COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (3)

Il Signore e i ventiquattro seniori – Apoc. IV, 4

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (3)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SECONDO

INIZIA IL PROLOGO SULLA CHIESA E LA SINAGOGA,

IN MODO CHE VOI,  O LETTORI, NE POSSIATE CONOSCERE NEL MODO PIÙ COMPLETO POSSIBILE LE  CARATTERISTICHE, E CHI NE FACCIA PARTE.

[1] Chiesa è una parola greca, che in latino si traduce « convocatio = assemblea », perché chiama tutti gli uomini a farne parte. Cattolico significa universale, dal greco “kata” e “olos“, cioè secondo totalità. Infatti essa non si limita come, le conventicole degli eretici, alle zone di alcune regioni, ma è diffusa in tutto il mondo. È quanto l’Apostolo afferma nella sua lettera ai Romani, dicendo: « Ringrazio Dio per tutti voi, perché la vostra fede è lodata in tutto il mondo » (Rm. I, 8). Per questo è anche chiamata universale, che viene da “uno”, in quanto raccolta nell’unità. Perciò il Signore dice nel Vangelo: « … chi non raccoglie con me, disperde » (Mt. XII, 30). Ed allora perché, se la Chiesa è una sola, Giovanni scrive alle sette Chiese, se non per dare l’idea che l’unica Chiesa Cattolica sia piena dello Spirito “Settiforme”? È così infine che Salomone ha detto del Signore: « la Sapienza ha costruito una casa, ne ha scolpito le sette colonne » (Prov. IX, 1). Queste colonne ne costituiscono indubbiamente una sola, secondo l’Apostolo che dice: « la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità » (1 Tim. III, 15). La Chiesa ebbe inizio nel luogo dove lo Spirito Santo discese dal cielo e riempì coloro che erano colà riuniti. Nella sua peregrinazione terrena la Chiesa è detta “Sion”, perché, posta a distanza nel suo pellegrinaggio, guarda verso l’alto alla promessa dei beni celesti: pertanto porta il nome di Sion, che significa “guardare fuori dalla torre di guardia”. Ma in relazione alla pace della patria futura, il suo nome si interpreta: “Gerusalemme” che infatti significa “visione di pace”. Lì assurta, cioè liberata da tutte le avversità, possederà la visione della presenza della pace, che è Cristo. La Chiesa è composta da: Cristo, gli Angeli, i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, il Clero, i monaci, i fedeli ed i religiosi. Questa Chiesa è anche chiamata “cielo”, nel quale il sole, la luna e le stelle, di cui abbiamo parlato prima, risplendono con le luci delle loro virtù. Cristo è chiamato così da “chrismate”, cioè l’unto. Ai Giudei fu ordinato di fare un unguento sacro, con il quale potevano essere unti coloro che venivano chiamati al sacerdozio o alla dignità regale. Ed infatti, come ora un manto di porpora è simbolo della dignità regale, così allora ad essi l’unzione sacra conferiva il nome ed il potere regale. Quindi Cristo viene da Chrismate, che significa unzione, poiché la parola greca “chrisma”, in latino è tradotta unzione. Così, nel senso spirituale, essa è stata accomodata come nome al Signore, in quanto unto da Dio Padre mediante lo Spirito Santo, come vien detto negli Atti degli Apostoli: « in questa città si sono alleati contro il vostro santo servo Gesù, che Voi avete unto » (Act. IV.,27), non con l’olio visibile, ma con il dono di grazia, che corrisponde all’unguento visibile. Ed infatti “Cristo” non è il nome proprio del Salvatore, ma una comune denominazione di potere. Quando si dice Cristo, si indica un nome comune di dignità. Gesù Cristo, è il nome del Salvatore. Il nome di Cristo non esisteva in nessuna nazione, né in nessun altro popolo, ma solo in quella regione dove Cristo era stato preannunciato dai Profeti e dove Egli doveva venire. Infatti il Figlio unigenito di Dio Padre, che è uguale al Padre, per nostra salvezza ha preso forma di un servo, per aprire agli uomini la via della salvezza che è nei cieli. Egli è Dio ed uomo, perché è Verbo e carne; perciò si dice che sia doppiamente generato, perché il Padre lo ha generato senza madre nell’eternità, e la Madre lo ha generato senza padre nel tempo. Egli è chiamato l’Unigenito perché – per dignità divina – non ha fratelli; è il Primogenito invece – secondo la sua condizione umana – perché con l’adozione per grazia, si è degnato di avere fratelli, di cui Egli è il primogenito. In ebraico si chiama Messia, in greco Cristo, in latino “Salvatore” perché rende salvo il suo popolo, Sotero in greco, che si interpreta Salvatore in latino, perché salverà il suo popolo. Così come Cristo significa Re, così Gesù significa Salvatore. Quindi non siamo salvati da un re qualsiasi, ma dal nostro Re Salvatore. – “Angeli” è una parola greca, che in ebraico si interpreta “Malaoth”, e in latino “nuntii” (=messaggeri), perché annunciano la volontà del Signore al popolo. La parola “Angeli” si riferisce alla loro funzione, non alla natura, dal momento che essi sono sempre degli spiriti; ma quando vengono inviati, è allora che vengono chiamati Angeli, e l’audacia dei pittori li rappresenta con le ali, onde mostrare la loro velocità di movimento in ogni luogo. I poeti dicono anche “vento che ha le ali”, a causa della loro velocità. Per questo la Sacra Scrittura dice: « che cammina sulle ali del vento » (Sal. CIII, 3). Sono nove le categorie degli Angeli menzionate nella Sacra Scrittura: Angeli, Arcangeli, Troni, Dominazioni, Virtù, Principati, Potenze, Cherubini e Serafini. Nello spiegare le loro funzioni, spiegheremo anche il motivo dei loro nomi. – Sono chiamati Angeli gli inviati dal cielo per dare un messaggio agli uomini. Angelo, nel greco traduce “nuntius” in latino. Arcangeli in greco significa: i principali messaggeri. Coloro che annunciano le notizie piccole o minime sono Angeli; quelli che annunciano le notizie principali, più grandi, sono gli Arcangeli. Questi sono noti come Arcangeli, anche perché hanno un primato tra gli Angeli. “Archos” in greco, in latino significa “Principe”. Sono essi infatti duci e principi, che con i loro ordini affidano le missioni a ciascun Angelo. Come sulla terra ci sono i duci ed i principi, i tribuni ed i centurioni, che hanno autorità sugli uomini, così gli Arcangeli presiedono agli Angeli. Il profeta Zaccaria lo testimonia dicendo: « … quand’ecco uscì fuori l’Angelo che parlava in me, e l’altro Angelo andò incontro a lui. E gli disse: corri, va’ a parlare a quel giovane e digli: Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine di uomini e di animali che dovrà accogliere » (Zac. II, 3, 4). Se, poi, nelle funzioni proprie degli Angeli, i superiori non comandassero gli inferiori, non avremmo potuto sapere attraverso un Angelo quello che l’altro Angelo voleva si dicesse all’uomo. Alcuni degli Arcangeli hanno un nome proprio, in modo che lo stesso nome designi il compito loro affidato. “Gabriele, in ebraico, è tradotto nella nostra lingua come “la forza di Dio”: laddove si deve manifestare la potenza e la forza divina, è lì che viene mandato Gabriele. Ecco perché nel tempo in cui il Signore doveva nascere e trionfare sul mondo, Gabriele è venuto da Maria, per annunciare che Colui che è venuto per sconfiggere le potenze dell’aria si sia degnato di venire nell’umiltà. “Michele significa: “chi è come Dio?”. Quando nel mondo si realizza qualcosa di mirabile, viene inviato questo Arcangelo. Dalla sua missione deriva il suo nome, perché nessuno può realizzare ciò che può Dio. Raffaele significa “salute o medicina di Dio”: laddove c’è bisogno di guarire e di curare, Dio manda questo Arcangelo che pertanto si chiama “medicina di Dio”. Questo Arcangelo infatti fu inviato a Tobia, al quale applicò il suo rimedio agli occhi ed – eliminata la cecità – gli restituì la vista: così il significato del nome designa la missione dell’Arcangelo. Uriel significa fuoco di Dio, come abbiamo letto là dove il fuoco è apparso nel roveto. Abbiamo anche letto che il fuoco è stato inviato dall’alto e che ha compiuto ciò che gli era stato comandato. I Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà e le Virtù, i nomi con cui l’Apostolo abbraccia l’intera comunità celeste, designano ordini e dignità angeliche. Per questa distribuzione delle funzioni, alcuni sono chiamati Troni, altri Dominazioni, altri Principati, altri Potestà, in virtù di certe dignità con cui si distinguono gli uni dagli altri. Le Virtù esercitano certi ministeri angelici, con i quali si compiono segni e miracoli nel mondo; per questo sono chiamate virtù. Le Potestà sono quegli Angeli a cui sono sottoposte le potenze nemiche. Sono chiamati Potestà perché gli spiriti maligni si sottomettono al loro potere, in modo che non creino al mondo tutti i danni che vorrebbero causare. I Principati sono quegli Angeli che comandano alle milizie angeliche, e sono così chiamati perché hanno gli Angeli subordinati onde compiere il ministero divino. Infatti ce ne sono di quelli che servono, altri assistono … come si dice in Daniele, « mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano » (Dn. VII, 10). Le Dominazioni hanno una dignità ancora superiore alle Virtù ed ai Principati. Si chiamano così perché sono al comando degli eserciti angelici. I Troni sono gruppi di Angeli designati in latino con la parola Sedes. E sono chiamati Troni perché sono presieduti dal Creatore che attraverso di loro trasmette i Suoi ordini. I Cherubini sono quelli che esercitano i poteri celestiali ed i ministeri angelici più sublimi; il loro nome in ebraico si traduce nella nostra lingua: “grandezza di scienza”. Essi costituiscono il più sublime esercito di Angeli, perché, essendo i più vicini alla Sapienza divina, ne sono di molto più pieni che gli altri. Sono essi quei due viventi sul propiziatorio dell’arca, fatti di metallo, e che dovrebbero significare la presenza degli Angeli in mezzo ai quali Dio si manifesta. I Serafini, similmente, sono quella moltitudine di Angeli che dall’ebraico si traduce in latino come “ardenti” o “infiammati”; sono chiamati così perché tra Dio e loro non c’è altro gruppo di Angeli. Ed infatti, più si avvicinano a Dio, tanto più si infiammano dal chiarore della luce divina. Sono essi che nascondono il volto ed i piedi di Colui che siede sul trono di Dio. Ed è per questo che i restanti gruppi di Angeli non possono vedere l’essenza di Dio in ogni pienezza, perché coperti dai Serafini. – Questi nomi delle milizie angeliche sono nomi speciali di ogni categoria di Angeli, ma sono, comunque, in parte comuni a tutti. Infatti, sebbene i Troni siano chiamati in modo speciale “sede di Dio” nella loro categoria di Angeli, è detto dal Salmista: “Voi che sedete sui cherubini” (Psal. LXXIX, 2). Ma queste categorie di Angeli sono designate con nomi particolari, perché nella loro categoria propria hanno ricevuto in modo speciale quella funzione peculiare. E sebbene siano comuni a tutte le categorie angeliche, queste funzioni sono comunque assegnate in modo appropriato ad ognuna di esse. Come è già stato detto, a ciascuno vengono assegnate le funzioni proprie che – si dice – hanno meritato all’inizio del mondo. Che gli Angeli presiedano ai territori ed agli uomini, un Angelo lo afferma per mezzo del profeta dicendo: « … però Michele, uno dei primi prìncipi, mi è venuto in aiuto e io l’ho lasciato là presso il principe del re di Persia » (Dan. X, 13). È quindi chiaro che non ci sia luogo che gli Angeli non presiedano. Presiedono finanche gli auspici delle opere degli uomini. Questa è la gerarchia e la distinzione degli Angeli che, dopo la caduta degli angeli malvagi, rimasero nella fermezza dell’eterna beatitudine. Ecco perché si ripete, dopo la creazione del cielo in principio: « si faccia un firmamento, e Dio chiamò il firmamento cielo » (Gen I, 8). Nessuno di essi infatti fu coinvolto nella caduta, e non cedendo alla superbia, restarono fermamente nell’amore e nella contemplazione di Dio, non avendo nient’altro di più soave di Colui dal quale erano stati creati. I due Serafini di cui si legge nel libro di Isaia, rappresentano in figura l’Antico ed il Nuovo Testamento. Il fatto che essi … coprano il volto e i piedi di Dio, significa che non è dato a noi sapere cosa sia accaduto prima della creazione del mondo, né cosa accadrà dopo il mondo, ma solo vedere cosa c’è nel mezzo, grazie alla loro testimonianza. Ognuno di essi ha sei ali, perché nel presente secolo conosciamo solo il lavoro della creazione del mondo fatta in sei giorni. Essi gridano tre volte: “Sanctus”, per far conoscere il mistero della Trinità in una unica divinità.

[2]. Cerchiamo di conoscere ora cosa significhino i nomi dei “Patriarchi”, secondo la loro etimologia. La maggior parte di essi ha ricevuto questi nomi per cause proprie. “Patriarchi” si interpreta: Principi dei Padri, dai quali Cristo è nato secondo la carne. Abram fu chiamato per primo Padre del popolo giudaico, poiché questo significa Israele; poi fu chiamato Abramo, aggiungendovi una lettera, per cui si traduce, “Padre dei molti popoli”, che dovevano succedersi per la fede in futuro. I “popoli molti” non sono inclusi nell’etimologia della parola, ma si comprende dalla scrittura: « Il tuo nome sarà Abramo, perché ti ho fatto padre di molti popoli » (Genesi XVII, 5). Isacco prese il suo nome da “sorriso”; suo padre – nel trasporto della sua gioia – aveva infatti sorriso quando gli era stato promesso. Ed anche sua madre rise, quando dubitando nel gaudio, le fu promesso dai tre Uomini. Ecco perché ha ricevuto quel nome. Pertanto, Abramo era figura di Dio Padre, che è l’Autore e l’origine degli uomini. Isacco era figura di Cristo, che ci ha dato la gioia celeste. Giacobbe si interpreta “soppiantatore”, o perché ha afferrato alla nascita il tallone del fratello già nato o perché, nato dopo il fratello, gli passò poi avanti. Egli, dal quale sono nati i dodici Patriarchi, era figura della Chiesa, che è costituita nel numero dodici: per questo sono chiamate anche le dodici tribù di Israele. – Israele è “l’uomo che vede Dio”. Giacobbe ricevette il nome Israele quando, dopo aver combattuto tutta la notte, sconfisse l’Angelo nella lotta e fu benedetto alla luce dell’alba. A causa di questa visione di Dio, è stato chiamato Israele, come egli stesso dice: « Ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è salva » (Gen. XXXII, 31). Ruben significa “figlio della visione”. Simeone, “colui che ascolta”. Giuda significa “confessione”, perché quando Lia lo partorì, lodò il Signore dicendo: « adesso io darò lode al Signore » (Gen. XXIX, 35), e per questo fu chiamato Giuda: da “confessione” ha ricevuto il suo nome, che vale “azione di grazie”. Questa è la stirpe regale, la prosapia ammirevole, a cui viene affidata la direzione delle guerre e del regno d’Israele, colui che ha dato il suo nome ai popoli: forte come un leone nella forza del suo regno e distinto per la sua potenza nello splendore del regno. La progenie del suo regno non fu interrotta finché Cristo, simile ad un cucciolo di leone, non germogliò dal suo seme (Gen. XLIX, 9) e nascendo da un grembo regale, brillò come speranza dei popoli. Per questo motivo è stato detto: Vicit Leo de tribu Juda (ha vinto il leone della tribù di Giuda – Ap. V, 5), dal quale i Giudei hanno ricevuto il loro nome, perché Giuda significa “confessione”, ed è anche per questo che abbiamo il nome di “confessori”. Così come è stato detto agli ipocriti: « si dicono Giudei, ma non lo sono » (Ap. II, 9). Issachar significa “ricompensa”, perché con le mandragore del figlio Ruben, Lia comprò per sé il diritto, che era di Rachele, di giacere con il marito: rinunciando alle mandragore fu concepito Issachar. Così quando nacque, Lia esclamò: Dio mi ha dato la mia ricompensa (Gen. XXX, 18). Da questa tribù nacque Giuda Iscariota che vendette il Signore e con quella somma, ricavato della sua iniquità, fu acquistato un campo. Zebulon significa “stanza”; e Neftali “cambiamento”. Dan significa “giudizio”, perché quando Balha lo aveva partorito, Rachele, la sua padrona, disse: « Dio mi ha reso giustizia, perché ha ascoltato la mia voce: mi ha dato un figlio » (Gen. XXX, 6), e così ha espresso l’origine del nome: poiché il Signore le aveva reso giustizia, impose al figlio della schiava, il nome di “giudizio”. Da questa tribù nascerà l’Anticristo, da una concubina, perché ci sono già molti anticristi nella Chiesa che lo prefigurano. E nascono da una concubina, cioè dalla Sinagoga, che è la notte dell’ignoranza, ed essi sono servi del peccato. Levi, padre della casta sacerdotale, unito alla tribù di Giuda dalla mescolanza di stirpe ma, diviso da tutto Israele, mancando del diritto al sorteggio dei beni, abitava in tutti i regni dei fratelli. Da lui provengono i sacerdoti, ai quali non è lecito possedere la terra in eredità, e quindi gioiscono della povertà degli Apostoli. Giuda e Levi rappresentano Cristo Re e Sacerdote, che ci fa regno e sacerdoti per il suo Dio e Padre (Ap. I, 6). Gath era così chiamato perché “in procinto”, o “a disposizione”. Asher significa “beato”; Giuseppe, “Salvatore del mondo”, perché ha liberato tutta la terra dallo sterminio della fame imminente. Benjamin significa il “figlio della destra”, cioè del potere. Manasseh significa “dimenticato”. Efraim significa “aumento”. Questi sono i nostri Padri, di cui il Signore disse ad Abramo: « Per mezzo di Isacco avrai la discendenza del tuo nome » (Gen. XXI, 12), non per mezzo di Ismaele, che è nato dalla schiava, che è la Sinagoga. – I Profeti sono così chiamati perché prevedono il futuro. Per questo i gentili li chiamano “vates”. Da noi son chiamati Profeti, vaticinatori, perché preannunciano, cioè parlano e predicano la verità di ciò che sta per accadere. Quelli che chiamiamo Profeti sono chiamati “veggenti” nell’Antico Testamento, perché hanno visto ciò che gli altri non vedevano, quello che era nascosto nel mistero. Ci sono stati molti Profeti; tuttavia, solo dodici sono  inclusi nei libri; quattro hanno composto i libri più voluminosi: Isaia significa “Salvatore del Signore” e giustamente, perché più degli altri ha annunciato il Salvatore di tutti i popoli e i suoi misteri. Geremia,  è “l’eccelso del Signore”, perché gli è stato detto: « Io ti do autorità sulle nazioni e sui regni » (Ger I, 10). Ezechiele, « la forza di Dio ». Daniele, « il giudizio di Dio », perché giudicava tra gli anziani. Osea, « Salvatore », o « colui che salva ». Joel, « Signore Dio », o « colui che comincia per Dio ». Amos, « un popolo avulso da Dio », perché il popolo di Israele si era allontanato dal Signore. Naum, « il germe » o « il consolatore ». Habacuc, « colui che abbraccia », perché era amabile a Dio. Nessuno dei profeti con parole così audaci, aveva mai osato provocare Dio nel dibattito sulla giustizia, sul perché cioè si trovi tanta iniquità nelle cose umane e del mondo. Michea significa “perché questo?” o “che cos’è questo”? Sofonia, « lo specchio » o « l’arcano di Dio ». Abdia, « il servo di Dio », perché come Mosè, servo di Dio, e l’Apostolo, servo di Cristo, così anche questo messaggero venne inviato ai pagani; egli fu amministratore del re Akab. Giona significa “colomba”, o “il dolente”: colomba per il suo gemito, “dolente” per il ricino che si era seccato (Gion. IV: 7). È questi il figlio della vedova di Zarepta, come dicono pure i Giudei, che Elia aveva resuscitato dai morti. E così fu chiamato “Amittay”, parola ebraica che in latino significa “verità”, e da qui figlio della verità. Zaccaria, “memoria del Signore”, perché egli con la sua predicazione esortava il Signore affinché facesse tornare il suo popolo a Gerusalemme. Aggeo, in latino “festoso e gioioso”. Malachia significa “angelo del Signore”. Questi sono i dodici Profeti stabiliti nel numero duodecimo della Chiesa. Essi profetizzarono su Cristo, come Gesù disse poi agli Apostoli:  « … altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro », e ancora: « molti re e profeti desideravano vedere ciò che voi vedete e non lo hanno visto »: cioè Cristo, che voi vedete nella carne, essi non lo hanno visto. I quattro Profeti, tra i dodici, ebbero lo stesso ruolo dei quattro evangelisti tra gli Apostoli.

[3] La parola greca “Apostoli” significa in latino “missi – inviati”. Perché come Angeli in greco significa “messaggeri” in latino, così anche Apostoli in greco, significa “inviati” in latino. Cristo li ha mandati a predicare il Vangelo in tutto il mondo. Così che alcuni penetrarono fino in Persia ed in India, insegnando e compiendo grandi e potenti miracoli nel nome di Cristo, affinché, con la attestazione di segni e prodigi, coloro ai quali predicavano potessero credere. La maggior parte dei loro nomi hanno la loro spiegazione in sé. Pietro prese il nome dalla pietra, cioè Cristo, su cui si fonda la Chiesa. Infatti non la pietra porta il nome di Pietro, ma Pietro quello della pietra; così come Cristo non riceve il suo nome dai Cristiani, ma i Cristiani sono chiamati così da Cristo. Per questo il Signore dice: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Infatti Pietro aveva detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. XVI, 16). Il Signore rispose: « Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia Chiesa. » Infatti la pietra era Cristo (1 Cor. X, 4), sulle cui fondamenta è stato costruito Pietro stesso. Egli si chiamava pure Cefa, perché era stato costituito capo degli Apostoli. La parola greca “Cephas” significa “caput – capo” in latino. Simon Bar-Jonas, cioè figlio della colomba; poiché “Bar” in siriaco significa figlio, e “Giona” in ebraico significa colomba, e Pietro ha questo nome allo stesso tempo siriaco ed ebraico: Bar-Jonas. Alcuni lo spiegano semplicemente dicendo che Simon Pietro è il figlio di Giovanni, secondo questa domanda del Signore: « Simone di Giovanni, mi ami? » (Gv. XXI, 15). Ebbene, Giovanni significa “grazia del Signore”, e in luogo di Giona si dice Giovanni. E così Pietro ebbe tre nomi: Pietro, Cephas e Simone Bar-Jonas. Simone, parola ebraica, significa in latino « colui che ascolta ». Saulo in ebraico significa « tentazione », perché è stato il primo a tentare la Chiesa; ed infatti è chiamato Saulo perché perseguitava i Cristiani. Più tardi, quando cambiò nome, da Saulo divenne Paolo, che significa “mirabile” o “scelto”. In latino Paolo si intende “piccolo”, e per questo egli stesso dice: « Io, che sono l’ultimo degli Apostoli » (1 Cor. XV, 9). Quanto Saulo era orgoglioso e presuntuoso, tanto Paolo, era umile e semplice. Cefa e Saulo furono chiamati con i loro nomi cambiati, in modo che fossero nuovi anche nel nome, come Abramo e Sara. Andrea, fratello germano di Pietro e co-erede della grazia, che in latino significa “decorus” o “rispondente”, in greco significa “uomo vigoroso“. Giovanni ha conservato giustamente il suo nome che significa “colui nel quale risiede la grazia”, o “grazia del Signore”: ed infatti Gesù lo amava più degli altri Apostoli. Giacomo, chiamato Zebedeo dal nome del padre da lui abbandonato per seguire – con Giovanni – il Cristo, che è il vero Padre. Essi sono i Figli del Tuono, chiamati anche “Boanerge”, per la fermezza e la grandezza della loro fede. Questo Giacomo, fratello di Giovanni, fu ucciso da Erode, dopo l’ascensione del Signore. Giacomo di Alfeo, così chiamato per distinguerlo dall’altro Giacomo, era figlio di Alfeo, come l’altro figlio di Zebedeo, entrambi chiamati come il loro padre. Questo è Giacomo il Minore, che il Vangelo chiama fratello del Signore, perché Maria, la moglie di Alfeo, era la sorella della Madre del Signore; Giovanni la chiama nel suo Vangelo Maria di Cleofa. Alfeo è una parola ebraica, che in latino significa “millesimus” o “dotto”. Filippo, “lampadum” o “bocca delle mani”. Tommaso, “abissus” o “gemello”: ecco perché dal greco viene chiamato “didimo”. Bartolomeo, vuol dire in siriaco, « figlio di colui che sostiene le acque », o « figlio di colui che mi sostiene ». Matteo in ebraico significa “donatus“. Si chiama anche Levi, come la tribù a cui apparteneva. In latino fu chiamato pubblicano, per la carica che ricopriva, perché era stato scelto tra i pubblicani e portato all’apostolato. Simone Cananeo, per distinguerlo da Simon Pietro, prende questo soprannome da un villaggio della Galilea chiamato Cana, dove il Signore aveva trasformato l’acqua in vino. È lo stesso che un altro evangelista, chiama Zelota. Cana si interpreta “zelo”. Giuda di Giacomo, che altrove si chiama “Labbæus”, ha un nome simbolico che deriva da “cuore”, che possiamo considerare, con un diminutivo, « cuoricino ». Un altro evangelista lo chiama Taddeo, e secondo la tradizione della Chiesa egli fu inviato nella città di Edissa, presso il re Abagaro. Giuda, chiamato Iscariota dal villaggio in cui era nato o perché, proveniente dalla tribù di Issachar, ne prese il suo nome come presagio della sua futura condanna. Issachar significa “merces=mercanzia”, per indicare il prezzo del tradimento con cui egli vendette il Signore. Mattia è L’unico tra gli Apostoli che non abbia un soprannome; significa “donatus“, per farci capire che fu posto in luogo di Giuda. Fu scelto al suo posto dagli Apostoli, che tirarono a sorte tra due. Marco, si interpreta “eccelso per il suo incarico”, certamente per il Vangelo dell’Altissimo che predicava. Luca, « colui che si alza » o « colui che si eleva », Barnaba, “figlio di un profeta” o “figlio della consolazione”. Questi sono i dodici discepoli di Cristo, i predicatori della fede ed i maestri del popolo. Gli Apostoli, pur essendo tutti una cosa sola, avevano tuttavia ricevuto ognuno come propria sorte di predicare nel mondo:

Pietro a Roma.

Andrea in Acaia.

Tommaso in India.

Giacomo in Spagna.

Giovanni in Asia.

Matteo in Macedonia.

Filippo in Gallia.

Bartolomeo in Licaonia.

Simone Zelota in Egitto.

Mattia in Giudea.

Giacomo, fratello del Signore, a Gerusalemme.

[In questo elenco sono stati indicati il nome ed il destino di Giuda Taddeo. Prima si era detto che fosse stato mandato a Edissa, dal re Abagaro. Qui troviamo anche la prima testimonianza ispanica, secondo la nostra opinione, della presenza e della predicazione di San Giacomo nella Spagna.].

A Paolo non viene assegnata una zona propria, come per gli altri Apostoli, perché viene scelto come maestro e predicatore di tutti i popoli gentili. Come a Pietro ed agli altri Apostoli venne conferito l’apostolato presso i circoncisi, così a Paolo venne assegnato quello tra i gentili. Egli pertanto evangelizzò le sette chiese con i tre suoi discepoli (destinatari delle sue lettere). Essi costituiscono le dodici ore del giorno illuminate dal sole, che è Cristo. Queste sono pure le dodici porte della Gerusalemme celeste, attraverso le quali entriamo nella vita di beatitudine. Questa è la prima Chiesa apostolica, che crediamo fermamente essere fondata sulla pietra che è Cristo. Questi sono i dodici troni che giudicano le dodici tribù di Israele. Questa è la Chiesa diffusa in tutto l’universo. Tale è il lignaggio sacro e scelto, il sacerdozio regale, disseminato in tutto il mondo. Questi erano pochi, ma scelti. E da questi piccoli chicchi è venuto un grande raccolto. Noi crediamo e apparteniamo a questa Chiesa, e chi predicherà qualcosa di diverso da costoro non sarà un Cristiano, ma sarà per sempre anatema fino alla venuta del Signore, e dunque già condannato alla venuta del Signore. È per rendere meglio visibili questi chicchi seminati nel campo del mondo, che i profeti hanno lavorato e questi raccolto, si mostra il disegno che qui sotto lo mostra. (Segue la Mappa del mondo).

[4] Martiri, parola greca, in latino significa “testes – testimoni”: per questo le testimonianze in greco sono chiamate “martìri”. Sono chiamati testimoni perché hanno sofferto per aver reso testimonianza a Cristo ed hanno lottato fino alla morte per la verità. Il primo martire del Nuovo Testamento fu Stefano, che nella lingua ebraica significa “norma“, perché fu il primo martire ed esempio per i fedeli. Dal greco è anche tradotto in latino con il significato di “coronatus“. E questo è profetico, poiché, secondo la profezia, qualcosa del futuro risuoni già prima nel nome: infatti il martire ha sofferto ed ha ricevuto ciò che il suo nome indicava: cioè  la corona; umilmente lapidato ed in modo sublime coronato. – Ci sono due tipi di martirio: l’uno è il tormento pubblico, l’altro è quello della virtù occulta dell’anima. Molti, resistendo alle insidie del nemico, cioè del diavolo, e rinunciando a tutti i desideri carnali, sono diventati martiri onde essersi immolati a Dio Onnipotente nel loro cuore, anche in tempi di pace: in tempi di persecuzione avrebbero potuto essere martiri [manifesti]. Chiamiamo così il clero e gli ecclesiastici perché Mattia venne scelto a sorte come Apostolo e fu il primo ad essere ordinato dagli Apostoli. “Cleros”, parola greca, significa in latino “fortuna” o “eredità”. Per questo sono chiamati chierici, perché sono eredità del Signore, o perché Dio è la parte della loro eredità. In genere, tutti coloro che servono la Chiesa si chiamano chierici. I loro gradi ed i nomi sono i seguenti: ostiario, lettore, salmista, esorcista, accolito, suddiacono, diacono, presbitero e vescovo. L’ordine dei Vescovi è composto da quattro gruppi: i Patriarchi, gli Arcivescovi, i Metropoliti ed i Vescovi. Patriarca in greco significa “il primo dei Padri”, perché occupa il primo posto, cioè quello apostolico, ed è chiamato con questo nome, proprio perché ha un onore così grande. In tutto il mondo ci sono tre sedi di patriarchi: Roma, Antiochia ed Alessandria. Questi sono chiamati anche Papi [Le frasi dedicate all’etimologia dei Patriarchi appartengono a Sant’Isidoro, tranne l’ultima frase in cui egli definisce i capi delle sedi di Roma, Antiochia e Alessandria: Papi. È possibile che sia un originale di Beato]. – Arcivescovo è una parola greca che significa: il più importante dei Vescovi: questi fa le veci degli Apostoli, e presiede tanto ai metropoliti che agli altri Vescovi. Presiede a ciascuna delle province; presiede e sottomette alla sua autorità e dottrina gli altri sacerdoti. Senza di loro, agli altri Vescovi non è permesso fare nulla, perché a loro solo è affidata la cura di tutta la provincia. Tutti gli ordini di cui sopra hanno uno stesso ed unico nome: Vescovi. Ma hanno un nome particolare per la distinzione dei poteri che ciascuno di loro ha ricevuto. Patriarca: “Padre dei principi”, perché “Archon” significa Principe. Arcivescovo è chiamato il metropolita dei Vescovi. Vescovo è una parola che dice qualcosa di colui che è posto al di sopra degli altri, « colui che veglia », cioè colui che si prende cura dei suoi sudditi. “Scopein” è una parola greca che in latino significa “guardare” o “osservare”. Infatti il Preposto nella Chiesa è un osservatore attento, perché veglia sui costumi e sulla vita dei popoli affidati alle sue cure. Il Pontefice è il Principe dei sacerdoti, una sorta di via per chi lo segue; si chiama Sommo Sacerdote e Pontefice Massimo. Egli consacra i Sacerdoti ed i leviti. Organizza tutti gli Ordini ecclesiastici, insegna ciò che ognuno debba fare. Prima della venuta del Signore, i re erano anche pontefici. Infatti era usanza degli antichi che il re fosse anche sacerdote o pontefice; per questo gli imperatori romani erano chiamati pontefici: Vates, così chiamato per la forza della sua mente [vi mentis]. Il loro significato è molteplice, perché esso designa un sacerdote, o un profeta, o un poeta. Sacerdote “Antistes“, così chiamato perché presiede l’altare. È il primo nell’ordine della Chiesa e non ha nessuno al di sopra di sé. Il Sacerdote ha un nome composto dal latino e dal greco: colui che dà il sacro. Come “re” viene da governare, così il nome di sacerdote viene da “sacrificio”. Egli consacra e sacrifica. Presbitero in greco, si interpreta “senior – anziano” in latino; non per mostrarne l’età o per definirne la senilità avanzata, ma per indicarne l’onore e la dignità ricevuti, e per questo sono chiamati presbiteri. I presbiteri sono chiamati anche Sacerdoti, perché, come i Vescovi, “danno il sacro”. Pur essendo Sacerdoti, non hanno però la pienezza del pontificato, perché non sigillano la fronte con il crisma e non conferiscono lo Spirito Santo, funzione che – come dimostra la lettura degli Atti degli Apostoli – appartiene solo ai Vescovi. E tra gli antichi, i Vescovi erano gli stessi presbiteri, perché il primo è un nome di dignità, e il secondo di anzianità. I leviti sono chiamati con il nome della loro origine. I leviti provenivano dalla tribù dei Levi, e si occupavano di eseguire nel tempio di Dio i ministeri mistici del sacramento. Sono chiamati in greco diaconi ed in latino “ministri”. Infatti, come il Sacerdote fa la consacrazione, così il diacono fa l’amministrazione del ministero. I suddiaconi (Hypodiacono in greco) si chiamano così perché sono soggetti ai comandi e agli uffici dei leviti. Essi ricevono le offerte dei fedeli nel tempio di Dio e le donano ai leviti perché le mettano sull’altare. Questi sono chiamati tra i Giudei: Nathanæi. Il nome di “Lettori” viene dalla loro missione di lettura mentre “Salmista” viene dal canto dei salmi. Gli uni insegnano al popolo la via da seguire; gli altri cantano per eccitare le anime degli ascoltatori al pentimento. Anche se ci sono alcuni lettori che si esprimono in modo così lamentevole da indurre alcuni al pianto ed al lamento, sono anche degli araldi, perché fanno sentire la loro voce in lontananza; la loro voce deve essere così forte e chiara da giungere alle orecchie di chi è lontano. Il  “cantore” è così chiamato perché modula la sua voce nel canto. Ci sono due tipi di cantanti nell’arte della musica, cosicché gli uomini colti hanno deciso di chiamarli in latino: il “precentor”, cioè colui che inizia la melodia nel canto; e il “succentor”, cioè colui che risponde seguendo il canto. Chi canta con gli altri con il giusto tono si chiama “concertor” Colui che non è intonato, né canta, non sarà né “succentor ” né “concertor”. Accolito è una parola greca, che in latino si traduce come ceroferari, perché portano le candele quando si legge il Vangelo o si offre il Sacrificio. Poi accendono le candele e le portano, non per dissipare le tenebre, come nel tempo in cui il sole splende, ma per far comprendere che sono motivo di gioia, e che la luce materiale raffigura quella luce di cui si dice nel Vangelo: « Era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo » (Gv I,18). Esorcisti in greco, significa in latino « coloro che evocano o lanciano imprecazioni ». Essi invocano sui catecumeni, o su coloro che sono posseduti dallo spirito maligno, il Nome del Signore Gesù, scongiurandolo così nel suo Nome di uscire da loro. Ostiari e portatori, erano coloro che nell’Antico Testamento venivano scelti per la custodia del tempio, in modo che gli impuri non ne oltrepassassero la soglia per alcun motivo. Sono chiamati “ostiari” perché si occupano delle porte del tempio. Essi, che ne hanno la chiave, custodiscono tutto ciò che ne sia dentro e fuori; e giudicando tra buoni e cattivi, accolgono i fedeli rimandando via gli infedeli. Monachus, è chiamato in greco ciò che è singolare. “Monas” in greco indica la singolarità. Pertanto, se monaco, tradotto dal greco: “solitario”, cosa sta a fare tra la gente colui che deve essere solo? Ci sono molti tipi di monaci. Cenobiti, si chiamiamo coloro che vivono in comune. Cenobio si riferisce a molti. Gli Anacoreti sono coloro che dopo la vita cenobitica vanno nel deserto e vivono da soli nella natura selvaggia. E dacché si sono allontanati dagli uomini, sono conosciuti con quel nome. Gli anacoreti imitano Elia e Giovanni, i cenobiti, gli Apostoli. Eremita è lo stesso che anacoreti, perché anacoreta è la parola greca che viene tradotta in latino: “eremita”; lontani dallo sguardo degli uomini, preferiscono la solitudine ed il deserto. Infatti “eremo” dice lo stesso che remoto. Abate è una parola siriaca, che significa in latino “padre”. Così spiega s. Paolo quando scrive ai Romani dicendo loro: « Che noi chiamiamo “Abba, Padre” » (Rm. VIII, 15), affermandolo in siriano ed in latino.

I RESTANTI FEDELI

[5]Cristiano”, secondo l’etimologia, deriva da “unzione”, dal nome del fondatore e Creatore. Infatti è da Cristo che i Cristiani ricevono il loro nome, così come i Giudei lo ricevono da Giuda. Dal nome del Maestro, ne è stato dato il soprannome ai suoi seguaci. I Giudei, per qualche tempo, chiamarono i Cristiani « Nazareni », perché nostro Signore e Salvatore era conosciuto come Nazareno, essendo di quella piccola città della Galilea. Tuttavia, non si glori di essere Cristiano chi ne ha solo il nome, ma non la condotta; sarà certamente un Cristiano colui che sarà stato fedele a questo nome e se ne farà partecipe con le sue opere. È veramente un Cristiano chi con la fede e le azioni si manifesta tale, agendo come ha agito Colui dal quale riceve il nome. Cattolico significa universale, generale, in quanto i greci chiamano cattolico ciò che è universale. Un ortodosso è uno che crede rettamente e vive ciò in cui crede. “Ortos” in greco, significa in latino “rettamente”, e “doxa” significa gloria; pertanto è un uomo di retta gloria. Non può essere designato con questo nome chi vive in modo diverso dalla sua fede. « Neofita » in greco, può essere tradotto in latino con “novizio”, e fedele iniziato, o anche come neonato. È chiamato Catecumeno perché, pur professando la dottrina della fede, non ha ricevuto ancora il Battesimo. La parola greca “catecumeno” significa infatti in latino “ascoltatore”. Egli è anche chiamato “competens”, perché con l’istruzione nella fede chiede la grazia di Cristo. Ed infatti “competente” deriva da chiedere, dal chiedere. Quando qualcuno da pagano viene alla fede, nel corso dell’istruzione alla fede, viene chiamato catecumeno; quando ha creduto rettamente e chiede di essere battezzato, allora viene chiamato competente; quando poi è bagnato nell’acqua del Battesimo, viene chiamato fedele; quando è unto con il crisma, cioè con l’unzione, viene chiamato Cristiano. E infatti è dopo il Battesimo, che lo Spirito Santo viene conferito dai Vescovi mediante l’imposizione delle mani; ricordiamo che questo è stato fatto dagli Apostoli negli Atti degli Apostoli, … avvenne così: « Quando gli Apostoli, che erano a Gerusalemme, udirono che Samaria aveva accettato la parola di Dio, mandarono loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro, affinché ricevessero lo Spirito Santo, poiché non era ancora sceso su nessuno di loro; essi erano stati battezzati solo nel Nome del Signore Gesù. Poi hanno imposto le mani su di loro che hanno ricevuto lo Spirito Santo » (Act. VIII: 14). Così noi possiamo ricevere lo Spirito Santo, ma non possiamo darlo ma, affinché sia dato, invochiamo il Signore. Ascoltate chi solamente è capace di farlo, secondo il santo Papa Innocenzo della Sede Romana, che ha scritto per tutte le chiese; ascoltate quello che dice: « Non per mezzo di altri, se non mediante un Vescovo è lecito conferire lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani. Anche i presbiteri, pur essendo Sacerdoti, non possiedono il grado più alto del Pontificato; spetta solo ai Pontefici infondere lo Spirito Santo segnando la fronte, come dimostra non solo l’usanza della Chiesa, ma anche il già citato passo degli Atti degli Apostoli, che afferma come Pietro e Giovanni fossero stati scelti ed inviati per conferire lo Spirito Santo a coloro che erano già stati battezzati. Ai presbiteri, sia che il Vescovo sia assente, o che sia presente, nel battezzare è lecito ungere i battezzati con il crisma, ma con il crisma consacrato dal Vescovo; non è lecito però che essi segnino la fronte con il medesimo olio, cosa che appartiene solo alla missione dei Vescovi quando conferiscono lo Spirito Santo.

LA RELIGIONE E LA FEDE

I filosofi hanno così chiamato il dogma, da “putando” (= credere), cioè quel che si reputa sia buono, e vero. La religione è così chiamata perché attraverso di essa colleghiamo le nostre anime ad un solo Signore, per servire, con tal legame, il culto divino; questa parola deriva da “religendo”, vale a dire “eligendo – scelta”; pertanto in latino la parola religendo equivale ad eligendo, che quindi è lo stesso che “scelta”. Tre cose sono richieste agli uomini nel culto della religione per adorare Dio: la fede, la speranza e la carità. Nella fede, si contiene ciò che si debba credere; nella speranza, ciò che si debba sperare; e nella carità, quel che si debba amare. La fede è quella virtù per cui si crede vero ciò che non possiamo vedere. Infatti non possiamo credere a ciò che già vediamo. Propriamente, si dà anche il nome di fede, quando si compie totalmente quel che è stato detto o promesso. Ed è per questo appunto che si chiama fede, perché essa compie ciò che è stato concordato tra due, cioè tra Dio e l’uomo. Ed anche si chiama patto. La speranza si chiama così poiché è un piede che deve procedere lungo il sentiero, dunque un piede in cammino. Si chiama così come il contrario si dice anche disperazione (dal latino deest pes), perché dove è messo il piede in fallo, non c’è alcuna possibilità di camminare; infatti quando uno ama il peccato, non si aspetta la gloria futura. La carità, parola greca, è tradotta in latino con “dilectio” poiché unisce due persone. La carità infatti trae origine tra due soggetti, che costituiscono l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. L’Apostolo dice: « La pienezza della legge è l’amore » (Rm. XIII, 10). Nella Chiesa questo amore è la più importante tra tutte le virtù; infatti colui che ama, crede e spera anche. Ma chi non ama, pur facendo molte opere buone, lavora invano. Un amore tutto carnale non si chiama carità, anche se si impiega spesso la parola amore. Il nome « carità » è usato solo nelle cose migliori, e questo suole accadere tra gli uomini santi e religiosi. Questa è la dottrina della Chiesa; questa è la fede che deve essere professata all’interno della Chiesa.

FINISCE IL PROLOGO SULLA CHIESA

INIZIA IL PROLOGO DELLA SINAGOGA

[6] Sinagoga, è una parola greca, che in latino significa “congregazione”, così come Chiesa significa “assemblea”, perché chiama tutti a farne parte. Ma si chiamava Sinagoga una congregazione, perché in essa si radunava una parte numerosa del popolo. Il popolo giudeo ha mantenuto questo nome come proprio. Ed in riferimento ad esso, di solito parliamo di “sinagoga”, e sebbene sia anche chiamata Chiesa, tra i Cristiani, riceve il nome di Sinagoga. Gli Apostoli non hanno mai chiamato la nostra assemblea sinagoga, ma sempre Chiesa, o per differenziarsene, o perché tra noi formiamo una congregazione. Per questo motivo, sia nella sua accezione di Sinagoga che in quella di assemblea, essa [la nostra assemblea] – prende il nome solamente di Chiesa. C’è però una certa differenza tra l’assemblea e la congregazione: infatti chiamare significa invitare; ma riunire è un obbligare, come infatti le greggi di solito si riuniscono, e del gregge diciamo correttamente che si congrega. C’è tra la Sinagoga e la Chiesa, la stessa distanza esistente tra le greggi e l’uomo. Nella Chiesa infatti sono chiamati gli uomini, nella Sinagoga gli animali. Gli uomini sono razionali, ricordano il passato, organizzano il presente e prevedono il futuro, meditando incessantemente su ciò che fanno giorno per giorno, per non cadere mai in cose abiette nelle opere e nei pensieri. Essi non danno sonno agli occhi, ma giorno e notte meditano sulla legge del Signore. Questi è il figlio maschio che si dice partorito dalla « donna ». Questi, imitando non un qualsiasi uomo santo, ma intuendo con la contemplazione la verità, opera la giustizia affinché comprenda e segua la stessa Verità, ad immagine della quale è stato creato. Per questo ricevette anche potere sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sulle fiere e sui rettili; poiché essendo spirituale è reso simile a Dio e, secondo l’Apostolo, « … giudica tutte le cose e non è giudicato da nessuno » (1 Cor II: 15); infatti crede di non essere erede in questo mondo, bensì in quello futuro. La sinagoga, invece, ha tutte le sue speranze in questo mondo: è sollecitata dalle cose del corpo, ma non da quelle dell’anima. – Essa è costituita da questi elementi: il diavolo, l’Anticristo, l’eretico, l’ipocrita, lo scismatico, la superstizione, la bestia, il dragone, i pozzi, le locuste, i cavalli e la donna seduta sulla bestia. – Si chiama diavolo in ebraico, ma in latino significa “colui che si precipita giù“: perché disprezzò di restare beato nel più alto del cielo, ed a causa del peso dell’orgoglio precipitò giù. In greco diavolo significa “accusatore”, o perché denuncia davanti a Dio quei crimini che egli stesso eccita negli uomini a commettere, o perché accusa gli eletti innocenti di falsi crimini; infatti in questo libro si dice per bocca dell’Angelo: « l’accusatore dei nostri fratelli è stato gettato a terra, colui che li ha accusati giorno e notte davanti al nostro Dio » (Ap. XII, 10). Egli è chiamato in greco satana, che in latino significa “avversario” e trasgressore. È « avversario » perché è il nemico della verità, ed è sempre pronto ad andare contro la giustizia dei Santi. Egli è « trasgressore », perché, essendosi resosi prevaricatore, non è rimasto nella verità (Gv. VIII, 44) nella quale era stato creato. È il tentatore, perché è sempre pronto a tentare l’innocenza del giusto, come è scritto nel libro di Giobbe. – L’Anticristo è così chiamato perché deve venire contro Cristo. Non è come pensano alcuni ingenui, che cioè sia chiamato Anticristo perché verrà prima di Cristo, dato che è Cristo a venire dopo di lui. Ed infatti « Anticristo » dal greco si interpreta in latino come colui che è “contrario a Cristo“. “Anti” in greco, in latino significa “contra“. Quando verrà, egli fingerà di essere Cristo, e combatterà contro di Lui, si opporrà ai Sacramenti di Cristo, per distruggere il Vangelo della verità e per imporre la sola legge mosaica e sottoporre il popolo alla circoncisione. Egli cercherà infatti di riparare il tempio di Gerusalemme e di ripristinare tutte le cerimonie della vecchia legge. Ma è anche “anticristo” chi dice che Cristo non è Dio: costui è un avversario di Cristo. È un anticristo chiunque creda che Cristo sia Dio, però lo neghi con le sue opere: questi crede in Cristo per la fede, ma lo rinnega con il suo comportamento. Infatti, come abbiamo detto che si nega Dio in due modi, così in due modi gli uomini possono essere apostati. Come chi neghi la fede è un apostata, ugualmente è apostata chi neghi Dio onnipotente con la sua condotta, anche se nella Chiesa sembra praticare la retta fede. Tutti coloro che lasciano la Chiesa e si separano dall’unità della fede e delle opere sono certamente da considerarsi “anticristi”.

LE ERESIE DEI CRISTIANI

[7] Molte ed innumerevoli sono le eresie dei Cristiani. Per il fatto che la Chiesa è settiforme e diffusa in tutto il mondo, crediamo che essa sia una sola; di contro, i dogmi degli eretici sono particolarmente limitati ad alcune aree regionali. Alcuni eretici che si sono allontanati dalla Chiesa, prendono il nome dagli autori che le hanno inventate [… le eresie]. Altri invece dalle stesse cause che li hanno motivati, scegliendole a loro discrezione. Infatti “eretico” è una parola greca che in latino significa “electio” (= scelta): e questo perché ognuno sceglie per sé ciò che ritiene sia meglio. E queste si ritrovano non solo tra gli zotici o gli ignoranti, ma anche tra i sapienti ed i dotti che escogitano a proprio arbitrio dottrine perverse, e fanno ciò che vogliono; pertanto, chiunque si separi deliberatamente dall’unità della Chiesa per istituire o accettare qualsiasi interpretazione a proprio arbitrio, è un eretico. E non solo ci riferiamo alle questioni di fede, ma si chiamano eresie anche credenze diverse ed ingannevoli, che sono da stimare come un nulla; tutte queste cose saranno esaminate dai santi Sacerdoti nel giorno del giudizio. Non è lecito per noi introdurre nulla ad arbitrio proprio, né accettare ciò che chicchessia abbia introdotto di propria iniziativa. Abbiamo gli Apostoli di Dio come nostri padri, gli stessi che non hanno osato introdurre nulla a proprio arbitrio, ma che ci hanno trasmesso fedelmente la dottrina ricevuta da Cristo. Quindi, « … anche se un Angelo del cielo ci predicasse qualcos’altro » (Gal I, 8), sarà considerato anatema. Tali sono le eresie contro la fede cattolica e condannate dagli Apostoli, dai Santi Padri e dai Concili. E queste, dal momento che sono in opposizione e dissentono l’una dall’altra per molteplici errori, con intento comune cospirano contro la Chiesa di Dio. Ed anche a colui che interpreta la Sacra Scrittura in un senso diverso dal sentimento con cui lo Spirito Santo che l’ha scritta suggerisce, non è lecito separarsi dalla Chiesa, potendosi così senza dubbio definire eretico.

LA SETTA

La parola setta deriva da “seguire” e “tenere“. Chiamiamo infatti setta la disposizione d’animo e lo stabilirsi di una dottrina, o il proposito perseguito nel sostenerla, di coloro che pensano nel culto della religione cose molto diverse dagli altri.

LO SCISMA

Si chiama scisma ciò che deriva della “scissione delle anime“. Si crede nello stesso culto e nello stesso rito che gli altri religiosi. [Gli scismatici] si differenziano solo per la divisione nella comunità, in modo da non condividere il concilio comune agli altri. Si verifica uno scisma anche quando gli uomini dicono: noi siamo i giusti; santifichiamo gli immondi, e molte cose del genere.

LA SUPERSTIZIONE

La Superstizione, è così chiamata perché è il credere a cose superflue o non comandate dalla Religione.

L’IPOCRITA

Hypocrita” è una parola greca che in latino significa “colui che finge“. Questi [gli ipocriti] sono possessori della conoscenza della sacra legge, predicano le parole della dottrina: tutto ciò che dicono lo dimostrano con testimonianze; eppure attraverso tutto questo, non cercano la vita dei loro ascoltatori, ma la lode di se stessi. Poiché non conoscono altre cose nel predicare se non quelle che inducono i cuori dei loro ascoltatori alla lode, essi non li fanno commuovere, perché le loro anime, occupate dai desideri esteriori, non sono riscaldate dal fuoco dell’amore divino e quindi non possono infiammare i loro ascoltatori con desideri celesti mediante parole che sono pronunciate invero da un cuore gelido; ed infatti una cosa che non è infiammata di per sé, non ne può infiammarne un’altra. Ed è così che la maggior parte delle volte le parole degli ipocriti non sono di insegnamento ai loro ascoltatori, e coloro che si mostrano vanitosi nel ricercare lodi, sono da queste peggiorati, come dice l’Apostolo: « la conoscenza gonfia, la carità edifica » (1 Cor VIII, 1). Spesso gli ipocriti si affliggono con grandi astinenze, indeboliscono ogni forza del loro corpo e vivendo nella carne eliminano come alla radice la vita della carne, e così con l’astinenza si appropriano della morte e vivono quotidianamente come se stessero morendo; infatti il loro volto impallidisce, il loro corpo si indebolisce e si agita, e il loro senso è oppresso da sospiri ininterrotti. Ma in tutte queste cose si cerca la parola dell’ammirazione dalla bocca dei propri prossimi, perché chi macera il suo corpo ma brama l’onore, crocifigge la sua carne, però vive per il mondo con la concupiscenza. Infatti, spesso, sotto l’apparenza della santità, una persona indegna ottiene una posizione di comando, e se non mostrasse una qualche virtù nella sua condotta, non meriterebbe di ottenere alcun onore. Ma ciò che si ottiene con diletto passa, e ciò che si ottiene con la fatica rimane. Ora la fiducia nella santità è posta nella bocca degli uomini, ma quando il Giudice interiore esamina i recessi più intimi del cuore, non cerca una testimonianza esterna di vita.

L’ARROGANTE

Si chiama arrogante, cioè audace ed orgoglioso, colui che pretende molto ed è sprezzante.

IL PRESUNTUOSO

Si dice presuntuoso colui che si eleva al di sopra della sua misura, considerandosi grande per le cose che compie.

IL DISPERATO

Volgarmente si chiama disperato un malvagio, perduto, che non ha alcuna residua  speranza. È così chiamato per la sua somiglianza con i malati, che, esausti e senza speranza, vengono deposti. Era abitudine degli antichi mettere i malati senza speranza davanti alle porte delle loro case, sia per rendere alla terra il loro ultimo respiro, sia perché potessero eventualmente ricevere la guarigione dai passanti che avevano sofferto già un tempo della stessa malattia.

IL NEMICO

Il nemico è il non amico: l’amico è chiamato custode dell’anima, ma il nemico ne è l’avversario. Due sono le cose che producono nemici: la frode e la paura. Ed infatti essi temono le frodi dai mali che hanno subito.

IL SUPERBO

Si chiama superbo chi vuol essere considerato più di ciò che è. Chi vuole andare oltre ciò che è, è un orgoglioso.

IL PUBBLICANO

Pubblicano è colui che esige le tasse pubbliche; è pure colui che, col pretesto del bene degli affari pubblici, persegue il lucro del mondo.

IL PECCATORE

Peccatore viene da “pellex“, cioè meretrice, come un dissoluto (pellicator). Questo nome tra gli antichi si applicava solo al vizioso; in seguito, questa parola passò a designare qualsiasi uomo iniquo.

LA PROSTITUTA

La fornicatrice (o prostituta) è colei il cui corpo è pubblico ed appartiene a tutti; essa si prostituiva sotto l’arco delle mura, che si chiamava “loca fornices”; da questo si chiamavano fornicatrici.

IL PREVARICATORE

Prevaricatore è un avvocato di mala fede che, quando parla per accusare o difendere, dimentica consapevolmente ciò che possa sfavorirlo, dichiara non richiesto ciò che è inutile e dubbio, e testimonia ciò che è falso per lucro.

LO STOLTO

Stolto è il fatuo, che a causa dello stupore non si muove. Quando è offeso, sopporta la sevizia per malizia, e non è né vendicativo, né si commuove davanti ad alcun dolore.

IL DRAGONE

Il dragone è il serpente, cioè il diavolo; ma prende il suo nome, che significa serpeggiare, dall’autore del suo nome. È anche il Leviatano, cioè il serpente marino, perché nel mare di questo secolo si muove rapidamente con astuzia. Leviatano significa “colui che si aggiunge a loro“. ,,, e a chi se non agli uomini? A coloro che per la prima volta in paradiso ha indotto al peccato della trasgressione, e con la sua persuasione lo ingigantisce di giorno in giorno fino alla morte eterna. Al serpente fu detto: « Maledetto sei tu tra tutte le bestie; sul tuo petto e sul tuo ventre camminerai » (Gen. III, 18). Qui in figura si vuole indicare il pensiero e l’orgoglio dell’anima. Per ventre si intende la lussuria della carne. Il diavolo, cioè il serpente, cammina sul petto e sul ventre, perché è su questi due parti che striscia colui che cerca di ingannarci, o con il pensiero superbo, o con la lussuria, che è con l’ingordigia del ventre. « … e mangerai la polvere », cioè ti apparterranno coloro che tu hai ingannato con l’avidità terrena. Quando fu detto al diavolo: mangerai la polvere, fu detto poi all’uomo peccatore: « … tu sei polvere e tornerai ad essere polvere », e l’uomo peccatore fu dato al diavolo come cibo. « Metterò inimicizia tra te e la Donna, tra il suo ed il tuo seme ». Il seme del diavolo è un cattivo consiglio o un pensiero peccaminoso. Quando uno ha un pensiero malvagio, allora il diavolo semina nel suo cuore. Il seme della Donna è il frutto di una buona opera. Quando uno pensa a ciò che è buono, allora semina il buon seme; e se ciò che ha pensato lo compie con le sue azioni, allora resiste ai consigli malvagi. La donna, cioè la carne, schiaccerà la testa del serpente se l’anima lo respinge nel momento stesso in cui si presenta la brutale tentazione. Esso ne insidia il calcagno, perché cerca fino alla fine di raggiungere l’anima che non ha potuto ingannare con la prima suggestione. Così, quando vide Cristo “uomo”, cercò di ingannarlo senza riuscirci. Ma Egli gli ha schiacciato la testa, non per il suo potere, perché era Dio, ma l’ha calpestata nell’umiltà della sua umanità, il che equivale alla morte. Come disse anche Davide per bocca del Padre riguardo al Figlio: « … calpesterai l’aspide ed il basilisco, calpesterai il leone e il drago » (Sal XC, 13). Ha chiamato l’aspide:  morte, e il basilisco: peccato; il drago che si annida nell’oscurità: il diavolo; ed il leone: Anticristo. Ora i servi di Dio, i seguaci di Cristo, li calpestano con i piedi mediante la loro fede e le loro opere, come dice la Verità nel Vangelo: « Io vi ho dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni e di calpestare ogni avversario, e nulla vi farà del male in alcun modo » (Lc. X, 19).

I CAVALLI

I cavalli del Signore sono quelli che Zaccaria vide mandati nel mare, cioè a predicare nel mondo. Questi cavalli sono tre: quello bianco, che rappresenta il candore del Battesimo; quello nero, che è il lutto della penitenza; il terzo è rosso, perché è la passione del martirio. Questi tre sono uno solo ed il loro cavaliere è Cristo.

I CAVALLI MALVAGI

Anche di tali cavalli ce ne sono tre: il primo è rosso, cioè sanguinario e omicida. Il rosso di cui abbiamo parlato in precedenza, è rosso ugualmente ma per il suo stesso sangue; questo invece è rosso per il sangue di altri. Il secondo cavallo è anche nero, come quello di cui abbiamo parlato prima, ma il primo era nero per la penitenza, mentre il secondo è nero per le sue opere, e questa è la fame spirituale nella Chiesa, cioè la predicazione evangelica che non è da nessuno più proclamata. Il terzo cavallo è pallido e l’inferno lo segue (Ap. VI, 8). Questa è la morte spirituale nella Chiesa. Perché attraverso il peccato viene la morte. Questi tre cavalli sono uno solo, e il loro cavaliere è il diavolo.

LA BESTIA

[8] La bestia prende il nome da “devastare”, cioè divorare. Daniele vide quattro bestie nella sua visione. « … La prima era come una leonessa e aveva le ali d’aquila. La seconda bestia era come un orso. La terza bestia era come un leopardo. La quarta bestia, spaventosa e terribile, e forte in modo straordinario; aveva denti di ferro: divorava e faceva a pezzi, e ne calpestava il residuo con i piedi. Era diversa dalle altre bestie e aveva sette teste e dodici corna » (Dan. VII, 3-7). Queste quattro bestie sono questo mondo che si divide in quattro parti: Oriente, Occidente, Settentrione e Meridione; si possono pure intendere come quattro regni e cioè: nella leonessa, il regno di Babilonia. Nell’orso, il regno dei Medi e dei Persiani. Nel leopardo, il regno di Macedonia e, nell’orribile e forte, il regno di Roma, che ha grandi denti di ferro e divora e calpesta, perché nel suo regno sono stati compiuti tutti i martirii. Eppure questi quattro sono un unico mondo. Così pure Nabucodonosor vedeva nella statua della sua visione … (Dan. II, 31) come uno in figura d’uomo; ma vedeva in quattro parti le sue membra di colori diversi: cioè la testa d’oro, che è la prima parte del mondo; il petto e le braccia d’argento, che è la seconda; la terza di bronzo, che è la terza parte, cioè il ventre e i lombi; la quarta parte, con i piedi in parte di ferro ed in parte di argilla. In questi piedi bisogna capire chiaramente che è rappresentata la fine di questo mondo, perché i piedi sono la parte estrema del corpo. La pietra che cade dal monte è il Figlio di Dio, nato dalla Vergine, che colpisce la statua ai piedi, cioè che viene alla fine del mondo e porta, con gli Angeli, la pace del mondo, ed è Lui stesso il Re della sua Chiesa per il mondo intero, cioè Egli riempie il mondo con la pietra (Dan. II, 36). Queste quattro bestie, quindi, sono un’unica bestia, che sappiamo essere descritta in questo libro con sette teste e dieci corna. Le sette teste e le dieci corna sono una cosa sola. Le teste si riferiscono a tutti i re; le corna sono tutti i regni, e tra le dieci corna si dice che c’era un piccolo corno. Diciamo, allora, quello che hanno scritto tutti gli scrittori della Chiesa: alla fine del mondo, quando il regno dei Romani sarà distrutto, ci saranno dieci re che divideranno il regno di Roma. E l’undicesimo che sorgerà sarà un piccolo re che sconfiggerà tre re tra i dieci re: cioè il re dell’Egitto, dell’Africa e dell’Etiopia, come diremo più chiaramente in seguito. Quando questi tre saranno uccisi, anche gli altri sette re sottometteranno il loro collo allo stesso undicesimo re, che è il piccolo corno. Questi è l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’Anticristo, perché si siederà nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio. Questi non viene ancora sotto le specie del suo corpo, ma ha il suo regno in questa bestia e nei quattro cavalli malvagi menzionati, di cui si dice dal Profeta: « Stendi le tenebre e viene la notte e vagano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i leoncelli in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo. » (Psal. CIII, 20). Ecco perché Giobbe dice: « Le fiere si ritirano nei loro ripari e nelle loro tane si accovacciano. » (Giobbe XXXVII: 8). A cos’altro si riferisce con il nome di bestia se non all’antico nemico che, con crudeltà, riuscì ad ingannare il primo uomo con la violenza e, consigliandolo male, distrusse l’integrità della sua vita? Contro di essa per voce del Profeta che parla della santa Chiesa degli eletti, che deve essere restaurata nell’antica situazione persa nel paradiso, si promette « che … nessuna bestia feroce la percorrerà » (Is. XXXV, 9). Ma questa bestia, dopo la venuta del Redentore, dopo le voci dei predicatori, come dopo il tuono delle nuvole, quando alla fine del mondo si impossesserà di quell’uomo condannato che si chiama Anticristo, dove andrà se non nella sua tana, per abitare nella sua stessa tana? Quel vaso è l’antro del diavolo, il covo della bestia, affinché, ingannando gli uomini che camminano sulla via di questa vita, egli possa nascondersi in essa con segni, ed uccidere con malizia. Egli possiede i cuori di tutti i reprobi attuali, già prima ancora di apparire manifesto; li possiede con la sua occulta malizia, come la sua stessa tana. E desidera tutto ciò che può nuocere al bene, e si nasconde nelle loro anime oscure. Non erano forse posseduti da questa bestia i cuori dei Giudei persecutori, nel cui cuore si nascondeva con numerosi consigli, e che improvvisamente irrompeva dalle voci di coloro che dicevano: « crocifiggilo, crocifiggilo? » (Lc. XXIII: 21). E non riuscendo a danneggiare lo spirito del nostro Redentore, anelava alla morte della sua carne. Certamente questa bestia possedeva il cuore di molti degli eletti; ma l’Agnello, mentre essa si nutriva di loro, la costringeva a lasciare andare la preda. Per questo il Vangelo dice: « Ora il sovrano di questo mondo sarà scacciato » (Gv. XII, 31). Perché con ammirevole e giusto giudizio, quando il Signore, illuminandoli, ricevette la confessione degli umili, chiuse, abbandonandoli, gli occhi dei superbi. Come è detto: « hai mandato le tenebre e la notte è calata ». Il Signore manda le tenebre quando ritira la luce dalla sua intelligenza, quando rende giustizia per i peccati. E scende la notte, perché lo spirito dei malvagi è accecato dagli errori della loro ignoranza. In essa camminano tutte le bestie della foresta, quando gli spiriti maligni – sotto l’ombra dell’inganno – percorrono i cuori dei reprobi riempiendoli con la loro malvagità. Anche qui i leoncini ruggiranno, perché gli spiriti, servi dei poteri infami ma possenti, sorgeranno con inopportune tentazioni. Eppure aspettano il loro cibo da Dio, perché non possono certo catturare le loro anime, se non per volontà di Dio, e sulle quali, per una giusta decisione, non è loro permesso trionfare. Perciò, a ragione aggiunge: « … il sole è sorto ed essi si sono riuniti e sono tornati alle loro tane » (Psal. CIII, 22). Infatti, quando la luce della verità apparve nella carne, essi furono scacciati dalle anime dei fedeli e ritornarono come alle loro tane, per abitare solo nel cuore degli infedeli. Quella che lì è stata chiamata la tana dei leoni, è qui chiamato “antro”, la tana della bestia. Penso che dovremmo notare che questa bestia non solo entri nella sua tana, ma – si dice – che in essa dimori. A volte essa entra persino nello spirito dei buoni: suggerisce ciò che è illecito, si adopera con le sue tentazioni, cerca di piegare la rettitudine dello spirito al piacere carnale, si sforza anche di raggiungere il consenso nel piacere; però, resistendo con l’aiuto divino, gli viene impedito di trionfare. Egli può dunque entrare nelle anime dei buoni, ma non può dimorare in esse, perché il cuore del giusto non è l’antro di questa bestia. Di coloro che essa possiede come sua tana, ha certamente le anime come sua dimora; poiché li induce prima nei loro pensieri a desideri iniqui e poi con i loro desideri iniqui, ad azioni malvagie. Ed infatti i reprobi non si sforzano di rifiutare i suoi malvagi consigli con retto giudizio, perché vogliono porsi al servizio delle sue voluttà con una dilezione sottomessa. E quando qualcosa di depravato nasce nei loro cuori, è immediatamente assecondato il desiderio del piacere. Non essendo opposta la minima resistenza, esso diventa subito forte con il consenso, ed immediatamente è portato all’azione, azione poi ripetuta d’abitudine. Non c’è da stupirsi che questa bestia abiti nella sua tana, perché possiede per tanto tempo i pensieri dei reprobi, fino a trafiggerne pure la vita con il pungiglione delle opere pravi.

IL POZZO

Il pozzo è la profondità della terra, dove il sole non giunge mai con i suoi raggi, in quanto proprio a causa della sua profondità, non può ricevere la luce del giorno. Il pozzo, la tana, la grotta, la caverna della terra, sono tutti la medesima cosa, perché qui gli uomini che camminano nelle tenebre di questo mondo, sono privi del sole della giustizia: Cristo, non vi diffonde la sua luce. Poiché essi sono nel profondo, cioè perseguono le ricchezze terrene, la luce della giustizia è loro nascosta. Lo stesso si dice per il pozzo quel che abbiamo detto della tana. In questo pozzo si nasconde il diavolo; da questo pozzo sono uscite le cavallette, cioè i demoni; e questo pozzo e le cavallette sono una cosa sola. Perché gli uomini malvagi hanno come condottiero il diavolo. Come dice il Profeta: « … ciò che il bruco ha lasciato, lo ha divorato la locusta; ciò che la locusta ha lasciato, lo ha divorato l’afide; ciò che l’afide ha lasciato, lo ha divorato il grillo » (Gioele I: 4). Qual è il significato del bruco, che trascina tutto il corpo strisciando a terra, se non la lussuria, che macchia così tanto il cuore, che non può più assurgere all’amore di una superiore limpidezza? Qual è il significato della locusta, che salta, se non la vanagloria, che si esalta con le sue vane presunzioni? Qual è il significato dell’afide, il cui corpo è praticamente ridotto solo all’addome, se non la golosità nel mangiare? Cosa si intende per grillo, che dà fuoco a tutto ciò che tocca, se non l’ira?

LA DONNA SEDUTA SULLA BESTIA

« La donna sulla bestia » è il vizio, le opere del male, i piaceri, la fornicazione, l’impurità, l’avidità, la gelosia, il furto, l’invidia, la vanità, l’orgoglio, l’ingordigia. Chi gioisce dei beni del mondo, chi non ha carità, chi non fa il bene ai poveri, chi affligge i servi di Dio con ingiurie ed oltraggi, chi non si separa dal suo, ma si impossessa dell’altrui, chi non va in Chiesa, chi testimonia il falso, chi rende il male per il male, chi augura la morte al nemico, chi pratica oroscopi ed incantesimi e porta amuleti, come quelli che gli ignoranti chiamano il segno di Salomone, o altri simboli simili che di solito si scrivono e si appendono al collo, e raccolgono erbe recitando il Credo, il Padre Nostro, o con incantesimo, e le donnine che guardano la tela di ragno o le impronte, e gli uomini che guardano la luna e il giorno per seminare, o per addomesticare gli animali, o per istruire i bambini, o per piantare alberi, o per eseguire un gioco, o per uccidere animali, o per spostarsi da un luogo all’altro, o per fare un viaggio, o sono attenti a non far nulla di lunedì; a non portare via qualcosa dalla casa. … niente fuoco, niente boccone. Tutte queste e altre cose simili sono invenzioni del diavolo, e stabilite dalla pratica di uomini pagani. Chi osserva ciò che abbiamo appena detto non è un figlio degli Apostoli, ma dei demoni, di cui imita le opere. Questa è la donna viziosa, che siede sulla bestia e che abbiamo precedentemente nominato. Questa è la donna che siede sulle acque, cioè sui popoli, come sta scritto: « la donna – dice – che avete visto, che siede sulle grandi acque, sono i popoli e le nazioni » (Ap. XVII, 15). Questa dottrina è sopravvissuta dalla riprovevole scuola dei pagani. Questo non è accettato dal dogma dei Padri e dalla Santa Madre Chiesa. Anche alcuni religiosi, con il pretesto della santità, spesso consultano libri e investigano su formule per sapere di cosa si tratti: li chiamano sortilegi dei santi. Queste ed altre cose come queste, sono state inventate da eretici e da pagani: ciò che non è basato sull’insieme dei libri, cioè del Nuovo e dell’Antico Testamento, è stato precedentemente condannato dalla santa dottrina e rifiutato dalla Santa Madre Chiesa. E a chi poco, a chi molto, essa dà da bere di questa coppa di idolatria. È d’oro il calice, perché [tali idolatri] si definiscono Cristiani, ma con queste opere che abbiamo visto riassunte nella Sinagoga, si separano da Cristo e dalla Chiesa; infatti come la Chiesa ha Cristo come Capo, questi hanno come capo il diavolo. E come la Chiesa forma un solo corpo con Cristo, così questi con il diavolo formano un unico corpo strutturato, e con la Chiesa Cattolica sembrano adorare un solo Signore Cristo, avere una sola fede ed un solo battesimo. La Madre Chiesa non li respingerà in questo mondo fino al giorno del giudizio, quando i campi saranno trebbiati e il grano sarà separato dalla pula, in modo che il grano sia conservato nel granaio e la pula bruciata nel fuoco inestinguibile.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (4)