COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (10)

I due Testimoni profetizzano (Apoc. XI, 3)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (10)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

INIZIA LA STORIA DEI CENTOQUARANTAQUATTROMILA NEL LIBRO QUARTO

(Apoc. VII, 4-12)

Et audivi numerum signatorum, centum quadraginta quatuor millia signati, ex omni tribu filiorum Israel. Ex tribu Juda duodecim millia signati : ex tribu Ruben duodecim millia signati: ex tribu Gad duodecim millia signati : ex tribu Aser duodecim millia signati: ex tribu Nephthali duodecim millia signati : ex tribu Manasse duodecim millia signati: ex tribu Simeon duodecim millia signati: ex tribu Levi duodecim millia signati: ex tribu Issachar duodecim millia signati: ex tribu Zabulon duodecim millia signati: ex tribu Joseph duodecim millia signati: ex tribu Benjamin duodecim millia signati. Post hæc vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis: stantes ante thronum, et in conspectu Agni, amicti stolis albis, et palmæ in manibus eorum: et clamabant voce magna, dicentes: Salus Deo nostro, qui sedet super thronum, et Agno. Et omnes angeli stabant in circuitu throni, et seniorum, et quatuor animalium: et ceciderunt in conspectu throni in facies suas, et adoraverunt Deum, dicentes: Amen. Benedictio, et claritas, et sapientia, et gratiarum actio, honor, et virtus, et fortitudo Deo nostro in sæcula sæculorum. Amen.

(E udii il numero dei segnati, cento quaranta quattro mila segnati, di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele. Della tribù dì Giuda dodici mila segnati: della tribù di Ruben dodici mila segnati: della tribù di Gad dodici mila segnati: della tribù di Aser dodici mila segnati: della tribù di Neftaiì dodici mila segnati: della tribù di Manasse dodicimila segnati: della tribù di Simeone dodici mila segnati: della tribù di Levi dodici mila segnati: della tribù di Issacar dodici mila segnati: della tribù di Zàbulon dodici mila segnati: della tribù di Giuseppe dodici mila segnati: della tribù di Beniamino dodici mila segnati. Dopo questo vidi una turba grande che niuno poteva noverare, di tutte le genti, e tribù, e popoli, e lingue, che stavano dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello, vestiti di bianche stole con palme nelle loro mani: e gridavano ad alta voce, dicendo: La salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli stavano d’intorno al trono, e ai seniori, e ai quattro animali: e si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dio, dicendo: Amen. Benedizione, e gloria, e sapienza, e rendimento di grazie, e onore, e virtù, e fortezza al nostro Dio pei secoli dei secoli, così sia.)

TERMINA LA STORIA

COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA NEL LIBRO QUARTO.

[5] Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d’Israele. Centoquarantaquattromila è la Chiesa nel suo insieme, il che è facile da dimostrare con esempi, perché se il numero dodici è diviso in parti, e queste parti sono poi sommate, esse superano la loro pienezza, infatti il 12 ha cinque divisioni: diviso per dodici dà uno; diviso per sei dà due; diviso per quattro dà tre; diviso per tre dà quattro; diviso per due dà sei; e uno, due, tre, quattro e sei, sommati insieme, fanno sedici e superano di gran lunga il numero dodici. Ma così ne fanno un mistero. L’Uno tra i numeri non può essere diviso, perché da esso nascono tutti gli altri numeri ed è il simbolo di Dio, dal quale procede ogni inizio, e che non si può né dividere né scindere. Il due si riferisce ai due Testamenti. Il tre si riferisce alla Trinità, che è Dio, e che, pur essendo tre Persone, affermano un’unica essenza di natura. Il quattro, cos’altro significa se non i quattro Evangelisti? Il numero sei è un numero perfetto, perché è contenuto nelle sue parti, infatti ha tre divisioni: per sei, per tre e per due. Diviso per sei dà uno; per tre, due; per due, tre. E sommando il risultato di queste divisioni, cioè uno, due e tre, insieme danno sempre lo stesso numero e rendono perfetto il numero sei: per questo, nella perfezione di questo numero, Dio operò in sei giorni la creazione di tutte le creature. Queste tre divisioni del numero sei ci mostrano che la Trinità di Dio, nella trinità di: numero, misura e peso, ha operato la creazione di ogni creatura. Si può così arguire quindi, come la perfezione del numero sei, che spesso troviamo nelle Sacre Scritture, sia molto preziosa, soprattutto nella morte unica del Signore e nella risurrezione unica del Signore. Infatti la morte di nostro Signore Gesù Cristo non fu dell’anima, ma solo della carne. D’altra parte, la nostra morte non è solo della carne, ma pure dell’anima a causa del peccato: nella carne, per punizione del peccato. Ma Egli, che non aveva peccato, non morì nell’anima, ma solo nella carne; e questo a causa della somiglianza della carne peccaminosa che Egli aveva ereditato da Adamo (Rm. VIII, 3). Per questo la sua morte, unica nel suo genere, è stata benefica per la nostra duplice morte. La morte della carne di Cristo e la sua risurrezione indicano due. La morte della nostra carne e la morte della nostra anima sommano due. La resurrezione della nostra carne e la resurrezione della nostra anima sono due. Due le nostre morti e due le nostre resurrezioni. Due e due fanno quattro. L’unica morte del Signore e la Sua unica risurrezione, aggiunte alle nostre quattro, formano sei. L’unica morte del Signore e le nostre due risurrezioni sommano tre: e come il numero sei ha tre divisioni secondo quanto abbiamo detto sopra, così uno, due e tre, fanno sei. Le trentasei ore che il Signore ha trascorso nell’inferno hanno completato la morte unica del Signore e la nostra morte doppia. Dodici ore furono diurne e ventiquattro notturne. Queste ventiquattro ore sono legate alla nostra doppia morte, e le dodici ore diurne sono legate all’unica morte del Signore. Certamente poi, anche la Natività del Signore contiene il numero sei. Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni (Gv. II, 20) … dicono i Giudei nel Vangelo; ma questo si riferisce al corpo del Signore. È stato scritto quarantasei anni invece che quarantasei giorni, ed infatti si dice che in quarantasei giorni il bambino prenda forma nel grembo materno, e da quel momento cresce fino al giorno della nascita. Moltiplichiamo sei per quarantasei, e ne otterremo CCLXXVI – (duecentosettantasei), cioè nove mesi e sei giorni. Computando dall’VIII calende di aprile, quando cioè il Signore ha sofferto – e si crede anche che sia stato concepito nello stesso giorno – all’ottava delle calende di gennaio, ci avranno CCLXXVI (duecentosettanta sei) giorni, che è ancora il numero sei (2+7+6=15=6). – E che dire di quella donna nel Vangelo, che satana aveva tenuto ricurva per diciotto anni, e che il Signore ha guarito dopo tanti anni? Anche questi diciotto anni contengono il numero sei; tre volte sei fa diciotto. Quella donna rappresenta la razza umana, che il Signore ha liberato dalla prigionia del diavolo nella sesta età del mondo. Infatti i sei giorni in cui il Signore ha compiuto la sua opera compongono una settimana e rappresentano la cifra di seimila anni, che si esprime come una settimana. La prima età, da Adamo a Noè, è di MMCCXLII (duemiladuecentoquarantadue) anni. La seconda età, da Noè ad Abramo, è durata DCCCCXLII (novecentoquarantadue) anni. La terza età, da Abramo a Mosè, è di DV (cinquecentocinque) anni. La quarta, dalla partenza dei figli di Israele dall’Egitto fino al loro ingresso nella Terra Promessa è durata XL (quarant’anni). E dall’ingresso nella Terra Promessa fino a Saul, il primo re d’Israele, ci sono stati i Giudici per CCCLV (trecentocinquantacinque) anni. Saul ha regnato per XL (quaranta) anni. Da Davide fino all’inizio della costruzione del tempio sono passati XLIII (quarantatre) anni. La quinta età, dalla prima edificazione del tempio all’esilio in Babilonia, ci sono stati re per CCCCXLVI (quattrocentoquarantasei) anni. C’è stata la prigionia del popolo dalla distruzione del tempio per LXX (settanta) anni, tempio restaurato da Zerubbabel in quattro anni. Dalla restaurazione della tempio all’Incarnazione di Cristo sono passati DXL (cinquecentoquaranta) anni. Sommando tutto il tempo da Adamo a Cristo, abbiamo V.CCXXVII (5.227) anni. Dalla nascita di nostro Signore Gesù Cristo fino all’età attuale, cioè al DCCCXXII (872), sono DCCLXXXIV (784) anni. Computiamo, poi, dal primo uomo, Adamo, 16 anni, fino all’età attuale, l’anno DCCCLXXII (872), e abbiamo un totale di V.DCCCCLXXXVI (5.986). Mancano quindi XIV anni al sesto millennio (si tenga presente che l’autore conta secondo l’Era Hispanica, che si differenza dall’era cristiana di 38 anni). La sesta età terminerà quindi nell’anno MCCCLXXXVIII (anno 888). Ma ciò che resta del tempo del mondo è incerto per l’investigazione umana. Nostro Signore Gesù Cristo troncò ogni discussione su questo argomento, dicendo: « Non sta a voi conoscere il tempo e l’ora che il Padre ha stabilito con la sua autorità » (At. I, 7). Ed in un altro luogo dice pure: « ma di quella ora, nessuno sa nulla, nemmeno gli Angeli del cielo, ma solo il Padre » (Mt. XXIV, 36). E quando si dice il giorno o l’ora, a volte si riferisce al tempo, a volte è semplicemente indicazione letterale. Ma sappiatelo, il mondo dovrà finire nell’anno 6000. Se questo tempo sarà prolungato o abbreviato, Dio solo lo sa. Qualunque possa essere l’opinione su ciò che ne resti, sul settimo non possiamo fare congetture, perché non lo troviamo scritto in alcun luogo. Dio ha fatto la sua opera in sei giorni, completi da mattino a sera; circa il settimo sappiamo solo come si fosse riposato per mostrare nei sei giorni la cifra di 6.000 anni, dalla quale si deduce l’età di questo mondo, e così indicare nel settimo la risurrezione di tutti i santi. E così come il sesto giorno fece l’uomo, e dalla sua costola, cioè dal suo lato, fu fatta la donna, e da questi due progenitori si popolò e si riempì la terra, così dove intendersi nella sesta età del mondo: come il sesto giorno, il primo uomo – Adamo – nacque da nuova terra, così anche Cristo è nato – secondo Adamo – da una nuova Vergine. E perché abbiamo detto da una nuova Vergine? perché non se ne è trovata un’altra dal seme di Adamo, né un altro figlio dal suo seme come Cristo. E così come dalla costola di Adamo dormiente fu tratta la donna, e riempita la terra; così dal fianco del secondo Adamo, Cristo, dormiente nel sonno della passione, fianco fu tratta Chiesa, per riempire la terra celeste del Paradiso, di cui Davide scrisse: Penso che vedrò la bontà del Signore nella terra dei viventi (Psal. XXVI, 13). E come, alla fine del sesto giorno, leggiamo che il Signore non abbia fatto nulla, ma che abbia cessato dalle sue opere e si sia riposato; così crediamo che nel sesto millennio – finito che sarà o no – giungerà il giorno della risurrezione. Questo giorno e questa ora, dice il Signore medesimo, nessuno li conosce, nemmeno gli Angeli del cielo, ma solo il Padre (Mc. XIII, 32). Ed un altro Evangelista aggiunge che nemmeno il Figlio lo sa. Ma dobbiamo capire questo non secondo la lettera, bensì secondo il senso. Non ci succeda che, comprendendolo alla lettera, tal come gli eretici Agnoiti e Triteiti, che si sono distaccati dai Teodosiani – non lo permetta Iddio -, noi pensiamo come loro. Essi affermano che la divinità di Cristo non conosce le cose future, e quindi nemmeno ciò che è scritto sull’ultimo giorno e sull’ultima ora, dimenticando che la Persona di Cristo dice per mezzo di Isaia: « … il giorno del giudizio nel mio cuore » (Is. LXIII, 4). È chiaro pertanto che il Figlio ben lo conosceva, ma non lo ha voluto rivelare ai suoi discepoli, affinché essi, sempre sospettosi ed incerti sull’ora della morte, non mettessero la loro speranza nel mondo. A proposito del giorno, abbiamo letto che, così come nostro Signore è risorto dai morti di domenica, così anche noi speriamo di risorgere nell’ultimo secolo di domenica. Ma per calcolare ancora questo giorno, dato che ci sono molti giorni che vengono di domenica, occorrerebbe sapere in quale stagione, in quale anno, in quale ora, in quale giorno, in quale epoca avverrà la risurrezione! Non sappiamo se questi 14 anni saranno accorciati o meno, solo Dio lo sa. Tuttavia, abbiamo anche constatato che il Signore, abbia più volte mutato sentenza. Infatti abbiamo letto nella Genesi che erano stati stabiliti 120 anni di penitenza prima che arrivasse l’alluvione. Poiché gli uomini non vollero far penitenza per il tempo di 100 anni, il Signore non ha aspettato che finissero gli altri 20 anni, ma mise in atto anticipatamente quello che aveva minacciato di fare più avanti. – Lo stesso successe quando, per mezzo di Isaia, aveva detto che il re Ezechia era prossimo a morire, aggiungendogli poi ancora 15 anni (Is. XXXVIII, 5). E così pure nella minaccia contro i Nineviti: « entro quaranta giorni Ninive sarà distrutta » (Giona III, 4). Tuttavia, in seguito alle preghiere di Ezechia e dei Niniviti la sentenza del Signore fu mutata, non secondo un nuovo diverso giudizio, come se Dio possa avere mutati giudizi, Egli che non cambia mai nei secoli, come infatti è scritto: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite » (Psal. LXI, 12); Egli infatti decreta una volta sola, in faccia al mondo, ciò che realizzerà nei secoli. Può cambiare però sentenza in seguito alla conversione di coloro che hanno meritato il perdono. Dio per vero, non è irato con gli uomini, ma con i suoi vizi: e quando non li trova più nell’uomo, non lo punisce più. Così Dio manifestò a Geremia il male che stava per realizzare contro il popolo; ma se questo avesse operato bene, Egli avrebbe trasformato le minacce in perdono. Ed al contrario, Egli promette il bene al suo popolo; ma se questo farà il male, dice pure che cambierà la sua decisione. Per questo a Geremia stesso viene detto, quando prega per il popolo dei Giudei, a causa della durezza del suo cuore: « Tu non pregare per questo popolo, non innalzare per esso suppliche e preghiere né insistere presso di me, perché non ti ascolterò » (Ger. VII, 16). E a Samuele: « Hai intenzione di piangere per Saul, dopo che l’ho respinto? » (1 Sam. XVI: 1). Perciò con cenere e tela di sacco chiede che si adempia ciò che Dio aveva promesso. Non perché fosse all’oscuro delle cose future, ma perché la sicurezza non portasse alla negligenza, e la negligenza al peccato. Quindi, come abbiamo detto sopra, ogni Cattolico deve capire, sperare e temere, e considerare questi 14 anni come fossero un’ora, e di giorno e di notte, con cenere e cilicio, piangere la rovina del mondo, e non indagare sul tempo supposto; e non investigare sul giorno estremo del secolo, o sul tempo che nessuno conosce se non Dio solo. Pensi, quindi, ognuno alla propria fine, come dice la Scrittura: « In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato. » (Sir. VII, 40). Infatti è quando uno migra dal mondo, che giunge per lui la fine del mondo. Ma poiché dal numero sei siamo arrivati fino alla fine del mondo, è giusto che torniamo col numero sei, in modo che mediante questo numero, con la misericordia di Dio, possiamo spiegare non solo il mondo, ma tutta la Chiesa. Gli studiosi e gli uomini cattolici o religiosi non devono disprezzare la scienza dei numeri: perché in molti testi delle Sacre Scritture viene mostrato quale grande mistero essi contengano. Non per niente è stato detto a lode di Dio: perché « Tu hai fatto tutte le cose con misura, numero e peso » (Sap. XI, 20). Il numero sei, che è perfetto nelle sue parti, in un certo senso mostra la perfezione di questo mondo con il significato del suo numero. Allo stesso modo, i 40 giorni nei quali Mosè, Elia ed il Signore stesso hanno digiunato, non si comprendono senza la conoscenza dei numeri. Così come ci sono altri numeri nelle Sacre Scritture il cui significato può essere interpretato solo da chi conosce la scienza di quest’arte. Ci è stato dato infatti in gran parte di vivere sotto la disciplina dei numeri, come quando ad esempio contiamo le ore attraverso di essi, quando contiamo il corso dei mesi, quando sappiamo quanto ci resti per iniziare un nuovo anno, quando valutiamo le migliaia di anni dall’inizio del mondo fino alla sua fine. Infatti il Signore, nel quarto giorno della creazione, dice: « Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra »  (Gen. I, 14). Una volta completata la creazione di queste stelle, appare chiaro come la luce preceda questi astri di tre giorni. Per questo sembra che gli egiziani e gli altri popoli che seguono quest’ordine, aggiungano ogni quattro anni, nell’anno che chiamano anche anno bisestile, un’intera giornata. Ebbene, se vogliamo calcolare o considerare quali siano questi tre giorni, sappiamo che sono la centoventesima parte di un anno. E i 120 giorni, considerati a loro volta, sappiamo che costituiscono un terzo dell’anno. Poi sommato un terzo di giorno all’anno, dopo quattro anni si ha un giorno intero. Ed in una parziale ripartizione, si considerano mesi e anni superflui, che i Giudei chiamano embolismo, cioè sopraggiunti, e contano da una Pasqua all’altra, 384 giorni: ecco perché chi non conosce la scienza del calcolo numerico, spesso calcola male le Pasque. Gli egiziani chiamano questo fenomeno l’esaltazione delle stelle e della loro stabilità; lo chiamano anche bisestile. Esso si celebra nel ricordo della luce e dei giorni e delle notti che hanno preceduto le stelle, poiché hanno preceduto di tre giorni il tempo in cui è comparso il sole.  – È certo, secondo la tradizione delle Sacre Scritture, che dal numero si deduce l’intero ordine della Chiesa. Infatti mediante il numero non ci confondiamo e siamo istruiti. Si tolga il calcolo al mondo, e tutto è avvolto da una cieca ignoranza. E l’uomo non può essere distinto dagli altri animati che non conoscono la scienza dei numeri. E come abbiamo spiegato prima con il numero sei la figura della donna piegata, che rappresentava il genere umano nella sua interezza, resta a noi ora, riflettendo sulla settimana di questo mondo, distinguendo i suoi giorni e le sue notti, di venire a Cristo. E così come abbiamo detto che Dio completò le sue opere in sei giorni e si riposò nel settimo, così si dice che questo mondo è composto da sei età, e che nella settima vi sarà il riposi dei santi col Signore. E di queste, la prima età va da Adamo a Noè, ha avuto il suo mattino nella medesima condizione dell’uomo in Paradiso; ha avuto il suo vespro nel diluvio; è quasi come se il primo giorno, nella creazione della creatura razionale, Angelo e uomo, chiamati figli di Dio, fosse stato luce. Dopo l’espulsione dal Paradiso, l’uomo ebbe due figli, il semplice e l’empio: l’empio uccise il pio, e al suo posto nacque Seth, che è chiamato figlio di Dio, e così vennero alla luce due popoli, cioè quello dell’Agnello e quello della bestia. E poiché contro la volontà del Creatore dei due popoli, dell’Agnello e della bestia, si mescolarono i buoni, i figli ed i coniugi, sopraggiunse il diluvio. La seconda età va da Noè ad Abramo: esso ha avuto la sua mattina nell’arca, che è considerata la prima chiesa spirituale, e che nei suoi tre piani ha salvato tre gruppi, cioè: gli uomini, le bestie e gli uccelli; in questo secondo giorno si narra la creazione del firmamento; e i tre figli di Noè, sono simili a tre animali: l’agnello, il bue e la capra. Questi tre uomini si sono divisi tutta la terra. Questa era ha avuto poi il suo vespro nella confusione delle lingue e nella distruzione della torre del gigante Nimrod (Babele). La terza età va poi da Abramo a Davide: essa ebbe la sua mattina nella separazione di Abramo, a somiglianza del terzo giorno in cui le acque furono separate dalle acque, cioè i Patriarchi dai gentili; in essa Mosè ebbe anche la legge da Dio. Disse Dio ad Abramo: « Io sono Dio, che ti ho fatto uscire dal paese dei Caldei per darti in eredità questa terra » (Gen XV, 7). E Abramo gli disse: « Come faccio a sapere che la benedirete? » Dio gli disse: « Portami una mucca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un giovane piccione ». Questi tre animali sono i figli di Noè. L’ariete, Shem, da cui nacque l’Agnello. La mucca, Cam, da cui nacque il vitello. La capra, Japheth, da cui nacque il gran capro. Abramo divise questi animali a metà: con il numero sei, fece sei parti dell’intero mondo, tre parti a destra e tre parti a sinistra, cioè la Chiesa e la Sinagoga. Non divise gli uccelli, e questo è carne di santità unita allo Spirito di Dio, che indivisi ed uniti volano verso il cielo. Quegli animali divisi a metà, erano il simbolo del popolo gentile, diviso tra coloro che credono in Cristo, e tra gli increduli. Questa giornata ha avuto il suo vespro nell’empissimo Re Saul. – La quarta età va da Davide alla deportazione del popolo giudeo a Babilonia. Essa ebbe il suo mattino in Davide stesso, e qui iniziò lo splendore del regno e la profezia, così come nel quarto giorno furono create le stelle. Essa ha avuto poi il suo vespro nel peccato dei re e dei sacerdoti, per i quali il popolo meritò di essere deportato in Babilonia. E come il Giudeo aveva commesso quattro peccati, cioè la rapina, l’adulterio, l’omicidio e l’idolatria, peccati per i quali Geremia pianse nelle sue quattro lamentazioni alfabetiche, si allontanò dal sentiero della profezia con la quale poter giungere alla via che si chiama Cristo; egli fu gettato nel deserto, cadde nelle mani di una leonessa che lo afferrò. Un orso si alzò, prese la preda dalla leonessa. Si alzò un leopardo, che portò via la preda all’orso. Ed una terribile bestia con i denti di ferro, sette teste e dieci corna, si levò e portò via la preda al leopardo, così possedendola (Dan. VII). La quinta età va dalla deportazione di Babilonia alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo. Essa ha avuto la sua mattina in Geremia o Daniele, come nel quinto giorno vi fu la prima benedizione dei pesci dell’acqua, e degli uccelli dell’aria. Ha avuto il suo vespro nel peccato del popolo giudeo, quando è stato accecato, in modo tale da non poter nemmeno riconoscere nostro Signore Gesù Cristo. L’Agnello senza macchia venne, prese la terribile bestia, che aveva sette teste e dieci corna, la vinse e le portò via la sua preda, cioè l’uomo Giuda di cui abbiamo parlato prima. Quando l’uomo riconobbe che era stato liberato da pericoli così grandi dall’Agnello, fu spinto dall’invidia ad uccidere l’Agnello. Questa bestia, in verità, ha diviso l’uomo, perché ha posseduto anche molti cuori di eletti. Ma l’Agnello moriente strappò questa preda a Giuda. Questo è l’Agnello che i Giudei credono di mangiare al tramonto, con le vesti in vita, con il bastone in mano (Es. XII, 6,11). E Davide dice: « Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia. » (Psal. XXIX, 6). Infatti con questi bastoni, con i quali mangiano la carne dell’agnello senza macchia, Giuda Iscariota, il portabandiera dell’inganno dell’ultimo tempo, venne con numerosa truppa a prendere il Salvatore. L’Agnello parlò loro con voce addolorata in questo modo: « Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi » (Mt. XXVI, 55): con le spade: i Principi dei Sacerdoti e gli Anziani del popolo, dai quali l’Agnello viene immolato; la plebe minuta con i bastoni, di cui si dota la plebaglia blasfema. E il fatto che quest’Agnello, immagine di Dio, venga tradito al calar della notte, simboleggia la venuta della notte per i Giudei poiché, a causa della prostituzione e la legge adulterata, avendo il popolo d’Israele accettato il peccato, e bestemmiando ciecamente con testardaggine, favorendo ciò che avevano stabilito esser separato dalla luce, essi sono stati invasi dalle tenebre, cosicché il cieco assenso delle tenebre ha accompagnato la colpa del delitto. La passione di Cristo fu offerta col grande sacrificio tra la luce e le tenebre; al tramonto apparve un breve lasso di tempo di luce – dalla quale Cristo aveva preso il nome – di modo che nelle tenebre della cena cruenta nella quale era stato immolato l’Agnello, risplendesse con la sua luce Cristo, nuovamente risalito il giorno dopo dall’inferno, condannando così l’orrore della triplice morte. Per questi meriti, guadagnati dalla passione del Signore, tutti i Cristiani all’interno della Chiesa possono filare e tessere con la lana di questo medesimo Agnello senza macchia e perfetto. E quasi come sotto una sorta di trinità, cioè del filato, dell’ordito e del tessuto di un’unica sostanza di lana, essi affermano che nella Trinità c’è un solo Dio. Ma, comunque, questa lana, perché ancor meglio possa risaltare, è imbrattata dai diversi colori delle eresie mediante sfumature di tinture diverse. Alcuni lo rendono piacevole con il colore vermiglio, altri con il verde, altri con lo zafferano, altri con lo scarlatto, altri con varianti di colore, … rosso, … nero. Senza dubbio i perfetti, però, per potersi rivestire di bianco, cercano di tessere la lana bianca dell’Agnello. L’indossare un tessuto di lana bianca dell’Agnello alterato da tinte di colori diversi, è proprio degli eretici che si macchiano alterando con vari colori il vestito di lana bianca, e dall’unico tessuto di lana di Cristo, mediante il quale dovrebbero veramente brillare, si trasformano in setta di ignoranza; così, spogliandosi delle vesti perfettamente candide della lana unica dell’Agnello, danno vita a molte sette e ad eresie, che sono officine di dannazione. E quando, coll’occultarsi per mezzo dei colori dei fiori, si è profanata con l’eresia, e la colorazione scura delle erbe ha poi imbrunito la matrice di lana con la frangia, procedendo nella sua discordia, con il vestito così conciato non oserà più nel suo cuore confessare Cristo come Signore, falsandolo con favole ingannevoli. Di costoro il Signore dice nel Vangelo: « Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? » (Mt. VII, 22). Ma Egli, rispondendo, dice loro: Lasciatemi, voi operatori di iniquità; non vi ho mai conosciuto nella casa di mio Padre, cioè nella Chiesa. Ed a nessuno sarà utile il dire senza fare. Questo è l’Agnello nato da quell’ariete, Shem, figlio di Noè. Con questo Agnello vivono insieme il leone, l’orso, il leopardo, il bue, la pecora e la capra. Solo la terribile bestia con dieci corna e sette teste è in guerra con Lui. Questo Agnello è colui che sul monte Sion, cioè nella contemplazione della Chiesa, raccoglie le erbe delle virtù. È per merito suo che la bestia viene sconfitta ogni giorno e tenuta prigioniera. – Ed è ora in corso la sesta età, che si estende dalla venuta del Signore fino alla fine del mondo giungendo fino al giudizio. Essa ha la sua mattina in Cristo, la vera luce, che sempre sorge nel cuore dei credenti, e che è chiamata giorno eterno. Essa ha pure la sua sera, la Sinagoga, o l’ignoranza degli stolti, degli scismatici, degli ipocriti, degli eretici. E alla sua fine ecco la notte perpetua: lo stesso Anticristo. Questo è il giorno primo – Cristo – nella creazione, e giorno ultimo nella sua perfezione. Con quest’epoca finisce e ricapitola dall’inizio. – Infatti così dice: « In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso » (Gen I, 1). Questo è il principio, in cui Dio ha creato il cielo e la terra. Per  “cielo” intendiamo lo spirito, per “terra” la sua carne. Al principio non fece altro che questo: il Cristo uomo, come testimonia Salomone: « Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività » (Prov. VIII, 22). Dice che è stato creato all’inizio, cioè predestinato. Similmente dice: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. E a sua immagine e somiglianza è stato creato Adamo. Tuttavia, la somiglianza era riservata a Cristo. E poiché la terra era caotica e vuota, cioè invisibile e scomposta, non si poteva né vedere né toccare; ed ecco è già visibile; ecco, si può già toccare. Come quando disse: « …toccatemi e guardate; uno spirito non ha carne e ossa come vedete che io ho » (Lc. XXIV, 39). Sentite, dunque, che la terra è ordinata, ed al principio di essa, Dio ha creato il cielo e la terra, cioè lo spirito e la carne: e in questo cielo e in questa terra è contenuto tutto, il visibile e l’invisibile. Infatti ogni creatura, prima di essere creata nel suo tempo, nel Verbo stesso di Dio, cioè nel Figlio che è il principio, doveva prima essere conosciuta dagli Angeli, e così doveva essere fatta per il suo tempo. Ecco perché la conoscenza della creatura in se stessa era la sera, mentre in Dio era al mattino. Infatti la creatura è conosciuta da Dio meglio di quanto la creatura conosca se stessa. Essa cioè, si conosce più dall’arte con cui è stata modellata, che per come sia stata fatta in se stessa: per questo l’Evangelista Giovanni dice: « senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita » Tutto ciò che è stato fatto non ha vita di per sé, ma ha vita nel Verbo stesso di Dio. Di per sé non ha vita né il cielo, né la terra o la pietra, che invece hanno vita in Dio. Infatti in Dio ogni creatura vive senza inizio né mutamento, e quindi è meglio conosciuta dai santi Angeli nel Verbo di Dio, nel quale ha vita, più che in se stessa. E perché nessuno si turbi, o dica: “Il Figlio ha fatto tutte le cose, e il Padre e lo Spirito Santo no?”, – questo è lontano dalla fede cattolica – tutto ciò che è stato fatto, in cielo o in terra, è stato fatto dalla Santissima Trinità, cioè dal Padre e dal Figlio e dallo Spirito Santo, trino nelle Persone, ma un solo Dio in quanto a natura. L’opera della Trinità è comune, ma una è la potenza ed è una sola la maestà. Si comprende così quel che si dice: All’inizio Dio ha creato il cielo e la terra. Ma la terra era caotica e vuota, e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque, cioè su ogni creatura. Per Dio, intende il Padre: per Principio, il Figlio; e nello Spirito santo di Dio, lo Spirito Santo. Si guardi l’opera comune della Trinità. Quando Dio disse: “Fiat lux“, si riferiva gli Angeli. Dio infatti non era nelle tenebre; ma voleva essere conosciuto prima di tutto dalla creatura angelica, perché era già predeterminato nell’incarnarsi, e così disse: ”Fiat lux”. Questo è il giorno dell’inizio della creatura, che non si chiama primo, ma si chiama “giorno uno”, perché il primo di tutti i giorni è Cristo. Si chiama, il primo, il giorno degli Angeli, ma è in relazione alla creazione del mondo: infatti l’Angelo è stato il primo di tutte le creature a conoscere il suo Creatore. Pertanto questo è il primo giorno nella cognizione di se stesso, il secondo nella conoscenza del firmamento. – Nella conoscenza della divisione delle acque, il terzo. Nella conoscenza del sole, della luna e delle stelle, il quarto. Nella conoscenza degli uccelli e dei rettili, il quinto. Nella conoscenza degli animali e delle bestie e dell’uomo stesso, il sesto. Sì, l’uomo è stato creato nel sesto giorno. Cristo era già stato predeterminato nel suo corpo e nella sua anima, e predestinato e conosciuto dalla creatura angelica, quando fu fatto questo primo Adamo. Quando il Padre disse personalmente al Figlio: « Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gen I, 26), dimostrò l’unità della natura. Infatti disse “a nostra” in riferimento alle Persone, e “fecit Deus” in relazione alla natura. Dio ha voluto essere conosciuto così com’è “a sua immagine”, quando ha progettato l’uomo con un carattere sacro. Il volto di Dio si manifesta nell’uomo in quanto regnante sulle bestie, sugli uccelli e sul bestiame, non uomo come tale, ma la sua immagine. Si riconosce la distanza tra l’uomo ed le bestie, per cui l’uomo è preminente e gli viene comandato di dominare. Pensiamo così al secondo Adamo, Cristo, chiamato “uomo perfetto”; mentre l’altro uomo, precedente rispetto a Lui, è chiamato bestia. Ma siccome gli Angeli e gli uomini sono chiamati figli di Dio, e gli Angeli lo hanno conosciuto per primi tra tutte le creature nella sua divinità, allo stesso modo sono chiamati Angeli anche gli uomini che lo hanno conosciuto pienamente e lo conoscono nella sua umanità: per questo Egli com’è il giorno primo è così anche nell’ultimo. Prima era conosciuto nella sua divinità dalla creatura spirituale; ed ora, non dalla creatura carnale, ma da quella spirituale, cioè dall’uomo interiore, è conosciuto nella sua umanità. Lì si diceva: “Sia fatta luce affinché gli Angeli conoscano Cristo“. Qui è stato detto: « Io sono la luce del mondo » (Gv. VIII, 12), affinché gli uomini-angeli conoscano Cristo. – Là si diceva il secondo giorno: che ci sia un firmamento in mezzo alle acque, e che divida le acque l’una dall’altra. Qui è stato detto: su questa pietra, che tu hai riconosciuto, Pietro, io edificherò la mia Chiesa (Mt. XVI, 18), e separerò la Sinagoga da essa. – Là si diceva il terzo giorno: che le acque siano raccolte in un unico luogo e che la terra appaia asciutta. Qui è stato detto, quando è venuto per essere battezzato: « questo è l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo » (Gv. I, 29). Le acque si riunirono, alcune sopra il cielo, altre nell’abisso, altre nei mari: divennero così tre gruppi, uno celeste e due terreni, cioè i giusti ed i peccatori. E apparve la terra, di cui si è detto: « la nostra terra darà il suo frutto » (Sal. LXXXIV, 13). Qui la terra fa germogliare ogni giorno frutti abbondanti. – Là è stato detto al quarto giorno: che ci siano luci. Qui è stato detto: « Io sono la luce del mondo, Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché mi vede come la luce di questo mondo » (Gv. XI, 9). – Si diceva là al quinto giorno: lasciate germinare i pesci e gli uccelli. Qui è stato detto: chi non è nato dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv. III, 5). E come il Padre mi ha mandato alla passione, così Io mando voi. Là si diceva: crescete, moltiplicatevi e riempite la terra. Qui è stato detto: guai a chi è incinta ed allatta: beate le sterili che non generano! (Mt. XXIV: 19). Là si comandava la crescita e la generazione; qui si consiglia la continenza. Là, la circoncisione della carne: qui, il Battesimo per la purificazione del cuore e del corpo. Là si pensava che la benedizione fosse l’abbondanza di figli; qui, la benedizione e la grazia sono concesse doppiamente attraverso la verginità. Noi, però, così come non vietiamo il matrimonio, così non lo predichiamo. Sta scritto: chi ha moglie, viva come se non ne avesse alcuna (1 Cor. VII, 29). I matrimoni in sé sono buoni; ma in relazione alla preoccupazione delle cose ad essi proprie, sono cattivi. Chi non ha una moglie si preoccupa di come piacere a Dio; e chi ha una moglie si preoccupa delle cose del mondo, e di come piacere alla moglie, ed è diviso. Ma l’Apostolo dice: Se qualcuno non può osservare la continenza, si sposi! È meglio sposarsi due o tre volte con la benedizione, che bruciare macchiando il corpo con la fornicazione. Ma questo diciamo di uno che non si è impegnato a servire Dio mediante la pratica della religione. Se poi questi ha promesso con leggerezza e si è comportato diversamente, è condannato, secondo quanto dice l’Apostolo, … per aver fallito nel suo precedente impegno (1 Tim. V, 12). C’è, quindi, grande differenza tra la verginità ed il matrimonio come ce n’è tra il primo ed un secondo matrimonio. Perché è scritto: i buoi hanno depauperato i prati, i maiali ne hanno saccheggiato alcuni ed il resto è rimasto illeso. I maggiorenti hanno capito si trattasse del matrimonio: il prato è depauperato dai buoi perché, pur non contenendo la bellezza dei fiori, esso non perde il suo verde. Nei maiali che ne saccheggiano alcuni, sono rappresentati quei fornicatori che guazzano con la terra del loro corpo nel fango della crudeltà e del vizio. La terza parte del prato, che si dice sia illeso, è la verginità. – La distanza che c’è tra il Prefetto ed il mulattiere, vile schiavo, è la stessa che corre tra la verginità ed il matrimonio: questa verginità non è comandata nella predicazione, ma è consigliata, e ne sono predicati il merito e la gloria. Questi offici servono, tuttavia, tutti insieme come in un unico palazzo. Ma le vergini dell’anima e del corpo hanno una dignità simile a quella dei prefetti; le vergini solo dell’anima hanno invece una dignità simile a quella dei mulattieri. Agli ordini dell’Imperatore, le due dignità subordinate, cioè quella dei Prefetti e quella dei mulattieri, servono un solo Re, usano un solo veicolo come carro, e sono trasportati da un solo e medesimo giogo di muli. Entrambi quindi svolgono insieme lo stesso servizio. Ma una cosa è la dignità del prefetto ed un’altra quella del vile lavoro del mulattiere. Perseverate, sante vergini, perché avrete tanta gloria in cielo davanti all’eterno Re, quanto i Prefetti ne hanno in terra davanti all’Imperatore. – Come si scende dalla verginità al matrimonio, così si scende dalla dignità della prefettura al vile servizio del mulattiere. E anche se entrambi abitano nello stesso palazzo e sono nutriti dal medesimo Imperatore e viene loro assegnato un posto nello stesso carro, eppure tale ignominia, tale disonore opprimerà colui che, da Prefetto, si vedrà trasformato in un mulattiere, il quale, per non essere più un mulattiere, sceglierà di togliersi la vita. I suoi ingannatori gli offriranno la stessa consolazione che di solito sogliono offrire gli ingannatori delle vergini. Infatti dicono alle vergini sedotte: Sei triste perché sei diventata sposa? Avevi forse un Dio diverso quando eri vergine rispetto ad ora che sei moglie? Eri una vergine schiava dello stesso di cui ora sei anche la moglie. Appartieni alla stessa Chiesa: sei stata consacrata nei suoi stessi misteri, sei segnata col suo sigillo. Togli la tristezza dalla tua anima, perché non sei destinata al fuoco del gehenna, tra persone che fornicano con l’adulterio; ma nella grandezza del matrimonio non perdi la gloria del tuo servizio se, sposata, conservi senza peccato ciò che volevi essere da vergine. Allo stesso modo consolerà colui che è diventato un mulattiere dacché era prefetto: Perché ti affliggi? Tu sei un mulattiere al servizio dello stesso che hai servito come prefetto. Sii grato per non essere picchiato con bastoni di piombo, per non essere mutilato con la spada, per non essere imprigionato, se servi senza colpa in ciò che sei diventato, cioè un mulattiere. – Vedi che differenza c’è tra la verginità ed il primo matrimonio! Ed infatti Cristo, che è venuto in questo mondo per salvare ciò che era perduto, è andato una sola volta alla festa del matrimonio, ordinando così di sposarsi una sola volta. Infatti, sebbene Adamo non avesse peccato, gli fu data una moglie perché avesse dei figli e perché il matrimonio avvenisse in Paradiso. Ma ora non possiamo spiegare come siano organizzati questi matrimoni, perché non ci sono sulla terra paragoni. Ed allora cosa c’è di meglio che seguire l’esempio di Cristo? Cristo, vergine; sua Madre, vergine; il giusto Giuseppe, padre putativo secondo la carne, vergine! Questo è l’esempio della verginità; questo è l’esempio dell’umiltà e della carità, questo l’esempio della povertà e della nudità. Questi devono essere imitati da coloro che desiderano avere la verginità del corpo e dell’anima. Questa sarà la Chiesa. Questi sono quelli di cui è stato detto: seguiranno l’Agnello ovunque Egli vada (Ap. XIV, 4). Poiché la Chiesa ha molti membri ed un solo corpo, si dice che ce ne siano 144.000. – Ci sono molti tipi di vergini, di persone sposate ed anche di penitenti. Lo stesso vale per la vita di tutti i Santi, perché secondo i loro sforzi, i premi che meritano sono diversi. Nel corso di questo sesto giorno, non più divisi, ma nella unità, entrano con il padre Adamo in Paradiso. Non si nascondono più nudi dietro un albero, ma si inchiodano ad una sola croce con i loro abiti bianchi. In questa sesta età del mondo il genere umano si rinnova ad immagine e somiglianza di Dio. E siccome ci sono due uomini, l’uno interiore e l’altro esteriore, cioè l’anima ed il corpo, uno è stato formato dal fango della terra, l’altro è stato creato secondo Dio, perché in tutto il mistero dell’uomo interiore, ad immagine del Creatore, siamo perfetti nella bontà, nella santità e nella carità, secondo quanto dice l’Apostolo: « … ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova » (2 Cor. IV, 16). Lì si ha l’uomo interiore creato secondo Dio; ma si ha anche l’uomo esteriore fatto dal fango della terra; si ha l’uomo interiore in cui Cristo abita; e si ha l’uomo esteriore che si sgretola e si corrompe … questo è mortale, quell’altro è immortale, incorruttibile, razionale, sottile, eterno ed è quindi immagine di Dio. Ecco l’uomo interiore che si rallegra della legge del Signore; l’uomo esteriore compie le opere della carne. Poiché l’immagine è una cosa e la somiglianza un’altra: si è detto che l’immagine è nel volto, mentre la somiglianza è nelle azioni, come dice l’Apostolo: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo. » (1 Cor. XI, 1). Ed in altro luogo con le labbra di Dio: « siate santi, come io sono santo (Lev. XI, 44). Ecco che allora, la somiglianza si riferisce alla santità, alla bontà. Perciò, quando Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, aggiunse subito dopo: e Dio fece l’uomo ad immagine di Dio. Non disse: a sua immagine e somiglianza. Aveva fatto la sua immagine nell’Adamo vivente con un’anima invisibile ed immortale; ma la somiglianza era riservata a Cristo: per mezzo del quale colui che è stato fatto ad immagine di Dio è stato ricreato in Lui a somiglianza di Dio, come dice l’Apostolo: « il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita » (1 Cor. XV, 45). Pertanto, colui che era stato fatto anima vivente, non aveva ancora ricevuto la somiglianza; ma colui che è stato fatto nello spirito vivificante è stato fatto a somiglianza di Dio. Perché l’immagine è, come abbiamo detto prima, nel volto, ma la somiglianza è nelle azioni. In questa somiglianza, quindi, che è migliore e la più prossima a Dio, si mostra in modo brillante come si sia somigliante a Dio, cioè divino, armonioso, sincero, non confuso, non debole, non mutevole. È dunque – dice l’Apostolo – lo splendore della luce interiore di Cristo, che abita in lui. – Ma che cos’è quest’anima di tal qualità, o che cos’è questa somiglianza, se non la vita spirituale celeste, che non si macchia con alcuna passione, né col vizio, né con la lussuria, né con ingannevoli tinture colorate? Essa non mostra avidità, perché questa somiglianza non ha vanagloria per i desideri del mondo; non arde per il vizio della carne, non brucia di rabbia, né si comporta con crudeltà disumana; infatti, più che tormentare gli altri, tormenta se stessa; … ma ha in questa somiglianza un volto compassionevole, degli occhi misericordiosi, una lingua che difende, una volontà benefica. Questa, quindi, è la somiglianza che dovremmo desiderare, quella che possiede tale grazia e felicità, al punto da, cosa quasi incredibile, non più uomo ma, cambiando la legge e la condizione, essere chiamato Dio immortale. E proprio per questo è chiamato Dio e lo è diventato, non nascendo tale; ed è chiamato Dio per Grazia, non per natura. Perciò, unito al cielo ed alle stelle, godrà per l’eternità della vita celeste. E non dubitate, per il fatto che si sia detto che l’uomo è Dio: infatti il Dio degli dei lo ha promesso e lo ha donato. Sforzatevi di vincere, perché possiate meritare di essere chiamati Dio, come si dice: « … Ho detto: voi siete dei, e tutti voi siete figli dell’Altissimo » (Psal. LXXXI, 6). Ciò che si dice essere somigliante, è tal come prototipo di verità, perché non può essere riconosciuto come tale se non colui che abbia caratteristiche che si manifestano esternamente attraverso l’immagine del volto. E siccome abbiamo detto essere simile a Dio, questo può essere compreso dalle opere, come è detto anche in un altro testo: « Non c’è nessuno a te somigliante » (Psal. XXXIV, 10), poiché nella Scrittura si parla di Dio a volte per ereditarietà, a volte per essenza. Si dice per ereditarietà quando dice: « Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone » (Es. VII, 1). Egli dice a Mosè: « Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe » (Gen. XXVIII, 13). Chi è chiamato Dio per designazione ereditaria lo è tra tutte le altre cose; chi è chiamato Dio per essenza si chiama Dio al di sopra tutte le cose, ed è uno solo. Gli dei sono molti. Nessuno è chiamato Dio se non gli Angeli e gli uomini: e questi Angeli sono mandati agli uomini. E questi Angeli di Dio sono vicini a noi, come giudici terreni e padri eccellenti, che quando ci vedono compiere opere giuste mostrano a noi la loro lode e il loro favore. Ma quando ci vedono fare opere ingiuste, non ci permettono di andare avanti senza un flagello o una punizione. Mentre i giudici terreni di solito si comprano con i doni; questi qui non possono invece essere comprati mediante elargizioni o donativi, ma con le nostre lacrime, affinché con la sua misericordia scacci da noi la sua giusta indignazione, e ordini che la sentenza pronunciata contro di noi a causa della qualità dell’azione sia annullata dalla sua misericordia. Quando diciamo che Dio si è irato, dobbiamo pensare a ciò che ci insegna la forma abituale, per esempio: abbiamo detto che Dio si è irato con il faraone; ma l’ira qui consisteva nelle dieci piaghe, e tutte si sono abbattute sopra di lui; quando si è pentito, il Signore lo ha perdonato, ed esse si sono ritirate. Quando diciamo, quindi, che Dio è irato, non possiamo figurarlo in sé irato; ma è la furia del vento che si è irata, perché vede che il suo Signore e Creatore è disprezzato, o è il fuoco del sole, o le inondazioni delle piogge, o i terremoti, o la furia dei barbari. Tutte queste cose sono compiute, come detto, dal ministero degli Angeli di Dio: quando i beni che ci ha Egli concesso sono da noi disprezzati, si fa sentire irato con la loro stessa ira, che essi eccitano nei loro sensi per onore a Dio. È così come sogliono fare i giudici davanti a coloro che essi giudicano: se hanno saputo che essi hanno fatto qualcosa contro la volontà de re, applicano in modo integerrimo la loro ira; ed invece fingono di non essere irati quando il trasgressore ha potuto ottenere il loro perdono attraverso le sue suppliche al re o quelle degli amici del re. Ma Dio non patisce alcuna ira. Coloro che soffrono per quel che non desiderano possono essere irati; ma Dio non può patire per ciò che non desidera. E, come ho detto, tutte le cose sono state sottomesse agli Angeli di Dio, sia le celesti che le terrene, sia quelle che sono nel mare o nelle profondità. Così come si è sottomessi agli uffici dei prefetti, dei governanti e dei tribuni, secondo la decisione dei loro giudici, che invitano alcuni a gioire per la carità delle loro opere, mentre altri trascinano ai supplizi, altri mandano alle torture, o in prigione, o a morte, alla spada, al fuoco: così sono gli Angeli che ci sovrastano. Prima della venuta del nostro Redentore c’era discordia tra gli Angeli e gli uomini. Ma quando Cristo è venuto, « … è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo » (Ef. II, 14), ed Egli siede sul suo trono, cioè sulla Chiesa che ha acquistato con il suo sangue; e prepara i suoi giudizi attraverso gli Angeli ed i Vescovi o gli altri Santi, fino a quando non venga a giudicare e a regolare i conti con loro (Mt. XXV, 19). E chiede a ciascuno di rendere conto della quantità dei talenti a lui dati: e a seconda della qualità degli sforzi, elargisce le ricompense o le punizioni: dando ai giusti la gioia eterna, ma ai malvagi il tormento della punizione eterna.

[6] Abbiamo detto queste poche cose con una digressione, per mostrare come i Santi siano riconosciuti in questo mondo. Noi diciamo, con i lumi del nostro Dio, ciò che possiamo affermare attraverso i Testamenti: perché non sappiamo cosa sia successo prima del mondo, e neanche cosa succederà dopo il mondo. Noi possiamo affermare con la loro autorità solo ciò che sta nel mezzo – che è ciò di cui parliamo -. Infatti è scritto in Isaia: « Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro: “Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”. Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato”. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”. Egli disse: “Va’ e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. » (Is. VI, 1-9). Il santo Profeta ha detto tutto questo per bocca della Chiesa. Tutto questo lo può dire o fare la Chiesa, che è stata acquistata a prezzo preziosissimo. Il senso spirituale accompagna la storia narrata, per il qual motivo la riferisco. Chiediamo infatti al Signore, nel Comune della Messa, di mandarci anche una brace dell’altare, affinché, eliminata ogni macchia di peccato, si possano dapprima contemplare i misteri di Dio, e poi raccontare ciò che si è visto. Isaia, che viveva ai tempi in cui il re lebbroso governava il regno, non alzò gli occhi al cielo, né gli apparvero i misteri celesti, né gli apparve il Signore, né udì il triplice Nome santo della Trinità nel mistero della fede. Ma i misteri celesti gli furono resi noti a chiari lumi, solo dopo che il malvagio re si era allontanato e aveva perso il sommo Sacerdozio che deteneva. Ugualmente il popolo d’Israele, finché visse il faraone, non sospirò al suo Signore per il lavoro che faceva con il fango, i mattoni e la paglia; mentre questi regnava, nessuno ricercava il Dio Padre di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma quando egli morì, « … Nel lungo corso di quegli anni, il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì al Signore » (Es. II, 23), e questo perché era allora giunto il momento in cui dovevano gioire mentre prima – quando questi viveva – dovevano piangere. Se si comprende che in Ozia, nel Faraone e negli altri loro consimili, sono rappresentate le potenze nemiche, capirete come, mentre esse vivono, nessuno vede Dio, né sospira, né corre a fare penitenza. « Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale », dice l’Apostolo (Rm. VI, 12). Quando serviamo ai piaceri del mondo e ci curiamo più del corpo, che è della terra, piuttosto che dell’anima, fatta ad immagine di Dio, abbiamo questi re che regnano in noi, e quindi non possiamo vedere il Signore. Quando il peccato regna nel nostro corpo, costruiamo come le città per gli egiziani; ci muoviamo tra la cenere e le immondizie: invece del grano, ecco la paglia; al posto del cibo solido, ecco una pietra: camminiamo cioè dietro le opere di fango. Ho visto il Signore seduto su un trono eccelso ed elevato. Anche Daniele vedeva il Signore seduto da solo, ma non su di un trono alto ed esaltato. Guardate questi due Profeti: uno lo ha visto in alto, l’altro nella valle. Lo vede in alto chi in questo mondo vede questi re morti a se stessi e pratica la penitenza. Lo vede nella valle chi ha sopra di sé – come re – Ozia ed il faraone. Come annunziò la voce divina: « … riunirò tutte le nazioni e le farò scendere a giudizio nella valle di Giòsafat » (Gioel. IV: 2), che significa il giudizio del Signore? Chi è peccatore, e a me somigliante, vede il Signore seduto nella valle di Giosafat, non sul monte, non su un colle, ma nella valle, e nella valle del giudizio. Ma chi è giusto e somigliante ad Isaia lo vede seduto su di un trono eccelso ed elevato. Per far meglio comprendere, ecco ancora altro: quando medito che Egli regna sui Troni, sulle Dominazioni, sugli Angeli e sulle altre Virtù, contemplo il suo trono esaltato; ma quando considero come Egli si prende cura del genere umano, e si dice che per la nostra salvezza scenda ancor sempre sulla terra, vedo il suo trono umile e vicino alla terra. Sopra di Lui si trovavano anche alcuni Serafini, con sei paia di ali ciascuno. Ci sono, quindi, dodici ali, che rappresentano la Chiesa costituita nel numero dodici. Si dice anche che i Serafini bruciarono e si infiammarono; di questo fuoco il Salvatore dice: « … Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e cosa voglio se non che bruci? » (Lc., XII, 49). Due ali gli nascondevano il volto e due i piedi, e due ali battevano tra loro, e gridavano l’un l’altro tre volte Santo. Il senso di queste ali, nel commento su Ezechiele e l’Apocalisse, lo troverete ampiamente illustrato in precedenza, nel terzo libro. Ma ora continuiamo ciò che abbiamo iniziato. Ciò che ci sia di vero in questo, Dio solo lo sa; ciò che ci sia di verosimile, lo spiegheremo qui di seguito. Con un paio d’ali si nascondevano il viso, con due si nascondevano i piedi e due ali battevano tra loro. Occultavano il volto, non il loro, ma quello di Dio. Infatti, chi può conoscerne il principio? Cosa c’era prima che Egli creasse questo mondo? Cosa ci sarà dopo nell’eternità? Quando ha Egli creato i Troni, le Dominazioni, le Potenze, gli Angeli e tutta la corte celeste? E con un paio d’ali nascondevano i suoi piedi, non i propri, ma quelli di Dio. I piedi sono la parte più estrema del corpo. E chi può conoscere i suoi ultimi eventi? Cosa succederà dopo la distruzione del mondo? Cosa succederà dopo che il genere umano sia stato giudicato? Qual tipo di vita seguirà? Ci sarà un’altra terra? E, dopo la transizione, ci saranno degli elementi nuovi? Si creerà un altro mondo ed un altro sole? « Narrate quali furono le cose passate … Annunziate quanto avverrà nel futuro e noi riconosceremo che siete dèi » (Is. XLI, 22-23) – dice Isaia – dando ad intendere che nessuno può dire cosa ci fosse prima del mondo né cosa ci sarà dopo. E con altre due ali battevano le ali e gridavano l’un l’altro  dicendo tre volte: Santo. I due che gridavano sono la Legge ed il Vangelo. Perché da questi sappiamo solo ciò che sta nel mezzo, quello cioè che ci è reso manifesto per mezzo della lettura delle Scritture: quando è stato creato il mondo, quando è stato plasmato l’uomo, quando avvenne il diluvio, quando è stata data la Legge; … che da un solo uomo sono stati popolati tutti gli spazi della terra, e che nell’ultimo tempo il Figlio di Dio si è fatto carne per la nostra salvezza. Il resto oltre a ciò che abbiamo detto, è stato nascosto dai due Serafini con l’occultare il viso ed i piedi. E gridavano l’un l’altro. Saggiamente si sono messi l’uno di fronte all’altro: infatti ciò che si legge nell’Antico Testamento, lo troviamo nel Vangelo; e ciò che è stato letto nel Vangelo, lo si deduce ugualmente dal testo dell’Antico Testamento. Non c’è niente di dissonante tra essi, niente di contrario. E dicevano: Santo, santo, santo, santo, Signore Dio degli eserciti. In entrambi i Testamenti viene predicata la Trinità. E il nostro Salvatore è detto anche Dio degli eserciti: si prenda ad esempio il Salmo XXIII. Le Virtù, che servivano il Signore, gridarono alle altre potenze celesti di aprire la porta al Signore che stava per tornare: « Sollevate, Principi, le vostre porte, ed entri il Re della gloria. (Sal. XXIII, 7). Allora quelle Potenze, vedendo Cristo rivestito di carne, sbalordite dal nuovo mistero, si chiedono: Chi è questo Re di gloria? E ricevono la risposta: Il Signore Sabaoth, è il Re della gloria. – Piena è tutta la terra della sua gloria. Questo è ciò che dicono i Serafini sulla venuta del Signore Salvatore, la cui predicazione si diffonde in tutto il mondo e la voce degli Apostoli penetra fino ai confini della terra. Si sollevarono i frontali alla voce di coloro che gridavano. Leggiamo nell’Antico Testamento che il Signore parlava sempre a Mosè e ad Aronne alla porta del Tabernacolo perché prima del Vangelo non aveva ancora introdotto nessuno nel “Sancta Sanctorum“; ma di poi vi fu introdotta la Chiesa, secondo il detto; « M’introduca il re nella sua dimora » (Cant. I, 4). Senza dubbio, quando nostro Signore Gesù Cristo è sceso sulla terra, quell’architrave si è aperto. In greco si usa un verbo il cui significato è quello di rimuovere un ostacolo che impedisce di entrare a chi lo desideri. E tutto questo mondo si riempì di fumo, cioè della gloria del Signore. E Dio è il fuoco divoratore (Dt. IV, 24). Infatti, quando scese sul Monte Sinai davanti a Mosè, al suo passaggio si vedevano bagliori che si muovevano, e l’intero monte era pieno di fumo. Per questo si dice nel salmo: « tocca i monti ed essi fumano » (Sal. CIII, 32). E pur non potendo comprendere tutta la sostanza del fuoco, esso si diffonde in tutto il mondo come un fumo leggero e, direi, meno denso; di modo tale che diciamo: « Parzialmente conosciamo e parzialmente profetiamo. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa » (1 Cor. XIII, 9). Chiediamoci allora dove sia questo fuoco salutare: nessuno dubita che sia nei volumi sacri, con la lettura dei quali purifichiamo tutti i vizi. E questa Chiesa, che è la casa di Dio, per mezzo delle Sacre Scritture è piena di fumo. – E disse: guai a me, perché ho taciuto. Vedete che Isaia aveva peccato solo con la sua parola, e quindi le sue labbra erano impure. E questo, come penso, perché non corresse il re Ozia che entrò nel tempio.Ed infatti, dopo la morte del sacerdote Zaccaria, quando egli (Ozias) volle offrire da se medesimo le offerte di pertinenza dell’ordine sacerdotale, le portò via non piamente, ma con arroganza; e non volle ascoltare i leviti ed i sacerdoti che lo rimproveravano: « Non tocca a te, Ozia, offrire l’incenso, ma ai sacerdoti figli di Aronne che sono stati consacrati per offrire l’incenso (2 Cron. XXVI: 18). E subito gli scoppiò la lebbra sulla fronte. Qui si capisce che, mentre altri gridavano, Isaia taceva: e così considerava, dopo la sua morte, che le sue labbra fossero immonde, dicendo: Guai a me, perché ho taciuto. Isaia, com’era giusto, aveva peccato solo con le parole: per questo solo le sue labbra erano impure. Io, solo con il parlare, o lanciando sguardi lussuriosi, sono occasione di scandalo per le anime, pecco cioè con il piede, e per la partecipazione di tutte le membra, ho tutto impuro. E battezzato una volta nello Spirito, macchiandomi la tunica, ho bisogno della purificazione del secondo battesimo, cioè del fuoco. Non ci sono, come alcuni pensano, parole superflue nelle Scritture, ma ci sono molti insegnamenti occultati in esse. Una cosa è il senso letterale, un’altra il senso mistico. Vedete che il Signore nel Vangelo si cinge di una tovaglia, prepara una bacinella per lavare i piedi dei discepoli, svolgendo l’ufficio di un servo: e questo per insegnare l’umiltà, affinché possiamo servirci l’un l’altro. Io non nego, non rifiuto: che cosa dice a Pietro che rifiuta: « se non ti lavo i piedi, non avrai parte con me » (Gv. XIII, 8): ed egli rispose, « non solo i piedi, ma anche le mani e la testa ». Il Signore stava per ascendere al cielo, e poiché gli Apostoli, come uomini attaccati alla terra, avevano ancora i piedi imbrattati dalla sozzura dei loro peccati, Egli volle liberarli totalmente dai loro peccati, affinché si applicasse ad essi il testo profetico: « … quanto sono belli i piedi di coloro che predicano il Vangelo » (Rm. X, 15; Is. LII, 7), e servissero ad imitare le parole della Chiesa, che dice: « Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli? » (Cantico V, 3). Così che anche se, dopo la risurrezione, un po’ di polvere aderisce ad essi, essi la scuoteranno contro la città empia a testimonianza dello sforzo con cui l’hanno percorsa per la salvezza di tutti, fattisi Giudei con i Giudei, gentili con i gentili, o anche se macchiatisi in parte nei precedenti percorsi. Quindi, per tornare al nostro proposito, come gli Apostoli avevano bisogno della purificazione dei loro piedi, così Isaia si rende bisognoso della purificazione delle proprie labbra. D’altra parte, il popolo che non solo non fa penitenza, e che non sa che Isaia ha le labbra impure, non merita il rimedio della purificazione. Il profeta che in verità sapeva aver peccato con le sue labbra, sente l’Angelo che con un carbone purifica le sue labbra. Noi, che seguiamo la prima sentenza, affermiamo che il Testamento evangelico mandato al profeta, che contiene in sé sia i suoi insegnamenti, sia anche quelli dell’Antico Testamento, rende la parola di Dio ardente con i duplici precetti, e dopo aver toccato le sue labbra ha purificato ciò che aveva fatto nell’ignoranza. Infatti quello che noi consideriamo come labbra impure, fu eliminato per la verità della sua purificazione. Con questo forcipe fu pure visto Dio da Giacobbe sulla scala. Esso è la spada a doppio taglio. Questi sono i due centesimi che una vedova getta nelle offerte di Dio. Questa è la moneta che vale due denari, che, trovata per il Signore nella bocca del pesce, viene resa da Pietro. In questa doppia unione sono contenute le virtù. La moneta è data al profeta che, nel Salmo CXIX, implorando Dio, dicendo: « Signore, libera la mia vita dalle labbra di menzogna, dalla lingua ingannatrice » (Sal CXIX, 2). E dopo la domanda dello Spirito Santo: « Che ti posso dare, come ripagarti, lingua ingannatrice? », gli fu detto: « Frecce acute di un prode, con carboni di ginepro ». Sappiamo così che questa è stata concessa al profeta: in verità, la brace ardente che purifica la lingua dal peccato, è la parola divina, di cui si dice: « hai i carboni ardenti, ti ci siedi sopra. Questi ti serviranno d’aiuto » (Is. XLVII, 14). Guardate come son purificate le labbra di chi, morto il re Ozia o il faraone, sospira per la penitenza. Questo medesimo è la Chiesa di Dio. Questi stessi sono i CXLIV mila. E poiché, sotto la guida di Dio, con il calcolo numerico spieghiamo il mondo intero, torniamo ora al numero citato e che il santo Apostolo aveva udito dai testimoni: Ho sentito il numero di coloro che sono stati segnati: centoquarantaquattromila segnati da tutte le tribù dei figli d’Israele (Ap VII, 4). Abbiamo già detto in precedenza che i CXLIV mila rappresentano tutta la Chiesa, e abbiamo pure detto di coloro che si dice siano nel numero, e di quanti siano considerati ad immagine e somiglianza di Dio che, non imitando nessuno dei Santi, ma vedendo la stessa Verità nella contemplazione, operano la giustizia, affinché comprendano e seguano la Verità medesima nella cui immagine e somiglianza sono stati fatti. Circa il numero di coloro che sono stati segnati alla fine del mondo, quando la Giudea arriverà alla fede, si crede che siano di dodici migliaia: i CXLIV (144) mila vergini di Israele. E se ci sono così tanti vergini, quanto sarà grande il numero dei non vergini? Quando parlavamo dei numeri, e dicevamo che la perfezione era nel numero sei, raddoppiando questo stesso numero, abbiamo dodici. Questa è la Chiesa costituita sul numero dodici, cioè dagli Apostoli; che moltiplicato ancora per dodici numera 144. Dodici volte due fa 24. Questi sono i 24 Anziani. Dodici volte dieci sono 120. Questi 120 sono le anime sulle quali lo Spirito Santo è disceso a Pentecoste in lingue di fuoco. Questa è la prima Chiesa, fondata in primo luogo sulla roccia Cristo: « Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo » (1 Cor. III, 11).  Questo è il fondamento ed il modello dei membri di tutta la Chiesa. Chiunque non si trovi in questo modello, non è nel fondamento, né è nel tempio. Questo è misurato con una canna: da questo essi non saranno cacciati fuori, perché è il tempio della Gerusalemme celeste. Ai 120, aggiungiamo i 24 anziani, per un totale di 144.000. E per farne 144.000, per ognuno dei dodici si mettano 10.000; cioè, per ognuno dei dodici, mille, e per ogni altro lo stesso, finché non avremo i dodici, con la somma finale di 120.000. Aggiunti i ventiquattro Anziani, abbiamo CXLIV mila. E questa è la Chiesa intera, che crediamo sia fondata su di un numero così grande di membri, su una roccia molto forte, che è Cristo. Il numero dei santi è innumerevole, come testimonia il profeta Davide: « Ma sono grandemente onorati da me, o Dio, gli amici tuoi; grandemente possente è divenuto il loro impero. Se vorrò contarli, saran più che l’arene del mare » (Sal. CXXXVIII, 17). Essi sono contati da Cristo, al quale nulla è occulto, quelli fatti cioè a sua immagine e somiglianza. Per noi, però, sono innumerevoli perché si sono moltiplicati più della sabbia. Così dice: Poi ho guardato e c’era una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Non ha detto, dopo questo non ho visto un altro popolo, o un’altra folla, ma ho visto il popolo; cioè lo stesso che ha visto nel mistero dei CXLIV mila, e questo è quello che vede ora essere innumerevole; e quella che ha visto da tutte le tribù di Israele, è questa stessa immensa folla di ogni tribù, nazione, popolo e lingua. Ha già spiegato cosa sono i CXLIV mila, dicendo che sono innumerevoli; ed ha spiegato come vengano da tutte le tribù dei figli di Israele, dicendo: … da ogni nazione, razza, popolo e lingua. Ogni nazione, razza, tribù, popolo e lingua che viene alla fede, è innestata su questa radice; ed è la stessa dalla quale vengono le medesime dodici tribù di Israele. Infatti il Signore nel Vangelo mostra che tutta la Chiesa – sia che provenga dai Giudei che dai gentili – sono le dodici tribù di Israele, dicendo: « siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele »  (Mt XIX, 28). Poiché è chiaro che giudicheranno tutta la Chiesa, che comprende ogni razza umana, non solo quella della circoncisione; l’Apostolo ha detto che alla fine Israele completerà l’entrata delle genti: « … saranno entrate tutte le genti ed allora tutto Israele sarà salvato » (Rm. XI, 25). – Per dimostrare che i CXLIV sono la moltitudine innumerevole, e che le dodici tribù di Israele sono tutti i popoli, non ha citato i CXLIV mila, ma ha descritto solo l’innumerevole moltitudine vestita con abiti bianchi e purificata dalle lacrime. Questi non sono, come alcuni dicono, i bambini uccisi da Erode, e non è difficile dimostrare che si tratti di una questione semplice: quelli erano infatti solo della tribù di Giuda; questi, invece sono di ogni tribù, razza e lingua. Stando in piedi – dice – davanti al trono e all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con le palme nelle mani. E gridano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, ed all’Agnello! E tutti gli Angeli erano in piedi intorno al trono e agli anziani ed ai quattro animali. E spiega che erano numerosi e tutti gli Angeli stavano in piedi. Non descrive in tal modo nient’altro che la Chiesa. E poi dice: con le palme nelle mani: non senza ragione si compara la vita dei giusti ad una palma: perché la palma in basso è ruvida al tatto ed è come avvolta da una corteccia secca; ma verso l’alto è gradevole alla vista con i suoi frutti; sotto è stretta con gli avvolgimenti della sua corteccia, ma sopra si estende con ampiezza verdeggiante. Tale è la vita degli eletti, disprezzabile dal basso, bella dall’alto. In questa terra, cioè quaggiù, appare come avvolta da numerose cortecce, essendo gravata da molte tribolazioni. Nell’altissima eternità è come un espandersi con le foglie verdeggianti per l’ampiezza del premio. La palma ha anche qualcos’altro che la rende diversa da tutti gli altri tipi di alberi. Infatti ogni albero si allarga per radicarsi con forza al suolo, ma crescendo verso l’alto diventa sempre più stretto, e più è alto più diventa piccolo in cima. Al contrario, la palma inizia con minore ampiezza vicino al terreno, ma si eleva sempre più con vigore nei rami e nei frutti, e iniziando debolmente in basso, cresce sempre più verso l’alto. A chi possono essere paragonati gli altri alberi se non alle anime terrene ed a coloro che bramano i beni terreni? In questa vita sono larghi, nell’altra sono stretti. Perché sicuramente tutti coloro che amano questo mondo sono fortemente radicati nelle cose terrene e deboli nelle cose celesti; essi infatti desiderano lottare per la gloria temporale fino alla morte, ma per la speranza eterna non fanno neanche un minimo sforzo. Per i beni terreni essi tollerano ogni ingiuria, per la ricompensa celeste rifiutano il soffrire l’aggravio pure di una parola insignificante; sono abbastanza forti da poter resistere anche per un giorno intero ad una prova terrena; ma nella preghiera al cospetto di Dio, si stancano anche per il breve tempo di un’ora. Spesso soffrono la nudità, il disprezzo e la fame per acquisire ricchezze ed onori; si sacrificano con l’astinenza dal cibo, si danno da fare per ottenere benefici; ma nel cercare i beni celesti che richiedono travagli, li respingono tanto più a lungo quanto più pensano di riceverli come ricompensa. Così costoro, come tutti gli altri alberi, sono larghi in basso e stretti in alto: rimangono così forti inferiormente, ma si rimpiccioliscono verso l’alto. Ed ancora, la qualità delle palme significa la vita feconda dei giusti, che non sono forti nelle preoccupazioni terrene, ma non sono deboli in quelle celesti, che sono solleciti verso Dio in misura maggiore di quanto lo siano per il mondo. A questi si dice « Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a pro dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione ». (Rm. VI, 19). Senza dubbio egli [l’Apostolo] è condiscendente verso la loro debolezza, come se dicesse loro più chiaramente: se non puoi essere di più, sii almeno col frutto delle buone opere, così come lo sei stato prima nella condotta viziosa. E la santa libertà della carità non vi renda ora più deboli di quanto l’uso del piacere terreno vi rendesse forti nella carne. Ci sono alcuni che, quando cercano i beni celesti, abbandonano persino le azioni malsane di questo mondo; pure, a causa del loro cattivo pensiero, cadono per la debolezza dell’incostanza. A chi si può dire che somiglino costoro, se non agli alberi tutti, che non si innalzano in ampiezza in alto così come lo sono in terra? Quando essi si convertono, non perseverano come quando hanno cominciato, simili agli alberi larghi nei loro inizi, ma che poi si indeboliscono man mano: e pure, a causa delle prove temporali, essi subiscono presto il deteriorarsi delle loro virtù. I desideri celesti languono dolcemente in essi; e coloro che si mettono in cammino essendo forti e robusti, finiscono per essere deboli ed infermi; mentre avanzano con l’aumentare dell’inattività, crescono così che sembra che si stiano chinando. D’altra parte, la palma, come detto, è più larga verso l’alto rispetto allo spessore mostrato quando inizia ad elevarsi dappresso alla radice. Così molte volte la conversione degli eletti si realizza con più pienezza al termine rispetto all’inizio. E se all’inizio essa comincia tiepidamente, raggiunge poi alla fine maggior fervore: [l’eletto] ritiene infatti di essere sempre agli inizi e rimane così instancabile verso la novità. Vedendo la costanza dei giusti, il profeta dice: « ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi ». (Is. XL, 31). Essi mutano il loro vigore, perché desiderano essere forti nel lavoro spirituale, così come una volta erano forti nella carne. Prendono le ali come un’aquila perché volano nella contemplazione. Corrono senza essere affaticati, perché predicano con grande celerità più velocemente; camminano senza stancarsi, perché acquistano velocità nel loro intelletto, onde accompagnare quelli che stanno più dietro. Rendono partecipi gli altri di tutti i beni che ricevono, nella misura in cui essi rimangono immutabili nella novità: e quelli che nascono deboli nella radice al loro inizio, crescono poi forti fino al culmine della perfezione. – Continua ancora così: si prostrarono davanti al trono, si chinarono faccia a terra davanti all’Agnello e adoravano Dio dicendo: Amen. Lode, gloria, sapienza, azioni di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen. E per dimostrare che le innumerevoli moltitudini che vedeva davanti al trono fossero gli stessi Angeli che si prostravano a terra ed adoravano, non dice qui che erano adoranti né la innumerevole moltitudine, né gli animali, né gli anziani, ma solo gli Angeli. Gli Angeli stessi, sono quindi la moltitudine, sono gli anziani, e gli animali, sono quelli che si sono inchinati ed hanno adorato Dio. Uno degli anziani prese la parola e disse: “Quelli che sono vestiti di abiti bianchi, chi sono e da dove vengono? Io gli risposi: tu lo sai Signore. (Ap. VII, 13-14). “Uno degli anziani” è la Chiesa: uno insegna ad uno, cioè la Chiesa alla Chiesa. L’uno dice all’altro quale sia la ricompensa degli sforzi dei santi, dicendo: sono quelli che sono usciti dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti e le hanno rese candide nel sangue dell’Agnello. Non si tratta solo dei martiri, come alcuni pensano, ma di tutta la Chiesa. Egli infatti non ha detto che hanno lavato le loro vesti nel loro stesso sangue, ma in quello dell’Agnello, cioè nella grazia di Dio per mezzo di Cristo, come sta scritto: « e il sangue del suo Figlio ci purifica » (1 Gv 1, 7). Ecco perché stanno davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte sul suo trono, … cioè meditano sulla legge di Dio giorno e notte: sul suo trono, cioè sulla Chiesa. E colui che siede sul trono dimorerà in loro. Ed essi sono il trono, in cui Dio abiterà, cioè la Chiesa. Non avranno più né fame né arsura. Come dice il Signore: « Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete » (Gv. VI,  35). E anche: « chi beve l’acqua che Io gli darò non avrà mai sete; ma in lui sgorgherà una fonte di acqua viva, che sgorgherà nella vita eterna » (Gv. IV, 13). Il sole non li disturberà più, né si vergogneranno più. Questo è ciò che Dio dice della Chiesa attraverso Isaia: « Una tenda fornirà ombra contro il caldo di giorno e rifugio e riparo contro i temporali e contro la pioggia » (Is. IV, 6). Ed ancora: « di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte » (Sal CXX, 6). Il sole è Cristo. Colui che inciampa in Cristo, il sole lo brucia di giorno. La luna è la Chiesa. Chi inciampa nella Chiesa, la luna lo brucerà di notte. Dice che la virtù dei Sacramenti fiorisce nei suoi e che essi non sono soggetti ad alcun inganno dannoso da parte del sole e della luna. … Perché l’Agnello che è in mezzo al trono li nutrirà. L’Agnello è Cristo. Aveva detto prima che l’Agnello era diventato il libro di Colui che siede sul trono; ora è l’Agnello che si trova in mezzo al trono. In verità, Cristo è in mezzo alla Chiesa: è il suo trono e con essa risuscitò nel trono. E vi condurrò alle sorgenti delle acque della vita, come dice la Chiesa stessa: « il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Mi conduce su pascoli erbosi » (Psal. XXII, 1). E con Isaia: « Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. Non soffriranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti di acqua. Io trasformerò i monti in strade e le mie vie saranno elevate. » (Is XLIX, 9). Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Tutto questo accade spiritualmente alla Chiesa quando, perdonati i peccati, ci alziamo e ci liberiamo del primitivo uomo vecchio, ci rivestiamo di Cristo e ci riempiamo della gioia dello spirito. Questo è il modello di vita che il Signore promette alla Chiesa: « … Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. »  (Is LXV, 19). Tutto questo avviene spiritualmente nella Chiesa, e non nel mondo della cultura, le cui opere spesso appassiscono durante il loro sviluppo. Perché il più giovane morirà all’età di cento anni; questo perché chiunque cammina nella cecità dell’ignoranza, e non pensa che le promesse di Dio saranno mantenute, anche se è morto all’età di cento anni, ancora è un bambino; e il peccatore di cento anni sarà maledetto; perché chiunque comprende ciò che è giusto, e si rende ozioso nel farlo, sarà maledetto. Ogni sesso, ogni età, è immerso nell’età di Cristo, come dice l’Apostolo: « allo stato di uomo perfetto, alla maturità della pienezza di Cristo » (Ef. IV, 13). Chi muore peccatore, anche se sembra battezzato e saggio, sarà maledetto, perché nessuno pensi che chi vive a lungo sia benedetto, secondo la primitiva promessa: « perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra» (Ef. VI, 3). – Egli conclude entrambe le narrazioni con il settimo sigillo, che aveva omesso, per poter poi ricapitolare: infatti prima aveva finito nel sesto sigillo, e aveva ricapitolato; ma ora inizia il settimo sigillo.

FINISCE LA SPIEGAZIONE DEL SESTO SIGILLO

INIZIA LA SPIEGAZIONE DEL SETTIMO SIGILLO

[7] Quando aprì il settimo sigillo, ci fu silenzio in cielo (Ap. VIII,1): si vede esserci un breve tempo di silenzio, nel quale è contemplata ancora la stessa visione. Questa visione, deve ora contemplarsi con più attenzione, perché in questo settimo sigillo non si vede tanto per come gli sarà ancora concesso di contemplare. E perché molte cose gli si possano manifestare più chiaramente, si impone il silenzio. Ed infatti, se ci fosse un discorso continuo, non ci sarebbe un vero finale. Qui dobbiamo considerare che la storia finisce. Ed ora ricapitola dalla passione di Cristo per dire le stesse cose ma in altro modo.

TERMINA IL LIBRO QUARTO

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (11)