IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (26)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (26)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 413a.

Concilio di Trento, sess. XIV, Sul Sacramento della Penitenza, cap. 1:

« Se c’era in tutti i rigenerati tal gratitudine a Dio, da custodire costantemente la giustificazione ricevuta nel Battesimo per suo benefizio e favore, non c’era bisogno d’istituire proprio dopo il Battesimo un altro Sacramento per la remissione de’ peccati. Ma, poiché Dio, ricco di compassione (Agli Efes., II, 4), conobbe la nostra fragilità (Salm. CII, 14), ecco ha disposto un rimedio vitale anche per coloro, che poi sarebbero caduti nella schiavitù del peccato e in poter del demonio, vale a dire, il Sacramento della Penitenza, col quale ai peccatori, dopo il Battesimo, è applicato il beneficio della morte di Cristo. A dir vero, la penitenza fu in ogni tempo necessaria per ottener grazia e giustificazione a tutti quanti gli uomini, che si fossero macchiati di qualche colpa mortale, anche a coloro, che avesser chiesto d’essere purificati col sacramento del Battesimo; sicché, rinnegata e corretta la loro cattiveria, detestassero coll’odio del peccato e con pio dolore dell’anima la grave offesa di Dio. Perciò il Profeta disse: Convertitevi e fate penitenza di tutte le vostre iniquità e non vi sarà di rovina la vostra iniquità (Ezech., XVIII, 30). Anche disse il Signore: Se non farete penitenza, tutti del pari perirete (Luc., XIII, 3). E Pietro, il capo degli Apostoli, raccomandando ai peccatori ammessi al Battesimo la penitenza, diceva: Fate penitenza, poi ciascuno di voi sia battezzato (Atti, II, 38). Orbene la penitenza nè era un Sacramento prima della venuta di Cristo, nè è, dopo la sua venuta, per nessuno prima del Battesimo. Ma il Signore istituì il Sacramento della Penitenza, specialmente nell’occasione che, risuscitato da morte, alitò su’ suoi discepoli, dichiarando: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saran rimessi; a chi li riterrete, saran ritenuti (Gio., XX, 22). E con quest’atto così augusto e con tali parole così chiare l’unanime consenso de’ Padri sempre intese che fu comunicata agli Apostoli e ai lor successori legittimi la facoltà di rimettere e ritenere i peccati per riconciliare i fedeli caduti dopo il Battesimo. Con buona ragione la Chiesa cattolica colpì e condannò d’eresia i Novaziani, che negavan ostinatamente una volta la facoltà di rimettere. Perciò questo sacro Sinodo, approvando e accogliendo tal verissimo significato di quelle parole del Signore, condanna le false interpretazioni di coloro che stortamente piegan quelle parole a indicare la facoltà di predicar la parola di Dio e di bandire il Vangelo di Cristo, contro l’istituzione di questo Sacramento.

« Chi afferma che, nella Chiesa Cattolica, la Penitenza non è vero e proprio Sacramento, istituito da Cristo nostro Signore per riconciliare con Dio i fedeli, ogni volta che, dopo il Battesimo, cadono in peccato, sia scomunicato ».

DOMANDA 414a.

Concilio di Trento : Vedi D . 413.

Pio X, Decr. Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 47 tra le condannate :

« Le parole del Signore: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi li riterrete saranno ritenuti (Gio., XX, 22 s.) non si riferiscono affatto al Sacramento della Penitenza, checché sia piaciuto d’affermare ai Padri del Concilio di Trento ».

(Acta Apostolicæ Sedis XL, 473).

S. Giovanni Crisostomo, De Sacerdotio, III, 5:

« Difatti essi, che abitano la terra e v i dimorano, sono incaricati di dispensar le cose del cielo e hanno ricevuto un potere che Dio non diede nè agli angeli nè agii arcangeli. Difatti a questi non fu detto: Qualunque cosa legherete sulla terra sarà legata anche in cielo e qualunque cosa scioglierete in terra sarà sciolta anche in cielo. A dir vero, i principi della terra hanno pure il potere di legare, ma soltanto i corpi; mentre quest’altro vincolo tocca l’anima e trascende i cieli; e tutto quel che i sacerdoti fanno quaggiù, Iddio ratifica lassù e il Signore stesso conferma la sentenza de’ servi suoi. Poiché, che altro diede loro se non giurisdizione delle cose celesti? Difatti disse: A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti. Qual potere più grande di questo? Il Padre al Figlio diede ogni potere giudiziario e io osservo che tutto fu trasmesso ad essi dal Figlio ».

(P. G., 48, 643).

DOMANDA 417a.

Concilio di Trento, Sess. XIV, Sul Sacramento della Penitenza, cap. 3:

« Inoltre il santo Sinodo insegna che la forma del Sacramento della Penitenza, nella quale principalmente ne consiste la validità, è compresa in quelle parole del ministro: Io ti assolvo ecc. A esse, in verità, s’aggiungono, secondo consuetudine della santa Chiesa, alcune preghiere e lodevolmente; però non fanno parte affatto dell’essenza della forma nè son necessarie per l’amministrazione del Sacramento stesso.. Poi sono quasi materia del Sacramento stesso gli atti del penitente, cioè Contrizione, Confessione e Sodisfazione. Essi son detti parti della Penitenza, in quanto, secondo l’istituzione di Dio, si richiedono nel penitente per l’integrità del Sacramento e per la piena e perfetta remissione dei peccati. Orbene è sostanza ed effetto di questo Sacramento, per quel che concerne la sua virtù ed efficacia, la riconciliazione con Dio, che talvolta, negli uomini pii e che ricevono con divozione questo Sacramento, s’accompagna colla pace e serenità di coscienza e forte commozione del cuore. Il Santo Sinodo, insegnando così circa le parti e l’effetto del Sacramento, condanna insieme la sentenza di quelli, che sostengono, come parti della Penitenza il terrore della coscienza e la fede.

« Can. 4. Sia scomunicato chi nega che per la remissione integra e perfetta dei peccati si richiedono tre atti nel penitente, quasi materia del sacramento della Penitenza, cioè Contrizione, Confessione e Sodisfazione, che son dette le tre parti della Penitenza; oppure afferma che le parti della Penitenza sono solamente due, vale a dire i terrori eccitati nella coscienza, in seguito al riconoscimento della colpa, e la fede concepita dal Vangelo, oppure l’assoluzione, in forza della quale uno creda che per merito di Cristo gli sieno stati rimessi i peccati ».

DOMANDA 422a.

Concilio di Trento, Sess. XIV, cap. 3: Vedi D. 417.

« Can. 7. Sia scomunicato chi afferma che nel Sacramento della Penitenza non è necessario di diritto divino per la remissione de’ peccati il confessare tutti e singoli i peccati mortali, di cui si abbia memoria dopo la dovuta e diligente ricerca; anche quelli occulti e che si oppongono ai due ultimi precetti del decalogo, e le circostanze che mutano la specie del peccato; ma che tal confessione è semplicemente utile per istruzione e consolazione del penitente e che anticamente si osservava soltanto per imporre una penitenza canonica: oppure afferma che chi si dà pena di confessare tutti i peccati non vuol lasciar nulla alla divina misericordia da perdonare; o, finalmente, che non è lecito confessare peccati veniali ».

DOMANDA 428a

Concilio di Trento, Sess. XIV, Del Sacramento della Penitenza, cap. 4:

« La contrizione, cui spetta il primo posto tra gli atti ricordati del penitente, è un dolore dell’anima e la detestazione del peccato commesso col proposito di non peccare più. Ora questo atto di contrizione fu sempre necessario per impetrare il perdono de’ peccati e, nell’uomo caduto in colpa dopo il Battesimo, prepara finalmente alla remissione dei peccati purché sia congiunto colla fiducia nella divina misericordia e col desiderio di eseguire tutto quello che esige per ricevere degnamente questo Sacramento. Dunque il santo Sinodo dichiara che questa contrizione comprende non soltanto il proposito di non peccare più e d’incominciare una vita nuova, ma include pure l’odio di quella trascorsa, secondo il detto: Respingete da voi tutte le vostre iniquità, colle quali avete prevaricato, e fatevi un cuor nuovo e un’anima nuova (Ez., XVIII, 31). E davvero chi medita quelle grida de’ santi: Contro te solo ho peccato e fatto male nel tuo cospetto (Salm., L, 6); Fui pieno d’affanno nel mio gemere, ogni notte inonderò di lacrime il mio giaciglio (Salm. VI, 7); Ricorderò dinanzi a te la mia vita, in amarezza di spirito (Isa., XXXVIII, 15) e altre siffatte, capisce subito che sono sgorgate da un odio potente contro la vita trascorsa e da una profonda detestazione de’ peccati. Inoltre insegna che, sebbene questa Contrizione talvolta sia carità perfetta e riconcilii l’uomo con Dio prima di ricever questo Sacramento, la riconciliazione stessa però non deve attribuirsi alla Contrizione senza il desiderio del Sacramento, che è in essa implicito. Ancora dichiara che la Contrizione imperfetta, chiamata Attrizione, poiché comunemente si concepisce o per la riflessione sulla bruttezza del peccato, o pel timore dell’inferno e de’ castighi, qualora escluda la volontà di peccare e vi sia la speranza del perdono, non soltanto non fa ipocrita e più colpevole l’uomo, ma è invece un dono di Dio e un impulso dello Spirito Santo, che in verità non ancora abita nell’anima, ma soltanto la eccita e col quale, il penitente si prepara l’adito alla giustificazione. Essa non può per se stessa, senza il sacramento della Penitenza, condurre a giustificazione il peccatore; però lo dispone a ottener la grazia divina nel sacramento della Penitenza. Difatti, salutarmente scossi da questo timore, i Niniviti, grazie alla predicazione di Giona piena di spaventi, fecero una penitenza e ottennero da Dio misericordia. (Cfr. Giona, III). Perciò son calunniati a torto gli scrittori cattolici, da certuni, come se avessero insegnato che il sacramento della Penitenza conferisca la grazia senza la buona disposizione di chi lo riceve — ciò che non fu mai insegnato nè pensato dalla Chiesa cattolica — ed insegnano falsamente che la Contrizione è estorta e imposta, non libera e volontaria ».

S. Gregorio Magno, In Evangelia, II, 34, 15:

« Noi non possiamo far degna penitenza, se non ne conosciamo anche il modo. In realtà, far penitenza è un piangere le colpe commesse e un non commetter ciò ch’è da piangere. Infatti chi le deplora con l’intenzione di commetterne delle altre ancora, o finge o ignora di far penitenza ».

(P. L., 76, 1256).

S. Agostino, Sermo, 351, 12:

« Non basta cambiar in meglio i costumi e romperla colle cattive azioni, se non si sodisfa a Dio per quelle già commesse col dolore del pentimento, col gemito dell’umiltà, col sacrificio d’un cuore contrito, col sussidio di elemosine ».

(P. L . , 29, 1549).

DOMANDA 436a.

Concilio di Trento : Vedi D. 428.

DOMANDA 438a.

Concilio di Trento: Vedi D. 428.

S. Pier Crisologo, Sermo 94:

« Bada, uomo, di non disperare; ti è rimasto di che sodisfare a un creditore pietosissimo. Vuoi il perdono? Ama. La carità coprirà un cumulo di colpe (I di Piet., IV, 8). Qual peggior colpa del rinnegamento? Eppure Pietro soltanto coll’amore fu in grado di distruggerla, coll’approvazione del Signore, là dove dice: Pietro, mi ami? (Gio., XXI, 15). Tra tutti i precetti di Dio ha il primo posto l’amore ».

(P. L., 52, 466).

DOMANDA 439a.

Concilio di Trento: Vedi D. 428.

Leone X, Bolla Exurge Domine, 15 giug. 1520, contro gli errori di Lutero, prop. 6 tra le condannate:

« La contrizione, che si acquista coll’esame, col confronto e colla detestazione de’ peccati, mediante la quale uno ricorda la sua vita in amarezza di spirito, misurando la gravità, il numero, la bruttezza de’ peccati, la perdita dell’eterna felicità e l’eterna dannazione meritata, questa contrizione fa diventar ipocrita anzi più colpevole ».

Pio VI, Costit. Auctorem fìdei, 28 ag. 1794, prop. 23, 25, 36 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« 23. La dottrina del Sinodo, concernente il duplice amore della passione dominante e della carità dominante, quando dichiara che l’uomo, senza la grazia, è in dominio del peccato e che il medesimo, in quello stato, contamina e guasta tutti i suoi atti per il generale influsso della passione dominante; in  quanto vuol insinuare che nell’uomo, finché si trova, nella schiavitù o stato di colpa, privo della grazia per esser liberato da tal servitù e rifatto figlio di Dio, la passione ha tale dominio da contaminare e guastare in sè stessi, per questo suo generale influsso, tutti gli atti di lui, ovvero da esser peccati tutte le opere, per qualunque motivo sien fatte, compiute prima della giustificazione, quasicchè in tutti i suoi atti il peccatore sia schiavo della passione dominante, è dottrina falsa, dannosa, che conduce all’errore già condannato dal Concilio di Trento come eretico e di nuovo condannato in Baio, all’art. 40.

« 25. La dottrina, la quale sostiene genericamente che il timore delle pene unicamente non può esser detto un male, se almeno riesce a frenar la mano; come se il timor dell’inferno, che è, secondo fede, castigo del peccato, non sia per se stesso buono e utile, qual dono soprannaturale e impulso proveniente da Dio, che prepara all’amore della giustificazione: è falsa, temeraria, dannosa, ingiuriosa alla munificenza divina, altre volte condannata, contraria alla dottrina del Concilio di Trento e insieme al pensiero comune de’ Padri: che occorre, conforme all’ordine solito di prepararsi alla giustificazione, che prima entri il timore per aprir la strada all’amore: un timor medicina, un amore salute….

«36. La dottrina del Sinodo, premesso che : «l’uomo potrà esser giudicato degno d’esser ammesso a partecipare il sangue di Cristo, ne’ Sacramenti, quando s’avranno segni non dubbii che l’amor di Dio domina nel suo cuore » soggiunge che « le conversioni fittizie, per via di attrizione, non soglion esser né efficaci, nè durevoli » sicché « deve il pastor d’anime esigere segni non dubbii della carità dominante, prima di ammettere ai Sacramenti i suoi penitenti »; e questi segni, come segue a insegnare « potrà il pastore desumerli da una stabile astensione dal peccato e dal fervore nelle buone opere »; e di più considera questo « fervore di carità » come una disposizione che « deve andar innanzi all’assoluzione »; tal dottrina, intesa nel senso che, per ammettere l’uomo ai Sacramenti e in particolare i penitenti al beneficio dell’assoluzione « si richiede assolutamente » e generalmente non soltanto la contrizione imperfetta, talora indicata col nome di attrizione, anche se congiunta coll’amore per il quale l’uomo comincia ad amar Dio come sorgente d’ogni giustificazione, nè soltanto la contrizione informata dalla carità, ma pure « il fervore della carità dominante » e per di più messo a prova di lunga esperienza col fervore nelle buone opere — è falsa, temeraria, atta a turbare la tranquillità delle anime, contraria alla prassi sicura e approvata nella Chiesa, dannosa all’efficacia del Sacramento e ingiuriosa ».

(Bullarii Romani continuatìo, 1. e, 2711, 2714).

S. Gregorio da Nissa, In Cantica Canticorum, homilia I:

« Difatti chi vuol che tutti sien salvi e vengano alla conoscenza della verità (la Tim., II, 4) indica qui un mezzo perfettissimo e felice di salvezza, dico quello della carità. Perché a taluni salvezza è fatta anche per via di timore, quando ci stacchiamo dal male, considerando le pene dell’inferno. Ci sono anche di quelli che, per la speranza del premio riservato a chi avrà piamente vissuto, si diportano con rettitudine e conforme a virtù, praticando il bene non per amore, ma per l’aspettativa della ricompensa ».

(P. G., 44, 766).

DOMANDA 442a.

S. Giovanni Crisostomo, De Lazaro, IV, 4:

« Se siamo stati fin qui negligenti, uccidiamo subito la malizia che è trascesa ad azione, colla confessione, col pianto, coll’accusa de’ proprii peccati. Niente infatti è così nemico del peccato quanto l’accusa e la condanna del peccato, congiunta col pentimento e col pianto. Hai condannato il tuo peccato? Ti sei liberato da un fardello. Chi dice così? Lo stesso giudice, Dio: Di’ tu per primo i tuoi peccati, se vuoi esser giustificato (Isa., XLIII, 26). Perché dunque — rispondi — hai vergogna e arrossisci di confessare i tuoi peccati? Forse dunque li dici a un uomo perché ti svergogni? Forse li confessi a un compagno perché li sciorini al pubblico? No, ma scopri le piaghe a chi è Signore e ha cura di te ed è pietoso ed è medico…. Se non dichiarerai l’enormità del debito, non sperimenterai la sublimità della grazia. Dice: non ti costringo a presentarti in mezzo a un teatro nè a raccogliere molti testimonii; di’ a me soltanto e a tu per tu la tua colpa, affinché guarisca la piaga e ti liberi dal dolore ».

Il medesimo, Homilia: Quod frequenter sit conveniendum, 2:

« Dunque, perchè hai peccato, non ti vergognare di accostarti: anzi accostati appunto perciò. Nessuno infatti dice: Poiché ho una piaga, non chiamo il medico, nè voglio medicine; anzi appunto per questo si devono chiamare i medici e bisogna ricorrere all’efficacia delle medicine. Sappiamo perdonare anche noi, perchè proprio noi siam soggetti ad altre mancanze ».

(P. G., 63, 463).

DOMANDA 445a.

Concilio di Trento, Sess. XIV, Sul Sacramento della Penitenza, cap. 5:

« Secondo l’istituzione, già spiegata, del Sacramento, la Chiesa sempre ha pensato che dal Signore fu anche istituita integra la confessione de’ peccati e ch’essa è necessaria di diritto divino per tutti i peccatori dopo il Battesimo; perchè il Signor nostro Gesù Cristo (Gio., XX; Matt. XVIII) prima di salire al cielo, lasciò per suoi vicarii i sacerdoti, come direttori e giudici ai quali accusare ogni colpa mortale, in cui cascano i fedeli di Cristo; affinché essi, usando della potestà delle chiavi, pronuncino sentenza di ritenere o perdonare le colpe. È chiaro infatti che i sacerdoti non avrebbero mai potuto esercitare questa funzione di giudici, senza cognizione di causa, nè potuto nemmeno osservare l’equità nell’imporre la penitenza, se i penitenti avessero essi stessi messo in chiaro i loro peccati soltanto genericamente e non piuttosto nella specie e a uno a uno. Di qui si desume che i penitenti debbono manifestare nella confessione tutti i peccati mortali, di cui, dopo una diligente indagine, hanno ricordo, per quanto siano occulti e commessi, per es., unicamente contro gli ultimi due precetti del decalogo: questi anzi, talora, fanno più grave piaga nell’anima e son più pericolosi di quelli che si commettono in pubblico. Quanto a’ veniali, che non ci privano della grazia di Dio e in cui si cade più frequentemente, possono senza colpa esser taciuti ed espiati con molti altri mezzi, benché se ne può far la confessione saggiamente e salutarmente e senza alcuna sorta di presunzione, come dimostra la pratica di uomini pii. Ma poiché tutti i peccati mortali, anche di semplice pensiero, rendono gli uomini figli dell’ira a Dio nemici, sì deve pure chieder perdono di essi a Dio, con aperta e compunta confessione. E così, se i fedeli di Cristo stanno attenti a confessare tutte le colpe, che ricorrono alla memoria, evidentemente le manifestano per essere perdonati in tutto dalla divina misericordia. Chi fa al contrario e, consapevole, ne tace alcuni, non presenta nulla a Dio, per mezzo del sacerdote, da esser perdonato, Difatti se l’ammalato arrossisce di scoprire al medico la sua piaga, non può la medicina guarire quel che ignora. Inoltre si conclude che si devono confessare anche le circostanze, che mutano la specie del peccato; senza di esse nè il penitente fa integra la confessione de’ peccati, né questi vengono a cognizione del giudice, il quale non potrà nè giudicar rettamente la gravità delle colpe, nè imporre congrua penitenza al penitente. È dunque irragionevole insegnare che tali circostanze furono escogitate da persone oziose; o che un’unica circostanza si sia in obbligo di confessare, poniamo, d’aver peccato contro il fratello. Di più è un’empietà sostenere che una confessione, qual è comandata con questo metodo, sia impossibile oppure una carneficina delle coscienze. Si sa bene che la Chiesa dal penitente nient’altro esige tranne che dopo essersi ben esaminato e aver esplorato ogni piega e nascondiglio della sua coscienza, confessi que’ peccati, co’ quali ricorda d’aver offeso mortalmente il suo Signore e Dio: quanto poi agli altri peccati, che dopo esame diligente non tornano alla mente, s’intendono compresi, in generale, nella medesima confessione; per essi noi diciamo, con sentimento di fede, insieme al Profeta: Signore, liberami dalle colpe nascoste (Salm. XVIII). A dir vero, la stessa riluttanza di confessarsi così e la vergogna di rivelar le colpe potrebbe sembrar molesta, se non fosse alleggerita da tanti vantaggi e consolazioni, che con ogni certezza consegue, per mezzo dell’assoluzione, chi s’accosta degnamente a questo Sacramento.

« E ora del costume di confessarsi, in segreto, ad un solo sacerdote. Cristo non proibì che, per castigar sè stesso e umiliarsi, uno possa confessare in pubblico le sue colpe, o a esempio altrui, o ad edificazione della Chiesa contristata: ma esso non è stato comandato per precetto divino; nè verrebbe saggiamente comandato da una qualsiasi legge umana che si dovessero manifestare in pubblica confessione le colpe, specialmente quelle segrete. Ora, siccome dai più santi e antichi Padri, con cordiale e unanime consenso, fu sempre raccomandata la confessione sacramentale segreta, venuta in uso fin da principio e tuttora usata nella santa Chiesa, risulta chiaramente vana la calunnia di coloro, i quali non si vergognano d’insegnare ch’essa è contraria al comando di Dio e ch’è un’invenzione umana e che precisamente fu introdotta dai Padri riuniti nel Concilio di Laterano. Difatti col Concilio di Laterano la Chiesa non determinò che i fedeli di Cristo si confessassero: essa sapeva bene che quest’è obbligo e istituzione di diritto divino; determinò invece che il precetto di confessarsi fosse adempiuto almeno una volta l’anno da tutti e da ciascuno, dopo raggiunti gli anni della discrezione; di qui, con immenso frutto per le anime de’ fedeli, quell’usanza salutare universalmente osservata nella Chiesa, di confessarsi nel sacro e più accettevole tempo della quaresima. Quest’usanza il sacro Sinodo l’approva di tutto cuore e l’accoglie perchè conforme a pietà e degna d’essere conservata ».

Il medesimo, ib., can. 7:

« Sia scomunicato chi afferma che nel Sacramento della Penitenza non è necessario di diritto divino, per la remissione dei peccati, confessar tutte e singole le colpe mortali, di cui s’ha ricordo in seguito a doverosa e accurata riflessione, anche quelle occulte e che offendono gli ultimi due precetti del Decalogo e le circostanze, che mutano la specie del peccato: che invece tal confessione è puramente utile per istruzione e consolazione del penitente e che fu anticamente osservata soltanto per imporre una sodisfazione canonica: oppure afferma che chi si studia di confessare i peccati non vuol lasciar nulla da perdonare alla divina misericordia, o finalmente che non è lecito confessare i peccati veniali ».

S. Gregorio Magno, In Evangelia, II, 26, 4-6:

« (I discepoli) hanno il primato del giudizio dall’alto, sicché a taluni ritengono, ad altri perdonano i peccati, facendo le veci di Dio. Era conveniente che fossero da Dio tanto inalzati coloro, che per amor di Dio avevan consentito di esser tanto abbassati. Ecco, quelli che temono il rigoroso giudizio di Dio diventano i giudici delle anime e quelli, che

temevano d’andar dannati, o condannano o liberano gli altri. Proprio di essi ora tengono il posto nella Chiesa i vescovi, i quali, giunti a questo gradino di giurisdizione, rivestono l’autorità di legare e di sciogliere. Grande onore! ma grande anche il peso di quest’onore…. Bisogna conoscere assai bene le cause e allora solo ha da esercitarsi la potestà di sciogliere e di legare. Convien considerare quale colpa abbia preceduto, o qual pentimento è seguito alla colpa, affinché sieno assolti dalla sentenza del pastore quelli, che Dio onnipotente visita colla grazia della compunzione ».

(P. L., 76, 199 s.).

S. Cipriano, De lapsis, 28-29:

« Finalmente, quanto son più fermi per la fede e migliori pel timore coloro, che, pur non contaminati di sacrilegio, se però n’ebbero anche solo il pensiero, lo confessino con dolore e semplicità al sacerdote di Dio, aprano la loro coscienza, depongano il peso dell’anima loro, chiedano salutare rimedio anche per le piccole piaghe, pensando che sta scritto: con Dio non si scherza! (Ai Gal., VI, 7). Non si può schernire e raggirar Dio nè ingannarlo con qualsiasi astuzia…. Ognuno, dunque, vi prego, o fratelli, confessi le sue mancanze, mentre si è ancor vivi, mentre è ancor concesso di confessarsi, mentre la sodisfazione e il perdono impartiti dal sacerdote sono ancor accetti dinanzi a Dio ».

(P. L., 4, 503).

S. Girolamo, In Matthæum, III, al XVI, 19:

« Leggiamo nel Levitico (XIII, 2 ss.) de’ lebbrosi, che si comanda loro di presentarsi a’ sacerdoti e, se hanno avuto la lebbra, devono dal sacerdote esser fatti immondi: non perché i sacerdoti sian destinati a fare lebbrosi e immondi, ma perchè abbian conoscenza di lebbroso e non lebbroso e possano distinguere il mondo dall’immondo. Dunque, come lì un sacerdote fa mondo o immondo un lebbroso, così anche qui un sacerdote o un vescovo lega o scioglie non quelli, che sono innocenti o peccatori; ma, conforme all’ufficio suo, dopo aver udito le varie colpe, sa chi legare e chi sciogliere ».

(P. L., 26, 122).

DOMANDA 447a.

Alessandro VII, Decret. del 24 sett. 1665, prop. 11 tra le condannate:

« Non siamo in obbligo di manifestare nella seguente confessione i peccati tralasciati o dimenticati in una confessione per imminente pericolo di vita o per altra causa ».

(Du Plessis, III, 11, 321).

DOMANDA 452a.

Concilio di Trento, sess. XIV, Sul sacramento della Penitenza, cap. 8-9:

« Eccoci alla Sodisfazione. Di tutte le parti della Penitenza essa, che fu sempre raccomandata da’ nostri Padri al popolo cristiano, massimamente poi al nostro tempo, è combattuta, sotto colore di gran pietà, da gente che sembra aver la pietà, ma ne ha rinnegato il valore. Orbene il santo Sinodo dichiara che è del tutto falso e contrario alla parola di Dio che dal Signore non siano mai rimessi peccati, senza che ne sia pure condonata tutta la pena: nelle sacre Scritture si incontrano evidenti e notissimi esempii, da’ quali, oltre che dalla tradizione divina, è chiarissimamente refutato questo errore. In verità anche il criterio della giustizia divina sembra esigere che diversamente siano accolti da lui in grazia quelli, che peccarono prima del Battesimo per ignoranza, da quelli che, una volta liberati dalla schiavitù del peccato e del demonio, e ricevuto il dono dello Spirito Santo, non temettero di violare il tempio di Dio (I ai Cor. III, 17) e di contristare lo Spirito Santo (Agli Efes., IV, 30) consapevolmente. E s’addice proprio alla divina clemenza che noi non siamo così assolti da’ peccati senza una sodisfazione, affinchè, abusando dell’occasione e pigliando alla leggiera i peccati, non cadiamo da ingiusti oltraggiatori dello Spirito Santo (Agli Ebr., X, 29), in peccati più gravi, accumulandoci ira pel giorno dell’ira (Ai Rom., II, 5). Senza dubbio queste opere di sodisfazione penale distolgono energicamente dal peccato e servono come di freno; esse rendono i penitenti più cauti e vigilanti per l’avvenire; portano un rimedio pure ai rimasugli del peccato e cogli atti delle virtù opposte distruggono gli abiti cattivi contratti col viver male. E davvero nessuna via più sicura fu giudicata nella Chiesa di Dio, per allontanare il castigo imminente di Dio quanto la pratica frequente tra gli uomini di queste opere di penitenza unite a vero dolore dell’anima. Inoltre, mentre si soffre col render sodisfazione, ci conformiamo a Cristo Gesù, il quale sodisfece per i nostri peccati e dal quale proviene tutto il nostro bene (II ai Cor., III, 5): e ci conquistiamo anche la più sicura caparra, perché se soffriamo insieme a Lui, insieme a Lui saremo anche glorificati (Ai Rom., VIII, 17). D’altra parte questa nostra sodisfazione, data per i nostri peccati, non è nostra in guisa che non sia per mezzo di Cristo Gesù: difatti se niente possiamo noi, per quel che riguarda le nostre forze, possiamo tutto con la cooperazione di Lui, che ci conforta (Ai Philipp., IV, 13); così l’uomo non ha di che vantarsi, bensì ogni nostra gloria è in Cristo, nel quale viviamo e meritiamo e diamo sodisfazione; quelli che, operano degni frutti di penitenza, ne derivano da lui la forza, e da lui sono offerti que’ frutti al Padre e, per suo riguardo, dal Padre accettati. I sacerdoti dunque del Signore devono, a seconda che lo spirito e la prudenza suggerisce, ingiungere salutari e opportune riparazioni, a norma delle colpe e della possibilità de’ penitenti, per non rendersi partecipi dell’altrui peccato, col chiudere un occhio sulla colpa e trattare con troppa indulgenza i penitenti, imponendo per gravissimi peccati certe pene leggerissime. Tengano presente che la sodisfazione da imporre non serva soltanto di presidio alla nuova vita e di sostegno alla fragilità, ma pure di punizione e di mortificazione de’ peccati commessi; perché le chiavi furono concedute ai sacerdoti non soltanto per liberare, ma anche per vincolare, come credono e insegnano gli antichi Padri; non per questo però considerarono il sacramento della Penitenza come un tribunale d’ira e di vendetta; e, non fu mai pensiero di nessun cattolico, che per tali nostre riparazioni si offuschi e si diminuisca la virtù meritoria e sodisfattoria del Signor Nostro Gesù Cristo; e i Riformatori novelli, perché così non vogliono capirla, insegnano che la miglior penitenza è la vita nuova per eliminare così ogni valore e pratica della sodisfazione.

« Inoltre insegna che la divina misericordia è larghissima; tanto da metterci in grado di sodisfare al Padre, per merito di Gesù Cristo, non soltanto colle penitenze, spontaneamente praticate da noi per castigarci, oppure imposte a giudizio del sacerdote in proporzione della colpa, ma pure (oh, prova suprema d’amore!) colle sventure temporali da Dio inflitte e da noi pazientemente sopportate ».

DOMANDA 457a.

Concilio IV di Laterano (1215), cap. 21, Sull’obbligo di confessarsi e sul segreto confessionale, e sull’obbligo di comunicarsi almeno alla Pasqua:

« Si guardi bene dal tradire il penitente con parole, con segni o con altro mezzo qualsiasi e per qualsiasi riguardo; ma, se avesse bisogno di un consiglio migliore, lo domandi con cautela, escluso ogni accenno a persona; perchè chi presumerà di manifestare un peccato rivelatogli nel tribunale di confessione, non soltanto sia sospeso dal ministero sacerdotale, ma di più rinchiuso in un monastero di clausura a far perpetua penitenza ».

(Mansi, XXII, 1007).

DOMANDA 461a.

Concilio di Trento, Sess. VI, Decretum de justifìcatione, cap. 14:

« Chi, per il peccato, è decaduto dalla grazia della giùstificazione, si può ancora riabilitare se, coll’aiuto di Dio, procurerà, di riacquistare la grazia perduta, mediante il Sacramento della Penitenza. Questo mezzo di giustificazione difatti è una riabilitazione dei caduti, che i santi Padri chiamarono giustamente la seconda tavola dopo il naufragio della grazia perduta. Difatti per quelli, che cadono in peccato dopo il Battesimo, Gesù Cristo istituì il sacramento della Penitenza allorché disse: Ricevete lo Spirito Santo : a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi li riterrete saranno ritenuti (Gio., XX, 23 – 23). Perciò bisogna insegnare che, dopo la caduta, la riparazione dell’uomo cristiano è ben differente da quella battesimale; e che vi si comprende non soltanto la cessazione dei peccati e la loro detestazione, cioè la contrizione e l’umiliazione del cuore, ma in più la sacramentale confessione di essi, almeno col desiderio di farla a suo tempo, e l’assoluzione del sacerdote; inoltre la sodisfazione con digiuni, elemosine, preghiere ed altre pie pratiche di pietà, non proprio in compenso della pena eterna, rimessa insieme colla colpa dal Sacramento o dal desiderio del Sacramento, ma della pena temporale. Questa infatti, secondo l’insegnamento della sacra Scrittura, non sempre, come nel Battesimo, è condonata totalmente a coloro che, ingrati alla grazia da Dio ricevuta, hanno contristato lo Spirito Santo e non si sono peritati di violare il tempio di Dio. Sta scritto di questa Penitenza: Ricordati donde sei caduto e fa penitenza e ritorna alle opere di prima (Apoc. II, 5). E altrove: Difatti la tristezza che è secondo Dio produce una penitenza stabile per la salvezza (II ai Cor., VII, 10). E ancora: Fate penitenza e producete degni frutti di penitenza (Matt. III, 2, 8).

« Can. 30. Sia scomunicato chi afferma che, dopo ricevuta la grazia della giustificazione, viene rimessa la colpa a qualunque peccatore pentito e cancellato il reato di pena eterna in tal misura che non rimanga nessuna responsabilità di scontar pena temporale, o a questo mondo o in avvenire nel Purgatorio, prima di poter entrare nel regno de’ Cieli ».

Il medesimo, sess. XIV, Dottrina del sacramento della Penitenza: Vedi D . 452 e:

« Can. 12. Sia scomunicato chi afferma che tutta quanta la pena vien rimessa insieme colla colpa e che la sodisfazione del penitente non è diversa dalla fede, colla quale apprende che Cristo ha sodisfatto per lui ».

DOMANDA 462a.

Concilio di Trento, sess. XXV, Decreto sulle Indulgenze:

« Poiché la facoltà di elargire indulgenze fu conferita da Cristo alla Chiesa ed essa fin dai primi tempi ne ha usato come potere divinamente conferitogli, il santo Sinodo insegna e prescrive che dev’essere conservato e approvato dall’autorità de’ sacri Concilii, l’uso delle indulgenze; e scomunica chi sostiene che esse siano inutili, o nega alla Chiesa la facoltà di concederle. Però desidera che nel concederle sia usata, conforme all’antica e saggia pratica della Chiesa, moderazione, affinchè non si snervi per troppa facilità, la disciplina ecclesiastica. E, volendo emendare e correggere gli abusi in proposito, col pretesto de’ quali gli eretici strapazzano questo nome d’indulgenze, col decreto presente stabilisce in linea generale che devon esser tolte tutte le questue di cattivo genere per conseguirle, perché di lì ebbero origine gli abusi tra il popolo cristiano. Non è agevole poi vietar in particolare gli altri abusi che son derivati da superstizione, da ignoranza, da irriverenza o da altra qualsiasi causa, che tante sono le degenerazioni da paese a paese, da provincia a provincia: per ciò incarica i vescovi di raccogliere insieme, ciascuno con ogni cura, siffatti abusi della propria Chiesa e di riferirne al prossimo Sinodo provinciale, affinché, udito il parere anche degli altri vescovi, siano denunciati al Romano Pontefice: così coll’autorità e prudenza, che a lui compete, sia ordinato ciò che giova alla Chiesa universale affinché sia dispensato a tutti i fedeli piamente, santamente e incorrottamente il tesoro delle sacre Indulgenze ».

Clemente VI, Costit. Unigenitus Dei Filius, 25 genn, 1343:

« L’Unigenito Figlio di Dio…. fatto da Dio sapienza, giustizia, santificazione, redenzione per noi (I ai Cor., I, 30); operata l’eterna redenzione, entrò una volta per sempre nel Santuario non per merito del sangue di capro o di vitello, ma in virtù del proprio sangue. (Agli Ebr., IX, 12). Difatti ci ha redento col suo stesso prezioso sangue di agnello intatto e immacolato, non a prezzo d’oro o d’argento corruttibile (I di Piet., I, 18 ss.); e sappiam bene che, sull’altar della croce, vittima innocente, versò egli non una stilla di sangue (che, grazie all’unione col Verbo, bastava per redimere tutto il genere umano) ma senza risparmio tutto un fiume, per così dire, sicché dalla pianta de’ piedi fino al vertice de’ capelli parte sana (Isa., I, 6) in lui non si poteva trovare. Il Padre pietoso volle tesoreggiare pe’ suoi figli tutto quanto il tesoro immenso che conquistò così per la Chiesa Cattolica, affinchè la misericordia di tanto sacrificio non si rendesse inutile, vana o superflua: perciò rimase per gli uomini un tesoro infinito, giovandosi del quale si è fatti partecipi dell’amicizia di Dio ». « E questo tesoro…. l’affidò da dispensare per salvezza de’ fedeli al beato Pietro, custòde del paradiso, e a’ suoi successori e vicarii sulla terra, per motivi degni e ragionevoli, ora in remissione parziale della pena temporale dovuta per i peccati, ora totale; coll’applicazione sia generale sia speciale; conforme credessero conveniente dinanzi a Dio, ai veramente petiti e confessati. « Inoltre si ammette che accrescono il cumulo di questo tesoro, come un’aggiunta, i meriti della beata Madre di Dio e di tutti gli eletti dal primo all’ultimo santo: nè c’è da temere che si esauriscano nè, in qualsiasi misura, scemino, sia per gli infiniti meriti di Cristo, come s’è già detto, sia perchè col crescere della santità, per l’applicazione di essi a un maggior numero di fedeli, cresce pure il cumulo de’ meriti stessi ».

(Extr. comm., V, 9, 2).

Leone X, Bolla Exsurge Domine, 15 giug. 1520, propp.

17-22 tra le condannate, contro gli errori di Martin Lutero:

« 17. I tesori della Chiesa, donde il Papa elargisce le Indulgenze, non sono i meriti di Cristo e de’ Santi.

« 18. Le indulgenze son pie frodi ai fedeli e rilassamento delle buone opere; e si annoverano tra le cose lecite, non tra le giovevoli.

« 19. Le indulgenze non giovano, a chi davvero le ottiene, per rimettere la pena de’ peccati attuali dovuta alla giustizia divina.

« 20. Chi crede che le Indulgenze siano salutari e utili al profitto dello spirito, è un illuso.

« 21. Le indulgenze son necessarie soltanto per le colpe pubbliche e si concedono propriamente soltanto agl’induriti e intolleranti.

« 22. Le Indulgenze non sono necessarie nè utili a sei sorta di persone: cioè ai morti o moribondi, agl’infermi, a chi è legittimamente impedito, a chi non ha commesso colpa, a chi ha commesso colpe, ma non pubbliche, a chi opera il meglio ».

(Bullarium Romanum, 1. c., 751).

Pio VI, Costit. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, prop. 40 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« La tesi, che l’Indulgenza, secondo la sua precisa definizione, sia nient’altro che remissione d’una parte della penitenza, qual’era stabilita da’ canoni per il peccatore, nel senso che l’Indulgenza, oltre alla semplice remissione della penitenza canonica, non giovi anche a rimetter la pena temporale dovuta per i peccati attuali alla giustizia divina, è falsa, temeraria, ingiuriosa ai meriti di Cristo, testé condannata nell’art. 19 di Lutero ».

(Bullarii Romani continuatio, 1. c. 2715).

Pio XI, Bolla Infinita Dei misericordia, 29 mag. 1924,

Proclamazione del Giubileo universale dell’Anno Santo 1925:

« …. Difatti chiunque per sentimento di penitenza adempie, durante questo gran Giubileo, le prescrizioni della Sede Apostolica, come rimedia e ricupera interamente il tesoro di meriti e doni, che col peccato avea perduto, così si sottrae alla schiavitù durissima di Satana per riprender la libertà di cui Cristo ci fece liberi; finalmente si proscioglie affatto da ogni pena, che per le colpe e i vizi suoi avrebbe dovuto scontare, grazie ai meriti abbondantissimi di Gesù Cristo, della B. Vergine Maria e de’ Santi ».

(Acta Apostolicæ Sedis, XVI, 210).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “SACRA VIRGINITAS”

Questa lettera enciclica è quanto ognuno dovrebbe conoscere e far suo sul soggetto della verginità e della castità, virtù cristiane per eccellenza, oggi tanto vituperate e soffocate sotto la melma e l’immondizia ributtante di certe ideologie moderne pseudoscientiche imposte dalla bestia satanica e dalle sue membra, segnatamente la politica atea mondialista, la finanza usuraia e le conventicole di perdizione, nonché dal falso profeta nella figura delle sette protestanti, occultiste e la modernista della sinagoga del Novus Ordo montiniano del vat’inganno. Utili a tal proposito sono pure le parole dell’ultimo vero Sommo Pontefice che ha potuto liberamente esprimersi:  « … Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. » Dopo aver compiuto un escursus storico apologetico dottrinale – un vero patrimonio dell’umanità ben differente dalle pietre o da sconci edifici antichi diroccati, considerati tali da organismi affiliati alle conventicole –  il Santo Padre termina con una stupenda espressione atta a suscitare lo stupore di un Cristiano sincero: «… Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida ed ardentissima verso la vergine Madre di Dio ». Questa devozione è la stessa che ci preserverà dalle grinfie dello schifoso serpente che, dopo avere avuto il capo schiacciato dal calcagno della Vergine casta, sarà precipitato nello stagno di fuoco con tutti i suoi adepti e con coloro che non hanno amato la verità preferendo credere alla menzogna ed allo spirito di inganno di cui sono schiavi.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

SACRA VIRGINITAS

LA CONSACRATA VERGINITÀ

INTRODUZIONE

La sacra verginità e la castità perfetta consacrata al servizio di Dio sono certamente, per la Chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come in eredità. Per questo motivo i santi Padri sottolineavano che la verginità perpetua è un bene eccelso di carattere essenzialmente cristiano. Essi osservano a buon diritto che, se i pagani dell’antichità richiedevano dalle vestali un tale tenore di vita, questo era temporaneo; e quando nell’Antico Testamento si comanda di conservare e praticare la verginità, si trattava soltanto di una condizione preliminare al matrimonio (cf. Es XXII, 16-17; Dt XXII, 23-29; Eccle XLII, 9); sant’Ambrogio aggiunge: «Noi leggiamo che anche nel tempio di Gerusalemme vi erano delle vergini. Ma che cosa dice l’apostolo? “Tutte queste cose avvenivano ad essi in figura” (1 Cor X, 11) per preannunciare il futuro». – E, certamente, fin dai tempi apostolici questa virtù cresce e fiorisce nel giardino della Chiesa. Quando negli Atti degli apostoli (At XXI, 9) si dice che le quattro figlie del diacono Filippo furono vergini, più che la loro giovinezza, si vuole indicare uno stato di vita. Non molto tempo dopo, Sant’Ignazio di Antiochia ricorda nel suo saluto le vergini, che costituivano già, insieme con le vedove, un elemento importante della comunità cristiana di Smirne. Nel II sec. – come attesta s. Giustino – «molti e molte, di sessanta e settant’anni, si conservano intatti sin dall’infanzia, per l’insegnamento di Cristo». Poco alla volta si accrebbe il numero di uomini e donne che avevano consacrato a Dio la loro castità; e nello stesso tempo il loro compito nella Chiesa acquistò importanza maggiore, come più diffusamente abbiamo esposto nella Nostra costituzione apostolica Sponsa Christi. – Inoltre i santi padri – come Cipriano, Atanasio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Agostino e non pochi altri – nei loro scritti celebrarono la verginità con altissimi elogi. Questa dottrina dei santi Padri, arricchita nel corso dei secoli dai dottori della Chiesa e dai maestri dell’ascetica cristiana, influisce certo molto tra i Cristiani d’ambo i sessi nel suscitare e confermare il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità e di perseverare in essa fino alla morte. Il numero dei fedeli così consacrati a Dio, dall’origine della Chiesa fino ai nostri giorni, è incalcolabile: gli uni hanno conservato intatta la loro verginità, gli altri hanno votato al Signore la loro vedovanza dopo la morte del consorte; altri, infine, hanno scelto una vita casta dopo aver fatto penitenza dei loro peccati; ma tutti hanno questo di comune tra loro: che si sono impegnati ad astenersi per sempre, per amore di Dio, dai piaceri della carne. Ciò che i santi Padri hanno proclamato circa la gloria e il merito della verginità, sia a tutte queste anime consacrate di invito, di sostegno e di forza a perseverare fermamente nel sacrificio e a non sottrarre e prendere per sé una parte anche minima dell’olocausto offerto sull’altare di Dio. – La castità perfetta è la materia di uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso ed è richiesta nei chierici della Chiesa latina ordinati negli ordini maggiori e nei membri degli istituti secolari, ma è praticata pure da numerosi laici, uomini e donne che, pur vivendo al di fuori dello stato pubblico di perfezione, rinunziano completamente, di proposito o per voto privato, al matrimonio e ai piaceri della carne per poter servire più liberamente il loro prossimo e unirsi a Dio più facilmente e intimamente. – A tutti i dilettissimi figli e figlie, che in qualsiasi modo hanno consacrato a Dio il loro corpo e la loro anima, rivolgiamo il Nostro cuore paterno e li esortiamo vivamente a confermarsi nel loro santo proposito e a restarvi diligentemente fedeli. – Vi sono, però, oggi alcuni che, allontanandosi in questa materia dal retto sentiero, esaltano tanto il matrimonio da anteporlo alla verginità; essi disprezzano la castità consacrata a Dio e il celibato ecclesiastico. Per questo crediamo dovere del Nostro apostolico Ufficio proclamare e difendere, al presente in modo speciale, l’eccellenza del dono della verginità, per difendere questa verità cattolica contro tali errori.

I.

VERA IDEA DELLA CONDIZIONE VERGINALE

Anzitutto vogliamo osservare che la parte essenziale del suo insegnamento circa la verginità, la Chiesa l’ha ricevuta dalle labbra stesse dello Sposo divino. Quando infatti i discepoli si mostrarono colpiti dai gravissimi obblighi e fastidi del matrimonio che il Maestro aveva loro esposto, gli dissero: «Se tale è la condizione dell’uomo verso la moglie, non conviene sposarsi» (Mt XIX, 10). Gesù Cristo rispose che non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è concesso; alcuni infatti sono impossibilitati al matrimonio per difetto di natura, altri per la violenza e la malizia degli uomini, altri invece si astengono da esso spontaneamente e di propria volontà «per il regno dei cieli»; e concluse: «Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX, 11-12). – Il Maestro divino allude non agli impedimenti fisici per il matrimonio ma al proposito della libera volontà di astenersi per sempre dalle nozze e dai piaceri del corpo. Facendo il paragone tra coloro che spontaneamente rinunciano ai piaceri del corpo e quelli che sono costretti a rinunciarvi dalla natura o dalla violenza umana, non c’insegna forse il divin Redentore che la castità deve essere perpetua, affinché sia realmente perfetta? I santi padri, inoltre, e i dottori della chiesa hanno insegnato apertamente che la verginità non è una virtù cristiana se non la si abbraccia «per il regno dei cieli» (Mt XIX, 12), cioè per poter attendere più facilmente alle cose celesti, per conseguire più sicuramente l’eterna salvezza, per poter condurre infine più speditamente, con diligente operosità, anche gli altri al regno dei cieli. Non possono, quindi, arrogarsi il merito della verginità quei Cristiani e quelle Cristiane che si astengono dal matrimonio o per egoismo o per sfuggirne gli oneri, come avverte sant’Agostino, o anche per ostentare con superbia farisaica l’integrità dei loro corpi: il concilio di Gangra (Asia Minore) condanna chi si astiene dal matrimonio come da uno stato abominevole, e non per la bellezza e la santità della verginità. – L’apostolo delle genti, ispirato dallo Spirito Santo, ammonisce: «Chi non è sposato, è sollecito delle cose di Dio, del modo di piacere a lui… E la donna non sposata e vergine pensa alle cose di Dio per essere santa di corpo e di spirito» (1 Cor VII, 32.34). Ecco lo scopo principale, la prima ragione della verginità cristiana: aspirare unicamente alle cose divine e dirigervi la mente e lo spirito; voler piacere a Dio in tutto; pensare a Lui intensamente, e consacrargli totalmente corpo e spirito. I santi Padri hanno sempre interpretato in questa maniera la parola di Cristo e la dottrina dell’Apostolo delle genti: fin dai primi tempi della Chiesa si stimava verginità la consacrazione fatta a Dio del corpo e dell’anima. San Cipriano richiede dalle vergini «che, per essersi consacrate a Dio, si astengano da ogni piacere carnale, consacrino a Dio il corpo e l’anima … e non siano sollecite di abbigliarsi o di piacere ad alcuno, tranne che al loro Signore». Il Vescovo di Ippona precisa: «La verginità non è onorata perché tale, ma perché consacrata a Dio … e noi non lodiamo le vergini perché tali, ma perché sono vergini consacrate a Dio con devota continenza». I prìncipi dei teologi, san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura si richiamano all’autorità di sant’Agostino per insegnare che la verginità non ha la fermezza della virtù, se non si fonda sul voto di conservarla sempre illibata. Difatti la dottrina di Cristo intorno all’astinenza perpetua del matrimonio viene praticata nel modo più ampio e perfetto da coloro che si obbligano con voto perpetuo alla sua osservanza: né si può giustamente affermare che sia migliore e più perfetto il proposito di coloro che intendono riservarsi la possibilità di liberarsi dall’impegno. I santi Padri hanno considerato questo vincolo di castità perfetta come una specie di matrimonio spirituale fra l’anima e Cristo; alcuni di essi, anzi, sono giunti fino a paragonare con l’adulterio la violazione del voto fatto. Perciò sant’Atanasio scrive che la Chiesa Cattolica è solita chiamare le vergini: spose di Cristo. E sant’Ambrogio, scrivendo concisamente della vergine esclama: «La vergine è sposa di Dio». Gli scritti del dottore di Milano attestano, già al VI secolo, la grande somiglianza tra il rito della consacrazione delle vergini e quello della benedizione nuziale, ancora in uso oggi. Perciò i santi Padri esortano le vergini ad amare il loro Sposo divino più di quanto amerebbero il proprio marito e a conformare sempre i loro pensieri e le loro azioni alla sua volontà. «Amate di tutto cuore il più bello dei figli degli uomini – scrive loro sant’Agostino – voi ne avete tutta la facoltà: il vostro cuore è libero dai legami del matrimonio… Dal momento che avreste dovuto portare un grande amore ai vostri sposi, quanto più dovete amare Colui per amore del quale voi avete rinunziato agli sposi? Sia fisso nel vostro cuore Colui che per voi è stato infisso sulla croce». Tali sono, d’altra parte, i sentimenti e le risoluzioni che la chiesa stessa richiede dalle vergini il giorno della loro consacrazione, quando le invita a pronunciare le parole rituali: «Ho disprezzato il regno del mondo e tutto il fasto del secolo per amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ho conosciuto, che ho amato, e nel quale ho amorosamente creduto». È quindi solo l’amore di lui che spinge con dolcezza la vergine a consacrare interamente il suo corpo e la sua anima al divin Redentore, secondo le bellissime espressioni che san Metodio d’Olimpo fa dire a una di esse: «O Cristo, tu sei tutto per me. Io mi conservo pura per te e, portando una lampada splendente, vengo incontro a te, o Sposo mio». Sì, è l’amore di Cristo che spinge la vergine a ritirarsi, e per sempre, dentro le mura del monastero per contemplarvi e amare con maggiore speditezza e facilità il suo Sposo celeste, e la stimola potentemente a impegnarsi con tutte le forze fino alla morte nelle opere di misericordia in favore del prossimo. Riguardo poi agli uomini «che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini» (Ap. XIV, 4) l’apostolo san Giovanni afferma che essi seguono l’Agnello dovunque egli vada. Meditiamo l’esortazione che fa loro sant’Agostino: «Seguite l’Agnello, perché la carne dell’Agnello è anch’essa vergine… voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos’è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, “affinché seguiamo le sue orme” (1 Pt II, 21)». Tutti questi discepoli infatti e tutte queste spose di Cristo hanno abbracciato lo stato di verginità, come dice san Bonaventura, per la conformità allo Sposo Cristo, al quale esso rende conformi i vergini». La loro ardente carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con Lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l’imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti, se i religiosi e le religiose, se tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno consacrato la vita al servizio di Dio, osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il loro divino Maestro è rimasto egli stesso vergine fino alla morte. «È proprio il Figlio unico di Dio – esclama san Fulgenzio – e Figlio unico della Vergine, l’unico Sposo di tutte le sacre vergini, frutto, ornamento e ricompensa della santa verginità, che lo ha dato alla luce e spiritualmente lo sposa e dal quale è resa feconda senza lesione dell’integrità, ornata per rimanere sempre bella, incoronata per regnare gloriosa nell’eternità». – Qui crediamo opportuno, venerabili fratelli, spiegare più diffusamente e con maggiore accuratezza per quali ragioni l’amore di Cristo spinga le anime generosamente a rinunciare al matrimonio e quali legami segreti esistano fra la verginità e la perfezione della carità cristiana. L’insegnamento di Cristo, ricordato più sopra, faceva già capire che la perfetta rinunzia al matrimonio libera gli uomini da oneri pesanti e da gravi doveri. Ispirato dallo Spirito di Dio, l’apostolo dei gentili ne dà la ragione in questi termini: «Io vorrei che voi foste senza inquietudini… Chi invece è sposato, si preoccupa delle cose del mondo, del modo di piacere alla moglie ed è diviso» (1 Cor VII, 32-33). Si deve tuttavia notare che l’Apostolo non biasima gli uomini perché si preoccupano delle loro consorti, né le spose perché cercano di piacere al marito; ma afferma piuttosto che il loro cuore è diviso tra l’amore del coniuge e l’amore di Dio e che sono troppo oppressi dalle preoccupazioni e dagli obblighi della vita coniugale, per potersi dare facilmente alla meditazione delle cose divine. Poiché s’impone loro la legge chiara e imperiosa del matrimonio: «saranno due in una carne sola» (Gn II, 24; cf. Mt XIX, 5). Gli sposi infatti sono legati l’uno all’altro negli avvenimenti tristi e in quelli lieti (cf. 1 Cor VII, 39). Si comprende quindi facilmente perché le persone, che desiderano consacrarsi al servizio di Dio, abbraccino lo stato di verginità come una liberazione, per potere cioè servire più perfettamente Dio e dedicarsi con tutte le forze al bene del prossimo. Per citare infatti alcuni esempi, come avrebbero potuto affrontare tanti disagi e fatiche quell’ammirabile predicatore dell’evangelo che fu san Francesco Saverio, quel misericordioso padre dei poveri che fu san Vincenzo de’ Paoli, un san Giovanni Bosco, insigne educatore dei giovani, una santa Francesca Saverio Cabrini, instancabile «madre degli emigranti», se avessero dovuto pensare alle necessità materiali e spirituali del proprio coniuge e dei propri figli? – Vi è però un’altra ragione per la quale le anime che ardentemente desiderano consacrarsi al servizio di Dio e alla salvezza del prossimo, scelgono lo stato di verginità. Essa è addotta dai santi padri, quando trattano dei vantaggi di una completa rinunzia ai piaceri della carne allo scopo di gustar meglio le elevazioni della vita spirituale. Senza dubbio – come essi hanno chiaramente notato – tali piaceri, legittimi nel matrimonio, non sono per sé da condannarsi; anzi il casto uso del matrimonio è nobilitato e santificato da un sacramento speciale. Tuttavia, bisogna egualmente riconoscere che in seguito alla caduta di Adamo le facoltà inferiori della natura resistono alla retta ragione e talora spingono l’uomo ad agire contro i suoi dettami. Secondo l’espressione del dottore angelico, l’uso del matrimonio «trattiene l’animo dal darsi interamente al servizio di Dio». – Proprio perché i sacri ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di anima e per evitare che si immischino in affari terreni, la chiesa latina esige da essi che si assumano volontariamente l’obbligo della castità perfetta. «Se poi una tale legge – come affermava il Nostro predecessore d’immortale memoria Pio XI – non vincola nella stessa misura i ministri della Chiesa orientale, anche presso di essi il celibato ecclesiastico è in onore, e in certi casi – soprattutto quando si tratta dei gradi più alti della gerarchia – è necessariamente richiesto e imposto». – I ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all’apostolato, ma anche perché servono all’altare. Se i sacerdoti dell’Antico Testamento già dovevano astenersi dall’uso del matrimonio mentre servivano nel tempio per non contrarre un’impurità legale, come gli altri uomini (cf. Lv XV, 16-17; 22,4; 1 Sam XXI, 5-7), quanto maggiore non è la necessità della perpetua castità per i ministri di Gesù Cristo, i quali offrono ogni giorno il sacrificio eucaristico? Riguardo a questa perfetta continenza dei sacerdoti ecco quanto dice in forma interrogativa san Pier Damiani: «Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una Vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo, vagiva nella culla, a chi, dunque, ditemi, vuole egli confidare il suo corpo, ora che Egli regna, immenso, nei cieli?». – Per questo motivo soprattutto, secondo l’insegnamento della chiesa, la santa verginità supera in eccellenza il matrimonio. Già il divin Redentore ne aveva fatto un consiglio di vita più perfetta ai discepoli (cf. Mt XIX, 10-11). E l’Apostolo san Paolo, dopo aver detto di un padre che dà a marito la sua figlia «egli fa bene», aggiunge subito: «Chi però non la dà a marito, fa meglio ancora» (1 Cor VII, 38). Nel corso del suo paragone tra il matrimonio e la verginità, l’Apostolo più di una volta mostra il suo pensiero, soprattutto quando dice: «Io vorrei che tutti voi foste come me… dico poi ai celibi e alle vedove: è conveniente per essi restare come sono io» (1 Cor VII, 7-8; cf.1 et 26). Se dunque la verginità, come abbiamo detto, è superiore al matrimonio, questo avviene senza dubbio, perché essa mira a conseguire un fine più eccelso; essa poi è un mezzo efficacissimo per consacrarsi interamente al servizio di Dio, mentre il cuore di chi è legato alle cure del matrimonio resta più o meno «diviso» (cf. 1 Cor VII, 33). – L’eccellenza della verginità risalterà ancor maggiormente se ne consideriamo l’abbondanza dei frutti: «poiché dal frutto si riconosce l’albero» (Mt XII, 33). – Il Nostro animo si riempie di immensa e soave letizia al pensiero della falange innumerevole di vergini e di apostoli che, dai primi tempi della Chiesa fino ai giorni nostri, hanno rinunciato al matrimonio per consacrarsi più liberamente e più completamente alla salvezza del prossimo per amore di Cristo, e hanno sviluppato iniziative veramente mirabili nel campo della Religione e della carità. Non vogliamo certo disconoscere i meriti di quelli che militano nell’Azione cattolica, né i frutti del loro apostolato: con le loro opere, essi possono spesso raggiungere delle anime che sacerdoti e religiosi o religiose non avrebbero potuto avvicinare. Ma, senza alcun dubbio, si deve far risalire a questi ultimi la maggior parte delle opere di carità. Costoro, infatti, con grande generosità seguono e dirigono la vita degli uomini in ogni età e condizione; e quando vengono meno per la stanchezza o per malattia, lasciano ad altri, come in eredità, la continuazione della loro missione. Così avviene che il bambino, appena nato, trova sovente delle mani verginali che l’accolgono e non gli fanno mancare quanto l’intenso amore materno potrebbe dargli; fatto grandicello e giunto all’età della ragione, è affidato a educatori o educatrici che vegliano alla sua istruzione cristiana, allo sviluppo delle sue facoltà e alla formazione del suo carattere. Se si ammala, troverà sempre qualcuno che, spinto dall’amore di Cristo, lo curerà premurosamente. L’orfanello, il misero, il prigioniero, non mancheranno di conforto e aiuto: i sacerdoti, i religiosi, le sacre vergini vedranno in lui un membro sofferente del corpo mistico di Gesù Cristo, memori delle parole del divin Redentore: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete rivestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi… In verità vi dico, tutto ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt XXV, 35-36.40). Che diremo in lode di tanti missionari, che si consacrano, a costo delle maggiori fatiche e lontani dalla loro patria, alla conversione delle masse infedeli? Che delle spose di Cristo, le quali dànno loro una preziosa collaborazione? A tutti e a ciascuno di essi ripetiamo volentieri le parole della Nostra esortazione apostolica Menti Nostræ: «Per la legge del celibato, il sacerdote, ben lontano dal perdere interamente la paternità, l’accresce all’infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna». – La verginità non è solamente feconda per le opere esteriori a cui permette di dedicarsi più facilmente e più pienamente; essa lo è anche per le forme più perfette di carità verso il prossimo, quali sono le ardenti preghiere e i gravi disagi volontariamente e generosamente sopportati a questo scopo. A ciò hanno consacrato tutta la loro vita i servi di Dio e le spose di Cristo, quelli specialmente che vivono nei monasteri. – Infine, la verginità consacrata a Cristo è per se stessa una tale espressione di fede nel regno dei cieli e una tale prova d’amore verso il divin Redentore, che non c’è da meravigliarsi nel vederla arrecare frutti così abbondanti di santità. Numerosissimi sono le vergini e gli apostoli, votati alla castità perfetta, che sono l’onore della Chiesa per l’alta santità della loro vita. La verginità, infatti, dà alle anime una forza spirituale capace di condurle fino al martirio e questo è l’insegnamento della storia che propone alla nostra ammirazione tante schiere di vergini, da Agnese di Roma a Maria Goretti. – A tutta ragione la verginità è detta virtù angelica; san Cipriano scrivendo alle vergini afferma giustamente: «Quello che noi saremo un giorno, voi già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio». All’anima assetata di purezza e arsa dal desiderio del regno dei cieli, la verginità viene presentata «come una gemma preziosa», per la quale un tale «vendette tutto ciò che aveva e la comprò» (Mt XIII, 46). Coloro che sono sposati e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della loro bianca purezza e si sentono spinti verso un ideale che superi i piaceri del senso. Lo afferma l’Aquinate scrivendo: «Alla verginità … si attribuisce la bellezza più sublime», e questo è senza dubbio il motivo per cui le vergini sono di esempio a tutti. Difatti tutti costoro, uomini e donne, con la loro perfetta castità non dimostrano forse chiaramente che il dominio dell’anima sul corpo è un effetto dell’aiuto divino e un segno di provata virtù? – Ci piace ancora sottolineare un altro frutto soavissimo della verginità: le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della stessa loro madre la Chiesa, e la santità dei loro vincoli strettissimi con Cristo. A ciò sapientemente si ispirano le espressioni del Pontefice nel rito della consacrazione delle vergini e nelle preghiere rivolte al Signore: «Affinché vi siano anime più sublimi che, disdegnando nel matrimonio i piaceri della carne, ne cerchino il significato recondito, e invece di imitare ciò che si fa nel matrimonio, amino quanto in esso è simboleggiato». Gloria altissima per le vergini è, certo, l’essere delle immagini viventi in quella perfetta integrità, che unisce la Chiesa al suo Sposo divino. Esse inoltre offrono un segno mirabile della fiorente santità e di quella spirituale fecondità, in cui eccelle la società fondata da Gesù Cristo, alla quale è motivo di una gioia quanto mai intensa. A questo proposito sono magnifiche le espressioni di san Cipriano: «La verginità è un fiore che germoglia dalla Chiesa, decoro e ornamento della grazia spirituale, gioia della natura, capolavoro di lode e di gloria, immagine di Dio che riverbera la santità del Signore, porzione più eletta del gregge di Cristo. Se ne rallegra la chiesa, la cui gloriosa fecondità in esse abbondantemente fiorisce: e quanto più cresce lo stuolo delle vergini tanto più grande è il gaudio della Madre».

II.

CONTRO ALCUNI ERRORI

La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal divin Redentore e dall’Apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento e sempre concordemente insegnata dai santi Padri e dai dottori della Chiesa. I Nostri predecessori, e Noi stessi, ogni qualvolta se ne presentava l’occasione, l’abbiamo più e più volte spiegata e vivamente inculcata. Tuttavia, poiché di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla Chiesa, Noi, spinti dall’obbligo del Nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla in questa enciclica, indicando gli errori, proposti spesso sotto apparenza di verità. – Anzitutto, si discostano dal senso comune, che la Chiesa ebbe sempre in onore, coloro che considerano l’istinto sessuale come la più importante e maggiore inclinazione dell’organismo umano e ne concludono che l’uomo non può contenere per tutta la vita un tale istinto, senza grave pericolo di perturbare il suo organismo, soprattutto i nervi, e di nuocere quindi all’equilibrio della personalità. – Come giustamente osserva san Tommaso, l’istinto più profondamente radicato nel nostro animo è quello della propria conservazione, mentre l’inclinazione sessuale viene in secondo luogo. Spetta inoltre all’impulso direttivo della ragione, privilegio singolare della nostra natura, regolare tali istinti fondamentali e nobilitarli dirigendoli santamente. – È vero, purtroppo, che le facoltà del nostro corpo e le passioni, sconvolte in seguito al primo peccato di Adamo, tendono al dominio non solo dei sensi ma anche dell’anima, offuscando l’intelligenza e debilitando la volontà. Ma la grazia di Gesù Cristo, principalmente attraverso i sacramenti, ci viene data proprio perché, vivendo la vita dello spirito, teniamo a freno il corpo (cf. Gal V, 25; 1 Cor IX, 27). La virtù della castità non pretende da noi l’insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile. Per acquistare poi questo perfetto dominio sui sensi del corpo, non basta astenersi solamente dagli atti direttamente contrari alla castità, ma è assolutamente necessario rinunciare volentieri e con generosità a tutto ciò che, anche lontanamente, offende questa virtù: l’anima potrà allora regnare pienamente sul corpo e condurre una vita spirituale tranquilla e libera. Come non vedere, alla luce dei principi cattolici, che la castità perfetta e la verginità, lungi dal nuocere allo sviluppo e progresso naturale dell’uomo e della donna li accrescono e li nobilitano? – Abbiamo recentemente condannato con tristezza l’opinione che presenta il matrimonio come il solo mezzo di assicurare alla personalità umana il suo sviluppo e la sua perfezione naturale. Alcuni infatti sostengono che la grazia, concessa dal sacramento ex opere operato, santifica l’uso del matrimonio fino a farne uno strumento più efficace ancora che la verginità, per unire le anime a Dio, poiché il matrimonio cristiano è un sacramento, mentre la verginità non lo è. Noi denunziamo in questa dottrina un errore pericoloso. Certo, il sacramento accorda agli sposi la grazia d’adempiere santamente i loro doveri coniugali e consolida i vincoli dell’amore reciproco che li unisce, ma non fu istituito per rendere l’uso del matrimonio quasi il mezzo in sé più atto ad unire a Dio l’anima degli sposi col vincolo della carità. Quando l’Apostolo san Paolo riconosce agli sposi il diritto di astenersi per qualche tempo dall’uso del matrimonio per attendere alla preghiera (cf. 1 Cor VII, 5), non viene precisamente a dire che una tale rinunzia procura all’anima maggiore libertà per attendere alle cose divine e pregare? Infine non si può affermare – come fanno alcuni – che il «mutuo aiuto» ricercato dagli sposi nel matrimonio, sia un aiuto più perfetto per giungere alla santità che la solitudine del cuore delle vergini e dei celibi. Difatti, nonostante la loro rinuncia a un tale amore umano, le anime consacrate alla castità perfetta non impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il «mutuo aiuto» degli sposi. Consacrandosi interamente a Colui che è il loro principio e comunica loro la sua vita divina, non si impoveriscono, ma si arricchiscono. Chi, con maggiore verità che i vergini, può applicare a sé la mirabile espressione dell’apostolo san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me»? (Gal II, 20). Questa è la ragione per cui la Chiesa sapientemente ritiene che si deve mantenere il celibato dei Sacerdoti, poiché sa bene quale sorgente di grazie spirituali esso costituisca per una sempre più intima unione con Dio. – Crediamo opportuno ricordare brevemente un altro errore ancora: alcuni allontanano i giovani dai seminari e le giovani dagli istituti religiosi sotto pretesto che la Chiesa abbia oggi maggior bisogno dell’aiuto e dell’esercizio delle virtù cristiane da parte di fedeli uniti in matrimonio e viventi in mezzo agli altri uomini, che non da parte di Sacerdoti e di vergini, che per il voto di castità vivono come appartati dalla società. Tale opinione, venerabili fratelli, è evidentemente quanto mai falsa e perniciosa. Non è Nostra intenzione, certamente, negare che gli sposi cattolici con una vita esemplarmente cristiana possano produrre frutti abbondanti e salutari in ogni luogo e in ogni circostanza con l’esercizio delle virtù. Chi però consigliasse, come preferibile alla consacrazione totale a Dio, la vita matrimoniale, invertirebbe e confonderebbe il retto ordine delle cose. Senza dubbio, venerabili fratelli, Noi auspichiamo ardentemente che si istruiscano convenientemente quanti aspirano al matrimonio e i giovani sposi, non solo sul grave dovere di educare rettamente e diligentemente i figli, ma anche sulla necessità di aiutare gli altri, secondo le possibilità, con la professione della fede e l’esempio della virtù. Dobbiamo, tuttavia, per dovere del Nostro ufficio condannare energicamente coloro che si applicano a distogliere i giovani dall’entrare in seminario, negli ordini o congregazioni religiose o dall’emissione dei santi voti, insegnando loro che sposandosi faranno un bene spirituale maggiore con la pubblica professione della loro vita cristiana, come padri e madri di famiglia. Si farebbe molto meglio a esortare col maggiore impegno possibile i molti laici sposati, affinché cooperino con premura alle imprese d’apostolato laico, piuttosto che cercare di distogliere dal servizio di Dio nello stato di verginità quei giovani, troppo rari, purtroppo, oggi, che desiderano consacrarvisi. Molto opportunamente scrive a questo proposito sant’Ambrogio: «È stato sempre proprio della grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l’amore per la verginità». Inoltre giudichiamo opportuno avvertire che è completamente falsa l’asserzione, secondo cui le persone consacrate a una vita di castità perfetta diventano quasi estranee alla società. Le sacre vergini che spendono tutta la loro vita al servizio dei poveri e dei malati, senza distinzione di razza, di condizione sociale e di religione, non partecipano forse intimamente alle loro miserie e alle loro sofferenze, e non li compatiscono forse con la tenerezza di una mamma? E il Sacerdote non è forse il buon pastore che, sull’esempio del divin Maestro, conosce le sue pecorelle e le chiama per nome? (cf. Gv X, 14; X, 3). Ebbene, è proprio in forza della castità perfetta, da loro abbracciata, che questi Sacerdoti, religiosi e religiose possono dedicarsi interamente a tutti gli uomini e amarli del medesimo amore di Cristo. E anche quelli di vita contemplativa contribuiscono certamente molto al bene della Chiesa, con le supplici preghiere e con l’offerta della loro immolazione per la salvezza altrui; sono anzi sommamente da lodare perché, nelle circostanze presenti, si consacrano all’apostolato e alle opere di carità secondo le norme da Noi date nella lettera apostolica Sponsa Christi, né possono quindi venir considerati come estranei alla società, dal momento che doppiamente ne promuovono il bene spirituale.

III.

LA VERGINITÀ È UN SACRIFICIO

Passiamo ora, venerabili fratelli, alle conseguenze pratiche della dottrina della Chiesa circa l’eccellenza della verginità. Innanzi tutto, bisogna dire chiaramente che, dalla superiorità della verginità sul matrimonio, non segue che essa sia mezzo necessario alla perfezione cristiana. È possibile giungere alla santità anche senza consacrare a Dio la propria castità, come lo prova l’esempio di tanti santi e sante, fatti oggetto di culto pubblico dalla Chiesa, i quali furono coniugi fedeli, eccellenti padri e madri di famiglia; e non è raro incontrare anche oggi persone coniugate, che tendono alla perfezione, con grande impegno. Si osservi, inoltre, che Dio non impone la verginità a tutti i cristiani, come insegna l’apostolo san Paolo: «Intorno alle vergini non ho nessun comando di Dio, ma do un consiglio» (1 Cor VII, 25). La castità perfetta, quindi, non è che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più facilmente alla perfezione evangelica e al regno dei cieli quelle anime «a cui è stato concesso» (Mt XIX,11). «Essa non è imposta, ma proposta», nota sant’Ambrogio. – La castità perfetta come, da parte dei Cristiani, esige una libera scelta prima della loro offerta totale al Signore, così, da parte di Dio, richiede un dono e una grazia. Già lo stesso divin Redentore l’aveva annunciato: «Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli a cui è concesso. … Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX, 11.12). Commentando le parole di Cristo, san Girolamo invita «ciascuno a valutare le proprie forze, e vedere se gli sarà possibile adempiere gli obblighi della verginità e della castità. Di per sé, infatti, la castità è soave e attira a sé tutti. Ma bisogna ben misurare le forze, affinché chi può comprendere, comprenda. È come se la voce del Signore chiamasse i suoi soldati e li invitasse alla ricompensa della verginità. Chi può comprendere, comprenda: chi può combattere, combatta, vinca e trionfi». – La verginità è una virtù difficile. Perché la si possa abbracciare, non basta solamente aver fatta la risoluzione ferma e decisa d’astenersi per sempre dai piaceri leciti del matrimonio: bisogna anche saper padroneggiare e domare con una vigilanza e una lotta costanti le rivolte della carne e le passioni del cuore; fuggire le allettative del mondo e vincere le tentazioni del demonio. Aveva ben ragione san Giovanni Crisostomo di affermare: «La radice e il frutto della verginità è una vita crocifissa». Al dire di sant’Ambrogio, la verginità è quasi un sacrificio e la vergine è «l’ostia del pudore, la vittima della castità». San Metodio d’Olimpo giunge a paragonare le vergini ai martiri e san Gregorio Magno insegna che la castità perfetta sostituisce il martirio: «Il tempo delle persecuzioni è passato, ma la nostra pace ha un suo martirio: anche se non mettiamo più il nostro collo sotto il ferro, tuttavia noi uccidiamo con la spada dello spirito i desideri carnali della nostra anima». La castità consacrata a Dio esige, quindi, anime forti e nobili, pronte al combattimento e alla vittoria, «per il regno dei cieli» (Mt XIX, 12). – Prima di incamminarsi per questo arduo sentiero, chi per propria esperienza si sentisse impari alla lotta, ascolti umilmente l’avvertimento di san Paolo: «Coloro che non possono contenersi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare» (1 Cor VII, 9). Per molti, infatti, la continenza perpetua sarebbe un peso troppo grave, per poterla ad essi consigliare. Così i Sacerdoti, direttori spirituali di giovani che credono di avere una vocazione sacerdotale o religiosa hanno lo stretto dovere di esortarli a studiare attentamente le loro disposizioni e di non lasciarli entrare per tale via, qualora presentino poche speranze di poter camminare fino alla fine con sicurezza e buon esito. Tali Sacerdoti esaminino prudentemente le attitudini dei giovani e – se parrà opportuno – chiedano il consiglio dei medici. Se, infine, restasse ancora qualche serio dubbio, soprattutto nei riguardi della loro vita passata, intervengano con fermezza per farli desistere dall’abbracciare lo stato di castità perfetta o per impedire la loro ammissione agli ordini sacri o alla professione religiosa. Benché la castità consacrata a Dio sia una virtù ardua, la sua pratica fedele, perfetta, è possibile alle anime che, dopo aver bene considerato ogni cosa, hanno risposto con cuore generoso all’invito di Gesù Cristo e fanno quanto è loro possibile per conservarla. Infatti, per l’impegno assunto nello stato di verginità o di celibato esse riceveranno da Dio una grazia sufficiente per poter mantenere la loro promessa. Perciò, se vi fosse qualcuno che non sentisse d’aver ricevuto il dono della castità (anche dopo averne fatto voto),(52) non cerchi di mettere innanzi la sua incapacità di soddisfare all’obbligazione assunta. «Perché “Dio non comanda l’impossibile, ma, comandando, ammonisce di fare quanto puoi e di chiedere quello che non puoi” e ti aiuta affinché possa». Ricordiamo questa verità, tanto consolante, anche a quei malati che sentono infiacchita la loro volontà in seguito ad esaurimenti nervosi e ai quali certi medici, talora anche cattolici, consigliano troppo facilmente di farsi dispensare dai loro obblighi, sotto pretesto di non poter osservare la castità senza nuocere al proprio equilibrio psichico. Quanto invece più utile e più opportuno sarebbe aiutare tali infermi a rinforzare la volontà e convincerli che la castità non è impossibile neppure per essi! «Fedele è Dio, il quale non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di vincere» (1 Cor X, 13). I mezzi raccomandati dal divin Redentore stesso per difendere efficacemente la nostra virtù sono: una vigilanza continua, con la quale facciamo quanto ci è possibile da parte nostra e una costante preghiera con la quale chiediamo a Dio ciò che noi non possiamo fare a causa della nostra debolezza: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione, lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt XXVI, 41). – Una tale vigilanza, che si estenda ad ogni tempo e circostanza della nostra vita, ci è assolutamente necessaria: «la carne, infatti ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito desideri contrari alla carne» (Gal V, 17). Se alcuno cedesse, anche leggermente, alle lusinghe del corpo, facilmente si sentirebbe trascinato a quelle «opere della carne» (cf. Gal V, 19-21), enumerate dall’Apostolo, che costituiscono i vizi più abominevoli dell’umanità. Perciò dobbiamo anzitutto vigilare sui movimenti delle passioni e dei sensi, dobbiamo dominarli anche con una volontaria asprezza di vita e con le penitenze corporali, in modo da renderli sottomessi alla retta ragione e alla legge di Dio: «Quelli che sono di Cristo, hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze» (Gal V, 24). Lo stesso Apostolo delle genti confessa di sé: «Maltratto il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso diventi reprobo» (1 Cor XIX, 27). Tutti i santi e le sante hanno vegliato attentamente sui movimenti dei sensi e delle loro passioni e li hanno rintuzzati, talora con somma asprezza, secondo il consiglio del divin Maestro: «Ma io dico a voi, che chiunque avrà guardato una donna con cattivo desiderio, in cuor suo ha già peccato con lei. Se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e buttalo via da te: è meglio per te che perisca una delle tue membra piuttosto che mandare tutto il tuo corpo all’inferno» (Mt V, 28-29). Con tale raccomandazione è chiaro quello che richiede da noi il divin Redentore: non dobbiamo, cioè, neppur col pensiero cedere mai al peccato e dobbiamo allontanare energicamente da noi tutto ciò che possa macchiare, anche leggermente, questa bellissima virtù. E in questo nessuna diligenza è troppa; nessuna severità è esagerata. Se la salute malferma o altre cause non permettono a qualcuno maggiori austerità corporali, non lo dispensino mai tuttavia dalla vigilanza e dalla mortificazione interiore. A questo proposito giova anche ricordare quello che i santi Padri e i dottori della Chiesa insegnano: è più facile vincere le lusinghe e le attrattive della passione, evitandole con una pronta fuga, che affrontandole direttamente. A custodia della castità, dice san Girolamo, serve più la fuga che la lotta aperta: «Per questo io fuggo, per non essere vinto». E tale fuga consiste non solo nell’allontanare premurosamente le occasioni del peccato, ma soprattutto nell’innalzare la mente, durante queste lotte, a Colui al quale abbiamo consacrato la nostra verginità. «Rimirate la bellezza di Colui che vi ama», ci raccomanda sant’Agostino. – Tutti i santi e le sante hanno sempre considerato la fuga e l’attenta vigilanza per allontanare con diligenza ogni occasione di peccato come mezzo migliore per vincere in questa materia: purtroppo, però, sembra che oggi non tutti pensino così. Alcuni sostengono che tutti i Cristiani, e soprattutto i Sacerdoti, non devono essere segregati dal mondo, come nei tempi passati, ma devono essere presenti al mondo e, perciò, è necessario metterli allo sbaraglio ed esporre al rischio la loro castità, affinché dimostrino se hanno o no la forza di resistere. Quindi i giovani chierici devono tutto vedere, per abituarsi a guardare tutto tranquillamente e rendersi così insensibili ad ogni turbamento. Per questo permettono loro facilmente di guardare tutto ciò che capita, senza alcuna regola di modestia; di frequentare i cinematografi, persino quando si tratta di pellicole proibite dai censori ecclesiastici; sfogliare qualsiasi rivista, anche oscena; leggere qualsiasi romanzo, anche se messo all’Indice o proibito dalla stessa legge naturale. E concedono questo perché dicono che ormai le masse di oggi vivono unicamente di tali spettacoli e di tali libri; e, chi vuole aiutarle, deve capire il loro modo di pensare e di vedere. Ma è facile comprendere quanto sia errato e pericoloso questo sistema di educare il giovane clero per guidarlo alla santità del suo stato. «Chi ama il pericolo, perirà in esso» (Eccli. III, 27). Viene opportuno l’avviso di sant’Agostino: «Non dite di avere anime pure, se avete occhi immodesti, perché l’occhio immodesto è indizio di cuore impuro». – Un metodo di formazione così funesto, poggia su un ragionamento molto confuso. Certo, Cristo nostro Signore disse dei suoi Apostoli: «Io li ho mandati nel mondo» (Gv XVII, 18); ma prima aveva anche detto di essi: «Essi non sono del mondo, come neppure io sono del mondo» (Gv XVII, 16), e aveva pregato con queste parole il suo Padre divino: «Non ti chiedo che li tolga dal mondo, ma che li liberi dal male» (Gv XVII, 15). La Chiesa quindi, che è guidata dai medesimi principi, ha stabilito norme opportune e sapienti per allontanare i sacerdoti dai pericoli in cui facilmente possono incorrere, vivendo nel mondo; con tali norme la santità della loro vita viene messa sufficientemente al riparo dalle agitazioni e dai piaceri della vita laicale. – A più forte ragione i giovani chierici, per essere formati alla vita spirituale e alla perfezione sacerdotale e religiosa, devono venire segregati dal tumulto secolaresco, prima di essere inseriti nella lotta della vita; restino pure a lungo nel seminario o nello scolasticato per ricevervi un’educazione diligente e accurata, imparando poco alla volta e con prudenza a prendere contatto con i problemi del nostro tempo, conforme a quanto scrivemmo nella Nostra esortazione apostolica Menti Nostræ. Quale giardiniere esporrebbe alle intemperie delle giovani piante esotiche, col pretesto di sperimentarle? Ora, i seminaristi e i giovani religiosi sono pianticelle tenere e delicate, da tenersi ben protette e da allenare progressivamente alla lotta. Gli educatori del giovane clero faranno opera ben più lodevole e utile, inculcando a questi giovani le leggi del pudore cristiano. Non è forse il pudore la migliore difesa della verginità, tanto da potersi chiamare la prudenza della castità? Esso avverte il pericolo imminente, impedisce di esporsi al rischio e impone la fuga in occasioni, a cui si espongono i meno prudenti. Il pudore non ama le parole disoneste o volgari e detesta una condotta anche leggermente immodesta; fa evitare attentamente la familiarità sospetta con persone di altro sesso, poiché riempie l’anima di un profondo rispetto verso il corpo, che è membro di Cristo (cf. 1 Cor VI, 15) e tempio dello Spirito Santo (cf. 1 Cor VI, 19). L’anima veramente pudica ha in orrore il minimo peccato di impurità e tosto si ritrae al primo risveglio della seduzione. Il pudore inoltre suggerisce e mette in bocca ai genitori e agli educatori i termini appropriati per formare la coscienza dei giovani in materia di purezza. «Pertanto – come in una recente allocuzione abbiamo ricordato – tale pudore non deve essere spinto fino ad un silenzio assoluto, sino ad escludere dalla formazione morale qualsiasi prudente e riservato accenno a tale problema». Tuttavia, troppo spesso, ai giorni nostri, alcuni educatori si credono in dovere di iniziare fanciulli e fanciulle innocenti a segreti della procreazione, in una maniera che offende il loro pudore. Ora proprio il pudore cristiano esige in questa materia una giusta misura. – Esso poi è alimentato dal timore di Dio, quel timore filiale che si basa su una profonda umiltà e che ispira orrore per il minimo peccato. San Clemente I, Nostro predecessore, già l’aveva affermato: «Chi è casto nel suo corpo, non se ne vanti, ben sapendo che da un altro gli viene il dono della continenza». Nessuno forse, meglio di sant’Agostino, ha dimostrato l’importanza dell’umiltà cristiana per salvaguardare la verginità: «La perpetua continenza, e molto più la verginità, sono uno splendido dono dei santi di Dio; ma con somma vigilanza bisogna vegliare che la superbia non lo corrompa… Quanto maggiore è il bene che io vedo, tanto più temo che la superbia non lo rapisca. Tale dono della verginità nessuno lo custodisce meglio di Dio che l’ha concesso; e “Dio è carità” (1 Gv IV, 8). La custode, quindi, della verginità è la carità, ma l’abitazione di tale custode è l’umiltà». Un altro consiglio ancora è da ricordarsi: per conservare la castità non bastano né la vigilanza né il pudore. Bisogna anche ricorrere ai mezzi soprannaturali: alla preghiera, ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e ad una devozione ardente verso la santissima Madre di Dio. La castità perfetta, non dimentichiamolo, è un eccelso dono di Dio. «Esso è stato dato (cf. Mt XIX, 11) – osserva acutamente san Girolamo – a quelli che l’hanno chiesto, a quelli che l’hanno voluto, a quelli che si sono preparati a riceverlo. Perché a chi chiede sarà dato, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (cf. Mt VII, 8)». Sant’Ambrogio aggiunge che la fedeltà delle vergini al loro Sposo divino dipende dalla preghiera. E, come insegna sant’Alfonso de’ Liguori, così ardente nella sua pietà, nessun mezzo è più necessario e più sicuro per vincere le tentazioni contro la bella virtù, che un ricorso immediato a Dio. Alla preghiera, tuttavia, bisogna aggiungere la pratica frequente del sacramento della penitenza: esso è una medicina spirituale che ci purifica e ci guarisce. Così pure bisogna nutrirsi del pane eucaristico: il Nostro predecessore d’immortale memoria Leone XIII lo additava come il migliore «rimedio contro la concupiscenza». Quanto più un’anima è pura e casta, tanto più ha fame di questo Pane, da cui attinge forza contro ogni seduzione impura e col quale si unisce più intimamente al suo Sposo divino: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui» (Gv VI, 57). – Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida e ardentissima verso la vergine Madre di Dio. In un certo modo, tutti gli altri mezzi si riassumono in tale devozione: chiunque vive la devozione mariana sinceramente e profondamente, si sente spinto certamente a vegliare, a pregare, ad accostarsi al tribunale della penitenza e all’eucaristia. Perciò esortiamo con cuore paterno i sacerdoti, i religiosi e le religiose a mettersi sotto la speciale protezione della santa Madre di Dio, Vergine delle vergini; ella, che – secondo la parola di sant’Ambrogio – è «la maestra della verginità» e la madre potentissima soprattutto delle anime consacrate al servizio di Dio.

Sant’Atanasio osserva che la verginità è entrata nel mondo per Maria,(70) e sant’Agostino insegna: «La dignità verginale ebbe i suoi esordi con la Madre di Dio». Seguendo il pensiero di sant’Atanasio, sant’Ambrogio propone alle vergini la vita di Maria vergine come modello: «O figliuole, imitate Maria! La vita di Maria rappresenti per voi, come in un quadro, la verginità; in tale vita contemplate la bellezza della castità e l’ideale della virtù. Prendetene l’esempio per la vostra vita: poiché in essa, come in un modello, sono espresse le lezioni della santità; vedrete ciò che avete da correggere, copiare, conservare… Essa è l’immagine della verginità. Maria, infatti, fu tale che basta la vita di lei sola a formare l’insegnamento per tutti… Sia, dunque, Maria a regolare la vostra vita». «Tanto grande fu la grazia sua, che ella non riservava solo per sé il dono della verginità, ma anche a quelli che vedeva conferiva il pregio dell’integrità». Sant’Ambrogio aveva ben ragione di esclamare: «O ricchezze della verginità di Maria!». A motivo di tali ricchezze, ancora oggi alle sacre vergini, ai religiosi e ai sacerdoti è quanto mai utile contemplare la verginità di Maria, per osservare con più fedeltà e perfezione la castità del loro stato.

La meditazione delle virtù della beata Vergine non vi basti, tuttavia, dilettissimi figli e figlie: ricorrete a lei con una confidenza assoluta, e seguite il consiglio di san Bernardo che esorta: «Chiediamo la grazia e chiediamola per mezzo di Maria». In modo particolare durante quest’anno mariano affidate a Maria la cura della vostra vita spirituale e della perfezione, seguendo l’esempio di san Girolamo che asseriva: «Per me la verginità è una consacrazione in Maria e in Cristo».

IV.

TIMORI E SPERANZE

Nelle gravi difficoltà, che la chiesa sta attraversando, è di grande consolazione al Nostro cuore di pastore supremo, venerabili fratelli, vedere la stima e l’onore tributati alla verginità, che fiorisce nel mondo intero, anche oggi, come sempre nel passato, nonostante gli errori ai quali abbiamo accennato e che vogliamo credere passeggeri. Non nascondiamo, tuttavia, che alla Nostra gioia fa ombra una certa tristezza, perché vediamo che, in non poche nazioni, va man mano diminuendo il numero di coloro che, rispondendo alla chiamata divina, abbracciano lo stato della verginità. Ne abbiamo già accennato sufficientemente le cause principali, e non c’è motivo di ripeterle. Confidiamo piuttosto che gli educatori della gioventù, caduti in questi errori, si ravvedano al più presto, li ripudino e si sforzino di ripararli. Essi aiuteranno con tutto l’impegno i giovani che si sentono chiamati da una forza soprannaturale al sacerdozio o alla vita religiosa e li assisteranno del loro meglio perché possano raggiungere questo alto ideale della loro vita. Piaccia al Signore che novelle e folte schiere di sacerdoti, di religiosi e di religiose sorgano al più presto proporzionate in numero e santità ai bisogni presenti della chiesa, per coltivare la vigna del Signore. Inoltre, come esige la coscienza del Nostro ministero apostolico, esortiamo i genitori ad offrire volentieri al servizio di Dio quei loro figli che vi si sentissero chiamati. Se questo costa a loro, se ne provano tristezza o amarezza, meditino le riflessioni indirizzate da sant’Ambrogio alle madri di famiglia di Milano: «Parecchie fanciulle io ho conosciuto, che volevano essere consacrate vergini, ma le loro madri vietavano loro perfin di uscire… Se le vostre figlie volessero amare un uomo, potrebbero legittimamente scegliersi chi loro piace. E così, chi ha il diritto di scegliere un uomo, non ha il diritto di scegliere Dio?» Ripensino, quindi, i genitori al grande onore di avere un figlio sacerdote o una figlia che ha consacrato allo Sposo divino la sua verginità. «Voi avete capito, o genitori! – esclama ancora sant’Ambrogio a riguardo delle sacre vergini -. La vergine è un dono di Dio, un’oblazione del padre; è il sacerdozio della castità. La vergine è l’ostia della madre, il cui sacrificio quotidiano placa la collera divina». -Non vogliamo terminare questa lettera enciclica, venerabili fratelli, senza volgere in modo speciale il Nostro pensiero e il Nostro cuore verso le anime consacrate a Dio che, in non poche nazioni, soffrono dure e terribili persecuzioni. Prendano esse esempio da quelle vergini della primitiva Chiesa, che con invitto coraggio subirono il martirio per la loro verginità. – Perseverino tutti con fortezza d’animo nella loro santa risoluzione di servire a Cristo «fino alla morte» (Fil II, 8). Si ricordino del grande valore che le loro sofferenze fisiche e morali e le loro preghiere hanno al cospetto di Dio per l’avvento del suo regno nelle loro nazioni e nella chiesa intera. Si confortino, infine, nella certezza che «chi segue l’Agnello ovunque vada» (Ap. XIV, 4), canterà eternamente un «cantico nuovo» (Ap XIV, 3), che nessun altro potrà cantare. – Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. Noi preghiamo per essi come anche per tutte le anime consacrate, in ogni parte del mondo, al servizio divino, perché Dio le confermi, le fortifichi, e le consoli, e vi invitiamo ardentemente, venerabili fratelli, insieme con i vostri fedeli, a pregare in unione con Noi, al fine di ottenere a tali anime le consolazioni celesti e i soccorsi divini. – Frattanto, a voi, venerabili fratelli, a tutti i sacerdoti e religiosi, a tutte le sacre vergini, in modo speciale a tutti quelli «che soffrono persecuzioni per la giustizia» (Mt V, 10), e a tutti i vostri fedeli, impartiamo di gran cuore l’apostolica benedizione, come pegno delle grazie divine e attestato della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, nella festa dell’Annunciazione della santissima Vergine, il 25 marzo 1954, anno XVI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2021).

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2021).

Doppio di II cl. – Paramenti bianchi.

La Domenica tra la Circoncisione e l’Epifania.

Dopo averci manifestato l’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa ci rivela tutta la grandezza del suo nome. Durante il rito della Circoncisione i Giudei davano un nome ai bambini. Cosi la Chiesa usa lo stesso Vangelo del giorno della Circoncisione, insistendo sulla seconda parte, che dice: « il Bambino fu chiamato Gesù » (Vang.) « come Dio aveva ordinato che si chiamasse » (Or.) ». L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio a Maria e le disse: lo Spirito Santo scenderà sopra di te, « partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù » (S. Luca, 1, 31). «Un Angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, ciò che in Maria tua sposa è stato concepito, è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio al quale porrai nome Gesù; perché Egli libererà il suo popolo dai peccati » – S. Matteo. I, 20). Questo nome significa Salvatore poiché spettava a Gesù di salvarci; «nessun altro nome è stato dato dagli uomini con il quale noi dovessimo essere salvati » (Ep.). Le prime origini di questa festa risalgono al XVI secolo, e la si celebrava nell’ordine di S. Francesco. Nel 1721 la Chiesa, retta da Innocenzo XIII, estese al mondo intero questa solennità. Se vogliamo « rallegrarci di vedere i nostri nomi scritti con quello di Gesù nel cielo » (Postc.) abbiamolo spesso sulle nostre labbra quaggiù. Venti giorni d’indulgenza sono accordati a quelli che curvano il capo con rispetto pronunciando o ascoltando il nome di Gesù e di Maria, e Pio X ha concesso 300 giorni a quelli che li invocheranno piamente con le labbra o almeno con il cuore.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil II: 10-11
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris [Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]


Ps VIII: 2.
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!

[Signore, Signore nostro, quant’è ammirabile il Nome tuo su tutta la terra!]

In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris [Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui unigénitum Fílium tuum constituísti humáni géneris Salvatórem, ei Jesum vocári jussísti: concéde propítius; ut, cujus sanctum nomen venerámur in terris, ejus quoque aspéctu perfruámur in cœlis.

[O Dio, che l’Unigenito tuo Figlio hai costituito Salvatore del genere umano, e hai voluto chiamarlo Gesù, concedici propizio di volerci beare in cielo della vista di Colui di cui sulla terra veneriamo il santo Nome.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolorum
Act IV: 8-12
In diébus illis: Petrus, replétus Spíritu Sancto, dixit: Príncipes pópuli et senióres, audíte: Si nos hódie dijudicámur in benefácto hóminis infírmi, in quo iste salvus factus est, notum sit ómnibus vobis et omni plebi Israël: quia in nómine Dómini nostri Jesu Christi Nazaréni, quem vos crucifixístis, quem Deus suscitávit a mórtuis, in hoc iste astat coram vobis sanus. Hic est lapis, qui reprobátus est a vobis ædificántibus: qui factus est in caput ánguli: et non est in alio áliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum homínibus, in quo opórteat nos salvos fíeri.

[In quei giorni: Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul bene fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele, che in virtù del Nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo. Né c’è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.]

Graduale

Ps CV: 47

Salvos fac nos, Dómine, Deus noster, et cóngrega nos de natiónibus: ut confiteámur nómini sancto tuo, et gloriémur in glória tua.

[Sàlvaci, o Signore, Dio nostro, e raccoglici di mezzo alle nazioni: affinché celebriamo il tuo santo Nome e ci gloriamo della tua gloria. ].

Isa LXIII: 16

Tu, Dómine, Pater noster et Redémptor noster: a sǽculo nomen tuum. Allelúja, allelúja

[Tu, o Signore, Padre nostro e Redentore nostro: dall’eternità è il tuo Nome. Allelúia, allelúia].

Ps CXLIV: 21

Laudem Dómini loquétur os meum, et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus. Allelúja.

[La mia bocca annuncerà la lode del Signore: e ogni vivente benedirà il suo santo Nome. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesù: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

Omelia

« Gesù », Cioè il « Salvatore »

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

Nessuno poteva dare un vero nome al figlio di Dio fatto uomo, se non l’eterno Padre, perché Egli lo conosceva. E l’eterno Padre gli diede un nome che è sopra ogni altro nome, e per mezzo d’un Arcangelo lo comunicò alla Vergine Madre: « Il Figlio che nascerà da te, lo chiamerai Gesù » . Jesus! Perciò, dopo otto giorni dalla sua nascita, fu circonciso secondo la legge di Mosè e gli fu imposto il nome di Gesù. Jesus! Gli altri uomini assai spesso hanno nomi a cui la realtà non corrisponde: non tutti quelli che si chiamano Fortunato sono poi nella vita fortunati; né tutti quelli che si chiamano Carlo sono poi valorosi come Carlo Magno, o santi come il Borromeo. Non così il Figlio di Dio: quel suo nome disceso dal cielo non è parola vuota, ma significò il valore della sua vita terrena fin dal primo istante. Fin dal primo istante della incarnazione, egli poté dire al Signore: « Padre, i sacrifici delle bestie e degli uomini non ti furono graditi, ma la tua giustizia volle il sacrificio del tuo Figliuolo per salvare il mondo. Eccomi, son qui, io sono il Salvatore del mondo ». Orbene la parola Salvatore tradotta in ebraico suona: Gesù. Jesus! L’umanità era caduta nell’abisso: una distanza incolmabile disgiungeva Dio dall’uomo peccatore. Ed ecco un ponte divino fu lanciato tra noi e il Signore sdegnato: questo ponte è Gesù. Per lui solo fu rifatta la strada che permette di ascendere dalla disperazione mondana alla salvezza eterna. Gesù stesso parlando ai suoi discepoli svelò a loro il significato del proprio nome: « Io sono colui ch’è venuto a salvare ciò ch’era perito » (Mt., XVIII, 11). Venit salvare quod perierat. – Per meglio comprendere il mistero racchiuso in questo nome, facciamoci due domande: – che cosa era perito?; – come fu salvato?

1. QUOD PERIERAT

Noi non possiamo rifarci all’origine delle nostre disgrazie senza che sulle labbra ci torni un nome: Adamo. Quando Iddio creò Adamo, il primo uomo, non solo volle farlo uomo perfetto, ma volle adottarlo per suo figlio. Pensate quale sublime dignità entrare a far parte della famiglia delle Tre infinite Persone, partecipare a quella divina società, essere destinati a godere del loro gaudio stesso! Ma per poter essere adottati è necessario appartenere alla medesima specie dell’adottante: l’uomo non può adottare se non uomini, e Dio non poteva adottare se non esseri divini. Ora l’uomo non era della natura di Dio: anzi la natura umana è lontana da Dio molto più di quanto una bestia disti da noi. E allora? … allora ecco Dio infondere una forza interiore e inerente all’anima nostra, la quale, pur lasciandoci uomini, ci fa degli esseri divini, partecipi della vita di Dio, e per ciò da Lui adottabili in figli: la grazia. O Signore! come furono inesauribili le tue ricchezze e come impensabili le tue vie d’amore! – La grazia! essa fa dell’uomo un figlio di Dio. Notate: Se voi adottate un trovatello, voi lo dichiarate figlio, non lo fate figlio vostro perché non potrete far scorrere in lui il vostro sangue e la vostra vita. La grazia invece immette nell’anima nostra una partecipazione della stessa vita di Dio, per cui gli diventiamo veri figli, benché non per natura, ma per adozione. Videte, qualem charitatem dedit nobis Deus ut filii Dei nominemur et simus (I Joan., III, 1). La grazia! non solo fa l’uomo figlio di Dio, ma gliene dà pure tutti i diritti. Come i figli hanno il diritto di ereditare i beni del padre, così l’uomo in grazia ha diritto di ereditare il regno del Padre celeste, il Paradiso, ove si gode il godimento di Dio. La grazia! non solo fa l’uomo figlio di Dio, ma gliene dà pure tutti i diritti così che Dio stesso n’è rapito. Quando il patriarca, presago della morte vicina, abbracciò Giacobbe per benedirlo, sentì che dai vestimenti del suo figliuolo, tra piega e piega, si svolgeva un profumo deliziosissimo. In un rapimento di gioia esclamò: « Sento l’olezzo di un campo di fiori: io t’amo, figlio mio. Su te la rugiada del cielo! E te la fecondità della terra! Per te il frumento e il vino! Maledetto chi ti maledirà e benedetto chi ti benedirà » . Questa scena ti può rappresentare la delizia di Dio quando abbraccia un’anima in grazia. Davanti a queste verità, noi possiamo comprendere la vertiginosa dignità a cui l’uomo fu elevato, ma possiamo anche misurare l’abisso in cui è poi decaduto. Ah, il peccato d’Adamo quale tesoro ci ha fatto perdere! – Non più figliuoli di Dio, ma uomini soltanto, e per giunta maledetti. Non più vita divina in noi, ma soltanto vita umana, e per giunta amareggiata da passioni prepotenti e da croci pesanti. Non più grazia, luce, profumo, soprannaturale bellezza nell’anima, ma invece la macchia del peccato originale che, con la natura umana, da Adamo si trasmetteva di generazione in generazione. Non più diritti alla divina eredità del Paradiso. Ecco quello che avevamo perduto: Quod perierat. L’uomo sentiva ancora una angosciosa brama verso il destino soprannaturale da cui si era escluso: ma gli mancavano assolutamente i mezzi per ritornarvi: sospirava alla vetta del monte baciata dal sole e carezzata dall’azzurro, ma egli era nel profondo d’un baratro, affondato nel fango, avvolto dalle nebbie. Questo era il dramma dell’umanità. E venne il Salvatore.

2. VENIT SALVARE

Il peccato è un’ingiuria fatta a Dio: e la giustizia divina esigeva che fosse espiata. Ma l’uomo, semplice creatura, è incapace di soddisfare a un debito contratto col Signore per una colpa la cui malizia è infinita. Infatti la gravità d’un’ingiuria si misura dalla dignità della persona offesa, e qui l’offeso era Dio: Dio solo dunque poteva dare una giusta riparazione. D’altra parte, per riparare occorre soffrire umiliazione e sacrificio: e Dio necessariamente beato non poteva soffrire per noi. E allora? La soluzione dell’arduo problema venne attuata dal nostro Salvatore. Il quale si fece uomo come noi per poter soffrire, e rimase Dio per dare alla sua sofferenza un valore infinito che bastasse alla riparazione dell’offesa divina. Dunque sia a gloria a Gesù, il Salvatore!

1) Egli è il figlio di Dio che s’è fatto uomo, perché l’uomo tornasse ad essere figlio di Dio, che prese la nostra natura perché noi fossimo partecipi della sua natura divina; che visse la nostra vita umana perché noi vivessimo la sua vita divina. Gloria a Gesù, il Salvatore!

2) Egli è l’innocente che s’è messo al posto del malfattore. Toccava a Barabba, l’assassino, morire in croce, ma Gesù, il Figlio di Dio, s’è messo al suo posto tra due ladroni. Toccava all’uomo espiare il peccato, ma Gesù prese sopra le sue spalle e peccato e pena. Gloria a Gesù, il Salvatore!

3) Egli è l’eterno beato che si è fatto l’uomo dei dolori. Vedetelo nascere nel gelo della notte invernale, in una stalla; vedetelo dopo otto giorni che già versa sangue nella circoncisione; vedetelo in tutta la sua vita d’umiltà e di dolore, ma specialmente vedetelo nella sua morte. In tutta la sua carne appesa al patibolo non v’è una fibra intatta, ed un soldato con la lancia gli apre il fianco. – Da quel fianco squarciato ascese al cielo la soddisfazione per noi; attraverso a quel fianco squarciato poté discendere all’umanità il perdono e la salvezza. Sia gloria a Gesù, il Salvatore! Per lui noi siamo liberi di raggiungere il fine soprannaturale a cui fummo elevati; per lui noi abbiamo riavuto la grazia che ci fa figli di Dio, che ci dà diritto al Paradiso, che ci rende templi della Divinità. Dio è tornato ad abitare nell’uomo. Si racconta che quando Temistocle, eroe di Atene, si rifugiò presso il re dei Persiani, fu tale la gioia di questo sovrano che l’andava dicendo a tutti. E nella notte balzava in sonno a gridare: « Ho meco Temistocle Ateniese ». Pensate, Cristiani, che dopo la salvezza portataci da Gesù, noi abbiamo nel nostro cuore non un mortale, ma Dio stesso immortale. Eppure ce ne dimentichiamo! E ci sono di quelli che scacciano l’ospite divino con nuovi peccati per ritornare nella schiavitù del demonio! – Quando S. Bernardino ebbe la grazia di comprendere il mistero racchiuso nel nome di Gesù, lo prese tanta ardenza d’amore che parve pazzo. « Gesù! Gesù!» andava dicendo migliaia di volte al giorno. E per le piazze di Firenze, di Ferrara, di Padova spessissimo predicò il nome di Gesù. Ed istillò da per tutto la devozione, sì che gli italiani ponevano questo nome celeste sulle loro case, sulle loro porte, sul loro cuore. Sul nostro cuore mettiamolo anche noi, per tutti i giorni della vita, e ci sia fatta grazia di ripeterlo come ultima parola, morendo: « Gesù ». E il Salvatore ci salverà dall’inferno.

2. IL NOME DI GESÙ E LA VITA SOPRANNATURALE

Capita non di rado che dalla bocca d’un bambino escano parole profonde e vere che stupiscono i grandi e i sapienti. Or questo avvenne in una scuola elementare d’Italia. Aveva insegnato il maestro a distinguere i tre regni della natura: minerale, vegetale e animale. Toccava con la mano la pietra nera della lavagna e chiedeva alla scolaresca: « A che regno? ». E tutti prontamente: « Al regno minerale ». Additava il pioppo che si alzava dal cortile sottostante fino a guardar con la vetta dentro la finestra dell’aula, e tutti. « Al regno vegetale ». Poi colla punta dell’indice posata sull’allievo del primo banco, ripeté l’interrogazione. E la risposta fu ancora pronta e piena: « Al regno animale ». Ma l’allievo del primo banco, alzatosi in piedi rosso rosso, scoppiò a piangere. E diceva tra i singhiozzi: « Non voglio; Non voglio! ». Tutti risero. Anche il maestro: ma poi riprese, e cercò di convincerlo, spiegandogli che non c’era timore di venir confuso coi conigli e coi gatti perché possedeva la ragione che da sola bastava a collocarlo molto più in alto. Ma l’altro non si consolava, e persisteva, benché con più rari singhiozzi, nella medesima protesta: « Non voglio ». « Allora, dillo tu a che regno vorresti appartenere » . E l’allievo d’impeto rispose: « Al regno di Dio ». Fosse ispirazione di Dio che si compiace di parlare per la bocca di candidi fanciulli, o fosse il germe deposto in quel cuore dal santo Battesimo che, non soffocato dalle colpe, in quel momento prendeva coscienza di sé, certo l’allievo del primo banco disse una grande realtà: la più grande, la più consolante realtà del mondo. In ogni uomo battezzato che è senza peccato mortale c’è una vita divina per cui trascende tutti i regni della natura e partecipa del regno e della famiglia di Dio. Chi ci ha dato questa realtà? Gesù. Sia benedetto in eterno questo Nome. « Avrai un figliuolo, — diceva l’Arcangelo alla Vergine Maria, — e lo chiamerai Gesù… » perché Gesù in ebraico vuol dire Salvatore. Egli appunto ci salvò dalla morte dandoci la Vita. Che vita? Quella soprannaturale, quella divina, che ci fa appartenere al regno di Dio. Chi non capisce questa vita, non capisce il Nome di Gesù: per lui è un bisillabo senza senso. Chi non ama questa vita, non ama il nome di Gesù: per lui è un nome d’un illustre forestiero. Cerchiamo con opportuni pensieri di capire e di amare la vita soprannaturale.

1. CAPIRE IL NOME DI GESÙ: CIOÈ LA VITA SOPRANNATURALE

Nel nome di Gesù i due apostoli Pietro e Giovanni, avevano guarito lo storpiato che elemosinava sulla porta del tempio. Per questo fatto, furono messi in prigione. Davanti al Sinedrio che voleva condannarli, Pietro, infiammato dallo Spirito Santo, esclamò: « Faccio noto a tutti voi, e a tutto il popolo, che nel Nome del Signore nostro Gesù Cristo, quello che voi uccideste e che poi risuscitò, lo storpio è qui davanti a voi, diritto e sano. E sappiate pure che sotto la volta del cielo non c’è nessun altro nome in cui gli uomini possano sperare la salvezza » (Atti, IV, 1-12). Infatti Gesù stesso aveva detto: « Io sono la Vita ». Se solo Gesù è la salvezza e la vita, senza di lui o fuori di lui c’è la morte e la perdizione. E in altra occasione aveva pur detto: « Io sono venuto a portare la Vita e a portarne tanta ». (Giov., X, 19). Che vita? Forse quella per cui respiriamo, mangiamo, lavoriamo, e poi moriamo? Questa è la vita naturale, ed essa pure viene in origine da Dio, ed a ciascuno di noi è comunicata per tramite dei suoi genitori. Ma non era necessario, perché vivessimo di questa vita, che il Figlio dell’Onnipotente si facesse creatura come noi, prendendo umana carne nel seno di una Vergine. Che vita allora? una nuova e diversa vita, incomparabilmente più intensa, infinitamente più preziosa, e che perciò chiamiamo vita soprannaturale: essa è la stessa vita divina che nella sua pienezza è contenuta in Gesù, e che Gesù fa defluire in quelli che si uniscono a lui. C’è dunque nell’uomo redento una duplice vita: naturale e soprannaturale. Come l’uomo redento ha una doppia vita, così ha una duplice nascita. Per la prima nasce dai suoi genitori figlio d’Adamo; per la seconda nasce figlio di Dio da Gesù Cristo. Una notte Gesù aveva concesso un colloquio ad una persona istruita ed influente, a Nicodemo; e gli diceva: « Se non rinasci, non ti salvi » . Si meraviglia il saggio Nicodemo e risponde: « Come faccio a ritornare nel grembo di mia madre, se ho già tanti anni sulle spalle?! ». « Hai tanti anni sulle spalle, ma di vita naturale; c’è però un’altra vita, la mia vita divina, e in questa non sei ancor nato. Per nascervi, bisogna farsi battezzare. Nelle acque del Battesimo, per virtù dello Spirito Santo, la mia vita divina viene in te, tu vivi con la mia vita, tu pure diventi figlio di Dio… ». (Giov., III, 3-6). Il Battesimo è un atto di morte e di vita. Di morte, al ceppo d’Adamo, il padre decaduto, dal quale siamo rampollati; di vita nel Corpo di Cristo, viventi in lui, come il tralcio vive della linfa che sale nel tronco della vite, come la mano vive della vita che viene dalla testa e dal cuore. Due vite, due nascite, due diverse dignità. Ma che cosa sono i valori e le dignità umane anche le più alte in confronto a quelle della vita soprannaturale? San Paolo ha detto che sono « una spazzatura ». S. Tommaso ha detto che la più piccola particella di questa vita soprannaturale vale di più dell’universo intero. Perciò meglio è perdere tutto, anche la vita naturale, ma non la Grazia.

2. AMARE IL NOME DI GESÙ: CIOÈ LA VITA SOPRANNATURALE

S. Paolo ritornava in Gerusalemme da un lungo viaggio. Essendosi fermato in Cesarea a riposare in casa d’un amico, venne quivi un profeta di nome Agabo a fargli una dolorosa profezia. Agabo infatti si fece dare da Paolo la cintura, e mentre tutti guardavano stupefatti, si legò le mani e i piedi; poi disse all’Apostolo: « L’uomo a cui appartiene questa cintura così sarà legato dai Giudei di Gerusalemme e consegnato ai Gentili ». Si può immaginare la costernazione che la strana profezia sparse in quella casa, tra i compagni e gli amici di Paolo. Parecchi non poterono tenere le lagrime, e lo scongiurarono a non andare a Gerusalemme. Ma Paolo disse: « Perché piangete, perché mi straziate il cuore così? Io per me sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire in Gerusalemme per il nome del Signore Gesù ». Propter nomen Domini Jesu. E pronunciò il nome di Gesù con una tale forza d’amore, che tutti compresero che non c’era più speranza di rimuoverlo dal suo proposito, e mormorarono: « Sia fatto quello che Dio vuole ». (Atti, XXI, 8-14). Questa di Paolo è la vera devozione al nome santo di Gesù. « Dio — scriveva ai Filippesi (II, 9-10) — ha dato al nostro Salvatore un nome che è sopra ogni altro nome ». E perciò egli ha voluto amarlo sopra ogni altra cosa: a costo d’ogni tribolazione, d’ogni angustia, a costo d’andare in giro per il mondo affannato, nudo, perseguitato, cercato a morte (Rom. VIII, 35-36; II Cor., XI, 23-33). Di fronte alla devozione di Paolo, ognuno consideri quale e quanta sia la propria devozione a questo Nome divino. Il nome di Gesù stia come un sigillo sul nostro cuore, sulle nostre labbra, sulle nostre mani. Sul nostro cuore: a conservare la vita soprannaturale della Grazia, da ogni assalto del mondo, delle passioni, del demonio. Sulle nostre labbra: ad avvalorare le nostre preghiere, a impedire qualsiasi parola contro la carità o la purità. Sulle nostre mani: perché possiamo eseguire i nostri doveri con cristiana onestà e dignità. Dobbiamo imitare San Vincenzo de’ Paoli, chiedendoci spesso: « Che cosa farebbe Gesù se fosse al mio posto? ». – I sette figliuoli di un certo Sceva, sacerdote ebreo, avendo visto che Paolo operava miracoli invocando il nome di Gesù, credettero anch’essi con quel nome di guarire ammalati ed ossessi e guadagnare mucchi di denaro. Il primo caso che loro capitò era di un povero indemoniato. Cominciarono lo scongiuro: « In nome di quel Gesù che Paolo predica, esci da questo corpo ». Ma lo spirito malvagio rispose: « Conosco Gesù, e conosco Paolo, ma voi chi siete? » . E improvvisamente l’ossesso saltò addosso a quei sette disgraziati, stracciò i loro panni, li picchiò a sangue. A stento riuscirono a scamparla fuggendo. (Atti, XIX, 13-17). Cristiani, non c’è altro nome di salvezza che quello di Gesù. Non basta però non bestemmiarlo, per salvarsi. – E neanche basta ripeterlo con le labbra, per salvarsi; come non è bastato ai sette figli di Sceva. Che gioverà dire « Gesù, Gesù! » se poi si sta placidamente in peccato mortale? Se non si vive in Grazia, se non si distacca il cuore dalle abitudini peccaminose, non gioveranno neanche i nove primi venerdì del mese. « Conosco Gesù; — dirà il demonio; — conosco San Paolo e tutti i santi e i buoni Cristiani che si sono salvati invocando con la sincerità della vita questo Nome divino. Ma tu sei mio: sulla tua anima c’è il mio nome e il segno del mio possesso ». E travolgerà l’illuso nella perdizione eterna.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXV: 1; 5
Confitébor tibi, Dómine, Deus meus, in toto corde meo, et glorificábo nomen tuum in ætérnum: quóniam tu, Dómine, suávis et mitis es: et multæ misericórdiæ ómnibus invocántibus te, allelúja.

[Confesserò Te, o Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo Nome in eterno: poiché Tu, o Signore, sei soave e mite: e misericordiosissimo verso quanti Ti invocano, allelúia.]

Secreta

Benedíctio tua, clementíssime Deus, qua omnis viget creatúra, sanctíficet, quǽsumus, hoc sacrifícium nostrum, quod ad glóriam nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, offérimus tibi: ut majestáti tuæ placére possit ad laudem, et nobis profícere ad salútem.

[O clementissimo Iddio, la tua benedizione, che dà vita d’ogni creatura, santífichi, Te ne preghiamo, questo nostro sacrificio, che Ti offriamo a gloria del Nome del Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo: affinché torni gradito e di lode alla tua maestà e profittevole alla nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXV:  9-10
Omnes gentes, quascúmque fecísti, vénient et adorábunt coram te, Dómine, et glorificábunt nomen tuum: quóniam magnus es tu et fáciens mirabília: tu es Deus solus, allelúja.

[Tutte le genti che Tu hai fatto, o Signore, vengono e Ti adorano e glorificano il tuo Nome: poiché grande Tu sei e fai meraviglie: Tu solo sei Dio, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Omnípotens ætérne Deus, qui creásti et redemísti nos, réspice propítius vota nostra: et sacrifícium salutáris hóstiæ, quod in honórem nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, majestáti tuæ obtúlimus, plácido et benígno vultu suscípere dignéris; ut grátia tua nobis infúsa, sub glorióso nómine Jesu, ætérnæ prædestinatiónis titulo gaudeámus nómina nostra scripta esse in cœlis.

[Onnipotente eterno Iddio, che ci hai creati e redenti, guarda propizio i nostri voti: e degnati di ricevere benignamente il sacrificio della Vittima salutare che offriamo alla tua maestà in onore del Nome del tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore; affinché, per la tua grazia, in virtù del glorioso Nome di Gesù, godiamo di vedere i nostri nomi scritti in cielo in eterno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA 2021

L’ANNO LITURGICO 2020-2021

1 Gennaio – Circoncisione di Gesù

3 – SS. Nome di Gesù

6 Gennaio – Epifania

10 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

17 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

24 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania

– Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria Ss.

31 Gennaio – Domenica di Septuagesima

7 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

14 Febbraio – Domenica di Quinquagesima

17 Febbraio – Mercoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

21 Febbraio – Domenica I di Quaresima  

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

28 Febbraio – IIa Domenica di Quaresima 

7 Marzo – IIIa Domenica di Quaresima 

14 Marzo – IVa Domenica di Quaresima

21 Marzo – I DOMENICA DI PASSIONE

28 Marzo  – II DOMENICA DI PASSIONE – DELLE PALME

4 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

11 Aprile – Domenica in Albis

18 Aprile – 2a Domenica dopo Pasqua

25 Aprile  – 3a Domenica dopo Pasqua

2 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

9 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

10 a 12 Maggio – Giorni delle Rogazioni

13 Maggio – Giovedì in Ascensione Domini

16 Maggio – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

23 Maggio  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

30 Maggio – Domenica della SS. Trinità

3 Giugno – Corpus Christi

6 Giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

11 GiugnoSACRO CUORE DI GESÙ (Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi)

13 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

20 Giugno – 4a Domenica dopo Pentecoste

17 Giugno – 5a Domenica dopo Pentecoste

4 Luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

11 Luglio  – 7a Domenica dopo Pentecoste

18 Luglio  – 8a Domenica dopo Pentecoste

25 Luglio – 9a Domenica dopo Pentecoste

1 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

8 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

15 Agosto – 12a Domenica dopo Pentecoste

22 Agosto – 13a Domenica dopo Pentecoste

29 Agosto – 14a Domenica dopo Pentecoste

5 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

12 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

19 Settembre – 17a Domenica dopo Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

26 Settembre – 18a Domenica dopo Pentecoste

3 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

10 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

17 Ottobre – 21a Domenica dopo Pentecoste

24 Ottobre – 22a Domenica dopo Pentecoste

 31 Ottobre – 23a Domenica dopo Pentecoste

FESTA DI CRISTO RE

7 Novembre – Va Domenica post Epiphaniam

16 Novembre – VIa Domenica post Epiphaniam

21 Novembre – 24a Domenica dopo Pentecoste

28 Novembre  – 1a Domenica di Avvento

5 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

12 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

19 Dicembre – 4a Domenica di Avvento

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – Domenica entro Ottava di Natale

27 Dicembre – SAN GIOVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1st GENNAIO 2022 – CIRCUMCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

LO SCUDO DELLA FEDE (142)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (9)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE IX

Titoli e ossequii tributati al Papa.

35. Prot. Ecco dunque terminata anche la questione, la causa sul regno temporale del Papa. Si appelli pure e sia il Papa Re, io più non mi oppongo. Ma come potranno mai tollerarsi certi altri titoli, certi ossequi che i Cattolici con tanto trasporto e attenzione gli tributano, né egli si degna punto di ricusarli? Lo appellano SANTO PADRE, e BEATISSIMO, SANTISSIMO PADRE! e persino il VICE DIO !!!… Egli pure non manca talvolta di appellarsi IL VESCOVO DE’ VESCOVI!… Gli ossequi poi corrispondono a’ titoli, poiché non solo la plebe, non solo la nobiltà, etc, ma persino i regnatiti Principi, Re, Imperatori, Regine si prostrano dinanzi a lui, hanno per grazia speciale il baciargli il piede o il ginocchio; e se in necessità lo vedono, obbligati si credono a sovvenirlo in ogni maniera, ed anche senza necessità gli presentano talvolta doni, regali di sommo pregio e valore, quasi fossero suoi umilissimi tributari! Dove mai trovasi nella parola di Dio una sentenza, o un fatto, un esempio che tali cose autorizzi, o almeno coonesti? Non ledono anzi tali cose quell’onore ed ossequio che a Dio solo è dovuto?

Bibbia. È scritto: « Eleazaro figliuolo di Aronne sacerdote, principe de’ principi de’ Leviti? » (Num. III, 32). Ora se il figlio del Gran Sacerdote Israelita, poté avere senza inconveniente il titolo di principe de’ principi de’ Leviti; quale inconveniente vi è mai che il Papa si dia il titolo assai più modesto di Vescovo de’ Vescovi, titolo assolutamente dovutogli come a Capo Supremo dì tutta la Chiesa? – Il titolo di Vice Dio è un sinonimo di quello di Vicario di Gesù Cristo; e che tale sia, tu medesimo ne hai già convenuto. Di più, avendo detto i Giudei al Redentore che volevano lapidarlo: « perché che essendo tu uomo, fai te stesso Dio: 3 » ( Giov. X, 34, 35) rispose loro che se anche non fosse stato tale, avrebbe potuto ciò asserire in senso affatto innocente irreprensibile, così dicendo: « Non è egli scritto nella vostra Legge: Io dissi: siete dii? Se dii chiamò quelli a’ quali Dio parlò, e la Scrittura non può essere abolita, etc. » (Giov. X, 34, 35), non può riprendersi di errore. Da ciò è chiaro non esservi colpa di sorta, se anche (nel debito senso, in onore di colui che rappresenta) appellassero il Papa – il Dio in terra; – e quindi molto meno vi è colpa appellandolo – Santissimo, Beatissimo Padre. Anzi quest’ultimo titolo l’ha espressamente avuto da Gesù Cristo nella persona di S. Pietro, quando a questo Egli disse, nell’atto di eleggerlo Capo Supremo di tutta la Chiesa: « BEATO SEI TU SIMONE BAR IONA. » (Matt. XVI, 17).

54. Riguardo poi agli ossequi, parimente sta scritto: « Queste cose dice il Signore Dio: Ecco che io…. alzerò a’ popoli il mio vessillo (la Croce), e tuoi nutricatori saranno i re, e tue o nutrici le regine: COLLA FACCIA PER TERRA TI ADORERANNO, E BACERANNO LA POLVERE DE’ TUOI PIEDI. » (Isa. XLIX. 22, 23) Se riscontri adesso tutto il contesto evidentemente vedrai che Dio in questo luogo non parla che alla Chiesa Cristiana, e che tali onori ed ossequi a lei promette, nella persona sicuramente de’ suoi primari rappresentanti. Onde i Cattolici prestando tali onori di ussequi al Vicario di Gesù Cristo, altro non fanno che la volontà di Dio, il loro preciso dovere.

Prot. Ciò posso accordarvi rapporto ai buoni Papi: ma ì Cattolici li onorano tutti nel modo stesso indistintamente buoni e cattivi.

55. Bibbia. È scritto: « E mirato fissamente il sinedrio, disse Paolo etc,… Ma il Principe de’ sacerdoti, Anania, ordinò ai circostanti che lo percotessero nella bocca. Allora Paolo gli disse: Percuoterà te Iddio, muraglia imbiancata…. Ma i circostanti dissero: Tu oltraggi il Sommo Sacerdote di Dio? E Paolo disse: Fratelli, io non sapeva che egli è il Principe de’ sacerdoti. Imperocché sta scritto: Non oltraggerai il principe del popol tuo. » (Act. XXIII, 1 e segg.). Ora dir non potrai che questo Anania fosse uomo dabbene; eppure S. Paolo, domanda scusa per avergli mancato di rispetto, e con ciò t’insegna che tali onori ed ossequi non sono annessi ai costumi, ma al grado, alla dignità della persona.

Prot. Giustissime sono le vostre ragioni, ed io medesimo anche per lo innanzi ne era talmente persuaso che scrivendo a lui così espresso mi sono: « AL BEATISSIMO PADRE LEONE PONTEFICE MASSIMO: « Martin Lutero: Prostratomi a’ piedi della tua Beatitudine, etc. » (Lutero, Epist. ad Leonem Pap. Præf. Thesium, edict. 1519) Ed infatti, «Che cosa è il Papa?… Esso è un Vescovo, IL PADRE SANTO, IL SOMMO SACERDOTE…. Egli benefica e benedice…. Esso è il beneaccetto a milioni di cuori da lui santificati: esso si manifesta grande nella più alta maestà sino alle menti de’ potenti, i quali onorano il Papato; esso è il possessore di una potestà; dinanzi a cui nello spazio di 1700 anni ora 1860), a cominciare dalla Casa di Cesare insino alla stirpe di Asburgo, son passate e cadute molte grandi nazioni. » (Giov. Muller, Opp. Tom. 8, p. 56).

DISCUSSIONE X

I Precetti della Chiesa.

56. Prot. Sì: antica e grande è la potestà del Papa, ma più grande ancora è 1’abuso che egli ne fa. Ed invero: chi mai gli ha dato il potere di aggiungere ai divini Comandamenti i propri disciplinari precetti, e di obbligare gravemente i fedeli alla osservanza di essi? Eppure ha egli ciò fatto sino a comandar digiuni, a proibire in certi giorni e tempi dell’ anno i cibi di grasso! Non è egli questo un arrogarsi l’inaudito potere di correggere la legge santa di Dio, e violare in pari tempo i diritti più sacri dell’uomo?

Bibbia. Sta scritto: «Gli Apostoli e i seniori…. ai fratelli…. È parso allo Spirito Santo ed a noi…. che vi asteniate dalle cose immolato agli idoli, e dal sangue, e dal soffocato. – E Paolo elettosi Sila,… fece il giro della Siria e della Galilea, confermando le Chiese: comandando che si osservassero i precetti degli Apostoli. » (Act. XV, 28, 29, 40, 41). « E passando di città in città raccomandavano di osservare i regolamenti decretati dagli Apostoli. » (ivi, XVI, 4). Potrai adesso negare che non possa fare il Papa ciò che poteron fare gli Apostoli? Che se domandi quando il Papa, e da chi abbia ricevuto tal potestà: ti dico che l’ha ricevuta da Gesù Cristo, quando disse al primo Papa S. Pietro: « Tuttociò che avrai legato sopra la terra, sarà legato anche in cielo. » (Matt. XVI, 19) Dipoi disse ancora, per far conoscere di quanta forza siano tali precetti, di quanta reità si aggravano i trasgressori di essi: «Se non ascolta la Chiesa, abbilo come per un pagano e pubblicano. » (Matt. XVIII, 17) Hai ben capito?

Prot. Ho capito benissimo: Sono ancor io del medesimo sentimento.

57. « Senza la disciplina non può sussistere famiglia, né Chiesa, la dottrina di Cristo è l’anima della Chiesa, la disciplina tiene il luogo dei nervi che saldano tra loro i membri. Infrangere la disciplina è un uccider la Chiesa. La disciplina è il freno che doma l’anima ribelle, il pungolo che eccita la volontà infingarda, la sferza paterna che mite punisce l’indocile fanciullo. Gesù ha detto – Matt. XVIII – colui che dopo due rimproveri, fattigli dinanzi a tre testimoni, non si sarà emendato, verrà tradotto dinanzi al tribunale della Chiesa, da cui verrà pubblicamente rimproverato. Se il rimprovero rimane senza effetto, egli sarà espulso e scacciato dalla società de’ fedeli. » (Calvino: lib. 4, Instit. cap. 3). « Noi crediamo che i digiuni e le mortificazioni della carne, alle quali l’uomo volontariamente si sottopone, sono utilissime cose per avanzare nella pietà; e che dobbiamo esortarvi i Cristiani come fecero gli Apostoli. » (Melantone: Professione di fede mandata, anche a nome della Germania, a Francesco I, re di Francia: Art. 3). (Gli Apostoli non solo esortarono, ma comandarono.)

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: PRIMA DOMENICA DELL’ANNO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di G. B. M. VIANNEY VOL. I, IV ed. Ed. Marietti – 1933)

PRIMA DOMENICA DELL’ANNO

Domine, dimitte illam et hoc anno.

[Signore, lasciatela ancora un anno sulla terra.]

(S. Luca, XIII, 8)

Un uomo, ci dice il Salvatore del mondo, aveva un fico piantato nella sua vigna, e venendo a cercarvi i frutti, non ne trovò alcuno. Allora si rivolse al vignaiolo e gli dice: ecco, son già tre anni che vengo a raccogliere frutto da questo fico, senza trovarne; taglialo dunque, perché occupare ancor la terra? Il vignaiolo gli risponde. Signore, lasciamolo ancora quest’anno, lo lavorerò intorno, vi metterò del concime, forse porterà frutto, altrimenti lo taglierete e lo getterete al fuoco. No, fratelli miei, questa parabola non ha bisogno do spiegazione alcuna, siamo proprio noi, questo fico che il Signore ha piantato nel seno della Chiesa e dal quale aveva diritto di di aspettarsi buoni frutti, ma finora abbiamo deluso le sue speranze. Indignato per la nostra condotta Egli voleva toglierci da questo mondo e punirci; ma Gesù-Cristo, che è il nostro vero vignaiolo, che coltiva le nostre anime con tanta cura e che è già il nostro Mediatore, ha chiesto, di grazia, a suo Padre di lasciarci ancora questo anno sulla terra, promettendo a suo Padre che Egli avrebbe raddoppiato le sue cure ed avrebbe fatto tutto quel che poteva per convertirci. Padre mio, gli dice questo tenero Salvatore, ancora questo anno, non lo punite così presto; io lo perseguirò continuamente, sia con i rimorsi della coscienza che lo divorano, sia con i buoni esempi, sia con buone ispirazioni. Io incaricherò questi ministri di annunciar loro che sono sempre pronto a riceverlo; che la mia misericordia è infinita. Ma, se malgrado tutto questo, essi non vogliono amarvi, ben lungi dal difenderli contro la vostra giustizia, Io stesso mi volgerò contro di loro pregandovi di toglierli da questo mondo e di punirli. Preveniamo, fratelli miei, una sì grande sventura e profittiamo di questa misericordia che è infinita! Fratelli miei, passiamo santamente l’anno che stiamo per iniziare: e per questo, evitiamo questi disordini che hanno reso i nostri anni passati così peccaminosi agli occhi di Dio. È quel che io voglio dimostrarvi in maniera semplice e familiare affinché, comprendendolo bene, possiate profittarne.

I. Perché, fratelli miei, la nostra vita è piena di tanta sofferenza? Se consideriamo bene la vita dell’uomo, non è altro che una catena di mali: malattie, dolori, persecuzioni o infine le perdite di proprietà si succedono incessantemente su di noi; così che da qualunque parte l’uomo terreno si giri o si consideri, trova solo croci e afflizioni. Andate,  domandate dal più piccolo al più grande, tutti vi avranno lo stesso linguaggio. Infine, fratelli miei, l’uomo sulla terra, se non si rivolge a Dio, non può che essere infelice. Lo sapete perché, fratelli miei? No, mi direte voi. Ebbene! Amico mio, eccone il vero motivo. È che Dio, non ci ha messo in questo mondo solo come in un luogo di esilio e di reclusione, Egli vuole forzarci con così tanti mali a non attaccare ad esso il nostro cuore e a sospirare beni ben più grandi, più puri e più durevoli di quelli che si possono trovare in questa vita. Per farci sentire il bisogno di portare la nostra visuale verso i beni eterni, Dio ha dato ai nostri cuori desideri così vasti ed estesi, che nulla di creato è in grado di soddisfarli: ma a questo punto egli spera di trovare qualche piacere, attaccandosi a degli oggetti creati; appena possedeva ciò che desiderava con così tanto ardore, non appena assaggiato, egli si volge da un’altra parte, sperando di trovare qualcosa di meglio. È quindi costretto e forzato a confessare, per esperienza personale, che è inutile voler riporre qui la propria felicità in cose deperibili. Se spera di avere qualche consolazione in questo mondo non sarà se non disprezzando le cose che sono passeggere e di così poca durata, e tendendo al fine nobile e felice per il quale Dio lo ha creato. Volete essere felice amico mio? Guardate il cielo: là è dove il vostro cuore troverà qualcosa di cui saziarsi pienamente. Per provarlo, fratelli miei, dovrei solo interrogare un bambino e chiedergli per qual ragione Dio l’ha creato e messo al mondo; egli mi risponderebbe: per conoscerlo, amarlo, servirlo e quindi guadagnare la vita eterna. Ma di questi beni, di questi piaceri, di questi onori che cosa devi farne? Mi direbbe di nuovo: tutto ciò esiste solo per essere disprezzato, ed ogni Cristiano fedele agli impegni presi con Dio sul sacro fonte del Battesimo, le disprezza e le calpesta con i piedi. Ma mi direte ancora, cosa dobbiamo fare allora? Come dovremmo comportarci per giungere al fine beato per il quale siamo stati creati, in mezzo a così tante miserie? Eh! Amici miei, niente di più facile, tutti i mali che voi sperimentate sono i veri mezzi per condurvici: cerco di dimostrarvelo in modo chiaro come di giorno a mezzogiorno. Innanzitutto io vi dirò che Gesù Cristo con le sue sofferenze e la sua morte ha reso tutti i nostri atti meritori, per cui per un buon Cristiano, non c’è un movimento del nostro cuore e del nostro corpo che non sia ricompensato se lo facciamo per Lui. Forse voi pensate che questo non sia ancora abbastanza chiaro. Ebbene, se ciò non è sufficiente abbastanza, riesaminiamo la questione. Seguitemi per un momento e saprete come fare per rendere tutte le vostre azioni meritorie per la vita eterna, senza nulla cambiare nel vostro modo di agire. Bisogna soltanto tutto fare per piacere a Dio, e aggiungerò pure che invece di rendere le vostre azioni più penose facendole per Dio, al contrario, esse saranno solo più dolci e più leggere. Al mattino, quando vi svegliate, pensate immediatamente a Dio, e fatevi subito il segno della croce in Lui dicendo: Mio Dio, io vi dono il mio cuore, e poiché Voi siete così buono da darmi un altro giorno, fatemi la grazia che tutto ciò che io farò, non sia che per la vostra gloria e la salvezza della mia anima. Ahimè! dobbiamo poi dire in noi stessi: quanti ieri sono caduti nell’inferno, che forse erano meno colpevoli di me: devo dunque fare meglio di quanto non abbia fatto finora. Da questo momento, dovete offrire a Dio tutte le vostre azioni della giornata dicendogli: Ricevete, o mio Dio, tutti i pensieri, tutte le azioni che io farò in unione con ciò che avete sopportato durante la vostra vita mortale per mio amore. Questo è quello che non dovete mai dimenticare; perché, affinché le nostre azioni siano meritorie per il cielo, dobbiamo averle offerte al buon Dio, altrimenti esse saranno senza ricompensa. Quando è giunto il momento di svegliarvi, alzatevi prontamente: fate attenzione a non ascoltare il demone che vi tenterà di rimanere un po’ di più a letto, per farti mancare la vostra preghiera, o per farvela fare distrattamente al pensiero di ciò che vi attende, o dell’opera che vi pressa. Quando vi vestite, fatelo modestamente, pensando che Dio ha gli occhi su di voi e che il vostro buon Angelo custode vi sia vicino, cosa di cui non potete dubitare. Mettetevi poi in ginocchio, non ascoltate ancora il demone che vi dice di rimandare la vostra preghiera ad un altro momento, per farvi offendere Dio fin dal mattino; al contrario, fate la vostra preghiera con tal rispetto e modestia per quanto ne sarete in grado. Dopo la vostra preghiera, prevedete le occasioni che potreste avere di offendere Dio durante la giornata, per poterle evitare. Quindi prendete una qualche risoluzione che vi sforzerete di eseguire dal primo momento: come, ad esempio, fare il vostro lavoro nello spirito di penitenza, evitare l’impazienza, le mormorazioni, i giuramenti, frenare la vostra lingua. La sera esaminerete poi se siete stati fedeli ad essa; se avete mancato, imponetevi qualche penitenza per punirvi delle vostre infedeltà, e siatene certi, se userete questa pratica, sarete presto in grado di correggervi da tutti i vostri difetti. – Quando andate a lavorare, invece di occuparvi della condotta dell’uno o dell’altro, occupatevi di alcuni buoni pensieri, come della morte: pensate che presto sarete tratti fuori da questo mondo; voi esaminerete quanto bene abbiate fatto da quando ci siete; vi dorrete soprattutto per i giorni persi per il cielo, cosa che vi porterà a raddoppiare le vostre buone opere, oppure del giudizio che forse, prima che la giornata finisca, dovrete rendere conto di tutta la vita e che quel momento deciderà il vostro destino, o eternamente infelice, o eternamente beato; o nel fuoco dell’inferno, dentro il quale bruciano quelli che hanno vissuto nel peccato, o nella felicità del paradiso, che è la ricompensa per coloro che sono stati fedeli nel servire Dio; o, se volete, trattenetevi sulla bruttura del peccato che ci separa da Dio, che ci rende schiavi del demonio gettandoci in un abisso di mali eterni. – Ma, voi mi direte, non possiamo fare tutte queste meditazioni. Ebbene! vedete la bontà di Dio, non sapete come meditare su queste grandi verità? Ebbene! fate delle preghiere, dite il vostro Rosario. Se siete un padre o una madre, ditelo per i vostri figli, affinché il buon Dio possa dare loro la grazia di essere dei buoni Cristiani che faranno la vostra consolazione in questo mondo e la vostra gloria nell’altro! E i figli devono dirlo per i loro padri e madri, affinché Dio li preservi e siano ben allevati cristianamente. Oppure pregate per la conversione dei peccatori, affinché possano avere la felicità di tornare a Dio. E con questo,  voi eviterete un numero infinito di parole inutili, o forse anche dei commenti che spesso non sono dei più innocenti. Dovete, fratelli miei, abituarvi quanto più possibile, ad usare santamente il tempo. Ricordatevi che non possiamo salvarci senza pensarvi e che, se c’è un affare che meriti che noi ci pensiamo, è certamente l’affare della nostra salvezza, perché Dio non ci ha messo sulla terra se non per salvarci. – Bisogna, fratelli miei, che prima di cominciare il vostro lavoro, non manchiate mai di fare il segno della croce, e non imitate quelle persone senza religione che non osano farlo perché sono in compagnia. Offrite con tutta semplicità le vostre pene al buon Dio, e rinnovate di tanto in tanto questa offerta con la quale avrete la felicità di attirare la benedizione del cielo su di voi e su tutto ciò che farete. Vedete, fratelli miei, quanti atti di virtù potete praticare comportandovi in questa maniera senza cambiare nulla in ciò che fate.  Se lavorate per piacere a Dio, obbedite ai suoi comandamenti che vi ordinano di guadagnare il vostro pane col sudore della vostra fronte: ecco un atto di obbedienza. Se questo vale per espiare i vostri peccati, fate un atto di penitenza. Se ha il fine di ottenere qualche grazia per voi o qualcun altro: ecco un atto di fiducia e di carità. O quanto, fratelli miei, possiamo meritare ogni giorno il cielo facendo quel che dobbiamo fare, ma facendolo per Dio e la salvezza della nostra anima! Chi vi impedisce, quando sentite battere le ore, di pensare alla brevità del tempo e dire in voi stessi: le ore passano e la morte avanza, io corro verso l’eternità. Sono pronto a comparire davanti al tribunale di Dio? Sono nello stato di peccato? E, fratelli miei, se avete questa disgrazia, fate presto un atto di contrizione per timore che Dio vi rigetti, e prendete poi la risoluzione di andarvi a confessare per due ragioni. La prima è che, se morite in questo stato, sarete certamente dannato, e tutte le buone opere che avete fatto saranno perdute per il cielo. Ed allora. Fratelli miei, avrete il coraggio di restare in uno stato che vi rende nemico del vostro DIO che vi ama tanto? Quando vi riposate dalle vostre fatiche, alzate gli occhi verso questo bel cielo che vi è stato preparato e, se avrete la felicità di servire DIO come dovete, dicendo a voi stesso: O bel cielo, quando avrò la felicità di possedervi! Tuttavia, fratelli miei, è vero il dire che il demonio non trascura di fare tutto quel che può per portarci al peccato, poiché San Pietro ci dice: « che egli ruggisce senza lena intorno a noi come un leone per divorarci. » Occorre dunque comprendere, fratelli miei, che finché sarete sulla terra, avrete tentazioni. Ma cosa dovete fare quando sentite il demonio che vorrebbe portarvi al male? Eccolo! Fate subito ricorso a DIO, dicendogli: « Mio DIO, venite in mio aiuto! Vergine Santa aiutatemi, per favore » oppure: « Mio santo Angelo custode, combattete il nemico della mia salvezza! » Fate subito queste riflessioni: nell’ora della mia morte, vorrò io aver fatto questo? No, senza dubbio. Ebbene! Bisogna dunque resistere a questa tentazione. Io potrò ora nascondermi agli occhi del mondo; ma DIO mi vede. Quando mi giudicherà, cosa gli risponderò se avrò la sventura di commettere questo peccato? Si tratta qui di Paradiso o di inferno, quale dei due vorrò scegliere? Credetemi, fratelli miei, fate queste piccole riflessioni tutte le volte che sarete tentati, e vedrete che la tentazione diminuirà man mano che le resistete, e ne uscirete vittoriosi. Di seguito, voi proverete da voi stessi che se vi costa il resistere, in seguito si è compensati dalla gioia e dalla consolazione che si prova dopo aver cacciato il demonio. Io sono sicuro che molti tra voi diranno tra loro che questo è proprio vero. I padri e le madri, dovranno abituare i loro figli a resistere subito alla tentazione, perché si può dire a tanti padri e madri che ci sono bambini che a quindici o sedici anni non sanno più cosa significhi resistere ad una tentazione, che li lasciamo prendere nelle trappole del demonio come uccelli nelle reti! Da dove deriva questo, se non dall’ignoranza o dalla negligenza dei genitori? Ma forse, mi direte, come volete che insegniamo ai nostri figli quando noi neppure lo sappiamo? Ma se non siete tanto istruiti, perché dunque siete entrati nello stato matrimoniale, nel quale sapete, o almeno dovreste sapere, che se il buon DIO vi dà dei figli, voi siete obbligati, sotto pena di dannazione, ad istruirli nel modo in cui devono comportarsi per andare in cielo. Amico mio, non è forse abbastanza che la vostra ignoranza vi perda senza perdere altri con voi? Se almeno, essendo perfettamente convinti che non abbiate molti lumi, perché non vi fate istruire nei vostri doveri da coloro che ne sono incaricati? Ma, voi mi direte, come osar dire ad un pastore che io sono poco ostruito? Egli si burlerebbe di me! Si burlerebbe di me!?, fratelli miei, voi vi ingannate, anzi egli avrà piacere ad insegnarvi ciò che voi dovete sapere, e di conseguenza i vostri figli. Dovete inoltre insegnar loro a santificare il loro lavoro, cioè a farlo non per diventare ricchi né per essere stimati dal mondo, ma per piacere a DIO che ce lo comanda per espiare i nostri peccati; con questo voi avrete la consolazione di vederli diventare figli saggi ed obbedienti, che faranno la vostra consolazione in questo mondo e la vostra gloria nell’altro. Voi avrete la felicità di vederli temere DIO e padroneggiare le loro passioni. No, fratelli miei, il mio intento non è oggi quello di mostrare ai padri ed alle madri la grandezza dei loro obblighi: essi sono così grandi e terribili che meritano una intera istruzione. Io dirò solo di passaggio, che essi devono fare ogni sforzo per ispirar loro il timore e l’amore di DIO; che le loro anime sono il deposito che DIO ha loro affidato, di cui un giorno bisognerà rendere un conto molto rigoroso. Infine si deve terminare la giornata con la preghiera della sera che si deve fare in comune per quanto possibile: perché, fratelli miei nulla è più vantaggioso di questa pratica di pietà, perché Gesù-Cristo ci ha detto Egli stesso che « se due o tre persone si uniranno insieme per pregare nel mio nome, Io sarò in mezzo a loro ». D’altro canto, cosa c’è di più consolante per un padre di famiglia di vedere ogni giorno tutta la sua casa prosternata ai piedi di DIO per adorarlo e ringraziarlo dei benefici ricevuti durante la giornata, e nello stesso tempo, gemere sui suoi passati peccati? Non c’è da sperare che tutti così trascorreranno santamente la notte? Colui che fa la preghiera non deve andare troppo svelto, affinché gli altri possano seguirlo, né troppo lentamente, cosa che causerebbe distrazioni agli altri, ma tenere un giusto mezzo. A questa preghiera della sera si deve aggiungere un esame in comune. Cioè, fermarsi un istante per rimettere i propri peccati davanti agli occhi. Ecco il vantaggio di questo esame: esso ci porta al dolore dei nostri peccati, ci ispira la risoluzione non più ricadervi e quando andremo a confessarci, avremo più facilità a ricordarcene. Infine, se la morte ci coglie, noi compariremo con più fiducia davanti al tribunale di DIO; poiché San Paolo ci dice che se noi giudicheremo noi stessi, DIO ci risparmierà nei suoi giudizi. Sarebbe ancor da sperare, che prima di andare a dormire, facciate una piccola lettura di pietà, almeno durante l’inverno. Questa vi darà qualche buon pensiero che vi occuperà nel dormire e nello svegliarvi e con ciò fisserete più perfettamente le verità della vostra salvezza nel cuore. Nelle case ove non si sa leggere, ebbene, si può recitare il Rosario, cosa che attirerebbe la protezione della Vergine Santa. Si, fratelli miei, quando si trascorre così la giornata si può prendere il riposo in pace e dormire nel Signore. Se durante la notte ci si sveglia, si profitta di questo momento per lodare e adorare DIO. Ecco, fratelli miei, il piano di vita che dovete seguire, ed il buon ordine che dovete stabilire nelle vostre famiglie.

II. Vediamo ora i disordini più comuni e più pericolosi che bisogna evitare, ed in seguito le obbligazioni di ogni stato in particolare. Io dico innanzitutto che i peccati, i disordini più comuni sono le veglie, i giuramenti, le parole e le canzoni disoneste. Dico innanzitutto le veglie, sì, fratelli miei, sì, queste assemblee notturne che sono ordinariamente la scuola in cui i giovani perdono tutte le virtù della loro età, ed apprendono ogni tipo di vizio. In effetti, fratelli miei, quali sono le virtù della giovinezza? Non è forse l’amore per la preghiera, la frequentazione dei Sacramenti, la sottomissione ai loro genitori, l’assiduità al loro lavoro, una mirabile purezza di coscienza, un vivo orrore del peccato impuro? Tali sono, fratelli miei, le virtù che i giovani devono sforzarsi di acquisire. Ebbene! Fratelli miei, io vi dirò che benché raffermo sia un giovane o una giovane in queste virtù, se essi hanno la sventura di frequentare certe veglie o certe compagnie, essi le avranno tutte ben presto perduto. Ditemi, fratelli miei, voi che ne siete testimoni, cosa vi si intendono se non le parole più sudicie e più vergognose? Cosa vi si vede se non familiarità tra i giovani che fanno arrossire il pudore, ed oso dire che se questi fossero degli infedeli, non ne farebbero di più. Ed i padri e le madri ne sono testimoni, e non dicono nulla, e padroni e padrone, conservano il silenzio! Un falso rispetto umano chiude la loro bocca! E voi sareste Cristiani!? Avreste una Religione e sperate pure di andare un giorno in cielo! O DIO mio quale accecamento! Si può mai concepire? Sì, poveri ciechi, voi andrete, ma questo sarà nell’inferno: ecco dove sarete gettati. Come, voi vi lamentate che le vostre bestie muoiono? Voi avete senza dubbio dimenticato tutti questi crimini che si sono commessi durante i cinque o sei mesi d’inverno nelle vostre stalle? Voi avete dimenticato ciò che dice lo Spirito Santo: « Ovunque si commetterà il peccato, cadrà la maledizione del Signore. » Ahimè! quanti giovani avrebbero ancora la loro innocenza se non avessero partecipato a certe veglie e che forse non ritorneranno mai a DIO. Non è forse ancora, all’uscir di là che i giovani formeranno dei legami che, il più sovente, finiscono con lo scandalo e la perdita della reputazione di una fanciulla? Non è là che certi giovani libertini, dopo aver venduto la propria anima al demonio, vanno a perdere quelle delle altre? Sì, fratelli miei, i mali che ne risultano sono incalcolabili. Se siete dei Cristiani e desiderate salvare le vostre anime e quelle dei vostri figli e dei vostri domestici, non dovete mai organizzare veglie notturne a casa vostra, a meno che non ci siate voi, uno dei capi della casa, per impedire che DIO ne sia offeso. Quando sono entrati tutti, dovete chiudere la porta e non lasciarvi entrare nessuno. Iniziate la vostra veglia recitando una o due decine del vostro Rosario per attirare la protezione della Santa Vergine, cosa che potete fare lavorando. Poi bandite tutte le canzoni lascive o cattive: esse profanano il vostro cuore e la vostra bocca che sono i templi dello Spirito Santo; così che tutti questi racconti che non sono che menzogne, e che, più ordinariamente, sono contro persone consacrate a DIO, cosa che le rende ancor più criminali. E non dovete mai lasciare andare i vostri figli nelle altre veglie. Perché vi sfuggono, se non per essere più liberi? Se sarete fedeli nell’adempiere ai vostri doveri, DIO sarà meno offeso e voi, meno colpevoli. C’è ancora un disordine più deplorevole e più comune, che sono le parole libere. No, fratelli miei, nulla di più abominevole, di più detestabile di queste parole. In effetti, fratelli miei, cosa è più contrario alla santità della nostra Religione di queste parole impure? Esse oltraggiano Do, scandalizzano il prossimo: ma per parlare più chiaramente, esse perdono tutto. Non basta spesso che una parola disonesta per occasionare mille cattivi pensieri, mille desideri vergognosi, forse anche per far cadere in un numero infinito di altre infamie, e per insegnare alle anime innocenti il male che essi hanno la fortuna di ignorare. E che! Fratelli miei, un Cristiano può lasciare occupare il suo spirito da tali orrori, un Cristiano che è il tempio dello Spirito Santo; un Cristiano che è stato santificato dal contatto del corpo adorabile di Gesù-Cristo! o DIO mio quanto poco conosciamo ciò che facciamo peccando! Se il nostro Signore vi dice che si può conoscere un albero dai suoi frutti, giudicate secondo il linguaggio di certe persone quale debba essere la corruzione del loro cuore, e tuttavia, nulla di più comune. Qual è la conversazione dei giovani? Non è questo maledetto peccato! Hanno altro in bocca? Entrate, oserei dire con S. Giovanni Crisostomo, entrate in queste bettole, cioè in questi ripari di impurità; su cosa volge la conversazione anche tra persone di una certa età? Non si giungono fino a gloriare colui che ne dirà di più? La loro bocca non è simile ad un tubo di cui l’inferno si serve per vomitare tutto le porcherie e le sue impurità sulla terra, ed attrarre le anime ad esso? Che fanno questi cattivi Cristiani, o piuttosto questi inviati degli abissi? Sono nella gioia? In luogo di cantare le lodi di DIO, sono le canzoni più vergognose che dovrebbero far morire un Cristiano di orrore.  Ah! gran DIO! Chi non fremerebbe pensando al giudizio che DIO ne farà. Sì, come Gesù-Cristo ci assicura Egli stesso, una sola parola inutile non resterà senza punizione. Ahimè! Qual sarà dunque la punizione di questi discorsi linceziosi, di questi spropositi indecenti, di questi orrori infami che fanno rizzare i capelli? Volete concepire l’accecamento di questi poveri sventurati, ascoltate queste parole: « Io non ho cattive intenzioni, vi dicono ancora; è solo per ridere, non sono che inezie e  barzellette che non fanno niente. » E che! Fratelli miei, un peccato così odioso agli occhi di DIO, un peccato, dico io, che solo il sacrilegio può oltrepassare, è una bagattella per voi! Oh! quanto il vostro cuore è rovinato e corrotto da questo vizio odioso. Oh no! No, non si può ridere e scherzare di ciò di cui dovremmo fuggire con più orrore che da un mostro che ci insegue per divorarci. Qual crimine, fratelli miei, amare ciò che DIO vuole che noi detestiamo sovranamente! Voi mi dite che non avete cattive intenzioni; ma ditemi anche, povero e miserabile vittima degli abissi, coloro che vi ascoltano ne avranno meno di cattivi pensieri e desideri criminali? La vostra intenzione arresterà forse la loro immaginazione ed il loro cuore? Parlate più chiaramente dicendo che voi siete la causa della loro perdita e della loro dannazione eterna. Oh! Questo peccato getta le anime all’inferno! Lo Spirito Santo ci dice che questo maledetto peccato di impurità ha coperto la superficie della terra. No, fratelli miei, no, non vado più oltre in questa materia; vi tornerò in una istruzione in cui tenterò di dipingervelo con ancora più orrore. Io dico dunque che i padri e le madri devono essere molto vigilanti nei confronti dei propri figli o domestici, non fare né dire un qualcosa che possa esser di danno a questa bella virtù di purezza. Quanti fanciulli o domestici che non si son dati a questo vizio se non dopo che i loro padri e madri ne hanno dato l’esempio! Quanti fanciulli e domestici persi per i cattivi esempi dei loro padri e madri o dei loro padroni o padrone! Sarebbe stato meglio per loro che si fosse piantati loro un pugnale nel seno! … almeno avrebbero avuto la felicità di essere nello stato di grazia, e sarebbero andati al cielo invece che essere gettati nell’inferno. I padroni devono essere molto vigilanti verso i loro domestici. Se ce ne sono alcuni che siano libertini nel linguaggio, la carità deve indurre a riprenderli due o tre volte con bontà; ma se continuano, dovete allontanarli da voi, altrimenti i vostri figli non tarderanno a somigliare loro. Diciamo anche, un domestico di questa specie è capace di attirare ogni tipo di maledizione sopra una casa. Un altro disordine che regna nelle famiglie e tra gli operai, sono le impazienze, i mormorii, i giuramenti. Ebbene! Fratelli miei, cosa guadagnate con le vostre impazienze ed i vostri mormorii? Forse vanno meglio i vostri affari? Ne soffrirete di meno? Non è tutto il contrario? Voi ne soffrite di più, e cosa più disastrosa è che voi perdete tutto il merito per il cielo. Ma, voi mi direte forse, che questo va bene per coloro che non hanno nulla da sopportare; se voi foste al posto mio, fareste forse ancor peggio. Io comprenderei tutto questo e ne converrei, fratelli miei, se non fossimo Cristiani, se non avessimo altra speranza che i beni ed i piaceri che possiamo gustare in questo mondo. Se, io dico, fossimo i primi a soffrirne; ma dopo Adamo ed Eva fino al presente, tutti i Santi hanno avuto qualcosa da soffrire, e per la maggior parte, molto più di noi; ma essi hanno sofferto con pazienza, sempre sottomessi alla volontà di DIO, e al presente, le loro pene sono finite, la loro felicità che è cominciata, non finirà mai. Ah! fratelli miei, guardiamo questo bel cielo, pensiamo alla felicità che DIO ci prepara, e sopporteremo tutti i mali della vita, in spirito di penitenza, con la speranza di una eterna ricompensa. Possiate voi avere la felicità, di sera, di poter dire che la vostra giornata è tutta per il buon DIO! Io dico che i lavoratori, se vogliono guadagnare il cielo. Devono soffrire con pazienza il rigore delle stagioni, i cattivi umori di coloro che li fanno lavorare; evitare i mormorii ed i giuramenti così comuni tra essi e compiere fedelmente il loro dovere. Gli sposi e le spose devono vivere in pace nella loro unione, edificarsi reciprocamente, pregare l’un per l’altro, sopportare i loro difetti con pazienza, incoraggiare alla virtù con i loro buoni esempi e seguire le regole sante e sacre del loro stato, pensando di essere figli dei santi, e che di conseguenza, non devono comportarsi come i pagani che non hanno la fortuna di conoscere il vero DIO. I padroni devono prendere le stesse cure dei loro domestici e dei loro figli ricordando ciò che dice San Paolo: che se non hanno cura dei loro domestici, sono peggiori dei pagani, e saranno puniti più severamente nel giorno del giudizio. I domestici agiscono per servirvi ed esservi fedeli, e voi dovete trattarli non come degli schiavi, ma come i vostri figli ed i vostri fratelli. Le domestiche devono considerare le loro padrone come se tenessero il posto di Gesù-Cristo sulla terra. Il loro dovere è quello di servirli con gioia, di obbedir loro con buona grazia, senza mormorii, e curare i loro beni come propri. I domestici devono evitare tra loro quegli atti estremamente familiari che sono sì pericolosi e sì funesti per l’innocenza.  Se avete la ventura di trovarvi in una di queste occasioni, dovete lasciarla, a qualunque costo: è proprio là che dobbiamo seguire il consiglio che Gesù-Cristo vi dà, dicendovi che se il vostro occhio destro, o la vostra mano destra sono occasioni di peccato, strappateli e gettateli via da voi, perché è meglio andare in cielo con un solo occhio o una mano in meno, che esser precipitato nell’inferno con tutto il vostro corpo; vale a dire che, per quanto vantaggiosa possa essere la condizione in cui vi troviate, bisogna lasciarla senza indugio, altrimenti mai vi salverete. Preferite, ci dice Gesù-Cristo, la vostra salvezza, perché è la sola cosa che dovete avere a cuore. Ahimè! fratelli miei, quanto sono rari questi Cristiani che sono disposti a soffrire tutto piuttosto che rischiare la salvezza della propria anima. Sì, fratelli miei, avete udito riassunto tutto ciò che dovete fare per santificarvi nel vostro stato; ahimè! quanti peccati abbiamo da rimproverarci fino al presente. Giudichiamoci, fratelli miei, secondo queste regole, cerchiamo di conformarvi oramai la nostra condotta. E perché, fratelli miei, non faremmo tutto ciò che potremo per piacere al nostro DIO che ci ama tanto? Ah! se ci prendessimo la pena di gettare i nostri sguardi sulla bontà di DIO verso noi! In effetti, fratelli miei, tutti i sentimenti di DIO verso il peccatore non sono che sentimenti di bontà e di misericordia. Benché peccatore Egli lo ama ancora. Egli odia il peccato, è vero, ma ama il peccatore che, benché peccatore, non cessa di essere sua opera creata a sua immagine ed essere l’oggetto dei suoi più teneri sospiri da tutta l’eternità. È per lui che ha creato il cielo e la terra;  è per lui che ha lasciato gli Angeli ed i Santi; è per lui che sulla terra ha sofferto tanto per trentatre anni; è per lui che ha stabilito questa bella Religione sì degna di un DIO, sì capace di rendere felice colui che ha la fortuna di seguirla! Volete voi, fratelli miei, che vi mostri quanto DIO ci ami, benché peccatori? Ascoltate lo Spirito Santo che ci dice che DIO si comporta verso di noi come Davide si comportò verso il figlio suo Assalonne, che formò un’armata di scellerati per detronizzare e togliere la vita ad un padre così buono, per poter regnare a suo posto. David è costretto a fuggire e lasciare il suo palazzo per mettere in sicurezza la sua vita, essendo perseguitato dal suo figlio degenere. E malgrado questo crimine dovette essere stato molto odioso a David, tuttavia lo Spirito-Santo ci dice che il suo amore per questo figlio ingrato era senza limiti, e sembrava quasi che a misura che questo figlio malvagio armasse il suo furore, questo buon padre sentisse nuovo amore per lui. Vedendosi costretto a marciare alla testa di un’armata per arrestare questo figlio sventurato, la sua prima cura prima di ingaggiare battaglia, fu quella di raccomandare ai suoi ufficiali ed ai suoi soldati, di salvare suo figlio. Questo figlio criminale e barbaro, vuole togliergli la vita, ed è per lui che questo padre prega. Egli perì per un visibile permesso dell’Alto, e Davide, lungi dal gioire della defezione di questo ribelle, e vedersi in sicurezza, al contrario, quando ne apprende la morte, sembra dimenticare la sua vita ed il suo regno, per non pensare che a piangere la morte di colui che non cercava che di sopprimerlo. Il suo dolore fu così grande e le sue lacrime abbondanti che si coprì il viso per non vedere più il giorno; egli si ritirò nell’oscurità del suo palazzo e si lasciò andare a tutta l’amarezza del suo cuore. Le sue grida erano così laceranti e le sue lacrime sì amare ed abbondanti che gettò la costernazione fin nel mezzo delle sue truppe, rimproverando a se stesso di non avere avuto la fortuna di morire per salvare la vita di suoi figlio. Ad ogni istante lo si sentiva gridare: « Ah! figlio mio caro, Assalonne, ah! chi mi toglierà la vita per renderla a te. – Ah! fosse piaciuto a DIO che fossi morto al posto tuo! Non voleva ricevere più consolazioni; il suo dolore e le sue lacrime lo accompagnarono fino alla tomba. Ditemi, fratelli miei, avreste mai pensato che la vostra perdita potesse causare tante lacrime e dolori al vostro divin Salvatore? Ah! chi non ne sarebbe colpito? Un DIO che piange la perdita di un’anima con tante lacrime, che non smette di gridare: amico, mio, amico mio, dove vai? A perdere la tua anima ed il tuo DIO? Fermati, fermati! Ah! guarda le mie lacrime, il mio sangue che ancora scorre: occorre che Io muoia una seconda volta per salvarti? Eccomi. Oh! Angeli del cielo, scendete sulla terra, venite a piangere con me la perdita di quest’anima! Oh! sventurato è il Cristiano che persevera ancora a correre verso gli abissi, malgrado la voce che il suo DIO gli fa ascoltare continuamente! Ma, mi direte, nessuno ci parla in questo modo. Oh! amico mio, se non tappareste le vostre orecchie, ascoltereste incessantemente la voce del vostro DIO che vi insegue. Ditemi, amico mio, cosa sono questi rimorsi di coscienza quando siete siete caduto in peccato? Perché dunque questi turbamenti, queste tempeste che vi agitano? Perché dunque questa paura e questo terrore in cui siete, o vi sembra di essere sempre pronti ad essere schiantato dai fulmini del cielo? Quante volte non avete sentito, anche peccando, una mano invisibile che sembrava vi respingesse dicendo: disgraziato, cosa fai? Sventurato, dove vai? Ah! figlio mio, perché vuoi dannarti? Non converrete con me che un Cristiano che disprezza tante grazie, meriti di essere abbandonato e riprovato, perché non ha ascoltato la voce di DIO, né approfittato delle sue grazie? Ma no, fratelli miei, è DIO solo che quest’anima ingrata disprezza e sembra voler togliere la vita, e tutte le creature chiedono vendetta, ed è precisamente DIO solo che vuol salvarla, e si oppone a tutto ciò che potrebbe nuocergli, vegliando sulla sua conservazione come se fosse sola al mondo, e che la sua felicità dipendesse dalla sua. Mentre il peccatore gli pianta il pugnale in seno, DIO gli tende una mano per dirgli che vuole perdonarlo. I tuoni ed i fulmini del cielo sembrano gettarsi ai piedi del trono di DIO per pregarlo di grazia di permettere loro di schiantarlo. Ah! no, dice loro il divin Salvatore, quest’anima mi è troppo cara, io l’amo ancora, benché peccatrice. Ma Signore, riprendono queste folgori, ma essa non vive se non per oltraggiarvi? Non importa, Io voglio conservarla, perché so che un giorno mi amerà; è per questo che Io voglio vegliare alla sua conservazione. Ah! fratelli miei, sareste così duri da non essere colpiti da tanta bontà da parte del nostro DIO? Ebbene! Fratelli miei, andiamo oltre. Voi vedrete un altro spettacolo dell’amore di DIO per le sue creature e soprattutto per un peccatore convertito. Il Signore ci parla per bocca del profeta Osea. Egli giunge anche fino a voler nascondere i nostri peccati, dicendoci che DIO tratta il peccatore che lo oltraggia come una madre tratta un figlio sprovvisto di ragione. Voi vedete, ci dice, questo figlio privo di ragione, a volte è di cattivo umore, a volte è impaziente, grida, si irrita, giunge perfino a battere con le sue piccole mani il seno della madre che lo porta; si sforza si soddisfare la sua debole collera. Ebbene! Ci dice, qual vendetta credete che questa madre trarrà dalla temerità di questo figlio? Eccola: lo stringerà e lo presserà più teneramente al suo cuore: raddoppia le sue carezze; ella lo carezza, gli presenta la sua mammella ed il suo latte, per cercare di calmare il suo piccolo umore: ecco tutta la sua vendetta. Ebbene! Vi dice il profeta, se questo figlio avesse la conoscenza di ciò che fa, cosa dovrebbe pensare vedendo tanta dolcezza da parte di questa madre! Diamogli per un momento il linguaggio della ragione che la natura gli ha rifiutato. Che penserà e che giudicherà di tutto questo quando sarà rinvenuto della sua collera? È vero che sarà stupefatto dalla temerità che ha avuto nell’irritarsi contro colei che lo teneva tra le sue braccia, che non aveva che da aprire la mano per lasciarlo cadere a terra e schiacciarlo. Ma nello stesso tempo temerà che questa buona madre rifiuti di perdonare questi piccoli furori? Non vedrà che al contrario essi sono già perdonati, perché lo carezza più teneramente mentre potrebbe vendicarsi? Sì, ci dice questo profeta, il Signore vi ama tanto, benché peccatori, da portarvi tra le sue mani fino alla vostra vecchiaia. No, no, Egli dice, quand’anche una madre avesse il coraggio di abbandonare un figlio, Io non avrei il coraggio il coraggio di abbandonare di abbandonare una delle creature. Ahimè! Fratelli miei, niente di più facile da concepire. DIO non sembra chiudere gli occhi sui nostri peccati? Non vediamo, ogni giorno, peccatori che non sembrano vivere che per oltraggiarlo, e che fanno tutti i loro sforzi per perdere gli altri, sia con i loro cattivi esempi, sia con i loro insulti, sia con parole disoneste. Non sembrerebbe che l’inferno li abbia inviati per carpire queste anime dalle mani di DIO per gettarle nell’inferno. Ebbene! DIO non ha cura di questi sventurati che non vivono se non per farlo soffrire e rapirgli delle anime? Non fa per essi tutto ciò che fa per il più giusto? Non comanda al sole di illuminarli, alla terra di nutrirli? Gli uni, agli animali di nutrirli, gli altri di vestirli, o di aiutarli nei loro lavori? Non comanda a tutti gli uomini di amarli come se stessi? Sì, fratelli miei, sembra che DIO, dal canto suo, si impegni a farci del bene per conquistare il nostro amore, e dall’altro lato sembra che il peccatore impieghi tutto ciò che è in lui per fargli la guerra e disprezzarlo … mio DIO! Quanto cieco è l’uomo! Quanto poco conosce quel che fa peccando, rivoltandosi contro un padre sì buono, un amico così caritatevole! Deplorando il nostro accecamento, cosa dobbiamo concludere da tutto questo, Cristiani? Questo: se DIO è tanto buono da darci la speranza di un nuovo anno, noi dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per trascorrerlo santamente e che, durante questo anno, noi possiamo ancora guadagnare l’amicizia del nostro DIO, riparare al male che abbiamo fatto non solo durante quest’anno che è passato, ma durante tutta la nostra vita, ed assicurarci una eternità di beatitudine, di gioia e di gloria. Oh! se l’anno prossimo avremmo la felicità di poter dire che questo anno è stato tutto per il buon DIO; qual tesoro avremmo accumulato! È ciò che vi auguro …