COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (2)

(Voce che grida nel deserto Matth III, 3)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (2)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO PRIMO

[1] INIZIA IL TRATTATO DELL’APOCALISSE DI GIOVANNI con la spiegazione interpretata da molti dottori e da uomini illustri probatissimi, dei quali diverso è lo stile, ma unica la fede: dove saprete pienamente (ciò che si dice) di Cristo e della Chiesa; dell’Anticristo e dei suoi segni.

PROLOGO

[1]. Dovendo interpretare la duplice storia della legge divina, con il doppio segreto del mistero, la fragilità della nostra umanità non potrebbe narrare in altro modo se non mutuando dall’Autore stesso della sua legge – il Signore Gesù Cristo – il suo modo di parlare e le parole del suo linguaggio. Perciò, dovendo commentare l’Apocalisse di San Giovanni, invoco lo Spirito Santo che in essa dimora, affinché Colui che ha rivelato a Giovanni gli arcani dei suoi segreti, ci apra la porta della comprensione interiore, in modo da poter spiegare senza colpa e manifestare con verità – Dio docente – le quante cose ivi siano state scritte. Pertanto, l’inizio del libro di cui trattiamo, si descrive come segue: (*)

(*) Testo latino della Volgata e versione italiana di Mons. ANTONIO MARTINI RIVEDUTA E CORRETTA DAL P. MARCO M. SALES O. P. Professore all’Università di Friburgo (Svizzera)

(Apoc. I, 1-6)

Apocalypsis Jesu Christi, quam dedit illi Deus palam facere servis suis, quae oportet fieri cito: et significavit, mittens per angelum suum servo suo Joanni, qui testimonium perhibuit verbo Dei, et testimonium Jesu Christi, quæcumque vidit. Beatus qui legit, et audit verba prophetiæ hujus, et servat ea, quæ in ea scripta sunt : tempus enim prope est. Joannes septem ecclesiis, quae sunt in Asia. Gratia vobis, et pax ab eo, qui est, et qui erat, et qui venturus est: et a septem spiritibus qui in conspectu throni ejus sunt:  et a Jesu Christo, qui est testis fidelis, primogenitus mortuorum, et princeps regum terræ, qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo, et fecit nos regnum, et sacerdotes Deo et Patri suo: ipsi gloria et imperium in sæcula sæculorum. Amen.

[Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: ed egli mandò a significarla per mezzo del suo Angelo al suo servo Giovanni, il quale rendette testimonianza alla parola di Dio, e alla testimonianza di Gesù Cristo in tutto quello che vide. Beato chi legge, e chi ascolta le parole di questa profezia: e serba le cose che in essa sono scritte: poiché il tempo è vicino. – Giovanni alle sette Chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi, e pace da colui, che è, e che era, e che è per venire: e dai sette spiriti, che sono dinanzi al trono di lui: e da Gesù Cristo, che è il testimone fedele, il primogenito di tra i morti, e il principe dei re della terra, il quale ci ha amati, e ci ha lavati dai nostri peccati col proprio sangue, “e ci ha fatti regno, e sacerdoti a Dio suo Padre: a lui gloria, e impero pei secoli dei secoli: così sia].

SPIEGAZIONE DELLA STORIA SOPRA DESCRITTA

[2] Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: Già dal fatto che si chiami Apocalisse, cioè rivelazione, si comprende come essa manifesti il senso recondito di cose segrete. Per questo non è possibile comprenderle, a meno che non ci sia qualcuno che ne riveli il senso. L’Apocalisse di Gesù Cristo che Dio ha concesso a lui, cioè al beato Apostolo Giovanni, per manifestarla ai suoi servi, affinché si intenda ciò che dice e si manifesti ciò che egli ha conosciuto. “… le cose che devono presto accadere”, indicando che esse debbano realizzarsi molto rapidamente, nel corso del tempo, nel suo senso e nel suo significato. “E mandò il suo Angelo per farlo conoscere al suo servo Giovanni”, cioè tutto questo non è stato concepito dal pensiero, né scritto come un poema immaginario, bensì comunicato da un Angelo, messaggero di verità, al suo servo Giovanni, il più santo fra tutti gli Apostoli: colui che ha testimoniato il Verbo di Dio, che ha annunciato il Figlio di Dio, che ha affermato la sua divinità ed ha reso testimonianza a Nostro Signore Gesù Cristo, a tutto ciò che ha visto in Lui e sentito da Lui. Così infatti scriveva nella sua Epistola: « Noi vi dichiariamo ciò che abbiamo visto e sentito e toccato con le nostre mani riguardo al Verbo di vita, e la vita si è manifestata … » (1 Gv. I,1). Benedetto colui che legge e coloro che ascoltano le parole di questa profezia e conservano ciò che vi è scritto. Desidera che si comprenda che la lettura non implichi l’osservanza dei Comandamenti, né che l’ascolto presupponga la perfezione dell’opera da compiersi, ma che alla perfezione si giunga quando ci si sforzi di mettere in pratica ciò che si è letto ed ascoltato. Perché il tempo è vicino. Non annuncia lontano il momento della remunerazione per chi vi si conformi, ma al contrario dice che il dono della ricompensa divina è vicino. Poi inizia le sue comunicazioni e dice: Giovanni alle sette Chiese dell’Asia. Come mai si è chiamato un tal grande uomo a manifestare il mistero della rivelazione divina ad una sola provincia e non a tutti i popoli, destinando i suoi scritti ad un numero così esiguo di Chiese di un’unica provincia? Ed infatti: … dal sorgere del sole al tramonto, il nome del Signore sia lodato ed in ogni luogo sia fatta una oblazione pura al Suo nome (Mal. I, 11). Si può allora mai credere che la rivelazione apostolica sia stata meritata da un solo popolo asiatico? Ed ecco che c’è mistero nel numero, ed un sacramento nel nome della provincia. Dobbiamo allora innanzitutto considerare il significato di questo numero, poiché i numeri sei e sette, che appaiono costantemente nella Legge, sono riportati per conferirvi un significato mistico. In sei giorni Dio fece il cielo e la terra e nel settimo giorno si riposò dalle sue opere (Es. XX, 11); ed in questo, di nuovo dice, entreranno nel mio riposo. Questa settimana, quindi, significa la situazione del secolo presente, per cui non sembra che l’Apostolo si sia rivolto a sette Chiese o a chiunque vivesse nel mondo in quel momento, ma che abbia avuto l’intenzione di destinare i suoi scritti a tutti gli uomini futuri fino alla consumazione dei tempi; pertanto ha citato un numero dal valore sacro e ha nominato l’Asia, che in latino significa “elevata”, o “che va verso l’alto”. Si si riferisce, quindi, alla patria celeste, a quella che noi chiamiamo Chiesa Cattolica, innalzata dal Signore e sempre in cammino verso l’alto, e che, progredendo nell’impegno spirituale, desidera incessantemente le cose del cielo. Sia a voi pace da Dio, che è, che era e che deve venire… – Come la Scrittura ha dichiarato il suo nome nel titolo, col dire: Giovanni alle sette chiese dell’Asia, così si conferma a Giovanni, con la similitudine delle parole, il proprio Essere, dicendo: Colui che è, Colui che era, e Colui che verrà. Perché è proprio di Dio l’esistere sempre: per questo Egli dice a Mosè: « Io sono Colui che sono » (Es. III, 14). E lo stesso Apostolo dice nel Vangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio con Dio (Gv. I, 1). Questo implica che il Verbo sia antecedente ad ogni inizio, perché esisteva già nel principio; e che non ha avuto un inizio, perché era con Dio; né ha una fine, perché … il Verbo era Dio; e rimane sempre, perché era nel principio con Dio; e dice che Egli stesso deve ritornare qui, da dove non è mai partito. Infatti è Lui che dice: « Io riempio il cielo e la terra » (Ger. XXIII, 24; Eccl. XXIV, 6). Per questo il Saggio dice: « Io solo ho traversato la volta del cielo » (Sap. 1, 7). Per lo stesso motivo è pure scritto sul suo Spirito: « Lo Spirito del Signore ha riempito la terra » (Is. LVI, 1). Ed ancora dice il Signore: « Il cielo è il mio trono e la terra è il mio sgabello » (Is. LXVI, 1). E di Lui è anche scritto: « Egli misura il cielo con la mano e afferra la terra con il pollice » (Is. XL,12). Certo, la sede di chi presiede è nel profondo ed in un luogo elevato. Misurando il cielo con il palmo della mano e afferrando la terra con il pollice (c’è un riferimento implicito alle misure di larghezza, il palmo ed il pollice), Egli mostra di essere fuori e attorno a tutte le cose che ha creato, poiché ciò che è chiuso dentro dipende da chi lo chiude dall’esterno. Perciò, dalla sede da cui presiede, Egli è dentro e sopra; con il pollice che afferra, è fuori e sotto; infatti Egli stesso rimane dentro a tutte le cose e fuori da tutte le cose, sopra tutte le cose, sotto tutte le cose: è sopra con il suo potere, è sotto col sostenerle. È fuori per la sua grandezza, e dentro per la sua sottigliezza. Sopra governando, sotto sostenendo, fuori circondando e dentro penetrando. E non è superiore da una parte, inferiore da un’altra, fuori da una e dentro in un’altra, ma è tutto in uno, Egli sostiene ogni parte presiedendo, sostenendo; penetra roteando, circonda penetrando. Così, chi presiede dall’alto, dal basso sostiene; chi è intorno da fuori, da dentro tutto riempie; imperturbabile governa dall’alto, dal basso sostiene senza sforzo; penetra di dentro senza consumare, circonda dall’esterno senza premere. E così, senza occupare un posto, è sia inferiore che superiore; senza avere un’estensione, è immenso; senza raggiungere l’annientamento, è sottile. Perché si dice che viene Colui che, pur non essendo mai presente con una massa corporea, a causa della sua illimitata sostanza, non è mai assente? Ma la sua venuta è giunta in quanto ha assunto una forma e si è annientato da se stesso. Il suo annientamento, venendo dall’invisibilità della sua divinità, è stato il mostrarsi visibile. Perciò dice bene: Colui che è, che era e che deve venire, perché rimane ed era, quando ha fatto tutte le cose con il Padre, e non ha avuto la sua origine dalla Vergine, ma certamente verrà a giudicare. … e dai sette Spiriti che sono davanti al suo trono. Ed ecco quel sacramento settenario che viene annunciato ovunque. Qui si presentano i sette spiriti, che sono sempre un uno ed un medesimo Spirito, cioè lo Spirito Santo: è uno nel Nome e septiforme per i suoi doni. Invisibile ed incorruttibile, impossibile da scoprire, ed il cui numero di “sette doni” Isaia manifesta splendidamente, dicendo: Spirito di sapienza e di intelletto,  (Is XI, 2), per insegnare con sapienza ed intelletto che Egli è il Creatore di tutte le cose. Lo Spirito di consiglio e di fortezza, con cui è progettato e realizzato. Lo spirito di scienza e di pietà, perché per mezzo della sua scienza governa con pietà le cose create e le dirige sempre con misericordia. Lo Spirito di timore del Signore, è il dono che mette a disposizione delle creature razionali il timore del Signore. Questa da venerare è dello Spirito la stessa santa proprietà, che, più che indicarne l’aspetto naturale, ne implica l’ineffabile lode. – … e da Gesù Cristo, il Testimone fedele, il Primogenito dai morti, il Principe dei re della terra. Avendo in precedenza menzionato il Verbo che, prima di assumere la carne, era nella gloria con il Padre, ne annette ora necessariamente l’aspetto umano nella carne assunta, dicendo: E di Gesù Cristo, il Testimone fedele, confessando così il suo Essere divino con l’assunta umanità, nonché il suo intervento – mediante la sua Passione ed il suo Sangue – a riscatto dei nostri peccati e per la purificazione da ogni iniquità. Così Egli offre una testimonianza fedele della nostra fragilità ed infermità a Dio Padre, nel quale « … non c’è variazione né ombra di cambiamento » (Gc. I,17). Il primogenito dai morti: infatti, primogenito dei morti, è risorto dai morti, non potendo la morte trattenerlo. Per questo l’Apostolo dice: « … Cristo come primizia, poi quelli che sono di Cristo alla sua venuta » (1 Cor. XV, 23), cioè noi dopo che siamo stati chiamati Cristiani per il Battesimo, risuscitando nella sua seconda venuta, risorgiamo dai morti. E quindi è chiamato il primogenito e la primizia dai morti, perché è stato il primo che vincendo l’inferno è tornato in Paradiso. Questo è il Principe dei re della terra, perché è il Re dei re ed il Signore dei signori. Egli è Colui che ci ha amati: perché non abbiamo noi ricambiato l’amore amando Dio, ma è Egli che ci ha amati per primo, diventando uomo in soccorso della nostra bassezza e prendendo la forma di servo, non essendoci nessuno come Lui sulla terra, poiché ogni uomo è solo un uomo, ma solo Lui è Dio ed uomo. Nessun uomo è infatti come Lui, perché anche se un “figlio adottivo” diviene partecipe della divinità, in nessun modo può iniziare ad essere divinizzato già nel corso della sua vita naturale. È stato poi giustamente chiamato servo, non avendo disdegnato di assumere la condizione di servo. E nell’assumere l’umiltà della carne, non arrecò ingiuria alla sua Maestà, perché l’ebbe ricevuta per associarla (ipostaticamente) e non per cambiare il suo stato; e non ha sminuito la sua divinità a causa dell’umanità, né ha distrutto l’umanità mediante la divinità.  – S. Paolo, infatti, vi fa riferimento quando dice: « … il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio » (Fil. II, 6). Egli non l’ha derubata, perché già la possedeva. E spogliatosi della grandezza della sua invisibilità, apparve come un uomo visibile, per rivestirsi della condizione di servo mentre per l’innanzi penetrava tutte le cose in modo incircoscritto a causa della sua divinità. … ed ha lavato con il suo sangue i nostri peccati. Mostra qui l’affetto del suo amore e della sua carità. Perché Egli, al quale non sarebbe toccata la morte, né per natura né per condizione mortale, ha voluto morire per noi e così,ha lavato con il suo sangue i nostri peccati.Ed ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre. Infatti avendo sofferto per noi e risorto dai morti, Egli stesso ha costruito il nostro regno affinché meritassimo di essere sacerdoti di Dio Padre. Ha fatto di noi un regno quando ha sofferto ed è risorto dai morti. A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. A Dio, Creatore di tutte le cose, sia lode eterna e gloria in sempiterno.

TERMINA LA S PIEGAZIONE

COMINCIA LA STORIA

(Apoc. I, 7-11)

Ecce venit cum nubibus, et videbit eum omnis oculus, et qui eum pupugerunt. Et plangent se super eum omnes tribus terræ. Etiam: amen. Ego sum alpha et omega, principium et finis, dicit Dominus Deus: qui est, et qui erat, et qui venturus est, omnipotens. Ego Joannes frater vester, et particeps in tribulatione, et regno, et patientia in Christo Jesu: fui in insula, quæ appellatur Patmos, propter verbum Dei, et testimonium Jesu: fui in spiritu in dominica die, et audivi post me vocem magnam tamquam tubæ, dicentis: Quod vides, scribe in libro: et mitte septem ecclesiis, quæ sunt in Asia, Epheso, et Smyrnæ, et Pergamo, et Thyatiræ, et Sardis, et Philadelphiæ, et Laodiciæ.

[Ecco che egli viene colle nubi, e ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo trafìssero. E si batteranno il petto a causa di lui tutte le tribù della terra: così è: Amen. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e il fine, dice il Signore Iddio, che è, e che era, e che è per venire, l’onnipotente. Io Giovanni vostro fratello, e compagno nella tribolazione, e nel regno, e nella pazienza in Gesù Cristo, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos, a causa della parola di Dio, e della testimonianza di Gesù. Fui in ispirito in giorno, di domenica, e udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò, che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea.]

INIZIA LA STORIA

[3] Ecco, Egli viene tra le nuvole; ogni occhio lo vedrà, e anche quelli che lo trafissero. –  Colui che dapprima si è nascosto nel presunto uomo, si manifesterà poi con maestà e nella gloria per giudicare. Predice la sua morte e, come conseguenza della morte, la purificazione dai peccati, la sua risurrezione e la riparazione ventura di tutto quanto avvenuto per mezzo di Lui, il ritorno nella gloria e, proclamando la lode a Dio Padre Onnipotente, annuncia la sua seconda venuta: Egli tornerà nella stessa figura, con lo stesso corpo con cui ha patito, con cui è morto ed è risorto, stavolta nella sua Sovranità divina, non come un tempo nella umana umiltà, assunta a testimonianza dell’uomo vero, e che mostrerà agli occhi dei suoi persecutori. Come dice Zaccaria: « Essi guarderanno a colui che hanno trafitto e piangeranno per lui come per un figlio unico » (Zac. XII, 10), così anche qui si dice che tutte le razze della terra piangeranno per Lui. Sì. Amen. In altre parole, Egli manifesta fedelmente e con certezza che si tratta di una sola Persona: Dio e l’uomo assunto; e avendo reso manifesta la natura della sua umanità, proclama la gloria della natura divina, e lo dice con le parole stesse del Signore: Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e il fine, dice il Signore Dio, che è, che era, che deve venire, l’Onnipotente. Anche se i nostri antenati hanno trattato la questione con cura ed utilità, dobbiamo esporre ciò che si intende per  “peristera”, cioè la colomba, sotto la cui figura leggiamo che è apparso lo Spirito Santo quando il Signore è stato battezzato da S. Giovanni nel Giordano; questa “peristera” (περιστερα), nella numerazione greca, dà ottocento, che equivale all’ω, ritornando alla lettera alfa, che significa uno. Si dimostra così la divinità dello Spirito Santo nell’unità della Trinità. Che lo Spirito Santo stesso ci conceda i suoi favori affinché ci possa meritare di aggiungere qualcosa ai nostri maggiorenti. Prudentemente dobbiamo notare cosa significhino questi elementi dell’alfabeto, cioè la A e l’ω, che la “Verità” stessa cita. La figura stessa della lettera A, sia in caratteri greci che latini, è costituita da tre tratti che occupano le stesse dimensioni, cosicché, non a caso, i nostri antichi dicevano che rappresentasse l’unità della divinità. L’ω è scritta in greco con tre trattini uguali uniti e che in parte dipendono l’uno dall’altro. In latino, invece, la “O” è chiusa come la rotondità di un cerchio. Anche in questa chiusura la divinità si manifesta circondando e contenendo tutto. Inoltre, per quanto riguarda il soggetto degli elementi e delle lettere, questi elementi sono l’origine della scienza, ed una certa arte di condurre l’ignorante alla saggezza. Quindi l’alfa, è l’inizio della sapienza, e la stessa Sapienza manifesta Cristo, il Figlio di Dio, che è la Sapienza stessa; l’omega, che è la fine (in greco A ed ω) e presso di noi la “O”, che occupa una posizione intermedia. Ciò significa che l’inizio della Sapienza, la fine e la medianità, indicano lo stesso Signore Gesù Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini. Con quel che ha detto: “il principio e la fine”, non si riferisce solo ai principali elementi delle lettere, cioè alla A e all’ω, ma ci mostra la potenza della sua grandezza, perché Egli è l’inizio di tutte le cose ed in Lui si ricapitola il destino di tutti. Si crede infatti che attraverso di Lui saranno ripristinate quelle cose che devono essere concluse come quelle già conchiuse, così che, come Egli ha dato origine al principio, così darà fine alla nostra consumazione, tanto che il fine stesso avrà una fine e la consumazione stessa la sua consumazione, di modo che sarà sempre ciò che è, come dice la Scrittura presente, nel dire: Il Signore Dio, che è, che era e che deve venire, l’Onnipotente: Questo è scritto da San Giovanni all’inizio della sua rivelazione. – Ora procede con altro inizio cercando di accedere all’ordine stesso della rivelazione, raccontando la ragione, il come, il dove, ed in qual giorno, tutto ciò che ha detto dopo che il Signore gli ha mostrato quel che gli ha rivelato e quel che il Signore ha contemplato. Afferma tutto questo in senso multiplo, anche se con brevi parole. Scrive così l’inizio della sua santa rivelazione, rivolgendosi a coloro a cui parla, dicendo: Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella pazienza di Gesù, sono stato sull’isola chiamata Patmos, a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo. Come insegnavano gli storici della Chiesa, ai tempi di Claudio Cesare, nel tempo in cui scoppiò la carestia annunciata dal profeta Agabo negli Atti degli Apostoli (At. XI, 28) e durata dieci anni, Cesare stesso, in mezzo a quella tempesta, spinto dalla sua ordinaria vanità, decretò la persecuzione delle Chiese. In questo tempo ordina che pure lo stesso Giovanni, Apostolo di Nostro Signore Gesù Cristo, sia confinato in esilio; questa punizione sull’isola di Patmos è provata anche dalla presente Scrittura. – Infatti, per prepararsi alla sofferenza di quei tempi, ricorda che anch’egli partecipa alla sofferenza, e indica come ricompensa della tribolazione il regno e, per ricevere il regno, aggiunge di aver sopportato con la pazienza avuta per amore di Gesù. Poi racconta del luogo dove era stato trasferito, dicendo: ero sull’isola chiamata Patmos. Per spiegare il perché fosse stato condannato a tale pena, aggiunge: Per la parola di Dio e la testimonianza di Gesù, facendo intendere che egli a causa della predicazione del Vangelo e della testimonianza fedele che predicava al popolo sulla divinità di nostro Signore, fu punito con l’esilio e grandi tribolazioni”. E vivendo su quell’isola, dice, sono stato catturato dallo Spirito di domenica. Dice di essere stato assunto in spirito, cioè innalzato ai segreti di Dio, per contemplare ciò che dovrà dire; non dice di essere entrato corporalmente nel più alto dei cieli, ma di esservi stato introdotto in spirito, ricordando quella frase: « Nessuno sale in cielo se non colui che scende dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è nei cieli » (Ef. IV, 9). Anche l’Apostolo Paolo dice di essere stato rapito. Ma come? Così si esprime: Non so se nel corpo o fuori dal corpo; Dio lo sa » (2 Cor. XII, 2), dicendoci che è stato rapito dallo Spirito durante un’estasi. Qui, dicendo di essere stato assunto in spirito di domenica, ricorda di essere stato liberato dalle occupazioni del lavoro comune; infatti la domenica l’Apostolo non poteva che dedicarsi a cose e ad uffici sacri, sapendo che quel giorno è giorno della risurrezione del Signore, considerato pure il primo giorno della prima Creazione del mondo. – Anche in quello stesso giorno, a porte chiuse, Gesù si presentò ai suoi discepoli, ed essi pensarono di vedere uno spirito, udendo dal Signore: Toccate e vedete: lo spirito non ha carne né ossa, che aggiunse poi: Ricevete lo Spirito Santo. In quel giorno i santi Apostoli ricevettero lo Spirito con il quale i peccati sarebbero stati rimessi, per cui sarebbero diventati figli di Dio e sarebbe stato concesso ai credenti lo Spirito di adozione. Cinquanta giorni dopo, pure di domenica, questo (stesso Spirito) fu dato loro con maggiore pienezza onde battezzare nello Spirito Santo e fortificarsi per predicare il Vangelo di Cristo a tutti i popoli. Il beneficio era di natura apostolica, perché coloro che prima avevano ricevuto la grazia di perdonare i peccati, avrebbero ricevuta in seguito anche quella di operare i miracoli e, quella ancor più necessaria, della diversità delle lingue di tutti i popoli, in modo che nell’annunciare Cristo non avrebbero avuto bisogno di alcun interprete. – Lo proclamo io con audacia e in tutta libertà: dal momento in cui gli Apostoli hanno creduto nel Signore, hanno sempre avuto lo Spirito Santo. Ed infatti non potevano fare miracoli senza la grazia dello Spirito Santo. Ma poiché lo Spirito era tutto nel Signore, non risiedeva ancora pienamente negli Apostoli. Tuttavia, dopo che la grazia dello Spirito Santo venne infusa in loro, essi non hanno avuto paura dei tribunali, dei giudici o della porpora dei re, parlando in seguito liberamente ai governanti dei Giudei: « … Dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini » (At. V, 29); hanno resuscitato i morti, erano lieti in mezzo ai flagelli, hanno versato il loro sangue e ricevute le corone del martirio. Il giorno di Pentecoste ha avuto il suo prologo quando la voce di Dio si è fatta udire sul Monte Sinai, tuonando dall’alto. Nel Nuovo Testamento la Pentecoste è iniziata quando è stato dato lo Spirito Santo agli Apostoli. Lo stesso giorno la Legge fu data a Mosè. In quel giorno venne donata nel deserto la manna dal cielo, … per questo si chiama il “giorno del Signore”: in esso, astenendosi dalle opere servili e dalle lusinghe del mondo, è dunque opportuno dedicarsi soltanto ai culti divini, cioè santificando questo giorno nella speranza della nostra risurrezione, che abbiamo nella sua. Poiché, come nostro Signore Gesù Cristo è risorto il terzo giorno dai morti, così noi speriamo di risorgere nell’ultimo secolo in questo giorno del Signore (la domenica). E così in questo giorno si prega anche in piedi, segno della futura risurrezione. Questo fa tutta la Chiesa, che nel pellegrinaggio mortale di questo secolo si trova in attesa della fine del mondo, che si è manifestata in anticipo nel corpo del Signore Nostro Gesù Cristo, primogenito dei morti. – D’altra parte, in precedenza, prima di quel tempo, al popolo era stato imposto il sabato, per celebrarlo corporalmente, affinché servisse come figura; e viene interpretato come il riposo, perché prima della venuta di Cristo nostro Redentore, esso era il riposo dei morti e non c’era risurrezione per nessuno; e giustamente, come per il Signore esso fu il giorno in cui si era riposato dal compimento delle sue opere, in quello stesso giorno avrebbe anche riposato nella tomba. Tuttavia, la domenica è stata istituita non per i Giudei, ma per i Cristiani, a causa della Risurrezione del Signore. È questo un giorno di festa; è pure il primo giorno che, dopo il settimo, diventa l’ottavo giorno. In un tale giorno appunto, l’Apostolo entrò in cielo, nel giorno in cui sapeva che il Signore aveva compiuto tante cose. – In quello stesso giorno in cui resuscitò, diede la Legge per mezzo di Mosè. Mosè visse centoventi anni; per questo stesso motivo lo Spirito Santo discese su centoventi anime a Pentecoste (riunite per l’elezione di Mattia). Questa festa del Vangelo coincide con la festa della Legge. A questo scopo, il legislatore Mosè, poiché era conveniente che fosse suggellato e celato fino all’arrivo della sua passione, si coprì il volto con un velo e così parlò al popolo, volendo dimostrare che anche le parole della predicazione di Nostro Signore Gesù Cristo sarebbero state velate. Giovanni, però, celebrando la domenica, viene portato in spirito alla sede del Giudizio, affinché ciò che era stato suggellato dalla lettera della Legge, fosse reso manifesto dallo Stesso che l’aveva suggellato, da Colui che viene chiamato l’Agnello perché come ucciso. – E le cose che aveva velato attraverso Mosè, le ha rivelate attraverso Cristo, e mostrate in quelle cose rivelate a Giovanni. Per questo motivo, quella si chiama velazione e questa rivelazione. Ecco perché, ora che il volto di Mosè è scoperto e si manifesta, l’Apocalisse è detta rivelazione. Sono gli scrittori dei libri sacri che parlano per ispirazione divina e che sono i dispensatori dei precetti celesti a nostra istruzione. Si ritiene infatti che l’Autore di queste Scritture sia lo Spirito Santo. Infatti lo scrisse Egli stesso, dettando ciò che doveva essere scritto, attraverso i suoi Profeti.

Termina la spiegazione

(Apoc. I, 10-20)

Et audivi post me vocem magnam tamquam tubæ, dicentis: Quæ vides, scribe in libro: et mitte septem ecclesiis, quae sunt in Asia, Epheso, et Smyrnæ, et Pergamo, et Thyatiræ, et Sardis, et Philadelphiæ, et Laodiciæ. Et conversus sum ut viderem vocem, quae loquebatur mecum: et conversus vidi septem candelabra aurea: et in medio septem candelabrorum aureorum, similem Filio hominis vestitum podere, et præcinctum ad mamillas zona aurea: caput autem ejus, et capilli erant candidi tamquam lana alba, et tamquam nix, et oculi ejus tamquam flamma ignis: et pedes ejus similes auricalco, sicut in camino ardenti, et vox illius tamquam vox aquarum multarum: et habebat in dextera sua stellas septem: et de ore ejus gladius utraque parte acutus exibat: et facies ejus sicut sol lucet in virtute sua. Et cum vidissem eum, cecidi ad pedes ejus tamquam mortuus. Et posuit dexteram suam super me, dicens: Noli timere: ego sum primus, et novissimus, et vivus, et fui mortuus, et ecce sum vivens in sæcula sæculorum: et habeo claves mortis, et inferni. Scribe ergo quae vidisti, et quæ sunt, et quae oportet fieri post hæc. Sacramentum septem stellarum, quas vidisti in dextera mea, et septem candelabra aurea: septem stellæ, angeli sunt septem ecclesiarum: et candelabra septem, septem ecclesiæ sunt.

[ …udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea. E mi rivolsi per vedere la voce che parlava con me: e rivoltomi vidi sette candelieri d’oro: e in mezzo ai sette candelieri d’oro uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: e il suo capo e i suoi capelli erano candidi come lana bianca, e come neve, e i suoi occhi come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi simili all’oricalco, qual è in un’ardente fornace, e la sua voce come la voce di molte acque: e aveva nella sua destra sette stelle: e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli: e la sua faccia come il solfo (quando) risplende nello sua forza. E veduto che io l’ebbi, caddi ai suoi piedi come morto. Ed egli pose la sua destra sopra di me, dicendo: Non temere: io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, e fui morto, ed ecco che sono vivente pei secoli dei secoli, ed ho le chiavi della morte e dell’inferno. Scrivi adunque le cose che hai vedute, e quelle che sono, e quelle che debbono accadere dopo di queste: il mistero delle sette stelle, che hai vedute nella mia destra, e i sette candelieri d’oro: le sette stelle sono gli Angeli delle sette Chiese: e i sette candelieri sono le sette Chiese.]

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SUA SPIEGAZIONE

E ho sentito dietro di me una grande voce, come di tromba, che diceva: Scrivi in un libro quello che vedi. Dei predicatori del Vangelo è stato scritto: « clama, ne cesses, quasi tuba exalta vocem magnam tamquam tubæ » [gridate ad alta voce, non abbiate paura, alzate la voce come tromba] (Is. LVIII,1); e di ciò che è detto dietro di me, il profeta dice: « sentiranno da loro la parola di Colui che li istruisce » (Is. XXX, 21). Tutta l’umanità, anche se innalzata all’altezza della santità dai decreti divini, equiparati alla voce divina, non è in grado di sopportare nello stesso tempo la presenza e la contemplazione del volto; ma, umiliata dalla fragilità della natura, ascolta le parole di Dio come se le provenissero dal di dietro. Pertanto, con il dire alle mie spalle, indica l’umiltà della umanità; una voce forte come una tromba, insegna come le parole divine godano di un maggiore timbro di saggezza, di una maggiore santità e di un suono più ampio che i sensi. Scrivi in un libro ciò che vedi; e si intende, perché quando si ascolta la parola divina, quando si ha la comprensione di ciò che è inaccessibile, non solo si aprono gli occhi, ma anche le orecchie, sì da vedere ciò che è nascosto, ed apprendere ciò che si intende; cosicché si ordina di scrivere nei libri ciò che si è visto. Di questo libro il Signore parla attraverso il profeta dicendo: « Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato ». (Ger. XXXI, 33). Questo è il libro in cui all’Apostolo si avverte di scrivere ciò che ha visto, si insegna ad instillarlo nel cuore degli ascoltatori ed a conservarlo nella memoria. Di questo libro dice il santissimo maestro dei gentili: « Voi siete la nostra carta, nascosta nei vostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini » (2 Cor. III, 2). E di quello che Giovanni scrive, gli vien detto pure a chi debba indirizzarlo: invialo – dice – alle sette chiese. Avendo già detto che la Chiesa è solo una nello svolgersi del mondo, cioè nel tempo fino alla fine del mondo, vediamo ora cosa indichino i nomi di quelle chiese, e quali insegnamenti contengano. Efeso – dice – Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Queste città hanno forse esse sole raggiunto la perfezione nella religione cristiana, oppure la loro voce si è diffusa su tutta la terra, e le loro parole fino ai confini della terra? C’è, tuttavia, in quei nomi un mistero che, per quanto Dio ci concederà, esamineremo con diligenza. Efeso significa la mia volontà o mio consiglio. Con questo si vuol rendere noto che l’intero sviluppo della nostra fede e la dignità della Chiesa Cattolica non sia da attribuire ad un merito umano, ma alla volontà ed ai disegni della grazia divina. Smyrne, poi, significa loro canto; e qual altro è il canto dei perfetti se non la dottrina celeste, la predicazione del Vangelo, e il progresso della Religione cristiana, ed una sonante confessione della Chiesa Cattolica? “Pergamo” significa colui che divide le sue corna; questo ci insegna che la comunità della Chiesa separa ed allontana l’insolenza delle potenze dell’aria, il cancro degli eretici e l’orgoglio dei potenti. Infatti il  “corno” è il potere o il cancro (= tumor). Tiatira, che è l’illuminata, significa che la santa Chiesa, dopo aver cacciato gli eretici, dopo i tumori dei potenti, dopo le potenze dell’aria, dopo aver resistito alle tentazioni, ha meritato la luce della giustizia. Sardi è il principio di bellezza, cioè la Chiesa che, avendo ricevuto il sole della giustizia, illuminata dalla luce della verità, possiede il principio della bellezza, vale a dire: il Signore Gesù Cristo, il cui germoglio brillerà sempre nella luce eterna. – Filadelfia, cioè colei che conserva aderendo al Signore, dopo aver ricevuto il Sole di giustizia, dopo la santa illuminazione, dopo lo splendore della santa bellezza, aderendo la Chiesa al Signore come premio, si conserva nella devozione inviolabile e nel culto divino. Laodicea, l’amata tribù di Dio o, come alcuni vogliono, colei che spera nella nascita. Ma entrambi significano che colei che per la bellezza della sua fede ha meritato il Sole di giustizia ed ha saputo aderire al Signore per la fede, è la tribù di Dio, amata, difesa, diretta dal Signore, e attende la sua nascita o la rigenerazione del Battesimo, o attende con umiltà e pazienza la gloria della Risurrezione. – Di tali gradazioni della Chiesa, questi sono i nomi distinti. E non senza motivo sono stati scritti i nomi delle suddette Chiese. Infatti, perché a colui che parla al mondo intero, gli si dice di scrivere solo a sette chiese? Questo è il mistero che il Signore ha voluto che colui con cui parlava capisse nel sacramento celeste: e che cioè in questi sette nomi designati, è contenuta la Chiesa di tutto il mondo, indicata sia dal numero mistico, sia dalla dignità di tutta la Chiesa. Ho visto ancora una volta quale voce mi parlava. La fragilità umana, corroborata dagli insegnamenti divini, volge il suo volto: e non dice di contemplare colui che ha parlato con sé, se non di vederne la voce, cioè di conoscerne il mistero della voce. Si contemplano quindi gli arcani misteri, ma non se ne vede il volto. E quando mi sono girato, ho visto sette candelabri d’oro. E quando ho conosciuto il mistero della voce, dopo la prima visione della voce, ho visto sette candelabri d’oro. Il candelabro che poggia su tre braccia (piedi) mantiene la totalità del corpo in posizione verticale, e questo corpo sovrapposto regge la lucerna luminosa. « E nessun altro fondamento può essere posto – dice l’Apostolo – se non quello già posto, che è Gesù Cristo » (1 Corinzi III:  11). « Da lui tutto il corpo è unito e tenuto insieme da ogni tipo di articolazione, nutrito dall’attività di ciascuno dei suoi membri, in modo che il corpo cresca e si costruisca nell’amore » (Ef. IV, 16). Questa è la verga di cui si detto: « dalla radice di Iesse scaturirà una verga » (Is. XI, 1). Su questa asta è posta la lucerna, cioè la luce della Chiesa Cattolica, affinché, ricevuta la verità di quella luce, essa produca la luce eterna e, con la professione unanime di un’unica fede, sia illuminata dalla luce della Maestà divina. Ed egli dice che sono sette [i candelabri]: riassume così la grazia septiforme dello Spirito Santo, che perdura lungo questa settimana del mondo. E che egli dica che siano d’oro, significa o che la forza della fede è irrorata dal sangue di Gesù Cristo, o la fede dei martiri nella Chiesa, che sono stati bagnati nel suo sangue rosso. E in mezzo ai sette candelabri d’oro, c’era uno come un figlio di un uomo, vestito con una tunica talare. Dice lo stesso, dopo aver vinto la morte, quando è salito al cielo, e questo corpo è stato unito allo spirito della sua gloria, quando ha ricevuto il potere dal Padre. Come un Figlio d’uomo che camminava in mezzo ai candelabri d’oro, come dice Salomone: « Camminerò in mezzo ai sentieri dei giusti » (Prov. VIII, 20). La sua vetustà è l’immortalità, origine della maestà. I sette candelabri d’oro sono le sette chiese che, quando sono unite come delle membra, formano un corpo unico. E l’abito del Figlio dell’uomo, cioè l’abito talare di cui ha parlato, descrive la Chiesa dalla quale era rivestito. Poiché il Figlio dell’uomo, e i sette candelabri d’oro, e le sette stelle, sono tutti un’unica Chiesa, e con sette membra formano un unico corpo: così come sappiamo che un uomo ha sette funzioni per mezzo delle membra, e cioè gli occhi, le orecchie, il naso, il gusto, il tatto, le mani ed i piedi, così si è parlato di sette funzioni delle membra che formano però un unico corpo. Ma nell’usare le allegorie, egli le divide in specie: così che in alcune specie manifesta chiaramente anche il genere, mentre in altre, a causa dell’eccessiva sottigliezza e dell’eccelso messaggio divino, non se ne può esprimere chiaramente il genere, che può essere più facilmente intravisto che espresso in parole. Divide infatti il genere in parti in tal modo: come l’arca di Noè, così è la Chiesa. L’arca nelle parti inferiori era larga, mentre nelle parti superiori era più stretta. Così chi segue la via ampia e spaziosa all’interno della Chiesa, non è considerato un uomo, bensì una bestia, ed infatti si dice che qui ci siano anche animali impuri accoppiati a due a due. Invece, gli uomini e gli uccelli abitano ai piani superiori. Egli chiama uomini gli esseri razionali; mentre per uccelli si intendono coloro che rimangono nella contemplazione della fede. Come noi crediamo che le otto anime, gli animali e gli uccelli dentro l’arca siano salvati, così nella Chiesa crediamo all’annuncio profetico: « E tu, o uomo di Giuda, e abitanti di Gerusalemme, vieni a giudicare tra me e la mia vigna » (Is. V, 3), e come Gerusalemme, l’uomo e la vigna sono una cosa sola: vale a dire la Chiesa: il vino del Signore Sabaoth è la casa d’Israele: e nella grande casa che è la Chiesa; infatti conclude dicendo: la vigna del Signore Sabaoth è la casa di Israele, e nella casa grande che è la Chiesa, ci sono vasi d’oro e di argento (2Tim. II, 20), ed i vasi stessi sono la casa di Dio. Ed ancora: « sono uscite da lei i portatori dei vasi del Signore » (Is. LII,11), cosicché i portatori stessi sono i vasi. Il re di Babilonia un tempo aveva portato via da Gerusalemme i vasi del Signore, destinati ai sacrifici ed ai sacri misteri, ma in seguito li riportò indietro insieme ai prigionieri e li ripristinò al loro uso; e per la misericordia di Dio, quando la prigionia fu finita, quegli stessi vasi asportati, e non rovinati, furono nuovamente impiegati nell’adorazione dei sacri misteri; il re di Babilonia è il diavolo, che ha portato in cattività l’infelice popolo giudaico di Gerusalemme – cioè la Chiesa – a Babilonia, che è la confusione della pravità eretica. Ma questa è anche la sorte dei vasi, cioè dei Sacramenti, che sono gli stessi Sacramenti che si amministrano nella Chiesa. Questi vasi furono trasferiti dal re di Babilonia insieme ai prigionieri. Così anche oggi nella Chiesa i sacerdoti eretici portano i nostri vasi a Babilonia, cioè nella confusione. Innanzitutto, il nome proprio di Cristo, per mezzo del quale si può dire di essere veri Cristiani: si trasmette la Legge, il Vangelo, l’Epistola, il Salterio, il Battesimo, l’Amen e l’Alleluia, il Credo e il Padre Nostro. Quando poi, abbandonata la confusione dell’ignoranza per il rispetto del Signore, il popolo si affretta a tornare sotto il giogo del Signore a Gerusalemme,  “visione della pace”, che è la Chiesa del Dio vivente, riporta con sé questi vasi, cioè i Sacramenti, non li cambia, ma li restituisce integri, e non li spezza per perfezionarli, ma li riporta al tempio e li usa per i servizi divini, in modo tale che il popolo si riempia di gioia per il ritorno di quei vasi che non solo non sono andati perduti, quando erano con loro, ma sono stati conservati integri, e quasi rinnovati in meglio, stando in mezzo agli empi. E non aboliamo il Vangelo, né distruggiamo l’Apostolo. Né tanto meno cambiamo l’Amen o l’Alleluia. Non ripetiamo il Battesimo. E, come abbiamo detto sopra, in alcune specie il genere è chiaro, mentre in altre è occulto, come dice Davide: « Signore, chi abiterà nella tua tenda? – E lo Spirito risponde – … chi ha mani innocenti e cuore puro » (Psal. XIV, 1). E come non c’è altra dimora per Dio sulla terra se non quella di “chi ha mani innocenti e cuore puro”, così ora nei sette candelabri si descrive la Chiesa del Figlio dell’uomo. Vestito, dice, con una veste talare, cioè con l’abito sacerdotale. Perché la veste talare è la veste sacerdotale, cioè la carne di Cristo, che non è stata distrutta dalla morte, ma che con la Passione ha indicato chiaramente il sacerdozio. Egli infatti è, come dice l’Apostolo: il principe dei pastori (1 Pt. V, 4). Di lui il maestro dei Gentili dice: « Tale è il Sommo Sacerdote che è adatto a noi: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, esaltato sopra i cieli » (Eb. VII, 26). Ed ancora dice Zaccaria: « Gesù sommo sacerdote, figlio di Josedech, vestito con abiti sordidi » (Zac. III,1). Di questo Gesù, sommo sacerdote, fu figlio Sirac e nipote Gesù, del quale si parla in Salomone (Eccl. L, 27). Infatti, come detto, nel Sacerdozio c’è tutta la Chiesa, perché non esiste sulla terra una sola realtà umana la cui natura non sia stata assunta da Cristo. E aveva cinto il petto con fascia d’oro. I due seni del Signore sono i precetti della Legge e la santa dottrina del Vangelo, come si legge nel Cantico sulla Chiesa la quale doveva venire da gente futura che non possedeva ancora Testamenti: « Abbiamo una sorella minore, e non ha ancora il seno. » (Cant. VIII: 8) Invece, alla madre delle Chiese viene detto questo: « I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. (Cant. IV, 5). Le due gazzelle gemelle sono il popolo giudaico e quello dei gentili. I due seni, sono la Legge ed il Vangelo: quel che nella Legge fu annunziato, nel Vangelo venne realizzato. Parimenti è per le benedizioni dei seni di Maria, che sono stati veramente benedetti, poiché la Santa Vergine ha dato al Signore il nutrimento del latte: per questo una donna dice nel Vangelo: « Benedetto il grembo che ti ha partorito e i seni che ti hanno allattato » (Lc. XI, 27). E come si dice in Genesi: « con la benedizione dei seni e del grembo materno » (Gen. XLIX, 25). Anche qui è benedetto il grembo di quella vergine Madre che ha partorito Cristo Signore: di Lei si dice per mezzo di Geremia: « Prima di formarti e di conoscerti nel grembo di tua madre, e prima che tu nascessi ti ho consacrato » (Ger. I, 5); … e per mezzo di Salomone: « i tuoi seni, come grappoli » (Cant. VII,7). Perché, come abbiamo detto sopra, i due seni sono i due Testamenti, e le due gazzelle i due popoli che sono la Chiesa. In questa specie, quindi, si può vedere anche il genere, e nei Testamenti si può riconoscere la Chiesa, nella quale i Testamenti, da ciò che realizzano, formano la somiglianza: infatti i Testamenti non la pascono ma è la Chiesa che si nutre dei Testamenti; non sono i Testamenti a versare il sangue, ma i popoli che lo versano come l’uva pigiata. Ed ecco come frequentemente nelle Scritture si incontrano diverse classi di questo inciso, per cui chi compie un’azione riceve il nome di quel che realizza. Come anche, al contrario, il diavolo ed i suoi ministri sono chiamati morte ed inferno, perché sono per molti causa di morte e condanna all’inferno, come sta scritto: Dov’è il tuo pungiglione, o morte? (I Cor. XV, 55) Come anche il diavolo, che si chiama morte, possiede la morte ed il lago di fuoco, che è la seconda morte (Ap. XX, 14). Pure in questo libro leggiamo: il Vangelo eterno (Ap. XIV, 6): perché coloro che vivono secondo il Vangelo sono eterni; ed infatti eterno è il frutto degli insegnamenti, non gli insegnamenti stessi. Infatti l’insegnamento del Vangelo non sarà eterno: e se uno ti costringe a percorrere un miglio, fanne con lui due (Mt. V, 41), e cioè chi si affaticherà, sarà eterno. Così pure la carne ed il sangue non possono possedere il Regno di Dio. È per le opere, che noi crediamo che la carne regni, non perché si viva carnalmente. Così si dice anche del calice che lo contiene, ciò che contiene, « … quanto è bella il tuo calice che inebria, » (Psal. XXIII, 5). Ma il calice di per sé, non inebria nessuno, mentre questo fa il contenuto nel calice. « E il mondo vi odia » (Gv., XV, 19), e questo a causa di coloro che sono nel mondo. « E i giorni sono malvagi »: i giorni non possono essere malvagi, ma sono malvagi gli uomini che vivono nei giorni. Quindi, nei seni riconosciamo i due Testamenti, cioè la Chiesa che vive secondo i Testamenti. Ugualmente, nel Vangelo, il Signore parla del seme, o degli insegnamenti, o degli uomini: il nemico – dice – è venuto, (Mt. XIII, 19), e ha portato via ciò che era stato seminato nel cuore, cioè le parole degli insegnamenti. Nella similitudine seguente, invece, il Signore dice che « … il seme buono, questi sono i figli del regno » (Mt. XIII, 38). Qui dunque, non è in causa la parola dell’insegnamento, ma gli uomini stessi che si convertono con il seme dell’insegnamento. E quando dice: cinto il petto, questo cingersi è il segnale della passione, come quando ugualmente dice: quando sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove non vuoi andare (Gv. XXI, 18). La fascia d’oro rappresenta quindi la sua eterna potenza, poiché è il sangue versato nella passione del Signore. La colorazione di questa cintura, la diversità dei poteri ed i numerosi prodigi, rappresentano un unico e medesimo potere. La cintura d’oro è il coro dei Santi, provato come l’oro dal fuoco. La cintura, con cui si dice si cinga il petto, è la coscienza purificata ed il puro senso spirituale dato alle Chiese; cintura quindi nell’unità della Legge e del Vangelo, per il popolo giudeo ed il gentile. La sua testa e i suoi capelli erano bianchi, come la lana bianca o la neve. Nel capo si manifesta il candore. Infatti la testa di Cristo è Dio. Egli è il candore, per la bellezza della purezza che gli è connaturale, per la luce pura dell’Unigenito, per il puro splendore dello Spirito Santo e la bellezza immacolata della santità. Il capo della Chiesa è Cristo. Con i capelli bianchi ci si riferisce alla moltitudine degli albeggianti [i battezzati]. Sono essi paragonati alla lana, indicando le pecore; e alla neve, per l’innumerevole turba di candidati che si darà al cielo. E non senza ragione si chiama candore, che è simile alla lana bianca e alla neve, a motivo del perdono che si concede continuamente ai peccatori. Come sta scritto: « Anche se i tuoi peccati fossero scarlatti, biancheggeranno come la neve, e se rossi come il carminio, diventeranno come la lana bianca » (Is. I, 18). Questi sono pure la Gerusalemme che ogni giorno discende dal cielo: vale a dire che dal popolo santo nascono i Santi, e questo quando imitano i Santi; così come la bestia che sale dall’abisso, che è il popolo malvagio, si genera a sua volta dal popolo malvagio. E i loro occhi sono come una fiamma di fuoco. Si riferisce qui agli occhi del Signore che giudica per l’ineffabile prescienza. Con la inevitabile luce degli occhi, non senza ragione è designata una fiamma di fuoco: perché è scritto che « il nostro Dio è un fuoco divoratore » (Eb. XII, 29), che giudica cioè con giustizia e scruta i cuori; altrove gli occhi della Chiesa sono gli insegnamenti delle Scritture di Dio, ed altre volte lo Spirito Santo. Con gli occhi comprendiamo l’insegnamento del Signore, che è luce per gli ignoranti, come è scritto: « la tua parola è una fiaccola per i miei piedi » (Psal. CXVIII, 105). « Chiaro è il comandamento del Signore, illumina gli occhi (Psal. XVIII, 9). Ed i suoi precetti sono come il fuoco, come si dice di Giuseppe, che prefigurava il corpo del Signore, per bocca del profeta: « la parola del Signore lo aveva messo nel fuoco » (Psal. CIV, 19). E quel che dice essere come una fiamma di fuoco, è per gli increduli, per i quali nel giorno del Giudizio, gli insegnamenti del Signore saranno come il fuoco. Con ragione, quindi, gli insegnamenti di Dio sono occhi come fiamme di fuoco, che danno luce ai credenti e preparano il fuoco agli  increduli. Chiamiamo gli occhi lo Spirito Santo perché è attraverso di Esso che interpretiamo la Legge ed il Vangelo, così come è scritto: « le sue palpebre vagliano il giusto e il malvagio » (Psal. X, 4). Quando incontriamo qualcosa di oscuro nelle Scritture, apriamo le palpebre come nell’oscurità. E quando non comprendiamo, abbiamo le palpebre del Signore chiuse come nelle tenebre. E se lo Spirito Santo non è dentro di noi ad insegnarci, la lingua dei dotti lavora invano. « E lo stesso Spirito Santo intercede per noi con gemiti inesprimibili » (Rm. VIII, 26), come dice l’Apostolo, ed infatti ci fa gemere, affinché possiamo sempre pregare. E i suoi piedi sembravano come auricalco proveniente dal Libano, versato nella fornace. Chiamiamo i piedi del Signore: la natura umana, che Egli ha assunto a nostra salvezza: per questo lo chiamiamo misericordioso e compassionevole. L’auricalco prezioso che brilla nella fornace non è impregnato da impurità o da scorie, così come la carne purissima e perfetta dell’Umanità assunta, ricevuta dalla divinità e rimasta nella divinità, persiste senza i peccati della natura umana, lungi dalla colpa dei nostri ancestri. Questi piedi annunciano la pace e predicano la salvezza: la pace per gli Angeli e per gli uomini: la pace del popolo giudeo e gentile. « Egli è colui che ha fatto di entrambi i popoli uno solo » (Ef. II, 14), per essere tutto in tutti, salvezza del mondo e Re di ogni creatura. I piedi infuocati della Chiesa, li chiama infiammati a causa dell’afflizione subita degli ultimi tempi. Infatti i piedi sono la parte estrema del corpo, come la pietra staccata dalla montagna colpisce ai piedi il corpo dei regni del mondo (Dan. II: 34). Lo ha paragonato all’auricalco non senza ragione. Esso con un fuoco abbondante ed una ramatura, diventa di colore aureo. Ed il confrontarlo con il metallo prezioso del Libano non è cosa immotivata. Infatti il Libano è una montagna della Giudea. Per Libano si intende il candore del Battesimo. Giudea significa confessione: Cristiani e confessori si considerano essere la Chiesa. Per questo si insegna che in Giudea, cioè tra i fratelli, l’ultimo corpo di Cristo, quello cioè della fine del mondo, è sottoposto al fuoco soprattutto nei piedi: che questa fornace è proprio nella casa di Dio, ed i fedeli sono messi alla prova, lì dove anche il Signore è stato crocifisso e messo alla prova per noi. In Zaccaria il Signore stesso parla chiaramente, ed esige dal suo popolo sofferenze simili alle sue, quando ricevette la sua parte in sicli d’argento, cioè il prezzo della sua morte; e nella fornace – cioè nella sua casa, tra la sua gente, tra il suo popolo – ed ordina che siano gettati nel fuoco, per verificare se siano veraci. Come si legge: « Poi dissi loro: “Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare”. Essi allora pesarono trenta sicli d’argento come mia paga. Ma il Signore mi disse: “Getta nel tesoro questa bella somma, con cui sono stato da loro valutato!”. Io presi i trenta sicli d’argento e li gettai nel forno della casa del Signore. » (Zac. XI, 12-13). Ed ancora: « Perciò così dice il Signore: Poiché vi siete tutti cambiati in scoria, io vi radunerò dentro Gerusalemme. Come si mette insieme argento, rame, ferro, piombo, stagno dentro un crogiuolo e si soffia nel fuoco per fonderli, così io, con ira e con sdegno, vi metterò tutti insieme e vi farò fondere; vi radunerò, contro di voi soffierò nel fuoco del mio sdegno e vi fonderò in mezzo alla città. Come si fonde l’argento nel crogiuolo, così sarete fusi in mezzo ad essa ». (Ez. XXII, 19-22). In questo libro non troverete altro che, all’interno della Chiesa, guerre, incendi, grandi tribolazioni e afflizioni che Dio si è degnato di rivelare alla sua Chiesa attraverso il suo Cristo, affinché possa evitare e fuggire dal mistero dell’iniquità, cioè dalle « spirituali nequizie nelle regioni celesti » (Ef. VI, 12), cioè all’interno della Chiesa: Soprattutto, affinché, con l’imminente separazione della tribolazione, il popolo di Dio sappia che dovrà sopportare per molti anni tali e tante disgrazie, tanto più perché non lo comprenderà, ma, sotto la guida dello Spirito di Dio, eviterà il male ogni giorno e con equanimità e pazienza sopporterà le afflizioni come l’oro provato nella fornace. La sua voce è come il suono delle grandi acque. Nella voce è rappresentata la Chiesa. Le acque in questo luogo, possono intendersi in due modi: i popoli e la dottrina celeste; i popoli, come si legge in questo libro, sono: le acquedice – che avete visto, dove siede la prostituta, con cui fornicano i re della terra, che sono i popoli e le nazioni (Ap XVII, 15). Ma qui le acque sono considerate la voce del Signore, e sono intese come i Santi del Signore. I predicatori della fede ed i maestri delle genti, per la grandezza della dottrina di Cristo e l’eleganza della loro voce, nonché per la santa dolcezza degli insegnamenti delle Scritture, sono comparati ad una moltitudine di acque che risuonano. Di queste acque è scritto: le nuvole tuonavano con un grande suono d’acqua (Psal. LXXVII, 18). Pertanto, possiamo considerare quest’acqua come i santi Dottori ed i Sacerdoti della Chiesa, le istruzioni divine e la sacra promulgazione della Legge e del Vangelo. Sono le nuvole che riversano questa dottrina celeste sulla terra assetata, cioè sul popolo ignorante: di queste il saggio disse: « Se le nuvole sono piene, versano pioggia sulla terra » (Eccl. XI, 3); cioè, se i Dottori hanno ricevuto le divine parole, certamente le comunicano al popolo. E teneva nella sua mano destra sette stelle: noi definiamo il Figlio la mano destra di Dio; ma in altro senso la sua mano destra è la moltitudine dei Santi; di cui è scritto: « le anime dei giusti sono nella mano di Dio » (Sap. III, 1). Le sette stelle che nomina, significano indubbiamente il tempo trascorso dall’inizio del mondo, e che durante questa settimana di sette giorni, attraverso la quale passa questo mondo, i Santi che sono esistiti dal primo inizio del mondo fino alla consumazione della morte, che esistono e crediamo che esisteranno, rimangono nella destra del nostro Dio e Signore. Questa è la Chiesa spirituale, che è a destra, alla quale Egli dice: « Venite, voi, benedetti del Padre mio, ricevete il Regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo » (Mt. XXV, 34). Le sette stelle, quindi, le consideriamo i Santi nella loro globalità. – Queste sono le sette Chiese, che, riunite nella grazia settiforme dello Spirito Santo, costituiscono l’unica Chiesa. E dalla sua bocca uscì una spada a due tagli. Se questa spada esce dunque dalla testa, così certamente anche dal corpo. Con la spada a doppio taglio uscita dalla bocca, si insegna che Colui che ora manifesta al mondo intero i beni del Vangelo, è lo stesso che un tempo, attraverso Mosè, ha dato la conoscenza della Legge. L’Apostolo dice di questa spada: « la spada dello spirito che è la parola di Dio » (Ef. VI, 17). E in altro luogo: « … Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. » (Ebr. IV, 12). Noi crediamo che la spada di Dio sia la parola della Sua Legge, dei Suoi Comandamenti e della Sua dottrina divina. E poiché Egli giudicherà tutta l’umanità con la stessa parola, sia del Nuovo che dell’Antico Testamento, si dice che sia a doppio taglio e affilata da ogni lato, che serva così da arma per i fedeli e che uccida gli infedeli. Infatti la spada è l’arma del soldato: la spada uccide il nemico; la spada punisce il disertore; e per insegnare agli Apostoli, quando annuncia il giudizio, dice: « Non sono venuto a portare la pace, ma una spada » (Mt. X, 34). E dopo aver concluso le parabole, dice loro: « Avete capito tutto questo? » (Mt. X, 34). Gli risposero: ““. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ». (Matt. XIII, 51). Il nuovo: la parola evangelica; il vecchio: la Legge ed i Profeti. E questo è ciò che è pure uscito dalla sua bocca quando dice a Pietro: «  … va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una statera, cioè due monete. Prendile e consegnale loro una per me ed una per te » (Mt. XVII, 26). Allo stesso modo, Davide dice per mezzo dello Spirito: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite; » (Psal. LXII, 12), perché Dio ha decretato una volta, all’inizio, ciò che deve accadere fino alla fine. Infine, essendo Egli il Giudice nominato dal Padre, volendo insegnare che tutto sarà giudicato dalla parola della predicazione, dice: « Pensate che io vi giudicherò? La parola che io ho pronunciato sarà il vostro giudice » (Gv. XII, 47). La spada della sua bocca è il seme della parola, come ci dice attraverso Giobbe: « … io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli. » (Giob. XXXI: 8). Seminare a somiglianza della parola divina, diciamo che è predicare le parole di vita. E il profeta dice: « Beati voi, che seminate sopra tutte le acque. » (Is. XXXII, 20). Vide certamente che i Santi predicatori seminavano adattandosi a tutte le acque, che davano a tutti i popoli di tutto il mondo le parole di vita che sono come grano di pane celeste. Mangiare è essere soddisfatti delle buone opere, come dice il Signore: « il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato » (Gv. IV, 34). Ma se tralascia di fare ciò che ha annunciato, dice: « lasciate che qualcun altro mangi ciò che semino », come se dicesse chiaramente: ciò che la mia bocca dice, lasciate che lo realizzi qualcun altro e non io. In verità, il predicatore, le cui azioni contraddicono le sue parole, non gusta ciò che altri mangia, perché non si nutre della sua semina quando per cattiva condotta le sue parole difettino della rettitudine della sua vita. E tante volte i discepoli ascoltano inutilmente le cose buone, quando a causa della vita del maestro, esse vengono distrutte dagli esempi della loro condotta, e giustamente si aggiunge: i miei virgulti saranno strappati. Poiché la parola del dottore viene sradicata quando i nati dalla parola vengono uccisi dall’esempio, e coloro che sono generati da una lingua vigilante, vengono uccisi da una vita negligente. Non lasciate dunque che accada a noi – perché le nostre anime sono addormentate – ciò che è accaduto a quella donna al tempo di Salomone (1 Re III: 19) che uccise suo figlio mentre dormiva, mentre di solito lo allattava al seno quando era sveglia. Perché sicuramente i maestri che sono vigili nella dottrina, ma sonnolenti nella loro vita, uccidono i loro ascoltatori con il loro portamento sonnacchioso, che si nutrono delle veglie della predicazione e poi  dimenticano di fare ciò che dicono. Perciò, spesso, quando vivono in modo riprovevole e non possono avere discepoli con una vita degna di lode, cercano di appropriarsi degli altri, e volendo dimostrare di avere dei buoni seguaci, scusano la loro cattiva condotta al cospetto dell’opinione degli uomini e, a causa della vita dei loro subordinati, nascondono la loro negligenza letale: ecco perché la donna che ha soffocato il proprio figlio ha cercato poi quello di un’altra. Eppure la spada di Salomone ha trovato la vera madre. Perché sicuramente nell’ultimo giudizio l’ira del Giudice severo, deciderà di chi il frutto è vivo e di chi il frutto è morto. In questa vita si permette di dividere in due la vita del discepolo, quando a volte si permette ad uno di ottenere il merito davanti a Dio e all’altro di ottenere la lode davanti agli uomini. La falsa madre non aveva paura di uccidere colui che non aveva generato: i maestri arroganti, non conoscendo la carità, se non possono ottenere dai discepoli degli altri la più completa lode alla loro fama, proseguono crudelmente la loro vita. Infatti, soffocati dall’ardore dell’invidia, non vogliono che vivano coloro che vedono di non poter possedere. Ecco perché nella storia, la donna perversa esclama: non sia né per te né per me. Infatti, come abbiamo detto, coloro che vedono di non essere ossequiati per la loro gloria temporale, sono invidiosi che quelle stesse persone vivano per altri mediante la verità. Invece la vera madre esclama: lasciate che alfine sia figlio di lei e viva con la straniera; infatti i veri maestri permettono ai loro discepoli di dar lodi ad un altro maestro, purché non perdano l’integrità della loro vita. Ed è da questo eccesso di pietà che si riconosce la vera madre, poiché ogni magistero viene approvato con l’esame della carità. E solo ella ha meritato di ricevere colui che aveva lasciato nella sua interezza: e così i prelati fedeli, che non sono invidiosi che i loro discepoli lodino gli altri, ma lavorano a loro beneficio e profitto, riceveranno anche essi figli integri e vivi quando nell’ultimo giudizio otterranno le gioie del premio per la loro vita santa. – Abbiamo detto queste poche cose a mo’ di divagazione, per mostrare in che modo si estingue l’uditorio degli ascoltatori per la negligenza dei maestri. Ed infatti, tutti coloro che non vivono conformemente alle proprie parole con la propria condotta, sradicano coloro che hanno generato con la parola di giustizia. Ma come è stato riconosciuto vero questo figlio dalla spada di Salomone, che taglia in due, mediante il grido della vera madre, così anche per lo spirito di Gesù Cristo che ci istruisce, coloro che sono stati strappati alla madre ed affascinati dall’errore degli eretici, molte volte possono riconoscere la Chiesa madre che piange per loro. Quindi, è sufficientemente ed opportunamente dimostrato che quella rea donna sia stata una figura degli eretici o della Sinagoga, che uccidono i propri figli nutrendoli empiamente ed attirandoli con lusinghe, e persuadono gli altri fino a perderli. – E il suo viso, era come il sole quando splende in tutta la sua forza. Ordine ammirevole delle membra: dopo i piedi viene descritto il volto. Qui il suo volto è paragonato al sole. Ma è indegno e troppo basso, pensare che Cristo si possa descrivere con membri di vari colori o che il suo splendore sia paragonato al sole. Infatti, se si dice dei giusti che risplenderanno come il sole (Mt. XIII, 43), quanto è pericoloso dire che i giusti risplendano con il Signore per uno splendore simile, allorquando è Egli la loro chiarezza, e secondo i meriti delle loro opere, ognuno splende più dell’altro, come è scritto: una lampada si differenzia dall’altra per la sua luminosità (1 Cor. XV, 41). – Per quanto ne sappiamo, il Signore ha detto della sua luminosità: « Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. » (Mt. XXIV, 27). Senza dubbio, Colui di cui è detto: « il suo volto è come il sole » fece la sua apparizione, mentre parlava agli uomini faccia a faccia. Ma la gloria del sole non può essere paragonata alla gloria del Signore. Ed è a causa del sorgere del sole, del suo tramonto e del suo risorgere, proprio perché Egli è sorto, ha patito ed è risorto, che la Scrittura ha paragonato il suo volto allo splendore del sole. Dopo aver parlato dei suoi piedi infiammati, dice che il suo viso brillava come il sole. In altre parole, dopo le fiamme dell’ultima battaglia, nel giorno del giudizio si manifesta la gloria della Chiesa e, come dice il Signore, una volta che i covoni delle zizzanie dei peccatori saranno strappati dal suo regno per essere bruciati, allora « … i giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre suo » (Mt. XIII, 43). Infatti, come la luminosità del sole, che non splende da sola, ma rimane luminosa per ordine di Dio, e diffonde all’intorno il bagliore della sua luce, così il volto del Signore, che riceve la sua luminosità non da altri, bensì dalla forza della propria potenza, non ha nulla di occulto, nulla di oscuro.

[5] Quando l’ho visto, sono caduto ai suoi piedi come un uomo morto. In precedenza ha detto che non si è girato nel vedere il suo volto, ma solo al sentire la sua voce. Qui, avendo osservato tutta la potenza della divinità e portato ad un certo volo dell’anima … « sono caduto – dice – ai suoi piedi come morto. » Spaventato dal timore della sua fragilità e della sua umiltà e sottomissione, è caduto, non rivolgendosi ad alcuna parte, ma arrendendosi con umiltà e fedeltà al Signore. Giovanni, che vedeva queste cose, rappresentava la figura di tutta la Chiesa … non solo Giovanni, ma anche i Profeti e gli Apostoli e tutti i Santi, che sono considerati la Chiesa, si umiliano come morti davanti a nostro Signore Gesù Cristo. Si dice che ci siano due modi per cadere: con la faccia a terra o all’indietro. Chiunque veda Dio cade faccia a terra, e quando cade, vede. Ma chi cade all’indietro, senza alcun dubbio, quando cade non vede. Si dice che Giovanni, che rappresentava la figura della Chiesa, sia caduto a faccia in giù; e dell’Anticristo – che rappresenta le membra di tutti i malvagi – si è detto che il suo cavaliere cada all’indietro. Per questo pure il patriarca Giacobbe, benedicendo i suoi figli, diceva: « Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo ed il cavaliere cade all’indietro. » (Gen. XLIX, 17). Si dice, con queste parole di Giacobbe che mediante lo Spirito prevedeva il futuro, che l’Anticristo dovesse venire dalla tribù di Dan. Altri sostengono che questo sia stato scritto di Giuda, dal quale Cristo è stato tradito; e vogliono designare nel cavallo e nel cavaliere il Signore che, avendo assunto la sua carne, cade all’indietro per tornare alla terra da cui era stato assunto … e come Egli resuscitò il terzo giorno, Davide dice: « Non abbandonerai la mia anima all’inferno » (Psal. XV, 10). Ecco come vengono spiegati alcuni di questi testi. Altri, invece, si riferiscono a questa profezia dell’Anticristo e affermano che l’Anticristo proviene dalla tribù di Dan, proprio perché in questo testo si dice di Dan che è un serpente ed una vipera che morde. Per questo motivo, e non senza ragione, quando il popolo d’Israele si stabilì nei vari territori, il territorio di Dan venne situato principalmente verso l’Aquilone (cioè a nord): questo significa in verità ciò che aveva detto nel suo cuore: « dimorerò sul monte del Testamento, nelle parti più remote del settentrione, mi farò simile all’Altissimo » (Is. XIV, 13-14). Di questi dice anche il profeta: « … da Dan si sente lo sbuffare dei suoi cavalli; al rumore dei nitriti dei suoi destrieri trema tutta la terra. » (Ger. VIII, 16). Infatti, quando il diavolo possiede il cuore dei dottori più illustri, presiede la montagna del Testamento. Siede anche sulle pendici dell’Aquilone, perché possiede le frigide menti degli uomini. Egli non è chiamato solo serpente (coluber), ma anche “cerastes”. In greco corno, si dice « kerata », la vipera detta cornuta. Essa rappresenta giustamente la venuta dell’Anticristo perché, attentando alla vita dei fedeli con il morso velenoso della sua predicazione pestifera, si procura anche le corna del potere. Chi non sa che il sentiero è più stretto della strada? Si paragona perciò questo ad un serpente sulla strada, perché incita a percorrere in larghezza la vita presente, blandisce come se perdonasse. Ma lungo la via poi morde, poiché quelli ai quali offre la libertà, distrugge con il veleno del suo errore. Si fa pure “vipera nei sentieri”, per quei fedeli servi di Dio che incontra nella via stretta ed angusta che vede sospirare l’insegnamento celeste, e che camminano nei sentieri stretti, e non solo li incita con il male della sottile persuasione, ma li opprime con il terrore del suo potere, e dopo i simulati benefici della dolcezza, usa le corna del suo potere con la tristezza della persecuzione. Qui, in questo testo, il cavallo simboleggia questo mondo che, con il suo orgoglio, schiuma nella sua corsa del tempo finale. E mentre l’Anticristo pretende di dominare negli ultimi tempi del mondo, questa vipera si mostra mordendo gli zoccoli. Mordere gli zoccoli del cavallo significa raggiungerlo, ferendone la parte posteriore, in modo che il suo cavaliere cada all’indietro. Il cavaliere del cavallo è tutto quello che è vanagloria della dignità del mondo. Si dice che cada all’indietro e non con la faccia a terra, come si ricorda essere caduti Mosè, Daniele, Paolo e questo stesso Giovanni di cui parliamo. Cadere sul proprio volto significa riconoscere i propri peccati in questa vita e piangerli attraverso la penitenza. Cadere all’indietro, per quanto si può vedere, è lasciare improvvisamente questa vita a causa di una morte istantanea senza penitenza e senza temere i supplizi o le punizioni a cui si va incontro. E poiché i Giudei, imprigionati nei vincoli del loro errore, invece di Cristo, attendono l’Anticristo, Giacobbe giustamente nello stesso luogo si trasforma improvvisamente nella voce degli eletti dicendo: « Io spero nella tua salvezza, Signore! » (Gen. XLIX, 18). In altre parole, non come gli infedeli (che credono) nell’Anticristo, io credo fedelmente nel vero Cristo, quello che verrà per la nostra redenzione. Perciò gli uomini santi si esaminano con grande e diligente cura, e per non cadere mai nella corruzione del pensiero o delle opere, meditano incessantemente su quanto progrediscono ogni giorno. Così, come  Giovanni, che prefigurava la Chiesa, si è affidato al Signore con umiltà, anche il Signore è soddisfatto di questa adorazione fatta con pietà: … ponendodicela sua mano destra su di me, affermando: non temere! Non può dire questo a nessun altro, ma solo a colui che si mortifica ogni giorno nella penitenza e che, seguendo le orme del Signore, ne porta la croce. In tal modo premia la fede ed il fedele. Dà forza a chi è convinto non di incredulità, ma di ammirazione. Proibendo così di temere, a colui che tanto aveva amato, perché  volgeva lo sguardo alla contemplazione della sua potenza e applicava l’intuito della sua fede alla morte di Cristo, consola l’umile e gli dice: Io sono il primo e l’ultimo, il vivente; ero morto, ma ora sono vivo per i secoli dei secoli. Se avete ricevuto il fuoco del mia carità … la carità non viene mai meno (1 Cor. XIII, 8); ora che la paura è stata fugata, alzati in piedi e conosci quel che hai venerato. Io sono il primo afferma, cioè Io sono prima di ogni inizio, prima di ogni creatura. Prima che la terra si formasse, Io esistevo, Io sono l’inizio e la fine, e in me consiste il fine di tutte le cose, perché attraverso di me tutte le cose saranno finalmente restaurate. E vivo; Io che ero morto, ma ora ecco sono vivo, cioè perduro senza venir meno, Io che ho assunto la morte per la vostra salvezza: Ecco che Io sono vivo nei secoli dei secoli, vedete che ora vivo nell’eternità divina. Ed Io ho le chiavi della morte e dell’inferno. Vale a dire, voi avete in me le chiavi della morte, voi che siete morti, perché unica è la chiave della vita e della morte, per quelli che, vivendo male, sono rinchiusi nell’inferno, e per quelli che vivendo rettamente attraverso la penitenza, sono introdotti in paradiso. E Colui che dice: Non temere, ha potere certamente sulla vita e sulla morte. Il morto: infatti la Chiesa battezza i morti, a causa del peccato, con l’acqua e la penitenza, come dice l’Apostolo: « … che cosa fanno quelli che vengono battezzati come morti? se non resuscitare con Cristo? » (1 Cor. XV, 29). E ancora: « Se siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù » (Col. III, 1). A questi, quindi, che sono stati risuscitati con Cristo mediante la penitenza, Egli ha dato le chiavi del regno dei cieli, come dice: « A coloro ai quali perdonerete i peccati, saranno perdonati; quelli a cui riterrete i peccati, saranno ritenuti » (Gv. XX, 23). Quella che è la chiave dell’inferno, è pure la chiave del regno dei cieli: perché Colui che, quando i peccati sono perdonati, ha il potere di trarre dall’inferno, e di condurre al regno dei cieli, getta all’inferno coloro che ha cacciato dai cieli, essendo ritenuti i loro peccati. E così accade che unica e medesima è la chiave della vita e della morte. E colui che ha detto, ma ora Io vivo, dice anche: ho la chiave della morte e dell’inferno, per chiudere e per riaprire quando vuole: e ciò che è stato chiuso dalla morte, trasformato dalla resurrezione, è portato alla luce aperta. Il profeta Isaia ci istruisce circa queste chiavi, dicendo: « Gli porrò nelle sue mani le chiavi della casa di Davide; se Egli apre, nessuno chiuderà; se Egli chiude, nessuno potrà aprire. » (Is. XXII, 22). Perché la chiave è il Signore Gesù Cristo stesso, che ha aperto la porta della vita ed ha infranto l’ingresso della morte. Scrivi dunque quello che hai visto: che cosa c’è e che cosa verrà dopo. E così ha  manifestato non solo di parlare delle cose presenti, ma di ricordare anche le cose passate. Ed avverte di parlare a coloro che esistono, e di scrivere allo stesso tempo per coloro che nasceranno alla fine dei tempi. – Poi spiega anche la visione che sta narrando: il mistero delle sette stelle che vedesti nella mia mano destra, e dei sette candelabri d’oro, è questo: le sette stelle sono i sette Angeli delle sette chiese. Questo è quanto già abbiamo detto sopra: le stelle poste nella mano destra di Dio sono le anime dei Santi, o ugualmente l’intera congregazione degli stessi beati che sono esistiti e che esisteranno fino alla consumazione del mondo. Allo stesso modo, i sette candelabri sono l’unica e sola vera Chiesa, istituita nella settimana di questo mondo, che abbiamo detto essere fortificata dalla fede nella Trinità e confermata nel Sacramento del mistero celeste. Si pone un problema sugli Angeli, se non viene perfettamente spiegato. Si è detto che le stelle erano gli Angeli delle Chiese, e i candelabri sono le Chiese, che come è ben risaputo anche dagli uomini di Chiesa, non sono sette, ma questo indica la Chiesa settiforme, cioè perfetta, come sta scritto: « Una è la mia colomba, una è la mia perfetta » (Cant. VI, 8). Ma se essa è una, allora gli Angeli non dovrebbero essere sette. E se ce ne sono sette, forse solo queste chiese menzionate per nome hanno degli Angeli, mentre le altre chiese non ne hanno? Inoltre, dobbiamo chiederci cosa significhino questi Angeli, poiché ognuno di noi ha un Angelo incaricato di servirci, come dice il Vangelo: « I loro Angeli infatti vedono continuamente il volto del Padre mio che è nei cieli » (Mt. XVIII, 10).  – Si può lodare in modo più sublime i minori, come in altro luogo si è lodato col dire: « quello che avete fatto ad uno più piccolo di questi miei fratelli, lo avete fatto a me »? (Matt. XXV, 40). Se questi Angeli sono stati concessi e sono uniti a noi per custodirci e liberarci da ogni attacco, perché il proprio Angelo non poteva liberare l’Apostolo Pietro e gli è stato inviato un altro Angelo a liberarlo? Infatti dice: « Ora so che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha strappato dalle mani di Erode » (Act. XII, 11). E non solo l’Angelo gli fu mandato, ma pure uscì, come è scritto: « … e tutti e due attraversarono una strada, e l’Angelo lo lasciò. » Ma qualcuno dice: gli è stato inviato l’Angelo designato per ciascuno di noi a liberarlo. Si può dire allora che se fossero stati in prigione tutti gli Apostoli, sarebbero stati inviati dodici Angeli? E non sarebbe stato un altro Angelo a liberarli, ma il loro. Ed allora come fa un Angelo solo del Signore a distruggere l’accampamento degli Assiri e a liberare così tutta Gerusalemme? O Giobbe che fu affidato ad un santo Angelo, e non al diavolo in persona, affinché non infliggesse sofferenza più di quanto gli era stato comandato? E se gli Angeli non ci sono stati dati per custodirci e liberarci, ma per insegnarci ed istruirci, quale funzione svolgerebbe lo Spirito Santo, di cui il Signore dice che, « quando verrà, ci insegnerà tutte le cose »? (Gv. XIV, 26). Cosa diremo anche qui per il fatto che il Signore abbia lodato gli Angeli custodi dei piccoli, come se i bambini avessero degli Angeli piccoli? E per quali meriti ha detto che gli Angeli vedono Dio? Degli Angeli stessi, o per quelli degli uomini ai quali si dice siano stati concessi per essere custoditi? Perché se è per loro merito che gli Angeli vedono il Signore, non è questo ciò che il Signore ha detto a lode dei piccoli. E se è per merito nostro che gli Angeli vedono Dio: prima di unirsi agli uomini essi dunque non lo vedevano? O i meriti degli uomini permettono di ricevere tali Angeli, che continuamente vedono e vengono da Dio? Non dico che questi siano di impari merito: si può dire, non certo senza tema di essere smentiti, che ognuno riceva l’Angelo nella misura della propria fede e della propria devozione. E più questa è grande, più degno e superiore sarà il suo Angelo nella contemplazione di Dio. E quanto uno più è da meno nella devozione, come ricompensa per la sua minor devozione, merita un Angelo minore nella contemplazione di Dio. Cosa avviene se la santità o la fede cresce e il demerito dei giusti diminuisce? Essi rimangono, o subiscono un aumento o un danno secondo la fede degli uomini? Ma se gli Angeli non subiscono alterazioni, l’uomo che cresce nella santità e giunge fino a portare frutto al trenta per cento o al cento per cento, porta con sé il suo Angelo, o lo lascia al primo passo? E se parlare di questo è infantile e volgare, e non si trova nelle Scritture divine, e non è lecito per noi pensarlo, dobbiamo chiederci con che tipo di lode siano stati lodati i piccoli, dicendo: « badate di non disprezzare uno di questi piccoli, perché i loro Angeli vedono continuamente il volto del Padre mio che è nei cieli » (Mt. XVIII,10). Ha potuto lodare i piccoli in modo più sublime, come li ha elogiati in un altro luogo, dicendo: « qualsiasi cosa abbiate fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me »(Mt. XXV: 40). Non è forse meglio, o più sublime, o più degno di maggiore lode per l’uomo avere Cristo come fratello così che gli sia sempre custode ed anche co-erede, che Cristo si è degnato di avere come fratello, piuttosto che avere un Angelo custode che vede continuamente Dio? In questo modo, ognuno ha un Angelo. Sentite la voce del vostro Angelo, o l’Angelo vostro custode, al quale siete stati affidati, che ha una voce, così che sentiate la voce di Pietro che dice: non è Pietro, ma il suo Angelo? Non può essere che una tale congettura ci dia l’occasione di provocare un errore? Ma sembra a me che l’Angelo dell’uomo sia la sua anima, cioè l’uomo interiore, che con cuore puro contempla continuamente Dio attraverso la fede. Come dice il Signore: Non basta dire: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore » (Lc. XIII, 35): se non crederai e non porterai la mia croce e mi seguirai.  E a Filippo dice: « Chi vede me, vede il Padre mio » (Gv. XIV, 9). Perciò quando parla dell’Angelo dell’uomo, intende l’uomo stesso. Quindi dovete capire che le Chiese ed i loro Angeli sono la medesima cosa. Questo non è solo proprio del mistero, ma è anche una consuetudine il dividere una cosa fra tante cause; per esempio, diciamo: gli uomini di Chiesa, mentre gli uomini stessi sono la Chiesa. Lo stesso è per gli Angeli, lo stesso sono le stelle, lo stesso sono i candelabri. Tutto questo rappresenta una sola Chiesa; ma per il Sacramento dei misteri sono divise in parti. Per questo il Signore dice: « La mia anima è triste fino alla morte » (Mt. XXVI, 38). Sembra, quindi, che uno sia colui che parla e altri l’anima di colui di cui si parla, come quando l’anima stessa dice: la mia anima è triste, e non dice: io sono triste. Se è così, allora, è questo il modo di parlare, cioè il dividere ciò che è uno in molti di più, nel mistero del Sacramento e di oscurare la grazia della cosa, in modo che ciò che si dice per mezzo di un mistero, e perciò occulto, lo si comprenda allegoricamente. L’allegoria è il significato di un qualche cosa che suoni in un certo modo nelle parole, mentre si debba intendere come un mistero, cioè come cosa occulta e spirituale. Così come si dice in Isaia:  « Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, dragoni e struzzi, sirene e piccoli dei passeri,  perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. » (Is. XLIII,19). Ma cos’è il deserto, dove Dio si fa strada, o qual è questo luogo arido, dove ha promesso di creare fiumi, se non i popoli in cui Cristo ha aperto una via di vita, ed ha fornito loro abbondantemente acqua di salvezza? E quali sono pure le bestie che glorificano Dio? Cosa sono le sirene e i piccoli dei passeri? A quale gruppo di eletti si darà da bere, se non ad uno solo, a quello di cui abbiamo parlato sopra, a quelli cioè che seguono Cristo con fede retta ed opere di giustizia? Affinché possiate interpretarlo attraverso il mistero, e capire che è uno solo, si può comprendere che l’Angelo e la Chiesa siano una cosa sola. In questo senso non c’è nessun problema tra i greci; ma tra noi vi è dubbio se l’Angelo della Chiesa sia in genitivo o dativo. Infatti, è chiaro loro che egli non ha detto “all’angelo di quella Chiesa”, ma “all’angelo (dativo) Chiesa”, cioè al Vescovo della città, così che sarebbe ovvio che egli non stesse parlando (separatamente) all’Angelo ed alla Chiesa, volendo esporre chi fosse l’angelo, dicendo: τω Αγγελω τη εκκλησια εν εφεσω γραψον (to agghelo te ecclesia en efeso grapson) in greco. In latino, tradotto: scrivi all’Angelo, cioè alla Chiesa, che è in Efeso (Epheso scribe). Questo può essere tradotto anche al plurale, come, ad esempio: scrivi agli Angeli, alle Chiese che sono in Asia (Angelis Ecclesiis, quæ sunt in Asiis, scribe). Allo stesso modo, il Salmo dice al plurale, riferendosi solo ad uno: « In sole posuit tabernaculum suum in eis (= Nel sole pose in essi una tenda » – Psal. XVIII, 6). Ha espresso quel che c’è nel sole dicendo “in loro”, anche se il sole e la tenda in loro è una cosa sola. Ma abbiamo anche un problema per il fatto che all’inizio del libro non ci si rivolge ai sette Angeli, ma alle sette chiese. Così dice: « Giovanni alle sette chiese che sono in Asia » (Apocalisse I: 4); e il Signore gli disse: « Scrivi in un libro le cose che hai visto e mandale alle sette chiese » (Apocalisse I: 11). Ma poi ordinò di scrivere agli Angeli, per insegnare che gli Angeli e le Chiese sono la stessa cosa. Infatti “àngel” in latino significa « messaggero », e la Chiesa « convocazione », perché convoca tutti ad essa per la penitenza. Davvero comanda agli Angeli di fare penitenza? No, bensì alle Chiese. E i sette candelabri sono un candelabro unico settiforme, a sette braccia. Per questo il Signore dice nel Vangelo: « Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma su un piedistallo, e così darà luce a tutti quelli che sono in casa » (Mt. V, 15). Con “moggio” ci si riferisce ai beni temporali; con “lampada” si indica la luce della predicazione. Il “candelabro” rappresentava gli uomini. Mettere la lampada sotto il moggio, vuol dire nascondere la grazia della predicazione per un guadagno temporale, cosa che certamente nessun servo di Dio fa; perché, come abbiamo detto, il candelabro è ogni uomo: si pone una lampada sopra in alto quando questi si dedica al servizio della predicazione. – Questo è l’Angelo ed i candelabri, cioè l’annuncio della predicazione, e l’uomo a cui è annunciato. In un altro luogo leggiamo che unico è il tronco da cui sono usciti sette, così come il Signore ha ordinato a Mosè di fare, e riporlo nel tabernacolo, affinché bruciasse continuamente (Es. XXVII, 20). Il candelabro a sette bracci rappresentava la figura dello Spirito Santo che, con la sua grazia settiforme, illumina tutta la Chiesa che si mantiene ferma nell’unità della fede. Oppure in questo candelabro riconosciamo Cristo, che sostiene le sette Chiese, in cui brilla lo splendore settiforme dello Spirito Santo. A questo candelabro sono fatti gli smoccolatoi (Es. XXV: 38), che in Isaia (Is. VI: 6) sono chiamati “molle” (forcipes). Questi sono i due Testamenti, mediante i quali vengono purificati i peccati. Del candelabro che è fuori dal velo della Testimonianza che si dispiega, è comandato di bruciare, mentre ora, senza il velo dell’Antico Testamento, la verità dello Spirito Santo risplende. E l’olio che il Signore ha ordinato di trarre dagli ulivi, significa la grazia stessa dello Spirito Santo. Essi possiedono in sé la pace e la misericordia per la venuta del Salvatore, che così si accende nei nostri cuori. Certo, in ognuna di queste chiese Egli si riferisce a tutte, perché non ha detto: « ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa, ma alle Chiese » (Ap. II, 7). Perché la Chiesa degli Efesini non era l’unica il cui candelabro dovesse essere spostato dal suo posto se non si fosse pentita; né si prometteva solo alla Chiesa di Smirne: « non temete ciò che soffrirete »; né che solo Pergamo sia il trono di satana, o che solo in essa e non dappertutto sia il trono di satana, cosicché se non vi pentirete, Egli vi purificherà con la spada della sua bocca; né si limita a minacciare gli adulteri solo di Tiatira, esortandoli a conservare ciò che hanno fino al suo ritorno; né si limita a dire solo a quelli di Sardi: se tu non stai attento, io verrò come un ladro, e non saprai da dove verrò; né ha aperto una porta solo per Filadelfia, né ad essa sola promette protezione nella prova che verrà a vagliare tutti gli abitanti della terra; né minaccia di vomitare dalla bocca solo il tiepido di Laodicea: in verità, la Chiesa di Cristo non era allora solo in questi luoghi, ma nel numero sette c’è tutta la sua pienezza. E come è di consueto nel mistero divino, il genere è incluso nella specie, e questo per similitudine comprende ogni cosa. E così anche l’Apostolo Paolo scriveva a sette chiese, che non erano le stesse a cui scriveva Giovanni. Egli chiama la Chiesa “Angelo”: e si insegna che in essa ci sono due parti, quando se ne loda una, e se ne rimprovera l’altra. In quello che dice, è chiaro che, all’interno delle stesse chiese, la parte che viene rimproverata non è la stessa che viene lodata. Così pure il Signore nel Vangelo ha chiamato tutto il corpo dei prepositi, un solo corpo. In latino, i pre-posti sono chiamati vigilantes; in greco, sono chiamati “Vescovi”. Infatti la parola “vescovo” ha qui la sua origine, perché chi è posto in cima guarda dall’alto, prendendosi cura, ponendo attenzione nei confronti dei sudditi. Il termine “scopein” in greco, corrisponde al latino “guardare”: questo è il guardare dalla torre di guardia, osservare, sapere cosa sia successo nel passato, cosa accadrà nel futuro e cosa dovrebbe essere ordinato nel presente. Questo guardiano è chiamato nella Chiesa “preposto” perché discerne e veglia sulla vita e sui costumi di ciascuno dei popoli posti sotto la sua autorità. Il Signore avverte questo servo nel Vangelo quando dice: « Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo dividerà, e porrà la sua parte tra gli ipocriti » (Matth. XXIV, 48 segg.). Non dice che lo elimina, ma che lo separa, cioè lo segrega dai Santi. Perciò ha chiamato tutta la Chiesa un corpo unico. E Cristo è il capo della Chiesa, e i membri sono tutto il popolo, e l’occhio della Chiesa è il Vescovo. Per questo lo si chiama il “guardiano”. La mano della Chiesa è il Presbitero, cioè il più anziano, e anch’egli, unito quasi in dignità con il Vescovo, è partecipe dei misteri del corpo e del sangue di Cristo. Lo si chiamano “mano”, perché attraverso di lui, i Vescovi svolgono il compito di santità per tutte le chiese, che cioè è tutto il popolo. Il “piede” della Chiesa è il diacono; si chiama piede, perché è certamente attraverso di lui che i Sacerdoti svolgono il servizio di santità. Si ordina di tagliare questi membri se scandalizzano la Chiesa, come la Verità manifesta nel Vangelo: « se l’occhio, la mano o il piede vi scandalizza, toglietelo, tagliatelo e gettatelo via » (Mt V, 29). Quando il Signore arriverà, Egli stesso lo separerà e metterà, non tutto il servo, ma parte di esso, con gli ipocriti. Ha detto la “sua parte”, perché questi erano battezzati, e sembrano persino fare ciò che sia giusto all’interno della Chiesa. A partire, poi, dall’inizio del libro, fino alla fine, egli espone chiaramente le future guerre intestine, cioè la lotta all’interno della Chiesa, ed i membri della settiforme Chiesa nel momento attuale – nei comportamenti opposti – e in ciò che conviene succeda dopo, dimostrare il futuro; non dice: scrivi ciò che sta accadendo, o ciò che è già accaduto, ma ciò che conviene fare. Egli indica che il raccolto maturo cresce insieme alla zizzania, e comanda ai lavoranti di spaventare le bestie e gli uccelli. Quindi, in tutte queste sette Chiese, che è una sola Chiesa, possono accadere le cose che abbiamo detto. Ma se ne scrive a sette, è per la qualità della loro fede e della loro carità. – I: Ha scritto a coloro che lavorano nel mondo e agiscono nella fragilità dei loro sforzi, e che sono pazienti. E vedendo questi uomini, come abbiamo detto, alcuni dei quali sono generosi e ben disposti verso la Chiesa, pur tuttavia pestiferi, affinché non siano disperati, e sopportino nella misura delle loro forze, li ammonisce, nella prima Chiesa di Efeso, circa la carità e l’amore, cosicché chi è più paziente corregga chi manca di fede, amando e castigando, perché si faccia penitenza. – II: Attraverso la Chiesa di Smirne invece, consiglia a coloro che vivono in luoghi impervi, tra persecutori ed uomini malvagi, di sopportare e perseverare nella loro fedeltà. Egli dice loro: non temete per quello che soffrirete. – III: A coloro che, con il pretesto della compassione, commettono peccati illeciti nella Chiesa, e li ostentano agli altri dice, attraverso la Chiesa di Pergamo: tu sei il trono di satana. – IV: A coloro che sono deboli all’interno della Chiesa, dice alla Chiesa di Tiatira: « Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione » – V: A coloro che invece sono negligenti nella Chiesa e non vegliano sulla salvezza delle loro anime, che sono tiepidi e pigri e Cristiani solo di nome; dice, per mezzo della Chiesa di Sardi: « … se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora verrò da te » – VI: Od a coloro che sono poco istruiti, cioè ignoranti delle Scritture, non ne intendono nulla, ma sono umili e tengono stretta la loro fede: il Signore promette attraverso la Chiesa di Filadelfia, la tutela nella tentazione ventura. – VII: Infine a coloro che sono versati nelle Scritture e si sforzano di conoscerne l’arcano, cioè il senso occulto, ma non vogliono compiere l’opera di Dio, cioè la misericordia e l’amore, a tutti questi consiglia la penitenza, e a tutti loro annuncia il giudizio futuro. – E nella prima lettera dice: Conosco la vostra fatica, le vostre opere e la vostra pazienza, cioè so che lavori ed operi: vedo la tua pazienza; e non posso stare lontano da te; … e che non puoi sopportare i malvagi e che hai scoperto l’inganno di coloro che si chiamano Apostoli, senza esserlo, ed hai pazienza per amore del mio nome. Tutto questo non è un elogio da poco. Ma tali soggetti, tale classe, tali uomini di elezione, è bene che siano consigliati, per non essere privati dei beni che sono stati loro conferiti. Ha detto di avere qualcosa contro di loro. Ho poco,  dice – contro di te, ma hai perso – continua – il tuo amore di un tempo: renditi conto da dove sei caduto. Chi cade, cade dall’alto; per questo ha detto, da dove, perché fino alla fine dobbiamo compiere opere di carità, ciò che è il comandamento principale. Infine, se gli atti non sono fatti con amore, si minaccia di togliere il candelabro dal suo posto, cioè di disperdere il popolo. Così anche voi odiate coloro che detengono la dottrina dei Nicolaiti. Infatti dice che detestano la condotta dei Nicolaiti, che anche Egli detesta. Questo appartiene alla sua lode. I Nicolaiti dell’epoca erano uomini falsi e malvagi che traevano il loro nome dal diacono Nicolas. Avevano inventato un’eresia con l’esorcizzare ciò che veniva offerto in libagione, cioè ciò che era immolato in sacrificio, per poterlo mangiare. E ritenevano che tutti coloro che fornicavano ricevessero il perdono dopo otto giorni. Per questo loda coloro ai quali scrive, e a questi uomini di tali qualità e così eccellenti, promette di dar da mangiare dall’albero che è nel paradiso del loro Dio. Questa è la Chiesa di Efeso. La seguente lettera è stata inviata al gruppo successivo, con ordine e procedura diversi. Dice: Conosco la tua tribolazione e la tua povertà, tuttavia sei ricco. Il Signore conosce infatti le ricchezze che sono nascoste e la calunnia dei Giudei, che dice non essere tali, bensì confessori della sinagoga di satana, perché sono uniti all’Anticristo e costituiscono la congregazione del diavolo; a questi dice: « Siate fedeli fino alla morte, e il vincitore non soffrirà la seconda morte, cioè non sarà punito nell’inferno ». Questa è la Chiesa di Smirne. Alla terza classe di Santi dice che essi sono uomini coraggiosi nella fede e che non temono le persecuzioni. Ma siccome c’è chi è incline alle illecite unioni, dice: li combatterò con la spada della mia bocca. Infatti Io dirò ciò che ho comandato e vi accuserò di ciò che operate. È noto infatti che la dottrina di Balaam, che insegnava a Balak a dare scandalo ai figli di Israele, un tempo era quella di mangiare carne sacrificata agli idoli e di commettere fornicazione. Questo è il consiglio che ha dato al re dei Moabiti, che scandalizzavano il popolo. Così anche voi, dice, avete tale dottrina e, con il pretesto della misericordia, inducete al vizio gli altri. Al vincitore – dice – darò la manna nascosta e la pietruzza bianca. La manna nascosta è l’immortalità. La pietruzza bianca è l’adozione a figli di Dio. Il nuovo nome scritto sulla pietra è Cristiano. Questa è la Chiesa di Pergamo. Il quarto gruppo sottolinea la nobiltà dei fedeli, che lavorano e compiono ogni giorno opere grandi. Ma Egli insegna e rimprovera che lì ci sono anche uomini propensi ad offrire una pace illecita e a dar retta a nuove profezie; mette in guardia anche gli altri, ai quali questo non aggrada, affinché riconoscano la malvagità del nemico, che pretende di introdurre i pericoli del male e del dolore nella mente dei fedeli, e loro dice: Non vi ho dato nessun altro peso, cioè non vi ho dato prescrizioni o fardelli, né profezie nuove ed illecite, che non convengono alla Chiesa, e che sarebbero un altro carico; cosicché possiate conservare ciò che avete, cioè affinché ciò che è scritto ed è giusto lo possiate compiere fino al mio ritorno, e dice: Darò al vincitore il potere sulle nazioni, cioè lo farò giudice tra gli altri Santi; e gli darò la stella del mattino, cioè la prima risurrezione, vale a dire la promessa, e mentre sarà presente nel mondo, nella penitenza, gli toglierò l’ignoranza della notte. La stella del mattino è Cristo. Gli darò – dice – la luce del mattino che fuga la notte ed annuncia la luce, cioè l’inizio dell’eterno giorno. Il quinto gruppo è il gruppo o la comunità di Santi. Si riferisce ad uomini che sono negligenti e che nel mondo portano avanti un comportamento diverso da quello che è conveniente, essendo Cristiani solo di nome. E così li esorta in modo tale che, pentendosi della loro negligenza, possano raggiungere la salvezza. Sii vigilante – dice – e ravviva ciò che ti è rimasto e che sta sul punto di morire; perché non ho trovato le tue opere perfette agli occhi del Signore. Perché non basta che l’albero viva se non porta frutti. Né basta chiamarsi Cristiano, confessare Cristo, e non avere Cristo nelle opere, cioè non eseguire i suoi comandi. Il sesto gruppo è la comunità di coloro che hanno scelto il meglio, il modo di procedere nella santità. Indica uomini che, umili nel mondo e ignoranti delle Scritture, si tengono però saldamente aderenti alla fede, e in nessuna circostanza, pericolo, o per vanità, si allontanano dalla fede. Perciò dice loro: Ho aperto una porta davanti a te; e aggiunge: poiché hai conservato la parola della mia pazienza con così poca forza, ti terrò anche lontano dalla prova; affinché sappiano in questo modo, a loro lode, che il Signore non permette nemmeno che essi siano messi alla prova. Del vincitore – dice – farò una colonna nel tempio del mio Dio. Il pilastro è l’ornamento dell’edificio, questi è allora colui che persevera, conseguendo così una grande nobiltà nella Chiesa. – VII: Questo gruppo fa conoscere alle sette chiese gli uomini credenti, ricchi, elevati alle posizioni di dignità. Ma come ricchi credenti, certamente nelle loro dimore parlano volentieri delle Scritture. Ma quando sono fuori, ed anche se sono della Chiesa credendosi fedeli nell’anima – cioè si vantano e dicono di conoscere tutti i segreti delle Scritture credendo quindi di essere fedeli nelle loro predizioni – eppure sono vuoti di opere; così dice loro: che non sono né freddi né caldi, cioè né increduli né fedeli, perché si accomunano sia con i fedeli che con gli infedeli; essi infatti sono tutto per tutti. E poiché coloro che non sono né caldi né freddi, ma tiepidi, gli provocano la nausea, dice loro: Ti vomito dalla mia bocca. Non è ignoto a nessuno quanto sia odiosa la nausea; così sono anche tali uomini che saranno cacciati di tra i Santi nel giorno del giudizio. Ma siccome c’è in questo mondo il tempo della penitenza, dice loro: Vi consiglio di comprare da me oro purificato nel fuoco, vale a dire, il potere in qualche modo soffrire tribolazioni e sofferenze per il Nome del Signore; … e collirio per la salvezza degli occhi, – dice – affinché ungiate gli occhi, cioè conosciate con piacere la Scrittura e, così arricchiti, cerchiate di fare opere simili. E siccome gli uomini che passano da un grande peccato ad una grande penitenza, non solo sono utili a se stessi, ma possono arrecare beneficio a molti, promette loro una ricompensa non dappoco, ovvero: sedere sul trono del suo giudizio.

Termina il libro primo sul Figlio dell’uomo e sulle Chiese nel Commentario dell’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (3)