DOMENICA PRIMA DI QUARESIMA (2021)

DOMENICA PRIMA DI QUARESIMA (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Giovanni in Laterano

Semidoppio. – Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

Questa Domenica è il punto di partenza del ciclo quaresimale, (Secr.) cosicché l’assemblea liturgica si tiene oggi, fin dal IV secolo a S. Giovanni in Laterano, che è la basilica patriarcale del romano Pontefice ed il cui nome rievoca la redenzione operata da Gesù, essendo questa Basilica dedicata anche al SS.mo Salvatore. Subito dopo il battesimo, Gesù si prepara alla vita pubblica con un digiuno di 40 giorni, nel deserto montagnoso, che si estende fra Gerico e le montagne di Giuda (Gesù si riparò, dice la tradizione, nella grotta che è nel picco il più elevato chiamato Monte della Quarantena). Là satana, volendo sapere se il figlio di Maria era il figlio di Dio, lo tenta (Vang.). Gesù ha fame e satana gli suggerisce di convertire in pane le pietre. Allo stesso modo opera con noi e cerca di farci abbandonare il digiuno e la mortificazione in questi 40 giorni. È la concupiscenza della carne. – Il demonio aveva promesso al nostro primo padre che sarebbe diventato simile a Dio; egli trasporta Gesù sul pinnacolo del Tempio e lo invita a farsi portare in aria dagli Angeli per essere acclamato dalla folla. Tenta noi ugualmente nell’orgoglio, che è opposto allo spirito di preghiera e alla meditazione della parola di Dio. È l’orgoglio della vita. Come aveva promesso ad Adamo una scienza uguale a quelli di Dio, che gli avrebbe fatto conoscere tutte le cose, satana assicura Gesù che gli darà l’impero su tutte le cose se Egli prostrato in terra lo adorerà (Lucifero, il più bello degli angeli, si credette in diritto, secondo alcuni teologi, all’unione ipostatica che l’avrebbe elevato alla dignità di Figlio di Dio. Egli cercò di farsi adorare come tale da Gesù, come l’anticristo si farà adorare nel tempio di Dio (II ai Tessal.). Il demonio allo stesso modo cerca con noi, di attaccarci ai beni caduchi, quando stiamo per sovvenire il prossimo con l’elemosina e le opere di carità. È la concupiscenza degli occhi o l’avarizia. – Il Salmo XC che Gesù usò contro satana, — poiché la spada dello Spirito, è la parola di Dio (Agli Efesini, VI, 17).— serve di trama a tutta la Messa e si ritrova nell’ufficiatura odierna. « La verità del Signore ti coprirà come uno scudo », dichiara il salmista. Questo salmo dunque è per eccellenza quello di Quaresima, che è un tempo di lotta contro satana, quindi il versetto 11: «Ha comandato ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie », suona come un ritornello durante tutto questo periodo, alle Lodi e ai Vespri. Questo Salmo si trova intero nel Tratto e ricorda l’antico uso di cantare i salmi durante la prima parte della Messa. Alcuni dei suoi versetti formano l’Introito col suo verso, il Graduale, l’Offertorio e il Communio. In altra epoca, quest’ultima parte era formata da tre versetti invece di uno solo e questi tre versetti seguivano l’ordine della triplice tentazione riferita nel Vangelo. – Accanto a questo Salmo, l’Epistola, che è certamente la stessa che al tempo di S. Leone, dà una nota caratteristica della Quaresima. S. Paolo vi riassume un testo di Isaia: «Ti esaudii nel tempo propizio e nel giorno di salute ti portai aiuto» (Epist. e 1° Nott.). S. Leone ne fa questo commento: « Benché non vi sia alcuna epoca che non sia ricca di doni celesti, e che per grazia di Dio, ogni giorno vi si trovi accesso presso la sua misericordia, pure è necessario che in questo tempo le anime di tutti i Cristiani si eccitino con più zelo ai progressi spirituali e siano animate da una più grande confidenza, allorché il ritorno del giorno nel quale siamo stati redenti ci invita a compiere tutti i doveri della pietà cristiana. Così noi celebreremo, con le anime ed i corpi purificati, questo mistero della Passione del Signore, che è fra tutti il più sublime. È vero che noi dovremmo ogni giorno essere al cospetto di Dio con incessante devozione e rispetto continuo come vorremmo essere trovati nel giorno di Pasqua. Ma poiché questa forza d’animo è di pochi; e per la fragilità della carne, viene rilassata l’osservanza più austera, e dalle varie occupazioni della vita presente viene distratta la nostra attenzione, accade necessariamente che la polvere del mondo contamini gli stessi cuori religiosi. Perciò è di grande vantaggio per le anime nostre questa divina istituzione, perché questo esercizio della S. Quaresima ci aiuti a ricuperare la purità delle nostre anime riparando con le opere pie e con i digiuni, gli errori commessi negli altri momenti dell’anno. Ma per non dare ad alcuno il minimo motivo di disprezzo o di scandalo, è necessario che il nostro modo di agire non sia in disaccordo col nostro digiuno, perché è inutile diminuire il nutrimento del corpo, quando l’anima non si allontana dal peccato » (2° Notturno). – In questo tempo favorevole e in questi giorni di salute, purifichiamoci con la Chiesa (Oraz.) « col digiuno, con la castità, con l’assiduità ad intendere e meditare la parola di Dio e con una carità sincera » (Epist.).

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XC: 15; XC: 16

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Ps XC:1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorábitur. [Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo].

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur.

[O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI:1-10.

“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” –  Deo gratias.

[Fratelli: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Nel tempo favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salute ti ho recato aiuto». Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salute. Noi non diamo alcun motivo di scandalo a nessuno, affinché il nostro ministero non sia screditato; ma ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, mediante una grande pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, nelle sommosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con la purità, con la scienza, con la mansuetudine, con la bontà, con lo Spirito Santo, con la carità sincera, con la parola di verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia di destra e di sinistra; nella gloria e nell’ignominia, nella cattiva e nella buona riputazione; come impostori, e siam veritieri; come ignoti, e siam conosciuti; come moribondi, ed ecco viviamo; come puniti, e non messi a morte; come tristi, e siam sempre allegri; come poveri, e pure arricchiamo molti; come privi di ogni cosa, e possediamo tutto]. (2 Cor VI, 1-10).

FAR FARE BUONA FIGURA A DIO.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938) ]

Veramente S. Paolo in questo brano di lettera parla se non proprio ai sacerdoti, certo per i ministri di Dio. Per fortuna, ministri di Dio, in un certo senso almeno, lo siamo tutti noi Cristiani, dobbiamo esserlo, e perciò vale per noi tutti la esortazione fondamentale per gli Apostoli: evitare le brutte figure (morali) e fare bella figura (morale). E la ragione addotta è quella che rende la esortazione più interessante e più universale: col non fare brutta figura, fare anzi bella figura, noi, per… non far fare brutta figura, per far fare bella figura a Dio. Ne siamo i ministri: ecco perché le nostre belle o brutte figure rimbalzano su di Lui. Rappresentanti di Dio! Che grande parola. Ed essa è proprio matematicamente esatta, precisa quando si tratta di noi Sacerdoti, di noi apostoli veri e propri. La gente ci confonde un po’ con Dio; giudica Lui, giudica della Religione da quello che noi, proprio noi, siamo e facciamo. Ma giudizi analoghi gli uomini senza fede o con poca fede pronunciano davanti alla condotta di un fedele Cristiano. E se questi sono buoni, il volgo suddetto ne conclude che buona è la religione, buono è quel Dio di cui la religione si ispira e nutre. Ma viceversa con la stessa logica fa rimbalzare sulla religione, su Dio le nostre miserie. E conclude che la religione non serve a nulla, a nulla di buono e grande, quando nulla di grande e di buono essa produce in noi. – Il ragionamento per cui si giudica della religione in sé, della sua bontà ed efficacia universale da uno a pochi casi, è un ragionamento che vale fino ad un certo punto, zoppica, zoppica assai, alla stregua della logica pura ed ideale. Zoppica ma cammina. Non avrebbe il diritto di farlo ma lo si fa, con una facilità, una frequenza, una sicurezza impressionante. E di questo bisogna tener conto, che lo si fa, come teniamo conto, nella vita, di tanti altri fatti che ci appaiono o misteriosi o paradossali, ma sono fatti e « contra factum non valet argumentum. » Questo fatto deve metterci addosso un brivido ed un fuoco. Brivido di terrore pensando alla debolezza delle nostre spalle, al peso davvero formidabile. Si fa così presto noi a cadere. Quando e dopo che avremo ubbidito agli istinti egoistici e alla loro desolante miseria si dirà da parecchi: ecco che cosa è la religione! Ecco a cosa serve Dio! Noi avremo screditato, noi screditeremo, noi screditiamo ciò che al mondo vi è di più sacro. Sconquassiamo dei pilastri giganteschi della vita. Perciò prendiamo come programma nostro la parola di Paolo: « noi non diamo di scandalo in cosa alcuna. » E non fermiamoci, ma continuiamo: « anzi ci mostriamo in ogni cosa degni di raccomandazione. » Il che non sarà che un rifarci alla bella parola di Gesù Cristo: « veggano tutto il bene che voi fate, voi, miei discepoli, e glorifichino perciò il Padre che sta nei Cieli ». – Dicano amici e nemici osservandoci: come sono buoni i veri figli di Dio; come è buono il Padre celeste che li ispira e li guida.

 Graduale

Ps XC,11-12

Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]

Tractus.

Ps XC: 1-7; XC: 11-16

Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorántur.

V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum.

V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero.

V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis.

V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno.

V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno.

V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit.

V. Quóniam Angelis suis mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum,

V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem.

V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum,

V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne,

V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.

[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio.

Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia.

Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto.

Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo.

La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni.

Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio.

Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà.

V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi.

Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra.

Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone.

«Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome.

Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione.

Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.

Matt IV: 1-11

“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”

[Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatoglisi il tentatore, disse: Se tu sei Figliuol di Dio, di’ che queste pietre diventino pani. Ma egli rispondendo, disse: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa che Dio comanda. Allora il diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: Se tu sei Figliuolo di Dio, gettati giù; imperocché sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa che Dio comanda. Allora il imperocché sta scritto: che ha commesso ai suoi angeli la cura di te, ed essi ti porteranno sulle mani, affinché non inciampi talvolta col tuo piede nella pietra. Gesù disse: Sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la loro magnificenza; e gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Vattene, Satana, imperocché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi lui solo. Allora il diavolo lo lasciò; ed ecco che gli si accostarono gli Angeli, e lo servivano.]

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. II, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulle tentazioni.

Jesus ductus est in desertum a Spiritu, ut tentaretur a diabolo.

(MATTH. IV, 1).

Che Gesù Cristo, Fratelli miei, abbia scelto il deserto per farvi orazione, non deve recarci meraviglia; la solitudine era la sua delizia! che poi lo Spirito Santo ve lo abbia condotto, questo deve sorprenderci ancor meno; giacché il Figlio di Dio non poteva avere altra guida che lo Spirito Santo. Ma che sia stato tentato dal demonio; che più volte sia stato portato da questo spirito delle tenebre, chi oserebbe crederlo se non fosse Gesù Cristo medesimo che ce lo dice per bocca di S. Matteo? Eppure, o M. F., anziché fare meraviglie, noi dovremmo invece rallegrarci e ringraziare senza fine il nostro buon Salvatore, che volle essere tentato solo per meritarci vittoria nelle nostre tentazioni. Quanto siamo fortunati, o F. M.! Dal giorno in cui il nostro caro Salvatore si è sottoposto alla tentazione, per vincere le nostre, a noi non manca altro che la buona volontà. – Ecco, M. F., i grandi vantaggi che noi ricaviamo dalla tentazione del Figliuol di Dio. Ed ecco l’argomento mio; vorrei dimostrarvi:

1° Che la tentazione ci è assai necessaria per farci conoscere ciò che siamo;

2° Che noi dobbiamo temere molto le tentazioni; perché il demonio è assai furbo e astuto; e perché una sola tentazione può bastare a piombarci nell’inferno, se noi abbiamo la disgrazia di acconsentirvi;

3° Che dobbiamo combattere fortemente sino alla fine; perché solo a questa condizione conquisteremo il cielo.

Se io volessi provarvi, o F. M., che esistono i demoni e che essi ci tentano, bisognerebbe pensare ch’io parlassi a un popolo idolatra o pagano, o almeno a Cristiani avvolti nella più profonda e deplorevole ignoranza; bisognerebbe dire ch’io sono convinto che voi non avete mai studiato il catechismo. Quando fanciulli vi si domandava: Tutti gli angeli sono rimasti fedeli a Dio? Non è vero che voi tosto rispondevate: No; una parte si è ribellata a Dio, è stata cacciata dal paradiso e precipitata nell’inferno? E quando si continuava a chiedervi: Che cosa fanno gli angeli ribelli? Subito, non è vero, che soggiungevate: Essi lavorano a tentare gli uomini, e fanno ogni sforzo per trascinarli al male? Ma io possiedo di questa verità altre prove, e ancor più convincenti. Voi sapete che fu il demonio che tentò i nostri progenitori nel paradiso terrestre, dove riportò la prima vittoria, vittoria che lo rese così ardito e orgoglioso. – Fu il demonio che tentò Caino e lo trascinò a uccidere il fratello Abele. Nell’antico Testamento leggiamo che il Signore disse al demonio: “Donde vieni? „ ed esso rispose: “Ho fatto il giro del mondo; „ (Job. I, 7) prova ben chiara è questa, o M. F., che il demonio gira la terra a fine di tentarci. Leggiamo nel Vangelo che Maddalena avendo confessato a Gesù Cristo i suoi peccati, uscirono da lei sette demoni (Luc. VIII, 2). Vediamo altresì in altro luogo del Vangelo che lo spirito immondo, uscito da un uomo, esclama: “Vi tornerò con altri demoni peggiori di me. „ (Ibid. VI, 26). Ma non è questo, F. M., che vi è più necessario di sapere; di tutto ciò nessuno di voi dubita. Quello che a voi maggiormente gioverà, si è conoscere in qual maniera il demonio possa tentarvi. Per ben persuadervi della necessità di respingere le tentazioni, domandate a tutti i Cristiani dannati, perché mai si trovino nell’inferno, essi che erano creati pel cielo: e ad una voce vi risponderanno che, essendo stati tentati, hanno accondisceso alla tentazione. Domandate pure a tutti i Santi che regnano in cielo, che cosa ha procurato loro tanta felicità, e tutti vi soggiungeranno: Fu perché, essendo tentati, abbiamo, con la grazia di Dio, resistito alla tentazione e disprezzato il tentatore. Ma chiederete, forse: Che cosa è dunque la tentazione? Eccolo, miei cari; ascoltate bene, e vedrete e intenderete. Siete tentati ogni volta che vi sentite portati a fare una cosa che Dio proibisce, o a non compiere ciò che Egli comanda. Dio vuole che facciate bene le vostre preghiere, mattina e sera, in ginocchio, con devozione. Dio vuole che passiate santamente il giorno della Domenica nella preghiera, cioè assistendo a tutte le funzioni (A tutte le funzioni, cioè alla Messa, è un precetto della Chiesa, e alle altre funzioni, il Vespro, la spiegazione della dottrina cristiana, pratiche consigliate e utili assai) e astenendovi da ogni lavoro. Dio vuole che i figli abbiano grande rispetto pel padre e per la madre, e i servi pei loro padroni. Dio vuole che amiate tutti e facciate del bene a tutti, anche ai vostri nemici; che non mangiate carne nei giorni proibiti; che vi diate grande premura di apprendere i vostri doveri; che perdoniate sinceramente a chi vi ha fatto qualche torto. Dio vuole che non pronunciate mai bestemmie, maldicenze, calunnie, parole sconce; che non facciate mai cose brutte. Questo lo capite facilmente. Ebbene. Se non ostante che il demonio vi tenti di fare ciò che Dio proibisce, voi non lo fate, vuol dire che non cedete alla tentazione; se invece lo fate, allora acconsentite e soccombete. – Sapete, o F. M., perché il demonio lavora con tanto furore per trascinarci al male? Perché non potendo offendere Dio egli stesso, vuol farlo offendere dalle altre creature. Ma quanto siamo fortunati noi, o M. F.! Che bella sorte è la nostra di avere per nostro modello un Dio! Se siamo poveri, abbiamo per modello un Dio che nasce in una stalla ed è adagiato in una mangiatoia su di un po’ di paglia. Se siamo disprezzati, abbiamo per modello un Dio che ci precede, coronato di spine, coperto d’un vile manto di porpora e trattato da pazzo. Se soffriamo, abbiamo per modello un Dio tutto coperto di piaghe che muore della morte più dolorosa che mai possa immaginarsi. Se siamo perseguitati, oseremo noi lamentarci, o M. F., noi che abbiamo per modello un Dio che muore pe’ suoi carnefici? E se siamo tentati dal demonio, noi abbiamo per modello il nostro amabile Redentore, che fu tentato dal demonio e due volte trasportato da questo spirito infernale. Sicché, o M. F., in qualunque stato di sofferenze, di pene o di tentazioni ci sia dato trovarci, dovunque e sempre, abbiamo il nostro Dio che ci precede e ci assicura la vittoria ogni volta che lo desideriamo. – Ecco, F. M., ciò che deve grandemente consolare il Cristiano: il pensiero che ogni qualvolta nella tentazione ricorrerà a Dio, sarà certo di non soccombere.

I. — Ho detto che la tentazione era a noi necessaria per farci conoscere che da noi stessi siamo nulla. S. Agostino ci insegna che dobbiamo ringraziare Dio pei peccati da cui ci ha preservati, come per quelli che ebbe la bontà di perdonarci. Abbiamo così spesso la disgrazia di cadere nei lacci del demonio, perché confidiamo troppo nelle nostre risoluzioni e nelle nostre promesse, e non abbastanza in Dio. Ciò che è verissimo. Quando nulla ci affanna e tutto va a seconda dei nostri desideri, noi osiamo credere che nulla sarà capace di farci cadere; dimentichiamo il nostro nulla, la nostra povertà e debolezza; facciamo le più belle proteste d’essere pronti a morire piuttosto che lasciarci vincere. Ne abbiamo un esempio in S. Pietro, che diceva al Signore: “Quand’anche tutti gli altri vi rinnegassero, io non lo farò mai„ (Matt. XXVI, 33). Ahimè! Dio per mostrargli quanto poca cosa è l’uomo, abbandonato a se stesso, non ha adoperato né re né principi, né armi; ma si servì della voce d’una fantesca, che parlando non sembrava interessarsi troppo di lui. Poco prima si diceva pronto a morire per Gesù, ora afferma che non lo conosce, che non sa di chi gli si voglia parlare; e per meglio assicurare che non lo conosce, giura. – Mio Dio, di che cosa siamo capaci abbandonati a noi stessi! Vi sono certuni, i quali, a quanto dicono, sembrano invidiare i Santi, che han fatto grandi penitenze; e sono convinti di potere anch’essi fare altrettanto. Leggendo la vita dei martiri noi ci sentiamo pronti a soffrire ogni cosa per Iddio. Un breve istante di patire è subito passato, diciamo noi; poi viene un’eternità di ricompensa. E che fa il buon Dio, perché ci possiamo conoscere un poco, o meglio, per mostrarci che noi siamo nulla? Eccovelo: permette al demonio di accostarsi un po’ più a noi. E allora osservate quel Cristiano, che poco fa sembrava portare invidia ai solitari che si cibano di radici e d’erbe, e che risolveva di trattare sì duramente il suo corpo; ohimè! un leggero dolor di capo, una puntura di spillo gli cava lamenti, per un nonnulla, si affligge e strilla. Poco fa avrebbe voluto fare tutte le penitenze degli anacoreti, ed ora per una cosa da nulla si dispera. Osservate quest’altro che sembra pronto a dare pel Signore la sua vita; i più duri tormenti non parrebbero capaci di arrestarlo; invece una piccola maldicenza, una calunnia, un trattamento alquanto freddo, un leggero torto ricevuto, un beneficio ricambiato con ingratitudine fanno sorgere tosto nel suo animo sentimenti di odio, di vendetta, d’avversione, a tal segno, spesse volte, che non vuol più fermare il suo sguardo su chi lo ha offeso, o almeno lo guarda con freddezza, con un occhio il quale mostra chiaro ciò che egli porta in cuore. E quante volte svegliandosi di notte questo è il suo primo pensiero, pensiero che non lo lascia dormire. Ah! M. F., come è vero che noi siamo poca cosa e che dobbiamo fare ben poco assegnamento sulle nostre belle risoluzioni! Voi vedete dunque ora quanto sia necessaria la tentazione per persuaderci del nostro nulla, e perché l’orgoglio non finisca di dominarci. Sentite che cosa diceva S. Filippo Neri. Considerando egli quanto siamo deboli e nel pericolo di perderci ad ogni momento, così supplicava il buon Dio piangendo : “Mio Dio, tenetemi la vostra mano sul capo; voi sapete ch’io sono un traditore; voi conoscete quanto sono cattivo; se mi abbandonate un solo istante temo di tradirvi. „ Ma dentro di voi penserete, forse, che le persone più tentate siano gli ubbriaconi, i maldicenti, i viziosi, che si gettano a corpo perduto nelle brutture, gli avari, che rubano in mille modi. No, M. F., non sono costoro i più tentati: questi il demonio li disprezza e non li molesta, per timore che non facciano tutto il male che egli vorrebbe; giacché più essi vivranno e maggior numero di anime i loro cattivi esempi trascineranno all’inferno. Infatti. se il demonio avesse stimolato con forti tentazioni quel vecchio vizioso, spingendolo in tal modo ad abbreviarsi la vita di quindici o vent’anni, egli non avrebbe tolto il fiore della verginità a quella giovinetta, immergendola nel fango più vergognoso dell’impudicizia; non avrebbe sedotto quella donna, insegnata la malizia a quel giovinetto, che nel male durerà forse fino alla morte. Se il demonio avesse spinto quel ladro a rubare ad ogni occasione, già da tempo avrebbe finito i suoi giorni sul patibolo e non avrebbe indotto il suo vicino a imitarlo. Se il demonio avesse tentato quell’ubbriacone a bere sempre senza misura, da lungo tempo egli sarebbe morto per le sue crapule; mentre avendo avuto prolungata l’esistenza, ha potuto indurre altri a rassomigliargli. Se il demonio avesse tolta la vita a quel sonatore, a quel promotore di balli, o a quell’oste, in una partita di divertimento o in altra occasione; quanti, senza di costoro, non si sarebbero perduti, e invece si danneranno! S. Agostino ci insegna che il demonio non li molesta troppo costoro, anzi li disprezza. – Ma, direte voi, chi sono i più tentati? Miei cari, ascoltatemi attentamente. I più tentati sono coloro che, con la grazia di Dio, sono pronti a sacrificar tutto per salvare la loro anima; e che rinunciano a tutto ciò che sulla terra è desiderato con tanta avidità. E costoro non sono tentati da un demonio solo, ma da migliaia, che si rovesciano su di essi per farli cadere nei loro lacci. Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia che san Francesco d’Assisi stava con tutti i suoi religiosi in un gran campo, dove aveva costrutte piccole capanne di giunco. Vedendo che i suoi frati facevano penitenze assai straordinarie, san Francesco ordinò loro di raccogliere tutti i cilizi, e se ne fecero parecchi mucchi. V’era un giovane, a cui Dio in quel momento fece la grazia di poter vedere il suo Angelo custode. Da un lato vedeva quei buoni religiosi che non sapevano stancarsi di far penitenza, dall’altro il suo Angelo custode gli fece vedere un’accolta di diciotto mila demoni, che tenevano consiglio per trovar modo di far cadere quei religiosi con la tentazione. Ce ne fu uno che disse: “Voi non capite nulla. Questi frati sono così umili, così distaccati da se medesimi, così uniti a Dio, hanno un superiore il quale li guida sì bene, che è impossibile poterli vincere: aspettiamo che il superiore sia morto; allora cercheremo di farvi entrare giovani senza vocazione, che vi porteranno il rilassamento, e a questa maniera saranno nostri.„ Un po’ più lontano, all’ingresso della città, vide un demonio solo che stava seduto presso la porta per tentare quelli che erano dentro. Quel santo giovane domandò al suo Angelo custode, perché a tentare quei religiosi vi erano tante migliaia di demoni, mentre per un’intera città ve n’era un solo, e per giunta se ne stava seduto? E l’Angelo gli rispose che le persone del mondo non avevano neppur bisogno di tentazione, perché da se stesse si lasciavano andare al male; mentre i religiosi rimanevano fermi nel bene, malgrado tutti gli agguati del demonio e tutta la guerra che poteva contro di essi ingaggiare. – Ed ora, eccovi, F. M., la prima tentazione che il demonio muove a chi si è messo a servire meglio il Signore: il rispetto umano. Per tal guisa questa persona non ha più il coraggio di mostrarsi; si nasconde a quelli coi quali si era prima divertita; se le si dice che ha fatto un gran cambiamento, ne prova vergogna. Il pensiero di ciò che diranno gli altri l’angustia sempre, e la riduce a non aver più la forza di fare il bene dinanzi al mondo. Se il demonio non può vincerla col rispetto umano, fa nascere in lei uno straordinario timore: che le sue confessioni non sono ben fatte, che il confessore non la conosce, che ella potrà ben adoperarsi, ma si dannerà ugualmente, che per lei, il lasciar tutto o continuare la sua via, vale lo stesso, giacché ha troppe occasioni di cadere. Perché mai avviene, o F. M.. che una persona quando non pensa a salvare l’anima propria e vive nel peccato, non è affatto tentata? mentre appena vuol mutar vita, cioè desidera di tornare a Dio, tutto l’inferno le si rovescia addosso? – Sentite ciò che insegna S. Agostino: “Ecco, egli dice, come si comporta il demonio col peccatore; egli agisce alla guisa stessa di un carceriere, il quale tiene parecchi prigionieri chiusi in carcere, ma avendo la chiave in tasca, non si dà cura di loro, persuaso che essi non possono fuggire. Così fa il demonio con un peccatore, che non pensa a uscire dal suo peccato; non si dà briga di tentarlo — sarebbe questo tempo perso, perché quello sventurato non solo non pensa ad abbandonare il peccato, ma rende sempre più pesanti le sue catene. Sarebbe dunque cosa inutile il tentarlo, e lo lascia vivere in pace; se pure è possibile goder pace quando si è in peccato. Gli nasconde, quanto può, il suo stato fino all’ora della morte, e in quel momento lavora a fargli la più spaventosa descrizione della sua vita, per piombarlo nella disperazione. Ma con una persona che ha risolto di cambiar vita e di darsi a Dio, egli usa un contegno ben diverso. „ Finché S. Agostino menò una vita disordinata, egli quasi non conobbe che cosa fosse la tentazione. Si credeva in pace, come racconta egli medesimo; ma dal momento che stabilì di voltare le spalle al demonio dovette lottare con esso con ogni accanimento durante cinque anni, usando contro di lui le lagrime più amare e le penitenze più austere. – Mi dibattevo con esso, egli scrive, oppresso dalle mie catene. Oggi mi credevo vincitore, domani giacevo steso a terra. Questa guerra crudele ed accanita durò cinque anni. Pure Dio mi fece la grazia di superare il nemico. Rammentate altresì le lotte che ebbe a sopportare S. Gerolamo, quando volle consacrarsi a Dio e risolvette di visitare la Terra Santa. Vivendo in Roma egli aveva concepito il desiderio di lavorare alla propria salvezza: perciò, lasciata quella città andò a seppellirsi in un orrido deserto per darsi liberamente a tutto ciò che il suo amore per Iddio poteva suggerirgli. E il demonio, che prevedeva quante conversioni quella risoluzione generosa avrebbe prodotte, sembrò scoppiare di dispetto e non gli risparmiò alcuna tentazione. Io penso che nessun altro santo sia stato tentato più fortemente di lui. Ecco come si esprimeva scrivendo a persona amica: “Mio caro, voglio mettervi a conoscenza delle mie afflizioni e dello stato a cui il demonio vuol ridurmi. Quante volte in questa solitudine, resa insopportabile dall’ardore del sole, quante volte il ricordo dei piaceri di Roma è venuto ad assalirmi; il dolore e l’amarezza, di cui l’anima mia è ricolma, mi fanno versare giorno e notte torrenti di lacrime. Mi nascondo nei luoghi più remoti per lottare contro le tentazioni e piangere i miei peccati. Il mio corpo è tutto sfigurato e coperto di ruvido cilicio. Mio letto è la nuda terra, ed anche nelle malattie radici ed acqua formano il mio nutrimento. E non ostante questi rigori, la mia carne risente ancora le impressioni dei piaceri che disonorano Roma; la mia memoria ritorna ancora fra quelle gioviali compagnie, fra le quali ho tanto offeso Dio. In questo deserto, al quale mi sono volontariamente condannato per evitare l’inferno, fra queste rocce tetre, dove sono unica mia compagnia gli scorpioni e le bestie feroci, malgrado tutto l’orrore che mi circonda e mi spaventa, la fantasia mi riscalda di fuoco impuro il corpo già presso a morire; il demonio osa ancora offrirmi piaceri da godere. Vedendomi così umiliato da tentazioni, il cui solo pensiero mi fa morire di orrore, non sapendo più a quale penitenza assoggettare il mio corpo per tenerlo attaccato a Dio; mi getto a terra, a’ pie del mio Crocifisso, irrigandolo di lacrime; e, quando non posso più piangere, afferro una pietra, mi batto il petto fino a far uscire sangue dalla bocca; e invoco misericordia, fintantoché il Signore abbia pietà di me. Chi potrà comprendere in quale stato infelice io mi trovo, io che desidero ardentemente di piacere a Dio e di non amare che lui solo? Vedendomi continuamente eccitato a offenderlo, quale dolore ne risento! Soccorretemi, amico caro, con l’aiuto delle vostre preghiere; perché io sia più valente a respingere il demonio, che ha giurato di perdermi eternamente.„ (Epist. 22 ad Eustoch.). – Ecco, F. M., i combattimenti ai quali Dio permette che i grandi Santi siano sottoposti. Ah! miei cari, siamo ben degni di compassione, se non siamo aspramente combattuti dal demonio. Stando alle apparenze dovremmo dire che siamo amici del demonio; egli ci lascia vivere in una falsa pace, ci ha addormentati col pretesto che abbiamo fatto qualche buona preghiera, alcune elemosine e che abbiamo fatto meno male di tanti altri. Infatti, se voi chiedete a quell’assiduo frequentatore d’osterie, se il demonio lo tenta; vi risponde semplicemente di no, e che nulla lo inquieta. Domandate a quella giovane vanitosa, quali assalti le muove il demonio; ella ridendo vi risponderà: Nessuno; e vi dirà che ella non sa che cosa voglia dire essere tentata. Ecco, F. M., qual è la tentazione di tutte più terribile: il non essere tentati; ecco la condizione di coloro che il demonio tiene in serbo per l’inferno. E se non credessi di essere troppo audace, potrei anche dirvi che il demonio si guarda bene dal tentarli o dal disturbarli, riguardo alla loro vita passata, per timore che aprano gli occhi sui loro peccati. Ripeto dunque, F. M., che la maggiore sventura per un Cristiano è il non essere tentato, perché c’è motivo di credere che il demonio lo consideri come cosa sua, e aspetti soltanto la morte per trascinarlo nell’inferno. Ed è facile capirlo. Osservate un Cristiano che si dà qualche pensiero della sua salvezza: tutto ciò che lo attornia è per lui stimolo al male; spesso non può nemmeno levar gli occhi senza sentirsi tentato, non ostante le sue preghiere e le sue austerità; invece un vecchio peccatore, che forse da vent’anni s’avvoltola e si trascina nelle lordure, vi affermerà che non è tentato. Tanto peggio, o cari, tanto peggio. Questo deve appunto farvi tremare: il non conoscere le tentazioni; perché il dire che non siete tentati, è come se diceste che il demonio non c’è più, o che ha perduto tutta la sua rabbia contro i Cristiani. “Se voi non avete tentazioni, dice S. Gregorio, questo avviene perché i demoni sono vostri amici, vostra guida e vostri pastori; ora vi lasciano passare in pace la vostra povera vita, alla fine dei vostri giorni vi trascineranno negli abissi. „ S. Agostino ci dice che la più grande tentazione è quella di non avere tentazioni — perché è lo stesso che essere riprovato, abbandonato da Dio e lasciato alla mercè delle proprie passioni.

II. — Ho detto in secondo luogo che la tentazione ci è assolutamente necessaria per mantenerci umili e diffidenti di noi stessi, e per obbligarci a ricorrere a Dio. Leggiamo nella storia che un solitario, essendo estremamente tentato, il Superiore gli disse: “Volete che preghi Iddio perché vi liberi dalle vostre tentazioni? No, padre, rispose il monaco, questo fa sì che io non perda mai la presenza di Dio; giacché io ho sempre bisogno di ricorrere a Lui, perché m’aiuti a lottare. „ Frattanto, o F. M., possiamo dire che, quantunque sia umiliante l’essere tentati, pure è segno certo che siamo sulla strada del cielo. Non ci rimane che una cosa da fare: combattere con coraggio, perché la tentazione è tempo di raccolta; ed eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che una santa era da così gran tempo tormentata dal demonio, che si credeva dannata. Iddio le apparve per consolarla, e le disse che ha maggiormente guadagnato meriti durante quella prova, che non in tutto il resto di sua vita. S. Agostino ci dice che, senza le tentazioni, tutto ciò che facciamo avrebbe scarso merito. Invece di affliggerci quando siamo tentati, dobbiamo ringraziare il Signore, e lottare con coraggio, perché siamo sicuri d’essere sempre vittoriosi. Mai Dio permetterà al demonio di tentarci al disopra delle nostre forze. – Una cosa certa poi, o F. M., è questa: che noi dobbiamo, cioè, aspettare che la tentazione finisca con la nostra morte. Il demonio, che è uno spirito, non si stanca mai; dopo averci tentato, durante cento anni, egli è ancora così forte e così furioso come se ci assalisse la prima volta. Non dobbiamo assolutamente credere di poter vincere il demonio e fuggirlo in modo da non essere più tentati; poiché il grande Origene dice che i demoni sono assai più numerosi degli atomi che volteggiano nell’aria e delle gocce d’acqua che compongono il mare; il che vuol significare che sono sterminati di numero. S. Pietro ci dice: “Vigilate continuamente perché il demonio si aggira attorno a voi, come un leone, cercando alcuno da divorare. „ (I Piet. V, 8) E Gesù Cristo in persona ci dice: “Pregate senza interruzione per non cedere alla tentazione „ (Matt. XXVI, 41), il che vuol dire che il demonio ci aspetta dappertutto. Inoltre dobbiamo attenderci d’essere tentati in qualunque luogo e in qualunque stato ci troviamo. Vedete quel sant’uomo, che era tutto coperto di piaghe e quasi fetente: il demonio non cessò di tentarlo per corso di sette anni: S. Maria Egiziaca fu tentata per diciannove anni; S. Paolo per tutta la sua vita, cioè dal momento in cui si convertì a Dio. S. Agostino per consolarci dice che il demonio è un cane legato alla catena, che abbaia, fa gran rumore, ma non morde se non coloro che gli si accostano troppo. Un santo sacerdote trovò un giovane molto agitato e gli chiese perché s’inquietasse così: “Padre mio, rispose, temo di essere tentato e di soccombere. — Vi sentite tentato? soggiunse il sacerdote; fate un segno di croce, elevate il cuore a Dio ; se il demonio continua, continuate anche voi, e sarete sicuro di non macchiare l’anima vostra. „ Vedete ciò che fece S. Macario, il quale andando in cerca di ciò che gli occorreva per fare stuoie, incontrò per via un demonio con una falce infuocata che gli correva addosso quasi per ucciderlo. S. Macario, senza scomporsi, alzò il cuore a Dio. E il demonio andò in sì gran furore che esclamò: “Ah! Macario quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare. Però quello che tu fai lo faccio anch’io; se tu vegli, io non dormo punto; se tu digiuni, io non mangio mai; una cosa sola tu hai e della quale io manco. Il santo gli domandò che cosa fosse; e il demonio dopo avergli risposto: l’umiltà; sparì.„ Sì, F. M., pel demonio l’umiltà è una virtù formidabile. Perciò vediamo che S. Antonio, quando era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente, dicendo al Signore: – Mio Dio, abbiate pietà di questo grande peccatore: e il demonio prendeva la fuga.

III. — Ho detto in terzo luogo che il demonio si scatena contro quelli, che hanno veramente a cuore la loro salvezza, e li perseguita continuamente, accanitamente; sempre nella speranza di vincerli. Eccovene un bell’esempio. Si racconta che un giovane solitario, già da parecchi anni aveva lasciato il mondo per non pensare che a salvare l’anima sua. Il demonio concepì contro di lui per questa risoluzione tale furore che quel giovane credette di essere vicino a precipitare nell’inferno. Cassiano, che riferisce il fatto, racconta che il solitario, essendo tormentato da tentazioni impure, dopo molte lacrime e penitenze, pensò di andare a visitare un vecchio monaco, per averne consolazione; sperando che gli suggerirebbe rimedi per meglio vincere il nemico; e specialmente per raccomandarsi alle sue preghiere. Ma la cosa ebbe ben diverso risultato. Quel vecchio, che aveva passata quasi tutta la sua vita senza lotte, invece di consolare il giovane solitario, mostrò grandissima sorpresa ascoltando il racconto delle sue tentazioni, lo rimproverò aspramente, gli rivolse parole dure, chiamandolo infame, sciagurato, e dicendogli che era indegno del nome di solitario, perché gli accadevano simili cose. Il povero giovane se ne andò così desolato che si credette perduto e dannato; e s’abbandonò alla disperazione. Diceva tra sé: “Giacché sono dannato, non v’è bisogno ch’io resista o combatta; m’abbandonerò a tutto quello che il demonio vorrà; eppure Dio sa che io ho lasciato il mondo unicamente per amare Lui e salvare l’anima mia. Perché, o Signore, esclamava egli nella sua disperazione, mi avete dato così poche forze? Sapete eh? Voglio amarvi, che sento tanto dispiacere e rammarico di disgustarvi, perché dunque non mi date la forza, perché lasciate che io debba cadere? Giacché per me tutto è perduto, e non ho più mezzo di salvarmi, tornerò nel mondo. „ – Mentre così disperato era in procinto di abbandonare il suo ritiro, Dio fece conoscere lo stato dell’anima sua ad un santo abate, di nome Apollo, che godeva grande fama di santità. Questi gli andò incontro, e vedendolo così turbato, fattosi vicino a lui, con grande dolcezza gli chiese che cosa avesse e quale fosse la causa del suo turbamento e della tristezza che gli appariva in volto. Ma il povero giovane era così profondamente concentrato ne’ suoi pensieri, che non rispose nulla. Il santo abate che vedeva l’agitazione dell’anima di lui lo sollecitò tanto perché gli confidasse che cosa lo agitava, per qual motivo egli era uscito dalla sua solitudine, e qual fosse lo scopo del suo viaggio, che il giovane vedendo come il suo stato fosse palese a quel santo abate, sebbene egli lo celasse quanto poteva, versando lagrime in grande abbondanza, e mandando singhiozzi i più commoventi, gli rispose: Torno al mondo perché sono dannato: io non ho più speranza di potermi salvare. Sono stato a trovare un vecchio religioso ed egli è rimasto scandalizzato della mia vita. Giacché io sono tanto sventurato da non poter piacere a Dio, ho deciso di abbandonare la mia solitudine per ritornare al mondo, dove mi abbandonerò a tutto ciò che il demonio vorrà. Eppure ho sparso tante lacrime, perché non vorrei offendere Dio. Volevo salvarmi; facevo volentieri penitenza; ma non ho forza abbastanza e non andrò più innanzi. „ Il santo abate ascoltandolo parlare e vedendolo piangere così, gli rispose mescolando a quelle del giovane le sue lacrime: “Amico mio, ma non vedete che ben lungi dall’aver offeso Dio, voi, al contrario, perché siete a Lui accetto, siete stato così fortemente tentato? Consolatevi, mio caro, e ripigliate coraggio; il demonio vi crederà vinto, ma invece voi lo vincerete; tornate, almeno fino a domani, nella vostra cella. Non perdete il coraggio: io stesso sono al pari di voi tentato ogni giorno. Non dobbiamo contare sulle nostre forze, ma sulla misericordia di Dio: vi aiuterò a vincere pregando con voi. Amico mio, il Signore è tanto buono che non ci abbandona al furore dei nostri nemici senza darci la forza per vincerli; è Dio, sapete, che mi manda per dirvi di non perdervi di coraggio, che sarete liberato. „ Il povero giovane tutto consolato, tornò alla sua solitudine abbandonandosi fra le braccia della misericordia divina ed esclamando: “Credevo, o Signore, che voi vi foste ritirato per sempre da me. „ – Frattanto Apollo va vicino alla cella del vecchio monaco, che aveva così male accolto il povero giovane, e si prostra colla faccia a terra dicendo: “Signore, mio Dio, voi conoscete le nostre debolezze, liberate, vi prego, quel giovane dalle tentazioni che lo scoraggiano; voi vedete le lacrime che egli ha sparso pel dolore che aveva di avervi offeso! Fate che questa tentazione passi nello spirito di questo vecchio monaco, perché impari ad avere pietà di quelli, che voi permettete che siano tentati. „ Appena finita la preghiera, vide il demonio sotto la forma di un orrido moretto che lanciava una freccia di fuoco impuro contro la cella del vecchio, il quale, appena ne fu tocco, cadde in una agitazione spaventosa e incessante. Si alzò, uscì, rientrò. Dopo aver fatto per lungo tempo così, pensando che non potrebbe mai vincere, imitò l’esempio del giovane solitario e prese la risoluzione di tornare nel mondo. Essendogli impossibile di resistere al demonio, disse addio alla sua cella e partì. Il santo abate che lo teneva d’occhio senza che egli se n’accorgesse, — Iddio gli aveva ratto conoscere che la tentazione del giovane era passata nello spirito del vecchio, — accostatoglisi, gli domandò dove andasse e perché mai, dimenticando la gravità propria dell’età sua, si mostrasse così agitato; certamente egli aveva qualche inquietudine sulla salvezza dell’anima sua. Il vegliardo s’avvide che Dio gli aveva fatto conoscere ciò che passava dentro il suo spirito. “Tornate indietro, gli disse il santo, e non dimenticate che questa tentazione vi ha assalito nella vostra vecchiaia, perché impariate a compatire le debolezze dei vostri fratelli e a consolarli. Voi avevate scoraggiato quel povero giovane, che era venuto a confidarvi le sue pene; invece di consolarlo eravate in procinto di farlo cadere nella disperazione; senza una grazia straordinaria sarebbe stato perduto. Sapete perché il demonio aveva mosso a quel povero giovane una guerra così crudele e accanita? Perché vedeva in lui grandi disposizioni per la virtù, ciò che gli cagionava una profonda gelosia ed invidia, e perché una virtù così costante non poteva essere vinta che da tentazione assai forte e violenta. Imparate ad aver compassione degli altri ed a stender loro la mano per non lasciarli cadere. Se il demonio vi ha lasciato tranquillo, durante tanti anni di solitudine, questo è avvenuto perché egli vedeva in voi poco di buono; invece di tentarvi, vi disprezza.„ Da questo esempio vediamo che invece di scoraggiarci nelle tentazioni, dobbiamo consolarci ed anche rallegrarcene, poiché sono tentati soltanto quelli, i quali colla loro maniera di vivere, il demonio prevede si guadagneranno il cielo. D’altra parte, o M. F., dobbiamo essere ben persuasi, che è impossibile di piacere a Dio e salvare l’anima senza essere tentati. Vedete Gesù Cristo; dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti fu egli pure tentato e trasportato dal demonio due volte; Egli che era la santità in persona. Non so, o F . M., se voi capite bene che cosa sia tentazione. La tentazione non è soltanto un cattivo pensiero di impurità, d’odio e di vendetta che bisogna cacciar via; ma sono pure tentazioni tutte le molestie che ci assalgono, come una malattia in cui ci sentiamo portati a lamentarci, una calunnia che ci strazia, un’ingiustizia commessa a nostro danno, la perdita dei beni, del padre, della madre, d’un figliuolo. Se non ci sottomettiamo di buon animo alla volontà di Dio, cediamo alla tentazione, perché il Signore vuole che sopportiamo tutte queste prove per amor suo; e d’altra parte il demonio fa ogni sforzo per farci mormorare contro Dio. Ed ora eccovi quali sono le tentazioni, che bisogna maggiormente temere, e che conducono a rovina un numero di anime più grande di quel che si creda: sono quei piccoli pensieri di amor proprio, di stima di noi stessi; quei piccoli applausi a tutto quel che facciamo, e a ciò che si dice di noi: noi ravvolgiamo tutto questo nella nostra mente, amiamo vedere le persone alle quali abbiamo fatto del bene, amiamo che pensino a noi e abbiano un buon concetto di noi: ci è caro che qualcheduno si raccomandi alle nostre preghiere, e ci diamo premura di sapere se hanno ottenuto quello che abbiamo domandato a Dio per essi. Sì, M. F., ecco una delle più ardue tentazioni, e su di essa dobbiamo attentamente vegliare, perché il demonio è astuto; e chiedere ogni mattina a Dio la grazia di essere bene attenti ogni volta che il demonio verrà a tentarci. Perché sì spesso facciamo il male, e vi pensiamo solo dopo che l’abbiamo commesso? – Perché al mattino non abbiamo domandato questa grazia o l’abbiamo domandata male. In fine, o M. F., dobbiamo combattere energicamente, e, non come siamo soliti fare, buttando un bel no in faccia al demonio e nello stesso tempo stendendogli la mano. Mentre S. Bernardo, che si trovava in viaggio, stava riposando in una camera, di notte, una donna di vita allegra venne a fargli visita per sollecitarlo a peccato, — subito egli si mise a gridare “ai ladri „ e quella spudorata fu costretta a ritirarsi. Ritornò per ben tre volte, ma fu ignominiosamente cacciata. Vedete S. Martiniano che una donna di mala vita venne a tentare, S. Tommaso d’Aquino, al quale fu mandata in camera una giovane per farlo cadere: per liberarsene i due santi si appigliarono allo stesso espediente; preso un tizzone acceso le rincorsero e le obbligarono subito a fuggire vergognosamente. Lo stesso S. Bernardo sentendosi tentato andò a immergersi fino alla gola in uno stagno gelato. S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, si avvoltolarono fra le spine. S. Macario d’Alessandria andò in un padule, ove era una gran quantità di vespe, le quali gli si misero attorno e ridussero il suo corpo simile a quello di un lebbroso. Tornato al convento, il superiore che lo riconosceva soltanto dalla voce, gli chiese perché mai si fosse ridotto in quello stato. “Perché, egli rispose, il mio corpo voleva rovinare la mia anima, io l’ho ridotto in questa condizione. „ – Che cosa dobbiamo dunque concludere da tutto questo, F. M.? Eccolo: 1° Di non credere che noi saremo, in un modo o nell’altro liberati dalle tentazioni, fino a che vivremo; e per conseguenza dobbiamo risolvere di combattere fino alla morte. 2° Quando siamo tentati ricorriamo subito a Dio per tutto il tempo in cui la tentazione dura; il demonio continua a tentar perché spera sempre di poterci guadagnare. 3° Fuggiamo, per quanto è possibile tatto ciò che può indurci in tentazione; e non perdiamo mai di vista che gli angeli cattivi furono tentati una sol volta e che dalla tentazione precipitarono nell’inferno. Bisogna avere una grande umiltà, ed essere ben persuasi che, da soli, ci è impossibile di non soccombere e che, unicamente aiutati dalla grazia di Dio, non cadremo. Fortunato colui, o F . M., che all’ora della sua morte, potrà ripetere come S. Paolo: “Ho combattuto valorosamente, ma, colla grazia di Dio, ho vinto: perciò aspetto la corona di gloria che Dio dà a coloro che gli furono fedeli fino alla morte. „ (II Tim, IV, 18). E questa la felicità…

 Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XC: 4-5:

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Secreta

Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus temperémus.

[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XC: 4-5

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Postcommunio

Orémus.

Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium.

[Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo Sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLE TENTAZIONI

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. II, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulle tentazioni.

Jesus ductus est in desertum a Spiritu, ut tentaretur a diabolo.

(MATTH. IV, 1).

Che Gesù Cristo, Fratelli miei, abbia scelto il deserto per farvi orazione, non deve recarci meraviglia; la solitudine era la sua delizia! che poi lo Spirito Santo ve lo abbia condotto, questo deve sorprenderci ancor meno; giacché il Figlio di Dio non poteva avere altra guida che lo Spirito Santo. Ma che sia stato tentato dal demonio; che più volte sia stato portato da questo spirito delle tenebre, chi oserebbe crederlo se non fosse Gesù Cristo medesimo che ce lo dice per bocca di S. Matteo? Eppure, o M. F., anziché fare meraviglie, noi dovremmo invece rallegrarci e ringraziare senza fine il nostro buon Salvatore, che volle essere tentato solo per meritarci vittoria nelle nostre tentazioni. Quanto siamo fortunati, o F. M.! Dal giorno in cui il nostro caro Salvatore si è sottoposto alla tentazione, per vincere le nostre, a noi non manca altro che la buona volontà. – Ecco, M. F., i grandi vantaggi che noi ricaviamo dalla tentazione del Figliuol di Dio. Ed ecco l’argomento mio; vorrei dimostrarvi:

1° Che la tentazione ci è assai necessaria per farci conoscere ciò che siamo;

2° Che noi dobbiamo temere molto le tentazioni; perché il demonio è assai furbo e astuto; e perché una sola tentazione può bastare a piombarci nell’inferno, se noi abbiamo la disgrazia di acconsentirvi;

3° Che dobbiamo combattere fortemente sino alla fine; perché solo a questa condizione conquisteremo il cielo.

Se io volessi provarvi, o F. M., che esistono i demoni e che essi ci tentano, bisognerebbe pensare ch’io parlassi a un popolo idolatra o pagano, o almeno a Cristiani avvolti nella più profonda e deplorevole ignoranza; bisognerebbe dire ch’io sono convinto che voi non avete mai studiato il catechismo. Quando fanciulli vi si domandava: Tutti gli angeli sono rimasti fedeli a Dio? Non è vero che voi tosto rispondevate: No; una parte si è ribellata a Dio, è stata cacciata dal paradiso e precipitata nell’inferno? E quando si continuava a chiedervi: Che cosa fanno gli angeli ribelli? Subito, non è vero, che soggiungevate: Essi lavorano a tentare gli uomini, e fanno ogni sforzo per trascinarli al male? Ma io possiedo di questa verità altre prove, e ancor più convincenti. Voi sapete che fu il demonio che tentò i nostri progenitori nel paradiso terrestre, dove riportò la prima vittoria, vittoria che lo rese così ardito e orgoglioso. – Fu il demonio che tentò Caino e lo trascinò a uccidere il fratello Abele. Nell’antico Testamento leggiamo che il Signore disse al demonio: “Donde vieni? „ ed esso rispose: “Ho fatto il giro del mondo; „ (Job. I, 7) prova ben chiara è questa, o M. F., che il demonio gira la terra a fine di tentarci. Leggiamo nel Vangelo che Maddalena avendo confessato a Gesù Cristo i suoi peccati, uscirono da lei sette demoni (Luc. VIII, 2). Vediamo altresì in altro luogo del Vangelo che lo spirito immondo, uscito da un uomo, esclama: “Vi tornerò con altri demoni peggiori di me. „ (Ibid. VI, 26). Ma non è questo, F. M., che vi è più necessario di sapere; di tutto ciò nessuno di voi dubita. Quello che a voi maggiormente gioverà, si è conoscere in qual maniera il demonio possa tentarvi. Per ben persuadervi della necessità di respingere le tentazioni, domandate a tutti i Cristiani dannati, perché mai si trovino nell’inferno, essi che erano creati pel cielo: e ad una voce vi risponderanno che, essendo stati tentati, hanno accondisceso alla tentazione. Domandate pure a tutti i Santi che regnano in cielo, che cosa ha procurato loro tanta felicità, e tutti vi soggiungeranno: Fu perché, essendo tentati, abbiamo, con la grazia di Dio, resistito alla tentazione e disprezzato il tentatore. Ma chiederete, forse: Che cosa è dunque la tentazione? Eccolo, miei cari; ascoltate bene, e vedrete e intenderete. Siete tentati ogni volta che vi sentite portati a fare una cosa che Dio proibisce, o a non compiere ciò che Egli comanda. Dio vuole che facciate bene le vostre preghiere, mattina e sera, in ginocchio, con devozione. Dio vuole che passiate santamente il giorno della Domenica nella preghiera, cioè assistendo a tutte le funzioni (A tutte le funzioni, cioè alla Messa, è un precetto della Chiesa, e alle altre funzioni, il Vespro, la spiegazione della dottrina cristiana, pratiche consigliate e utili assai) e astenendovi da ogni lavoro. Dio vuole che i figli abbiano grande rispetto pel padre e per la madre, e i servi pei loro padroni. Dio vuole che amiate tutti e facciate del bene a tutti, anche ai vostri nemici; che non mangiate carne nei giorni proibiti; che vi diategrande premura di apprendere i vostri doveri; che perdoniate sinceramente a chi vi ha fatto qualche torto. Dio vuole che non pronunciate mai bestemmie, maldicenze, calunnie, parole sconce; che non facciate mai cose brutte. Questo lo capite facilmente. Ebbene. Se non ostante che il demonio vi tenti di fare ciò che Dio proibisce, voi non lo fate, vuol dire che non cedete alla tentazione; se invece lo fate, allora acconsentite e soccombete. – Sapete, o F . M., perché il demonio lavora con tanto furore per trascinarci al male? Perché non potendo offendere Dio egli stesso, vuol farlo offendere dalle altre creature. Ma quanto siamo fortunati noi, o M. F.! Che bella sorte è la nostra di avere per nostro modello un Dio! Se siamo poveri, abbiamo per modello un Dio che nasce in una stalla ed è adagiato in una mangiatoia su di un po’ di paglia. Se siamo disprezzati, abbiamo per modello un Dio che ci precede, coronato di spine, coperto d’un vile manto di porpora e trattato da pazzo. Se soffriamo, abbiamo per modello un Dio tutto coperto di piaghe che muore della morte più dolorosa che mai possa immaginarsi. Se siamo perseguitati, oseremo noi lamentarci, o M. F., noi che abbiamo per modello un Dio che muore pe’ suoi carnefici? E se siamo tentati dal demonio, noi abbiamo per modello il nostro amabile Redentore, che fu tentato dal demonio e due volte trasportato da questo spirito infernale. Sicché, o M. F., in qualunque stato di sofferenze, di pene o di tentazioni ci sia dato trovarci, dovunque e sempre, abbiamo il nostro Dio che ci precede e ci assicura la vittoria ogni volta che lo desideriamo. – Ecco, F . M., ciò che deve grandemente consolare il Cristiano: il pensiero che ogni qualvolta nella tentazione ricorrerà a Dio, sarà certo di non soccombere.

I. — Ho detto che la tentazione era a noi necessaria per farci conoscere che da noi stessi siamo nulla. S. Agostino ci insegna che dobbiamo ringraziare Dio pei peccati da cui ci ha preservati, come per quelli che ebbe la bontà di perdonarci. Abbiamo così spesso la disgrazia di cadere nei lacci del demonio, perché confidiamo troppo nelle nostre risoluzioni e nelle nostre promesse, e non abbastanza in Dio. Ciò che è verissimo. Quando nulla ci affanna e tutto va a seconda dei nostri desideri, noi osiamo credere che nulla sarà capace di farci cadere; dimentichiamo il nostro nulla, la nostra povertà e debolezza; facciamo le più belle proteste d’essere pronti a morire piuttosto che lasciarci vincere. Ne abbiamo un esempio in S. Pietro, che diceva al Signore: “Quand’anche tutti gli altri vi rinnegassero, io non lo farò mai„ (Matt. XXVI, 33). Ahimè! Dio per mostrargli quanto poca cosa è l’uomo, abbandonato a se stesso, non ha adoperato né re né principi, né armi; ma si servì della voce d’una fantesca, che parlando non sembrava interessarsi troppo di lui. Poco prima si diceva pronto a morire per Gesù, ora afferma che non lo conosce, che non sa di chi gli si voglia parlare; e per meglio assicurare che non lo conosce, giura. – Mio Dio, di che cosa siamo capaci abbandonati a noi stessi! Vi sono certuni, i quali, a quanto dicono, sembrano invidiare i Santi, che han fatto grandi penitenze; e sono convinti di potere anch’essi fare altrettanto. Leggendo la vita dei martiri noi ci sentiamo pronti a soffrire ogni cosa per Iddio. Un breve istante di patire è subito passato, diciamo noi; poi viene un’eternità di ricompensa. E che fa il buon Dio, perché ci possiamo conoscere un poco, o meglio, per mostrarci che noi siamo nulla? Eccovelo: permette al demonio di accostarsi un po’ più a noi. E allora osservate quel Cristiano, che poco fa sembrava portare invidia ai solitari che si cibano di radici e d’erbe, e che risolveva di trattare sì duramente il suo corpo; ohimè! un leggero dolor di capo, una puntura di spillo gli cava lamenti, per un nonnulla, si affligge e strilla. Poco fa avrebbe voluto fare tutte le penitenze degli anacoreti, ed ora per una cosa da nulla si dispera. Osservate quest’altro che sembra pronto a dare pel Signore la sua vita; i più duri tormenti non parrebbero capaci di arrestarlo; invece una piccola maldicenza, una calunnia, un trattamento alquanto freddo, un leggero torto ricevuto, un beneficio ricambiato con ingratitudine fanno sorgere tosto nel suo animo sentimenti di odio, di vendetta, d’avversione, a tal segno, spesse volte, che non vuol più fermare il suo sguardo su chi lo ha offeso, o almeno lo guarda con freddezza, con un occhio il quale mostra chiaro ciò che egli porta in cuore. E quante volte svegliandosi di notte questo è il suo primo pensiero, pensiero che non lo lascia dormire. Ah! M. F., come è vero che noi siamo poca cosa e che dobbiamo fare ben poco assegnamento sulle nostre belle risoluzioni! Voi vedete dunque ora quanto sia necessaria la tentazione per persuaderci del nostro nulla, e perché l’orgoglio non finisca di dominarci. Sentite che cosa diceva S. Filippo Neri. Considerando egli quanto siamo deboli e nel pericolo di perderci ad ogni momento, così supplicava il buon Dio piangendo : “Mio Dio, tenetemi la vostra mano sul capo; voi sapete ch’io sono un traditore; voi conoscete quanto sono cattivo; se mi abbandonate un solo istante temo di tradirvi. „ Ma dentro di voi penserete, forse, che le persone più tentate siano gli ubbriaconi, i maldicenti, i viziosi, che si gettano a corpo perduto nelle brutture, gli avari, che rubano in mille modi. No, M. F., non sono costoro i più tentati: questi il demonio li disprezza e non li molesta, per timore che non facciano tutto il male che egli vorrebbe; giacché più essi vivranno e maggior numero di anime i loro cattivi esempi trascineranno all’inferno. Infatti se il demonio avesse stimolato con forti tentazioni quel vecchio vizioso, spingendolo in tal modo ad abbreviarsi la vita di quindici o vent’anni, egli non avrebbe tolto il fiore della verginità a quella giovinetta, immergendola nel fango più vergognoso dell’impudicizia; non avrebbe sedotto quella donna, insegnata la malizia a quel giovinetto, che nel male durerà forse fino alla morte. Se il demonio avesse spinto quel ladro a rubare ad ogni occasione, già da tempo avrebbe finito i suoi giorni sul patibolo e non avrebbe indotto il suo vicino a imitarlo. Se il demonio avesse tentato quell’ubbriacone a bere sempre senza misura, da lungo tempo egli sarebbe morto per le sue crapule; mentre avendo avuto prolungata l’esistenza, ha potuto indurre altri a rassomigliargli. Se il demonio avesse tolta la vita a quel sonatore, a quel promotore di balli, o a quell’oste, in una partita di divertimento o in altra occasione; quanti, senza di costoro, non si sarebbero perduti, e invece si danneranno! S. Agostino ci insegna che il demonio non li molesta troppo costoro, anzi li disprezza. – Ma, direte voi, chi sono i più tentati? Miei cari, ascoltatemi attentamente. I più tentati sono coloro che, con la grazia di Dio, sono pronti a sacrificar tutto per salvare la loro anima; e che rinunciano a tutto ciò che sulla terra è desiderato con tanta avidità. E costoro non sono tentati da un demonio solo, ma da migliaia, che si rovesciano su di essi per farli cadere nei loro lacci. Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia che san Francesco d’Assisi stava con tutti i suoi religiosi in un gran campo, dove aveva costrutte piccole capanne di giunco. Vedendo che i suoi frati facevano penitenze assai straordinarie, san Francesco ordinò loro di raccogliere tutti i cilizi, e se ne fecero parecchi mucchi. V’era un giovane, a cui Dio in quel momento fece la grazia di poter vedere il suo Angelo custode. Da un lato vedeva quei buoni religiosi che non sapevano stancarsi di far penitenza, dall’altro il suo Angelo custode gli fece vedere un’accolta di diciotto mila demoni, che tenevano consiglio per trovar modo di far cadere quei religiosi con la tentazione. Ce ne fu uno che disse: “Voi non capite nulla. Questi frati sono così umili, così distaccati da se medesimi, così uniti a Dio, hanno un superiore il quale li guida sì bene, che è impossibile poterli vincere: aspettiamo che il superiore sia morto; allora cercheremo di farvi entrare giovani senza vocazione, che vi porteranno il rilassamento, e a questa maniera saranno nostri.„ Un po’ più lontano, all’ingresso della città, vide un demonio solo che stava seduto presso la porta per tentare quelli che erano dentro. Quel santo giovane domandò al suo Angelo custode, perché a tentare quei religiosi vi erano tante migliaia di demoni, mentre per un’intera città ve n’era un solo, e per giunta se ne stava seduto? E l’Angelo gli rispose che le persone del mondo non avevano neppur bisogno di tentazione, perché da se stesse si lasciavano andare al male; mentre i religiosi rimanevano fermi nel bene, malgrado tutti gli agguati del demonio e tutta la guerra che poteva contro di essi ingaggiare. – Ed ora, eccovi, F. M., la prima tentazione che il demonio muove a chi si è messo a servire meglio il Signore: il rispetto umano. Per tal guisa questa persona non ha più il coraggio di mostrarsi; si nasconde a quelli coi quali si era prima divertita; se le si dice che ha fatto un gran cambiamento, ne prova vergogna. Il pensiero di ciò che diranno gli altri l’angustia sempre, e la riduce a non aver più la forza di fare il bene dinanzi al mondo. Se il demonio non può vincerla col rispetto umano, fa nascere in lei uno straordinario timore: che le sue confessioni non sono ben fatte, che il confessore non la conosce, che ella potrà ben adoperarsi, ma si dannerà ugualmente, che per lei, il lasciar tutto o continuare la sua via, vale lo stesso, giacché ha troppe occasioni di cadere. Perché mai avviene, o F. M.. che una persona quando non pensa a salvare l’anima propria e vive nel peccato, non è affatto tentata? mentre appena vuol mutar vita, cioè desidera di tornare a Dio, tutto l’inferno le si rovescia addosso? – Sentite ciò che insegna S. Agostino: “Ecco, egli dice, come si comporta il demonio col peccatore; egli agisce alla guisa stessa di un carceriere, il quale tiene parecchi prigionieri chiusi in carcere, ma avendo la chiave in tasca, non si dà cura di loro, persuaso che essi non possono fuggire. Così fa il demonio con un peccatore, che non pensa a uscire dal suo peccato; non si dà briga di tentarlo — sarebbe questo tempo perso, perché quello sventurato non solo non pensa ad abbandonare il peccato, ma rende sempre più pesanti le sue catene. Sarebbe dunque cosa inutile il tentarlo, e lo lascia vivere in pace; se pure è possibile goder pace quando si è in peccato. Gli nasconde, quanto può, il suo stato fino all’ora della morte, e in quel momento lavora a fargli la più spaventosa descrizione della sua vita, per piombarlo nella disperazione. Ma con una persona che ha risolto di cambiar vita e di darsi a Dio, egli usa un contegno ben diverso. „ Finché S. Agostino menò una vita disordinata, egli quasi non conobbe che cosa fosse la tentazione. Si credeva in pace, come racconta egli medesimo; ma dal momento che stabilì di voltare le spalle al demonio dovette lottare con esso con ogni accanimento durante cinque anni, usando contro di lui le lagrime più amare e le penitenze più austere. – Mi dibattevo con esso, egli scrive, oppresso dalle mie catene. Oggi mi credevo vincitore, domani giacevo steso a terra. Questa guerra crudele ed accanita durò cinque anni. Pure Dio mi fece la grazia di superare il nemico. Rammentate altresì le lotte che ebbe a sopportare S. Gerolamo, quando volle consacrarsi a Dio e risolvette di visitare la Terra Santa. Vivendo in Roma egli aveva concepito il desiderio di lavorare alla propria salvezza: perciò, lasciata quella città andò a seppellirsi in un orrido deserto per darsi liberamente a tutto ciò che il suo amore per Iddio poteva suggerirgli. E il demonio, che prevedeva quante conversioni quella risoluzione generosa avrebbe prodotte, sembrò scoppiare di dispetto e non gli risparmiò alcuna tentazione. Io penso che nessun altro santo sia stato tentato più fortemente di lui. Ecco come si esprimeva scrivendo a persona amica: “Mio caro, voglio mettervi a conoscenza delle mie afflizioni e dello stato a cui il demonio vuol ridurmi. Quante volte in questa solitudine, resa insopportabile dall’ardore del sole, quante volte il ricordo dei piaceri di Roma è venuto ad assalirmi; il dolore e l’amarezza, di cui l’anima mia è ricolma, mi fanno versare giorno e notte torrenti di lacrime. Mi nascondo nei luoghi più remoti per lottare contro le tentazioni e piangere i miei peccati. Il mio corpo è tutto sfigurato e coperto di ruvido cilicio. Mio letto è la nuda terra, ed anche nelle malattie radici ed acqua formano il mio nutrimento. E non ostante questi rigori, la mia carne risente ancora le impressioni dei piaceri che disonorano Roma; la mia memoria ritorna ancora fra quelle gioviali compagnie, fra le quali ho tanto offeso Dio. In questo deserto, al quale mi sono volontariamente condannato per evitare l’inferno, fra queste rocce tetre, dove sono unica mia compagnia gli scorpioni e le bestie feroci, malgrado tutto l’orrore che mi circonda e mi spaventa, la fantasia mi riscalda di fuoco impuro il corpo già presso a morire; il demonio osa ancora offrirmi piaceri da godere. Vedendomi così umiliato da tentazioni, il cui solo pensiero mi fa morire di orrore, non sapendo più a quale penitenza assoggettare il mio corpo per tenerlo attaccato a Dio; mi getto a terra, a’ pie del mio Crocifisso, irrigandolo di lacrime; e, quando non posso più piangere, afferro una pietra, mi batto il petto fino a far uscire sangue dalla bocca; e invoco misericordia, fintantoché il Signore abbia pietà di me. Chi potrà comprendere in quale stato infelice io mi trovo, io che desidero ardentemente di piacere a Dio e di non amare che lui solo? Vedendomi continuamente eccitato a offenderlo, quale dolore ne risento! Soccorretemi, amico caro, coll’aiuto delle vostre preghiere; perché io sia più valente a respingere il demonio, che ha giurato di perdermi eternamente.

„ (Epist. 22 ad Eustoch.). – Ecco, F. M., i combattimenti ai quali Dio permette che i grandi Santi siano sottoposti. Ah! miei cari, siamo ben degni di compassione, se non siamo aspramente combattuti dal demonio. Stando alle apparenze dovremmo dire che siamo amici del demonio; egli ci lascia vivere in una falsa pace, ci ha addormentati col pretesto che abbiamo fatto qualche buona preghiera, alcune elemosine e che abbiamo fatto meno male di tanti altri. Infatti se voi chiedete a quell’assiduo frequentatore d’osterie, se il demonio lo tenta; vi risponde semplicemente di no, e che nulla lo inquieta. Domandate a quella giovane vanitosa, quali assalti le muove il demonio; ella ridendo vi risponderà: Nessuno; e vi dirà che ella non sa che cosa voglia dire essere tentata. Ecco, F. M., qual è la tentazione di tutte più terribile: il non essere tentati; ecco la condizione di coloro che il demonio tiene in serbo per l’inferno. E se non credessi di essere troppo audace, potrei anche dirvi che il demonio si guarda bene dal tentarli o dal disturbarli, riguardo alla loro vita passata, per timore che aprano gli occhi sui loro peccati. Ripeto dunque, F. M., che la maggiore sventura per un Cristiano è il non essere tentato, perché c’è motivo di credere che il demonio lo consideri come cosa sua, e aspetti soltanto la morte per trascinarlo nell’inferno. Ed è facile capirlo. Osservate un Cristiano che si dà qualche pensiero della sua salvezza: tutto ciò che lo attornia è per lui stimolo al male; spesso non può nemmeno levar gli occhi senza sentirsi tentato, non ostante le sue preghiere e le sue austerità; invece un vecchio peccatore, che forse da vent’anni s’avvoltola e si trascina nelle lordure, vi affermerà che non è tentato. Tanto peggio, o cari, tanto peggio. Questo deve appunto farvi tremare: il non conoscere le tentazioni; perché il dire che non siete tentati, è come se diceste che il demonio non c’è più, o che ha perduto tutta la sua rabbia contro i Cristiani. “Se voi non avete tentazioni, dice S. Gregorio, questo avviene perché i demoni sono vostri amici, vostra guida e vostri pastori; ora vi lasciano passare in pace la vostra povera vita, alla fine dei vostri giorni vi trascineranno negli abissi. „ S. Agostino ci dice che la più grande tentazione è quella di non avere tentazioni — perché è lo stesso che essere riprovato, abbandonato da Dio e lasciato alla mercè delle proprie passioni.

II. — Ho detto in secondo luogo che la tentazione ci è assolutamente necessaria per mantenerci umili e diffidenti di noi stessi, e per obbligarci a ricorrere a Dio. Leggiamo nella storia che un solitario, essendo estremamente tentato, il Superiore gli disse: “Volete che preghi Iddio perché vi liberi dalle vostre tentazioni? No, padre, rispose il monaco, questo fa sì che io non perda mai la presenza di Dio; giacché io ho sempre bisogno di ricorrere a lui, perché m’aiuti a lottare. „ Frattanto, o F. M., possiamo dire che, quantunque sia umiliante l’essere tentati, pure è segno certo che siamo sulla strada del cielo. Non ci rimane che una cosa da fare: combattere con coraggio, perché la tentazione è tempo di raccolta; ed eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che una santa era da così gran tempo tormentata dal demonio, che si credeva dannata. Iddio le apparve per consolarla, e le disse che ha maggiormente guadagnato meriti durante quella prova, che non in tutto il resto di sua vita. S. Agostino ci dice che, senza le tentazioni, tutto ciò che facciamo avrebbe scarso merito. Invece di affliggerci quando siamo tentati, dobbiamo ringraziare il Signore, e lottare con coraggio, perché siamo sicuri d’essere sempre vittoriosi. Mai Dio permetterà al demonio di tentarci al disopra delle nostre forze. – Una cosa certa poi, o F. M., è questa: che noi dobbiamo, cioè, aspettare che la tentazione finisca con la nostra morte. Il demonio, che è uno spirito, non si stanca mai; dopo averci tentato, durante cento anni, egli è ancora così forte e così furioso come se ci assalisse la prima volta. Non dobbiamo assolutamente credere di poter vincere il demonio e fuggirlo in modo da non essere più tentati; poiché il grande Origene dice che i demoni sono assai più numerosi degli atomi che volteggiano nell’aria e delle gocce d’acqua che compongono il mare; il che vuol significare che sono sterminati di numero. S. Pietro ci dice: “Vigilate continuamente perché il demonio si aggira attorno a voi, come un leone, cercando alcuno da divorare. „ (I Piet. V, 8) E Gesù Cristo in persona ci dice: “Pregate senza interruzione per non cedere alla tentazione „ (Matt. XXVI, 41), il che vuol dire che il demonio ci aspetta dappertutto. Inoltre dobbiamo attenderci d’essere tentati in qualunque luogo e in qualunque stato ci troviamo. Vedete quel sant’uomo, che era tutto coperto di piaghe e quasi fetente: il demonio non cessò di tentarlo per corso di sette anni: S. Maria Egiziaca fu tentata per diciannove anni; S. Paolo per tutta la sua vita, cioè dal momento in cui si convertì a Dio. S. Agostino per consolarci dice che il demonio è un cane legato alla catena, che abbaia, fa gran rumore, ma non morde se non coloro che gli si accostano troppo. Un santo sacerdote trovò un giovane molto agitato e gli chiese perché s’inquietasse così: “Padre mio, rispose, temo di essere tentato e di soccombere. — Vi sentite tentato? soggiunse il sacerdote; fate un segno di croce, elevate il cuore a Dio ; se il demonio continua, continuate anche voi, e sarete sicuro di non macchiare l’anima vostra. „ Vedete ciò che fece S. Macario, il quale andando in cerca di ciò che gli occorreva per fare stuoie, incontrò per via un demonio con una falce infuocata che gli correva addosso quasi per ucciderlo. S. Macario, senza scomporsi, alzò il cuore a Dio. E il demonio andò in sì gran furore che esclamò: “Ah! Macario quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare. Però quello che tu fai lo faccio anch’io; se tu vegli, io non dormo punto; se tu digiuni, io non mangio mai; una cosa sola tu hai e della quale io manco. Il santo gli domandò che cosa fosse; e il demonio dopo avergli risposto: l’umiltà; sparì.„ Sì, P. M., pel demonio l’umiltà è una virtù formidabile. Perciò vediamo che S. Antonio, quando era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente, dicendo al Signore: – Mio Dio, abbiate pietà di questo grande peccatore: e il demonio prendeva la fuga.

III. — Ho detto in terzo luogo che il demonio si scatena contro quelli, che hanno veramente a cuore la loro salvezza, e li perseguita continuamente, accanitamente; sempre nella speranza di vincerli. Eccovene un bell’esempio. Si racconta che un giovane solitario, già da parecchi anni aveva lasciato il mondo per non pensare che a salvare l’anima sua. Il demonio concepì contro di lui per questa risoluzione tale furore che quel giovane credette di essere vicino a precipitare nell’inferno. Cassiano, che riferisce il fatto, racconta che il solitario, essendo tormentato da tentazioni impure, dopo molte lacrime e penitenze, pensò di andare a visitare un vecchio monaco, per averne consolazione; sperando che gli suggerirebbe rimedi per meglio vincere il nemico; e specialmente per raccomandarsi alle sue preghiere. Ma la cosa ebbe ben diverso risultato. Quel vecchio, che aveva passata quasi tutta la sua vita senza lotte, invece di consolare il giovane solitario, mostrò grandissima sorpresa ascoltando il racconto delle sue tentazioni, lo rimproverò aspramente, gli rivolse parole dure, chiamandolo infame, sciagurato, e dicendogli che era indegno del nome di solitario, perché gli accadevano simili cose. Il povero giovane se ne andò così desolato che si credette perduto e dannato; e s’abbandonò alla disperazione. Diceva tra sé: “Giacché sono dannato, non v’è bisogno ch’io resista o combatta; m’abbandonerò a tutto quello che il demonio vorrà; eppure Dio sa che io ho lasciato il mondo unicamente per amare lui e salvare l’anima mia. Perché, o Signore, esclamava egli nella sua disperazione, mi avete dato così poche forze? Sapete eh? Voglio amarvi, che sento tanto dispiacere e rammarico di disgustarvi, perché dunque non mi date la forza, perché lasciate che io debba cadere? Giacché per me tutto è perduto, e non ho più mezzo di salvarmi, tornerò nel mondo. „ – Mentre così disperato era in procinto di abbandonare il suo ritiro, Dio fece conoscere lo stato dell’anima sua ad un santo abate, di nome Apollo, che godeva grande fama di santità. Questi gli andò incontro, e vedendolo così turbato, fattosi vicino a lui, con grande dolcezza gli chiese che cosa avesse e quale fosse la causa del suo turbamento e della tristezza che gli appariva in volto. Ma il povero giovane era così profondamente concentrato ne’ suoi pensieri, che non rispose nulla. Il santo abate che vedeva l’agitazione dell’anima di lui lo sollecitò tanto perché gli confidasse che cosa lo agitava, per qual motivo egli era uscito dalla sua solitudine, e qual fosse lo scopo del suo viaggio, che il giovane vedendo come il suo stato fosse palese a quel santo abate, sebbene egli lo celasse quanto poteva, versando lagrime in grande abbondanza, e mandando singhiozzi i più commoventi, gli rispose: Torno al mondo perché sono dannato: io non ho più speranza di potermi salvare. Sono stato a trovare un vecchio religioso ed egli è rimasto scandalizzato della mia vita. Giacché io sono tanto sventurato da non poter piacere a Dio, ho deciso di abbandonare la mia solitudine per ritornare al mondo, dove mi abbandonerò a tutto ciò che il demonio vorrà. Eppure ho sparso tante lacrime, perché non vorrei offendere Dio. Volevo salvarmi; facevo volentieri penitenza; ma non ho forza abbastanza e non andrò più innanzi. „ Il santo abate ascoltandolo parlare e vedendolo piangere così, gli rispose mescolando a quelle del giovane le sue lacrime: “Amico mio, ma non vedete che ben lungi dall’aver offeso Dio, voi, al contrario, perché siete a lui accetto, siete stato così fortemente tentato? Consolatevi, mio caro, e ripigliate coraggio; il demonio vi crederà vinto, ma invece voi lo vincerete; tornate, almeno fino a domani, nella vostra cella. Non perdete il coraggio: io stesso sono al pari di voi tentato ogni giorno. Non dobbiamo contare sulle nostre forze, ma sulla misericordia di Dio: vi aiuterò a vincere pregando con voi. Amico mio, il Signore è tanto buono che non ci abbandona al furore dei nostri nemici senza darci la forza per vincerli; è Dio, sapete, che mi manda per dirvi di non perdervi di coraggio, che sarete liberato. „ Il povero giovane tutto consolato, tornò alla sua solitudine abbandonandosi fra le braccia della misericordia divina ed esclamando: “Credevo, o Signore, che voi vi foste ritirato per sempre da me. „ – Frattanto Apollo va vicino alla cella del vecchio monaco, che aveva così male accolto il povero giovane, e si prostra colla faccia a terra dicendo: “Signore, mio Dio, voi conoscete le nostre debolezze, liberate, vi prego, quel giovane dalle tentazioni che lo scoraggiano; voi vedete le lacrime che egli ha sparso pel dolore che aveva di avervi offeso! Fate che questa tentazione passi nello spirito di questo vecchio monaco, perché impari ad avere pietà di quelli, che voi permettete che siano tentati. „ Appena finita la preghiera, vide il demonio sotto la forma di un orrido moretto che lanciava una freccia di fuoco impuro contro la cella del vecchio, il quale, appena ne fu tocco, cadde in una agitazione spaventosa e incessante. Si alzò, uscì, rientrò. Dopo aver fatto per lungo tempo così, pensando che non potrebbe mai vincere, imitò l’esempio del giovane solitario e prese la risoluzione di tornare nel mondo. Essendogli impossibile di resistere al demonio, disse addio alla sua cella e partì. Il santo abate che lo teneva d’occhio senza che egli se n’accorgesse, — Iddio gli aveva ratto conoscere che la tentazione del giovane era passata nello spirito del vecchio, — accostatoglisi. gli domandò dove andasse e perché mai, dimenticando la gravità propria dell’età sua, si mostrasse così agitato; certamente egli aveva qualche inquietudine sulla salvezza dell’anima sua. Il vegliardo s’avvide che Dio gli aveva fatto conoscere ciò che passava dentro il suo spirito. “Tornate indietro, gli disse il santo, e non dimenticate che questa tentazione vi ha assalito nella vostra vecchiaia, perché impariate a compatire le debolezze dei vostri fratelli e a consolarli. Voi avevate scoraggiato quel povero giovane, che era venuto a confidarvi le sue pene; invece di consolarlo eravate in procinto di farlo cadere nella disperazione; senza una grazia straordinaria sarebbe stato perduto. Sapete perché il demonio aveva mosso a quel povero giovane una guerra così crudele e accanita? Perché vedeva in lui grandi disposizioni per la virtù, ciò che gli cagionava una profonda gelosia ed invidia, e perché una virtù così costante non poteva essere vinta che da tentazione assai forte e violenta. Imparate ad aver compassione degli altri ed a stender loro la mano per non lasciarli cadere. Se il demonio vi ha lasciato tranquillo, durante tanti anni di solitudine, questo è avvenuto perché egli vedeva in voi poco di buono; invece di tentarvi, vi disprezza.„ Da questo esempio vediamo che invece di scoraggiarci nelle tentazioni, dobbiamo consolarci ed anche rallegrarcene, poiché sono tentati soltanto quelli, i quali colla loro maniera di vivere, il demonio prevede si guadagneranno il cielo. D’altra parte, o M. F., dobbiamo essere ben persuasi, che è impossibile di piacere a Dio e salvare l’anima senza essere tentati. Vedete Gesù Cristo; dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti fu egli pure tentato e trasportato dal demonio due volte; egli che era la santità in persona. Non so, o F . M., se voi capite bene che cosa sia tentazione. La tentazione non è soltanto un cattivo pensiero di impurità, d’odio e di vendetta che bisogna cacciar via; ma sono pure tentazioni tutte le molestie che ci assalgono, come una malattia in cui ci sentiamo portati a lamentarci, una calunnia che ci strazia, un’ingiustizia commessa a nostro danno, la perdita dei beni, del padre, della madre, d’un figliuolo. Se non ci sottomettiamo di buon animo alla volontà di Dio, cediamo alla tentazione, perché il Signore vuole che sopportiamo tutte queste prove per amor suo; e d’altra parte il demonio fa ogni sforzo per farci mormorare contro Dio. Ed ora eccovi quali sono le tentazioni, che bisogna maggiormente temere, e che conducono a rovina un numero di anime più grande di quel che si creda: sono quei piccoli pensieri di amor proprio, di stima di noi stessi; quei piccoli applausi a tutto quel che facciamo, e a ciò che si dice di noi: noi ravvolgiamo tutto questo nella nostra mente, amiamo vedere le persone alle quali abbiamo fatto del bene, amiamo che pensino a noi e abbiano un buon concetto di noi: ci è caro che qualcheduno si raccomandi alle nostre preghiere, e ci diamo premura di sapere se hanno ottenuto quello che abbiamo domandato a Dio per essi. Sì, M. F . , ecco una delle più ardue tentazioni, e su di essa dobbiamo attentamente vegliare, perché il demonio è astuto; e chiedere ogni mattina a Dio la grazia di essere bene attenti ogni volta che il demonio verrà a tentarci. Perché sì spesso facciamo il male, e vi pensiamo solo dopo che l’abbiamo commesso? – Perché al mattino non abbiamo domandato questa grazia o l’abbiamo domandata male. In fine, o M. F., dobbiamo combattere energicamente, e, non come siamo soliti fare, buttando un bel no in faccia al demonio e nello stesso tempo stendendogli la mano. Mentre S. Bernardo, che si trovava in viaggio, stava riposando in una camera, di notte, una donna di vita allegra venne a fargli visita per sollecitarlo a peccato, — subito egli si mise a gridare “ai ladri „ e quella spudorata fu costretta a ritirarsi. Ritornò per ben tre volte, ma fu ignominiosamente cacciata. Vedete S. Martiniano che una donna di mala vita venne a tentare, S. Tommaso d’Aquino, al quale fu mandata in camera una giovane per farlo cadere: per liberarsene i due santi si appigliarono allo stesso espediente; preso un tizzone acceso le rincorsero e le obbligarono subito a fuggire vergognosamente. Lo stesso S. Bernardo sentendosi tentato andò a immergersi fino alla gola in uno stagno gelato. S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, si avvoltolarono fra le spine. S. Macario d’Alessandria andò in un padule, ove era una gran quantità di vespe, le quali gli si misero attorno e ridussero il suo corpo simile a quello di un lebbroso. Tornato al convento, il superiore che lo riconosceva soltanto dalla voce, gli chiese perché mai si fosse ridotto in quello stato. “Perché, egli rispose, il mio corpo voleva rovinare la mia anima, io l’ho ridotto in questa condizione. „ – Che cosa dobbiamo dunque concludere da tutto questo, F. M.? Eccolo: 1° Di non credere che noi saremo, in un modo o nell’altro liberati dalle tentazioni, fino a che vivremo; e per conseguenza dobbiamo risolvere di combattere fino alla morte. 2° Quando siamo tentati ricorriamo subito a Dio per tutto il tempo in cui la tentazione dura; il demonio continua a tentar perché 0spera sempre di poterci guadagnare. 3° Fuggiamo, per quanto è possibile tatto ciò che può indurci in tentazione; e non perdiamo mai di vista che gli angeli cattivi furono tentati una sol volta e che dalla tentazione precipitarono nell’inferno. Bisogna avere una grande umiltà, ed essere ben persuasi che, da soli, ci è impossibile di non soccombere e che, unicamente aiutati dalla grazia di Dio, non cadremo. Fortunato colui, o F . M., che all’ora della sua morte, potrà ripetere come S. Paolo: “Ho combattuto valorosamente, ma, colla grazia di Dio, ho vinto: perciò aspetto la corona di gloria che Dio dà a coloro che gli furono fedeli fino alla morte. „ (II Tim, IV, 18). E questa la felicità…

».

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (12)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (12)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SESTO

INIZIA IL LIBRO SESTO SUI DIECI CAPITOLI

È necessario sapere che tutto questo periodo è stato diviso in dieci capitoli. Questi capitoli non esprimono l’ordine degli eventi della Chiesa che si sono svolti nel corso degli anni, ma ogni capitolo si riferisce ad ogni tempo. Questi sono i capitoli: Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l’arca dell’alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto ed una tempesta di grandine. (Ap. XI, 19). E vidi – dice la bestia che saliva dall’abisso. (Apoc.XI,7)

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA SOPRA DESCRITTA

[1] E il tempio di Dio si è aperto in cielo. Dal momento che è nato il Signore, si è manifestato il tempio di Dio nel cielo, cioè nella Chiesa. Ecco perché si insegna che la Chiesa è nel cielo, non nelle opere dell’uomo. Il tempio aperto è l’apparizione di nostro Signore. Infatti, il tempio è il Figlio di Dio, come Egli stesso dice: « distruggete questo tempio ed Io lo farò risorgere in tre giorni ».  E ai Giudei che dicevano: « Questo tempio fu costruito in quarantasei anni, egli però lo diceva del tempio del suo corpo ». (Gv. II, 19) – E l’arca dell’alleanza apparve nel suo tempio. È questa la predicazione del Vangelo per il perdono dei peccati; e dice che, quando Cristo è venuto, si sono resi presenti tutti i doni. E si produssero fulmini, e voci, e tuoni, ed un terremoto, ed una grande grandinata. Tutte queste cose sono le fulgide meraviglie della predicazione e delle lotte della Chiesa. Già nella descrizione della predicazione dei sette Angeli (Ap. VIII, 5), si era detto che ciò era avvenuto fin dalla venuta del Signore, quando essi si trovavano davanti all’altare, ma in senso generale dalla nascita di Cristo fino alla fine del mondo; poi aveva descritto in parte cosa fosse avvenuto in forma spirituale all’interno della Chiesa, e come questo si realizzerà in modo speciale al tempo dell’Anticristo, quando il tempio di Dio si aprirà in cielo e ne seguiranno lotte, come dice lui stesso: ed ho visto – dice – la bestia che è uscita dall’abisso. Dopo le tante piaghe inflitte al mondo, si dice che sorge la bestia del pozzo senza fondo, cioè l’Anticristo del popolo. Che sarebbe risorto dall’abisso, può essere dimostrato da molte testimonianze. Infatti Ezechiele dice: « Ecco, l’Assiria era un cedro del Libano, bello di rami e folto di fronde. » (Ezech. XXXI, 3), cioè un popolo numeroso sul Monte Libano. Il regno dei regni, cioè i Romani. Bello tra le nazioni, cioè forte nei suoi eserciti. L’acqua, dice, lo fa crescere, cioè le molte migliaia di uomini che gli si erano sottomessi. E l’abisso lo fece risorgere, cioè lo riportò fuori. – Isaia aveva già detto quasi le stesse parole. Paolo testimonia anche di aver già vissuto a Roma e tra i Cesari. Egli infatti dice ai Tessalonicesi: « ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio  la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri. » (2 Tess. II, 7-9). Aggiungeva poi: il mistero dell’iniquità è già all’opera; cioè l’iniquità che apparirà è già misteriosamente all’opera. Ma ciò non avviene per suo potere, né per quello del padre suo, il diavolo, ma per ordine di Dio. Per questo Paolo dice loro: «  … vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. » (ivi, 10-12) Ed Isaia dice: « Speravamo la luce ed ecco le tenebre, lo splendore, e sorse il buio » (Is. LXIX, 9). L’Apocalisse dice che saranno uccisi da Elia e da colui che verrà con lui. E che risorgeranno, non il terzo giorno come Cristo, ma il quarto giorno, affinché non ci sia nessuno somigliante al Signore.

TERMINA

COMINCIA LA DONNA E LA BESTIA

(Ap. XII, 1-18)

Et signum magnum apparuit in cælo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim: et in utero habens, clamabat parturiens, et cruciabatur ut pariat. Et visum est aliud signum in cælo: et ecce draco magnus rufus habens capita septem, et cornua decem: et in capitibus ejus diademata septem, et cauda ejus trahebat tertiam partem stellarum caeli, et misit eas in terram: et draco stetit ante mulierem, quæ erat paritura, ut cum peperisset, filium ejus devoraret. Et peperit filium masculum, qui recturus erat omnes gentes in virga ferrea: et raptus est filius ejus ad Deum, et ad thronum ejus, et mulier fugit in solitudinem ubi habebat locum paratum a Deo, ut ibi pascant eam diebus mille ducentis sexaginta. Et factum est prælium magnum in cœlo: Michael et angeli ejus præliabantur cum dracone, et draco pugnabat, et angeli ejus: et non valuerunt, neque locus inventus est eorum amplius in cœlo. Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur diabolus, et satanas, qui seducit universum orbem: et projectus est in terram, et angeli ejus cum illo missi sunt. Et audivi vocem magnam in caelo dicentem: nunc facta est salus, et virtus, et regnum Dei nostri, et potestas Christi ejus: quia projectus est accusator fratrum nostrorum, qui accusabat illos ante conspectum Dei nostri die ac nocte. Et ipsi vicerunt eum propter sanguinem Agni, et propter verbum testimonii sui, et non dilexerunt animas suas usque ad mortem. Propterea laetamini caeli, et qui habitatis in eis. Væ terræ, et mari, quia descendit diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet. Et postquam vidit draco quod projectus esset in terram, persecutus est mulierem, quae peperit masculum: et datae sunt mulieri alae duae aquilae magnae ut volaret in desertum in locum suum, ubi alitur per tempus et tempora, et dimidium temporis a facie serpentis. Et misit serpens ex ore suo post mulierem, aquam tamquam flumen, ut eam faceret trahi a flumine. Et adjuvit terra mulierem, et aperuit terra os suum, et absorbuit flumen, quod misit draco de ore suo. Et iratus est draco in mulierem: et abiit facere praelium cum reliquis de semine ejus, qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Jesu Christi. Et stetit supra arenam maris.

(Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: E un grande segno fu veduto nel cielo: Una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sulla sua testa una corona dì dodici stelle: ed essendo gravida, gridava pei dolori del parto, patendo travaglio nel partorire. E un altro segno fu veduto nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette diademi, e la sua coda traeva la terza parte delle stelle del cielo, ed egli le precipitò in terra: e il dragone si pose davanti alla donna, che stava per partorire, affine di divorare il suo figliuolo, quando l’avesse dato alla luce. Ed ella partorì un figliuolo maschio, il quale ha da governare tutte le nazioni con scettro di ferro: e il figliuolo di lei fu rapito a Dio e al suo trono, e la donna fuggi alla solitudine, dove aveva un luogo preparatole da Dio, perché ivi la nutriscano per mille duecento sessanta giorni. E seguì in cielo una grande battaglia: Michele coi suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono: ma non vinsero, e il loro luogo non fu più trovato nel cielo. E fu precipitato quel gran dragone, quell’antico serpente, che si chiama diavolo e satana, il quale seduce tutto il mondo: e fu precipitato per terra, e con lui furono precipitati i suoi angeli. E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Adesso è compiuta la salute, e la potenza, e il regno del nostro Dio, e la potestà del suo Cristo: perché è stato scacciato l’accusatore dei nostri fratelli, il quale li accusava dinanzi al nostro Dio dì e notte. Ed essi lo vinsero in virtù del sangue dell’Agnello, e in virtù della parola della loro testimonianza e non amarono le loro anime sino alla morte. Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate. Guaì alla terra e al mare, perocché il diavolo discende a voi con grande ira, sapendo di avere poco tempo. E dopo che il dragone vide com’era stato precipitato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il maschio: ma furono date alla donna due ale di grossa aquila, perché volasse lungi dal serpente nel deserto al suo posto, dov’è nutrita per un tempo, per tempi e per la metà d’un tempo. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna dell’acqua come un fiume, affine di farla portar via dal fiume. Ma la terra diede soccorso alla donna, e la terra aprì la sua bocca, e assorbì il fiume che il dragone aveva gettato dalla sua bocca. “E si adirò il dragone contro la donna: e andò a far guerra con quelli che restano della progenie di lei, i quali osservano i precetti di Dio e ritengono la confessione di Gesù Cristo. “Ed egli si fermò sull’arena del mare).

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

[2] Ed un gran segno apparve nel cielo. Il cielo è la Chiesa. Il grande segno, è Dio che si fa uomo. Una donna – si dice – vestita di sole e con la luna sotto i piedi. Si è spesso detto che il genere è diviso in molte specie, ma esse ne sono tutte una sola. Infatti, ciò che è il cielo, questo è il tempio nel cielo, questo è la donna vestita di sole; essa ha la luna sotto i suoi piedi: come dire, la donna vestita di sole e la luna sotto i suoi piedi, o la luna vestita di sole e la luna sotto i suoi piedi. Ma tutte queste cose sono bipartite. Con questo vuol dire che la Chiesa ha una parte di essa sotto i suoi piedi. Questa parte, che è sotto i suoi piedi, “sembra” appartenere alla Chiesa, ma non è la Chiesa, perché è la congregazione malvagia che con il serpente, il diavolo ed il suo falso profeta, trascina le stelle superiori verso questa Chiesa, onde cercare sempre alleati per poterli gettare nella Gehenna. Questa donna, ancora prima della venuta del Signore, gemeva nei dolori del parto: essa è l’antica Chiesa dei Patriarchi, dei Profeti e dei Santi Apostoli, che ha sofferto con lacrime e pene per il suo anelito, fino a vedere che il frutto del suo popolo secondo la carne, promesso da tempo, in Cristo, prendesse il corpo di quello stesso popolo. Rivestita di sole, cioè manifestata nella buona opera, attraverso la quale attende la speranza della risurrezione in Cristo, splendore di luce e gloria della promessa. La luna di solito splende di notte: essa è la Chiesa, che non può essere contemplata dai malvagi nelle tenebre di questo secolo, e la caduta dei corpi dei Santi per il debito della morte, che non può mai mancare. E  come la vita diminuisce, così pure cresce. Infatti la speranza dei dormienti non è del tutto estinta, come alcuni pensano; ma essi hanno una luce nelle tenebre, così come la luna in mezzo alle tenebre, come quelle che abbiamo detto essere sotto i piedi della donna. La corona di stelle sono i Santi. E sul suo capo una corona di dodici stelle; cioè in Cristo le dodici tribù di Israele. La Chiesa è costruita sul numero dodici, e che molto prima della venuta del Signore, come prima del sorgere del sole, già risplendeva nella notte del mondo. Ed un grande segno è apparso in cielo: il cielo è la Chiesa; il grande segno è Cristo e le migliaia di stelle splendenti, sono da intendere essere i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, i Sacerdoti ed i confessori, risplendenti delle luci delle loro virtù. E un altro segno apparve in cielo: un grande drago rosso, cioè il diavolo. Ha detto un altro segno per opposizione. Sopra ha detto un grande segno, qui un altro segno: perché è unica la Chiesa, quella della confessione e quella del mistero dell’iniquità, che, con lo stesso nome e con il carisma della Chiesa, compie segni e prodigi, cercando di divorare il figlio della Chiesa. Così è apparso in cielo un dragone, cioè nella Chiesa è apparsa la malvagia congregazione con il diavolo, che, mosso dall’invidia, cerca di divorare il figlio della Chiesa, cioè l’uomo dedito alla penitenza. E questo alla maniera di Erode, il nemico interno, che assentendo al segno visto in Oriente, finge di adorare Cristo che, sfuggitogli per l’ispirazione dello Spirito Santo, vuole uccidere con tutte le sue forze. Erode è il diavolo. Il segno in Oriente è il Cristo nella Chiesa, che ci fa nascere alla luce. Dice che … aveva sette teste e dieci corna. E su ciascuna delle teste sette diademi. Le teste sono i re; e le corna sono i regni, come esporremo in questo libro. Infatti ci sono tanti regni quanti sono le corna: perché questi sono una cosa sola. Con le sette teste ci si riferisce a tutti i re e con le dieci corna a tutti i regni. Ma non possono essere dieci i regni, perché in tutto il mondo ci sono quattro regni: e cioè, la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro (Dan. II, 32). Ed è in questo quarto regno di ferro, cioè quello dei Romani, che si svolge l’evento narrato, perché i regni sono in tutto quattro, e si espandono poi fino a quattordici. Diciamo allora quello che tutti gli scrittori ecclesiastici ci hanno trasmesso dalla tradizione: alla fine del mondo, quando il regno dei Romani sarà distrutto, ci saranno dieci re che si divideranno il mondo romano; e sorgerà l’undicesimo re, un piccolo re, cioè l’Anticristo, da un piccolo popolo di Giudei, cioè dalla tribù di Dan, che, unico tra i suoi fratelli, non ricevette eredità nella terra Promessa, ma gli fu concesso un territorio nell’Aquilone (a nord). Questi invero aveva imitato colui che aveva detto: « Metterò il mio trono nell’Aquilone » (Is. XIV, 13). Ed è per questo che si dice piccolo, al quale cioè non si deve l’onore reale. Egli è l’Anticristo, che sconfiggerà tre tra i dieci re, cioè il re degli Egiziani, il re d’Africa e il re d’Etiopia; uccisi questi, anche gli altri sette re sottometteranno il loro collo all’Anticristo. E la sua coda attirava la terza parte delle stelle del cielo e le gettava sulla terra. Questo deve essere inteso in due modi, o degli Angeli che sono stati cacciati dal cielo, o degli uomini che sono stati cacciati dalla Chiesa. La coda del serpente sono i profeti malvagi ed i predicatori mendaci, che fanno precipitare le stelle che a loro aderiscono, dal cielo sulla terra. Nella Sacra Scrittura, sotto il nome di stelle, a volte si intende la giustizia dei Santi, che brillano nelle tenebre di questa vita, altre volte la falsità degli ipocriti, che ostentano le buone opere che compiono per ricevere lode degli uomini. Se coloro che vivono rettamente fossero come stelle, Paolo non direbbe ai suoi discepoli: « in mezzo ad una nazione, stolta e perversa, in mezzo alla quale voi brillate come torce nel mondo » (Fil. II, 15). Ed inoltre, se tra coloro che sembrano compiere opere giuste non vi fossero di quelli che cercano la ricompensa nella lode umana per le loro azioni, Giovanni non avrebbe visto le stelle cadere dal cielo dicendo: « il serpente mosse la coda e trascinò la terza parte delle stelle ». La coda del serpente trascina la terza parte delle stelle, perché, a causa dell’ultima persecuzione dell’Anticristo, alcuni che sembravano brillare verranno trascinati via. Far precipitare le stelle sulla terra è trarre – per l’amore del mondo – alla malvagità di un errore evidente, coloro che sembrano dediti alla vita spirituale. La coda, come detto, sono gli iniqui predicatori; quelli che imitano quelle stelle che sono sotto i piedi della donna. Ha detto la … terza parte delle stelle del cielo, perché nessuno potesse pensar trattarsi di quella terza parte che ne è fuori, cioè ai pagani, bensì ad una delle due parti che sono in cielo, cioè ai Cristiani dentro la Chiesa. Dice che c’erano due segni in un solo luogo: la donna che è la Chiesa, e in una sola Chiesa esserci due parti: una da Dio, e l’altra dal diavolo, ed il diavolo con i suoi re ed il suo regno. Non c’è infatti nessun altro re, nessun altro regno al quale i falsi fratelli appartengano, se non quello del mondo; essi dicono infatti di credere in Cristo, ma servono invece il diavolo, sono protetti dall’amicizia regale, e con le loro acclamazioni, ripudiando Cristo con un pretesto di condanna apparentemente legale, lo confessano con la bocca, ma gli dicono con le loro opere: « … Non abbiamo altro re che Cesare » (Gv. XIX, 15). – Il dragone si è fermato davanti alla donna che stava per partorire per divorare il suo bambino appena dato alla luce. Quante volte lo Spirito annunzia ciò che accadrà raccontando il passato, avvertendo che ciò che è stato già realizzato accadrà nella Chiesa! Infatti la Chiesa partorisce sempre, con gran travaglio, il Cristo nelle sue membra: per questo promette sempre la venuta del Figlio dell’uomo, perché Egli viene nella luce nei Santi per mezzo di sofferenze simili a quelle che il Signore stesso ha sofferto. Il dragone nel cielo, cerca sempre di divorare colui che deve nascere con cose celestiali, cioè attraverso la nequizia spirituale. E questo figlio maschio, cioè forte nella osservanza della penitenza, è rapito fino al trono di Dio. Infatti ogni figlio dell’uomo soffre quel che soffre e per quel che soffre, resuscita al terzo giorno; tutto il corpo dei suoi nemici interni si è manifestato nel re Erode, secondo quanto è detto nel Vangelo: « … sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino, … torna  – dice a Giuseppe – nella terra del Bambino » (Mt. II: 20) Che cos’è Erode, se non il diavolo che regna nei vizi? Che cos’è la « terra del bambino » se non la Gerusalemme celeste? Nessuno può tornare nella sua terra se il diavolo non è morto, cioè eliminato. Così in Erode si è manifestato il Cristo che nasce continuamente e che è sempre da lui cercato: pur sapendo che fosse già nato, non ha chiesto: dove è nato Cristo, ma « … dove dovrà nascere il Messia? »  (Mt. II, 4). Fu così costretto a dire la verità, come Caifa che non parlava da se stesso, ma profetizzava come Sommo Sacerdote: « … è giusto che un solo uomo muoia per il popolo » (Gv. XI, 51). E la donna diede alla luce un figlio maschio, cioè forte nella lotta, onde poter vincere, … colui cioè che, non imitando nessuno dei santi uomini e che, vedendo in contemplazione la Verità medesima, opera la giustizia, per conoscere e seguire la Verità in persona, cioè Cristo, ad immagine e somiglianza del quale è stato creato. Colui che deve governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro. Certamente è così che anche il suo corpo nascente, cioè la Chiesa, ha il potere di governare con scettro di ferro: perché chiunque è diventato spirituale e quindi come Dio, secondo l’Apostolo, « … giudica ogni cosa e non è giudicato da nessuno » (1 Cor. II, 15). Secondo dice il Signore stesso: A colui che vince, a colui che mantiene le mie opere fino alla fine, io darò potere sulle nazioni; le governerà con uno scettro di ferro e saranno frantumate come vasi di argilla con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio (Ap. II, 26). – E il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. Chiunque si conformi a Dio con tutto l’ardore dell’anima, è come un morto che risorge attraverso la penitenza. E quando risorge, viene portato dalla sua vita attiva, alla contemplativa: e risplendendo gli occhi del suo cuore come un’aquila davanti ai raggi del sole, non fa più ritorno dalle cose celesti; è allora che si dice che il figlio maschio è stato rapito fino al trono di Dio. – La donna è fuggita nel deserto, dove ha un posto preparato da Dio, per esservi nutrita per milleduecentosessanta giorni. Abbiamo detto che la donna era la Chiesa. La natura selvaggia  indubbiamente è il deserto. E cos’è il deserto, se non un luogo abbandonato, dove non ha accesso nessun operatore? Nel deserto di solito vivono fiere e serpenti, non uomini. Si dice che la donna fugge in questo deserto, cioè tra gli uomini malvagi, dove non si trova la via che è Cristo. Perciò dice « deserto », tra scorpioni e vipere, e tra tutta la potenza di satana, che la Chiesa ha da Dio il potere di calpestare. Infatti, come tutta la Chiesa, anche Israele è stato tra tali serpenti nutrito e diretto nel deserto, dopo che il serpente fu sconfitto dalla croce « … Il Signore disse a Mosè: Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita. »  (Num. XXI, 8-9): tutto questo è avvenuto in figura per noi. Infine, Davide aggiunse all’immagine precedente figurata nel deserto, il senso proprio che si realizza in tutto il mondo; infatti dice: « Lo dicano i riscattati del Signore, che egli liberò dalla mano del nemico e radunò da tutti i paesi, dall’oriente e dall’occidente, dal settentrione e dal mezzogiorno. Vagavano nel deserto, nella steppa, non trovavano il cammino per una città dove abitare, etc. … » (Sal. CVI, 2). E così ha descritto tutta la Chiesa nel deserto, cioè in Israele, che sono quelli che vedono Dio. Geremia dice che il deserto sono gli uomini malvagi: « Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. » (Ger. XVII, 5). Ed ecco che i malvagi sono la terra del deserto, ove si dice che Dio non abiti. In questa terra abita la donna, cioè la Chiesa, e lì si nutre di dottrina celeste fino alla fine dei 1.290 giorni, cioè dalla prima venuta del Signore fino alla seconda venuta, fino alla liberazione dai malvagi. Poi si è combattuta una battaglia in cielo, cioè nella Chiesa, dove il suddetto dragone combatte sempre contro i Santi. Michele e i suoi Angeli hanno combattuto con il dragone. Michele si riferisce a Cristo; e i suoi Angeli, agli uomini santi. Non c’è nessuno al di fuori del Signore che abbia gli Angeli, solo il Nostro Signore Gesù Cristo, come dice Daniele: « Or in quel tempo sorgerà Michele, il grande Arcangelo, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo » (Dan. XII, 1). Il drago combatteva insieme con i suoi angeli. -Lungi da noi il credere che il diavolo ed i suoi angeli abbiano osato combattere in cielo, visto che fin sulla terra egli ha dovuto chiedere a Dio il permesso di fare il male ad un solo uomo, come nel caso di Giobbe. Ha ricevuto il potere di combattere contro la progenie della donna, cioè con i Santi, ma non con il Figlio di Dio, né con i suoi Angeli. Combatte quindi in cielo con Cristo rivestito d’umanità, ma nella Chiesa. Ma non hanno prevalso e non c’era posto per loro in cielo. Si riferisce in tal modo a tutti i Santi che, credendo in Cristo e allo stesso tempo rifiutando il diavolo, lo cacciano via. Il dragone fu gettato a terra, il vecchio serpente, il cosiddetto diavolo e satana, il seduttore del mondo intero; fu gettato a terra e i suoi angeli furono gettati in terra con lui. Il principe serpente è il diavolo, e i suoi angeli sono gli uomini malvagi e gli spiriti immondi. Essi sono stati tutti gettati sulla terra con il loro principe. Si dice « terra », per indicare l’uomo carnale, chi ama ciò che è terreno ed al quale cui è stato detto: « tu sei terra e nella terra ritornerai » (Gen. III,19). Ma all’uomo giusto è stato detto: “Tu sei il cielo, e in cielo andrai“. Coloro che sono stati gettati a terra per essere calpestati dai piedi dei Santi sono esclusi dai giusti, come sta scritto: « camminerai su un aspide ed un serpente e calpesterai il leone ed il drago » (Psal. XC, 13). E questo non perché i Santi li calpestino, in quanto essi non restituiscono il male per il male, ma perché costoro amano il terreno e i Santi desiderano il celeste non desiderando nulla di terreno, e soffrono le tribolazioni e la povertà con pazienza: così dunque si dice che li calpestino con l’anima, non con il corpo. Infatti Cristo, che ha lasciato per sempre l’esempio ai suoi seguaci, dice « … io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza di satana » (Lc. X, 19). – Poi ho sentito una voce forte in cielo dire: Ora è venuta la salvezza, la potenza ed il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo. La grande voce in cielo è la Vittoria di Cristo e la salvezza che Egli ha concesso alla sua Chiesa, quando è apparso nella carne. Tutti i regni del mondo lo servono, cioè i Santi; ed Egli ha distrutto gli idoli, apparsi essere un nulla. Prima della sua venuta Egli era atteso dai Patriarchi e dai Profeti, ma non era contemplato; alla sua venuta diceva infatti ai suoi discepoli: « molti giusti e profeti volevano vedere ciò che voi vedete » (Mt. XIII, 16): cioè vedermi nella carne. Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete; beati gli orecchi che sentono ciò che voi sentite. Poi essi dissero: Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire. Se, come alcuni pensano, fosse stata la voce degli Angeli quella che si udiva dal cielo, non avrebbero detto: “l’accusatore dei nostri fratelli”, bensì il nostro accusatore; e non “che li accusa”, ma « che li accusava ». Infatti, se gli Angeli chiamano i giusti che vivono sulla terra i loro fratelli, non dovrebbero rallegrarsi del fatto che il diavolo sia stato cacciato sulla terra, perché il diavolo e gli uomini insieme abitano sulla terra. Così inteso, non ci sarebbe alcuna gioia negli uomini che vivono con i demoni. Ma, come abbiamo detto sopra, crediamo che questa sia la voce degli Apostoli, al sapere che il diavolo fosse tenuto legato, e che il Figlio di Dio incarnato regnasse nei suoi Santi, quando dicevano: ora è venuta la salvezza e il regno del nostro Dio, perché è stato gettato a terra l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava giorno e notte, come vediamo accadere ora nella Chiesa. La Sacra Scrittura suole chiamare “la luce del giorno” le cose buone e “la notte” le cose contrarie. Pertanto, (il diavolo) non cessa di accusare, giorno e notte, perché ci accusa sia nelle cose buone che di quelle cattive. Ci accusa di giorno quando nelle cose prospere insinua il male con parole, azioni o pensieri. Accusa di notte quando nelle avversità mostra che non abbiamo pazienza. Come se fosse ancora in cielo (questa frase non è nella Vulgata, appartiene al Commentario di Tyconium, non al testo biblico dell’Apocalisse). Infatti, così essi maledicono la terra, dicendo: … Guai a te, terra e mare! cioè coloro che non sono nel cielo, che è la Chiesa. La terra ed il mare quindi sono gli uomini malvagi. Perché il diavolo è sceso fino a voi con grande ira, sapendo che non ha che poco tempo. Far scendere il diavolo sulla terra e sul mare significa farlo abitare negli uomini malvagi. Esso viene cacciato dal cielo quando viene cacciato dai Santi; poi, allontanato dai Santi, scende dai suoi. Ed infatti gli empi non possono arrivare in cielo se non hanno eliminato il diavolo; e quando esso è stato rifiutato da loro, allora si dice che non ci sarà più posto per il diavolo in cielo. Quando il serpente vide che era stato gettato a terra si avventò sulla donna che aveva partorito il figlio maschio. Quanto più il diavolo è scacciato, tanto più si avventa furiosamente. – Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, per volare dal suo posto nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente. Le due ali, che diciamo essere i due Testamenti, ella le ha ricevute per fuggire dal serpente nel deserto. Al suo posto, vengono messi uomini malvagi, secondo quanto vien detto: « Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi » (Mt. X, 16). Un tempo, due tempi e mezzo tempo, si riferisce alla passione del Signore fino alla fine del mondo, come abbiamo detto sopra. Il serpente vomitò dalla bocca dietro la donna come un fiume d’acqua. Abbiamo già detto sopra che il serpente è il diavolo. E il fiume d’acqua è il popolo persecutore della Chiesa. Non potendo ingannare spiritualmente i Santi, egli incita il popolo contro la Chiesa, per sedurli con modi o con parole, con il fine di avere sempre qualcosa per cui accusarli, secondo dice: … trascinarla con la sua corrente. Ma la terra venne in aiuto della donna; la terra aprì la sua bocca e inghiottì il fiume vomitato dalla bocca del serpente. La terra in questo luogo è Cristo, il Figlio di Dio incarnato, così com’è scritto: « … la nostra terra ha portato il suo frutto » (Psal. LXXXIV, 13), cioè i suoi Santi che in essa germogliano. Perché il Signore nostro Gesù Cristo, che intercede per noi ed allontana da noi queste persecuzioni, siede alla destra del suo potere con la terra stessa: perché tutte le volte che le persecuzioni vengono inflitte alla Chiesa, vengono sviate dalle preghiere della santa terra. Quando i cattivi perseguitano la Chiesa, allora i buoni, meditando nell’anima la passione del Signore, gioendo in mezzo ai flagelli, sopportano con pazienza tutte le contrarietà. Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù Cristo. Ma questo non quando il diavolo è stato scaraventato via, come letto, quando cioè è stato cacciato dal cielo; ma quando alla fine verrà ad abitare in quel suo vaso, l’Anticristo, che ora è ancora legato; infatti non devasta ancora apertamente la Chiesa, poiché vediamo che alcuni vi ritornano con una lunga, altri con una breve penitenza; ma dopo che sarà entrato in quel suo « vaso », allora nessuno si convertirà, perché tutti coloro che troverà immersi nella vita carnale, li sottometterà al giogo del suo potere. Tuttavia prima Elia deve predicare, e ci deve essere un tempo di pace, e poi, dopo i tre anni e mezzo di predicazione di Elia, lui e tutti gli angeli suoi ribelli devono essere cacciati dal cielo, dove aveva avuto il potere di ascendere per questo tempo. Allo stesso modo, l’Apostolo Paolo dice che l’Anticristo sorge dall’inferno: « Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio » (2 Tess. II, 3). Ma quando poi, attraverso la predicazione di Enoc ed Elia, molti tra i Giudei torneranno alla conoscenza della verità, e quando alla fine la Giudea si convertirà, avverte che ci saranno feroci persecuzioni ai tempi dell’Anticristo, in modo tale che si accetti la predicazione dei suoi ministri d’iniquità; e coloro che si oppongano saranno oppressi con le catene delle sofferenze. E non vi sarà tra loro un predicatore, perché la predicazione non raggiunga il cuore del malvagio, e la lingua dei buoni, legata dalla persecuzione, tacerà. Ci saranno poi molti tra i Giudei infedeli che perseguiteranno i Giudei convertiti. Ma dobbiamo capire per ora in modo spirituale, ciò che avverrà poi in modo reale. Dice che … il dragone si riempì di rabbia contro la donna; e se ne andò a fare la guerra ai suoi figli rimasti; cioè, non potendo continuare la persecuzione contro i Santi, perché uniti alla terra santa, si arma sempre di più, e si trincera nel mistero dell’iniquità, con cui può sempre insidiare, secondo dice: e si posò sulla sabbia del mare, cioè sulla moltitudine del suo popolo, dove è riconosciuto come re.

TERMINA LA SPIEGAZIONE SULLA DONNA ED IL SERPENTE

COMINCIA LA STORIA DELLA BESTIA E DEL MEDESIMO DRAGONE

(Ap. XIII, 1-10)

Et vidi de mari bestiam ascendentem habentem capita septem, et cornua decem, et super cornua eju s decem diademata, et super capita ejus nomina blasphemiæ. Et bestia, quam vidi, similis erat pardo, et pedes ejus sicut pedes ursi, et os ejus sicut os leonis. Et dedit illi draco virtutem suam, et potestatem magnam. Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem: et plaga mortis ejus curata est. Et admirata est universa terra post bestiam. Et adoraverunt draconem, qui dedit potestatem bestiæ: et adoraverunt bestiam, dicentes: Quis similis bestiæ? et quis poterit pugnare cum ea? Et datum est ei os loquens magna et blasphemias: et data est ei potestas facere menses quadraginta duos. Et aperuit os suum in blasphemias ad Deum, blasphemare nomen ejus, et tabernaculum ejus, et eos qui in caelo habitant.  Et est datum illi bellum facere cum sanctis, et vincere eos. Et data est illi potestas in omnem tribum, et populum, et linguam, et gentem, et adoraverunt eam omnes, qui inhabitant terram: quorum non sunt scripta nomina in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi. Si quis habet aurem, audiat. Qui in captivitatem duxerit, in captivitatem vadet: qui in gladio occiderit, oportet eum gladio occidi. Hic est patientia, et fides sanctorum.

(E vidi salire dal mare una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi, e sopra le sue teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi era simile al pardo, e i suoi piedi come piedi d’orso, e la sua bocca come bocca di leone. E il dragone le diede la sua forza e un grande potere. E vidi una delle sue teste come ferita a morte: ma la sua piaga mortale fu guarita. E tutta la terra con ammirazione seguì la bestia. É adorarono il dragone che diede potestà alla bestia: e adorarono la bestia, dicendo: Chi è simile alla bestia? E chi potrà combattere con essa? E le fu data una bocca che proferiva cose grandi e bestemmie: e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. E aprì la s ua bocca in bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo nome, e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi, e di vincerli. E le fu data potestà sopra ogni tribù, e popolo, e lingua, e nazione, e lei adorarono tutti quelli che abitano la terra: i nomi dei quali non sono scritti nel libro di vita dell’Agnello, il quale fu ucciso dal cominciamento del mondo. Chi ha orecchio, oda. Chi mena in schiavitù, andrà in schiavitù: chi uccide di spada, bisogna che sia ucciso dì scada. Qui sta la pazienza e la fede dei Santi.)

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA INNANZI DESCRITTA 

[3] E ho visto una bestia che si sorgeva dal mare. In precedenza aveva detto che la bestia sorgeva dall’abisso; qui dice: dal mare. Queste due bestie ne sono una sola. Il mare e l’abisso, dai quali ha detto sorgesse la bestia, sono la medesima cosa. Ciò che è il mare e l’abisso, questo è la bestia. Così ha visto il popolo sorgere dal popolo, che cioè fuoriusciva come un fiore nasce dalla radice. Come l’erba velenosa, che muore in inverno per rinascere in primavera dallo stesso seme, così, quando gli uomini malvagi muoiono nel loro tempo, da loro nascono altri malvagi che li imitano. Per questo Giovanni Battista ha detto dei Giudei: … razza di vipere (Mt. III, 7); perché come dalle vipere nascono le vipere, così dagli uomini malvagi nascono gli uomini malvagi. Coloro che li imitano nel comportamento, anche se non sono loro figli naturali, vengono chiamati pure figli, a causa di questa imitazione. Allo stesso modo, chiamiamo figli del demonio, coloro che imitano il diavolo, mentre coloro che imitano i Santi, li diciamo figli dei Santi e semenza dei Santi, e figli di Dio coloro che imitano Dio. Ecco in qual modo dobbiamo intendere la bestia che sorge dall’abisso, che sorge dal mare, che sorge dalla terra: esse sono tutte la stessa medesima bestia. – Solo il diavolo, cacciato dal cielo, cioè l’antico serpente, non è mai transitato per questo mondo come uomo, ma per il suo ruolo e le sue opere è come una bestia. E questa bestia non deve cercarsi in un solo posto, perché essa è in tutto il mondo. E poiché questa bestia esercita il suo potere attraverso i re, per questo deve essere inteso come regno dei Romani, che soggiogano pressoché tutto il mondo al loro potere. Per questo si dice pure che alla fine del mondo, l’Anticristo regna su tutto il mondo con dieci corna e sette teste. Costui è la terribile bestia che Daniele descrive come una: « bestia, spaventosa, terribile, d’una forza eccezionale, con denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava » (Dan. VII, 7). Il quarto regno che oggi domina il mondo è proprio l’Impero Romano, di cui si dice nella visione della statua che: … ha gambe di ferro, e piedi, parte di ferro e parte di argilla (Dan. II, 33). Ecco che ora menziona quella parte di ferro, dicendo che i suoi denti sono di ferro e grandi. E fa ancor più meraviglia perché, mentre nel simboleggiare i tre regni si serve di tre bestie, la leonessa, l’orso e il leopardo – cioè nella leonessa: la testa d’oro, che è il regno di Babilonia; nell’orso, il petto e le braccia d’argento, che è il regno dei Persiani e dei Medi, e nel leopardo, col ventre e i fianchi di ottone, che è il regno di Macedonia – non paragona il regno dei Romani a nessuna specifica bestia, ma dice solo che è terribile. A meno che, forse, per rendere la bestia più spaventosa e che incutesse gran terrore, non abbia taciuto il suo nome, di modo che tutto ciò che di maggior voracità si possa pensare delle bestie, lo intendessimo per i Romani, ricapitolando in un unico Impero Romano tutti i regni che prima erano separati. E l’altro che segue: … divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava, significa che tutte le nazioni vengono da esso distrutte, o sottomesse al suo tributo. … E aveva dieci corna: elenca i re più crudeli, e di quei re – non di un solo regno, per esempio della Macedonia, della Siria, dell’Asia e dell’Egitto, ma di vari regni in tutto il mondo – ne fa un unico regno. Come noi diciamo che queste dieci corna sono i dieci imperatori che con la loro persecuzione hanno dato origine a tutta la moltitudine di martiri, così noi crediamo, in senso figurato, che alla fine del mondo ci saranno dieci re: di questi, l’Anticristo dopo averne uccisi tre, regnerà con i sette che ora son chiamati le sette teste. Si dice che questa bestia sia terribile e diversa dalle altre bestie; ma quando arrivò l’Agnello, mosso a guerra contro di essa, morendo le strappò la preda. E questi: l’Agnello e la bestia, si vedono ora essere nemici all’interno della Chiesa. La bestia è il nome generico del nemico dell’Agnello. Ma nella narrazione è necessario capire, a seconda dei luoghi, a quale aspetto della bestia ci si riferisca; infatti la bestia, che è un corpo unico, ha molti e diversi membri. A volte la bestia si riferisce al diavolo; altre volte al suo corpo, che sono gli infedeli, cioè coloro che non hanno ricevuto il Battesimo; altra volta, è una delle teste della bestia medesima che sembrava essere ferita a morte ed è risorta, il che è la parodia della vera fede, e sono cioè i cattivi Cristiani all’interno della Chiesa. Altre volte la bestia si riferisce solo ai prepositi, cioè ai Vescovi o ai sacerdoti che vivono carnalmente all’interno della Chiesa. Tutte queste membra sono un unico corpo. In questo passo, la bestia che emerge dal mare si riferisce al corpo del diavolo… che aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci corna e sulle teste nomi blasfemi. – Il dragone è apparso con queste corna e le sue teste nel cielo, cioè nella Chiesa. E quando dice: … sopra la sua testa, un nome di blasfemia, questo è da intendersi nel senso che gli uomini malvagi e gli amanti del mondo chiamano “dio” i loro re; certo non il Dio che ha fatto tutte le cose e da cui tutte le cose sono, ma lodano i loro re, sia vivi che morti, e pensano che essi siano stati traslati come in cielo e tra i santi. In un altro luogo (Ap. XVII, 3) si parla di un nome di blasfemia, riferito a coloro che dicono di essere all’interno della Chiesa e perseguitano la Chiesa. La bestia che ho visto era come un leopardo, e le sue zampe erano come le zampe di un orso, e le sue fauci come le fauci di un leone: la paragona ora ad un leopardo per la varietà del suo popolo, ad un orso per la sua malizia e la ferocia, e ad un leone per la forza del corpo e la superbia del linguaggio. E il drago gli diede il suo potere ed il suo trono. Il drago ha dato il suo potere alla bestia, poiché tiene i falsi fratelli all’interno della Chiesa, quelli che sembrano essere la Chiesa ma … non lo sono. E attraverso di loro il diavolo compie le sue azioni contro coloro che vuole sedurre all’interno della Chiesa; per questo ha detto alla Chiesa: So che voi abitate dove satana ha il suo trono (Ap. II, 13). Essi ingannano i semplici « con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno » (Tess. II, 9-10), secondo dice: e vidi una delle sue teste che sembrava fosse stata ferita a morte, ma la sua ferita mortale era guarita. Abbiamo detto sopra che la bestia aveva sette teste: questa ne è l’ottava. È la stessa cosa di quel che abbiamo già detto: colui cioè, che sembra stare nella Chiesa con aspetto di santità, non è nella Chiesa: infatti essa è il simulacro inventato dal diavolo per ingannare i religiosi sotto il nome della religione. Si dice che questa testa sembrasse mortalmente ferita, e che la sua ferita mortale fosse guarita; questo dignifica che essi sembrano seguaci di Cristo crocifisso, ma non lo sono … crocifissi: infatti non portano la sofferenza della croce di Cristo per Dio, bensì per le lodi del mondo. Mostrasi dunque che ne è l’ottava, cioè il simulacro delle altre sette: e non è separata da quelle teste, poiché la bestia medesima insieme a tutti i Santi crede e dice che ha come capo Cristo, … che era stato ferito dalla spada ma si era riavuto (Ap. XIII, 14), cioè che è morto e risorto. In realtà, però, delle sette teste essa è l’ottava. E tutta la terra, in ammirazione, seguì la bestia. Il diavolo ha dentro la Chiesa coloro che, camuffati da pecore, appaiono all’esterno giusti mentre dentro sono lupi rapaci. Per questo non vengono scoperti come gli altri uomini chiaramente malvagi, ma sono considerati addirittura Santi, perché uniti ad essi nella medesima unità ed azione: ed il diavolo possiede costoro che si trovano in seno alla Chiesa e tra il popolo, sotto un’apparenza di santità. Ecco perché c’è un cambiamento di parole (nel testo): per non dire  che meravigliata tutta la terra ha seguito la bestia, che è come dire: se i cattivi fossero apertamente cattivi, si vedrebbe che sono la bestia. Ma poiché simulano la santità, col sembrare impartire benedizioni tra la gente, ecco che il testo dice: e ammirata, tutta la terra ha seguito la bestia. Qui chiamiamo « terra » il popolo carnale, così come abbiamo detto che la Chiesa è il cielo: è in ammirazione, quindi, tutto il suo popolo, attraverso i suoi sacerdoti simili ad esso, seguendo la bestia, cioè il diavolo, o meglio il simulacro stesso che il diavolo ha inventato per loro; affinché, sotto il nome della testa uccisa e rediviva, cioè Cristo, potesse farne suoi alleati. Lo Spirito dice che essi seguono la bestia, ma in realtà essi dicono di seguire Cristo, non con le opere però, ma solo con la lingua. – Ed adorarono il dragone, perché aveva dato potere alla bestia. Nelle loro parole dicono quindi di adorare Dio, che ha dato il potere a Cristo: cioè sanno che Cristo si è incarnato. Dice più tardi che la bestia aveva una testa che sembrava come quasi ferita a morte.  E si noti che non dice “uccisa”, ma quasi uccisa … che sembrava come ferita a morte. Infatti essi non seguono Cristo nella sua passione, ma desiderano essere santi solo di nome: perciò dice che la testa “sembrava come se fosse    uccisa”, (quasi occisum). Poi ha fatto un cambio di nome, passando da tutto il corpo al capo, dando il nome di terra alla bestia, col dire: e meravigliata, tutta la terra seguì la bestia. Quella testa, che abbiamo detto essere l’ottava tra le sette, sono i sacerdoti che la ammirano, e le persone che la seguono: con il che si capisce chiaramente che chiama bestia lo stesso capo, e la bestia “terra”; e, come è stato già detto, questa va intesa secondo i luoghi. – E si prostrarono davanti alla bestia, dicendo: “Chi è come la bestia, o chi può combattere contro di essa? Essi dicono: Chi è Cristo? o chi può sconfiggerlo? Lo dicono a parole, ma nelle loro azioni seguono la bestia. Gli è stata data una bocca per proferire una grande bestemmia. Questo lo dice in generale di tutti, cioè di tutto il corpo, poiché è stato dato loro di parlare con la parola delle Scritture, ed una bocca per esaltarsi e vanagloriarsi, o per parlare di cose celesti. Ma ha detto che è stata data loro la blasfemia, perché non si sollevano apertamente contro la Chiesa, alla quale dicono di essere uniti e, dicendo di essere figli di Dio, tendono trappole ai figli di Dio. E gli è stato dato il potere di agire per quarantadue mesi. Ha parlato qui di soli quarantadue mesi, che sono i tre anni e mezzo del regno dell’Anticristo; ma ora nella calma, con il pretesto della religione, meditano contro la Chiesa quello che diranno poi, a guerra in corso, con parole chiare. Ed ella ha aperto la sua bocca per bestemmiare contro Dio. In precedenza, nei tre anni e mezzo antecedenti, e cioè, come abbiamo detto sopra, dalla Passione del Signore all’Anticristo, non hanno bestemmiato apertamente contro la Chiesa, camuffati sotto l’apparenza con nome di santità, formando parte del mistero dell’iniquità. Quando arriverà però il tempo dell’Anticristo, quando avverrà la separazione, cioè quando la Chiesa sarà chiaramente divisa, e l’uomo del peccato si sarà manifestato in tutto il mondo, allora saranno messi a nudo: si manifesterà, si comprenderà e conoscerà ciò che prima, sotto la maschera della religione, con parole occulte, si bestemmiava contro Dio, mentre ora parla come Chiesa Cattolica. Infatti così Dio dice che i malvagi parlano a Dio, per sedurre: « … poiché l’abietto fa discorsi abietti e il suo cuore trama iniquità, per commettere empietà e affermare errori intorno al Signore, per lasciare vuoto lo stomaco dell’affamato e far mancare la bevanda all’assetato. » (Is. XXXII, 6). Chi proferisce menzogne a Dio, se non chi finge di servire Dio per ingannare? Essi infatti parlano a Dio, perché pronunciano sante parole cattoliche; ma parlano per poter ingannare l’ignorante e l’incauto per mezzo di queste parole, e non ricordando gli insegnamenti di Cristo, si comportano, per mezzo di queste parole, come i farisei e si sono seduti sulla cattedra di Mosè, … ed ambiscono i primi seggi ed i primi onori, per essere chiamati maestri dagli uomini (Mt. XXIII, 6). Così, quando fuoriusciranno, bestemmieranno apertamente, ma solo quelli che bestemmiavano in modo occulto, come è detto: … aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua tenda, contro tutti quelli che abitano in cielo. La tenda è posta lungo il cammino, mentre l’abitazione è la casa. Ecco perché la « tenda » appartiene ai servi di Dio che, camminando verso le cose celesti, non vogliono avere nulla in questo mondo; il cielo è la Chiesa. – Ha spiegato quindi che cos’è la tenda di Dio, riferendosi a coloro che abitano in cielo, e si comprende perché sia contro questi che ha aperto la sua bocca; infatti bestemmiano sempre contro coloro che abitano in cielo, cioè contro coloro che desiderano seguire Cristo in modo chiaro, ma, come detto, non lo fanno apertamente. Perché dicono: questi che vediamo non sono santi, dacché i Santi sono i perfetti, che sono rinchiusi nelle loro dimore, o che dimorano nella solitudine del deserto. Infatti noi, non vediamo che questi sono migliori di noi. Dicono queste cose, come detto, per ingannare, in modo da sedurre i semplici e gli ignoranti, che forse nel tempo avrebbero potuto essere buoni, poiché dice: Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli, che sono coloro di cui abbiamo parlato sopra, essere i semplici, cioè gli ingannati. Quelli che pensano di essere ancora buoni sono già stati sconfitti da ogni lato possibile; e, vivendo nella cecità dell’ignoranza, dicono che la luce e le tenebre sono una cosa sola; pensano cioè che la Chiesa e la Sinagoga godano della stessa vita, poiché già chiaramente ingannati, e incorporati nella bestia, camminano nelle tenebre. – E gli fu dato potere su ogni tribù, popolo, lingua e nazione; e tutti gli abitanti della terra la adoravano. Ha detto tutti, ma sono gli abitanti della « terra », la terra di cui abbiamo parlato prima, cioè la terra carnale. Infatti il cielo è la Chiesa; il diavolo e la bestia sono venerati solo dagli abitanti della « terra », come si dice: quelli il cui nome non è stato scritto, fin dalla creazione del mondo, nel libro della vita dell’Agnello sacrificato. Noi intendiamo dunque un solo corpo invece che molte membra. Sopra ha detto: tutti gli abitanti della terra la adoravano. Il diavolo possiede questa terra come suo corpo, e poiché il nome del diavolo non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, così tutto il suo corpo è sigillato con lui fin dall’inizio del mondo; infatti prima che l’Agnello esistesse, cioè che la Chiesa fosse, è stato rigettato dalla vita nella prescienza di Dio. Trattasi dell’Agnello e della bestia che, fin dall’origine del mondo, non è stata iscritta nel libro della vita con l’Agnello. Chi ha orecchie, ascolti. Ogni volta che lo Spirito afferma ciò che debba essere inteso in modo diverso da quanto detto, conclude così: … chi ha orecchie, ascolti; vale a dire, intenda chi ha le orecchie del cuore; e se è già risorto con Cristo, non cerchi nulla sulla terra, ma cerchi ciò che ne è al di sopra: cosicché non succeda che, nello scegliere quel che è terreno – prigioniero – venga strappato al cielo e precipitato nell’inferno, secondo dice: Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la virtù dei santi. Chi sono i prigionieri, se non coloro che sono stati ingannati dal dragone e dalla bestia? Chiunque guidi un prigioniero, se lo uccide, non uccide un guerriero, ma un prigioniero. Questo è l’inganno di cui abbiamo parlato sopra, che si compie nella Chiesa per mezzo dei malvagi sacerdoti, che fingono di servire Dio onde sedurre l’ignorante, ottenendo seguaci, così che essi e la bestia siano una cosa sola. Descritta così la bestia in generale occultata nell’ipocrisia, cioè nella simulazione della santità, passa a descrivere poi l’altra bestia che proferisce chiaramente bestemmie nei soli prepositi, cioè i Vescovi; la descrive allo stesso modo, ma non ipocritamente occulta, come abbiamo detto accadere nella bestia descritta, bensì come manifesta a chiare parole.

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA STORIA DELLA TERZA BESTIA

(Ap. XIII, 11-17)

Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia Agni, et loquebatur sicut draco. Et potestatem prioris bestiæ omnem faciebat in conspectu ejus: et fecit terram, et habitantes in ea, adorare bestiam primam, cujus curata est plaga mortis. Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de cælo descendere in terram in conspectu hominum. Et seduxit habitantes in terra propter signa, quæ data sunt illi facere in conspectu bestiæ, dicens habitantibus in terra, ut faciant imaginem bestiæ, quae habet plagam gladii, et vixit. Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loquatur imago bestiæ: et faciat ut quicumque non adoraverint imaginem bestiæ, occidantur. Et faciet omnes pusillos, et magnos, et divites, et pauperes, et liberos, et servos habere caracterem in dextera manu sua, aut in frontibus suis: et nequis possit emere, aut vendere, nisi qui habet caracterem, aut nomen bestiæ, aut numerum nominis ejus. Hic sapientia est. Qui habet intellectum, computet numerum bestiæ. Numerus enim hominis est: et numerus ejus sexcenti sexaginta sex.

(E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelli dì un agnello, ma parlava come il dragone. Ed esercitava tutto il potere della prima bestia nel cospetto di essa: e fece sì che la terra e i suoi abitatori adorassero la prima bestia, la cui piaga mortale era stata guarita. E fece grandi prodigi sino a far anche scendere fuoco dal cielo sulla terra a vista degli uomini. E sedusse gli abitatori della terra mediante i prodigi che le fu dato di operare davanti alla bestia, dicendo agli abitatori della terra che facciano un’immagine della bestia, che fu piagata di spada e si riebbe. E le fu dato di dare spirito all’immagine della bestia, talché l’immagine della bestia ancora parli: e faccia sì che chiunque non adorerà l’immagine della bestia, sia messo a morte. E farà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi abbiano un carattere sulla loro mano destra, sulle loro fronti. E che nessuno possa comprare o vendere, eccetto chi ha il carattere, il nome della bestia, o il numero del suo nome).

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DELLA TERZA BESTIA

[4] E ho visto un’altra bestia sorgere dalla terra. Abbiamo sopra esposto essere questa: gli uomini, il mare e la terra, cioè il corpo del diavolo. Un’altra bestia ascendente dalla terra. Sorgere dalla terra è insuperbire della gloria terrena. Ciò ch’è il mare, è la terra. Dice “altra” riguardo alla sua missione, ma la bestia è sempre e solo una. Infatti nel mare avvengono delle cose, e sulla terra altre; il mare si agita, mentre la terra resta quieta. Il « mare » è il popolo apertamente malvagio; la « terra » sono i Vescovi, i sacerdoti e la falsa religione, che sotto una maschera di santità, non sembrano agitarsi nel mondo, ma appaiono operare nella quiete, fingendo di essere la Chiesa, che non sono: infatti in questa bestia bestemmiano apertamente ciò che, nella bestia sopra descritta, bestemmiavano occultamente. E quella (bestia) che ha sette teste e questa qui, sono una stessa e la medesima: ma quella delle sette teste è quella che si diceva avesse un’ottava testa, che sembrava fosse stata uccisa, cioè che fosse stata crocifissa con Cristo. Ma come in quella bestia sembrava esserci una ottava testa, perché blasfemava la Chiesa in segreto, così ora questa bestia bestemmia apertamente ciò che l’altra blasfemava in occulto. E come abbiamo spiegato sopra a proposito del mare, del dragone e della bestia, che abbiamo detto essere una stessa unica realtà, ci resta ancora da dire qualcosa per dimostrare ciò che abbiamo già esposto. Cosa si intende con il nome di « mare », se non il cuore del popolo carnale agitato da pensieri di superbia? E cosa si esprime sotto il nome di « dragone » se non l’antico nemico, che possedendole, penetra nelle anime del mondo, e sembra nuotare nei loro pensieri pieni di lussuria? Ecco perché sopra dice correttamente: ho visto una bestia che sorgeva dal mare; mentre di questa si dice che sorgeva dalla terra, ma con essa è una sola, e si pone ambiguamente nel mezzo tra l’Agnello e la prima bestia onde sedurre fingendo di essere un agnello, per attaccare l’Agnello. Essa desidera maggiormente dominare i migliori, tuttavia ne viene impedita per decisione divina, che dispone di tutte le cose in modo mirabile. Anela alla longevità nella vita presente per soddisfare ai piaceri della carne, e tuttavia ne viene rapidamente strappata. Riguardo all’acqua, si dice attraverso il salmista: « … e chiuse le acque quasi in un otre »  (Psal. LXXVII, 13). Le acque in un otre sono i desideri lussuriosi, con i quali si desidera ferire l’Agnello: quando la sua azione è inefficace, si affonda nel cuore del carnale. Questa bestia della terra sono i predicatori malvagi della Chiesa, che, abbandonati ai loro piaceri, profetizzano le menzogne del loro cuore. Questa è la bestia che compie segni e prodigi, mentendo al cospetto degli uomini davanti a lui, cioè prima che arrivi l’Anticristo. E aveva due corna simili a quelle dell’agnello: cioè i due Testamenti, la Legge ed il Vangelo, attraverso i quali fingeva di profetizzare, apparendo tra il suo popolo come Agnello e fingendo di essere uomo giusto. E parlava come un dragone. Infatti era pieno della malizia del diavolo: con questa realizzerà segni davanti agli uomini tanto che sembrerà che i morti risuscitino, cioè con la loro predicazione sembrerà che molti si convertiranno, ma solo agli occhi degli uomini. Questa è quella seduzione al Signore (seductio ad Dominum): finge di essere un agnello, per inoculare occultamente i veleni del dragone. Non sembrerebbe un agnello se parlasse chiaramente come un dragone, finge di essere un agnello per divorare con maggior sicurezza l’Agnello. Parla a Dio, ma con il fine di allontanare coloro che cercano Dio dal sentiero della verità. Perciò il Signore, ammonendo la sua Chiesa, dice: « Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi vestiti da agnelli, ma interiormente sono lupi rapaci » (Mt. VII, 15). Dobbiamo comprendere allora ciò che i lupi sembrano voler significare. Questi sono delle bestie che cercano le pecore, si aggirano intorno ai recinti dei pastori: non osano però entri locali delle case. Vegliano sul sonno dei cani e sull’assenza o sull’incuria del pastore: stringono le pecore al collo, per strangolarle rapidamente. Sono bestie rapaci, ed hanno per natura un corpo molto rigido, così che non possano piegarsi facilmente. Essi si lasciano trasportare dalla loro impetuosità, ed è per questo che sempre feriscono. Inoltre, se sono essi per primi a vedere un uomo, sono spinti da un impulso naturale a levare l’ululato, ma se è l’uomo che li vede per primo, fingono di stare colà fermi, docili. Occorre quindi fare attenzione perché non succeda che, se nel trattare dei misteri spirituali non si riesca a risplendere per la grazia, i lupi che hanno visto per primi non possano credere di assalire con il solenne ausilio della parola. Non è forse vero che dovremmo paragonare a questi lupi quelli che si ribellano apertamente contro la Chiesa, come gli eretici, che perseguitano le pecore di Cristo? Ululano vicino agli ovili, più di notte che di giorno. Di notte, perché predicano tra gli ignoranti, non potendolo fare di giorno, perché sarebbero scoperti dai sapienti. La notte è l’ignoranza e il giorno è la sapienza: perché è sempre di notte che i malvagi oscurano la luce di Cristo con le tenebre della loro interpretazione; e nella misura in cui essa si presti alla loro opinione, cercano di offuscarla. Si aggirano quindi nei pressi degli ovili, cioè vicino alle sette chiese; eppure non osano entrare negli ovili di Cristo, cioè non hanno l’audacia di entrare nella Chiesa, che è la luce. E così essi non sono guariti, perché Cristo non vuole portarli nella sua “locanda”, dove ha guarito colui che, scendendo da Gerusalemme, venne derubato dai ladri; il Samaritano, cioè Cristo, dopo aver lavato a questi le sue ferite, untone il corpo con olio e vino e postolo a cavalcare sul suo asino, lo conduce alla locanda; e lo affida al custode della locanda, cioè ai santi Vescovi, perché lo guarisca (Lc. X, 30). Infatti, coloro che non cercano il medico non ricevono il rimedio, poiché, se lo cercassero, non lo insulterebbero apertamente. Essi ricercano l’assenza del pastore, cioè cercano di uccidere i pastori delle chiese o di bandirli: ed infatti, quando sono presenti i pastori, essi non possono divorare le pecore di Cristo. Quando il pastore viene allontanato, questi, con un’intenzione corporale e carnale, ma che sembra spirituale – però è dura e rigida – non tendono mai a ritrattare il loro errore, cercando di rubare il gregge del Signore. Per questo l’Apostolo dice: « … sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa » (Tt. III, 10). Il vero interprete delle Scritture di Cristo si fa beffe di loro, per cui lanciano inutilmente i loro fatui attacchi e non possono fare alcun danno, e se si presentano a qualcuno con l’astuto inganno della loro tesi, vengono messi a tacere. Perché è muto chi non annuncia la parola di Dio con la gloria alla quale essa ha diritto. Attento a non farti prendere la parola dall’eretico, se non l’hai scoperto prima tu, perché strisciando nasconde la sua perfidia. Ma quando si riconosce la frode della sua empietà, non si può temere il danno della sua falsa voce pia. Quindi si eviti il veleno perfido del suo discorso. Essi attaccano e stringono alla gola le pecore, ferendone le parti più vitali: pericolosi infatti sono i morsi degli eretici che, essendo più pericolosi e più rapaci di queste medesime bestie, non mettono mai fine alla loro avidità ed empietà. E non bisogna lasciarsi commuovere dal fatto che sembri avere forma umana: anche se esternamente sembra un uomo, la bestia all’interno freme. Non c’è da stupirsi che il Signore abbia detto: vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete. Se qualcuno è commosso dall’aspetto, se ne valutino i frutti. Si sente dire di qualcuno chiamato sacerdote, e se ne conoscono le rapine: questi è vestito come pecora, ma si comporta come un predatore. È una pecora esternamente, ma è un lupo all’interno, che non pone misura alle sue rapine. Come nella notte, le sue membra indurite dal ghiaccio paralizzante, con la bocca insanguinata, corre da un luogo all’altro in cerca di qualcuno da divorare. Non sembra un lupo che con un insaziabile desiderio carnale di morte umana cerchi di soddisfare la sua rabbia con la morte dei popoli fedeli? Egli ulula le Scritture, non le commenta, perché nega l’Autore della parola. Questi è colui che voleva stare con i discepoli, non con la semplicità, ma nell’inganno, e diceva al Signore: Maestro, ti seguirò ovunque tu andrai. E il Signore gli disse: « La volpe ha una tana, e gli uccelli del cielo hanno nidi dove possono riposare; ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il suo capo » (Mt VIII, 19). Infatti Gesù aveva visto che la sua anima era come una volpe ingannevole, e gli uccelli, cioè i demoni, che abitavano dentro di lui. Il Signore infatti non cerca l’apparenza dell’obbedienza, ma la purezza dell’intenzione. E continua dicendo: « chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. » (Mt. XVIII, 5). In questo testo il Signore insegna che la semplicità deve essere priva dell’orgoglio, la carità senza invidia, la pietà non rabbiosa. Si raccomanda quindi agli adulti ché recuperino un’anima da bambino. Infatti, poiché un bambino non si attribuisce nulla da se stesso, soddisfa il criterio della virtù; e poiché non sa usare la ragione, non conosce il peccato. Tuttavia, poiché a molti non la virtù, ma è la debolezza che sembra essere la semplicità senza ragione, si è avvertiti a ricevere la vera semplicità. E quindi dice: « Chi riceve questo bambino in nome mio riceve me, e chi riceve me riceve Colui che mi ha mandato ». Chi riceve un imitatore di Cristo, riceve Cristo. E chi riceve l’immagine di Dio riceve Dio. Il capo di Cristo è Dio, cioè la Divinità che non abita in un’anima contorta. Perciò, per quanto vi sia possibile, mostrate una fede sincera ed osservate con animo pio l’obbedienza ai Comandamenti, in modo che non vi si possa dire: « le volpi hanno le tane. » Infatti la volpe è un animale ingannevole e si avvicina sempre travestita per operare rapine mediante le sue truffe. Non può sopportare che ci sia qualcosa di definito, di tranquillo o di sicuro, perché cerca la preda tra le abitazioni degli uomini. Si paragonano gli eretici alle volpi … ecco perché quando indica il popolo, esclude gli eretici. Due discepoli vennero, ed uno disse: ti seguirò, l’altro disse: lasciami andare prima a seppellire mio padre. E il Signore gli disse: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu seguimi » (Mt. VIII, 21) … e vai ad annunciare il regno di Dio. E all’altro disse: « Le volpi hanno le tane »; e perciò il Figlio dell’uomo, abbondando l’iniquità, non ha dove posare la testa, affinché si possa capire che Dio non respinge il culto delle vesti, ma la frode. Egli, respinto l’ingannatore, sceglieva l’innocente, dicendogli: “Seguimi“. Invece altro dice a colui il cui padre sapeva essere il diavolo, e di cui vien detto: « dimentica la casa di tuo padre » (Psal. XLIV, 11). Questo (seguimi) non lo disse a colui nel quale vide vivere le volpi: infatti la volpe è nella maggior parte dei casi l’animale della frode, che prepara la tana delle anime, e vuole sempre nascondersi nella tana. Così sono gli eretici, che non sanno prepararsi una casa, ma cercano di ingannare gli altri con le loro circospezioni. Chi è semplice vive sempre in una casa. Ma l’eretico è in una tana, come l’astuta volpe che cerca di ingannare la gallina del Vangelo della quale è scritto: « … quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! » (Mt. XXIII: 37). Giustamente è detto che esse hanno delle tane, perché hanno perso la casa che avevano. Questo animale non sarà mai domato, non è di alcuna utilità, né è utile come cibo. Per questo l’Apostolo dice: « Evita l’eretico dopo che sia stato ammonito una volta » (Tt. III,10). Infatti non è di lui che Cristo dice: « Il mio cibo è fare la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Gv. IV, 34). Ed anche il Signore ci ordina di cacciarli dalle sue vigne, dicendoci: « cacciatene le volpi, le volpi piccoline che guastano le vigne, » (Cant. II, 15). Cioè, esse devastano le viti più piccole, non quelle più grandi. E così Sansone (Giud. XV, 4) « … catturò trecento volpi; prese delle fiaccole, legò coda e coda e mise una fiaccola fra le due code » le accese e le liberò nelle messi degli stranieri: con questo intendeva dire che gli eretici cercano di dare fuoco ai frutti degli altri. Non c’è da stupirsi che essi siano paragonati alla bestia, perché non smettono di divorare gli altri, come dice: « parlava come un dragone ed esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza. » Dice questo della prima bestia, sopra raccontata, cioè quella che aveva visto sorgere dal mare, alla quale il diavolo aveva dato il suo grande potere. Ha detto che questo potere è esercitato dalla bestia alla presenza della bestia, cioè dei Vescovi e dei cattivi sacerdoti che egli descrive: tutto il potere del popolo è, come detto sopra, nella coda delle cavallette e dei cavalli. Dice « alla presenza della bestia », perché i Vescovi o i presbiteri, distribuendo i sacramenti, fanno davanti al popolo ciò che è utile alla volontà del diavolo sotto l’abito del carisma della Chiesa. E fa sì che la terra e tutti coloro che vi abitano, adorino quella prima bestia, la cui ferita mortale è stata guarita. Anche in questo caso ha fatto una trasposizione dei nomi. Aveva chiamato « terra » quella bestia con le teste, e « bestia » anche la sua testa: ha detto in precedenza che la ferita della prima bestia era guarita: di questa in vero dice: la sua ferita era guarita, perché pure l’ottava testa di quella bestia, è questa bestia. Insegna a chiamare bestia tutte le parti della bestia, perché in tutte le azioni dei suoi c’è il diavolo, che è la bestia. Questa bestia, poi, che abbiamo descritto con due corna – e detta essere parte di quella bestia – fa sì che adorino quella bestia, cioè che coloro che sono stati ingannati eseguano i suoi ordini: per questo ha chiamato la bestia « terra », per trasferire al « capo come ucciso », cioè a coloro che sembrano seguire Cristo nella passione col loro ufficio e con la loro condotta, il nome della bestia, per non dover dire, come se apertamente malvagi, che la bestia faceva loro adorare la bestia, in quanto di Cristiani hanno solo il nome ma non la condotta. Ma se una cosa è la bestia e un’altra è la terra, in quanto il popolo è la bestia, cosa sarà la terra? Ha detto, non senza gran ragione: la terra e coloro che abitano in essa. Se non ci fosse stata una ragione, sarebbe bastato dire la terra o quelli che abitano la terra; ma così indica la violenza dell’inganno, nel senso che erano sedotti l’anima ed il corpo. Infatti chi cade con la forza, non essendo sedotto, viene reso prigioniero solo del corpo; ma chi è sedotto è invece posseduto nel corpo e nell’anima che abita nello stesso corpo; per questo ha detto: Egli fa sì che la terra e coloro che abitano in essa adorino la bestia la cui ferita mortale è stata guarita. Esaminiamo ancora con maggiore attenzione. Nostro Signore Gesù Cristo è ferito dalla spada, ed è sopravvissuto. E qui ha detto: la bestia che ha la ferita di spada, e visse. Dice che è adorato il dragone, e che anche la bestia è adorata, poiché solo il dragone era adorato tra i suoi. Non essendo però così nella Chiesa, che ha Cristo nel suo corpo come mediatore tra Dio ed essa stessa, pure il diavolo mette tra lui e i suoi (un mediatore), ma solo nel nome ad imitazione di Cristo. La bestia che – dice – ha due corna, che è il suo corpo con tutti i cattivi sacerdoti, non ha nessuno tra il diavolo e i suoi, se non l’unico Verbo, per cui si dice di adorare Cristo morto e risorto; e in questo Verbo costoro adorano in realtà il diavolo che ha inventato un tale simulacro per i suoi, così che, attraverso i cattivi sacerdoti, potesse escludere molte migliaia di uomini dalla Chiesa e gettarli nel tormento dell’inferno. Satana stesso si traveste da angelo di luce (2 Cor. XI,14) affinché i suoi sacerdoti possano ottenere le ricchezze del mondo e conseguire dal popolo attestati di lode, e possano così promettere al popolo una pace sicura. Il diavolo stesso, quindi, occupa il suo posto e quello del mediatore, perché non ha un mediatore proprio, bensì un simulacro di Cristo. Dice che questa falsa immagine è appunto la bestia che aveva la ferita della spada e che è sopravvissuta. Ed infatti è la bestia che sotto questo nome si pone tra se stesso ed i suoi: per questo quando dice che adorano la bestia che ha la ferita della spada ed è vissuta, indica in realtà il diavolo che si trasfigura in angelo di luce, in Colui cioè che ha veramente la ferita della spada e vive, cioè in Cristo. – Noi veneriamo l’Agnello che ha la ferita di spada e vive; essi adorano la bestia, che è travisata a sua somiglianza. Così, i tre: il diavolo, la bestia che sembra essere immolata, e il popolo, sono due per mezzo del simulacro; e se mai si dicesse che è adorata la bestia mediatrice, la cosa si dovrebbe riferire al diavolo, che occupa due posti: il suo e quello di questo “mediatore” nominativo. Si dice il nome « mediatore », che sono gli stessi sacerdoti che, sotto il pretesto di religione, fingono di servire Dio, ma sotto il nome di Dio adorano il diavolo. Con noi hanno in comune Cristo morto e risorto, e lo adorano solo di nome. Ed in Colui che dicono esser risorto, cioè in Cristo – di cui adorano il nome solo a parole, mentre lo negano con le loro azioni – adorano il diavolo, che ha la ferita della spada e vive, ma solo per imitazione ed usurpando il nome di Cristo, al posto del quale cerca di essere adorato mediante un titolo ingannevole, per mezzo del quale i suoi ministri possono trasformarsi in apostoli di Cristo, al solo scopo di sottometterci alla servitù e di adorare invece che Dio, il proprio ventre. In altre circostanze, essi adorerebbero il diavolo ancora sotto il nome degli idoli. Ma qualcuno dirà: qui dice che la bestia ha la ferita, non che simula di aver la ferita. Ecco che la Scrittura ben conosce la mente di coloro che han fatto così, come quando diceva dei Giudei: « … essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua » (Gv. XVIII, 28). La Scrittura non afferma che coloro che erano già molto contaminati potessero peccare se entravano nel Pretorio; né afferma che i Giudei temessero di contaminarsi, coscienti di un crimine così grande sapendo che era Cristo che essi avevano rinnegato; ma la Scrittura lo riporta come affermando ciò che fingevano. Così anche ora dice: la bestia che ha la ferita di spada e vive, ma secondo il loro pensiero: del suo stesso pensiero lo Spirito aveva già detto sopra, non che era stata immolata, « ma che sembrava essere stata immolata. » – E fa sì che la terra e i suoi abitanti adorino la prima bestia, la cui ferita mortale era stata guarita. E fa grandi segni; fino far scendere il fuoco dal cielo alla terra davanti agli uomini; cioè dalla Chiesa lo Spirito scende agli uomini; “alla terra” si riferisce agli uomini; e come i maghi fanno segni davanti agli occhi degli uomini, lo stesso li fanno anche questi alla presenza degli uomini; offrono anche segni veri, ma davanti agli uomini: perché alla presenza del popolo conferiscono lo Spirito battezzando ed ordinando sacerdoti o riconciliando e consacrando basiliche. E seducono coloro che abitano la terra. Certo, con questi veri segni ecclesiastici essa (la bestia) inganna costoro affinché non abitino nei luoghi celesti, ma sui terreni; infatti si identifica con la sua condotta nelle loro abitazioni e nel deserto, cioè in occulto e nel deserto. E seduce coloro che abitano sulla terra: seduce cioè i carnali, quelli che abbiamo dimostrato essere la bestia; li seduce per mezzo di questi segni sacerdotali. – Con questi le è stato concesso di operare attraverso l’immagine della bestia che sembra avere la ferita di una spada e rivive, cioè che sembra operare come Cristo, che è morto e risorto: per mezzo di questi carismi essa seduce la terra, affinché essi si facciano immagine della bestia. E gli è stato concesso di dare lo spirito all’immagine della bestia: fa intendere cioè che allo stesso popolo che ha fabbricato ed adorato questa falsa immagine, facendosi immagine della bestia, dà l’uno e l’altro spirito: l’uno celeste, attraverso il santo carisma; l’altro, lo spirito proprio del discepolo della cattedra di Mosè. Fa scendere il fuoco dal cielo. Il fuoco del cielo è lo Spirito Santo, che è sceso sugli Apostoli, come si legge negli Atti degli Apostoli. Ed avverte che essi danno entrambi gli spiriti: uno dal cielo e uno dalla terra; in entrambi gli spiriti battezzano e attraverso questo battesimo i Santi beneficiano dello Spirito Santo; mentre i proseliti che essi ingannano, beneficiano dello spirito della bestia, affinché siano figli dell’inferno più che essi stessi, e possano eccellere nel male. Egli presenta la manifestazione della stessa bestia, dicendo: e farà sì che vengano uccisi, quanti non adorano l’immagine della bestia. In questo testo, per immagine della bestia intendiamo la bestia. Perché a volte chiama immagine lo stesso popolo, che appare cioè cristiano nel nome, in quanto con i loro segni gli pseudoprofeti, cioè i sacerdoti, li ingannano nel farsi (simulacro della bestia); altre volte chiama l’immagine della bestia la stessa similitudine del nome di Cristo: infatti la bestia, cioè il diavolo, ha finto questa similitudine, nella quale egli stesso è adorato. E così i falsi profeti, che sono i sacerdoti malvagi, certamente ingannano i terreni, affinché si facciano immagine della bestia; e fanno che siano uccisi quelli che non adorano l’immagine della bestia; non l’immagine nella quale con inganno si convertono, ma l’immagine di colui che fa somigliare il popolo a sé. E come si diceva nel Vangelo: quelli che osservano i comandamenti del Padre celeste saranno simili al Padre loro che sta nei cieli, così anche chi fa la volontà del diavolo è simile a lui, e sotto un solo nome di Cristo, di Colui che è stato ferito dalla spada ed è redivivo, che è il Signore Gesù Cristo nei suoi Santi, forma un solo corpo; e così pure la bestia, che simula questo simulacro di Cristo, forma un solo corpo con gli ipocriti. Cristo è la testa per i suoi. E il diavolo, per i suoi. Questa bestia con due corna fa adorare l’immagine della prima bestia; cioè il popolo adora l’immagine del diavolo, e questo è: i suoi sacerdoti, il cui capo, come dicevamo, sembrava ferito a morte. E fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un segno sulla mano destra o sulla fronte. Questo appartiene al mistero, cioè si descrive il mistero dell’iniquità. Ha detto sopra: “farà”, riferendosi a quanti non adorano. E qui dice: fa che tutti, piccoli …; questo “fa” e “farà”, si riferisce al futuro, nel senso che quel che si fa ora spiritualmente, è ciò che sarà fatto apertamente al tempo dell’Anticristo,. Così, in questo modo, mescola entrambi i tempi, dicendo “fa” e “farà”. I santi che sono nella Chiesa ricevono Cristo nella mano e sulla fronte. Per mano si intende l’azione dei Santi; per fronte, la conoscenza dell’opera di Cristo che essi seguono. E manifestano nella Chiesa ciò in cui credono e ciò che fanno. Al contrario, gli ipocriti hanno in mano e sulla fronte, sotto il nome di Cristo, il marchio dell’immagine della bestia, nelle loro opere e nella loro conoscenza. Si mostra inoltre che l’unica bestia con due corna sono molte. Quando dice “fa”, mostra che è uno solo; e quando dice di ricevere un segno su di loro, implica che sono molti, ma è sempre uno solo. Che grande male, e non solo un piccolo danno, è quando un solo falso profeta inganna tutto un popolo, come dice il Signore: sorgeranno molti falsi profeti e sedurranno molti (Mt. XXIV, 11). Succede spiritualmente nella Chiesa quello che si realizzerà apertamente al tempo dell’Anticristo. – Quando abbiamo descritto la bestia con sette teste, abbiamo detto che l’ottava testa erano i falsi sacerdoti; ora è giusto descrivere l’Anticristo, attraverso quegli stessi re, che erano il segno dell’Anticristo, riconoscendoli dalle loro sigle. Le sette teste di questa bestia sono le sette colline sulle quali la donna è distesa: cioè la città di Roma; e come ci sono sette colli, così ci sono sette re. (Questo testo appartiene al capitolo XVII del libro dell’Apocalisse. Beato, come Vittorino, include questo testo ed il suo commento in questo libro che corrispondente al capitolo XIII). Cinque sono già caduti, uno c’è ancora, l’altro non è ancora arrivato: quando arriverà, durerà solo per poco tempo. E la bestia, che c’era e non c’è più, ne è l’ottava (Ap. XVII, 9). È importante considerare il momento in cui è stato pubblicato lo scritto dell’Apocalisse; quando Giovanni vide queste cose in visione, in quel momento era Cesare Domiziano. Prima di lui c’era stato il fratello Tito, ed il padre era Vespasiano; Vitello (Otto) e Galba: sono questi i caduti (manca il nome di Otto. Egli incorpora nel suo Commento anche la leggenda del ritorno di Nerone dall’Oriente). Uno era al potere all’epoca in cui fu scritta l’Apocalisse e questi era Domiziano. L’altro non è ancora arrivato, si riferisce a Nerva. Quando arriverà, sarà qui per un breve periodo di tempo. Questi infatti non è riuscito a portare a termine che un mandato di due anni. E la bestia che avete visto – dice – è uno dei sette, perché prima che questi re regnassero, regnò Nerone: e sarà l’ottavo: e questo ottavo prefigurava l’Anticristo che ha da venire. È l’ottavo e deve venire. Oppure ora, quando arriverà, sarà contato come ottavo! E poiché in lui è la consumazione, ha così detto: “E al venire fa la sua distruzione“. Infatti i dieci re, che abbiamo descritto sopra, che egli ritroverà nel regno di Roma, questi re avranno ricevuto il potere reale, quando l’Anticristo si sarà allontanato dall’oriente, o si sarà lanciato contro la città di Roma con i suoi eserciti. Daniele mostra (Dan. VII) queste dieci corna con il diadema, delle quali furono divelse le prime tre: cioè i primi tre re sarebbero stati uccisi dall’Anticristo, mentre gli altri sette gli avrebbero dato onore, reverenza e potere; e tutti questi odieranno la prostituta, cioè la città di Roma, mangeranno le sue carni e la consumeranno con il fuoco (Ap. XVII, 16). L’Anticristo mostrerà segni così grandi, prodigi e cose ammirevoli davanti agli occhi dei carnali, fino a far scendere fuoco dal cielo, però agli occhi degli uomini (Ap. XIII, 13): non sono segni veri, ma falsi: come fanno oggi i maghi per mezzo degli angeli decaduti; simulerà castità e purezza, anche se sarà molto impuro; e restaurerà il Tempio del Signore a Gerusalemme e farà sì che l’immagine dorata dell’Anticristo sia posta nel Tempio di Gerusalemme in modo che l’angelo decaduto possa entrarvi e da lì rispondere. Poi, dice, l’Anticristo farà sì che schiavi e liberi ricevano un segno sulla fronte o sulla mano destra, il numero del suo nome, cioè seicentosessantasei. Egli ingannerà il popolo, e a somiglianza di Cristo dirà: Io sono l’Alfa e l’Omega, cioè il primo e l’ultimo. Formiamo il numero suddetto, in modo che dal numero scopriamo il suo nome o il suo marchio. Il suo numero, ha detto, è (è probabile che nel testo di Tyconium si trovi X(ji) ξ ς (666 in notazione greca), che Beato ha trasformato in ACXY; e poi maxime in ACXYME.) ACXY, in numero è 666, che scriveremo secondo i greci ACXYME; infatti tra i lettori, si scrive in primo luogo all’Asia. Quindi ACXY somma 666. E queste lettere separatamente sono un numero, e se si raggruppano in un monogramma, formano il marchio, il nome, ed il numero, con questo segno:

Questo monogramma (lo scriveremo qui: PX) che sarà posto sulla fronte e sulla mano destra, contiene il numero del suo nome, numeri che formano, sommati insieme, TCCCXXXV (1.335). Togliendo XLV (45), si ha TCCXC (1.290), cioè i giorni che regnerà, e questo, come detto sopra, è contenuto nel monogramma PX, vale a dire in una singola lettera, poiché in latino “mono” significa uno, e “gramma”, lettera; infatti in un unico segno si riassume il nome e la sua cifra, da porre sulla fronte o sulla mano destra, PX. Quindi è l’ “anti”, cioè, il contrario al Cristo – infatti “anti” vuol dire  “contro” – poiché simulerà l’essersi manifestato come Cristo. Presentata questa somiglianza, al quale la diversità (l’eresia) si fa simile, la fa adorare mediante questo segno sulla fronte o sulla mano: in modo che nessuno possa comprare o vendere, se non colui che ha questo segno sulla mano o sulla fronte. Daniele aveva predetto in precedenza l’ira ed il furore di Dio, quando dice: « Pianterà il suo tempio fra il mare ed il monte splendido e santo »  (Dan. XI, 45), cioè Gerusalemme. Lì metterà la sua immagine d’oro, come aveva fatto Nabucodonosor, in modo che, come abbiamo detto, nessuno possa comprare o vendere, se non venera questa immagine dopo aver avuto il marchio. E farà uccidere coloro che non lo venerano, e con le compere si vedrà chi potrà essere ucciso. Perciò egli non farà commerciare nessuno, se non colui che ha il marchio della bestia, o il suo numero, o il numero del suo nome: cioè se non presenta il marchio, o il nome della bestia, o il numero del suo nome, che sono una cosa sola. Prima aveva detto: solo il segno che si mette sulla mano o sulla fronte; poi, per mezzo di sinonimi, mostra che si chiama segno, nome, o numero del suo nome. Ricordando questo, il Signore, mettendo in guardia le Chiese dai pericoli e dagli ultimi tempi, dice: « Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo – chi legge comprenda – » (Mt. XXIV, 15). Si dice “ira-furore” quando Dio si irrita perché al suo posto si adorano gli idoli, o quando vengano introdotti nelle Chiese i dogmi degli eretici. C’è desolazione perché gli uomini increduli e carnali, sedotti da falsi segni e portenti, si allontanano dalla vera salvezza. Una delle teste della bestia, che abbiamo detto sopra essere quella dei falsi profeti, che sembrava uccisa a morte, e la cui ferita mortale era stata guarita, si riferisce a Nerone, figura dell’Anticristo: e siccome è l’ottava bestia, è lo stesso Anticristo che ora subdolamente regna nella Chiesa attraverso i falsi sacerdoti e poi devasterà apertamente la Chiesa: infatti i Giudei crocifissero Cristo e al posto di Cristo aspettano il Nerone Anticristo. Dio lo manderà, redivivo (si include nel suo testo anche la leggenda di “Nero redivivus”), come un re degno per i degni, e come il Cristo che i Giudei meriteranno; e come Anticristo non avrà il nome di Nerone, ma porterà un altro nome, ed anche istituirà un altro tipo di vita: ed affinché i Giudei lo ricevano tal come Cristo, fingerà di essere casto e puro. Per questo Daniele dice: non conoscerà desiderio di donne, mentre un tempo era molto impuro; e non conoscerà nessun Dio dei suoi padri (Dan. XI, 37): non potrà sedurre il popolo della circoncisione, cioè i Giudei, se non come vindice della Legge. Per questo non chiamerà i Santi perché adorino gli idoli, ma solo perché pratichino la circoncisione. Coloro che ha potuto sedurre in questo modo, dopo essere stati sedotti, li renderà suoi seguaci in modo tale da essere chiamato da loro cristo, ed elargirà molti doni ai Santi sedotti. E dividerà la terra tra quelli del suo esercito, e coloro che non può sottomettere con il terrore, li sottometterà lusingandoli con doni. Sorge dall’inferno, che a proposito della prima bestia abbiam detto essere sorta dall’abisso con parola d’ira: « Le acque lo avevano nutrito, l’abisso lo aveva fatto innalzare » (Ez. XXXI, 4). E sebbene egli abbia un nome falso ed un abito diverso, lo Spirito dice che è la cifra di un uomo, e il suo numero è seicentosessantasei. Così, in numerose lettere greche si ritrovano i numeri DCLXVI (666 in numerazione latina); e questi, per le sette teste, cioè i sette regni che gli sono stati sottomessi, sarà chiamato con sette nomi, e avrà un ottavo nome, che abbiamo detto sopra essere ACXYME: con questo nome comporrà il marchio sulla mano e sulla fronte. Esponiamo alla vostra carità questi sette nomi: EVANTAS, che in latino significa “serpente”, perché fu il primo inganno per Eva. Il suo secondo nome è DAMNATUS, perché ha causato un grande danno al mondo. Il suo terzo nome è ANTEMO, cioè astemio, che teme cioè il vino, astenendosi da esso. Il suo quarto nome in lingua gotica è GENSERICUS. Il suo quinto nome in tutte le lingue è ANTICHRIST. Il sesto nome in greco è TEITAN, e il settimo nome in latino è DICLUX. Intendiamo che questo nome sia espresso come antifrasi: per essere stato privato della luce eterna, e strappato ad essa, si traveste tuttavia da angelo di luce, e presume di dirsi: luce (dic lux!).

DEGLI STESSI NOMI

    1 EVANTAS = 666                                                 5 ANTICRISTO = 666

    2 DAMNATUS = 666                                            6 TEITAN = 666

    3 ANTEMUS = 666                                                 7 DICLUX = 666

     4 GENSERICUS = 666                                           8 ACXYME = 666

Qui è richiesta la saggezza. Il saggio calcoli il numero della bestia, perché è il numero di un uomo (Ap. XIII, 18), cioè del Cristo, di cui la bestia assume il nome. Con ciò che risulta da ciascuna delle lettere si è formato questo numero e questo nome, così interpretato come: DCLXVI (666).

IL MAESTRO DI QUESTO REGISTRO ED IL SIGNIFICATO DELLE LETTERE

(Riproduciamo qui la traduzione del testo latino del Magister laterculi hujus et ratio litterarum, che Flórez ha consapevolmente omesso perché, secondo lui, era privo di significato, ma che è incluso nell’edizione di Sanders e Romero-Pose)

[5] Se da latino pretendete di conoscere la cifra, cominciate prima con le lettere latine e cercate il significato, quante e quali lettere latine entrano nel numero, che secondo il valore numerico latino si sviluppano in tutto il contesto, e in esse troverete i nomi dell’Anticristo. E la ragione di essere il numero sei (666?), cioè DICLUX, infatti è chiamato DICLUX unendo un nome per antifrasi, è perché porterà sette nomi per i sette regni; e i Santi spiegheranno il loro nome con il numero delle lettere, ciascuno secondo la propria lingua, il latino secondo il latino, il greco secondo le lettere greche, e così via, tutti secondo ciascuna. E quando tu, latino, conoscerai il numero con le lettere latine, in questo modo lo conoscerai da ciascuna di esse; e in tutti i nomi troverai 16 lettere dell’alfabeto:

A C D E G H I K I K L M N R S T U X

e questo perché sappiamo che Eva è stata ingannata in paradiso nel suo 16° anno di vita. Non troverete nei loro nomi le rimanenti 7 lettere, cioè:

BFOPQYZ,

perché sappiamo che esso è privo della grazia settiforme. Spieghiamo, come abbiamo promesso, queste lettere alla vostra carità, e faremo distribuire queste lettere dell’alfabeto in 7 parti. In queste parti conoscerete i 7 nomi della bestia, tranne ACXYME, con il quale egli farà il marchio e le scritture (indirizzate) all’Asia; e dove (vedete) in questo alfabeto l’Età, che troverete nelle lettere doppie, e qui dovete capire che c’è il nome ed il numero, di cui facciamo conoscere i nomi singolarmente.

COME  SARÀ RICONOSCIUTO L’ANTICRISTO QUANDO COMINCERÀ A REGNARE IN TUTTO IL MONDO

[6] E gli fu concesso di fare guerra ai santi, di vincerli e di ucciderli; vincerà quelli che troverà accordati con lui; e ucciderà quelli che non sono in accordo con lui. « Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato. Chi ha orecchi, ascolti: Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la fede dei santi. Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua – come fece Nabucodonosor –  alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. » (Ap. XIII, 7-18). Per questo il nostro Signore Gesù, avvertendo la sua Chiesa, dice:  « Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. » (Mt. XXIV, 20) Quando arriverà l’ora dell’Anticristo, egli perseguiterà così tanto la Chiesa che i Santi fuggiranno verso gli eremi ed il deserto. Allora accadrà che tutti i principi della terra, ed anche i piccoli, signori e schiavi, ricchi e poveri, riceveranno il marchio sulla mano destra o sulla fronte, perché nessuno potrà comprare o vendere, se non chi ha questo marchio = PX e il numero del suo nome DCLXVI. Per questo il Signore dice: pregate che la vostra fuga non avvenga in inverno o di sabato. Perché ai tempi dell’Anticristo la Chiesa dovrà fuggire nelle solitudini di Gerico e dell’Arabia, come se fosse ferma ai tempi di Elia. Quando verrà, l’Anticristo proclamerà l’antica Legge e la circoncisione: tutta l’umanità sarà obbligata ad osservare la legge giudaica; ma gli eletti ed i santi spirituali, che non crederanno nell’Anticristo, si allontaneranno da questa persecuzione e abiteranno nelle solitudini, come se ne discute ampiamente in questo libro; per questo il Salvatore ci avverte che dobbiamo pregare che non avvenga in inverno né di sabato questa fuga, durante la tirannia della nostra persecuzione. Infatti se sarà d’inverno che si avvierà la persecuzione dei nostri nemici, la fragilità umana del corpo non sarà in grado di resistere al freddo: ovunque si cercherà di avvicinarsi agli uomini, fuggendo dai rigori del freddo, là si sarà subito fermati, Questo sarà il decreto dell’Anticristo per tutta la terra: che chiunque non abbia questo marchio PX sulla fronte o sulla mano destra, sia fermato e presentato a lui. Ma i Santi che poi abiteranno le solitudini dei monti ed i luoghi nascosti dei boschi non si avvicineranno a nessun uomo per non essere fermati; e per questo ci si dice che dobbiamo pregare perché la nostra fuga non si compia in inverno, quando per l’asprezza del vento e del freddo, fermati dagli uomini di allora e catturati, saremo portati alla presenza dell’Anticristo. Il sabato sarà un giorno di osservanza della Legge e così, secondo la Legge, in questo giorno non è lecito camminare, né fare lavori servili. Se al tempo dell’Anticristo si trova qualcuno che cammini o che svolga un qualsiasi lavoro durante il sabato, sarà presentato all’Anticristo come trasgressore della legge e trasgressore dei comandamenti. E questo perché, come abbiamo detto, l’Anticristo ordinerà che la legge giudaica sia osservata da tutti gli uomini e rispettata a tal punto che si applicherà la pena di morte (per i trasgressori). Ecco perché nei Salmi, prevedendo il futuro, il profeta Davide pregava, dicendo: « Affinché distruggi nemico e difensore » (Psal. VIII, 3). L’Anticristo stesso, pur essendo il più impuro, predicherà la castità e la sobrietà; infatti non berrà vino, né a lui avrà accesso alcuna donna per l’amore; e così ingannerà il popolo proclamandosi nemico della Chiesa e difensore della legge giudaica. Ma se si vuol riferire al senso spirituale, pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato: l’inverno a cui ci si riferisce è la  fede quando dovesse diventare fredda, tanto da tornare al paganesimo. Secondo dice pure il Salvatore che « … per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà » (Mt. XXIV, 12). E nomina il sabato affinché, … man mano che la vostra fede si raffredderà, non cadiate nel giudaismo e, secondo il comandamento dell’Anticristo, non santifichiate il sabato. Questi precetti dell’Anticristo nessuno li può evitare, se non chi creda nella Santa Trinità, in un solo Dio, e sia all’interno dell’unica Chiesa Cattolica Apostolica, si contenti della povertà apostolica, che non ama nulla di questo mondo se non Cristo, e si rallegri molto delle tribolazioni di questo mondo affinché possa prosperare, ed evitare con tutta la forza della sua anima sia i principi di questo mondo che i gaudenti mondani, affinché possa meditare giorno e notte la legge del Signore e dilettarsi della vita contemplativa e della solitudine; gli altri invece che son trovati esser carnali ed amanti di questo mondo, si sottometteranno senza alcuna difficoltà al giogo del suo potere.

[7] SULL’ANTICRISTO E SU COME ELIMINERÀ L’IMPERATORE ROMANO E SI IMPADRONIRÀ DELL’IMPERO DA SE STESSO (*)

(*) Questo excursus sull’Anticristo in questa edizione, come in quella di Flórez, si trova alla fine del prologo del secondo libro.

INIZIA LA STORIA DEL DECIMO SEGNO (*)

(*) Si veda all’inizio di questo Libro VI, nei dieci capitoli.

(Ap. XIV, 1-5)

Et vidi: et ecce Agnus stabat supra montem Sion, et cum eo centum quadraginta quatuor millia, habentes nomen ejus, et nomen Patris ejus scriptum in frontibus suis.  Et audivi vocem de cælo, tamquam vocem aquarum multarum, et tamquam vocem tonitrui magni: et vocem, quam audivi, sicut citharœdorum citharizantium in citharis suis. Et cantabant quasi canticum novum ante sedem, et ante quatuor animalia, et seniores: et nemo poterat dicere canticum, nisi illa centum quadraginta quatuor millia, qui empti sunt de terra. Hi sunt, qui cum mulieribus non sunt coinquinati: virgines enim sunt. Hi sequuntur Agnum quocumque ierit. Hi empti sunt ex hominibus primitiæ Deo, et Agno: et in ore eorum non est inventum mendacium: sine macula enim sunt ante thronum Dei.

(E vidi: ed ecco l’Agnello che stava sul monte di Sion, e con lui cento quarantaquattro mila persone, le quali avevano scritto sulle loro fronti il suo nome e il nome del suo Padre. E udii una voce dal cielo, come rumore di molte acque, e come rumore di gran tuono: e la voce, che udii, era come di citaristi che suonino le loro cetre. E cantavano come un nuovo cantico dinanzi al trono e dinanzi ai quattro animali e ai seniori: e nessuno poteva dire quel cantico, se non quei cento quarantaquattro mila, i quali furono comperati di sopra la terra. Costoro sono quelli che non si sono macchiati con donne: poiché sono vergini. Costoro seguono l’Agnello dovunque vada. Costoro furono comperati di tra gli uomini primizie a Dio e all’Agnello, e non si è trovata menzogna nella loro bocca: poiché sono scevri di macchia dinanzi al trono di Dio.)

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA SOPRA DESCRITTA

[8] E io guardai, e vidi un agnello sul monte Sion, e con lui cento quaranta quattro mila persone, che avevano sulla fronte il nome dell’agnello e il nome del Padre suo. Fa comprendere che quella del marchio sulla fronte, sia un’imitazione quando dice che Dio e Cristo uomo sono scritti sul frontale della Chiesa. E udii una voce dal cielo come un fragore di grandi acque, che è quella dei cento quaranta quattro mila. Le acque qui sono i Santi. E il fragore di un grande tuono. La voce che udii era come quella di suonatori di arpa che si accompagnano nel canto con le loro arpe. Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro animali e ai vegliardi; E nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquaranta quattro mila. Non ha detto che nessuno poteva sentire, bensì che nessun poteva comprendere (La Vulgata impiega il verbo dicere; nel testo di Beato, c’è discere = imparare, che è mutuato dalla versione greca). Ed infatti, « … che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità » (2 Tm. III, 7), ma solo quei cento quaranta quattro mila, come si dice: che sono stati riscattati dalla terra: questi sono coloro che non si sono contaminati con donne; ma coloro che si uniscono legittimamente con le donne non si contaminano. Si riferisce solo ai maschi, cioè a coloro che sono forti contro il diavolo. Questi tengono delle arpe in mano, che sono cioè i cuori di chi loda. Infatti le arpe sono i cuori tesi sul legno, e per legno intendiamo la croce. Per cuori, intendiamo la carne inchiodata alla croce, cioè la penitenza, quasi per dire la morte, come dice l’Apostolo: « Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal. II, 19). Diciamo “maschio”, anche se nel maschio è rappresentata pure la donna che non sia stata illegalmente unita ad un uomo, ed anche perché tutti sono generati dal maschio. Perché sono vergini. Egli chiama tutti i penitenti “vergini”, cioè i casti ed i pudici: come scrive l’Apostolo a tutta la Chiesa: « avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta » (2 Cor. XI, 2). Questi seguono l’Agnello ovunque vada. Solo coloro che si considerano figli o vergini seguono Cristo ovunque Egli li conduca. Essi sono tutti quelli che Egli ha chiamato alla penitenza, perché questi sono stati redenti tra gli uomini fin dal principio da Dio e dall’Agnello. Fin già da Adamo, i giusti purificati sono stati redenti dalle fiamme del mondo, compresi quelli di prima della venuta di Cristo, e molti ancor prima del suo avvento sono stati liberati dalla misericordia del Signore, come leggiamo dei tre giovani liberati dalla fornace del fuoco ardente (Dan. III, 49); ed ora che il mondo è redento dal suo sangue, molti sono liberati sul suo esempio, e molti caduti nel peccato sono reintegrati dal frutto della penitenza, e di questi dice: Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia. Non dice che non hanno sulla bocca menzogna, ma che non fu trovata, come dice l’Apostolo: « … e tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati » (1 Cor. VI, 11). « la malvagità dell’empio non gli sarà di danno, se desiste dalla sua iniquità » (Ez. XXXIII, 12). Come lo trova il Signore quando lo chiama, così parimenti lo giudica. Come lo troverà nell’ultimo giorno, così lo condannerà o lo incoronerà. Nel modo più chiaro Dio promette questo non solo ai piccoli, ma pure a tutti coloro che credono rettamente e vivono rettamente nella carità e nella pazienza, che fanno degna penitenza, e che non si troverà in loro una lingua mendace, secondo Egli dice: « confiderà nel Nome dei Signore il resto di Gerusalemme Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. » (Sof. III, 13). Come è stato scritto dal Signore: « … egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, » (1 Pt. II, 22). Non ha peccato, perché è vissuto senza peccato. In Lui non è stato trovato alcun inganno, perché se nella Chiesa non c’è inganno, questo avviene perché Essa è rivestita di Cristo. E se c’è inganno nella lingua, questa non è la Chiesa, perché rimane nella menzogna: la Chiesa non mente, perché rimane nella carità e nella luce, e Dio rimane in Essa. Così dice l’Apostolo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore » (2 Cor. V, 21), e cioè ha preso su di sé i nostri peccati che non si trovavano in Lui. Perché senza questa distinzione è impossibile credere che Cristo abbia fatto peccato. Non ha commesso Egli peccato, non si è trovato ingannato: ciò che è peccato, questo è inganno. Questi è l’Agnello mite e senza inganno, che sta in piedi sul Monte Sion. Stare in piedi sulla montagna significa che è sulla Chiesa perché ci esorta ad elevarci e ci incita a fare penitenza. Alzarsi in piedi è proprio di chi combatte. E si dice giustamente che chi combatte con la bestia è in piedi nella battaglia. Nel tempo del pellegrinaggio in questo mondo presente, la Chiesa è chiamata Sion, perché nel suo pellegrinare da lontano contempla dalla sua torre di osservazione, la promessa dei beni celesti. Ed è per questo che Sion fu chiamata « … colei che contempla dalla torre di guardia », perché disprezzando sensibilmente le cose terrene, perseverando con lo spirito e l’anima nella contemplazione, tende sempre alle cose celesti. Qui è chiamata Sion, e in futuro si chiamerà la « Gerusalemme celeste ». Pur se in questo mondo la Chiesa è anche  chiamata Gerusalemme, questa Gerusalemme è schiava insieme ai suoi figli: ma al contrario, quella che viene dall’alto è libera e madre di tutti noi (Gal. IV, 26). Di questa si dice: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati » (Mt. XXIII, 37). Di essa è stato detto: « Esulta, o sterile che non hai partorito, … perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore. » (Is. LIV, 1). Gerusalemme in latino significa « visione di pace ». Ma la Chiesa qui non può avere pace perché è nella battaglia della persecuzione. In questa Gerusalemme vive con la bestia, e qui il falso profeta ha la pace perché non lavora per quella futura. Questa Gerusalemme sta ai piedi della donna che lapida i profeti ed uccide coloro che le sono mandati. In questa Gerusalemme ogni giorno l’Agnello è crocifisso nelle sue membra ed è immolato. Infatti chi soffre ogni giorno non può avere pace in questo mondo. Ma per la pace futura, la Gerusalemme, che qui è la Chiesa, e che è il Monte Sion, soffrirà con l’Agnello, affinché un giorno, a sofferenza finita, possa essere unita agli altri che hanno vinto. Infatti colà, annichilata, vinta ogni avversità, possiederà la pace – che è Cristo – alla sua presenza. – Qui termina e ricapitola dal tempo delle persecuzioni in Africa.

TERMINA IL LIBRO SESTO.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (13)