo: « Come il Padre ha mandato me, così Io mando voi » (Gv. XX, 21). Ed Egli realizza in loro ciò che dona, dicendo: « Ecco, io sono con voi sempre, fino alla fine dei tempi » (Mt. XXVIII, 20). – E quando lo prese, i quattro animali e i ventiquattro vegliardi caddero davanti all’Agnello: cioè davanti a Gesù Cristo, che con lo stesso Agnello è seduto alla destra di Dio. Il trono e gli animali ed i vegliardi, tutti costoro sono l’Agnello. Si prostrano davanti all’Agnello, che è Cristo incarnato, morto e risorto. Seguendo le sue vestigia, si dice che si prostrino umiliati nella penitenza. Ognuno aveva un’arpa, cioè il cuore che canta le lodi …  e le coppe d’oro: queste coppe sono i vasi che si trovano in una casa lussuosa; le coppe sono le anime dei Santi … piene di profumi, che sono le preghiere dei santi; e cantavano un nuovo canto. La predicazione congiunta dell’Antico e del Nuovo Testamento ci fa conoscere il popolo cristiano che canta un canto nuovo, che proclama cioè pubblicamente la propria fede. La novità è che il Figlio di Dio si è fatto uomo. La novità è che è salito con il suo corpo in cielo. La novità è che concede a tutti il perdono dei peccati. La novità è che Egli conferma gli uomini con lo Spirito Santo. Nuovo è ricevere il sacerdozio del sacro culto ed attendere il Regno delle promesse infinite. L’arpa, una corda tesa su di un legno, è figura della carne di Cristo unita all’albero della passione, o anche il cuore dei santi fedeli che cantano le lodi. Le coppe d’oro sono figura della professione di fede e del lignaggio del nuovo sacerdozio. Con il canto di una moltitudine di Angeli si annuncia la salvezza per gli uomini, con la voce di una moltitudine di Angeli, o meglio di tutti, è l’acclamazione e la testimonianza di tutta la creazione che esprime gratitudine a nostro Signore per la liberazione degli uomini dalla condanna della morte. Queste coppe d’oro sono le stesse coppe di una casa lussuosa, che cantano un nuovo canto, dicendo: Tu sei degno, Signore, di aprire il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato ucciso e con il tuo sangue ci hai comprato per Dio: uomini di ogni tribù, popolo, lingua e nazione. E tu ci hai fatto un regno di sacerdoti per il nostro Dio, e noi regneremo sulla terra. Indica qui che gli animali ed i vegliardi sono la Chiesa con il dire … ci hai redenti con il tuo sangue; si indica in quale cielo siano questi animali e questi vegliardi, quando è detto … hai fatto di noi un regno di sacerdoti e che regneremo sulla terra; indica inoltre che la Chiesa prende il libro in Cristo quando i redenti di ogni popolo e tribù e razza e lingua non dicono … sei degno e ricevesti, ma che sei degno di ricevere: Perché quella [la Chiesa] che ha ricevuto da Cristo tutto il potere in cielo e in terra alla sua risurrezione lo conserva fino alla fine, risuscitando dai morti attraverso il Battesimo e rimanendo sempre unita a Cristo. E il Signore ha portato alla perfezione in essa ciò che aveva iniziato; ed è incoronato in essa che incorona. Nulla è infatti stato fatto o possiede, senza il suo Corpo. – E ho visto e sentito la voce di una moltitudine di Angeli intorno al trono, ed intorno ai quattro animali ed intorno ai vegliardi. Ci mostra che cosa sia il trono, gli animali e gli anziani in mezzo ai quali ha sentito una voce. Questi Angeli sono i Santi: se sono figli amati di Dio, perché non dovrebbero essere chiamati anch’essi Angeli? Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia. Miriadi in greco significa migliaia di migliaia, cioè innumerevoli, ed hanno detto a gran voce: Degno è l’agnello ucciso di ricevere potere, ricchezza, saggezza, forza, onore. gloria e lode: e ogni sorta di creatura in cielo, e in terra, e sotto terra, e nel mare, e tutto ciò che vi si trova. Dicevano a caso del Signore: l’Agnello ucciso è degno di ricevere ricchezza e sapienza, poiché è il tesoro di tutti e la sapienza di Dio? Piuttosto, Egli afferma questa potestà nel suo Corpo, nella Chiesa. Ma siccome la Chiesa è il suo corpo, Egli si riferisce ad essa così come alla testa, dicendo: … ed ogni creatura in cielo ed in terra. Anche se non è difficile per la Chiesa riceverla, essa l’ha ricevuta con Colui che è risorto dai morti. Se non è difficile avere nei membri ciò che ha una testa, non può essere considerato ingiusto ciò che dice la Chiesa, che è degna di ogni creatura: infatti, anche se ognuno dei membri con pia umiltà si considera indegno in questo mondo, pure diciamo che tutto il corpo è partecipe della sua testa, come è scritto: « Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui? » (Rm. VIII, 32) Ed ecco – dice – che tutti rispondono: a Colui che siede sul trono, cioè al Padre e al Figlio e all’Agnello che è la Chiesa: lode, onore, gloria e sapienza nei secoli dei secoli. E i quattro animali dicevano: Amen. E gli anziani si prostravano ed adoravano. La Chiesa così dice Amen. Gli stessi animali sono gli anziani che, dopo aver dato la loro testimonianza dicendo Amen, adorano la Chiesa descritta, e proclamano la sua missione e le sue opere dall’inizio alla fine. L’apertura dei sigilli, come detto…

TERMINA IL LIBRO TERZO

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (9)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (7)

Cavalli con la coda di leoni.

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (7)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO TERZO

COMINCIA IL LIBRO TERZO

Ricapitola dalla nascita di Cristo, dicendo in altro modo le stesse verità.

[1] Dopo aver concluso con le sette chiese, divise a somiglianza della settimana di questo mondo, e dando loro diversi nomi simbolici, fa nuovamente conoscere ciò che ha visto: allora ho avuto – dice – la seguente visione: una porta è stata aperta in cielo (cap. IV). Dopo tanta manifestazione di chiarezza, contemplata con mente fedele, gli si aprono i segreti del cielo e gli viene mostrato il mistero divino celato. Lo interiorizza così nel suo spirito e medita i segreti di Dio con la riflessione della fede. Intravede davanti a sé una porta aperta attraverso la quale arrivare con mente avida alla conoscenza di una così grande maestosità. Ricapitola tutto il tempo della Chiesa nelle varie figure, dicendo: Ho visto una porta aperta nel cielo. La porta aperta è riferita a Cristo, che è nato ed ha patito, e quindi è Egli la porta. Chiama la Chiesa il cielo, in cui vediamo noi stessi, come la Scrittura in precedenza ci ha anticipato. La Chiesa è giustamente chiamata cielo, perché è la dimora di Dio, è là dove si compiono i misteri celesti. Per questo chiediamo che la volontà di Dio sia fatta in cielo. A volte chiama la Chiesa cielo e terra, quando cioè la carne terrena aspira per mezzo della fede al cielo. A volte il cielo e la terra sono la Chiesa ed il popolo. Infatti la terra è sia il bene che il male. Secondo dice l’Apostolo, « … e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli. » (Col. I, 20). Nel cielo non c’erano scandali, però tra il cielo e la terra c’era discordia. In Giudea la Chiesa è sempre stata unita a Dio, ma in spirito, non in un corpo rinnovato. Tuttavia, sulla terra c’era discordia tra il popolo giudeo ed i gentili. Per questo lo stesso Apostolo dice che entrambi sono rinnovati e riconciliati con Dio. E mentre i gentili erano nel mondo senza Dio, ora essi sono con Cristo. « Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace … Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. » (Ef. II, 13-14 e 18). Come dice S. Luca, « gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà » (Lc. II, 14). « Convoca il cielo dall’alto e la terra al giudizio del suo popolo » (Psal. XLIX, 4). Alcuni confermano in vari modi, che omettiamo per brevità, che il cielo e la terra siano la Chiesa, perché si ritiene che il cielo sia l’anima dell’uomo e la terra la sua carne terrena: anima e carne unite, entrambe spiritualmente consenzienti. Per questo diciamo che il cielo è la Chiesa e la terra pure è la Chiesa.

TERMINA LA SPIEGAZIONE DELLA PORTA

COMINCIA LA SUA STORIA NEL LIBRO TERZO

(Ap. IV, 1-6)

Post hæc vidi: et ecce ostium apertum in cœlo, et vox prima, quam audivi tamquam tubæ loquentis mecum, dicens: Ascende huc, et ostendam tibi quae oportet fieri post hæc. Et statim fui in spiritu: et ecce sedes posita erat in caelo, et supra sedem sedens. Et qui sedebat similis erat aspectui lapidis jaspidis, et sardinis: et iris erat in circuitu sedis similis visioni smaragdinæ. Et in circuitu sedis sedilia viginti quatuor: et super thronos viginti quatuor seniores sedentes, circumamicti vestimentis albis, et in capitibus eorum coronae aureæ. Et de throno procedebant fulgura, et voces, et tonitrua: et septem lampades ardentes ante thronum, qui sunt septem spiritus Dei. Et in conspectu sedis tamquam mare vitreum simile crystallo.

(Dopo di ciò vidi, ed ecco una porta aperta nel cielo, e quella prima voce che udii come di tromba che parlava con me, dice: Sali qua, e ti farò vedere le cose che debbono accadere in appresso. E subito fui rapito in ispirito: ed ecco che un trono era alzato nel cielo, e sopra del trono uno stava a sedere. E colui che stava a sedere era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardio e intorno al trono era un’iride, simile d’aspetto a uno smeraldo. E intorno al trono ventiquattro sedie: e sopra le sedie sedevano ventiquattro seniori, vestiti di bianche vesti, e sulle loro teste corone di oro: “e dal trono partivano folgori, e voci, e tuoni: e dinanzi al trono sette lampade ardenti, le quali sono i sette spiriti di Dio. E in faccia al trono come un mare di vetro somigliante al cristallo.).

[2] La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva. Si vuol dire che non sentiva distinta nessun altra cosa, se non quella voce che aveva già sentito con l’apertura della porta del cielo; e mentre il Signore, come ad un ignorante, si accingeva a rivelargli qualche suo segreto, spaventato dalla manifestazione della sua potenza, cadeva ai piedi della Maestà. Affinché non si intendesse che la voce sentita in precedenza fosse quella di una bocca carnale, la assimila ad una tromba, che emette il suono una volta che, raccolta l’aria, la si espelle producendo il suono all’esterno; così è per chi, ricevuta la Parola del Signore, percepisce con l’ispirazione del suo spirito senza suono, ciò che poi manifesta all’esterno. Ma si deve anche comprendere, attraverso quella porta aperta, che essa sia la rivelazione del Vangelo; la voce che dice di aver già sentito in precedenza, sono le parole della Legge e dei Profeti, che mettono in accordo ciò che è nuovo con il vecchio per produrre ciò che dice il salmista: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia; » (Psal. LXII, 12), vale a dire, si premurò che fossimo istruiti in ciò che manifestò ai nostri padri attraverso le Sacre Scritture. Questo può essere inteso in modo ancor più sottile, e cioè che il Padre abbia generato il suo Figlio unigenito, eguale a Se stesso. Infatti il parlare di Dio, significa aver generato il Verbo. Parlare una volta sola, è non avere altro Verbo oltre l’Unigenito. Dopo l’inspirazione delle anime, dopo la rivelazione del mistero, dice: venite quassù, vi mostrerò cosa succederà dopo. L’ascesa che indica qui è quella, una volta disprezzato il mondo, di venire alla Chiesa, come sta scritto: « Venite, andiamo a Sion il monte del Signore » (Is. II, 3). Questo è ciò che la Scrittura dice ai credenti: « Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion. » (Psal. LXXXIII, 8). Entrando nel “sancta sanctorum“, dove per primo è entrato nostro Signore Gesù Cristo, fatto Pontefice in eterno con il sangue della sua passione, il santo è qui invitato a meritare il godimento della presenza stessa del Signore, ed a conoscere non solo quel che sapeva della verità del passato, ma anche quello che accadrà in futuro. In quell’istante, dice, sono caduto in estasi. Chi non comprende che non parla di alcunché di carnale, colui che descrive il suo essere rapito nello spirito? San Giovanni, il più caro al suo Dio, non avvertì nulla di corporeo, nulla di terreno, ma cadde in estasi per contemplare il Dio nella maestosità, che vedeva in spirito e non contemplava nella carne. Poi dice: Ho visto che c’era un trono in cielo e uno stava seduto sul trono. Il trono che c’era è il regno sopra il regno, cioè il potere, la forza e la verità della Divinità che risiede nella Chiesa. E colui che stava a sedere – dice – era nell’aspetto simile ad una pietra di diaspro e di sardio ed intorno al trono era un’iride, simile d’aspetto a uno smeraldo. La pietra di diaspro irradia un bagliore verde molto intenso, affinché si possa capire che la carne dell’uomo assunta da Cristo e ricevuta senza macchia di peccato, risplenda con la forza della purezza eterna e per la presenza della potenza divina. Il Sardio pure, è una pietra rossastra, ma è poco appariscente per una sua certa opacità, cosicché si possa comprendere la purezza della carne immacolata, ricevuta dalla Vergine, vereconda ed umile; ed ancor perché si possa comprendere un altro significato di queste due pietre, ascoltate: il diaspro è il colore dell’acqua, e il sardio è quello del fuoco: questi due giudizi sono stati stabiliti fino alla consumazione del mondo sul tribunale di Dio. In esso si manifestano due tipi di giudizi: uno è già stato consumato nel diluvio per mezzo dell’acqua, l’altro sarà consumato per mezzo del fuoco. Queste comparazioni sono legate alla Chiesa della quale si è rivestito il Signore. L’iride circondava il trono. L’iride che circonda il trono ha gli stessi colori. L’iride è chiamato anche arcobaleno; di esso il Signore parlò a Noè ed ai suoi figli, perché non temessero Dio nei loro discendenti: ho messo il mio arco nelle nuvole (Gen. IX,13), perché non temereste più l’acqua, bensì il fuoco. Perché nell’arco appare contemporaneamente il colore dell’acqua e del fuoco, poiché in parte è verdastro ed in parte rossastro, a testimoniare entrambi i giudizi: di questi uno è da eseguirsi con il fuoco, l’altro è stato già eseguito con l’acqua. Anche in un altro modo l’arcobaleno, con il fuoco e l’acqua, è segno dello Spirito Santo e del Battesimo, perché dopo la venuta di Cristo sul genere umano ha brillato la forza dello Spirito Santo che ha lavato con l’acqua del Battesimo gli eletti di Dio, e li ha illuminati con il fuoco dell’amore divino. Secondo dice la Verità: « … chi non è rinato d’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio » (Gv. III, 5). Questo arco poi è tra le nuvole nei giorni di pioggia, nuvole che sono la carne di Cristo, la cui pioggia sono le parole della predicazione. Infatti è nell’Incarnazione del Signore che si manifesta la rugiada della predicazione, perché attraverso il perdono del Signore i cuori dei credenti si volgano alla riconciliazione. Di questa nube è stato scritto: « … fai delle nubi il tuo carro », (Psal. CIII, 3). Il Signore fa della nube il suo veicolo ascensionale, perché Colui che come Divinità è in ogni luogo, è salito al cielo con la carne. Ezechiele un tempo lo ha visto « … come di elettro, con l’aspetto di fuoco, e con la forma dell’arco che si forma nelle nubi in un giorno di pioggia » (Ez. I, 27, 28). Nell’elettro, l’oro e l’argento si mescolano, in modo da far emergere un’unica realtà formata dai due metalli, nella quale la luminosità dell’oro viene attenuata per mezzo dell’argento, e l’aspetto dell’argento viene illuminato mediante la luminosità dell’oro. Nel nostro Redentore entrambe le nature, quella divina e quella umana, sono unite tra loro in modo indiviso ed inseparabile, cosicché attraverso la sua umanità sia temperata ai nostri occhi la radiosità della sua divinità, e per la sua divinità risplenda in Lui la natura umana. Possiamo anche chiamare « nuvole » i santi predicatori, perché fanno piovere con le loro parole, e brillano per i loro miracoli. Di quelli si dice … si muovano come le nuvole, perché, anche se vivono sulla terra, tutto ciò che hanno fatto è stato ultraterreno; infatti, camminando nella carne, hanno combattuto non con la carne, ma con lo spirito. Ho visto ventiquattro troni intorno al trono, e seduti sui troni, ventiquattro anziani in vesti bianche, con corone d’oro sulla testa. Ecco come abbia chiaramente manifestato il coro dei Patriarchi e degli Apostoli, seduti sulla Cattedra della santa dottrina. Li chiama anche anziani, cioè padri, e son rivestiti con abiti bianchi, cioè con la giustificazione della grazia e della purezza. Indossando poi corone d’oro sulla testa, sono stati proclamati vincitori tra i presenti. Trucidato che fu il diavolo, il nemico malvagio, ricevettero le corone del Signore. A proposito di queste corone, Paolo – il vaso d’elezione – ha commentato: « Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. » (2 Tm. IV, 7). Pertanto, anche la Chiesa, come le dodici tribù di Israele, è fondata sul numero dodici, che è un giorno. E come il giorno, racchiuso tra giorno e notte, ha ventiquattro ore e si chiama un giorno, così la Legge, prima della venuta del Signore, risplendeva solo nei Patriarchi e nei Profeti, mentre negli altri c’era notte. Ma nel Nuovo Testamento, che presenta Cristo nella carne, la sua manifestazione è chiamata luce e giorno. Il sole è Cristo secondo il profeta: « per voi che temete  il Signore, sorgerà il sole della giustizia » (Mal. IV, 2); e scelse i suoi Apostoli in numero di dodici, come le ore del giorno. Di loro disse: « voi siete la luce del mondo » (Mt.  V, 14). E a questi dodici Apostoli unì l’intero corpo episcopale. E a tutto il corpo episcopale aggiunse tutto il popolo cristiano, perché il sesto giorno Dio fece Adamo, e comandò che la donna gli fosse sottomessa come un aiuto. Questa donna era il simbolo di tutto il popolo cristiano, mentre Adamo prefigurava tutti i sacerdoti. Così, i Cristiani spirituali saranno sottomessi ai santi sacerdoti, come la moglie al marito. I sacerdoti devono adoperarsi nei confronti di coloro che sono meno perfetti, affinché, attraverso il latte della predicazione, e man mano fino al cibo solido, possano anch’essi conoscere il Padre ed il Figlio e lo Spirito Santo. Riguardo a ciò che abbiamo detto, l’Apostolo dice: la testa della donna è l’uomo. Il capo dell’uomo è Cristo, il capo di Cristo è Dio (1 Cor. XI, 3). Osservate come i membri non siano separati, ed infatti attraverso i sacerdoti tutta la Chiesa rimane unita a Cristo. In quei dodici si indicano gli Apostoli, e per essi, il corpo intero dei santi Vescovi. È questo quanto ritroviamo nella descrizione della città di Gerusalemme che scende dal cielo, da Dio all’uomo Cristo, da Cristo agli Apostoli, dagli Apostoli ai Vescovi, dai Vescovi ai presbiteri, dai Vescovi e presbiteri al restante popolo. Attraverso questi gradi, la città di Gerusalemme scende sulla terra; e attraverso questi stessi, risale in cielo ogni giorno. Questi ventiquattro troni, che rappresentano la distinzione delle funzioni, sono dodici, perché anche i presbiteri provengono dalle dodici tribù di Israele. E i dodici troni, nell’accezione spirituale del numero, sono un unico trono, che è appunto la Chiesa. Su di esso siederà il Signore Gesù Cristo – Egli solo – per il giudizio. Siederà anche e giudicherà le dodici tribù di Israele, la Chiesa stabilita nel numero dodici, cioè in Cristo, con il Quale è tutt’uno: siederà e giudicherà tutti i membri, ma in uno e solo capo, cioè Cristo. Come possono infatti i Santi sedere in giudizio, in piedi alla destra del Giudice? – Dal trono procedono fulmini, grida e tuoni, e sette lampade di fuoco che bruciano, che sono i sette spiriti di Dio. Si voleva qui che si capisse che tutta la predicazione degli antichi Apostoli, ed anche la dottrina celeste e santa, procede dal giudizio di Dio e dall’ispirazione di Dio. Il fulmine sono le parole di tutti i Santi, ed ugualmente i tuoni si comprende siano le voci dei predicatori. Proclamiamo che tutto questo procede da un unico Autore, Dio. Di questi fulmini e turbini si dice: « Il fragore dei tuoi tuoni nel turbine » (Psal. LXXVI, 19). Il turbine è la Scrittura, poiché dice: « Le sue folgori rischiarano il mondo: vede e sussulta la terra. » (Psal. XCVI, 4). Tutto questo non ha un’origine propria, ma è dichiarato essere proveniente dal trono di Dio, che è la Chiesa; dalla Sua volontà, cioè dalla potenza del Creatore o dai Suoi ordini. Le sette fiaccole che bruciano davanti al trono sono i settiformi doni dello Spirito Santo, di cui abbiamo già parlato diffusamente in precedenza. Si indica che essi assistano al trono in quanto sono congiunti a Dio; e coloro ai quali questi doni sono dati per grazia, sono con Dio; come si dice altrove: « … essi, che si avvicinano ai suoi piedi, ricevono la sua dottrina. » (Dt. XXXIII, 3). Anche Ezechiele parlava apertamente di questo fuoco e di queste torce quando diceva: « Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro » (Ez. I, 13). Il suo aspetto è come i carboni accesi con il fuoco e le torce; chiunque tocca i carboni brucia: infatti chiunque aderisce ad un sant’uomo con la frequenza della sua visione e della sua parola, ne riceve l’esempio dalla sua condotta, cosicché si accenda nell’amore della verità, faccia fuggire le tenebre dei suoi peccati, brilli di desiderio della luce, e bruci con vero amore ciò che, morto e come freddo, giaceva in precedenza nell’iniquità. Le torce diffondono da lontano la loro luce e, trovandosi in un luogo, ne illuminano anche altri. – In colui che è animato dallo spirito di profezia, dalla parola della sua dottrina, dalla grazia dei miracoli, la propria opinione si irradia in lungo ed in largo, come la lampada. E coloro che ascoltano le sue buone disposizioni, per così dire, si elevano all’amore delle cose celesti e sprigionano luce come una torcia, perché si manifestino con le buone opere. È così che i Santi, per coloro che li avvicinano e li toccano, illuminandosi con l’amore della patria celeste, sono dei carboni ardenti; e sono pure torce perché danno luce a coloro che sono lontani, in modo che sulla loro strada non incorrano nelle tenebre del loro peccato. La differenza tra i carboni e le torce è che i carboni ardono, ma non dissipano l’oscurità oltre lo spazio in cui si trovano. Ma le torce, poiché brillano di una maggiore fiamma di luce, scacciano il buio che si diffonde intorno a loro. Da questo fatto si deve notare che ci sono molti Santi, semplici e nascosti, rinchiusi da un grande anonimato in luoghi angusti, tanto che gli altri possano a malapena conoscerne l’esistenza: cosa sono questi se non carboni ardenti? Infatti, pur possedendo il fuoco dello spirito per il loro fervore, non hanno la fiamma dell’esempio, né cacciano le tenebre del peccato dal cuore degli altri, perché impediscono totalmente che la loro vita sia conosciuta. Certo, possiedono il fuoco, ma non servono come modello di luce per gli altri. Invece, coloro che rendono evidenti gli esempi delle loro virtù e mostrano la luce della loro buona condotta ai viatori, con la loro vita e la parola sono chiamati giustamente torce: infatti scacciano le macchie del peccato e gli errori delle tenebre con il fuoco del desiderio e con la fiamma della parola. Colui che vive rettamente in solitudine, ma non reca beneficio in alcun modo ad un altro, è carbone. Ma colui che, con l’esempio di santità, si pone come luce di giustizia per molti, è torcia, poiché possiede il fuoco e dà luce agli altri. – Davanti al trono c’è come un mare di vetro, come un cristallo. Il mare vitreo, cioè trasparente, manifesta il dono del Battesimo. Esso dimostra come sia stata data un’acqua pulita e calma, non increspata dal vento, non torrenziale come lungo un pendio, ma immobile appunto come un dono di Dio. E quando dice che ci sono lampade intorno al trono, che sono gli spiriti ed un mare di vetro intorno al trono, mostra che lo spirito è nel luogo dove si trova la fonte del Battesimo. Perché il mare è acqua che non è dolce, ma amara. Cos’è questo mare se non il Battesimo e la penitenza? Egli dice: davanti al trono c’è un mare vitreo, come il cristallo. Il vetro si rompe facilmente; così anche il Battesimo in noi si infrange facilmente ed messo in pericolo. La vita di questo mondo è infatti scivolosa e soggetta ad una glaciale iniquità: quando viene sciolta dal calore di una lieve concupiscenza, ne è più facile la caduta e la rovina per i miseri. Geremia è sommerso nelle profondità di una cisterna, sotto il potere di un re iniquo; questo è la giustizia sommersa nel fango dei peccati quando viene sconfitta dal diavolo. Ma il fedele etiope, il peccatore convertito alla penitenza, lo fa uscire dal fango e lo riporta alla luce con trenta uomini – cioè o con l’aiuto della Santa Trinità, o con il lavoro dell’anima, dello spirito e del corpo – e lo estrae dalle profondità del pozzo (Ger. XXXVIII. 6) con il lanciargli strisce di stoffa, cioè riportando alla sua memoria le azioni degli antichi padri, che, caduti per il peccato, sono risaliti dalle profondità del male – con la penitenza – alle cose celesti … « antichi esempi nascosti »; e con le corde, cioè con le testimonianze delle Scritture. Si soddisfa così anche la Legge di Mosè: l’asino di tuo fratello è caduto sotto il peso – cioè la carne è stata sopraffatta dal peccato – inchinati, umiliati e alzati da terra (Dt. XXII, 4). Non vergognatevi di sottomettervi ad un uomo peccatore.

FINISCE LA SPIEGAZIONE

COMINCIA LA STORIA DEI QUATTRO ANIMALI

(Ap IV, 6-11; V, 1-14)

…. Et in medio sedis, et in circuitu sedis quatuor animalia plena oculis ante et retro. Et animal primum simile leoni, et secundum animal simile vitulo, et tertium animal habens faciem quasi hominis, et quartum animal simile aquilæ volanti. Et quatuor animalia, singula eorum habebant alas senas: et in circuitu, et intus plena sunt oculis: et requiem non habebant die ac nocte, dicentia: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus omnipotens, qui erat, et qui est, et qui venturus est. Et cum darent illa animalia gloriam, et honorem, et benedictionem sedenti super thronum, viventi in sæcula sæculorum, procidebant viginti quatuor seniores ante sedentem in throno, et adorabant viventem in sæcula sæculorum, et mittebant coronas suas ante thronum, dicentes: Dignus es Domine Deus noster accipere gloriam, et honorem, et virtutem: quia tu creasti omnia, et propter voluntatem tuam erant, et creata sunt.

Cap. V.

Et vidi in dextera sedentis supra thronum, librum scriptum intus et foris, signatum sigillis septem. Et vidi angelum fortem, prædicantem voce magna: Quis est dignus aperire librum, et solvere signacula ejus? Et nemo poterat neque in cælo, neque in terra, neque subtus terram aperire librum, neque respicere illum. Et ego flebam multum, quoniam nemo dignus inventus est aperire librum, nec videre eum. Et unus de senioribus dixit mihi: Ne fleveris: ecce vicit leo de tribu Juda, radix David, aperire librum, et solvere septem signacula ejus. Et vidi: et ecce in medio throni et quatuor animalium, et in medio seniorum, Agnum stantem tamquam occisum, habentem cornua septem, et oculos septem: qui sunt septem spiritus Dei, missi in omnem terram. Et venit: et accepit de dextera sedentis in throno librum. Et cum aperuisset librum, quatuor animalia, et viginti quatuor seniores ceciderunt coram Agno, habentes singuli citharas, et phialas aureas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum: et cantabant canticum novum, dicentes: Dignus es, Domine, accipere librum, et aperire signacula ejus: quoniam occisus es, et redemisti nos Deo in sanguine tuo ex omni tribu, et lingua, et populo, et natione: et fecisti nos Deo nostro regnum, et sacerdotes: et regnabimus super terram. Et vidi, et audivi vocem angelorum multorum in circuitu throni, et animalium, et seniorum : et erat numerus eorum millia millium, dicentium voce magna: Dignus est Agnus, qui occisus est, accipere virtutem, et divinitatem, et sapientiam, et fortitudinem, et honorem, et gloriam, et benedictionem. Et omnem creaturam, quae in caelo est, et super terram, et sub terra, et quæ sunt in mari, et quae in eo: omnes audivi dicentes: Sedenti in throno, et Agno, benedictio et honor, et gloria, et potestas in sæcula sæculorum. Et quatuor animalia dicebant: Amen. Et viginti quatuor seniores ceciderunt in facies suas: et adoraverunt viventem in sæcula sæculorum.

(E in faccia al trono come un mare di vetro somigliante al cristallo: e in mezzo al trono, e d’intorno al trono, quattro animali pieni di occhi davanti e di dietro. E il primo animale (era) simile a un leone, e il secondo animale simile a un vitello, e il terzo animale aveva la faccia come di uomo, ed il quarto animale simile a un’aquila volante. E i quattro animali avevano ciascuno sei ale: e all’intorno e di dentro sono pieni d’occhi: e giorno e notte senza posa, dicono: Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente, che era, che è, e che sta per venire. E mentre quegli animali rendevano gloria, e onore, e grazia a colui che sedeva sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro seniori si prostravano dinanzi a colui che sedeva sul trono, e adoravano colui, che vive nei secoli dei secoli, e gettavano le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno sei, o Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore, e la virtù: poiché tu creasti tutte le cose, e per tuo volere esse sussistono, e furono create.

(V, 1-14)

E vidi nella mano destra di colui, che sedeva sul trono, un libro scritto dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un Angelo forte, che con gran voce gridava: Chi è degno di aprire il libro, e di sciogliere i suoi sigilli ? E nessuno né in cielo, né in terra né sotto terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. E io piangeva molto, perché non si trovò chi fosse degno di aprire il libro, né di guardarlo. E uno dei seniori mi disse: Non piangere: ecco il leone della tribù di Giuda, la radice di David, ha vinto di aprire il libro, e sciogliere i suoi sette sigilli. E mirai: ed ecco in mezzo al trono, e ai quattro animali, e ai seniori, un Agnello sui suoi piedi, come scannato, che ha sette corna e sette occhi: che sono sette spiriti di Dio spediti per tutta la terra. ‘E venne: e ricevette il libro dalla mano destra di colui che sedeva sul trono. E aperto che ebbe il libro, i quattro animali, e i ventiquattro seniori si prostrarono dinanzi all’Agnello, avendo ciascuno cetre e coppe d’oro piene di profumi, che sono le orazioni dei santi: E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Degno sei tu, o Signore, di ricevere il libro, e di aprire i suoi sigilli: dappoiché sei stato scannato, e ci hai ricomperati a Dio col sangue tuo di tutte le tribù, e linguaggi, e popoli, e nazioni: E ci hai fatti pel nostro Dio re e sacerdoti: e regneremo sopra la terra. E mirai, e udii la voce di molti Angeli intorno al trono, e agli animali, e ai seniori: ed era il numero di essi migliaia di migliaia, i quali ad alta voce dicevano: È degno l’Agnello, che è stato scannato, di ricevere la virtù, e la divinità, e la sapienza, e la fortezza, e l’onore, e la gloria, e la benedizione. E tutte le creature che sono nel cielo, e sulla terra, e sotto la terra, e nel mare, e quante in questi (luoghi) si trovano: tutte le udii che dicevano: A colui che siede sul trono e all’Agnello la benedizione, e l’onore, e la gloria, e la potestà pei secoli dei secoli. E i quattro animali dicevano: Amen. E i ventiquattro seniori si prostrarono bocconi, e adorarono colui, che vive pei secoli dei secoli.)

INIZIA LA SPIEGAZIONE DEI QUATTRO ANIMALI

[3] E vidi in mezzo al trono e intorno al trono quattro animali, pieni di occhi davanti e dietro. I quattro animali sono la figura dei quattro Evangelisti. Sono essi presentati pieni di occhi davanti e di dietro, il che indica o che contengono i misteri passati e futuri di Dio, o che manifestano i segreti di entrambe le Leggi. E con la contemplazione delle cose spirituali proclamano la fede completa della santa Divinità rendendo manifesto il mistero dei segreti celesti. Poi si descrive la forma di ciascuno: il primo è come un leone; il secondo, come un giovane toro; il terzo, come un uomo; il quarto, come un’aquila. Nel Vangelo troviamo nell’ordine dapprima Matteo, perché è stato il primo a scrivere; ma nel Ministero i nostri maggiorenti hanno messo Marco al primo posto, perché inizia con Giovanni, il precursore che prepara la via a Cristo. Questo Marco, pieno di Spirito Santo, ha scritto il Vangelo in Italia in lingua greca, come discepolo al seguito di S. Pietro. Egli inizia con spirito profetico, dicendo: « Voce di uno che grida nel deserto, preparate la via del Signore », per indicare che Cristo, dopo aver assunto la nostra carne, aveva predicato il Vangelo nel mondo. Infatti Cristo stesso è stato chiamato profeta, come sta scritto:« Io ti ho stabilito profeta delle nazioni » (Ger. I, 5). I nostri maggiorenti descrivono giustamente la figura del leone come rappresentante dell’Evangelista Marco. E questo in verità è spiegato chiaramente e giustamente, perché il suo libro inizia così: « Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: Guardate, mando il mio angelo, che guarderà (o preparerà) la via davanti a voi. » Ma non sorprende che qui sia citato Isaia al posto di Malachia – perché questa testimonianza è chiaramente nota nel libro di Malachia – poiché Isaia significa “la salvezza di Dio“; Malachia, “il messaggero“; ecco come all’inizio del Vangelo ha voluto citare al posto del “messaggero”, cioè Malachia, la salvezza del Signore, che è Isaia: perché è la fede nel Vangelo che ci conduce nell’eternità perenne della vita presente e futura. Ha poi riassunto ciò che il messaggero, che è l’Angelo, dice con le parole di Isaia: « Preparate la via del Signore, raddrizzate i sentieri del nostro Dio » (Is. XL, 3), affinché, una volta offerta e promessa la salvezza, l’annuncio della verità sia reso manifesto ed il cuore degli uomini sia preparato a ricevere la grazia. Egli ha figura di un leone, perché presenta Giovanni che predica nel deserto, che ama il deserto, come dice: « Giovanni è apparso nel deserto battezzando e proclamando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati » (Mc. I, 4). – Il secondo animale, simile ad un vitello, si riferisce a Luca, che, tra tutti gli Evangelisti di lingua greca, era anche medico. Egli scrisse il Vangelo in Grecia, dedicandolo al Vescovo Teofilo, cominciando dallo spirito sacerdotale, col dire: Ai tempi di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote, Zaccaria, per indicare che Cristo, dopo la sua nascita nella carne e la predicazione del Vangelo, divenne vittima per la salvezza del mondo. Egli è il sacerdote di cui si diceva nei Salmi: « Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedec » (Psal. CIX, 4). Quando venne Cristo, il sacerdozio dei Giudei si estinse: la Legge ed i Profeti cessarono. Giustamente si paragona Luca ad un toro: perché il toro rappresenta la persona dei sacerdoti, come si dice in Isaia: « Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli e lascerete in libertà buoi e asini. » (Is. XXXII, 20): il seme è la parola, le acque sono il popolo, e tu … hai liberato il bue e l’asino, cioè il popolo giudeo ed il gentile. Al suo inizio mostra il sacerdozio di Zaccaria, per questo si dice: ai tempi del re Erode di Giudea c’era un sacerdote di nome Zaccaria. – Il terzo animale, che ha l’aspetto di un uomo, è riferito a Matteo, che fu il primo a scrivere il Vangelo in Giudea, in lingua e con espressioni ebraiche, iniziando il suo Vangelo dalla nascita umana di Cristo, col dire: « libro della genealogia di Gesù Cristo, Figlio di Davide, figlio di Abramo », cosa che indica che Cristo è disceso corporalmente dal lignaggio dei Patriarchi, come promesso dallo Spirito Santo nei Profeti: ecco perché Matteo ha voluto annunciare all’inizio del suo libro la genealogia del Signore secondo la carne. – E il quarto animale, somile ad un’aquila in volo, si riferisce a Giovanni, che ha scritto il Vangelo, l’ultimo, in Asia, partendo dal Verbo, per insegnarci che il Salvatore, che si è degnato di nascere e di soffrire per noi, è lo stesso Verbo di Dio di prima dei tempi, che è venuto dal cielo e che, dopo la sua morte, è tornato nuovamente in cielo. Questi sono i quattro Evangelisti, che lo Spirito Santo ha figurato in Ezechiele con i quattro animali. – Ecco perché la fede della Religione cristiana si è diffusa ai quattro angoli del mondo grazie alla loro predicazione. Essi sono chiamati animali perché il Vangelo di Cristo è predicato per la vita dell’uomo; erano pieni di occhi dentro e fuori, perché proclamano i Vangeli annunciati dai profeti e che Egli aveva promesso da tempo. I loro piedi erano dritti, perché non c’è nulla di malvagio nei Vangeli. E avevano sei ali che coprivano i loro piedi ed il loro volto: erano cioè velati, perché occultati fino alla venuta di Cristo. Vangelo è una parola greca, che in latino significa “buon annuncio“: perché in greco “eu” significa buono, e “àngel” significa notizia; ed anche Angelo significa messaggero. Giovanni è giustamente descritto come un’aquila in volo, perché non parla né dell’umanità del Signore, né del suo sacerdozio, né di Giovanni che predica nel deserto, ma, lasciando tutte le cose umili, si eleva fin alla stessa altezza del cielo; e alla maniera di un’aquila in volo parla propriamente di Dio stesso, dicendo: « In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio. » Era in principio con Dio. – Ma sorge un problema: come si può dire che questi quattro animali siano in mezzo ed intorno al trono, pieni di occhi dentro e fuori, se non si comprende che la loro posizione non sia che nel modo spirituale? Infatti se si cercasse di capire la loro posizione in senso letterale, ciò sarebbe erroneo. Infatti è stato detto in precedenza che in mezzo al trono sedeva Cristo, ed intorno al trono c’erano gli anziani; e ora si dice che in mezzo al trono ci sono gli animali, ed intorno al trono ci sono gli stessi animali. Se però si usa l’orecchio del cuore, si comprenderà che tutte queste cose siano da intendere come spirituali, perché Egli parlava solo del Capo e dei membri. – Trono è una parola greca che in latino si interpreta come “sede”, e qui dove siede Cristo, una volta dice sede, altre volte trono. Questo trono è la Chiesa, sulla quale vien detto che siede Cristo. E questi animali, che si dice siano in mezzo ed intorno al trono, sono gli stessi animali, e questo indica che i Vangeli sono in mezzo alla Chiesa, mescolandosi in Essa e circondandola, e che tutto quindi non è che una cosa sola. Infatti non possono sussistere gli uni senza gli altri, i Vangeli senza gli animali, e gli animali senza i Vangeli. E come potevano stare gli animali, essendo stato già detto in precedenza che questo spazio era occupato dai ventiquattro seniori, se non per farvi capire che gli animali ed i seniori sono la stessa cosa? Quando dice “in mezzo al trono”, si intende la Chiesa unita al Corpo di Cristo, affinché si comprenda che il capo e le membra formano un solo uomo. Quando dice “pieni di occhi davanti e dietro”, si intende la Legge ed il Vangelo, oppure che lo Spirito Santo ispira i fedeli attraverso i comandamenti divini, e che vede tutto ciò che lo circonda davanti e dietro, vede cioè il passato ed il futuro. Il primo animale è simile a un leone. La forza della Chiesa si manifesta nel leone, così come dice: « ha vinto il leone della tribù di Giuda, » (Ap. V, 5).  Ma è nel secondo che si manifesta quanto sia forte la Chiesa: simile, dice, a un vitello, cioè ad una vittima: questa è la forza della Chiesa: essere immolata! Nel terzo ci insegna cosa siano il leone ed il bue: ha – dice – l’aspetto di un uomo. Si riferisce all’umiltà della Chiesa che, pur possedendo l’adozione a figlia di Dio, sembra un uomo che non possiede nulla al di fuori della sua umanità, proprio come si diceva del Signore: « … il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce » (Fil. II, 6-8). E conclude nel quarto animale quello che sono i tre esseri viventi, dicendo: come un’aquila in volo. Qui nell’aquila non ha nominato nulla di ciò che sia terreno, se non che sia stata forte nella passione, come nel leone; e colui che una volta si è offerto in sacrificio è rappresentato nel toro; colui che è stato razionale, cioè che ricorda il passato, ordina il presente, prevede il futuro, in modo da riconoscere quel Padre per mezzo del quale è stato creato, e che brilla per la sua condotta, è rappresentato nell’uomo; tutto questo non serve a nulla però se, come un’aquila, non si hanno sempre gli occhi fissi verso il cielo, nel volo della contemplazione. Questo è sempre stato fatto dalla Chiesa dei Patriarchi e dei Profeti prima dell’Incarnazione della divinità. Quando il Sole della giustizia non aveva ancora manifestamente brillato nel suo corpo finché non fosse arrivato il giorno, essi indubbiamente brillavano nella notte di questo mondo come stelle nel cielo, cioè nella Chiesa. Ma quando risplendette il sole della verità, Egli manifestò con l’Incarnazione la luce della sua divinità, ed essendo soggetto alla legge si mostrò come un servo; scelse dodici Apostoli, affinché il giorno risplendesse; ed in queste quattro animali congregò tutta la Chiesa. E quando qualcuno ha compiuto i tre animali, a modo d’aquila ne completa il quarto in cielo, là dove scorge andare il suo cadavere, fissando continuamente gli occhi della contemplazione libero dalla terra, appoggiandosi sempre sulla testimonianza dei due Testamenti. Questo viene fatto dai membri che desiderano rimanere uniti con il loro capo. – Di questi quattro animali, ognuno di essi aveva sei ali intorno a sé. E in questi quattro animali mostra i ventiquattro seniori: le sei ali dei quattro animali sommate tra loro sono ventiquattro ali. E intorno al trono ho visto gli animali, dove aveva detto aver visto i seniori. Ma come può un animale con sei ali essere come un’aquila, dal momento che l’aquila ne possiede due, o come si può dire che quei tre esseri viventi, il leone, il vitello e l’uomo, abbiano le ali, giacché vediamo che queste specie non ne hanno? Ciò non è da prendere alla lettera, ma per quanto si realizza nel mistero. Egli dice che hanno sei ali, perché nei sei giorni della settimana presente, che è la lunghezza del mondo, si diffondono le parole della loro profezia. Che i quattro si dice abbiano sei ali, e due volte dodici sommano ventiquattro, cioè due dozzine, ciò indica la santa dottrina dei Patriarchi e dei Profeti, che hanno insegnato al mondo con l’annuncio della loro profezia. In questa stessa dottrina si annuncia la lode alla Trinità e si proclama instancabilmente per tre volte il nome Sanctus. E questa lode, rivolta ad un solo Onnipotente, manifesta un Dio Trino dall’unica sostanza. La dottrina dei Profeti summenzionata aveva già insegnato che Essa esiste prima di tutte le età, e lo sarà per tutti i secoli ed anche dopo tutti i secoli, ed alla stessa, nel giudizio si uniranno le voci di tutti i perfetti. Siccome abbiamo detto che l’aquila è la Chiesa, è giusto che, interpretando le sue due ali, si dica che queste siano i due Testamenti, attraverso i quali si vede come la Chiesa si involi verso il cielo. Così, dunque in quest’aquila tutto si conclude, e dopo i tre animali, l’aquila ha posto per ultima. E poiché i primi tre non volano, ma solo si reggono in piedi, si riconosce chiaramente che le cose che si fissano nell’anima con la contemplazione si riferiscano alla stessa Chiesa. In Ezechiele, per mezzo dello Spirito Santo della profezia, questi animali pennuti sono descritti con grande sottigliezza, e sono figura della persona degli Evangelisti, di modo tale che la sottigliezza della descrizione ce li fa conoscere e non lascia dubbi sulla parola di Dio; infatti così sono descritti: « Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezza d’uomo; poi fattezza di leone a destra, fattezza di toro a sinistra e, sopra dei quattro, fattezza d’aquila » (Ez I: 10). Che queste quattro animali pennuti siano la figura dei quattro Evangelisti è attestato dall’inizio di ciascuno dei libri del Vangelo. Quegli infatti che inizia con la genealogia umana, Matteo, è giustamente rappresentato da un uomo. Quegli che inizia con colui che grida nel deserto, Marco, è giustamente rappresentato da un leone; Luca, che inizia con un sacrificio, è rettamente rappresentato da un vitello. E colui che inizia con la divinità del Verbo, Giovanni, è giustamente identificato nell’aquila, perché dice: « In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio. » Quando confessò la sostanza stessa della divinità, fissò i suoi occhi sul cielo, alla maniera di un’aquila. Ma poiché tutti gli eletti sono membri del nostro Redentore, essendo il nostro stesso Redentore Capo di tutti gli eletti – che dunque sono membri di Lui in figura – nulla impedisce che sia rappresentato in questi nomi degli animali: l’unigenito Figlio di Dio si è fatto veramente uomo; nel sacrificio per la nostra redenzione si degnò di morire come un vitello; con la forza della sua Resurrezione, si rialzò come un leone. E si manifesta come il leone che dorme ad occhi aperti, perché nella sua morte, secondo la sua natura umanità, il nostro Redentore avrebbe dormito, ma nel contempo è rimasto vigile permanendo immortale per la sua divinità. Salendo verso il cielo dopo la sua resurrezione poi, si innalza come un’aquila. Egli è per noi, quindi, tutto questo allo stesso tempo: essendo nato è diventato un uomo, morendo un vitello, resuscitando un leone ed infine un’aquila che sale verso il cielo. E poiché abbiamo già detto prima che i quattro Evangelisti sono rappresentati da questi animali, e sotto la loro figura sono rappresentati nel contempo gli uomini perfetti, ci resta da spiegare come ognuno degli eletti sia rappresentato in queste visioni dagli animali. Ogni eletto, perfetto sulla via del Signore, è allo stesso tempo uomo, vitello, leone ed aquila. Infatti l’uomo è un essere razionale; il vitello viene solitamente immolato in un sacrificio; il leone è un animale forte, come è scritto: « … il leone, il più forte degli animali, che non indietreggia davanti a nessuno » (Prov. XXX: 30). L’aquila vola verso l’alto e si libra verso i raggi del sole senza che gli occhi siano abbagliati. Chiunque sia perfetto nella sua ragione, questi è un uomo. È pure un vitello, perché si sacrifica ai piaceri del mondo presente. È un leone, perché dalla sua volontaria mortificazione trae forza di sicurezza contro ogni male. Perciò è scritto: « … il giusto è sicuro come un giovane leone, ma il leone giusto è salvo e non si allontanerà da nulla »  (Prov. XXVIII, 1). Sicuramente questi è un leone! E dal momento che contempla acutamente ciò che è terreno e ciò che è celeste, è pure un’aquila. Ecco che, poiché ogni giusto è: – uomo per la sua ragione, – vitello per il sacrificio della sua mortificazione, – leone per la fermezza della sua sicurezza, e diventa aquila per la contemplazione, così ogni uomo perfetto può essere giustamente rappresentato da questi santi animali. Ma ci sorge una domanda sugli stessi Evangelisti e sui santi predicatori: perché i quattro animali sembrano avere a destra volto di un uomo e volto di leone? E non meno ammirevole è il motivo per cui si dice che due siano a destra (uomo e leone), ed uno a sinistra. E ancora una volta dobbiamo chiederci: perché l’aquila non è né a destra né a sinistra, ma è descritta come se fosse sopra gli stessi quattro? Così ci poniamo due domande che dovrebbero essere risolte alla luce del Signore. L’uomo e il leone sono rappresentati a destra, e il vitello a sinistra, perché a destra abbiamo la gioia ed a sinistra la tristezza. Per questo diciamo che per noi è sinistro ciò che giudichiamo essere contrario. E, come abbiamo detto, l’incarnazione è rappresentata dall’uomo, la passione dal vitello, e dal leone la resurrezione del nostro fondatore. Tutti gli eletti hanno gioito dell’incarnazione del Figlio unigenito, dal quale siamo stati redenti. I santi Apostoli, che furono i primi prescelti, furono rattristati dalla sua morte; gli stessi poi si rallegrarono nuovamente per la sua risurrezione. Perché la sua nascita e la sua resurrezione hanno portato gioia a coloro che erano rattristati dalla sua passione: si descrive essere a destra l’uomo ed il leone, e a sinistra il vitello, perché erano gli stessi santi Evangelisti, rallegrati della sua nascita e resi forti dalla sua resurrezione, che erano stati nella tristezza per la sua passione. L’uomo ed il leone sono dunque a destra, perché l’incarnazione del nostro Redentore ha dato loro vita, e la sua resurrezione li ha rafforzati. Ma il vitello è a sinistra, perché la sua morte li ha fatti sprofondare nello sconforto per un breve periodo di tempo. È giustamente poi rappresentata la situazione dell’aquila che non è di lato, ma al di sopra: infatti questo è segno della sua ascensione oppure perché si manifesta che il Verbo del Padre è Dio accanto a suo Padre; Giovanni ha superato nella sua potenza di contemplazione gli altri Evangelisti che come lui si occupano della sua divinità; tuttavia, egli la contempla in modo più sottile di tutti gli altri. Ma se si dice che l’aquila insieme agli altri tre animali è nominata tra i quattro animali, fa meraviglia come poi sia descritta esserne al di sopra. La spiegazione è che Giovanni, per il fatto di aver posto il Verbo all’inizio, è passato anche sopra se stesso. Infatti, se non fosse passato oltre, non avrebbe visto il Verbo fin dall’inizio. Chi passò dunque oltre se stesso, non passò solo sopra gli altri tre, ma aggiuntosi, pure sopra tutti e quattro.  – Continua: E le loro facce e le loro ali erano spiegate in alto (Ez. I,11). I loro volti e le loro ali sono descritti come levati in alto, perché ogni intenzione ed ogni contemplazione dei Santi è diretta sopra se stessi per realizzare ciò che si desidera delle cose celesti. Sia con un’opera buona che in una meditazione contemplativa, ciò che si fa è veramente buono, quando si vuole compiacere Colui al quale si appartiene. Perché chi sembra fare del bene, ma in questo non intende piacere a Dio bensì agli uomini, dirige il volto della sua intenzione all’indietro. E quando si studia nella parola divina ciò che appartiene alla divinità, in modo solo che con la sua comprensione possa soddisfare alle  domande, e se non si vuole essere sazio della dolcezza della santità ma apparire un uomo colto, certamente non si stendono le ali della propria intelligenza verso l’alto, ma, mirando con lo sforzo dell’intelligenza agli appetiti terreni, si battono le ali senza stenderle verso l’alto e senza riuscire a salire. In questo fatto dobbiamo considerare che tutto il bene che viene fatto deve sempre nascere con l’intenzione alle cose celesti. Chi desidera la gloria terrena nel bene che fa, dirige indietro le sue ali e guarda verso il basso. Per questo si dice di alcuni attraverso il profeta: « e foste una fossa profonda » (Osea V: 2). Che altro sono le lacrime della preghiera se non le offerte della nostra preghiera, così com’è scritto: « il sacrificio gradito a Dio è uno spirito contrito »? (Psal. L, 19). Alcuni nella preghiera si affliggono fino alle lacrime per ottenere beni materiali o per apparire Santi agli occhi degli uomini. Cosa fanno questi se non essere vittime nel profondo? Dirigono in giù il sacrificio della loro preghiera, e cercando cose materiali rimangono nell’amore terreno. Invece gli eletti, che cercano di compiacere Dio onnipotente con la loro buona condotta e desiderano già gustare l’eterna beatitudine mediante la grazia della contemplazione, protendono il volto e le ali verso l’alto. – Continua poi: Ognuno aveva due ali che si toccavano tra loro e altre due ali che coprivano il loro corpo. Aveva detto precedentemente: le loro facce e le loro ali erano dispiegate verso l’alto, e poi ha soggiunto ciò che abbiamo detto, … che ognuno aveva due ali che si toccavano; in questo si comprende chiaramente che le ali si erano levate in alto e si toccavano, mentre le altre due coprivano i loro corpi. Quali sono le penne dei vivi se non quelle che si chiamiamo ali? Qui dobbiamo chiederci con molta attenzione: quali siano le quattro ali dei Santi, due delle quali si distendono e si toccano, e le altre due coprono i loro corpi? Se guardiamo più da vicino, ci accorgiamo che quattro sono le virtù che sollevano con le ali l’uomo vivente dagli atti terreni fino alle cose future, cioè l’amore e la speranza, il timore e la penitenza per le cose del passato. Le due ali si spiegano verso l’alto unite l’una all’altra, perché l’amore e la speranza sollevano l’uomo – animale alato – verso le cose celesti. E si dice pure giustamente che siano unite, perché gli eletti amano indubbiamente le cose celesti che sperano, e sperano in quelle che amano. Altre due ali coprono i loro corpi, perché il timore e la penitenza nascondono agli occhi dell’onnipotente Dio le proprie malvagie azioni del passato. Le due ali, come già detto, sono unite in alto quando l’amore e la speranza negli eletti sollevano i loro cuori a volare verso i beni celesti; le altre due ali coprono invece i loro corpi quando il timore e la penitenza nascondono agli occhi del Giudice eterno le loro azioni malvagie passate. Poiché essi hanno riconosciuto di aver peccato, temono e piangono: cos’altro coprono se non il corpo, coloro che nascondono le loro opere carnali per mezzo di opere buone sovrapposte, mediante un esame diligente? Sta scritto: « Beati quelli i cui peccati sono perdonati e le cui iniquità sono nascoste » (Psal. XXXI, 1). Si coprono i peccati quando si sovrappongono le buone azioni alle cattive. Tutto ciò che si copre, infatti è posto sotto, e ciò con cui si copre, lo si mette al di sopra. Quando si discacciano i mali fatti e ci si propone di fare il bene, si mette come una specie di copertura su ciò di cui ci si vergogna. Per quanto grandi siano i Santi in questa vita, essi tuttavia hanno delle cose da nascondere agli occhi di Dio, perché è del tutto impossibile che non abbiano mancato mai neanche una volta in parole o in azioni. Per questo il beato Giobbe, che aveva parlato bene di tutti, quando udì la voce di Dio, rimproverandosi il suo eloquio imperfetto, diceva: « Mi coprirò la bocca con la mano » (Giob. XL, 4). Nella mano sono rappresentate le opere; nella bocca, le conversazioni. Coprire la bocca con la mano significa coprire i propri peccati in parole attraverso la virtù dell’opera buona. Mi piace – cari fratelli – citare s. Paolo, maestro dei gentili, a testimonianza di questo, come santo imitante quell’animale sul quale si basa la visione delle quattro ali, mediante due delle quali si vola verso l’alto, e mediante le altre due si copre il corpo nascondendo le opere compiute nel passato. Vediamo infatti quale grande amore abbia (s. Paolo) per le cose celesti, quando dice: « Cristo è la mia vita, e morire è il mio guadagno » (Fil. 1, 21). Conosciamo poi con quale speranza egli si elevi verso l’alto nel dire: « siamo cittadini del cielo, dal quale attendiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo » (Fil. III, 20). Vediamo pure come ancora tema, nonostante sia adorno di tante virtù: « … Io batto il mio corpo, dice, e lo schiavizzo, perché non accada che, predicando agli altri, io stesso non sia squalificato » (1 Cor. IX, 27). Vediamo come si penta di aver fatto il male: « … io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno del nome di Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio » (1 Cor. XV, 9). E, cos’altro si denuncia in queste parole, se non la durezza della nostra mente? Ecco che egli si riferisce a ciò che aveva commesso prima del Battesimo; mentre noi che abbiamo commesso molti mali dopo il Battesimo, pure ci rifiutiamo di piangere. I Santi viventi usano quattro ali, perché con l’amore e la speranza si elevano alle cose celesti e piangono per i mali che hanno fatto con il timore e la penitenza. Ma poiché è detto che le due ali si toccano l’un l’altra, da questo si capisce, che non si uniscono le proprie ali se non quando volano, e che l’una delle ali sia unita all’altra, allorquando allungate si uniscono alternativamente tra loro. In questo ci si pone una domanda: se le due ali che si dispiegano verso l’alto designano l’amore e la speranza, e le altre due che coprono il corpo, il timore e la penitenza, perché si dice che le due che si alzano siano unite, e invece quelle che coprono il corpo non si dice essere unite? Eccone il motivo molto semplice, con l’aiuto di Dio: le ali dei Santi unite sono l’amore e la speranza; invece le due ali che coprono i corpi, non unite tra loro, sono il timore e la penitenza. Così Davide, a causa della colpa del suo crimine, fece penitenza con timore, con il sacrificio e con le lacrime; Pietro pianse amaramente per la sua perfida caduta; Paolo si rammaricò per la crudeltà delle sue passate persecuzioni. Tuttavia, tutti desiderano la medesima patria e sono pronti a raggiungere l’Autore unico di tutti. Due ali sono dunque unite l’una all’altra, mentre le altre due non lo sono: infatti ciò che l’amore e la speranza desiderano è la stessa cosa, mentre il timore e la penitenza son diversi per ciò che deplorano. – Continua: E ognuno di loro marciava alla sua presenza. Prima aveva detto: ognuno di loro ha marciato davanti a sé; ora, invece, dice: … marciava in sua presenza. Così sembra la stessa frase ripetuta. Ma poiché la preposizione latina coram significa “in presenza di”, possiamo discernere indagando più sottilmente la differenza tra marciare “in avanti” e marciare “in presenza di”. Marciare in avanti è cercare ciò che sta davanti (cioè il futuro); ma marciare “in presenza” è il non essere assente da se stesso. Ogni persona giusta che consideri premurosamente la propria vita e mediti diligentemente su quanto cresca ogni giorno in virtù o forse quanto in essa diminuisca: è questi che sta davanti a se stesso e cammina alla sua presenza, perché osserva attentamente di quanto si elevi o si abbassi. Ma chi trascuri la vigilanza sulla propria vita, e la disprezzi o non sappia riflettere sulle proprie opere, parole e pensieri, non cammina in sua presenza, perché nei suoi atti, attende ad altro. Così accade spesso che consideriamo i nostri peccati gravi come se fossero leggeri, perché per il nostro amor proprio, chiudendo i nostri occhi e blandendoli, ci inganniamo. Così pure giudichiamo esser lievi i nostri peccati gravi, ed i peccati leggeri dei nostri prossimi essere gravi. Sta così scritto: « ci saranno uomini che amano se stessi » (2 Tm. III, 2). E sappiamo con quale veemenza l’amor proprio chiude l’occhio del cuore. Per questo motivo noi non giudichiamo seriamente ciò che facciamo, e il più delle volte giudichiamo che ciò che fa il nostro prossimo sia molto detestabile. E come mai ciò che giudichiamo di lieve conto in noi, ci sembra grave nel nostro prossimo, e perché non ci vediamo come nostro prossimo, e il nostro prossimo come noi stessi? Se guardassimo a noi stessi come guardiamo il nostro prossimo, considereremmo con rigore i nostri difetti; ed anche, se guardassimo al nostro prossimo come a noi stessi, il suo comportamento ci sembrerebbe tollerabile, perché spesso forse ha compiuto la stessa azione con cui noi consideriamo non aver fatto nulla di intollerabile al nostro prossimo. Mosè si sforzò di correggere, per mezzo di un precetto della legge, questo giudizio erroneo della nostra mente, quando disse « Avrete bilance giuste, pesi giusti, efa giusto, hin giusto. » (Lv. XIX, 36). Così dice Salomone: « Doppio peso e doppia misura sono due cose in abominio al Signore » (Prov. XX, 10). Sappiamo che i mercanti hanno un doppio peso, uno maggiore e uno minore: hanno un peso per la merce che prendono, e un altro per quella che vendono al prossimo. Nel dare, i pesi sono più leggeri; nel ricevere, sono più pesanti. Pertanto, ogni uomo che giudica diversamente ciò che appartiene al suo prossimo e ciò che appartiene a sé, ha due pesi. Dio odia entrambe le cose. Perché se uno amasse il prossimo come se stesso, lo amerebbe nel bene come se stesso. E se vedesse se stesso come suo prossimo, si giudicherebbe negativamente come fa appunto con il suo prossimo. Dobbiamo, quindi, esaminarci attentamente e, come detto, porci davanti a noi stessi: in modo che, imitando ininterrottamente gli animali con le ali, possiamo comprendere cosa stiamo facendo e camminare di conseguenza sempre alla presenza di noi stessi. D’altra parte, i malvagi, come abbiamo già detto, non marciano in presenza di se stessi, perché non riflettono mai su ciò che fanno: essi camminano verso la morte, si gloriano di azioni malvagie come è scritto: « … godono nel fare il male, gioiscono dei loro propositi perversi » (Prov. II, 14). A volte il giusto che li osserva, se ne lamenta; ma questi freneticamente piangono e ridono. Alcuni danno gran parte dei loro beni ai bisognosi; ma quando se ne presenta l’occasione, li opprimono, e chi prima li ha aiutati, li deruba poi con rapina. Mettono davanti ai loro occhi il bene che fanno, e non mettono davanti ai loro occhi il male che operano. È chiaro che questi non marciano in presenza di se stessi: perché se fossero in presenza di se stessi, vedrebbero con diligenza tutto ciò che fanno, e saprebbero come le loro opere buone si perdano a causa delle azioni malvagie, come sta scritto: « … l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato » (Agg. I: 6). Quello che esce da una borsa rotta vien disperso. Ed ecco che le menti sconsiderate non vedono come il premio che acquisiscono per le loro buone azioni si disperde a causa delle loro cattive azioni. Si osserva così la castità del corpo, e la si esamina diligentemente, per non accettare dall’esterno qualcosa di riprovevole: ci si accontenta del proprio, non si porta via ciò che appartiene agli altri; ma forse nel proprio cuore si conserva odio verso il prossimo, come sta scritto: « … Chiunque odia il proprio fratello è omicida » (1 Gv. III, 15); si pensa di essere limpidi nella propria condotta, e non si esamina quanta crudeltà ci sia nella mente. Che cos’è questo, se non l’essere saggio ai propri occhi, mentre si cammina nelle tenebre del cuore senza saperlo? Un altro non si appropria di ciò che è altrui, tiene il suo corpo lontano dalla impudicizia, ma non ama più il prossimo con la mente limpida; nelle sue preghiere si contrista con ardore, consapevole dei suoi mali passati, ma una volta finito di pregare, cerca quelle cose di cui gioire in questo mondo ed abbandona il suo spirito ai godimenti temporali e non cerca di impedire che le gioie smodate superino la misura delle sue lacrime: e accade che, ridendo troppo, perda poi il bene che ha conquistato piangendo. Non si cammina in presenza di se stesso, quando ci si rifiuti di osservare le cose cattive alle quali si acconsente. Sta scritto: « … Il cuore dei saggi è in una casa in lutto ed il cuore degli stolti in una casa in festa. » (Eccl. VII, 4). In tutto ciò che facciamo dobbiamo esaminare noi stessi con diligenza, dentro e fuori, affinché, imitando gli “animali alati”, possiamo essere presenti a noi stessi e camminare sempre davanti alla nostra faccia. – Qual è allora la voce di grande commozione che il profeta sente alle sue spalle, se non quella alla quale, conseguente alla parola della predicazione con la quale si riesce a scacciare il peccato dal cuore, seguono i lamenti dei penitenti? Invece i malvagi, quando fanno il male, non ascoltano i retti consigli dei giusti, non sapendo quanto siano gravi i loro peccati, e nella loro ignoranza si ritengono al sicuro nella loro ottusità e riposano stando comodamente sdraiati nella loro colpa. Si diceva di un popolo peccaminoso e fiducioso: « … riposa nei suoi escrementi » (Ger. XLVIII, 18), perché si sdraiava sicuro nei suoi peccati. Quando i malvagi cominciano a sentire la parola della predicazione, e a conoscere quali siano i tormenti eterni, quale sia il terrore del giudizio, e diligentemente esaminano ogni loro peccato, subito tremano, si riempiono di gemiti e, non trattenendosi, si affliggono con sospiri, e mossi da grande paura, erompono in lacrime e pianto. La voce di un grande tumulto segue il Profeta, perché dopo la parola della predicazione, si sentono lamenti dai convertiti e dai penitenti: chi prima giaceva tranquillo nella infermità, toccato come dalla mano di una medicina, torna con dolore alla salvezza. Un altro Profeta dice di questo tumulto dei penitenti: « … essi emetteranno sospiri e la terra si commuoverà » (Zac. XIV, 4). Infatti quando le vestigia della verità si imprimono nella mente di chi ascolta, la stessa mente turbata dalla riflessione su di sé, si commuove. Per questo il salmista dice, pregando a nome dei peccatori: «…  Il Signore regna, tremino i popoli; siede sui cherubini, si scuota la terra » (Psal. XCIX,1). Così pure, pregando per gli afflitti ed i penitenti, dice: « Hai scosso la terra, l’hai squarciata, risana le sue fratture, perché crolla » (Psal. LX, 4). La terra scossa e sbriciolata è il peccatore afflitto dal conoscimento della propria colpa e condotto alle espiazioni della penitenza. All’uomo peccaminoso è stato detto: « tu sei polvere ed in polvere ritornerai » (Gen. III,19). Pregate, dunque, affinché il dolore della terra, che si sta sbriciolando, sia guarito, affinché il peccatore che piange i suoi peccati sia confortato dalla gioia della misericordia celeste. Questa è infatti la voce della grande commozione, quando esaminando ognuno i propri atti ci si commuove nel pianto della penitenza. Ma sentiamo questa voce dire: « Benedetta sia la gloria del Signore nel luogo in cui si trova (Ez. III, 12). Le sedi dello spirito maligno erano i cuori dei penitenti; ma quando, contriti, ritornano alla vita attraverso la penitenza, diventano il luogo della gloria di Dio: ora dunque si ribellano contro se stessi, e accompagnano le lacrime della penitenza ai peccati commessi. Per questo si sente la benedizione di gloria e la lode di Dio, là dove prima si sentivano offese al Creatore per l’amore del mondo presente. Ed i cuori dei penitenti diventano per il Signore la sua dimora che in precedenza, abitata dai peccati, era stata dimora di altri. Tutti coloro che si convertono dai loro peccati al Signore, non solo cancellano con le loro lacrime i mali che hanno fatto, ma si elevano in alto con opere meravigliose e diventano i Santi viventi di Dio Onnipotente, che si esaltano con meravigliose virtù, lasciando completamente la terra e, ricevuta la grazia di Dio, si slanciano col desiderio verso i beni celesti. Di questi si aggiunge ancora: « Era il rumore delle ali degli animali che battevano l’una contro l’altra » (Ez. III, 13). – Il Profeta sente dietro di sé la voce di un grande tumulto, perché, come abbiamo detto, il grido dei penitenti segue alla parola della predicazione. Sente dietro di sé il suono delle ali degli animali, perché dallo stesso dolore dei penitenti scaturiscono le virtù dei Santi, tanto più avanzati nella santa preghiera quando più riconoscono di non aver lavorato in precedenza che in modo dissoluto con la loro vita depravata. Ma c’è un grande dubbio in queste parole, perché il Profeta non dice chiaramente se ogni animale batta le proprie ali tra di loro, o se questi stessi animali battano le proprie ali alternativamente, in modo che l’ala dell’uno tocchi l’altro, e viceversa. Ma poiché molte volte nella parola divina qualcosa viene esposto in modo confuso, e con l’aiuto di Dio, si intende invece in modo meraviglioso e molteplice, dobbiamo spiegare alla vostra carità entrambe le cose con la grazia di Dio. Abbiamo spesso detto che le ali degli animali sono le virtù dei Santi. Perché allora ogni animale batte le ali l’una contro l’altra, se non per farci capire chiaramente che, se diventiamo Santi viventi, la virtù eccita altra virtù, l’una cioè  spinge l’altra alla perfezione? Per esempio, quando si ha la scienza della parola di Dio, si impara per mezzo della stessa scienza a conseguire anche le viscere della misericordia. Attraverso la scienza si conosce la parola di Dio: « fate l’elemosina e tutto sarà puro per voi » (Lc. XI, 41). Quando si comincia ad essere misericordioso nell’elemosina, leggendo le parole della santa verità, ciò che in esse si dice sulla misericordia, lo si comprende in modo più fecondo attraverso l’esperienza. Là è scritto: « Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto; (Giob. XXIX, 16). Che cosa significa, dunque, che questi animali con le ali si colpiscano l’un l’altro, se non che tutti i Santi si eccitino l’un l’altro con le loro virtù, e si stimolino l’un l’altro ad avanzare considerando le virtù degli altri? Le virtù non sono concesse tutte ad uno solo, perché non si possa vantare e soccombere all’orgoglio. Ma ad uno viene dato ciò che non viene dato ad altri. E a voi è dato ciò che è negato ad un altro: cosicché nel considerare il bene che voi avete, e che altri non possiede, questi possa preferirvi nel suo pensiero a se stesso. E viceversa, nel vedere ciò che l’altro ha, e che voi non avete, vi portiate a lui nel vostro pensiero, secondo che sta scritto: « … ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso » (Fil. II, 3). Per dire qualcosa per quanto si può, ad esempio: a quest’uomo è concessa la virtù di un’ammirevole astinenza, eppure non possiede la parola della scienza. A questi viene data la parola della scienza, mentre cerca di imparare, senza riuscirci, la virtù dell’astinenza perfetta. A quest’altro è data la facilità nel suo eloquio, cosicché, usandone a favore di alcuni oppressi, parli liberamente in difesa della giustizia; e tuttavia, possedendo ancora molti beni in questo mondo, cerchi, senza riuscirvi, di abbandonare tutti i beni. A tal altro è già stato concesso di lasciare tutti i beni terreni, e di non voler possedere nulla in questo mondo; eppure non è in grado di esercitare l’autorità della sua voce contro coloro che peccano. E colui che meglio potrebbe parlare liberamente, perché non ha più nemmeno un posto dove sdraiarsi in questo mondo, si rifiuta di parlare liberamente contro gli altri, per non perdere la propria tranquillità. A questi ancora è stata concessa la virtù della profezia: egli vede in anticipo molte cose che stanno per accadere, e pur vivendo e compatendo l’infermità del suo prossimo che è presente, non è in grado di soccorrerlo. È stata data ad un altro la grazia delle guarigioni, e con le sue preghiere toglie dal corpo del prossimo i malanni che ha in quel momento; eppure non sa cosa gli accadrà un po’ più tardi. Dio onnipotente, con una disposizione ammirevole, distribuisce i suoi doni tra i suoi eletti, in modo tale da concedere all’uno ciò che nega all’altro e all’uno dare più o meno che ad un altro: affinché, quando questi ultimi vedono di avere o di non avere, o pensano che altri abbiano ricevuto di più o di meno di quanto pensino di possedere essi stessi, possano ammirare i doni di Dio l’uno nell’altro, vale a dire alternativamente e, come risultato di questa reciproca ammirazione, possano  umiliarsi l’uno rispetto all’altro, e pensino, nei confronti di coloro che vedono non avere ciò che essi possiedono, di essere stati preferiti a loro nel pensiero divino. Gli animali, quindi, battono alternativamente le ali quando le anime sante sono eccitate dalle virtù altrui, sono stimolate al loro contatto e desiderano essere stimolate ad avanzare. Si toccano con le ali, perché siano alternativamente stimolati a progredire là dove gli altri già volano. Dio onnipotente fa nel cuore degli uomini, ciò che fa pure nel cuore dei popoli della terra. Egli avrebbe potuto dare ad ogni regione tutti i frutti che le abbisognavano; ma se una regione non avesse bisogno dei frutti di un’altra regione, non avrebbe comunicazione con essa. Per questo Egli dà il vino a questa regione e l’olio in abbondanza ad un’altra; dà un gran numero di bestiame a questa regione, e a quest’altra una grande fecondità di frutti. Come sono le regioni della terra, così sono anche le anime dei Santi: che quando si toccano alternativamente, diventano come le regioni che distribuiscono ad altre regioni i loro frutti, affinché tutti siano uniti nella stessa carità. Ma in tutto questo bisogna sapere che gli eletti, che considerano sempre negli altri ciò che hanno ricevuto da Dio essere di maggior perfezione, e preferiscono gli altri nel loro pensiero a se stessi, si inchinano davanti a loro in umiltà; così anche l’anima del reprobo non considera mai ciò che l’altro possiede di meglio di se stesso; né pensa a quali beni spirituali abbia ricevuto e a ciò che gli manca, ma ritiene che tutte le cose buone siano in lui, mentre le cose cattive siano possedute dagli altri. E come Dio onnipotente distribuisce a ciascuno le virtù affinché si umili nel suo pensiero davanti ad un altro, i reprobi si esaltano per i beni che hanno ricevuto, cosicché si perdono nella vanità considerando sempre i beni che possiedono e gli altri no, e non si preoccupano mai di esaminare quanti beni abbiano gli altri che essi non hanno. Ciò che, quindi, la pietà divina dispone per il progresso nell’umiltà, le anime dei reprobi lo trasformano in un aumento della vanità. E per la diversità dei doni, si allontanano da tutto ciò per cui avrebbero dovuto crescere nella virtù dell’umiltà. Perciò, cari fratelli e sorelle, dovete sempre vedere in voi stessi ciò che avete di meno, e nei vostri vicini ciò che essi hanno ricevuto in misura maggiore di voi: affinché, quando li vedrete al di sopra di voi stessi per il bene che possiedono e che voi non avete, possiate crescere nell’umiltà per raggiungerlo anche voi. Se dunque voi considerate in loro le cose buone che hanno ricevuto, ed essi riconoscono in voi le cose buone che possedete, allora vi toccate alternativamente con le ali, così che, stimolati, voliate in alto sempre verso i beni celesti. – Pieni di occhi dal di dentro: ha detto … dal di dentro, perché la luce del Vangelo è nascosta ai malvagi, poiché solo i Santi vedono con gli occhi della fede, ed i Santi stessi, protetti dall’umiltà, si preservano per una futura chiarezza. Per questo motivo i corpi degli animali sono descritti come pieni di occhi, perché l’azione dei Santi è prudente in ogni situazione, vegliando anelanti sui loro beni, ed evitando accuratamente il male. E questo è ancora più difficile quando le anime dei Santi vigilano con ardore, affinché i loro occhi non si fissino, e nascondano il male sotto l’apparenza del bene. La vita dei Santi è quindi attenta a non essere così liberale da diventare superba; poiché la superbia è spesso celata nelle parole, e cerca di apparire come liberalità che dà integrità. E non sia [la vita] così umile da essere timorosa; perché talvolta la paura soffoca lo spirito, tanto che non osa dire ciò che sia giusto, ma con lo stesso timido pensiero dissimula umiltà. E che non sia sobria in modo da essere avara; perché il più delle volte l’avarizia desidera essere considerata come moderazione, in modo che appaia voler possedere ciò che sia giusto e necessario, mentre in realtà non si vuole condividere con il prossimo bisognoso. Né sia misericordiosa quando invece è dissipativa, affinché a volte lo spreco si possa giudicare misericordioso. Una cosa è dare ciò che sia necessario al prossimo per pietà; un’altra cosa è sperperare ciò che si possiede senza l’intenzione di guadagnare. Tutto ciò che facciamo deve essere considerato alla luce dell’intenzione alla quale si attribuisce il merito davanti al giudizio del Creatore. Come ci dice il Salvatore: « se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà luminoso » (Mt. VI, 22). L’occhio indica l’intenzione ed il corpo l’azione. Se la nostra intenzione davanti a Dio è sana, a Suo giudizio la nostra azione non sarà tenebrosa. I corpi degli animali sono pieni di occhi quando esaminano attentamente in ogni direzione. Queste predicazioni, anche se sono quattro, in realtà ne sono davvero una sola, perché provengono da una sola bocca, come il fiume in Paradiso che, pur essendo uno, è diviso in quattro corsi. Gli animali hanno occhi dentro e fuori; cioè l’annuncio del Nuovo Testamento mostra una speciale provvidenza, che scruta il più segreto del cuore, vede ciò che sta per accadere, ciò che è dentro e ciò che è fuori. Le sei ali sono la testimonianza dei libri dell’Antico Testamento. Ecco perché i ventiquattro si sommano con figura identica a quella degli anziani seduti sui troni. Ma siccome gli animali non possono volare senza ali, così la predicazione del Nuovo Testamento non trova alcun credito se non possiede le predette testimonianze dell’Antico Testamento, con le quali si distacca dalla terra e vola in alto. Ogni qual volta che troviamo realizzato in seguito ciò che era stato già preannunciato in precedenza, si rende la fede indiscutibile. D’altra parte, se gli animali non sono adesi alle loro ali, non hanno da dove attingere la vita. Se ciò che i Profeti avevano predetto non si fosse realizzato in Cristo, la loro predicazione sarebbe stata vana. Questo è ciò che la Chiesa Cattolica sostiene: ciò che è stato dapprima annunciato dai Profeti, è ciò che si è poi realizzato in Cristo. L’animale vola e giustamente si stacca dalla terra. Gli eretici, invece, che non utilizzano la testimonianza profetica, hanno gli animali davanti a sé, ma non volano, perché sono della terra. I Giudei che non accettano la predicazione del Nuovo Testamento, hanno le ali, ma non sono viventi, cioè comunicano agli uomini una predicazione vuota, non conformando le loro azioni alle loro parole. Ci sono ventiquattro libri dell’Antico Testamento, che sono accettati: li si trovano anche nelle epitome di Teodoro; infatti ad entrambi compete, come detto – ai ventiquattro Padri e agli Apostoli – giudicare il loro popolo. Agli Apostoli, che chiedevano e dicevano: « Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa ne riceveremo in cambio? » (Mt. XIX, 27), il Signore rispose: « Quando il Figlio dell’uomo siederà sul suo trono nella gloria, anche voi siederete su dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele. » E ai Padri che giudicheranno, il patriarca Giacobbe dice: « Dan giudicherà il suo popolo tra i suoi fratelli, come qualsiasi tribù d’Israele » (Gen. XLIX, 16). – Dal trono escono lampi e voci e tuoni, e bruciano sette lampade di fuoco (Apoc. IV, 5). La predicazione, le promesse e le minacce di Dio: i ‘‘lampi’’, infatti, sono l’annunzio della venuta del Signore; le ‘‘voci’’ sono la predicazione del Nuovo Testamento. E il ‘‘tuono’’ è la tromba che indica come le parole dei predicatori siano celestiali. Le ‘‘fiaccole’’ di fuoco ardente sono il dono dello Spirito Santo, che ci è stato restituito con l’albero della Passione. E ogni volta che facevano questo: i ventiquattro anziani – dice – si prostravano e adoravano il Signore, con gli animali che davano gloria ed onore, e questa è l’azione evangelica del Signore, cioè la dottrina, il compiersi della parola da essi preannunciata. Con ragione e giustamente essi si rallegrano, sapendo di essere stati al servizio dei misteri e della parola di Dio. In conclusione, quindi, era venuto Colui che vince la morte e che solo è degno di ricevere la corona dell’immortalità. Tutti avevano a lor gloria le corone delle loro ottime opere, e gettarono le loro corone davanti al suo trono, cioè: davanti della splendida Vittoria di Cristo, tutte le loro vittorie furono gettate ai suoi piedi. Questo è accaduto già nel Vangelo – come insegna lo Spirito Santo – quando gli uscirono incontro, alcuni stendendo le loro vesti sul suo cammino, altri le palme e i rami d’albero. Ci hanno mostrato in tal modo i due popoli: l’uno dei Patriarchi e l’altro dei Profeti, dei grandi uomini, che hanno gettato tutte le palme delle loro vittorie sul peccato, ai piedi di Cristo conquistatore degli uomini. – La palma e la corona sono la stessa cosa, perché vengono date solo ad un vincitore. Allora quelli che gettavano le loro corone gridavano dicendo: Tu sei degno, Signore e nostro Dio, di ricevere gloria, onore e potere, perché hai creato l’universo, e per tua volontà è stato creato ciò che esisteva. Esisteva – dice – ed è stato creato. Esisteva secondo Dio, che possiede tutte le cose già prima che esse siano fatte, e furono create per essere viste da noi, come dice Mosè: « Non è lui il Padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito? » (Dt. XXXII, 6). Ti ha conosciuto nella preveggenza, ti ha fatto in Adamo e ti ha creato da Adamo.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (8)