GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (62) – LA CITTÀ ANTICRISTIANA (2)

LA CITTA’ ANTICRISTIANA (2)

DI P. BENOIT

DOTTORE IN FILOSOFIA E TEOLOGIA

DIRETTORE EMERITO DEL SEMINARIO DI PARIGI

SOCIÉTÉ GÉNÉRALE DE LIBRAIRIE CATHOLIQUE

VICTOR PALMÉ, DIRECTEUR GÉNÉRAL

rue des Saints-Pères, 76

BRUXELLES

SOCIÉTÉ RELGE DE LIBRAIRIE

12, rue des Paroissiens.

GENEVE HENRI THEMBLEY, ÉDITEUR’

4, rue Corraterîe. -1886 –

II

LA FRANCO-MASSONERIA O LA SOCIETÀ SEGRETA

ТОМO PRIMO

SEZIONE PRIMA – PIANO IDEALE DEL TEMPIO MASSONICO

O SCOPO SUPREMO DELLE SOCIETÀ SEGRETE

10. Diciamo in primo luogo che il piano ideale del tempio massonico o il fine supremo delle società segrete è la pura anarchia, cioè la distruzione dell’ordine sociale fino alle sue ultime fondamenta. Coglieremo questo piano od obiettivo in certe formule che ricorrono ripetutamente nelle opere dei massoni, nei discorsi delle logge e persino nelle decorazioni massoniche. Confermeremo la verità della nostra presentazione con un certo numero di testi presi in prestito dalle opere di famosi massoni o presi da alcuni discorsi degli alti gradi. Non ci resta poi che fare alcune osservazioni e dedurre alcune conclusioni.

CAPITOLO I

Dichiarazione dello scopo supremo delle società segrete

11. Il mondo massonico non cessa di parlare di libertà, uguaglianza, fraternità; spesso loda lo stato di natura; celebra la verità, la virtù, la moralità; sostiene di possedere un’arte reale e pretende di trovare la pietra filosofale; spesso parla di filantropia e talvolta di una nuova religione. Queste espressioni o formule coprono, agli occhi degli iniziati, il sistema massonico in tutte le sue orrende profondità. Cerchiamo di penetrare il loro significato.

I – LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ

12. Abbiamo già detto altrove cosa intendono i settari per libertà e uguaglianza. Riassumiamo e completiamo la nostra presentazione. La libertà, per i massoni la cui iniziazione è completa, è l’indipendenza assoluta e illimitata dell’uomo; è il rifiuto di ogni autorità e di ogni legge; in altre parole, è l’insubordinazione o la rivolta universale. Chi è soggetto ad una volontà estranea, foss’anche quella divina, non è libero; chi è soggetto a qualsiasi legge, anche quella naturale, non è libero. Il fedele non è libero; il suddito non è libero; il marito e la moglie non sono liberi; il bambino che vive sotto l’autorità dei suoi genitori non è libero; l’uomo in uno stato sociale non è libero. “Tutti gli uomini sono liberi per natura; quindi, nessuno di loro ha il diritto di comandare i suoi simili; pertanto, è una violenza agli uomini pretendere di sottometterli a qualsiasi autorità. “Sarai libero, dice la massoneria al suo seguace, se sarai sovrano, se sarai sacerdote, re e dio, se sarai venerato come l’adoratore del tempio. Questa è l’antica promessa del serpente ai nostri primi genitori: “Sarete dei: dii eritis”. “Così, nel linguaggio massonico, la libertà significa rivolta: rivolta del figlio contro il padre, dei coniugi contro il freno del matrimonio, o distruzione della famiglia; rivolta dei poveri contro i ricchi, o annientamento della proprietà; rivolta dei sudditi contro i principi, o anarchia civile; rivolta dell’uomo contro Dio, o rifiuto di ogni religione. « Se siete miei discepoli – disse Gesù Cristo agli uomini – conoscerete la verità e la verità vi libererà. » (Giov. VIII, 32). Poi ha aggiunto: « chi fa il peccato è schiavo del peccato ». Ma lo schiavo del peccato abita in una casa di schiavitù; il Figlio di Dio abita nella casa di Dio, cioè nella casa della pace e della libertà. – Se dunque vi sottomettete al Figlio di Dio, sarete veramente liberi. » (Giov. VIII, 34-36).

– I liberi massoni sopraggiungono e dicono: « No, non è chi si sottomette a Gesù Cristo, bensì chi viene da noi che è veramente libero. » Colui che si sottomette a Gesù Cristo entra nella casa di schiavitù, perché « mette la sua intelligenza in cattività » (II Cor. X, 15) sotto il giogo di una parola rivelata, e si impegna « a crocifiggere la sua carne con tutte le sue concupiscenze » (Gal V, 24) Chi viene a noi entra nel tempio della libertà, perché può seguire senza costrizioni le opinioni della sua ragione, i richiami del suo cuore e gli appetiti dei suoi sensi. La libertà al servizio di Dio e del suo Cristo: eccolo lo scopo della Religione Cattolica. Libertà con la ribellione contro Dio ed il suo Cristo: questo è il fine della massoneria. Il Cristiano è libero perché spinge l’amore di Dio fino all’odio e alla repressione di tutti i desideri della natura corrotta. Il massone è libero, se porta l’amor proprio fino al disprezzo di Dio. Continuiamo.

13. « I diritti si basano sull’essenza o sulla natura. L’uguaglianza, natura; ora la natura è la medesima in tutti gli uomini; quindi i diritti devono essere gli stessi ». Questo è il ragionamento dei settari. « Gli uomini sono uguali nei diritti: tutti, e da tutti i punti di vista, sono nella stessa condizione » (Encyc. Humanum genus). Da questo l’ammissione di tutti alle cariche pubbliche, la sottomissione di tutti alle stesse leggi ed agli stessi tribunali, la partecipazione di tutti al suffragio, … che sono solo i preliminari del sistema di uguaglianza; tutti devono partecipare a tutti i beni, e anche a tutti le persone. Finora ci sono stati ricchi e poveri, genitori e figli, mariti e mogli, re e sudditi, preti e laici, cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, buddisti; in futuro ci saranno solo uomini. « Il tempio massonico è l’universo popolato da uomini liberi e uguali. » – « Tra i massoni (e un giorno, grazie a loro, tra tutti gli uomini), non c’è né primo né ultimo; non ci sono né forti né deboli, né grandi né piccoli; ci sono solo fratelli e sorelle, tutti uguali, tutti desiderosi di essere uguali (Précis historique de l’ordre de la franc-maç. Discours, t. II, p. 326). « Nel mondo dei profani, uno combatte per Mario, l’altro per Sylla; nel nostro mondo, non c’è né Mario né Sylla. Nel mondo dei profani, si adora qui Baal, là Geova; nella massoneria, c’è un solo culto, quello della virtù; e chi può dire che tale culto non sia quello del vero Dio? Nel mondo dei profani, ci sono fedeli e miscredenti, ci sono ebrei, pagani, maomettani, greci, protestanti, antiprotestanti, e mille altre sette le cui pretese spaventano la mente, e tutti, nemici gli uni degli altri, sono si sono massacrati per secoli in nome e per gli interessi del Cielo; nel mondo che sogniamo, la Mecca e Ginevra, Roma e Gerusalemme si confondono: Non ci sono ebrei, maomettani, papisti o protestanti: ci sono solo uomini. » (Ibid., p. 328).

14. Le sette non si accontentano solo di proclamare l’uguaglianza tra tutti gli uomini; la proclamano tra Dio e l’uomo. Secondo loro, o Dio non esiste, o, se esiste, non può intervenire nel governo degli esseri liberi, o si confonde con l’uomo e il mondo. Quest’ultima teoria è, come vedremo, la più cara alla Massoneria: è nel cuore dei suoi simboli, entra nell’essenza di tutti i suoi gradi, ricorre costantemente nei discorsi e nei libri dei fratelli. – Ma sia che le sette releghino Dio lungi dal commercio degli uomini, sia che lo neghino o lo confondano con la natura, esse investono l’uomo delle caratteristiche stesse della divinità, dell’indipendenza e della sovranità: egli entra nel tempio massonico come adoratore oltre che come cultore, e, alzando gli occhi al cielo, dice con l’arcangelo rivoltoso: “Similis ero Altissimo: sono l’uguale di Dio. « Ogni uomo è il suo prete e il suo re, il suo papa e il suo imperatore. » (F:. Potvin. A. Neut., l.1, p. 408.) « Noi rispondiamo dei nostri atti, solo a noi stessi, siamo i nostri sacerdoti e i nostri dei. » (R :.Lacroix, ïbid.). « I nostri stessi avversari non lo dicono continuamente: “Gli dei se ne vanno! Il prestigio dell’autorità” scompare? » E chi sostituirà gli dei, i re, i sacerdoti, se non l’individuo libero, fiducioso nelle sue forze (Kropotkine, Paroles d’un révolté, p. 342.), egli stesso “re, sacerdote e dio?

15. « Fraternità significa prima di tutto la comunità di natura e di diritti, o l’uguaglianza di tutti nel possesso della stessa libertà. Nel Cristianesimo, tutti gli uomini sono fratelli attraverso la comunità della stessa origine, natura e fine. Ma questa comunità non toglie le differenze di condizione e di funzione: tra questi uomini che hanno la stessa natura ci sono poveri e ricchi, sudditi e re, figli e padri, mogli e mariti. – Al contrario, nella massoneria, la comunità di natura, assorbe e fa sparire tutte le differenze. Non più famiglie particolari, ma una sola famiglia: l’umanità. Non più nazioni separate, ma una sola nazione, l’umanità. Non più Chiesa Cattolica o protestante, ma una sola chiesa, l’umanità. Le differenze di colore, di razza e di religione stanno scomparendo; i genitori, i coniugi, i re, i proprietari non hanno più diritti propri: non ci sono più dappertutto che uomini tutti uguali, perché essi tutti hanno una libertà assoluta. In questo senso, tutti gli uomini sono fratelli.

16. In secondo luogo, la fraternità serve a designare l’assistenza che tutti i massoni si devono reciprocamente in tutti gli affari della vita, specialmente in quello che riguarda la grande opera comune. Secondo l’insegnamento delle logge, infatti, un fratello deve aiutare il fratello in tutto ed ovunque. Un ministro, un prefetto, devono usare il loro credito per l’avanzamento dei fratelli. Un giudice non deve condannare un fratello, anche se colpevole. Gli alti funzionari devono usare la loro influenza per assicurarsi che i membri dell’Ordine ricevano posizioni onorevoli e vantaggiose, pensioni, bonus, favori e onori di ogni tipo.

17. Ma soprattutto quando è interessata la causa comune, i massoni devono dimenticare i legami di parentela, di amicizia, di nazionalità, i doveri stessi della giustizia, per pensare solo al bene dell’ordine. Quest’uomo è nemico delle società segrete? Sia anche tuo padre, devi combatterlo. Questa famiglia sta ostacolando   il progresso della libertà massonica: facendone parte, voi dovete lavorare per rovinare la sua influenza. Una legge è utile al paese, ma dannosa all’opera rivoluzionaria; un’altra è favorevole alle sette, ma perniciosa alla nazione: bisogna respingere la prima e acclamare la seconda. Il primo dovere di un deputato del Parlamento o di un senatore è quello di difendere la causa della libertà e dell’uguaglianza con la parola e con il voto. Il primo dovere di un diplomatico, di un generale dell’esercito, è quello di portare al successo i piani massonici. Non abbiamo visto spesso, nel secolo scorso, politici chiudere gli occhi di fronte agli interessi più evidenti del paese, e spingere a misure che si giustificavano solo dal loro lato rivoluzionario? Non ci sono tante occasioni in cui i generali hanno tradito la causa del paese per servire la causa della rivoluzione? I capi delle alte logge non hanno forse raccomandato ai massoni di intentare cause civili e politiche contro i loro avversari in tribunali in cui sedevano dei fratelli? La storia contemporanea è piena di fatti di questa natura. Nel corso di questo libro, avremo più di una volta l’opportunità di tornare su questo argomento.

18. Per i settari, il grande obiettivo, quello che ha la precedenza su tutto il resto, è il trionfo della libertà e dell’uguaglianza massonica. « I cittadini devono unirsi ai cittadini, i popoli ai popoli, per provvedere all’emancipazione comune. « Tutti, in tutti i climi e con tutti i mezzi, devono lavorare per la grande opera di emancipazione dell’umanità ». Questo è il senso della fratellanza.

19. Per alcuni iniziati c’è un significato più segreto e più odioso. La fraternità è il ritorno ai costumi dei templari, cioè il regno della dissolutezza più sfrenata. È così che gli antichi gnostici intendevano la carità (Si può vedere ià in San Epifanio quel che gli gnostici intendevano con « l’esercizio della carità »: charitatem exhibere (Hæres. advers. Gnostic, lib. I. Hæres. VI vel XXVI. Mign. Patr. Græc. 91. XLI, col. 338,86). Molte formule e cerimonie massoniche sono state improntate a questi antichi settari. « È con lo studio degli antichi gnostici e manichei, diceva uno dei più illustri settari, il famoso Weishaupt, che l’illuminato potrà fare grandi scoperte su questa vera massoneria »); così i settari moderni, i loro successori, intendono « la beneficenza », l’« umanità », la « fraternità ». La « beneficenza » consiste, in questo senso, nel procurare agli uomini la soddisfazione dei desideri più universali e potenti della natura; l’« umanità » vuole che il massone si abbassi a tutti i desideri della carne; la « fraternità » è l’associazione di mutuo soccorso per il godimento voluttuario. Per questi « puri massoni », la « fraternità » designa i liberi costumi … delle bestie. Per poterli « restaurare » tra gli uomini, si sforzano di stabilire il matrimonio civile ed il divorzio, « il primo passo verso il regime dei liberi costumi ». Allo stesso scopo, fanno professione tra di loro di una spudoratezza sconosciuta nelle relazioni sociali, rifiutando ogni segno del rispetto reciproco, e praticando in alcune logge di alto rango un’orribile confidenziale turpiloquio, che hanno preteso persino di imporre per qualche tempo ad un intero popolo.

20. Inoltre, per questi puri, la parola libertà nasconde lo stesso significato. Nell’antichità pagana, il dio e la dea che presiedevano agli atti carnali, erano chiamati Liberi (S. Aug. De Civ. Dei, lib. VII, c. II e c. III.) o dei della libertà; la soddisfazione dei sensi era chiamata sollazzamento o liberazione; c’erano già feste della libertà, nelle quali il popolo adorava solennemente le cose più vergognose (S. Agost. De Civ. Dei, VII, cap. XXI). Queste pratiche infami furono trasmesse agli gnostici e ai manichei (S. Epifanio, Minuzio Felice e tanti altri). Qual sorpresa dunque che i moderni restauratori del paganesimo, gli eredi degli gnostici e dei manichei, chiamino la licenziosità di passioni infami con il nome di libertà, e propongano essi stessi al culto degli uomini ciò che è di più ignobile sotto il nome di albero della libertà? « Qual è il nome di un cavaliere bretone massone? », chiede l’iniziatore di un alto grado. Il candidato risponde: “Il nome di un massone liberissimo (Recueil précieux de la Mac. adonhir., t. II, p. 124). « Per i veri iniziati – dice Ragon – Iside è senza veli (Ragon, Orth. maç., introd., p. III.). » Gregorio XVI dice: « Tutto ciò che c’è mai stato di più sacrilego, blasfemo e vergognoso nelle eresie e nelle sette più criminali, è stato accumulato nelle società segrete come nella fogna universale più sordida di tutte le infamie » (Encyc. Mirari Vos). »

21. Da questo momento in poi, si vede il piano del tempio prendere forma. Il tempio ideale è una rovina universale. « Il nostro principio – dice Proudhon – è la negazione di ogni dogma; il nostro dettato è il nulla. Negare, negare sempre, questo è il nostro metodo; esso ci ha condotto a spacciarci come principi: nella religione, l’ateismo; nella politica, l’anarchia; nell’economia politica, la non proprietà. » È questa negazione assoluta, questo rovesciamento universale, che esprime la formula: Libertà, Uguaglianza, Fraternità… Libertà: distruzione di ogni autorità. Uguaglianza, distruzione di ogni gerarchia.  – La fraternità, da un lato una comunità di diritti e di beni, dall’altro l’assistenza reciproca per il bene comune in generale e per i piaceri dei sensi in particolare. La libertà è il fine; l’uguaglianza è ancora il fine; la fraternità è il fine e il mezzo. – Una sola di queste parole comprende tutto il piano del tempio:

Libertà: « Non ci sono più né padroni né schiavi, ma uomini liberi. »

Uguaglianza: « Non ci sono più superiori o inferiori, ma uguali ».

Fraternità: « non ci sono più padri o figli, ma fratelli. »

Quindi:

Libertà, distruzione della Religione, della società civile, della famiglia, della proprietà.

Uguaglianza, ulteriore distruzione della Religione, della società civile, della famiglia e della proprietà. –

Fratellanza, distruzione sempre della Religione, della società civile, della famiglia e della proprietà.

La libertà è dunque inseparabile dall’uguaglianza; la libertà e l’uguaglianza dalla fraternità. In queste tre parole abbiamo il piano ideale del tempio massonico, e lo abbiamo tutto in uno. Si può anche dire che l’obiettivo della Massoneria è la costruzione del tempio della libertà, o il tempio dell’uguaglianza o il tempio della fraternità, così come il tempio della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Essa stessa si fregia di chiamarsi libera muratoria o massoneria.

LA CITTÀ ANTICRISTIANA (3)

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (1)

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (1)

PUBBLICATO PER ORDINE DI SUA SANTITÀ PAPA PIO X

La testimonianza del Signore è fedele, ai piccoli dà sapienza. Salmo XVIII, 7

ROMA TIPOGRAFIA POLIGLOTTA VATICANA

1920

Soltanto agli Ordinari per le loro diocesi, si permetterà di riprodurre il presente Catechismo.

Qualunque altra riproduzione è proibita, e non potrà adottarsi nell’insegnamento catechistico.

Per la necessaria autorizzazione rivolgersi alla “Commissione per il Catechismo„ presso la Tipografia Poliglotta Vaticana.

Roma, 25 novembre 1912.

AL SIGNOR CARDINALE PIETRO RESPIGHI

NOSTRO VICARIO GENERALE

Signor Cardinale,

Fin dai primordi del Nostro Pontificato rivolgemmo la massima cura all’istruzione religiosa del popolo cristiano e in particolare dei fanciulli, persuasi che gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi. I nemici di essa le condannano bestemmiando ciò che ignorano, e molti de’ suoi figli, mal conoscendole, vivono come se tali non fossero. Perciò insistemmo spesso sulla somma necessità dell’ insegnamento catechistico, e lo promovemmo da per tutto, secondo il nostro potere, sia con le Lettere Encicliche Acerbo nimis e con le disposizioni riguardanti i catechismi nelle parrocchie, sia con le approvazioni e con gl’incoraggiamenti ai Congressi catechistici e alle scuole di Religione, sia con l’introdurre qui in Roma il testo del Catechismo usato da tempo in alcune grandi Province ecclesiastiche d’Italia.

Tuttavia col volgere degli anni, tanto a cagione delle nuove difficoltà insidiosamente frapposte a un qualsiasi insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, dove s’impartiva da secoli, quanto anche per la provvida anticipazione, da Noi voluta, della prima comunione dei fanciulli, e per altri motivi, essendoci stato espresso il desiderio di un Catechismo sufficiente, che fosse molto più breve, e più adatto alle esigenze odierne, Noi acconsentimmo che si riducesse l’antico Catechismo in uno nuovo, molto ristretto, che Noi stessi esaminammo e volemmo fosse pure esaminato da molti nostri Confratelli Vescovi d’Italia, affinché Ci esprimessero il loro parere in generale, e indicassero in particolare, secondo la loro scienza ed esperienza, le modificazioni da introdurre. – Avuto da essi un favorevole apprezzamento quasi unanime, con non poche preziose osservazioni che ordinammo fossero tenute nel debito conto, Ci sembra di non dover ritardare più oltre una sostituzione di testo, per vari motivi riconosciuta opportuna, fiduciosi che esso, con la benedizione del Signore, tornerà molto più comodo e altrettanto, se non più vantaggioso dell’antico, sia perché il volume del libro e delle cose da apprendersi, assai diminuito, non disaminerà i giovanetti, già molto aggravati dai programmi scolastici, e permetterà ai maestri e catechisti di farlo imparare per intero; sia perché vi si trovano, nonostante la brevità, più spiegate e accentuate quelle verità che oggidì, con immenso danno delle anime e della società, sono più combattute, o fraintese, o dimenticate. – Anzi confidiamo che anche gli aduti, i quali vogliano, come talora dovrebbero per viver meglio e per educar la famiglia, ravvivare nell’animo le cognizioni fondamentali su cui poggia la vita spirituale e morale cristiana, siano per trovare utile in ciò e gradita questa breve somma, assai accurata anche nella forma, dove incontreranno esposte con molta semplicità le capitali verità divine e le più efficaci riflessioni cristiane.

   Questo Catechismo, pertanto, e i primi elementi che da esso, per comodità dei fanciuletti abbiamo disposto si ricavino senza mutazione di parola, Noi, con l’autorità della prsente, approviamo e prescriviamo alla diocesi e provincia ecclesiastica di Roma, vietando che d’ora innanzi nell’insegnamento catechistico si segua altro testo.  – Quanto alle altre diocesi d’Italia, Ci basta esprimere il voto che il medesimo testo, da Noi e da molti Ordinari giudicato sufficiente, venga pure in esse adottato, anche perché cessi la funesta confusione e il disagio che oggidì moltissimi provano nelle frequenti mutazioni di domicilio, trovando nelle nuove residenze formole e testi notevolmente diversi che essi difficilmente imparano, mentre per desuetudine confondono e infine dimenticano anche quanto già sapevano. E peggio è per i fanciulli, perché nulla è sì fatale alla buona riuscita d’un insegnamento quanto il proseguirlo con un testo diverso da quello a cui il giovanetto è già, più o meno, assuefatto. – E poiché per l’introduzione del testo presente qualche difficoltà potranno incontrare gli adulti, perché si scosta dal precedente anche in talune formole; così, a togliere gl’inconvenienti, ordiniamo che a tutte le messe principali festive, come pure in tutte le classi della dottrina cristiana, siano recitate in principio, ad alta voce, chiaramente, posatamente, le prime preghiere e le principali altre formole. In tal maniera, dopo qualche tempo, senza sforzo, tutti le avranno imparate; e s’introdurrà un’ottima e cara consuetudine di comune preghiera e d’istruzione, che da tempo è in vigore in molte diocesi italiane, con non poca edificazione e profitto. – Esortiamo vivamente nel Signore tutti i catechisti, ora che la brevità stessa del testo ne agevola il lavoro, a volere con tanto maggior cura spiegare e far penetrare nelle anime dei giovai la dottrina cristiana, quanto maggiore è il bisogno oggidì d’una soda istruzione religiosa, per il dilagare dell’empietà e dell’immoralità. Ricordino sempre che il frutto del Catechismo dipende qui totalmente dal loro zelo e dalla loro intelligenza e maestria nel renderne l’insegnamento più lieve e gradito agli alunni. Preghiamo Dio che, come oggi i nemici della Fede, ognora crescenti per numero e per potenza, con ogni mezzo vanno propagando l’errore, così sorgano numerosissime le anime volonterose a coadiuvare con grande zelo i parroci, i maestri e i genitori cristiani nell’insegnamento quanto necessario altrettanto nobile e fecondo del Catechismo.

Con questo augurio impartiamo di cuore a Lei, Signor Cardinale, e a quanti avrà cooperatori in così santo ministero, l’Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 18 ottobre 1912.

PIUS PP. X.

INDULGENZE PER COLORO CHE INSEGNANO O STUDIANO LA DOTTRINA CRISTIANA.

Ai genitori: cento giorni, ogni volta che nelle loro case insegnano la Dottrina cristiana ai figli e ai domestici (Paolo V, Breve 6 ottobre 1607).

Al maestri: sette anni, ogni volta che nelle feste conducono i discepoli alla Dottrina cristiana e gliela insegnano (Paolo V, Breve id.).

Cento giorni ogni volta che nei dì feriali la insegnano nelle scuole (Paolo V, Breve id.).

A tutti i fedeli: cento giorni, ogni volta che per mezz’ora studiano il Catechismo sia per insegnarlo sia per apprenderlo (Paolo V, Breve id.).

Sette anni ed altrettante quarantene, ogni volta che, confessati e comunicati, intervengano al Catechismo, quando è insegnato ai fanciulli nelle chiese ed oratori (Clemente XII, Breve 16 maggio 1736).

Indulgenza plenaria nei giorni di Natale, di Pasqua e dei santi Pietro e Paolo, se intervengono assiduamente al Catechismo per insegnarlo o per apprenderlo, purché, confessati e comunicati, preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (Clemente XII, Breve id.).

Tre anni, in ciascuna festa della Santissima Vergine, se sono soliti adunarsi nelle scuole o nelle chiese per imparare la Dottrina cristiana, purché in dette feste si confessino (Pio IX, Rescritto della S. C delle indulgenze, 18 luglio 1877).

Sette anni, se anche si comunicheranno (Pio IX, Rescritto id.).

AVVERTENZA.

L’asterisco (*) davanti alle «Prime preghiere e formole, alle prime nozioni. e a parecchie domande indica che esse si trovano anche nei Primi clementi della Dottrina cristiana, senza cambiamento: solo alcune risposte vi sono abbreviate, la 113* ha una lieve trasposizione, e la 328a l’aggiunta delle parole nella Messa.

* PRIME PREGHIERE E FORMOLE DA SAPERSI A MEMORIA.

Queste cose medita, in queste sta’ fisso,

affinché sta manifesto a tutti il tuo avanzamento.

1a Timot., IV, 15.

1. – Segno della Croce.

In nòmine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

[In nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.]

2. – Credo, o Simbolo apostolico.

1 Credo in Deum Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terræ; 2 et in lesum Christum, Fllium eius unicum, Dóminum nostrum, 3 qui concéptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, 4 passus sub Póntio Pilato, crucifixus, mórtuus et sepùltus: 5 descéndit ad inferos: tértia die resurréxit a mórtuis: 6 ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: 7 inde venturus est iudicàre vivos et mortuos. 8 Credo in Spiritum Sanctum, 9 sanctam Ecclésiam cathólicam, sanctórum communiónem, 10 remissiónem peccatórum, 11 carnis resurrectiónem, 12 vitam ætérnam. Amen.

[1 Io credo in Dio Padre onnipotente. Creatore del cielo e della terra; 2 e in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore, 3 il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, 4 patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, 5 discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò da morte, 6 salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, 7 di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. 8 Credo nello Spirito Santo, 9 la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, 10 la remissione dei peccati, 11 la risurrezione della carne, 12 la vita eterna. Amen.]

3. – Pater noster, o Orazione domenicale.

Pater noster qui es in caelis, 1 sanctificétur nomen tuum: 2 advéniat regnum tuum:

5 fiat volùntas tua, sicut in cælo et in terra. 6 Panem nostrum quotidiànum da nobis hódie, 5 et dimitte nobis débita nostra, sicut et nos dimittimus debitóribus nostris; 6 et ne nos inducas in tentatiónem, 7 sed libera nos a malo. Amen.

[Padre nostro che sei ne’ cieli, 1 sia santificato il tuo nome: 2 venga il tuo regno: 3 sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 4 Dacci oggi il nostro pane quotidiano; 5 e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; 6 e non c’indurre in tentazione, 7 ma liberaci dal male. Così sia.]

4. – Gloria Patri.

Glòria Patri et Fi’lio et Spirititi Sancto, sicut erat. in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

[Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia]

5. – Ave Maria, o Salutazione angelica.

Ave, Maria, gràtia plena: Dóminus tecum: benedicta tu in muliéribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora prò nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

[Ave, o Maria, piena di grazia: il Signore è teco: tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del ventre tuo, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia.]

6. – Salve Regina.

Salve, Regina, mater misericórdiæ; vita, dulcédo et spes nostra, salve. Ad te clamàmus, éxsules filii Hevæ. Ad te suspiràmus geméntes et flentes in hac lacrimàrum valle. Eia ergo, advocàta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos converte. Et Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exsilium osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.

[Salve, o Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo esuli figli di Eva: gementi e piangenti in questa valle di lacrime a te sospiriamo. Orsù dunque, avvocata nos, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del ventre tuo, o clemente, o pietosa, o dolce Vergine Maria.]

7. – Angele Dei.

Angele Dei, qui custos es mei, me tibi  commissum pietate superna illumina, custudi, rege et gubérna. Amen.

[Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Così sia.]

8. – Requiem æternam, per i fedeli defunti.

Rèquiem æternam dona eis, Domine, et lux perpètua luceat eis. Requiéscant in pace. Amen.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Così sia.]

9. – Atto di fede.

Mio Dio, credo fermamente quanto voi, infallibile Verità, avete rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in voi, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figliuolo e Spirito Santo; e nel Figliuolo incarnato e morto per noi, Gesù Cristo, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa Fede voglio sempre vivere. – Signore, accrescete la mia fede.

10. – Atto di speranza.

Mio Dio, spero dalla bontà vostra, per le vostre promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. – Signore, che io non resti confuso in eterno.

11. – Atto di carità.

Mio Dio, amo con tutto il cuore sopra ogni cosa voi, Bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor vostro amo il prossimo mio come me stesso, e perdóno le offese ricevute. – Signore, fate ch’io vi ami sempre più.

12. – Atto di dolore.

Mio Dio, mi pento con tutto il cuore de’ miei peccati, e li odio e detesto, come offesa della vostra Maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliuolo Gesù, e mia spituale rovina. Non voglio più commetterne in avvenire, e proponga di fuggirne le occasioni. – Signore, misericordia, perdonatemi.

13. – I due misteri principali della Fede.

1 Unità e Trinità di Dio;

2 Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

14. – I due comandamenti della carità.

1° Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

2° Amerai il prossimo tuo come te stesso.

15. – I dieci comandamenti di Dio, o Decàlogo.

Io sono il Signore Dio tuo:

1° Non avrai altro Dio fuori che me.

2° Non nominare il nome di Dio invano.

3° Ricordati di santificare le feste.

4° Onora il padre e la madre.

5° Non ammazzare.

6° Non commettere atti impuri.

7° Non rubare.

8° Non dire falsa testimonianza.

9° Non desiderare la donna d’altri.

10° Non desiderare la roba d’altri.

16. – I cinque precetti generali della Chiesa.

1° Udir la Messa la domenica e le altre feste comandate.

2° Non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti, e digiunare nei giorni prescritti.

3° Confessarsi almeno una volta l’anno, e comunicarsi almeno a Pasqua.

4° .Sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze. da sapersi a memoria

5° Non celebrar solennemente le nozze nei tempi proibiti.

17. – I sette sacramenti.

1 Battesimo, 2 Cresima, 3 Eucaristia, 4 Penitenza, 5. Estrema Unzione, 6 Ordine, 7. Matrimonio.

18. – I sette doni dello Spirito Santo

1 Sapienza, 2 intelletto, 3 consiglio, 4 fortezza, 5 scienza, 6 pietà, 7 timor di Dio.

19. – Le tre virtù teologali.

1 Fede, 2 speranza, 3 carità.

20. – Le quattro virtù cardinali.

1 Prudenza, 2 giustizia, 3 fortezza, 4 temperanza..

21. – Le sette opere di misericordia corporale,

1 Dar da mangiare agli affamati; 2 dar da bere agli assetati; 3 vestire gl’ignudi; 4 alloggiare i pellegrini; 5 visitare gl’infermi; 6 visitare i carcerati; 7 seppellire i morti.

22. – Le sette opere di misericordia spirituale.

1 Consigliare i dubbiosi; 2 insegnare agli ignoranti; 3 ammonire i peccatori; 4 consolare gli afflitti; 5 perdonare le offese ; 6 sopportare pazientemente le persone moleste; 7 pregare Dio per i vivi e per i morti.

23. – I sette vizi capitali.

1 Superbia, 2 avarizia, 3 lussuria, 4 ira, 5 gola, 6 invidia, 7 accidia.

24. – I sei peccati contro lo Spirito Santo.

1 Disperazione della salute ; 2 presunzione di salvarsi senza merito; 3 impugnare la verità conosciuta; 4 invidia della grazia altrui; 6 ostinazione nei peccati; 6 impenitenza finale.

25. – I quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.

1 Omicidio volontario; 2 peccato impuro contro natura; 3 oppressione dei poveri; 4 defraudare la mercede agli operai.

26. – I quattro Novissimi.

1 Morte, 2 giudizio, 3 inferno, 4 paradiso.

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (2)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – SERTUM LÆTITIÆ

Una delle prime lettere del suo Pontificato, il Santo Padre, il Sommo Pontefice Pio XII, la scrive in occasione dei primi 150 dall’istituzione della Gerarchia Cattolica negli Stati Uniti d’America. Non potevano mancare, dopo i ricordi storici, le paterne esortazioni ad una vita sociale e personale retta e serena, alla luce dei precetti evangelici e della dottrina della Chiesa Cattolica, «… questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena … »; eccone uno dei passaggi più significativi: « … se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb. XXXVI, 22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano …». – Dopo quasi un secolo, vediamo però che questi consigli sono stati totalmente negletti e disattesi, il Cattolicesimo affondato da una apostasia generale dalla fede divina cattolica totalmente sovvertita ed eclissata da un Cristianesimo antievangelico, comodo e (finto) misericordioso che manda tutti all’inferno, e l’impero del pensiero delle lobby sioniste, degli usurai kazari e delle conventicole di perdizione, tutte unite – membri, o meglio tentacoli della bestia del mare, la piovra satanica – nello scardinare, se possibile, l’edificio mistico di Cristo, fondato sulla pietra di Cristo e del suo Vicario in terra. Di quel quadro ideale abbozzato da Papa Pacelli, che conosceva personalmente quella realtà, oggi resta una società totalmente asservita alle logiche materialiste, edoniste, schiaviste imposte da una classe dirigente ipocrita e corrotta fino alla fibra più intima che pretende di portare tutta l’umanità in un nuovo ordine di dominazione mondiale, il demoniaco diktat massonico modernista della libertà – (dalle leggi divine, morali, naturali) – dell’uguaglianza (senza gerarchie né civili, né tantomeno religiose), e della fraternità (cioè l’accondiscendenza a tutte le bestiali aberrazioni dei sensi e della carne), inganno già sperimentato in altri tempi funesti, che porta alla perdita dell’unica vera libertà, la libertà dal peccato, dal dragone maledetto, e dallo stagno del fuoco eterno… il tutto appoggiato da chi vuole sovvertire il Vangelo spacciandosi per angelo di luce sulla Cattedra di s. Pietro.

LETTERA ENCICLICA

SERTUM LÆTITIÆ

DEL SOMMO PONTEFICE PIO XII

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:

150° ANNIVERSARIO DELLA GERARCHIA ECCLESIASTICA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Desiderosi di rendere più radiosa una corona di santa letizia, col pensiero varchiamo la sterminata vastità del mare. Ed eccoCi in spirito in mezzo a voi, che insieme con tutti i vostri fedeli celebrate il fausto compimento di un secolo e mezzo da quando è stata costituita la gerarchia ecclesiastica negli Stati Uniti. E facciamo questo molto volentieri, perché l’occasione che ora Ci si presenta di dimostrare con un pubblico documento la Nostra stima e il Nostro affetto verso il popolo americano, illustre e vigoroso di giovinezza, Ci è tanto più gradita quanto più è solenne, e perché essa viene a coincidere con i primordi del Nostro pontificato. A coloro che aprono gli annali della vostra storia e indagano le cause profonde degli avvenimenti di cui questa s’intesse, appare evidente che a portare la vostra patria alla gloria e alla prosperità che essa attualmente gode, non poco ha contribuito il trionfale sviluppo della divina Religione. È ben vero che questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena. Ci piace richiamare alla memoria fatti noti. Quando Pio VI diede ai vostri connazionali il primo Vescovo nella persona del cittadino americano John Carrol, preponendolo alla sede di Baltimora, in quel luogo il numero dei cattolici era esiguo e insignificante e le condizioni degli Stati Uniti così pericolose, che la loro compagine e la loro stessa unità politica erano minacciate da grave crisi; a causa infatti della lunga ed estenuante guerra l’erario era oppresso da debiti, le industrie languivano e gli abitanti per l’esasperazione cagionata dalle calamità si erano scissi in opposti partiti. A situazione così dolorosa, anzi rovinosa, pose rimedio il celeberrimo George Washington, uomo dal carattere fermo e di penetrante sagacia di mente. Egli era unito da salda amicizia con il menzionato presule di Baltimora. Così il padre della patria e il primo sacro pastore della Chiesa in codesta terra, a Noi tanto diletta, avvinti da legami di benevolenza, a perpetuo esempio dei posteri e ad insegnamento delle età venture più lontane, quasi stringendosi le destre, indicavano che il popolo americano doveva ritenere sacra e solenne norma di vita il rispetto della fede cristiana, la quale, tutelando e avvalorando i supremi principi etici, è la salvaguardia del pubblico bene e contiene forze di vero progresso. – Molte furono le cause a cui si deve ascrivere la fioritura della Chiesa Cattolica nella vostra regione; ne vogliamo mettere in luce una, degna di attenzione. Sacerdoti costretti ad approdarvi per l’infuriare delle persecuzioni, vennero a recare al menzionato sacro Pastore un aiuto a lui graditissimo e con la loro collaborazione attiva nel ministero spirituale sparsero una semente preziosa, dalla quale crebbe una bella messe di virtù. Alcuni di essi divennero poi Vescovi e così meritarono ancor più consolanti progressi della causa cattolica del regno di Dio. Avvenne ciò che, come la storia dimostra, suole avvenire: il temporale delle persecuzioni non estingue, ma sparge su più vasta superficie il fuoco apostolico, quello che, alimentato da una fede libera da ipocrisie umane e da carità sincera, accende il petto delle persone generose. – Trascorsi cent’anni da quell’avvenimento che adesso vi riempie di legittima esultanza, papa Leone XIII di felice memoria con la sua lettera Longinqua oceani, volle misurare il cammino ivi percorso dalla Chiesa dal suo inizio e alla sua rassegna aggiunse esortazioni e direttive nelle quali la sua benevolenza è pari alla saggezza. Quanto fu allora scritto dal Nostro augusto predecessore è degno di perenne considerazione. In questi cinquant’anni il progresso della Chiesa non si è arrestato, ma ha avuto larghe espansioni e robusti accrescimenti. – Rigogliosa è la vita che la grazia dello Spirito Santo fa fiorire nel sacrario del cuore; consolante la frequenza alle chiese; alla mensa dove si riceve il Pane degli angeli, cibo dei forti, si accostano numerosi i fedeli; con grande ardore si fanno gli esercizi spirituali ignaziani; molti, docili all’invito della voce divina che li chiama a ideali di vita più alta, ricevono il sacerdozio o abbracciano lo stato religioso. Attualmente diciannove sono le province ecclesiastiche, centoquindici le diocesi, quasi duecento i seminari, innumerevoli i templi, le scuole elementari, quelle superiori, i collegi, gli ospedali, i ricoveri per i poveri, i monasteri. A ragione gli stranieri ammirano il sistema organizzativo che presiede alle varie categorie delle vostre scuole, alla cui esistenza i fedeli provvedono generosamente, seguite con assidua attenzione dai presuli, perché da esse esce gran numero di cittadini morigerati e saggi, i quali, rispettosi delle leggi divine e umane, sono giustamente considerati la forza, il fiore e l’onore della Chiesa e della Patria. Le opere missionarie, poi, specialmente la Pontificia Opera della propagazione della fede, bene stabilite e attive, con le preghiere, con le elemosine e con altri aiuti di vario genere esemplarmente collaborano con i predicatori dell’Evangelo impegnati a far penetrare nelle terre degli infedeli il vessillo della croce, che redime e salva. Sentiamo il bisogno in questa circostanza di dare pubblico attestato di lode alle opere missionarie tipiche della vostra nazione, le quali con attivo interessamento si curano della diffusione del Cattolicesimo. Esse si contrassegnano con questi nomi: Catholic Church Extension Society, società circondata di un’aureola di gloria per la sua pia beneficenza; Catholic Near East Welfare Association, che presta provvidenziali ausili agli interessi del Cristianesimo in Oriente, dove i bisogni sono tanti; Indians and Nigroes Mission, opera sancita dal Terzo Concilio di Baltimora, che Noi confermiamo e avvaloriamo, perché la esige proprio una ragione di carità squisita verso i vostri concittadini. Vi confessiamo che Ci sentiamo penetrati da particolare affetto paterno, che certo Ci ispira il Cielo, verso i negri dimoranti tra voi perché, quanto ad assistenza spirituale e religiosa, sappiamo che sono bisognosi di speciali cure e di conforti: del resto, essi ne sono ben meritevoli. Invochiamo pertanto copiose le benedizioni divine e auguriamo fecondità di successi a coloro che, mossi da generosa virtù, si dimostrano solleciti dei negri stessi. Inoltre i vostri connazionali, per rendere in maniera opportuna ringraziamenti a Dio per il dono inestimabile della fede integra e vera, desiderosi di santi ardimenti inviano forti manipoli all’esercito formato dai missionari: essi con la tolleranza della fatica, con la pazienza invitta e con l’energia posta in nobili iniziative per il regno di Cristo raccolgono meriti, che la terra ammira e che il Cielo coronerà di adeguati premi. – Né minore forza vitale hanno le opere, che sono di utilità ai figli della Chiesa entro i confini della patria; gli uffici diocesani di carità, organizzati con criteri di saggia praticità, per mezzo dei parroci e con il concorso delle famiglie religiose, portano ai poveri, ai bisognosi, agli infermi i doni della cristiana misericordia, sollevano le miserie: nell’assolvere tale ministero di così grande importanza con gli occhi della fede dolci e penetranti, si vede Cristo presente negli indigenti e negli afflitti, che del benignissimo Redentore sono le mistiche membra doloranti. Fra le associazioni laiche – enumerarle tutte sarebbe troppo lungo – si acquistarono corone di non caduca gloria l’Azione cattolica, le Congregazioni mariane, la Confraternita della dottrina cristiana, liete di frutti promettenti ancor più lieta messe nell’avvenire, e così pure l’Associazione del Santo Nome, che è eccellente guida nel promuovere il culto e la pietà cristiana. A tale molteplice operosità dei laici, che si spiega in vari settori secondo le esigenze dei tempi, è preposta la National Catholic Welfare Conference, la quale al vostro ministero episcopale procura mezzi pronti e adeguati. Le principali di tutte queste istituzioni potemmo vedere partitamente nell’ottobre del 1936, quando, intrapreso il viaggio attraverso l’Oceano, avemmo la gioia di conoscere personalmente voi e il campo della vostra attività. Incancellabile e giocondo rimarrà sempre nel Nostro cuore il ricordo di quanto ammirammo allora con i Nostri occhi. – Ben conviene adunque che, con sentimenti di adorazione, di tutto ciò rendiamo con voi grazie a Dio e che gli eleviamo il cantico della riconoscenza: «Date lode al Dio del cielo: perché la misericordia di lui è in eterno» (Sal. CXXXV, 26). Il Signore, la cui bontà non è circoscritta da limiti, come ha riempito la vostra terra della liberalità dei suoi doni, così alle vostre chiese ha concesso un ardore fattivo e ha condotto a maturità di risultati i loro impegni. Sciolto il debito tributo di riconoscenza a Dio, onde ogni bene ha principio, riconosciamo, dilettissimi, che questa fecondità prosperosa che con voi oggi ammiriamo si deve anche allo spirito d’iniziativa e alla costanza nelle imprese dei sacri pastori e dei fedeli, che formano questa porzione del gregge di Cristo; riconosciamo che si deve pure al vostro clero, che, proclive all’operare deciso, con zelo esegue i vostri mandati, ai membri di tutti gli ordini e di tutte le congregazioni, che distinguendosi in virtù si prodigano a gara nella coltura del campo delle anime, alle religiose innumerevoli, che spesso silenti e ignote agli uomini, spinte da una interiore vampa di carità, si consacrano con esemplare dedizione alla causa dell’evangelo, veri gigli del giardino di Cristo, motivo di soave compiacenza dei santi. Però vogliamo che questa Nostra lode sia salutare. La considerazione del bene operato non deve produrre un allentamento che avvii alla neghittosità, non deve generare la nociva dolcezza della vanagloria, ma invece agire da stimolante, perché con rinnovate energie si impediscano i mali e perché con più robusta consistenza crescano quelle iniziative che sono utili, pròvvide e degne di encomio. Il Cristiano, se fa onore al nome che porta, sempre è apostolo; disdice al soldato di Cristo il discostarsi dalla battaglia, perché solo la morte pone fine alla sua milizia. Voi ben sapete dove occorre che più oculata sia la vostra vigilanza e quale programma d’azione conviene tracciare ai sacerdoti e fedeli, affinché la Religione di Cristo, superati gli ostacoli, sia guida luminosa alle menti, regga i costumi e, unica causa di salute, penetri gli ambiti più nascosti e le arterie della società umana. Il progresso dei beni esterni e materiali, quantunque sia da tenersi in non poco conto per le utilità molteplici e apprezzabili, che esso apporta alla vita, tuttavia non basta all’uomo, nato a più alti e fulgidi destini. Questi infatti, creato a immagine e somiglianza di Dio, cerca Dio con incoercibile aspirazione e si addolora e versa segreto pianto, se nella scelta del suo amore esclude la Somma Verità e il Bene infinito. Ma a Dio, dal quale chi si allontana muore, al quale chi si converte vive, nel quale chi si ferma s’illumina, non si accede superando spazi corporei, ma, guidati da Cristo, con la pienezza della fede sincera, con la coscienza intemerata di una volontà diritta, con la santità delle opere, con l’acquisto e l’uso di quella libertà genuina, le cui sacre norme si trovano promulgate nell’Evangelo. Se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb XXXVI, 22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano. – Eleviamo inoltre il Nostro paterno lamento, perché costì in tante scuole spesso si sprezza o si ignora Cristo, si restringe la spiegazione dell’universo e del genere umano nella cerchia del naturalismo e del razionalismo, e si cercano nuovi sistemi educativi, i quali nella vita intellettuale e morale della nazione non potranno non recare tristi frutti. Del pari la vita domestica, come, osservata la legge di Cristo, fiorisce di vera felicità, così, ripudiato l’evangelo, miseramente perisce ed è devastata dai vizi: «Chi cerca la legge sarà colmato di beni: ma chi opera con finzione, troverà in essa occasione di inciampo» (Eccli XXXII,19). – Che cosa vi può essere in terra di più sereno e lieto che la famiglia cristiana? Sorta presso l’altare del Signore, dove l’amore è stato proclamato santo vincolo indissolubile, nello stesso amore, che la grazia superna nutre, si solidifica e cresce. Ivi «onorato è il connubio presso tutti e il talamo è immacolato» (Eb XIII,4); le pareti tranquille non risuonano di litigi, né sono testimoni di segreti martìri per la rivelazione di astuti sotterfugi di infedeltà; la solidissima fiducia allontana la spina del sospetto; nella vicendevole benevolenza si sopiscono i dolori, si accrescono le gioie. Ivi i figli non sono considerati gravi pesi, ma dolci pegni; né un vituperevole motivo utilitario o la ricerca di sterile voluttà fanno sì che sia impedito il dono della vita e venga in dissuetudine il soave nome di fratello e sorella. Con quale studio i genitori si dànno premura, perché i figli non soltanto crescano vigorosi fisicamente, ma perché seguendo le vie degli avi, che spesso loro sono ricordati, siano adorni della luce che deriva dalla professione della fede purissima e dall’onestà morale. Commossi per tanti benefici, i figli ritengono loro massimo dovere quello di onorare i genitori, di assecondare i loro desideri, di sostenerli nella vecchiaia con il loro fedele aiuto, di rendere lieta la loro canizie con un affetto che, non spento dalla morte, nella reggia del cielo sarà reso più glorioso e più completo. I componenti la famiglia cristiana, non queruli nelle avversità, non ingrati nella prosperità, sono sempre pieni di confidenza in Dio, al cui impero obbediscono, nel cui volere s’acquietano e il cui soccorso non invano aspettano. A costituire e a mantenere le famiglie secondo la norma della sapienza evangelica esortino dunque spesso i fedeli coloro, che nelle chiese hanno funzioni direttive o di magistero e che pertanto si industriano con assidua cura per preparare al Signore un popolo perfetto. Per la stessa ragione bisogna pure sommamente attendere a questo, che il dogma cioè dell’unità e indissolubilità del matrimonio da quanti accedono alle nozze sia conosciuto in tutta la sua importanza religiosa e santamente rispettato. Che tale capitale punto della dottrina cattolica abbia una valida efficacia per la salda compagine familiare, per le progressive sorti della società civile, per la santità del popolo e per una civiltà, la cui luce non sia falsa e fatua, riconoscono pure non pochi, i quali, sebbene lontani dalla nostra fede, sono ragguardevoli per senno politico. Oh, se la patria vostra avesse conosciuto per esperienza di altri e non già da domestici esempi il cumulo di danni che produce la licenza dei divorzi! Consigli la riverenza verso la Religione, consigli la pietà verso il grande popolo americano energiche azioni, perché il morbo purtroppo imperversante sia curato radicalmente. Le conseguenze di tale male così sono state descritte da papa Leone XIII, con termini che scolpiscono il vero: «A causa dei divorzi il patto nuziale è soggetto a mutabilità; si indebolisce l’affetto; sono dati perniciosi incentivi all’infedeltà coniugale; ricevono danno la cura e l’educazione della prole; si offre facile occasione a scomporre la società domestica; si gettano semi di discordie tra le famiglie; è diminuita e depressa la dignità della donna la quale corre pericolo di essere abbandonata dopo che ha servito come strumento di piacere al marito. E poiché a rovinare la famiglia, a minare la potenza dei regni nulla tanto vale quanto la corruzione dei costumi, facilmente si intuisce che il divorzio è quanto mai nocivo alla prosperità delle famiglie e degli stati». – Quanto alle nozze, nelle quali l’una e l’altra parte dissenta circa il dogma cattolico o non abbia ricevuto il sacramento del battesimo, Noi siamo sicuri che voi osserverete esattamente le prescrizioni del Codice di diritto canonico. Tali matrimoni infatti, come a voi consta per larga esperienza, sono raramente felici e sogliono cagionare gravi perdite alla Chiesa Cattolica. – Ad ovviare a danni sì gravi, ecco il mezzo efficace: che i singoli fedeli ricevano in tutta la sua pienezza l’insegnamento delle verità divine e i popoli abbiano chiaro il cammino che conduce alla salvezza. Esortiamo pertanto i sacerdoti a cercare che la loro scienza delle cose divine e umane sia copiosa: non vivano contenti delle cognizioni intellettuali acquisite nell’età giovanile; con attenta indagine considerino la legge del Signore, i cui oracoli sono più puri dell’argento; continuamente gustino e assaporino le caste delizie della sacra Scrittura; col progredire degli anni studino con maggior profondità la storia della chiesa, i dogmi, i sacramenti, i diritti, le prescrizioni, la liturgia, la lingua di essa, in modo che in loro il progresso intellettuale proceda di pari passo con quello delle virtù. Coltivino pure gli studi letterari e delle discipline profane, specialmente quelle che sono maggiormente connesse con la religione, affinché con lucido pensiero e labbro facondo possano impartire l’insegnamento di grazia e di salute, capaci di piegare anche i dotti ingegni al lieve peso e giogo dell’evangelo di Cristo. Felice la Chiesa se così «sarà fondata sugli zaffiri» (cf. Is LIV, 11). Le esigenze dei tempi attuali inoltre richiedono che anche i laici, specialmente quelli che coadiuvano l’esercizio dell’apostolato gerarchico, si procurino un tesoro di cognizioni religiose, non povero ed esile, ma solido e ricco, mediante le biblioteche, le discussioni, i circoli di cultura: così trarranno grande giovamento per se stessi, potranno insegnare agli ignoranti, confutare gli avversari caparbi ed essere utili agli amici buoni. – Con molta gioia abbiamo appreso che la stampa propugnatrice dei principi cattolici è davvero presso di voi valorosa e che la radio marconiana – meravigliosa invenzione, eloquente immagine della fede apostolica che abbraccia tutto il genere umano – spesso e utilmente viene usata, perché fatti e insegnamenti ecclesiastici abbiano la più larga risonanza. Lodiamo il bene compiuto. Ma coloro, che disimpegnano tale ministero, nel proporre e promuovere la dottrina sociale, si prendano a cuore di aderire alle direttive del magistero della chiesa; dimentichi del proprio tornaconto, sprezzanti della vana gloria, non partigiani, parlino «come da Dio, davanti a Dio, in Cristo» (2 Cor. II,17). – Desiderosi che il progresso scientifico in tutto il suo complesso si affermi sempre più, ora che Ci si presenta una circostanza opportuna, vogliamo anche significarvi il Nostro cordiale interessamento per l’Università cattolica di Washington. Ben sapete con quali ardenti voti papa Leone XIII salutasse questo preclaro tempio del sapere, quando esso sorgeva, e quanti ripetuti attestati di particolare affetto gli desse il Romano Pontefice Nostro immediato predecessore, il quale era intimamente persuaso che, se questo grande istituto già lieto di risultati si solidificherà ancor più e otterrà rinomanza ancora maggiore, ciò non solamente gioverà agli incrementi della chiesa, ma anche alla gloria e alla prosperità civile dei vostri connazionali. Partecipi della stessa speranza, Ci rivolgiamo a voi con questa Nostra lettera per raccomandarvi tale università. Fate del vostro meglio, perché questa, protetta dalla vostra benevolenza, superi le sue difficoltà e con avanzamenti più felici compia le speranze in essa riposte. Gradiamo anche molto il vostro proposito di rendere più spaziosa e decorosa la sede del Pontificio Collegio che a Roma accoglie, per l’educazione ecclesiastica, gli alunni degli Stati Uniti. Se è cosa utile che i giovani di più eletto ingegno per affinare il loro sapere si rechino in lontani paesi, una lunga e felice esperienza dimostra che questo vantaggio è sommo, quando i candidati al sacerdozio sono educati nell’Urbe presso la sede di Pietro, dove purissimo è il fonte della fede, dove tanti monumenti dell’antichità cristiana e tante vestigia di santi incitano i cuori generosi a magnanime imprese. Vogliamo toccare un’altra questione di poderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo agita fortemente gli stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e di mutua ostilità. Quale aspetto essa assuma presso di voi, quali asprezze, quali torbidi produca, voi ben conoscete, e non occorre perciò diffonderci su tale argomento. Punto fondamentale della questione sociale è questo, che i beni da Dio creati per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e poveri; e l’inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi, se sono retti e probi, assolvono l’ufficio di dispensatori e procuratori dei doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni tabernacoli. Dio, che a tutto provvede con consigli di suprema bontà, ha stabilito che per l’esercizio delle virtù e a saggio dei meriti vi siano nel mondo ricchi e poveri; ma non vuole che alcuni abbiano ricchezze esagerate e altri si trovino in tali strettezze da mancare del necessario alla vita. Buona madre però e maestra di virtù è la onesta povertà, che campa col lavoro quotidiano, secondo il detto della Scrittura: «Non darmi (o Dio) né mendicità né opulenza: ma provvedimi soltanto del necessario al mio sostentamento» (Pro XXX, 8). Se quanti possiedono con larghezza fondi e mezzi pecuniari devono, mossi da facile misericordia, aiutare i bisognosi, per ragione ancor più grave devono agli stessi dare il giusto. Gli stipendi degli operai, come è conveniente, siano tali che bastino ad essi e alle loro famiglie. Gravi sono in proposito le parole del Nostro predecessore Pio XI: «Bisogna dunque fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale, che basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Se nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima mutamenti che assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di lode tutti coloro che con saggio e utile atteggiamento hanno esperimentato e tentano vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che aumentando questi, anche quella si somministri più larga: e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie» [3]. Avvenga che ognuno il quale sia in forze ottenga l’equa possibilità di lavorare per guadagnare per sé e per i suoi il vitto quotidiano. Esprimiamo tutta la nostra compassione per la sorte di coloro, da voi molto numerosi, i quali, sebbene robusti, capaci e volenterosi, non possono avere occupazione pur cercandola affannosamente. La sapienza dei reggitori, una lungimirante larghezza da parte dei datori di lavoro, insieme con il ristabilimento di più favorevoli condizioni esterne, la cui effettuazione auguriamo sollecita, facciano sì che tali giusti desideri trovino compimento a vantaggio di tutti. – Essendo poi la socievolezza bisogno naturale dell’uomo, ed essendo lecito con forze unite promuovere quanto è onestamente utile, non si può senza ingiustizia negare o diminuire come ai produttori, così alle classi operaie e agricole, la libertà di unirsi in associazioni le quali possano difendere i propri diritti e acquistare miglioramenti circa i beni dell’anima e del corpo, come pure circa gli onesti conforti della vita. Ma alle corporazioni di tal genere, che nei secoli passati hanno procurato al Cristianesimo gloria immortale e alle arti inoffuscabile splendore, non si può imporre in ogni luogo una stessa disciplina e struttura, la quale perciò per diversa indole dei popoli e per le diverse circostanze di tempo può variare; però le corporazioni in parola traggano il loro moto vitale da principi di sana libertà, siano informate dalle eccelse norme della giustizia e dell’onestà e, ispirandosi a queste, agiscano in tal guisa che nella cura degli interessi di classe non ledano gli altrui diritti, conservino il proposito della concordia, rispettino il bene comune della società civile. – Ci fa piacere conoscere che la citata enciclica Quadragesimo anno, come pure quella del Sommo Pontefice Leone XIII Rerum novarum, dove si indica la soluzione della questione sociale secondo i postulati dell’evangelo e della filosofia perenne, sono presso di voi oggetto di attenta e prolungata considerazione da parte di persone di elevato ingegno, che generoso volere spinge alla restaurazione sociale e al rinvigorimento dei vincoli di amore tra gli uomini, e che alcuni datori di lavoro stessi hanno voluto comporre, secondo le norme di quelle, le controversie tendenti sempre a rinnovarsi con i loro operai, rispettando la comune utilità e la dignità della persona umana. Quale vanto sarà per la gente americana, per natura proclive alle grandiose imprese e alla liberalità, se pienamente e bene scioglierà la annosa e ardua questione sociale secondo le sicure vie illuminate dalla luce dell’Evangelo e così getterà le basi di più felice età! Affinché ciò avvenga conformemente ai voti, le forze non devono essere dissipate con la disunione, ma accresciute con la concordia. A questa salutare congiunzione di pensieri e di consensi, portatrice di azioni magnifiche, secondando un impulso di carità, invitiamo pure coloro, che la madre Chiesa lamenta da sé staccati. Molti di essi, quando il Nostro glorioso predecessore si addormentò nel sonno dei giusti e Noi dopo breve tempo dalla sua morte, per arcana disposizione della divina pietà, salimmo sul trono di san Pietro, molti di essi – ciò non Ci è sfuggito – hanno espresso parlando o scrivendo sentimenti pieni di ossequio e di grande elevatezza. Da questo atteggiamento – vi confessiamo apertamente – abbiamo concepito una speranza, che il tempo non rapisce, che Ci si trasforma talvolta in presagio e che Ci consola nella dura e aspra fatica del ministero universale. – La grandezza del lavoro, che converrà intraprendere con fervore per la gloria del benignissimo Redentore e per la salvezza delle anime non vi sgomenti, o dilettissimi, ma vi stimoli, facendovi confidare nell’aiuto divino: le opere grandi generano più robuste virtù, producono meriti più splendidi. Gli sforzi con cui i nemici a schiere serrate cercano di abbattere lo scettro di Cristo siano di incitamento, perché con concordi intenti curiamo lo stabilimento e l’avanzamento di questo regno. Nulla di più felice può toccare agli individui, alle famiglie, alle nazioni, che obbedire all’Autore dell’umana salute, eseguire i suoi mandati, accettare il suo regno, nel quale diventiamo liberi e ricchi di buone opere: «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Augurando di cuore che voi e il gregge spirituale, al cui bene provvedete come solerti pastori, progrediate sempre verso mete migliori e più alte, e che anche dalla presente solenne celebrazione raccogliate fecondi proventi di virtù, vi impartiamo la benedizione apostolica, attestato della Nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, festa di Tutti i santi 1939, anno I del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2021)

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le Domeniche III, IV, V, e VI dopo l’Epifania hanno il medesimo Introito, Graduale, Offertorio e Communio, che ci manifestano che Gesù è Dio, che opera prodigi, e che bisogna adorarlo. La Chiesa continua, infatti, in questo tempo dopo l’Epifania, a dichiarare la divinità di Cristo e quindi la sua regalità su tutti gli uomini. È il Re dei Giudei, è il Re dei Gentili. Così la Chiesa sceglie in San Matteo un Vangelo nel quale Gesù opera un doppio miracolo per provare agli uni e agli altri d’essere veramente il Figlio di Dio. – Il primo miracolo è per un lebbroso, il secondo per un centurione. Il lebbroso appartiene al popolo di Dio, e deve sottostare alla legge di Mosè. Il centurione, invece, non è della razza d’Israele, a testimonianza del Salvatore. Una parola di Gesù purifica il lebbroso, e la sua guarigione sarà constatata ufficialmente dal Sacerdote, perché sia loro testimonianza della divinità di Gesù (Vang.). Quanto al centurione, questi attesta con le sue parole umili e confidenti che la Chiesa mette ogni giorno sulle nostre labbra alla Messa, che Cristo è Dio. Lo dichiara anche con la sua argomentazione tratta dalla carica che egli ricopre: Gesù non ha che da dare un ordine, perché la malattia gli obbedisca. E la sua fede ottiene il grande miracolo che implora. Tutti i popoli prenderanno dunque parte al banchetto celeste nel quale la divinità sarà il cibo delle loro anime. E come nella sala di un festino tutto è luce e calore, le pene dell’inferno, castigo a quelli che avranno negato la divinità di Cristo, sono figurate con il freddo e la notte che regnano al di fuori, da queste « tenebre esteriori » che sono in contrasto con lo splendore della sala delle nozze. Alla fine del discorso sulla montagna « che riempi gli uomini d’ammirazione » S. Matteo pone i due miracoli dei quali ci parla il Vangelo. Essi stanno dunque a confermare che veramente « dalla bocca di un Dio viene questa dottrina che aveva già suscitato l’ammirazione » nella Sinagoga di Nazaret (Com.). –Facciamo atti di fede nella divinità di Gesù, e, per entrare nel suo regno, accumuliamo, con la nostra carità, sul capo di quelli die ci odiano dei carboni di fuoco (Ep.), cioè sentimenti di confusione che loro verranno dalla nostra magnanimità, che non daranno ad essi riposo finché non avranno espiato i loro torti. Cosi realizzeremo in noi il mistero dell’Epifania che è il mistero della regalità di Gesù su tutti gli uomini. Uniti dalla fede in Cristo, devono quindi tutti amarsi come fratelli. « La grazia della fede in Gesù opera la carità » dice S. Agostino (2° Notturno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVI: 7-8
Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]


Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 16-21
Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum.

“Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri propri occhi: non rendete a nessuno male per male. Procurate di fare il bene non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, siate in pace con tutti gli uomini. Non fatevi giustizia da voi stessi, o carissimi, ma rimettetevi all’ira divina, poiché sta scritto: A me la vendetta; ripagherò io », dice il Signore. Anzi, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché, così facendo, radunerai sul suo capo carboni ardenti. Non lasciarti vincere dal male; al contrario vinci il male con il bene”. (Romani XII, 16-21).

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA VITTORIA DEL BENE SUL MALE.

Questa volta bisogna proprio che ve la legga questa lettera o porzione di lettera di S. Paolo ai Romani, ve la leggo e niente altro. È troppo delicato l’argomento che tratta, è troppo importante lo sviluppo che gli dà. Del resto purtroppo la sentite così di rado la parola di San Paolo, il grande predicatore della verità. Continua l’Apostolo a dare ai romani i consigli morali più tipicamente cristiani; li chiamo consigli, pensando al tono che è d’esortazione, ma si tratta di precetti belli e buoni. L’apostolo insiste sul tasto delicato e forte della carità cristianamente intesa, così diversa e superiore alla filantropia. « Non fate del male a nessuno, e fate del bene a tutti gli uomini » frase molto chiara e dove l’accento cade su quel nessuno e quel tutti. Cristiani battezzati di fresco, Cristiani troppo freschi per essere Cristiani profondi, potevano credere che la carità nella sua doppia espressione di non fare del male e di fare del bene, potesse e dovesse restringersi nell’ambito dei fedeli. Per gli infedeli, pei pagani doveva essere, poteva essere un altro conto, un altro affare. Ebbene, no. S. Paolo dissipa l’equivoco. Male un Cristiano non deve fare a nessuno, neanche al più scomunicato dei pagani, e bene a tutti. Ma se non dovendo fare e non facendo del male a nessuno il buon Cristiano non può mettersi in contrasto con nessuno, purtroppo possono gli altri mettersi in contrasto con lui, rompendo quello stato pacifico nel quale sfocia logicamente la carità. L’Apostolo lo sa e perciò soggiunge: « se è possibile e per quanto dipende da voi. Siate in pace con tutti ». Soggiunge così per continuare il filo logico del suo discorso ai Cristiani in caso di confitti che altri (non essi) abbiano suscitato, turbando il pacifico equilibrio della carità. In questo caso il dovere del Cristiano, offeso, oltraggiato, danneggiato è di non farsi giustizia da sé: « non vi vendicate, dice il testo, e continua: « rimettetevi alla giustizia di Dio, giusta la frase del V. T.: « È mia la giustizia, penserò io a farla ». Dove tocchiamo un’altra volta con mano il mirabile equilibrio del Cristianesimo contrario alla vendetta, ma pieno d’ardore per la giustizia, anzi tanto più dalla vendetta abborrente quanto più alla giustizia devoto. Ogni vendetta individuale rischia di essere un’ingiustizia, perché si fa giudice chi è parte in causa. La giustizia, questa idealità obbiettiva, cristiana per sua natura, non può essere soggettivizzata; o ci si rinuncia, o la si affida a Dio. – Affidato a Dio l’esercizio eventuale, eventualmente necessario, della giustizia, il buon Cristiano anche nel caso di ingiuria sofferta deve riprendere verso il suo offensore l’esercizio della carità. La quale nella fattispecie esercitata verso un nemico, verso chi l’ha demeritata diventa perdono. « Ci penso io alla giustizia, a mettere a posto il malvagio », dice il Signore, e allora a noi non resta che continuare per il solco radioso della carità. E perciò: « se — riprende la parola l’Apostolo Paolo — il tuo nemico (colui che ha voluto essere tale per te) viene ad avere fame, tu, da buon fratello, perché non sei, non puoi, non devi essere altro, tu dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere. Lo richiamerai così, collo spettacolo vivo, edificante della tua bontà indomita ed indomabile, a coscienza più chiara e cosciente della suo malvagità ». – E qui senza tradire il concetto dell’Apostolo Paolo ho dovuto modificare un po’ le sue parole. Ma il concetto come è bello e profondo! Quando uno ti picchia, tu, secondo la morale del mondo, dovresti, devi picchiarlo: al gesto violento e brutale rispondere con un altro gesto egualmente brutale e violento, scendere anche tu su quel terreno bestiale e brutale, dove si è collocato lui. Dare a lui un cattivo esempio, come egli lo ha dato a te. Il Cristianesimo ragiona ben altrimenti. A chi si brutalizza, bisogna dare esempio di umanità; il Cristiano rimanga al suo posto, alto e nobile, e potrà condurvi l’avversario. E così avrà una vittoria non di Pietro su Cesare, dell’uomo sull’uomo, del più forte e violento sul più debole, no; si avrà la vittoria, una vittoria del bene sul male, del bene che lo ferma sul male che vorrebbe continuare le sue gesta. La Vittoria del bene sul male, il segno e il programma del Cristianesimo che Paolo riafferma a conclusione del suo discorso: « non ti far vincere dal male, ma vincilo tu il male e vincilo col bene, la sola arma efficace all’uomo, « noli vinci a malo, sed vince in bono malum ».

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua
[V. Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.
[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt VIII: 1-13
In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis.
Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

[“In quel tempo, sceso che fu Gesù dal monte, lo seguirono molte turbe. Quand’ecco un lebbroso accostatosegli lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. E Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio; sii mondato. E fu subito fu mondato dalla sua lebbra. E Gesù gli disse: Guardati di dirlo a nessuno; ma va a mostrarti al sacerdote, e offerisci il dono prescritto da Mose in testimonianza per essi. Ed entrato che fu in Capharnaum, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosegli, e dicendo: Signore, il mio servo giace in letto malato di paralisi nella mia casa, ed è malamente tormentato. E Gesù gli disse: Io verrò, e lo guarirò. Ma il centurione rispondendo, disse: Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di’ solamente una parola, e il mio servo sarà guarito. Imperocché io sono un uomo subordinato ad altri, e ho sotto di me dei soldati: e dico ad uno: Va ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servitore: Fa la tal cosa, ed ei la fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e disse a coloro che lo seguivano : In verità, in verità vi dico, che non ho trovato fede sì grande in Israele. E Io vi dico, che molti verranno dall’oriente e dall’occidente, e sederanno con Abramo, e Isacco, e Giacobbe uel regno de’ cieli: ma i figliuoli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto conforme hai creduto. E nello stesso momento il servo fu guarito”.]

OMELIA

 [Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla preghiera d’un peccatore impenitente.

Cum descendisset Jesus de monte, secutæ sunt eum turbæ multæ. Et ecce leprosus veniens, adorabat eum.

[Scendendo Gesù dalla montagna, una gran  folla di popolo lo seguiva; ed ecco un lebbroso che venendo a Lui lo adorava.]

(MATTH. VIII, 1, 2).

Leggendo queste parole, miei Fratelli, io mi rappresento il giorno di una grande festa, nella quale si accorre in folla nelle nostre chiese, vicino a Gesù Cristo, non disceso da una montagna, ma sopra i nostri altari, sui quali la fede lo scopre come un Re nel mezzo del suo popolo, come un padre circondato dai figli suoi, in una parola, come un medico circondato dagli ammalati suoi. Gli uni adorano questo Dio, del quale il cielo e la terra non possono contenere l’immensità, con una coscienza pura, come un Dio il quale regna nel loro cuore; è solo l’amore che li conduce qui per offrirgli un sacrificio di lodi e di azioni di grazie; essi sono sicuri di non uscire dalla presenza di questo Dio caritatevole senza essere ricolmi di ogni sorta di benedizioni. Altri si presentano dinanzi a questo Dio così puro e così santo con un’anima tutta coperta di peccati; ma essi sono rientrati in se medesimi, hanno aperto gli occhi sopra il loro stato infelice, hanno concepito il più vivo orrore dei loro traviamenti, e, risoluti di cambiar vita, si recano a Gesù Cristo pieni di fiducia, si gettano ai piedi del migliore dei padri, facendogli il sacrificio di un cuore contrito ed umiliato. Prima di uscire dalla chiesa, il cielo sarà loro aperto, e chiuso l’inferno. Ma dopo queste due sorta di adoratori, si presenta una terza: vale a dire, quei Cristiani tutti coperti delle sozzure del peccato e assonnati nel male, che non pensano affatto ad uscirne, che tuttavia si conducono come gli altri, si recano ad adorarlo ed a pregarlo, almeno in apparenza. Io non vi parlerò di coloro che vengono con un’anima pura ed aggradevole al loro Dio; io non ho che una cosa sola da dir loro, di perseverare. Ai secondi io dirò loro di raddoppiare le loro preghiere, le loro lacrime e le loro penitenze; ma che pensino che, giusta la promessa di Dio medesimo, ogni peccatore che a Lui ritorna con un cuore contrito ed umiliato è sicuro di trovare il suo perdono.  (Ps. L, 19). Essi sono sicuri, dice Gesù Cristo, di avere riacquistata l’amicizia del loro Dio e il diritto che la loro qualità di figli di Dio loro concede al cielo. Io non voglio dunque oggi parlarvi che di quei peccatori i quali sembrano vivere, ma che sono già morti. Strana condotta, M. F., sulla quale io non oserei esprimere il mio pensiero, se lo Spirito Santo non avesse già detto, dal principio del mondo e in termini appropriati, che la preghiera d’un peccatore il quale non vuole uscire dal suo peccato, e non fa tutto ciò che deve fare per uscirne, è in esecrazione agli occhi del Signore. Aggiungiamo a questo induramento, il disprezzo di tutte le grazie che il cielo gli offre. Il mio disegno è dunque di mostrarvi che la preghiera di un peccatore che non vuole uscire dal peccato, non è altra cosa che un’azione ridicola, piena di contraddizioni e di menzogne, se noi la consideriamo sia in rapporto alle disposizioni del peccatore che la fa, sia che la consideriamo per rapporto a Gesù Cristo al quale è rivolta. Parliamo più chiaramente, dicendo che la preghiera d’un peccatore che resta nel peccato, non è altra cosa che una azione la più insultante e la più empia. Ascoltatemi un istante e voi ne sarete sventuratamente convinti.

I . — Mio disegno non è di parlarvi a lungo delle qualità che deve avere una preghiera per essere accettevole a Dio e vantaggiosa a colui che la fa; io non vi dirò che poche parole della sua potenza; io vi dirò solamente di passaggio che è un dolce intrattenimento dell’anima col suo Dio, che ce lo fa riconoscere per nostro Creatore, per nostro Bene sommo e nostro ultimo fine; è un commercio del cielo colla terra; noi rivolgiamo le nostre preghiere e le nostre buone opere al cielo, e il cielo fa discendere sopra di noi le grazie che ci sono necessarie per santificarci. Io vi dirò di giunta che è la preghiera che aderge la nostra anima e il nostro cuore al cielo, ci fa sprezzare il mondo con tutti i piaceri suoi. È la preghiera che fa discendere Dio fino a noi. Diciamo ancor meglio: la preghiera ben fatta penetra ed attraversa la vòlta dei cieli e sale fino al trono di Gesù Cristo medesimo, disarma la giustizia del Padre suo, eccita e commuove la misericordia sua, apre i tesori delle grazie del Signore, le rapisce, se oso di così parlare, e ritorna carica di ogni sorta di benedizioni a colui che a Dio l’ha rivolta. Se mi fosse necessario di assodare questo vero, io non avrei che ad aprire i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Noi vi leggeremmo che Dio non può mai negare ciò che gli si domandasse colla preghiera fatta nel modo dovuto. Qui io veggo trentamila uomini sui quali Dio ha risoluto di far discendere il peso della sua giusta collera, per distruggerli in castigo dei loro peccati. Mosè solo domanda la loro grazia, e si prostra dinanzi al Signore. Appena è cominciata la sua preghiera, che il Signore che aveva risoluto la loro perdita, cangia la sua sentenza, restituendo loro la sua amicizia, promettendo loro la protezione sua ed ogni sorta di benedizioni, e tutto alla preghiera di un sol uomo. (Exod. XXXII, 28-34). Io veggo un Giosuè il quale, trovando che il sole volge troppo rapidamente al tramonto, e temendo di non avere il tempo per vendicarsi dei suoi nemici, si prostra colla faccia contro terra pregando il Signore, comanda al sole di fermarsi, e, con un miracolo che non si era mai operato e che forse mai si opererà, il sole sospende il suo corso per proteggere Giosuè e lasciargli il tempo di inseguire e di distruggere il suo nemico. (Jos. X) Io veggo Giona che il Signore manda alla grande città di Ninive, questa città peccatrice, perché il Signore che è la giustizia e la stessa bontà, aveva risoluto di punirla e di distruggerla. Giona, correndo le vie della grande città, annuncia, dalla parte di Dio medesimo, che la sua distruzione non è lontana che di quaranta giorni. A questo annuncio triste e desolante, tutti si prostrano a terra, tutti hanno ricorso alla preghiera. Tosto il Signore revoca la sua sentenza e li guarda con bontà. Lontano dal punirli, li ama e li ricolma di benefizi. (Gion. I-IV) Se io mi volgo da un’altra parte, veggo il profeta Elia, il quale per punire i peccati del suo popolo, prega Dio di non concedere la pioggia. Per il volgere di due anni e mezzo il cielo gli obbedì, e la pioggia non cadde che quando il medesimo profeta la domandò a Dio colla preghiera (III Reg. XVII, 1; XVIII, 44). Se io passo dall’Antico Testamento al Nuovo, noi vi vediamo che la preghiera, ben lungi dal perdere la sua forza, diventa più potente sotto la legge della grazia. Vedete Maddalena: da che ella prega gettandosi ai piedi del Salvatore, i suoi peccati le sono perdonati e sette demoni escono dal suo corpo (Luc. VII, 47; VIII, 2). Vedete san Pietro: dopo di aver rinnegato il suo Dio, ricorre alla preghiera; tosto il Salvatore getta gli occhi sopra di lui e gli perdona (Ibid. XXII, 61, 62.). Vedete il buon ladro (Ibid. XXIII, 42, 43). Se Giuda, il traditore, invece di gettarsi alla disperazione, avesse pregato Dio di perdonargli il suo peccato, il Signore gli avrebbe rimesso la colpa. (Jóan. XIV, 13,14). Sì, M. F., il potere della preghiera ben fatta è così grande che, quando tutto l’inferno, tutte le creature del cielo e della terra domandassero vendetta, e che Dio medesimo fosse armato delle sue folgori per schiacciare il peccatore, se questo peccatore si getta ai suoi piedi pregandolo di usargli misericordia, col rammarico di averlo offeso e col desiderio di amarlo, egli è sicuro del suo perdono. È giusta la promessa che ci ha fatto Egli medesimo, dicendo che Egli ci dà la sua parola di concederci tutto ciò che noi domandassimo al Padre suo nel suo Nome. Mio Dio, come è dolce e consolante per un Cristiano l’essere sicuro di ottenere tutto ciò che domanderà a Dio colla preghiera! Ma, forse mi direte voi, come conviene fare questa preghiera, perché abbia questo potere presso Dio? — Senza essere prolissi: la nostra preghiera, per avere questo potere, deve essere animata d’una fede viva, d’una speranza ferma e costante, che ci muova a credere che, per i meriti di Gesù Cristo, noi siamo sicuri di ottenere quello che domandiamo, e di più da una carità ardente.

1° Io dico in primo luogo, è necessario che abbiamo una fede viva. — E perché, mi direte voi? — Perché la fede è il fondamento e la base di tutte le nostre buone opere, e senza questa fede, tutte le azioni nostre, benché buone in se medesime, sono opere senza merito. Noi dobbiamo altresì essere penetrati della presenza di Dio, dinanzi al quale abbiamo la ventura di trovarci; un ammalato che una febbre violenta abbia fatto cader nel delirio e che batte la campagna, il suo spirito una volta fisso in qualche oggetto, benché nulla siavi di visibile, è tanto persuaso che egli vede o tocca, che quantunque si sforzi di persuadergli il contrario, egli non vuol crederlo. Sì, M. F., fu questa fede violenta, se oso così dire, colla quale S. Maddalena cercava il Salvatore, non avendolo trovato nella sua tomba. Ella era tanto penetrata dell’oggetto che ella cercava, che Gesù Cristo per provarla, o piuttosto non potendosi più nascondere all’amor suo che l’aveva padroneggiata, le apparve sotto la figura di un giardiniere, e le domandò perché piangesse e chi cercasse. Senza dirgli che cercava il Salvatore, esclama: “Ah! se voi l’avete preso, ditemelo, affinché vada a ripigliarlo.„ (1 Joan XX, 15) La sua fede era così viva, così ardente, se mi è lecito di così esprimermi, che quand’anche fosse stato nel seno del Padre suo, lo avrebbe costretto a discendere sopra la terra. Sì, ecco la fede della quale un Cristiano deve essere animato, quando ha la ventura di trovarsi a la presenza di Dio, affinché Dio possa nulla negargli.

2° In secondo luogo, io dico che alla fede è da aggiungere la speranza, vo’ dire, una speranza ferma e costante che Dio può e vuole concederci quello che gli domandiamo. Ne volete un modello? Eccolo. Vedete la Cananea (Matth. XV); la sua preghiera era animata da una fede così viva, da una speranza così ferma che il buon Dio poteva concederle ciò che domandava, che essa non cessò di pregare, di pressare, o se così oso di esprimermi, di fare violenza a Gesù Cristo. Si ha un bel respingerla, e dal medesimo Gesù Cristo; epperò non sapendo più a qual partito appigliarsi, si getta ai suoi piedi dicendogli per tutta preghiera: “Signore, aiutatemi! ,, e queste parole pronunciate con tanta fede incatenano la volontà di Dio medesimo. Il Salvatore tutto meravigliato esclama: O donna, la tua fede è grande! vattene, tutto ti è concesso. – Si, F. M., questa fede, questa speranza ci fanno trionfare di tutti gli ostacoli che si oppongono al nostro salvamento. Vedete la madre si S. Sinforiano; il suo figlio era tratto al martirio: “Ah! figlio mio, coraggio! Ancora un momento di pazienza, e il cielo sarà la tua ricompensa! „ Ditemi, M. F., chi sosteneva tutti i santi martiri in mezzo ai loro tormenti? Non è questa avventurosa speranza? Vedete la calma di cui godeva S. Lorenzo sopra la graticola infuocata. Chi poteva sostenerlo? — La grazia, mi direte voi. — Ciò è vero, ma questa grazia non è la speranza d’una ricompensa eterna? Vedete S. Vincenzo al quale si strappano le viscere con uncini di ferro; chi gli dà la forza di soffrire tormenti così straordinari e così spaventosi? Non è questa avventurosa speranza? Ora, M. F., chi deve muovere un Cristiano, che si mette alla presenza di Dio, a rigettare tutte quelle distrazioni che il demonio si sforza di presentargli nel tempo delle sue preghiere, ed a vincere il rispetto umano? Non è il pensiero che un Dio lo vede, che se la preghiera sua è fatta nel debito modo, egli sarà ricompensato di una felicità eterna?

3° In terzo luogo, io ho detto che la preghiera d’un Cristiano deve avere la carità, vale a dire che egli deve amare il buon Dio con tutto il suo cuore e odiare il peccato con tutte le sue forze. — E perché, mi direte voi? — Perché un Cristiano peccatore che prega, deve sempre avere il rammarico dei propri peccati e il desiderio di sempre più amare Iddio. — Sant’Agostino ne reca un esempio molto sensibile. Nel momento nel quale si recava nel giardino per pregare, egli si crede realmente alla presenza di Dio, egli spera che benché grande peccatore, Dio avrà pietà di lui; rimpiange la sua passata vita, promette al buon Dio di cangiar vita, e di fare, col soccorso della sua grazia, tutto quanto potrà per amarlo. — Infatti, in qual modo potere amar Dio e il peccato? No, M. F., no, ciò non avvenne mai. Un Cristiano che ama veramente il buon Dio, ama quello che Dio ama, odia quello che Dio odia; da ciò io inferisco che la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, non è fornita delle qualità delle quali abbiamo parlato.

II. Ora, vedrete con me che considerando la preghiera del peccatore per rapporto alle disposizioni sue, non è altra cosa che un atto ridicolo, pieno di contraddizione e di menzogna. Seguiamo un istante questo Cristiano che prega, io dico un istante, perché ordinariamente, le sue preghiere sono appena cominciate che già sono finite; ascoltiamo questo povero cieco e questo povero sordo; io dico cieco sui beni che egli perde e sui mali che egli si prepara, e sordo alla voce della propria coscienza che grida, alla voce di Dio che lo chiama. Entriamo in argomento, io sono sicuro che voi desiderate sapere che cos’è la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, né è afflitto d’aver offeso Dio. Ascoltatemi: la prima parola che pronuncia cominciando la sua preghiera è una menzogna, egli cade in contraddizione con se medesimo: « Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. „ Amico mio, fermatevi un momento. Voi dite che cominciate nel nome delle tre Persone della Ss. Trinità. Ma, voi dunque avete dimenticato che or fanno otto giorni, voi eravate in una compagnia della quale vi si diceva che quando si è morti tutto è finito, e se era vero, non esisteva né Dio, né inferno, né paradiso. Se nell’induramento vostro voi lo credete, voi non venite per pregare, ma solamente per sollazzarvi e divertirvi. — Ah! direte voi, coloro che tengono questo linguaggio sono molto rari. — Tuttavia ne occorrono tra coloro che mi ascoltano e che non lasciano qualche preghiera di tempo in tempo. Ed io vi mostrerei ancora, se il volessi, che i tre quarti di coloro che sono qui in chiesa, benché non lo dicano colla bocca, lo dicono spesso colla loro condotta e col loro modo di vivere; perché se un Cristiano pensasse veramente a quello che dice pronunciando i nomi delle tre Persone della Ss. Trinità, non sarebbe preso da spavento fino alla disperazione, considerando in lui l’immagine del Padre che ha alterato in modo spaventoso, l’immagine del Figlio che è nell’anima sua, trascinata nel fango del vizio, e l’immagine dello Spirito Santo, di cui il suo cuore è il tempio ed il tabernacolo, e che egli ha ripieno di lordure e di oscenità. Sì, M. F., queste tre parole sole, se questo peccatore avesse la conoscenza di quello che dice e di quello che egli è, potrebbe pronunciarle senza venir meno d’orrore? Ascoltate questo menzognero: “Mio Dio, io credo fermamente che voi siete qui presente, „ Ma che, voi credete di essere alla presenza di Dio dinanzi al quale gli angeli, che sono senza macchia, temono e non osano di alzare gli occhi, davanti al quale si ricoprono delle loro ali non potendo sostenere lo splendore della maestà che il cielo e la terra non possono contenere! E voi tutto coperto di peccati, voi vi trovate alla presenza sua con un ginocchio per terra e un altro levato. Osate voi aprire la bocca per lasciare uscire una tale abbominazione! Dite piuttosto che voi fate come le scimmie, che voi fate quello che vedete farsi dagli altri, o piuttosto che è un momento di divertimento che vi prendete facendo le viste di pregare. Un Cristiano che si mette alla presenza del suo Dio, che sente quello che egli dice all’autore medesimo della sua esistenza, non è compreso di spavento vedendo, da una parte, la indegnità sua di comparire davanti ad un Dio così grande e così formidabile, e dall’altra, la ingratitudine sua? Non gli sembra, ad ogni istante, che la terra si apra sotto i suoi piedi per inghiottirlo? Non si considera come sospeso tra la vita e la morte? Il suo cuore non sa ricolmarvi dei più insigni benefizi. Un’altra occupazione di questa sorta di gente, è di esaminare il modo onde sono vestite le persone e la loro avvenenza; e da ciò nascono i cattivi sguardi, i cattivi pensieri, i cattivi desideri. Or bene, direte voi che ciò non vi accade? Ciò non vi accade nel tempo stesso della celebrazione della santa Messa? Mentre che un Dio si immola alla giustizia del Padre suo per soddisfare ai vostri peccati, voi girate i vostri sguardi per vedere in qual modo una tale o un tale è vestito, e la sua avvenenza. Ciò non è la causa che fate nascere in voi medesimi un numero quasi infinito di pensieri che non dovreste avere e di cattivi desideri? Aprite dunque gli occhi, amico mio, e voi vedrete che tutto ciò che voi dite a Dio non è altra cosa che menzogna e inganno. – Proseguiamo. “Mio Dio, voi dite, io vi adoro e vi amo con tutto il mio cuore. „ Voi vi ingannate, amico mio, non bisogna dire il buon Dio, ma il vostro dio: e qual è il vostro dio? Eccolo: è quella giovane alla quale avete consacrato il cuor vostro, che vi occupa continuamente. E voi, mia sorella, qual è il vostro dio? Non è quel giovane al quale sono dirette tutte le cure vostre per piacergli, forse anche nella chiesa nella quale non dovete recarvi che per piangere i vostri peccati e domandare a Dio la conversione vostra? Non è egli vero che, mentre voi pregate, gli oggetti che voi amate occupano il vostro spirito, e si presentano dinanzi a voi per farsi adorare in luogo del vostro Dio? Non è egli vero che ora è il dio della golosità che si presenta davanti a voi per farsi adorare, pensando a ciò che mangerete quando sarete tornati a casa? O, un’altra volta, il dio della vanità, prendendo impero sopra voi medesimi, considerandovi come degni di meritarvi l’adorazione degli uomini? Sapete voi quello che voi dite a Dio? Ecco: « Signore, così voi, discendete dal vostro trono, cedetemi il vostro posto. „ Mio Dio, quale orrore e quale abbominazione! Eppure voi dite tutto ciò tutte le volte che desiderate di piacere ad alcuno. Un’altra volta è il dio dell’avarizia, dell’orgoglio o dell’impudicizia, i quali si sono presentati per farsi adorare ed amare nel luogo del vero Dio. Bramate voi che ve lo addimostri in un modo più chiaro? Ascoltatemi. Nel tempo della celebrazione della santa Messa, o durante le vostre preghiere, si presenta alla vostra mente un pensiero di odio o di vendetta; se voi amate dappiù il buon Dio che non quegli oggetti, voi li scaccerete prontamente; ma se voi non li allontanate, voi mostrate che li preferite a Dio e che li mettete nel posto di Dio medesimo nel vostro cuore per consacrarlo loro. Torna lo stesso come se diceste a Dio, quando questi pensieri si presentano alla vostra mente: “Mio Dio, uscite dalla mia presenza e lasciatemi mettere nel vostro luogo quel demone per consacrargli gli affetti del mio cuore. „ Voi non mi contenderete che non è quasi mai il buon Dio che voi adorate nelle vostre preghiere, ma ciascuna delle inclinazioni vostre, ma ciascuna delle vostre tendenze, vo’ dire, quelle passioni e null’altro. — Ciò, mi direte voi, rasenta l’esagerato. — Ciò rasenta l’esagerato, amico mio? Ora, io voglio dimostrarvi che è la verità, nella piena sua luce. Ditemi, mio fratello, o, voi, mia sorella, quando vi confessate, il vostro confessore non vi dice: “Se voi allontanate quei desideri, se voi scacciate quei pensieri, o se voi cessate da quelle perverse abitudini, se abbandonate quelle bettole, io vi darò il vostro Dio, voi avrete la ventura di riceverlo oggi nel vostro cuore? „ — “No, mio padre, gli dite, non è ancor tempo: io non mi sento il coraggio di impormi questo sacrificio, vo’ dire di abbandonare quelle danze, quei giuochi, quelle cattive compagnie. „ — Ciò non significa per avventura che voi preferite che il demonio regni nella vostra anima nel luogo del buon Dio? Il confessore dirà a quel vendicativo: “Amico mio, se voi non perdonate a quella persona che vi ha offeso, voi non potete avere la sorte di possedere il Dio dei Cristiani. „ — “No, mio padre, voi rispondete, io preferisco di non ricevere il buon Dio. „ — “Amico mio, dirà il confessore ad un avaro, se voi non restituite quei beni che non sono vostri, voi siete indegno di ricevere il vostro Dio. „ — “Io non ho l’intenzione di restituirli tosto; „ e la stessa cosa di tutti gli altri peccati. Ciò è tanto vero che, se ciò che noi amiamo apparisse visibilmente, ciascuno avrebbe dinanzi a sé un ramo dei sette peccati capitali, e Dio resterebbe per gli angeli soli. – Ma andiamo più innanzi, e noi vedremo, e udremo questo cerretano e questo cristiano mentitore. – E dapprima vediamo la sua fede. Noi diciamo che è la fede che ci discopre la grandezza della maestà di Dio dinanzi alla quale abbiamo la ventura di trovarci; è questa fede, associata alla speranza, la quale sosteneva i martiri in mezzo ai più spaventosi tormenti. Ditemi, quel peccatore, può avere il pensiero, può credere, cominciando la sua preghiera, che essa sarà ricompensata? E che una preghiera ripiena d’ogni sorta di cose eccettuato Dio solo, una preghiera fatta vestendosi o lavorando, col cuore occupato del proprio lavoro, fors’anche da livore e da vendetta, che so io, da cattivi pensieri! Una preghiera fatta gridando e giurando contro i vostri figli o i vostri domestici! Se ciò fosse vero, non saremmo costretti di confessare che Dio ricompensa il male?

2° Io dico che il peccatore non ha la speranza facendo la sua preghiera, se non che sarà ben presto finita: ecco a che si limita tutta la sua speranza. — Ma, mi direte voi, quel peccatore, benché peccatore sia, spera pur qualche cosa? — Or bene! io credo che un peccatore nulla crede e nulla spera, perché se credesse che vi è un giudizio, e quindi un Dio che deve domandargli conto di tutti i minuti della sua vita, e questo conto si renderà nel momento al quale non si penserà; se credesse che un sol peccato mortale lo rende meritevole d’una eternità infelice; se egli ponesse mente che non una preghiera della sua vita, non un desiderio, non un’azione, non un movimento del suo cuore che non sia scritto nel libro di questo supremo giudice; se egli vedesse la sua coscienza contaminata da orribili colpe, e che forse, lui solo, ha commesso tanti peccati quanti basterebbero per condannare al fuoco una città di cento mila abitanti, potrebbe restare in questo stato? No, certamente, se egli credesse davvero, che dopo questo giudizio vi è pei peccatori un inferno eterno, di cui un solo peccato mortale sarà la causa, se egli muore in questo stato; che la collera di Dio lo opprimerà per tutto il volgere dell’eternità, e che i peccatori vi cadono a migliaia continuamente; non prenderebbe tutte le cautele per evitare una così grande sventura? Se egli credesse veramente che vi è un cielo, una felicità eterna per tutti coloro che avranno fedelmente praticato quanto la religione loro comanda, potrebbe condursi nel modo col quale si conduce? No, certamente. Se, nel momento nel quale è pronto a peccare, egli credesse che Dio lo vede, che perde il cielo e attira sopra di sé ogni sorta di mali per questa vita e per l’altra, avrebbe il coraggio di fare quello che il demonio gli inspira? No, amico mio, no, ciò gli sarebbe impossibile. Da ciò io inferisco che un Cristiano che ha peccato e che resta nel suo peccato, ha perduto completamente la fede; è un povero uomo che il demonio ha accecato, che è sospeso per un sottilissimo filo sopra un abisso spaventoso; il demonio lo impedisce, per quanto può, di vedere gli orrori che gli sono preparati. Diciamo meglio, le sue piaghe sono così profonde ed il suo male così inveterato, che egli più non sente il suo stato; è un prigioniero, condannato a perdere la vita sul patibolo, il quale si trastulla aspettando il momento dell’esecuzione; si ha bel dirgli che la sua sentenza è pronunziata, che fra poco tempo non sarà più di questo mondo; a vederlo e al modo col quale si conduce, voi direste che gli si annuncia ciò che può recargli fortuna. O  mio Dio, quanto lo stato d’un peccatore è dunque infelice! Per la speranza d’un peccatore, non è da parlarne, perché la speranza d’un bruto e la sua sono la cosa medesima; esaminate la condotta dell’uno e dell’altro, non vi corre differenza. Una bestia fa consistere tutta la sua felicità nel bere e nel mangiare e nei piaceri della carne, e voi non ne incontrerete altra nel peccatore che vive nel peccato. — Ma, mi direte voi, egli assiste alla Messa, e recita alcune preghiere. — E perché ciò? Non è né il desiderio di piacere a Dio e di salvare la propria anima che lo muove a quest’opera, è l’abitudine che ha contratta dalla sua giovinezza. Se le domeniche non venissero che tutti gli anni o tutti i dieci anni, non vi assisterebbe che tutti gli anni e ancor meno; egli lo fa perché gli altri lo fanno. Voi vedete bene al modo col quale si conduce in tutto ciò che non è altra cosa; o, per meglio farvi conoscere quello che è la speranza d’un Cristiano peccatore, io vi dico che non ha altra speranza che quella di una bestia da soma; perché noi siamo perfettamente convinti che un bruto non spera che ciò di cui può godere sopra la terra. Un peccatore indurito che non pensa né di abbandonare il piacere, né vuol uscire dal peccato, non ha altra cosa da sperare, perché dice e pensa, o almeno fa quanto può per persuadersi che tutto è finito dopo la morte. Invano, o mio Dio, voi sarete morto per questi peccatori! Ah! amico mio, credendo far mostra di spirito, tu ti avvilisci, poiché scendi al livello dei bruti e dei più vili animali.

3° Abbiamo ancor detto che la preghiera di un buon Cristiano dev’essere animata dalla carità, cioè dall’amor di Dio che lo induce ad amar Dio con tutto il suo cuore, e ad odiare, detestare grandemente il peccato come il peggiore di tutti i mali, con sincero desiderio di non più commetterlo e di combatterlo e schiacciarlo ovunque noi lo troveremo. Voi vedete che questo non può aver luogo nelle preghiere d’un peccatore che non è spiacente d’aver offeso il buon Dio, poiché io tiene inchiodato sulla croce del proprio cuore, fintanto che il peccato vi regna. Se vi garba di ascoltare per un istante ancora questo mentitore, vedetelo ed uditelo nel recitare il suo atto di contrizione. Se avete assistito alcuna volta ad una commedia, al teatro, avrete osservato che tutto quanto vi si fa e vi si dice, non è che finzione e menzogna. Or dunque! Prestate un momento l’orecchio alla preghiera di questo peccatore, e voi vedrete che non fa e non dice altra cosa; voi vedrete che tutto ciò che fa non è che finzione e menzogna. Vi sarà impossibile sentirlo recitare il suo atto di contrizione senz’essere presi da compassione: “Dio mio, incomincia egli, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore del cuor mio. „ O mio Dio, si può pronunciare tale abbominazione? Sì, non c’è dubbio, povero cieco, il Signore vede veramente i tuoi peccati, non li vede che troppo, disgraziatamente. Ma il tuo dolore dov’è? Di’ piuttosto: “Mio Dio, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore dei santi solitari nei boschi, donde trascorrono le notti a piangere i loro peccati. „ Ma per te, ben veggo che punto non ne hai. Ben lungi d’aver dolore de’ tuoi peccati non ne vorresti avere, poiché tu continui in questi, senza volerli lasciare. “Mio Dio, continua questo mentitore, io ho un estremo rammarico di avervi offeso. „ Ma è possibile pronunciare tali empietà e tali bestemmie? Se tu ne sei oltremodo spiacente, puoi rimanere un mese, due, tre, dieci o vent’anni, forse, col peccato nel cuore? Una volta ancora, se tu fossi spiacente d’aver offeso Dio, sarebbe necessario che il ministro del Signore fosse continuamente occupato a dipingere i castighi che Dio prepara al peccatore, per inspirartene l’orrore? Sarebbe necessario di trascinarti, per così dire, ai piedi del tuo Salvatore per farti abbandonare il peccato? “Perdonatemi, Dio mio – aggiunge egli – perché voi siete infinitamente buono e infinitamente amabile e che il peccato vi dispiace.„ Taci, tu non sai quel che tu ti dica. Certamente che Dio è buono; se non avesse dato ascolto che alla sua giustizia, sarebbe già da lungo tempo che tu bruceresti nell’inferno. “Mio Dio, egli dice, perdonatemi i miei peccati per i meriti della passione e morte di Gesù Cristo vostro caro Figlio. „ Ah! amico mio, tutte le sofferenze che Gesù Cristo ha avuto la carità di patire per te, non saranno capaci di toccare il tuo cuore, esso è troppo indurito. “Concedetemi la grazia – esso dice – di adempire la risoluzione che presentemente prendo di fare penitenza e di non offendervi più,,. –  Ma, caro amico, puoi tu veramente ragionare in tale maniera? Dov’è dunque questa risoluzione che tu hai presa di non più offendere il buon Dio? Poiché tu ami il peccato, e lungi dal volertene liberare, cerchi invece il luogo e le persone che te lo possono far commettere; di’ piuttosto, amico mio, che saresti ben fortunato se il buon Dio ti concedesse la grazia di non offenderlo mai più, poiché tu ti compiaci a rivoltolarti nelle lordure de’ tuoi vizi. Io credo che sarebbe molto meglio per te di nulla dire, che parlare in tal guisa. – Ma andiamo più innanzi. Noi leggiamo nel Vangelo che i soldati avendo condotto Gesù Cristo nel pretorio, ed essendosi radunati intorno ad Esso, lo spogliarono delle sue vesti, gettarono sopra le sue spalle un manto di porpora, lo coronarono di spine, lo colpirono al capo con una canna, gli diedero delle ceffate, gli sputarono in viso, e dopo tutto ciò, piegando un ginocchio davanti a Lui l’adoravano. Puossi immaginare un oltraggio più sanguinoso? Ora ciò desta la vostra meraviglia? Ecco veramente la condotta d’un Cristiano che è nel peccato e che né pensa di uscirne, né lo vuole; ed io soggiungo, che egli solo fa tutto ciò che i Giudei fecero tutti insieme, poiché S. Paolo ci dice che ad ogni peccato che noi commettiamo, noi facciamo morire il Salvatore del mondo; (Hebr. VI, 6) con altre parole, noi facciamo tutto ciò che sarebbe necessario per farlo morire, se di nuovo fosse capace di morire una seconda volta. Finché il peccato regna nel nostro cuore, noi teniamo, come i Giudei, Gesù Cristo appeso alla croce; con essi noi lo insultiamo piegando il ginocchio davanti a Lui, facendo sembiante di pregarlo. Ma, mi direte voi, non è questa la mia intenzione, quando recito la mia preghiera; Dio mi scampi da tali orrori! — Bella scusa, amico mio! Colui che commette il peccato, non ha l’intenzione di perdere la grazia; tuttavia non tralascia di perderla; è per avventura meno colpevole? No, certamente, perché egli non ignora che non può compiere tale azione o dire tal cosa senza rendersi colpevole d’un peccato mortale. Se voi vi tenete sicuri, l’intenzione di tutti i dannati, non era certamente di perdersi, per questo sono meno colpevoli? No, certamente, perché non ignoravano che si perderebbero vivendo come sono vissuti. Un peccatore che prega col peccato nel cuore non ha l’intenzione di ridersi di Gesù Cristo né di insultarlo; non è meno vero che si ride di Lui, perché non ignora che si ride di Lui quando gli si dice: Mio Dio, io vi amo, mentre si ama il peccato, o: Io mi confesserò al più presto. Ascoltate quest’ultima menzogna! Egli non pensa né a confessarsi né a convertirsi. Ma, ditemi, qual è l’intenzione vostra, quando vi recate alla chiesa, o che voi recitate ciò che chiamate vostra preghiera? — È, mi direte voi forse, se pure usate il dirlo, di compiere un atto di rendere a Dio religione, la gloria che gli sono davanti. Oh orrore! Oh accecamento! Oh empietà voler onorar Dio con delle menzogne, con altre parole volerlo onorare con ciò che lo oltraggia! Oh abominazione! Avere Gesù Cristo sulle labbra e tenerlo crocifisso nel proprio cuore, associare ciò che vi ha di più santo con ciò che v’ha di più detestabile, che è il servizio del demonio! oh! quale orrore! offrire a Dio un’anima che si è già mille volte prostituita al demonio! O mio Dio! Quanto il peccatore è cieco, e tanto più cieco che non conosce se stesso, e non cerca di conoscersi! – Non aveva io ragione cominciando, di dirvi che la preghiera d’un peccatore non è altra cosa che un tessuto di menzogne e di contraddizioni? Ciò è tanto vero che lo Spirito Santo medesimo dice che la preghiera d’un peccatore che non vuole uscire dal peccato è in esecrazione agli occhi del Signore (Prov. XXVIII, 9) — Questo stato, direte voi con me, è orribile e degno di compassione. — Ora, vedete come il peccato vi accechi! tuttavolta, lo dico senza timore di esagerare, almeno la metà di coloro che sono qui, che mi ascoltano in questa chiesa, sono di questo numero. Non è egli vero che ciò non vi commuove, o piuttosto vi reca noia e vi fa parer lungo il tempo? Ecco, mio amico, l’abisso spaventoso al quale trascina il peccato un peccatore. Dapprima, voi sapete che sono sei mesi, un anno o più che siete nel peccato, eppure siete tranquillo? — Eh sì, mi direte voi. — Ciò non è difficile a credere, perché il peccato vi ha offuscati gli occhi; voi non vedete più nulla, ha indurato il vostro cuore affinché più nulla sentiate, ed io sono come sicuro che tutto ciò che vi ho detto non vi muoverà a fare qualche riflessione. O mio Dio, a quale abisso conduce il peccato! – Ma, mi direte voi, non devesi più pregare, perché le nostre preghiere non sono che insulti fatti a Dio? — Non è questo che io ho voluto dirvi mostrando che le vostre preghiere non erano che menzogne. Ma, invece di dire: Mio Dio, io vi amo, dite: Mio Dio, io non vi amo, ma concedetemi la grazia di amarvi. Invece di dirgli: Mio Dio, io ho un grande rammarico di avervi offeso, ditegli: Mio Dio, io non provo alcun rammarico dei miei peccati, concedetemi tutto il dolore che devo sentirne. – Lontano da voi il dire: Io voglio confessarmi dei miei peccati, ditegli piuttosto: Mio Dio, io mi sono affezionato ai miei peccati, parmi che non vorrei mai abbandonarli; concedetemi questo orrore che devo sentirne, affinché io li aborri, li detesti e li confessi, onde mai più ricadervi. O mio Dio, concedetemi, se è la volontà vostra, questo orrore eterno del peccato, perché è il nemico vostro, ed è lui che vi ha fatto morire, che ci toglie l’amicizia vostra, e ci separa da Voi! Ah! fate divin Salvatore, che tutte le volte che verremo a pregarvi, lo facciamo con un cuore staccato dal peccato, con un cuore che vi ama, e che in ciò che vi dirà, non dica che la verità! E la grazia che vi desidero.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXVII: 16;17
Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quǽsumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc IV: 22
Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

 Postcommunio

Orémus.
Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quǽsumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris.

[O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA (2021)

 DOMENICA PRECEDENTE ALLA SETTUAGESIMA:

FESTA DELL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA

[Notizie storiche intorno all’Arciconfraternita del Ss. CUORE DI MARIA, tratti dagli annali della medesima Arciconfraternita pubblicati dal sig. Dufriche Desgenettes nell’anno 1842-

 Imola, Baracani Stampe. Vescov. 1843 –

Con dedica a S. E. Cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Papa Pio IX)

A

sua Eminenza reverendissima GIOVANNI MARIA de’ Conti MASTAI FERRETTI

Arcivescovo Vescovo d’Imola e conte etc. etc.

Eminenza reverendissima,

Molte e gravi ragioni ci obbligano a dar pubblico segno della gratitudine che professiamo sincera e profonda all’Eminenza Vostra Reverendissima, la quale con bontà tutta propria del di Lei cuore ha voluto onorare quella tanto per noi sacra festività che dedicammo alla B. V. detta del Calanco, non pure adempiendo di persona la solenne cerimonia dell’incoronare la S. Effigie, ma eziandio col tenere analoga omelia tutta piena di forza, di dignità, di unzione. A sdebitarci però di tanto smarrisce affatto la pochezza di nostre forze, e la parola vien meno, sì se abbiamo riguardo alla sublimità de’ suoi meriti, e sì se a quella sua più ancor sublime modestia, che non cura, anzi sdegna qualunque omaggio di lode. Il perché non altro ci siamo consigliati che offrire alla Eminenza vostra un opuscolo diretto a propagare la devozione all’Immacolato Cuore di Maria, accertati che la somma di Lei pietà, la quale faceva ricca la nostra Chiesa di un dipinto rappresentante il S. Cuore della Vergine, vorrà gradire il nostro buon volere e continuarci l’onore di essere quali inchinati al bacio della S. Porpora ci protestiamo della Eminenza V. Reverendissima.

Dozza 8 Giugno 1843

PRŒMIO

Se ella è opera di uomo cotesta, dicea Gamaliele ai seniori di Gerusalemme, cadrà di per se stessa, ma se la vien da Dio, sussisterà; ed avete a temere non forse opponendovi a quella, vi opponiate a’ disegni di Dio. – Questa appunto si fu la sola risposta che ci permettemmo fare a coloro che sebbene con intenzione retta, biasimaron però sulle prime l’istituzione dell’Arciconfraternita del Sacro Cuor di Maria per la conversione de’ peccatori. Le obbiezioni loro, fondate sulla umana prudenza, non valsero a farci cader di animo, né ad arrestarci ne’ nostri sforzi, da che resistere non sapevamo all’interno nostro sentimento. – Oggimai dell’opera si farà giudizio agli effetti stupendi, sigillo verace delle òpere di Dio manifestato all’uomo; e così gli uomini che altra fiata la guardavano con animo pregiudicato, colpiti dal vasto e rapido suo incremento, sbalorditi pe’ copiosissimi frutt i che ella non cessa di produrre, le fanno essi stessi giustizia, e benedicono il nome di Maria, il cui intervento attrae tante grazie ed opera tanto meravigliose conversioni. – Senza prevalerci di. Un successo che vince della mano tutte nostre speranze, confessiam francamente che se fossimo stati consultati sul partito da prendersi per ricondurre a cristiana vita gli uomini del secol nostro, non avremmo noi pensato mai, parlando secondo uomo, a consigliare l’erezione di una arciconfraternitasiccome mezzo efficace per convertire i peccatori. La parola stessa era un obbietto di derisione, qualche anno innanzi. Sarebbonsi tutti senza dubbio burlati della semplicità di un sacerdote che cercando satisfare alla necessità de’ tempi nostri e calmar le grida dei miserabili del nostro secolo, proposto avesse una meschina confraternita, rimembranza del medio evo. I Cristiani anche i Più fedeli per poco istrutti del carattere dell’attuale incivilimento, avrebbero disdegnato questo strano e vieto rimedio, né avrebbero mai avvisato che sotto questo nome e con questa forma si potessero ricondurre all’ovile le smarrite pecorelle. – A così grandi bisogni si volean contrapporre più grandi aiuti; ogni uom serio che gemeva sulle nostre calamità e sul traviare de’ più alti intelletti, inculcava la necessità di un intero rinnovellamento di scienza e di una nuova diffusione di luce per guarire le piaghe del secolo, spegner la sete di sapere che crucia gli ingegni, saziare la fame degli umani desideri. Noi pur siamo stati d’avviso, che giammai la face della scienza cristiana non ebbe a fugare più folte e sparse tenebre. Intanto, diciamolo pur chiaramente, non mancò alla Chiesa questo soccorso; e se altri si fa a rimembrare le innumerevoli difficoltà che negli ultimi tempi opprimevano il sacerdozio ed attraversavano gli alti studi del clero, dovrà trasecolare al vedere le penne e gl’ingegni che a’ nostri dì si esercitano, negli scritti religiosi e ne’ pulpiti evangelici. I diversi rami dell’umano sapere non furono per avventura mai coltivati con più zelo e splendore di quel che si faccia presentemente da que’ medesimi che annunziano al mondo la divina parola. – Ma basta egli questo rimedio? La sola scienza può mai sopperire a tutti i bisogni? Ed acciò sia feconda e si coroni de’ divini frutti non debbe ella forse andar di conserva, nel cuor dei Cristiani, coll’amore e la pratica della carità? – La vera scienza, la scienza, che getta luce di fede e converte lo spirito, è dono del cielo, scaturisce dal Padre dei lumi, procede dall’amore; che per servirci delle espressioni del pio Cardinal di Berulle: Dall’amore appunto si fa passaggio alla luce e non è mai che dalla luce si passi all’amore. E così ad ottener scienza e luce si debbe amare, pregare, domandare e cercare con umiltà e confidenza. Tal si è la condizione ad ogni grazia: Cercate in prima il regno di Dio, e la sua giustizia, e ‘l rimanente vi sarà dato quasi per soprappiù. – La divina luce adunque impedita dalle tenebre di orgoglio che s’innalzano attorno a noi, ci è stata offerta; ma d’appressarvisi non è dato che all’umiltà, sol può vederla l’occhio obbediente della fede. Il perché in tutti i tempi l’incredulità della umana sapienza, poiché salse al suo più alto grado di esaltazione, ha dovuto esser confusa dai mezzi che a lei si parvero una follia. – L’arciconfraternita rinnova a’ giorni nostri una di queste sante follie. Col suo titolo ella comanda l’umiltà a coloro ch’ella accoglie; col suo obbietto risveglia la cristiana e fraterna carità; colle sue condizioni esige la preghiera; col suo fruttificare muove a riconoscenza ed amore; e l’amore alla sua volta riconduce gli animi e i cuori alla buona via, alla verità ed alla vita. – Se oggimai ci facciamo a considerare che l’Arciconfraternita nel sesto anno di sua esistenza conta già due milioni incirca di fratelli sparsi in tutte le contrade del mondo; che sonovi aggregate oltre a 1900 parocchie, sì in Francia, sì presso le straniere nazioni; che ogni dì si accresce il novero, e che da ultimo infra sì gran moltitudine di fedeli riuniti nel sentimento di una stessa preghiera, noi osserviamo un considerevol numero di giovani e di uomini di mondo, d’ogni ordine della società, tutti parteciperanno alle speranze nostre sull’avvenire, ed agevole tornerà il comprendere l’interesse che può venire dal pubblicare periodicamente cotesti Annali.

D’altra parte non pretendiamo noi di fornire la istoria contemporanea di soli documenti; non offriamo alla cristiana pietà solo i fatti di edificazione: un altro disegno abbiamo in cuore, un più serio e dolce pensiero ci stringe e ci predomina. A Maria, Madre del nostro Signor Gesù Cristo dedichiam questi Annali; e glieli presentiamo siccome novello monumento innalzatole dai riconoscenti figli della Chiesa. – Maria sì, Maria e il compassionevole suo Cuore implorato abbiamo, con confidenza invocato; e questo Cuore mosso dai nostri gemiti, si è mostrato al nostro come un emblema dell’amore materno, come un simbolo di grazia, come l’iride che annunzia serenità dopo la procella e che conferma l’alleanza di Dio cogli uomini. – La santa Vergine, dal primo momento della incarnazione del Verbo, è divenuta mediatrice alla nostra riconciliazione, trono di grazie, pegno ed istrumento alle divine misericordie, aureo anello che conferma e stringe l’umanità colla Divinità. Che che ne dica l’eretico, questa immacolata Vergin Maria sarà eternamente il sostegno del popol di Dio, il rifugio dei peccatori, l’onore e la gloria della umanità rigenerata dal Sangue di Gesù Cristo. Ella è pur la Madre dei Cristiani non per figurato vocabolo di lingua, ma secondo la verità della eterna parola; dappoiché ella è Madre veramente: Madre di Dio fatto uomo, Madre di Gesù Cristo, Madre della Chiesa ch’è il corpo di Gesù Cristo; Madre d’ogni e singolo membro di questo mistico corpo, Madre di tutti i veri fedeli. – Questa saldissima verità, il dogma della maternità verginale e della materna verginità, questo dogma appunto fu altamente annunciato, e consacrato dall’alto della croce. Ecce Mater tua! Egli è questa lultima asserzione di un Dio moriente, il testamento di Gesù Cristo, il compimento del Cristianesimo, la pienezza dei doni di Dio. – Or se dalla prima pagina della santa Scrittura, la vittoria fu promessa alla Vergine che stritolerebbe il capo del serpente, ei si conveniva invocare questa Vergine vittoriosa sotto il nome di Nostra Signora delle Vittorie; e dappoiché l’umiltà fu sempre sua divisa e suo vessillo, ben si spiega la scelta da lei fatta di una delle più umili chiese della capitale della Francia per collocarvi il centro dell’Arciconfraternita. – Lasceremo ora che parlino i fatti, i quali ci mostreranno in più eloquente maniera, che il languido nostro parlare, i tesori del Cuor di Maria, l’inesauribile sua indulgenza, la possente sua mediazione a favor delle anime dolenti e traviate, l’efficacia di sua misericordiosa intercessione presso Gesù Cristo, nostro Salvatore, a cui la gloria e l’impero ne’ secoli de’ secoli si appartiene. Amen.

(Se rimanemmo tanto edificati in leggendo sì pii concetti espressi con tutta semplicità dal ch. autore, non ci sorprenderà meno la perspicuità e la forza di Logica ch’egli adopera in un primo articolo che tien dietro al proemio, ov’ei prende a dimostrar con invitti argomenti divini e umani, come l’opera dell’Arciconfraternita sia opera della divina Misericordia. A farne intesi i lettori estrarremo la miglio parte di esso, volgendolo in volgar nostro, lasciando di sovente parlar lui stesso e non aggiungendo che qualche frase a legare i sentimentitolti qua e là all’uopo di farne un ristretto giusta lo scopo della presente appendice alle notizie storiche.)

CAPO I.

Ordine meraviglioso di Provvidenza sull’Arciconfraternita del SS. ed Immacolato Cuor di Maria.

Qualsivoglia opera di Dio ha in mira si la gloria sua sì il bene degli uomini, questo è costantemente lo scopo del diffondersi dell’amor divino. Ei chiama tutti i popoli a sé, perché attingano a lunghi sorsi i dolci effetti della sua misericordia: e nella sua clemenza ei conduce l’opera di guisa che imponga visibilmente alle anime il tributo di riconoscenza e di tenerezza che debbe accrescere infra le creature la gloria estrinseca del Creatore. Il perché le opere di Dio differiscono dalle opere dell’uomo e nel loro principio e negl’incrementi loro e negli effetti. Le opere dell’uomo lasciano pur scorgere la man dell’uomo, il suo ingegno e i suoi sforzi: le opere di Dio son condotte innanzi a dispetto degli uomini: perocché egli fa di mestieri che la origin loro, lo estendersi, il trionfare rivelino la volontà, la onnipotenza, la bontà di Dio, affinché il mondo, non potendo porre in forse la divina operazione, si affretti a raccorglierne frutti e benedizioni. – Le opere degli uomini sono sentite innanzi che avvengano; e dalle circostanze sono dirette e favorite. Non fanno cammino che sotto l’occhio degli uni e sospinte dall’interesse degli altri. Il loro incremento deve molto, e di sovente ancora tutto deve al credito, alla abilità di chi le intraprende ovver le protegge; e per le cure, scaltrimenti e trionfi pervengono pur talvolta ad acquistare esistenza e durata. – Le opere di Dio per contrario son piccole, umili, ascose nella loro origine: si pajono sempre nel momento che men si attendono, quasi sempre fra circostanze che sembrano essere loro sfavorevoli. Il primo rumore, che ne corre. È respinto dalla indifferenza, spesse volte dal disprezzo. Iddio non le pone mai d’ordinario nelle mani di un uomo onorato dalla stima e confidenza pubblica; egli è quasi sempre un oscuro ed ignoto fedele, che non ha di per se stesso né pregio, né credito di sorta. Iddio che non ha bisogno di alcuno, ma che nell’ordine di sua provvidenza vuol servirsi degli uomini, elegge sempre infra loro, ci dice s. Paolo, quanto vi ha di men saggio, di più fievole, di più vile, di più spregevole per accomunarlo al suo disegno. L’opera si manifesta ed incominciano appunto allora i combattimenti, le persecuzioni; ai dileggi, al disprezzo tengon dietro le ingiurie, le calunnie, gli oltraggi. Quando sono pervenute a questo punto le umane opere si ordina la battaglia, la mischia incomincia fra’ dissidenti, si agitano le passioni dalle due bande; ognun ripone sua fiducia nelle proprie forze. Nell’opera di Dio il silenzio e la pazienza sono i due scudi che oppongonsi sempre con vantaggio ai colpi di satanno. Questa benedizione Evangelica riempie di santa e dolce confidenza: Beati que’ che soffron persecuzione per la giustizia, perocché loro si appartiene il regno dei cieli. Sarete voi beati, quando gli uomini vi perseguiteranno e vi daran mala voce per cagion mia. Così le opere di Dio sono intraprese, vannosi continuando a condizioni del tutto opposte alle regole di umana saggezza e prudenza; e mentre che le umane opere meglio pensate spesso diseccansi dalle radici, o van cadendo le une sulle altre, l’opera di Dio va innanzi nel silenzio, nella oscurità, e si dilata. Il suo andare che invita tutti gli sguardi, sbalordisce ed obbliga l’occhio indagatore a risalire alla sua prima comparsa. Si va allora in traccia dell’autore, non si rinviene; un povero Prete, un oscuro Cristiano sembra tenere le fila, ond’è tessuta l’opera; s’ignora il come abbia potuto condurla a termine. Si fa ragione allora della sproporzione che v’ha infra l’effetto e i mezzi, e si dice con pari verità, stupore e ammirazione: Il dito di Dio è qui: il Signore ha fatto cotesta opera, ed ecco il perché ella è meravigliosa agli occhi nostri. Di questa guisa Iddio convince di follia la prudenza e la sapienza umana. – Dei caratteri, che testé sponemmo siccome essenzialmente propri delle opere di Dìo, non ve ne ha uno che manchi all’opera dell’arciconfraternita del santissimo ed immacolato Cuor di Maria per la conversione dei peccatori. Apparve la domenica 11 dicembre 1836. In quel tempo la società in Francia era in istato di violento ribollimento che minacciava universal ruina non guari lontana. Era Parigi solcata a volta a volta e per ogni banda da sedizioni armate, che seco recavano scompiglio, spavento e bene spesso la morte. Ogni socievol legame mirava a sciogliersi, e ci pareva di dover per poco ritornare alla barbarie. In que’ giorni di perturbamento e disordine che diveniva mai la Religione? Vedeva ella i suoi tempii deserti, abbandonati i sacramenti, spregiati, derisi i suoi ministri. Parea non dovesse più riaversi al terribil colpo che dianzi aveagli scaricato addosso una recente rivoluzione. L’empietà cantava vittoria. Delle invereconde voci annunziavano dalle pubbliche cattedre com’ella fosse spacciata, come finito avesse suo tempo d’esistenza; ben voleasi confessare aver altra fiata il Cristianesimo renduto alquanti servigi alla umana società, ma ora egli era antico ed insufficiente a star del pari co’ progressi dello spirito umano. Di là venne il farneticare di nuovi religiosi sistemi, che non tornano ad altro che ad una novella imbandigione delle più assurde, e immonde eresie antiche. E nonostante queste assurdità trovavan settarii, in ispezieltà fra’ giovani, perchè adulavan l’orgoglio, accarezzavano le passioni, e l’uomo non riconoscea più né freno né regola né governo. Era gran tempo che tutto quanto avesse nome di congregazione, unione, religiosa confraternita, tutto che vi si assomigliasse, era proscritto dalla ragion pubblica. – In mezzo a si sfavorevoli e dirò pur nemiche circostanze, l’arciconfraternita ebbe incominciamento. Il modificare e spegnere a poco a poco tutti questi irreligiosi ed ostili sentimenti era cosa da lei. Ove fu ella mai istituita? ah qui davvero che l’opera divina apparisce nel modo il più chiaro! V’ha in Parigi, in questa moderna Babilonia, che ha infettato tutto il mondo con tutti veleni, tutte dottrine di corruzione, d’empietà, di rivolta e di menzogna, v’ha in Parigi una parrocchia quasi allora sconosciuta perfino a un gran numero de’ suoi abitanti. Trovasi fra il Palazzo Reale e la Borsa nel centro della città; le fan quasi cerchio i teatri e i ridotti di strepitosi e pubblici piaceri. Egli è questo il quartiere che più ribolle d’interessate agitazioni di cupidigia e d’industria, il più in preda alle criminose voluttà, di passioni d’ogni fatta. La chiesa dedicata a Nostra Signora delle Vittorie ha perduto colla gloria il suo nome; la si conosce sotto il nome senza significato di chiesa des Petìts-Peres. Nei maledetti tempi ha servito pur di borsa. Il tempio si rimanea deserto, ne’ giorni eziandio delle più auguste solennità della religione. Diciam di più, diciam tutto come che e’ ci dolga, era divenuto un luogo, un teatro di prostituzione, e siamo stati obbligati di ricorrere alla milizia per cacciarne chi lo profanava. In  questa parrocchia non si amministravano i sacramenti neanche in punto di morte. Che il sacerdote salga il pulpito per ispezzare il pane della divina parola, egli è inutile, non v’è chi lo ascolti. Il gregge tutto quanto formavasi di un pugno di Cristiani che temevan perfin di parere. Gli altri assorti ne’ computi dell’interesse e del guadagno, od immersi a gola negli eccessi delle voluttà e delle passioni, non si curano né di chiesa, né di pastore; e se questo meschino cerca d’entrare in qualche relazione colle anime che gli sono affidate, ne va spregiato conculcato respinto. Ode a dirsi che non c’è bisogno di lui, che se ne può andare. E se a forza di sollecite istanze di qualche pia persona egli ottiene di essere introdotto all’infermo in pericolo della vita, non avvien che a patto di aspettar che il malato abbia perduto i sensi, e che presentisi a lui precisamente in abito da secolare. A che serve la sua visita? Non sarebbe che per tribolare inutilmente l’infermo. In quanto all’abito, non si vuol vedere, e poi che sì direbbe se si vedesse entrare un prete in casa? ci prenderebbero per Gesuiti. Ecco a qual grado era scemata la fede e lo spirito religioso di questa parrocchia. – Compito questo quadro orribile, il Direttore passa a dimandar se l’istromento scelto dalla provvidenza per superare tante difficoltà sia pari ad esse, se ei goda la stima generale, la pubblica confidenza, se ei possegga elevato ingegno, s’ei sia di quegli uomini eloquenti ed operosi che s’attraggono tutti i cuori e sovrastano a tutti gl’intelletti. La modestia e l’umiltà sua vuol ben che ei si dichiari l’ultimo dei fedeli. Ma se egli spicca per ingegno, è sempre vero però che viveasi ignorato per fin da moltissimi dei suoi indifferenti parrocchiani, che aveva lo spirito abbattuto dalla tristezza, il cuore avvilito dal dolore, che il suo naturale secondo la pubblica voce da lui allegata, brusco impaziente bizzarro anzi che no, dovea recar nocumento all’opera. Aggiunge infine di non aver avuto in cuore neppur la disposizione per abbracciare con ardore l’opera, alla quale era destinato. E fu d’uopo che all’altar di Maria, durante l’offerta del divino sacrificio gli si fissasse in mente un’idea, che sebben rigettata sulle prime, finì per riportar vittoria sull’orgoglio dei suoì pregiudizi. Conchiude dunque che un povero  prete senza relazioni e senza credito non poteva né istituire né conservare, né propagar la santa opera, ma che il Signore ha scelto per istrumento ciò che v’era di men saggio, di più debole, di più vile, di più spregevole, acciò l’operazione divina meglio spiccasse e d’uomo non s’attribuisse la gloria che s’appartiene a Dio. » – I principi, segue a dire, delle opere di Dio sono piccoli ed ascosi, procedono poi con lentezza in mezzo ai contrasti e persecuzioni ancora, e in di prova elle si rafforzano e si dilatano. Dagli 11 dicembre 1836, giorno della fondazione per un anno intero da quaranta a sessanta fedeli si accoglievan soltanto attorno all’altar di Maria. Niuno si avvedea di quanto avvenisse in questa chiesa ancora ignorata; e pure in quell’anno appunto le più meravigliose grazie vennero a ricompensare il fervore dei primi fratelli. Nel 1837 si volea che Sua Santità colla mediazione dell’arcivescovo di Parigi erigesse la pia unione in Arciconfraternita per la sola Francia. Il prelato si oppose in tuon severo al disegno, avendolo per inutile e non conveniente. Ed ecco l’opera abbandonata dagli uomini, perché meglio si vedesse com’ella fosse opera di Dio. – Si procura intanto che due Cardinali in Roma presentino la petizione al s. Padre. Sulle prime e’ la prendono sommamente a cuore, ma presto sappiamo come essi vi hanno fatto riflessione sopra ed han giudicato in fine il passo per indiscreto e al tutto inutile; come il s. Padre non accorderebbe mai favor siffatto quando pure il domandasse lo stesso Arcivescovo di Parigi. Afflitto, non abbattuto però il povero parroco dispose ad ogni modo che fosse in buon punto presentata al Papa la supplica, e intanto gli ultimi giorni di marzo (1838 con ispeciali preghiere, implorò la protezione di Maria. In su i primi di aprile una Signora illustre del pari per la pietà che pei natali, avendo udito a parlare delle grazie ottenute nella chiesa di Nostra Signora delle Vittorie e della suppliche a del curato, vuol ella stessa presentarla al Papa. Non sì tosto ebbe sua Santità la petizione che ordinò il breve di erezione. – Così, dice il pio direttore, in questa circostanza ogni cosa esce fuori dall’ordine naturale: una donna che ha udito così per caso parlar dell’opera, che a mala pena sa di che si tratti, reca questa grande e rilevante affare ai piedi del sovrano Pontefice. E il Vicario di Gesù Cristo non facile a condiscedere a favori di tal fatta, accorda in tutta la sua pienezza una grazia che era pure stata domandata con restrizioni. Diciamolo anche una volta: al tutto qui ci è il dito di Dio. – Eretta l’arciconfraternita, pubblicato il Manuale, vennegli sopra una tempesta dì motteggi, poi ingiurie, menzogne e calunnie dirette specialmente contra la persona del direttore. Nulla ci sgomentò, ei ripiglia, ci eravamo apparecchiati. L’arciconfraternita fa la guerra a satana, strappagli di mano le vittime, egli è dunque naturale che satana gli renda pan per focaccia. Ma sì che ad onta del vilipendio, dei rifiuti, delle aspre prove d’ogni fatta ella ha rapidamente e meravigliosamente corso ab ortu solis usque ad occasum. – Nella storia degli antichi popoli, negli annali della Chiesa, nei fasti del mondo intero non v’ha nulla da paragonare alla estensione, alla rapidità del suo incremento. V’ha pur qualcheduno che non vuole qui ravvisar l’opera di Dio, ma egli è un cieco volontario e tremi …. da che egli è il medesimo che bestemmiar l’opera di Dio. – Dopo aver sì ben provato l’assunto dichiara come si pubblicheranno almeno due fascicoli all’anno degli annali. Ogni numero avrà due parti: nella prima si faranno conoscere i progressi d’Arciconfraternita; nella seconda si darà l’istoria de’ suoi effetti. Questa seconda parte avrà pur due paragrafi: il primo darà ragguaglio delle conversioni, e la seconda delle guarigioni ed altre grazie ottenute colle preghiere dell’Arciconfraternita.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS – LA PREGHIERA D’UN PECCATORE IMPENITENTE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla preghiera d’un peccatore impenitente.

Cum descendisset Jesus de monte, secutæ sunt eum turbæ multæ. Et ecce leprosus veniens, adorabat eum.

[Scendendo Gesù dalla montagna, una gran  folla di popolo lo seguiva; ed ecco un lebbroso che venendo a Lui lo adorava.]

(MATTH. VIII, 1, 2).

Leggendo queste parole, miei Fratelli, io mi rappresento il giorno di una grande festa, nella quale si accorre in folla nelle nostre chiese, vicino a Gesù Cristo, non disceso da una montagna, ma sopra i nostri altari, sui quali la fede lo scopre come un Re nel mezzo del suo popolo, come un padre circondato dai figli suoi, in una parola, come un medico circondato dagli ammalati suoi. Gli uni adorano questo Dio, del quale il cielo e la terra non possono contenere l’immensità, con una coscienza pura, come un Dio il quale regna nel loro cuore; è solo l’amore che li conduce qui per offrirgli un sacrificio di lodi e di azioni di grazie; essi sono sicuri di non uscire dalla presenza di questo Dio caritatevole senza essere ricolmi di ogni sorta di benedizioni. Altri si presentano dinanzi a questo Dio così puro e così santo con un’anima tutta coperta di peccati; ma essi sono rientrati in se medesimi, hanno aperto gli occhi sopra il loro stato infelice, hanno concepito il più vivo orrore dei loro traviamenti, e, risoluti di cambiar vita, si recano a Gesù Cristo pieni di fiducia, si gettano ai piedi del migliore dei padri, facendogli il sacrificio di un cuore contrito ed umiliato. Prima di uscire dalla chiesa, il cielo sarà loro aperto, e chiuso l’inferno. Ma dopo queste due sorta di adoratori, si presenta una terza: vale a dire, quei Cristiani tutti coperti delle sozzure del peccato e assonnati nel male, che non pensano affatto ad uscirne, che tuttavia si conducono come gli altri, si recano ad adorarlo ed a pregarlo, almeno in apparenza. Io non vi parlerò di coloro che vengono con un’anima pura ed aggradevole al loro Dio; io non ho che una cosa sola da dir loro, di perseverare. Ai secondi io dirò loro di raddoppiare le loro preghiere, le loro lacrime e le loro penitenze; ma che pensino che, giusta la promessa di Dio medesimo, ogni peccatore che a Lui ritorna con un cuore contrito ed umiliato è sicuro di trovare il suo perdono.  (Ps. L, 19). Essi sono sicuri, dice Gesù Cristo, di avere riacquistata l’amicizia del loro Dio e il diritto che la loro qualità di figli di Dio loro concede al cielo. Io non voglio dunque oggi parlarvi che di quei peccatori i quali sembrano vivere, ma che sono già morti. Strana condotta, M. F., sulla quale io non oserei esprimere il mio pensiero, se lo Spirito Santo non avesse già detto, dal principio del mondo e in termini appropriati, che la preghiera d’un peccatore il quale non vuole uscire dal suo peccato, e non fa tutto ciò che deve fare per uscirne, è in esecrazione agli occhi del Signore. Aggiungiamo a questo induramento, il disprezzo di tutte le grazie che il cielo gli offre. Il mio disegno è dunque di mostrarvi che la preghiera di un peccatore che non vuole uscire dal peccato, non è altra cosa che un’azione ridicola, piena di contraddizioni e di menzogne, se noi la consideriamo sia in rapporto alle disposizioni del peccatore che la fa, sia che la consideriamo per rapporto a Gesù Cristo al quale è rivolta. Parliamo più chiaramente, dicendo che la preghiera d’un peccatore che resta nel peccato, non è altra cosa che una azione la più insultante e la più empia. Ascoltatemi un istante e voi ne sarete sventuratamente convinti.

I . — Mio disegno non è di parlarvi a lungo delle qualità che deve avere una preghiera per essere accettevole a Dio e vantaggiosa a colui che la fa; io non vi dirò che poche parole della sua potenza; io vi dirò solamente di passaggio che è un dolce intrattenimento dell’anima col suo Dio, che ce lo fa riconoscere per nostro Creatore, per nostro Bene sommo e nostro ultimo fine; è un commercio del cielo colla terra; noi rivolgiamo le nostre preghiere e le nostre buone opere al cielo, e il cielo fa discendere sopra di noi le grazie che ci sono necessarie per santificarci. Io vi dirò di giunta che è la preghiera che aderge la nostra anima e il nostro cuore al cielo, ci fa sprezzare il mondo con tutti i piaceri suoi. È la preghiera che fa discendere Dio fino a noi. Diciamo ancor meglio: la preghiera ben fatta penetra ed attraversa la vòlta dei cieli e sale fino al trono di Gesù Cristo medesimo, disarma la giustizia del Padre suo, eccita e commuove la misericordia sua, apre i tesori delle grazie del Signore, le rapisce, se oso di così parlare, e ritorna carica di ogni sorta di benedizioni a colui che a Dio l’ha rivolta. Se mi fosse necessario di assodare questo vero, io non avrei che ad aprire i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Noi vi leggeremmo che Dio non può mai negare ciò che gli si domandasse colla preghiera fatta nel modo dovuto. Qui io veggo trentamila uomini sui quali Dio ha risoluto di far discendere il peso della sua giusta collera, per distruggerli in castigo dei loro peccati. Mosè solo domanda la loro grazia, e si prostra dinanzi al Signore. Appena è cominciata la sua preghiera, che il Signore che aveva risoluto la loro perdita, cangia la sua sentenza, restituendo loro la sua amicizia, promettendo loro la protezione sua ed ogni sorta di benedizioni, e tutto alla preghiera di un sol uomo. (Exod. XXXII, 28-34). Io veggo un Giosuè il quale, trovando che il sole volge troppo rapidamente al tramonto, e temendo di non avere il tempo per vendicarsi dei suoi nemici, si prostra colla faccia contro terra pregando il Signore, comanda al sole di fermarsi, e, con un miracolo che non si era mai operato e che forse mai si opererà, il sole sospende il suo corso per proteggere Giosuè e lasciargli il tempo di inseguire e di distruggere il suo nemico. (Jos. X) Io veggo Giona che il Signore manda alla grande città di Ninive, questa città peccatrice, perché il Signore che è la giustizia e la stessa bontà, aveva risoluto di punirla e di distruggerla. Giona, correndo le vie della grande città, annuncia, dalla parte di Dio medesimo, che la sua distruzione non è lontana che di quaranta giorni. A questo annuncio triste e desolante, tutti si prostrano a terra, tutti hanno ricorso alla preghiera. Tosto il Signore revoca la sua sentenza e li guarda con bontà. Lontano dal punirli, li ama e li ricolma di benefizi. (Gion. I-IV) Se io mi volgo da un’altra parte, veggo il profeta Elia, il quale per punire i peccati del suo popolo, prega Dio di non concedere la pioggia. Per il volgere di due anni e mezzo il cielo gli obbedì, e la pioggia non cadde che quando il medesimo profeta la domandò a Dio colla preghiera (III Reg. XVII, 1; XVIII, 44). Se io passo dall’Antico Testamento al Nuovo, noi vi vediamo che la preghiera, ben lungi dal perdere la sua forza, diventa più potente sotto la legge della grazia. Vedete Maddalena: da che ella prega gettandosi ai piedi del Salvatore, i suoi peccati le sono perdonati e sette demoni escono dal suo corpo (Luc. VII, 47; VIII, 2). Vedete san Pietro: dopo di aver rinnegato il suo Dio, ricorre alla preghiera; tosto il Salvatore getta gli occhi sopra di lui e gli perdona (Ibid. XXII, 61, 62.). Vedete il buon ladro (Ibid. XXIII, 42, 43). Se Giuda, il traditore, invece di gettarsi alla disperazione, avesse pregato Dio di perdonargli il suo peccato, il Signore gli avrebbe rimesso la colpa. (Jóan. XIV, 13,14). Sì, M. F., il potere della preghiera ben fatta è così grande che, quando tutto l’inferno, tutte le creature del cielo e della terra domandassero vendetta, e che Dio medesimo fosse armato delle sue folgori per schiacciare il peccatore, se questo peccatore si getta ai suoi piedi pregandolo di usargli misericordia, col rammarico di averlo offeso e col desiderio di amarlo, egli è sicuro del suo perdono. È giusta la promessa che ci ha fatto Egli medesimo, dicendo che Egli ci dà la sua parola di concederci tutto ciò che noi domandassimo al Padre suo nel suo Nome. Mio Dio, come è dolce e consolante per un Cristiano l’essere sicuro di ottenere tutto ciò che domanderà a Dio colla preghiera! Ma, forse mi direte voi, come conviene fare questa preghiera, perché abbia questo potere presso Dio? — Senza essere prolissi: la nostra preghiera, per avere questo potere, deve essere animata d’una fede viva, d’una speranza ferma e costante, che ci muova a credere che, per i meriti di Gesù Cristo, noi siamo sicuri di ottenere quello che domandiamo, e di più da una carità ardente.

1° Io dico in primo luogo, è necessario che abbiamo una fede viva. — E perché, mi direte voi? — Perché la fede è il fondamento e la base di tutte le nostre buone opere, e senza questa fede, tutte le azioni nostre, benché buone in se medesime, sono opere senza merito. Noi dobbiamo altresì essere penetrati della presenza di Dio, dinanzi al quale abbiamo la ventura di trovarci; un ammalato che una febbre violenta abbia fatto cader nel delirio e che batte la campagna, il suo spirito una volta fisso in qualche oggetto, benché nulla siavi di visibile, è tanto persuaso che egli vede o tocca, che quantunque si sforzi di persuadergli il contrario, egli non vuol crederlo. Sì, M. F., fu questa fede violenta, se oso così dire, colla quale S. Maddalena cercava il Salvatore, non avendolo trovato nella sua tomba. Ella era tanto penetrata dell’oggetto che ella cercava, che Gesù Cristo per provarla, o piuttosto non potendosi più nascondere all’amor suo che l’aveva padroneggiata, le apparve sotto la figura di un giardiniere, e le domandò perché piangesse e chi cercasse. Senza dirgli che cercava il Salvatore, esclama: “Ah! se voi l’avete preso, ditemelo, affinché vada a ripigliarlo.„ (1 Joan XX, 15) La sua fede era così viva, così ardente, se mi è lecito di così esprimermi, che quand’anche fosse stato nel seno del Padre suo, lo avrebbe costretto a discendere sopra la terra. Sì, ecco la fede della quale un Cristiano deve essere animato, quando ha la ventura di trovarsi a la presenza di Dio, affinché Dio possa nulla negargli.

2° In secondo luogo, io dico che alla fede è da aggiungere la speranza, vo’ dire, una speranza ferma e costante che Dio può e vuole concederci quello che gli domandiamo. Ne volete un modello? Eccolo. Vedete la Cananea (Matth. XV); la sua preghiera era animata da una fede così viva, da una speranza così ferma che il buon Dio poteva concederle ciò che domandava, che essa non cessò di pregare, di pressare, o se così oso di esprimermi, di fare violenza a Gesù Cristo. Si ha un bel respingerla, e dal medesimo Gesù Cristo; epperò non sapendo più a qual partito appigliarsi, si getta ai suoi piedi dicendogli per tutta preghiera: “Signore, aiutatemi! ,, e queste parole pronunciate con tanta fede incatenano la volontà di Dio medesimo. Il Salvatore tutto meravigliato esclama: O donna, la tua fede è grande! vattene, tutto ti è concesso. – Si, F. M., questa fede, questa speranza ci fanno trionfare di tutti gli ostacoli che si oppongono al nostro salvamento. Vedete la madre si S. Sinforiano; il suo figlio era tratto al martirio: “Ah! figlio mio, coraggio! Ancora un momento di pazienza, e il cielo sarà la tua ricompensa! „ Ditemi, M. F., chi sosteneva tutti i santi martiri in mezzo ai loro tormenti? Non è questa avventurosa speranza? Vedete la calma di cui godeva S. Lorenzo sopra la graticola infuocata. Chi poteva sostenerlo? — La grazia, mi direte voi. — Ciò è vero, ma questa grazia non è la speranza d’una ricompensa eterna? Vedete S. Vincenzo al quale si strappano le viscere con uncini di ferro; chi gli dà la forza di soffrire tormenti così straordinari e così spaventosi? Non è questa avventurosa speranza? Ora, M. F., chi deve muovere un Cristiano, che si mette alla presenza di Dio, a rigettare tutte quelle distrazioni che il demonio si sforza di presentargli nel tempo delle sue preghiere, ed a vincere il rispetto umano? Non è il pensiero che un Dio lo vede, che se la preghiera sua è fatta nel debito modo, egli sarà ricompensato di una felicità eterna?

3° In terzo luogo, io ho detto che la preghiera d’un Cristiano deve avere la carità, vale a dire che egli deve amare il buon Dio con tutto il suo cuore e odiare il peccato con tutte le sue forze. — E perché, mi direte voi? — Perché un Cristiano peccatore che prega, deve sempre avere il rammarico dei propri peccati e il desiderio di sempre più amare Iddio. — Sant’Agostino ne reca un esempio molto sensibile. Nel momento nel quale si recava nel giardino per pregare, egli si crede realmente alla presenza di Dio, egli spera che benché grande peccatore, Dio avrà pietà di lui; rimpiange la sua passata vita, promette al buon Dio di cangiar vita, e di fare, col soccorso della sua grazia, tutto quanto potrà per amarlo. — Infatti, in qual modo potere amar Dio e il peccato? No, M. F., no, ciò non avvenne mai. Un Cristiano che ama veramente il buon Dio, ama quello che Dio ama, odia quello che Dio odia; da ciò io inferisco che la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, non è fornita delle qualità delle quali abbiamo parlato.

II. Ora, vedrete con me che considerando la preghiera del peccatore per rapporto alle disposizioni sue, non è altra cosa che un atto ridicolo, pieno di contraddizione e di menzogna. Seguiamo un istante questo Cristiano che prega, io dico un istante, perché ordinariamente, le sue preghiere sono appena cominciate che già sono finite; ascoltiamo questo povero cieco e questo povero sordo; io dico cieco sui beni che egli perde e sui mali che egli si prepara, e sordo alla voce della propria coscienza che grida, alla voce di Dio che lo chiama. Entriamo in argomento, io sono sicuro che voi desiderate sapere che cos’è la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, né è afflitto d’aver offeso Dio. Ascoltatemi: la prima parola che pronuncia cominciando la sua preghiera è una menzogna, egli cade in contraddizione con se medesimo: « Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. „ Amico mio, fermatevi un momento. Voi dite che cominciate nel nome delle tre Persone della Ss. Trinità. Ma, voi dunque avete dimenticato che or fanno otto giorni, voi eravate in una compagnia della quale vi si diceva che quando si è morti tutto è finito, e se era vero, non esisteva né Dio, né inferno, né paradiso. Se nell’induramento vostro voi lo credete, voi non venite per pregare, ma solamente per sollazzarvi e divertirvi. — Ah! direte voi, coloro che tengono questo linguaggio sono molto rari. — Tuttavia ne occorrono tra coloro che mi ascoltano e che non lasciano qualche preghiera di tempo in tempo. Ed io vi mostrerei ancora, se il volessi, che i tre quarti di coloro che sono qui in chiesa, benché non lo dicano colla bocca, lo dicono spesso colla loro condotta e col loro modo di vivere; perché se un Cristiano pensasse veramente a quello che dice pronunciando i nomi delle tre Persone della Ss. Trinità, non sarebbe preso da spavento fino alla disperazione, considerando in lui l’immagine del Padre che ha alterato in modo spaventoso, l’immagine del Figlio che è nell’anima sua, trascinata nel fango del vizio, e l’immagine dello Spirito Santo, di cui il suo cuore è il tempio ed il tabernacolo, e che egli ha ripieno di lordure e di oscenità. Sì, M. F., queste tre parole sole, se questo peccatore avesse la conoscenza di quello che dice e di quello che egli è, potrebbe pronunciarle senza venir meno d’orrore? Ascoltate questo menzognero: “Mio Dio, io credo fermamente che voi siete qui presente, „ Ma che, voi credete di essere alla presenza di Dio dinanzi al quale gli angeli, che sono senza macchia, temono e non osano di alzare gli occhi, davanti al quale si ricoprono delle loro ali non potendo sostenere lo splendore della maestà che il cielo e la terra non possono contenere! E voi tutto coperto di peccati, voi vi trovate alla presenza sua con un ginocchio per terra e un altro levato. Osate voi aprire la bocca per lasciare uscire una tale abbominazione! Dite piuttosto che voi fate come le scimmie, che voi fate quello che vedete farsi dagli altri, o piuttosto che è un momento di divertimento che vi prendete facendo le viste di pregare. Un Cristiano che si mette alla presenza del suo Dio, che sente quello che egli dice all’autore medesimo della sua esistenza, non è compreso di spavento vedendo, da una parte, la indegnità sua di comparire davanti ad un Dio così grande e così formidabile, e dall’altra, la ingratitudine sua? Non gli sembra, ad ogni istante, che la terra si apra sotto i suoi piedi per inghiottirlo? Non si considera come sospeso tra la vita e la morte? Il suo cuore non sa ricolmarvi dei più insigni benefizi. Un’altra occupazione di questa sorta di gente, è di esaminare il modo onde sono vestite le persone e la loro avvenenza; e da ciò nascono i cattivi sguardi, i cattivi pensieri, i cattivi desideri. Or bene, direte voi che ciò non vi accade? Ciò non vi accade nel tempo stesso della celebrazione della santa Messa? Mentre che un Dio si immola alla giustizia del Padre suo per soddisfare ai vostri peccati, voi girate i vostri sguardi per vedere in qual modo una tale o un tale è vestito, e la sua avvenenza. Ciò non è la causa che fate nascere in voi medesimi un numero quasi infinito di pensieri che non dovreste avere e di cattivi desideri? Aprite dunque gli occhi, amico mio, e voi vedrete che tutto ciò che voi dite a Dio non è altra cosa che menzogna e inganno. – Proseguiamo. “Mio Dio, voi dite, io vi adoro e vi amo con tutto il mio cuore. „ Voi vi ingannate, amico mio, non bisogna dire il buon Dio, ma il vostro dio: e qual è il vostro dio? Eccolo: è quella giovane alla quale avete consacrato il cuor vostro, che vi occupa continuamente. E voi, mia sorella, qual è il vostro dio? Non è quel giovane al quale sono dirette tutte le cure vostre per piacergli, forse anche nella chiesa nella quale non dovete recarvi che per piangere i vostri peccati e domandare a Dio la conversione vostra? Non è egli vero che, mentre voi pregate, gli oggetti che voi amate occupano il vostro spirito, e si presentano dinanzi a voi per farsi adorare in luogo del vostro Dio? Non è egli vero che ora è il dio della golosità che si presenta davanti a voi per farsi adorare, pensando a ciò che mangerete quando sarete tornati a casa? O, un’altra volta, il dio della vanità, prendendo impero sopra voi medesimi, considerandovi come degni di meritarvi l’adorazione degli uomini? Sapete voi quello che voi dite a Dio? Ecco: « Signore, così voi, discendete dal vostro trono, cedetemi il vostro posto. „ Mio Dio, quale orrore e quale abbominazione! Eppure voi dite tutto ciò tutte le volte che desiderate di piacere ad alcuno. Un’altra volta è il dio dell’avarizia, dell’orgoglio o dell’impudicizia, i quali si sono presentati per farsi adorare ed amare nel luogo del vero Dio. Bramate voi che ve lo addimostri in un modo più chiaro? Ascoltatemi. Nel tempo della celebrazione della santa Messa, o durante le vostre preghiere, si presenta alla vostra mente un pensiero di odio o di vendetta; se voi amate dappiù il buon Dio che non quegli oggetti, voi li scaccerete prontamente; ma se voi non li allontanate, voi mostrate che li preferite a Dio e che li mettete nel posto di Dio medesimo nel vostro cuore per consacrarlo loro. Torna lo stesso come se diceste a Dio, quando questi pensieri si presentano alla vostra mente: “Mio Dio, uscite dalla mia presenza e lasciatemi mettere nel vostro luogo quel demone per consacrargli gli affetti del mio cuore. „ Voi non mi contenderete che non è quasi mai il buon Dio che voi adorate nelle vostre preghiere, ma ciascuna delle inclinazioni vostre, ma ciascuna delle vostre tendenze, vo’ dire, quelle passioni e null’altro. — Ciò, mi direte voi, rasenta l’esagerato. — Ciò rasenta l’esagerato, amico mio? Ora, io voglio dimostrarvi che è la verità, nella piena sua luce. Ditemi, mio fratello, o, voi, mia sorella, quando vi confessate, il vostro confessore non vi dice: “Se voi allontanate quei desideri, se voi scacciate quei pensieri, o se voi cessate da quelle perverse abitudini, se abbandonate quelle bettole, io vi darò il vostro Dio, voi avrete la ventura di riceverlo oggi nel vostro cuore? „ — “No, mio padre, gli dite, non è ancor tempo: io non mi sento il coraggio di impormi questo sacrificio, vo’ dire di abbandonare quelle danze, quei giuochi, quelle cattive compagnie. „ — Ciò non significa per avventura che voi preferite che il demonio regni nella vostra anima nel luogo del buon Dio? Il confessore dirà a quel vendicativo: “Amico mio, se voi non perdonate a quella persona che vi ha offeso, voi non potete avere la sorte di possedere il Dio dei Cristiani. „ — “No, mio padre, voi rispondete, io preferisco di non ricevere il buon Dio. „ — “Amico mio, dirà il confessore ad un avaro, se voi non restituite quei beni che non sono vostri, voi siete indegno di ricevere il vostro Dio. „ — “Io non ho l’intenzione di restituirli tosto; „ e la stessa cosa di tutti gli altri peccati. Ciò è tanto vero che, se ciò che noi amiamo apparisse visibilmente, ciascuno avrebbe dinanzi a sé un ramo dei sette peccati capitali, e Dio resterebbe per gli angeli soli. – Ma andiamo più innanzi, e noi vedremo, e udremo questo cerretano e questo Cristiano mentitore. – E dapprima vediamo la sua fede. Noi diciamo che è la fede che ci discopre la grandezza della maestà di Dio dinanzi alla quale abbiamo la ventura di trovarci; è questa fede, associata alla speranza, la quale sosteneva i martiri in mezzo ai più spaventosi tormenti. Ditemi, quel peccatore, può avere il pensiero, può credere, cominciando la sua preghiera, che essa sarà ricompensata? E che una preghiera ripiena d’ogni sorta di cose eccettuato Dio solo, una preghiera fatta vestendosi o lavorando, col cuore occupato del proprio lavoro, fors’anche da livore e da vendetta, che so io, da cattivi pensieri! Una preghiera fatta gridando e giurando contro i vostri figli o i vostri domestici! Se ciò fosse vero, non saremmo costretti di confessare che Dio ricompensa il male?

2° Io dico che il peccatore non ha la speranza facendo la sua preghiera, se non che sarà ben presto finita: ecco a che si limita tutta la sua speranza. — Ma, mi direte voi, quel peccatore, benché peccatore sia, spera pur qualche cosa? — Or bene! io credo che un peccatore nulla crede e nulla spera, perché se credesse che vi è un giudizio, e quindi un Dio che deve domandargli conto di tutti i minuti della sua vita, e questo conto si renderà nel momento al quale non si penserà; se credesse che un sol peccato mortale lo rende meritevole d’una eternità infelice; se egli ponesse mente che non una preghiera della sua vita, non un desiderio, non un’azione, non un movimento del suo cuore che non sia scritto nel libro di questo supremo giudice; se egli vedesse la sua coscienza contaminata da orribili colpe, e che forse, lui solo, ha commesso tanti peccati quanti basterebbero per condannare al fuoco una città di cento mila abitanti, potrebbe restare in questo stato? No, certamente, se egli credesse davvero, che dopo questo giudizio vi è pei peccatori un inferno eterno, di cui un solo peccato mortale sarà la causa, se egli muore in questo stato; che la collera di Dio lo opprimerà per tutto il volgere dell’eternità, e che i peccatori vi cadono a migliaia continuamente; non prenderebbe tutte le cautele per evitare una così grande sventura? Se egli credesse veramente che vi è un cielo, una felicità eterna per tutti coloro che avranno fedelmente praticato quanto la religione loro comanda, potrebbe condursi nel modo col quale si conduce? No, certamente. Se, nel momento nel quale è pronto a peccare, egli credesse che Dio lo vede, che perde il cielo e attira sopra di sé ogni sorta di mali per questa vita e per l’altra, avrebbe il coraggio di fare quello che il demonio gli inspira? No, amico mio, no, ciò gli sarebbe impossibile. Da ciò io inferisco che un Cristiano che ha peccato e che resta nel suo peccato, ha perduto completamente la fede; è un povero uomo che il demonio ha accecato, che è sospeso per un sottilissimo filo sopra un abisso spaventoso; il demonio lo impedisce, per quanto può, di vedere gli orrori che gli sono preparati. Diciamo meglio, le sue piaghe sono così profonde ed il suo male così inveterato, che egli più non sente il suo stato; è un prigioniero, condannato a perdere la vita sul patibolo, il quale si trastulla aspettando il momento dell’esecuzione; si ha bel dirgli che la sua sentenza è pronunziata, che fra poco tempo non sarà più di questo mondo; a vederlo e al modo col quale si conduce, voi direste che gli si annuncia ciò che può recargli fortuna. O  mio Dio, quanto lo stato d’un peccatore è dunque infelice! Per la speranza d’un peccatore, non è da parlarne, perché la speranza d’un bruto e la sua sono la cosa medesima; esaminate la condotta dell’uno e dell’altro, non vi corre differenza. Una bestia fa consistere tutta la sua felicità nel bere e nel mangiare e nei piaceri della carne, e voi non ne incontrerete altra nel peccatore che vive nel peccato. — Ma, mi direte voi, egli assiste alla Messa, e recita alcune preghiere. — E perché ciò? Non è né il desiderio di piacere a Dio e di salvare la propria anima che lo muove a quest’opera, è l’abitudine che ha contratta dalla sua giovinezza. Se le domeniche non venissero che tutti gli anni o tutti i dieci anni, non vi assisterebbe che tutti gli anni e ancor meno; egli lo fa perché gli altri lo fanno. Voi vedete bene al modo col quale si conduce in tutto ciò che non è altra cosa; o, per meglio farvi conoscere quello che è la speranza d’un Cristiano peccatore, io vi dico che non ha altra speranza che quella di una bestia da soma; perché noi siamo perfettamente convinti che un bruto non spera che ciò di cui può godere sopra la terra. Un peccatore indurito che non pensa né di abbandonare il piacere, né vuol uscire dal peccato, non ha altra cosa da sperare, perché dice e pensa, o almeno fa quanto può per persuadersi che tutto è finito dopo la morte. Invano, o mio Dio, voi sarete morto per questi peccatori! Ah! amico mio, credendo far mostra di spirito, tu ti avvilisci, poiché scendi al livello dei bruti e dei più vili animali.

3° Abbiamo ancor detto che la preghiera di un buon Cristiano dev’essere animata dalla carità, cioè dall’amor di Dio che lo induce ad amar Dio con tutto il suo cuore, e ad odiare, detestare grandemente il peccato come il peggiore di tutti i mali, con sincero desiderio di non più commetterlo e di combatterlo e schiacciarlo ovunque noi lo troveremo. Voi vedete che questo non può aver luogo nelle preghiere d’un peccatore che non è spiacente d’aver offeso il buon Dio, poiché io tiene inchiodato sulla croce del proprio cuore, fintanto che il peccato vi regna. Se vi garba di ascoltare per un istante ancora questo mentitore, vedetelo ed uditelo nel recitare il suo atto di contrizione. Se avete assistito alcuna volta ad una commedia, al teatro, avrete osservato che tutto quanto vi si fa e vi si dice, non è che finzione e menzogna. Or dunque! Prestate un momento l’orecchio alla preghiera di questo peccatore, e voi vedrete che non fa e non dice altra cosa; voi vedrete che tutto ciò che fa non è che finzione e menzogna. Vi sarà impossibile sentirlo recitare il suo atto di contrizione senz’essere presi da compassione: “Dio mio, incomincia egli, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore del cuor mio. „ O mio Dio, si può pronunciare tale abbominazione? Sì, non c’è dubbio, povero cieco, il Signore vede veramente i tuoi peccati, non li vede che troppo, disgraziatamente. Ma il tuo dolore dov’è? Di’ piuttosto: “Mio Dio, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore dei santi solitari nei boschi, donde trascorrono le notti a piangere i loro peccati. „ Ma per te, ben veggo che punto non ne hai. Ben lungi d’aver dolore de’ tuoi peccati non ne vorresti avere, poiché tu continui in questi, senza volerli lasciare. “Mio Dio, continua questo mentitore, io ho un estremo rammarico di avervi offeso. „ Ma è possibile pronunciare tali empietà e tali bestemmie? Se tu ne sei oltremodo spiacente, puoi rimanere un mese, due, tre, dieci o vent’anni, forse, col peccato nel cuore? Una volta ancora, se tu fossi spiacente d’aver offeso Dio, sarebbe necessario che il ministro del Signore fosse continuamente occupato a dipingere i castighi che Dio prepara al peccatore, per inspirartene l’orrore? Sarebbe necessario di trascinarti, per così dire, ai piedi del tuo Salvatore per farti abbandonare il peccato? “Perdonatemi, Dio mio – aggiunge egli – perché voi siete infinitamente buono e infinitamente amabile e che il peccato vi dispiace.„ Taci, tu non sai quel che tu ti dica. Certamente che Dio è buono; se non avesse dato ascolto che alla sua giustizia, sarebbe già da lungo tempo che tu bruceresti nell’inferno. “Mio Dio, egli dice, perdonatemi i miei peccati per i meriti della passione e morte di Gesù Cristo vostro caro Figlio. „ Ah! amico mio, tutte le sofferenze che Gesù Cristo ha avuto la carità di patire per te, non saranno capaci di toccare il tuo cuore, esso è troppo indurito. “Concedetemi la grazia – esso dice – di adempire la risoluzione che presentemente prendo di fare penitenza e di non offendervi più,,. –  Ma, caro amico, puoi tu veramente ragionare in tale maniera? Dov’è dunque questa risoluzione che tu hai presa di non più offendere il buon Dio? Poiché tu ami il peccato, e lungi dal volertene liberare, cerchi invece il luogo e le persone che te lo possono far commettere; di’ piuttosto, amico mio, che saresti ben fortunato se il buon Dio ti concedesse la grazia di non offenderlo mai più, poiché tu ti compiaci a rivoltolarti nelle lordure de’ tuoi vizi. Io credo che sarebbe molto meglio per te di nulla dire, che parlare in tal guisa. – Ma andiamo più innanzi. Noi leggiamo nel Vangelo che i soldati avendo condotto Gesù Cristo nel pretorio, ed essendosi radunati intorno ad Esso, lo spogliarono delle sue vesti, gettarono sopra le sue spalle un manto di porpora, lo coronarono di spine, lo colpirono al capo con una canna, gli diedero delle ceffate, gli sputarono in viso, e dopo tutto ciò, piegando un ginocchio davanti a Lui l’adoravano. Puossi immaginare un oltraggio più sanguinoso? Ora ciò desta la vostra meraviglia? Ecco veramente la condotta d’un Cristiano che è nel peccato e che né pensa di uscirne, né lo vuole; ed io soggiungo, che egli solo fa tutto ciò che i Giudei fecero tutti insieme, poiché S. Paolo ci dice che ad ogni peccato che noi commettiamo, noi facciamo morire il Salvatore del mondo; (Hebr. VI, 6) con altre parole, noi facciamo tutto ciò che sarebbe necessario per farlo morire, se di nuovo fosse capace di morire una seconda volta. Finché il peccato regna nel nostro cuore, noi teniamo, come i Giudei, Gesù Cristo appeso alla croce; con essi noi lo insultiamo piegando il ginocchio davanti a Lui, facendo sembiante di pregarlo. Ma, mi direte voi, non è questa la mia intenzione, quando recito la mia preghiera; Dio mi scampi da tali orrori! — Bella scusa, amico mio! Colui che commette il peccato, non ha l’intenzione di perdere la grazia; tuttavia non tralascia di perderla; è per avventura meno colpevole? No, certamente, perché egli non ignora che non può compiere tale azione o dire tal cosa senza rendersi colpevole d’un peccato mortale. Se voi vi tenete sicuri, l’intenzione di tutti i dannati, non era certamente di perdersi, per questo sono meno colpevoli? No, certamente, perché non ignoravano che si perderebbero vivendo come sono vissuti. Un peccatore che prega col peccato nel cuore non ha l’intenzione di ridersi di Gesù Cristo né di insultarlo; non è meno vero che si ride di Lui, perché non ignora che si ride di Lui quando gli si dice: Mio Dio, io vi amo, mentre si ama il peccato, o: Io mi confesserò al più presto. Ascoltate quest’ultima menzogna! Egli non pensa né a confessarsi né a convertirsi. Ma, ditemi, qual è l’intenzione vostra, quando vi recate alla chiesa, o che voi recitate ciò che chiamate vostra preghiera? — È, mi direte voi forse, se pure usate il dirlo, di compiere un atto di rendere a Dio religione, la gloria che gli sono davanti. Oh orrore! Oh accecamento! Oh empietà voler onorar Dio con delle menzogne, con altre parole volerlo onorare con ciò che lo oltraggia! Oh abominazione! Avere Gesù Cristo sulle labbra e tenerlo crocifisso nel proprio cuore, associare ciò che vi ha di più santo con ciò che v’ha di più detestabile, che è il servizio del demonio! oh! quale orrore! offrire a Dio un’anima che si è già mille volte prostituita al demonio! O mio Dio! Quanto il peccatore è cieco, e tanto più cieco che non conosce se stesso, e non cerca di conoscersi! – Non aveva io ragione cominciando, di dirvi che la preghiera d’un peccatore non è altra cosa che un tessuto di menzogne e di contraddizioni? Ciò è tanto vero che lo Spirito Santo medesimo dice che la preghiera d’un peccatore che non vuole uscire dal peccato è in esecrazione agli occhi del Signore (Prov. XXVIII, 9) — Questo stato, direte voi con me, è orribile e degno di compassione. — Ora, vedete come il peccato vi accechi! tuttavolta, lo dico senza timore di esagerare, almeno la metà di coloro che sono qui, che mi ascoltano in questa chiesa, sono di questo numero. Non è egli vero che ciò non vi commuove, o piuttosto vi reca noia e vi fa parer lungo il tempo? Ecco, mio amico, l’abisso spaventoso al quale trascina il peccato un peccatore. Dapprima, voi sapete che sono sei mesi, un anno o più che siete nel peccato, eppure siete tranquillo? — Eh sì, mi direte voi. — Ciò non è difficile a credere, perché il peccato vi ha offuscati gli occhi; voi non vedete più nulla, ha indurato il vostro cuore affinché più nulla sentiate, ed io sono come sicuro che tutto ciò che vi ho detto non vi muoverà a fare qualche riflessione. O mio Dio, a quale abisso conduce il peccato! – Ma, mi direte voi, non devesi più pregare, perché le nostre preghiere non sono che insulti fatti a Dio? — Non è questo che io ho voluto dirvi mostrando che le vostre preghiere non erano che menzogne. Ma, invece di dire: Mio Dio, io vi amo, dite: Mio Dio, io non vi amo, ma concedetemi la grazia di amarvi. Invece di dirgli: Mio Dio, io ho un grande rammarico di avervi offeso, ditegli: Mio Dio, io non provo alcun rammarico dei miei peccati, concedetemi tutto il dolore che devo sentirne. – Lontano da voi il dire: Io voglio confessarmi dei miei peccati, ditegli piuttosto: Mio Dio, io mi sono affezionato ai miei peccati, parmi che non vorrei mai abbandonarli; concedetemi questo orrore che devo sentirne, affinché io li aborri, li detesti e li confessi, onde mai più ricadervi. O mio Dio, concedetemi, se è la volontà vostra, questo orrore eterno del peccato, perché è il nemico vostro, ed è lui che vi ha fatto morire, che ci toglie l’amicizia vostra, e ci separa da Voi! Ah! fate divin Salvatore, che tutte le volte che verremo a pregarvi, lo facciamo con un cuore staccato dal peccato, con un cuore che vi ama, e che in ciò che vi dirà, non dica che la verità! E la grazia che vi desidero.

LO SCUDO DELLA FEDE (144)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (12)

FIRENZE

DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE XIII

Il Canone della Santa Scrittura. — Se sieno o no divini i libri del Canone Cattolico, detti Deuterocanonici.— Perché rigettati sieno dai protestanti.

67. Prot. Se ho commesso grave errore rigettando la Tradizione, non erro al certo se costantemente rigetto come apocrifi certi libri che la Cattolica Chiesa ammette e spaccia per divini, sotto lo specioso nome di Deuterocanonici. Questi sono, riguardo al Vecchio Testamento, i Libri   di Baruc, di Tobia, di Giuditta, della Sapienza, dell’Ecclesiastico, il primo e il secondo dei Maccabei. Oltre a ciò: gli ultimi sei capitoli del libro di Ester, il Cantico dei tre fanciulli, in Daniele, i due ultimi capitoti attribuiti a questo Profeta, contenenti la storia di Susanna, e quella di Bel, e del dragone. Riguardo poi al Nuovo Testamento, rigetto l’Epistola, detta, di S. Paolo agli Ebrei, la seconda di S. Pietro, quelle di S. Giacomo e di S. Giuda, la seconda e la terza di Giovanni, l’Apocalisse, gli ultimi dodici versetti dell’ultimo capitolo di S. Marco, la storia del sudore di sangue in S. Luca – XXII. 43, 44. – e la storia della donna adultera, in S. Giovanni. VIII, 3. 12 – [I Deuterocanonici del Vecchio Testamento furono rigettati da tutti i protestanti: quelli del Nuovo sono ammessi dai Calvinisti.]. Io dunque giustamente li rigetto come apocrifi, perché quelli assegnati al Vecchio Testamento non furono ammessi da Esdra nel Canone dei Libri divini da esso composto; e quelli del Testamento Nuovo non furono come divini riconosciuti dalla più gran parte delle Chiese nei primi secoli dell’era cristiana. Oh!. qui poi ho certamente ragione.

Bibbia. Tu erri grandemente:

1.° Perché, riguardo al Vecchio Testamento, non è noto che Esdra abbia composto il Canone dei Libri Santi, e però se non hai altro appoggio, sei per lo meno incerto della loro autenticità, e quindi neppur uno ne puoi ricevere per divino.

2.° Perché, anche ciò ammesso, se altro appoggio non vi fosse, rigettar dovresti come apricrifi anche di quelli che ammetti come divini; cioè il Libro di Neemìa. la Profezia di Malachia, il primo e il secondo dei Paralipomeni, i quali essendo stati scritti dopo la morte di Esdra in verun modo possono appartenere al suo Canone. Infatti, Neemia parla – [XII. 22.-1] di cose avvenute dopo la morte di Esdra: Malachia parla del culto negletto dei sacrifici per parte dei sacerdoti e del popolo; il che suppone la completa restaurazione del tempio, la quale non si effettuò durante la vita di Esdra. Nel primo dei Paralipomeni – Cap. 3 – si trova la genealogia dei discendenti di Zorobabele per dieci successive generazioni, cioè sino a circa trecento anni dopo la morte di Esdra. Pertanto, la vera ragione per cui quei libri non furono posti nel sacro Canone della Sinagoga, a cui ciò apparteneva,  non fu perché non fossero divini, ma perché dopo la morte di Malachia restò interrotta la successione dei Profeti, senza dei quali nulla faceva d’importante; come è noto dal fatto di Giuda Maccabeo, il quale, tuttoché Sommo Pontefice, non osò disporre delle pietre dell’altare profanato dai Gentili, perché mancava un Profeta. « E ne ripose le pietre sul monte del tempio in luogo  conveniente, persino a tanto che venisse un profeta, e decidesse in quel che si avesse da fare. » [I.° de Macc. IV, 46.- Ciò attesta anche Giuseppe Ebreo, dicendo : – Lìb. 1, cont. Apion. – I Talmudisti in molti luoghi citano testi di essi libri come di divina autorità; dal che è manifesto che anche i Giudei li riguardano come divini, quantunque non apposti ancora nel loro Canone,]

68. Prot. Non mi appoggio alla sola autorità di Esdra per discernere i libri divini dagli apocrifi, ma posseggo varie altre regole, o criteri di verità che mi conducono infallibilmente al mio intento, tanto per riguardo al Testamento Vecchio che al Nuovo. E parlandosi del primo, ho per regola principale che riguardar si debbano come libri divini quelli soltanto che nel secondo citati sono da Gesù Cristo, o dagli Apostoli, o che almeno fanno ad essi manifesta allusione.

Bibbia. Non può dubitarsi che siano divini i libri citati da Gesù Cristo e dagli Apostoli; e però non puoi ricusare di riconoscer per tali la Sapienza, citata .- XIII, I. – da S. Paolo – Rom. I . 20, –

2.° L’Ecclesiastico, citato – XI, 49. – da S. Luca – XII. 19. – citato – XIV, 48. – XLII, 4. da S. Giacomo – I. 2, II. 1.-

3.° il primo e il secondo de’ Maccabei, citati, il primo – Il. 39. – il secondo – V, VI, VII. – da S. Paolo – Ebr, XI, – 34, 35, 36. – È poi falsissimo non sieno divini i non citati. Se ciò vero è dovresti come apocrifi non pochi di quelli che anche tu ammetti per divini. Infatti, nel Nuovo Testamento in verun modo citati sono i libri dei Giudici, di Ruth, il 1.° de’ Re, i due dei Paralipomeni, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, quelli di Esdra e di Neemia, di Abdia, di Sofonia; né la parte protocanonica di quello di Ester.

69. Prot. Anche qui ho dato in fallo; ma credo certamente sicurissime le altre mie regole, cioè. – La sensazione interna degli effetti dello Spirito Santo, che sperimentasi nella lettura dei libri santi: la convinzione dell’utilità di tali scritti per migliorare il cuore, etc. L’eccitamento interiore a sentimenti di pietà: ed una certa sensazione, o sapore interno, che molto diletta; etc.

Bibbia. Tutte queste tue regole non sono che ciance e illusioni. Per discernere con sicurezza i libri divini dagli apocrifi è la decisione di un’autorità infallibile, stabilita a ciò dal Signore, né vi è altro mezzo che questo. Tale autorità fu data, nel Vecchio Testamento, alla Sinagoga, e nel Nuovo è concessa a che siede sulla Cattedra di S. Pietro, essendo infallibili, col Concilio o senza, le sue decisioni, come già si è veduto. Onde a nulla vale la pratica delle chiese particolari, a cui ti appoggi, se pure è vero ciò che mi hai detto, del che molto dubito; perché al solo Pietro e suoi successori appartiene, in tutto, il governo supremo, l’Autorità innappellabile sull’Ovile di Cristo.

70. Prot. Come! Come! Appartiene al Papa anche il decidere quanti siano o no i Libri Santi! Dove ciò trovasi scritto? Oh! è vero che ho convenuto con voi che il Papa è infallibile, ma ciò nonostante, questa non la posso inghiottire, non ve la passo, se non me lo dimostrate con testi chiari, lampanti.

Bibbia. Ti contenterò: ascolta. « Vi sono alcuni che vi conturbano, e vogliono capivoltare il Vangelo di Cristo…. Or vi fo sapere, o fratelli, come il Vangelo, che è stato evangelizzato da me non è cosa umana: imperocché non l’ho ricevuto, nè l’ho imparato da uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo. » [Gal. I, 7] . – « Andai di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, preso meco anche Tito. E vi andai per rivelazione: e conferii con quelli il Vangelo che io predico tra le nazioni, e distintamente con quelli che erano in grande autorità; affinché io non corressi o avessi corso senza frutto…. cioè a dire per riguardo di que’ falsi fratelli, i quali si erano intrusi ad esplorare la nostra liberta, che abbiamo in Cristo Gesù…. Ai quali non cedemmo neppure un momento;… affinché rimanesse presso di voi la verità del Vangelo…. E avendo riconosciuto la grazia conceduta a me, Giacomo e Cefa e Giovanni, che eran riputati le colonne, porsero le destre di confederazione a me, etc. » -[ivi, 1, 2 e segg.].

« Osserva bene questo fatto. Il Vangelo predicato, a voce e in iscritto da S. Paolo, essendogli stato rivelato da Gesù Cristo, era incontestabilmente parola di Dio. Pure dubitandone non pochi fedeli, per le mene inique dei fasi fratelli, per turare a questi la bocca, ed assicurarne i buoni, e così non correre senza frutto, gli fa d’uopo di andare a Gerusalemme, e per divina rivelazione, ossia gli fu d’uopo ricorrere per divino comando ossia all’autorità di quella Chiesa ove era Pietro con altri Apostoli, e conferire con essi il suo Vangelo, e riportarne ai fedeli l’autentica approvazione, il che fece, riferendola loro con queste parole: «.Avendo riconosciuto la grazia concessa a me Giacomo e Cefa e Giovanni,… porsero le destre, etc. » E siccome ciò nonostante, attesa la pubblicità dei fatti, e l’importanza di tale affare, era necessaria una decisione solenne obbligatoria per tutta la Chiesa, S. Pietro e non altri, è quegli che autenticamente dichiara che tutti gli scritti di Paolo sono parola di Dio; e ne spedisce a tutti i fedeli la inappellabile decisione concepita in queste parole. « La benignità del Signor nostro tenete in luogo di salute: conforme anche il carissimo nostro fratello Paolo PER LA SAPIENZA A LUI DATA vi scrisse, come anche in tutte le altre epistole, nelle quali parla di queste cose etc. » [II di Piet. III, 15, 16] Ora ne sei persuaso?

71. Prot. Sì certamente. Udite adesso i genuini miei sentimenti. – « Qualunque sieno le cause accidentali che hanno impedito di aggiunger nuovi libri al Canone di Esdra,… a me pare che la Sinagoga di Giudea, tal quale era divenuta, sola non era più competente su questo soggetto, e che la CHIESA CRISTIANA, LA QUALE LE SUCCEDEVA, EBBE PERCIÒ QUESTA COMPETENZA, nel modo stesso che la Sinagoga dei tempi di Esdra era stata giudice degli scritti anteriori anche di più secoli. Or noi abbiamo veduto qual caso hanno fatto i Dottori della Chiesa primitiva dei libri che noi riguardiamo adesso come apocrifi, ed inoltre veduto abbiamo che gli Apostoli frequentemente fanno allusione ad essi anche allorquando non gli nominano, com’eglino neppur nominano tutti i libri dell’Antico Testamento, che citano. » [Mouliniè, pastore di Ginevra: Notices des livres apocryphes de l’ancien Testament: Genève 1828, Introduction, p. 7.]

« Quanto alla sensazione interna, o sapore, io debbo confessare che giammai l’ho provata, e quelli che la provano non sono degni d’invidia, né più vicini alla verità; dappoiché i Maomettani la provano egualmente che i Cristiani: e siccome questa sensazione interna è la sola prova sulla quale Maometto ha fondata la sua religione, che tante migliaia di uomini hanno adottata, così dobbiamo conchiudere che essa è ingannevole. L’altro carattere è ugualmente insufficiente: poiché dei pietosi sentimenti possono essere eccitati per mezzo di opere puramente umane, per mezzo di scritti di filosofi, ed anche per mezzo di dottrine fondate sull’errore.

La sensazione interiore degli effetti dello Spirito Santo, è la convinzione dell’utilità di tali scritti per migliorare il cuore, e purificarci; sono criteri non meno incerti dei precedenti. » [Michaelis, Introd. ou Nouveau Test, quatr. edit., Genève 1822, T. 1 part. I. chap. 3. seri. 2, p. 213.].

« Come può per tal modo un protestante provare ad uno che il nieghi, esser canonica, per esempio, l’Epistola di S. Giacomo? A quest’angustia è dunque ridotta la cosa, o di affermare che noi conosciamo di esser ella autentica con la stessa testimonianza dello Spirito Santo, nei nostri cuori, con cui venne scritta, ovvero di far ritorno a Roma dicendo, che per la Tradizione conosciamo averla la Chiesa ricevuta nel Canone, e che la Chiesa è infallibile. Chi il può trovi una via di mezzo. » [Rob. Barclay, Op. Theologìæ vere Christianæ: edict. 2, I.ond. 1720. p. 67]. « Non dubito dire che tutti i colpi, che vibrare si vogliono contro i libri (detti) apocrifi, possono esser diretti con successo dagli increduli contro il Canone Sacro (ammesso anche dai protestanti) e servire a sconquassare l’edilizio della Chiesa. » [Mouliniè luog. Cit.] – « Non parlo per incriminare alcuno, ma per dimostrare che deve ciascuno diportarsi da equo giudice di questi libri (detti) apocrifi, onde non succeda lo stesso, in pena comune, a tutto il Codice Sacro. » [Reus, Dissert. pol. de libris V. Test, apocryphis, perperam plebi negatis, p, 13.] Eccovi i veri miei sentimenti; né questi sono soltanto  di adesso. Bibbia. Se non sono soltanto di adesso, perché rigettasti que’ libri?

72. Prot. «Perché certi passi fecero credere che la dottrina di questi libri non era punto conforme all’analogia della fede, e ripassando ancora tutte le obbiezioni che si era veduto opporsi alla loro canonicità, se ne concluse la soppressione di tutti. » [Mouliniè: luog. Cit.]

Bibbia. Che ti vergogni a dir tutta la verità? Spiegati meglio.

Prot. « Si dilungarono i protestanti suspicando, e per non poco tempo, da questi libri (del V. Test.), perciocché da un pregiudizio dogmatico erano miseramente illusi. Nondimeno devesi attribuire a gran ventura che dalla Sinodo d’Ippone Reggio nell’anno 393. e dal Concilio III. di Cartagine nel 397, i Libri apocrifi, di cui abbiamo parlato, sono stati accettati, e formalmente ricevuti nel Canone dell’Antico Testamento, e quel che più monta, confermati e mantenuti come parte integrante del medesimo, da Papa Innocenzo I, l’anno di nostra salute 403, da Papa Gelasio nel 494. Ciononostante, i Riformatori del secolo XVI, vollero di nuovo tor via i libri, così chiamati, apocrifi dal Canone. Eglino si ridussero a tal passo, siccome per noi fu detto, per ragione di dogmi. »[Berthold, Introduzione istorico-critìea a tutti i libri canonici, e apocrifi dell’antico e del nuoto Testamento, 1812, T. 1, p. 263.]  Vi parlerò anche più chiaro. « La nostra Chiesa continua a non ammettere come libri divini, gli apocrifi (deuterocanonici) solo per aver la Chiesa Romano-Cattolica attinto da questi gli argomenti, onde provare alcuni suoi dogmi, a mò di esempio, la Messa ed il Purgatorio » [Brestschneider, Compendio della dogmatica della Chiesa Evangelico-luterana, l823, T. 1, p. 126]. Tra gli altri « Lutero ed i suoi seguaci…. cancellarono dalla loro Bibbia l’Epistola di S. Giacomo, perché essa raccomanda le buone opere, ed insiste sulla loro necessità; la quale Epistola; Lutero la chiama l’Epistola straminea? » [Cobbet, Storia della Riforma protestante, etc; Lett. XI, § 328.]

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’INFERNO DEI CRISTIANI

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sull’inferno dei Cristiani.

Ibi erit fletus et stridor dentium.

E lì sarà pianto e stridor di denti

(MATTH. VIII, 12).

Noi leggiamo nel Vangelo che, entrato il Salvatore in Cafarnao, un centurione si recò a trovarlo, dicendogli: “Signore, il mio servo è ammalato nella mia casa, d’una paralisi della quale soffre molto. „ — “Or bene! gli disse questo buon Salvatore, verrò e lo guarirò. „ — “Ah! mio Signore, gli disse il centurione, io non son degno che Voi entriate nella mia casa; ma dite solamente una parola, e il mio servo sarà guarito. Perché io che sono soggetto ad altri, tuttavia ho sotto di me dei soldati, io dico all’uno: Andate là, ed egli va; ad un altro: Venite qui, ed egli viene; e al mio servo: Fate questo, ed egli lo fa. „ – Gesù avendolo sentito a parlare in tal modo fu vinto di ammirazione, e disse a coloro che lo seguivano: « In verità io vi dico che non ho trovato una fede così viva in tutto Israele. Per questo io vi dichiaro che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e saranno collocati con Abramo e Giacobbe, nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, dove è pianto e stridor di denti. „ – Chi è di noi, M. F., il quale per poco penetrasse il senso di queste parole non si sentirebbe costretto da spavento, pensando che sono veramente i cattivi Cristiani, che sono quegli infelici che saranno scacciati dal regno dei cieli e gettati nelle tenebre esteriori, con altre parole, nell’inferno, dove vi sarà pianto e stridor di denti; mentre che idolatri e pagani, che non hanno mai avuto la sorte di conoscere Gesù Cristo apriranno gli occhi dell’anima, abbandoneranno la via della perdizione, verranno a schierarsi nel seno della Chiesa, e ad occupare il posto che quei cattivi Cristiani hanno perduto col disprezzo delle grazie che hanno ricevute? Non è tutto. I Cristiani dannati soffriranno nell’inferno tormenti infinitamente più rigorosi degli infedeli. Perché questi stranieri in parte saranno dannati perché non hanno mai udito parlare di Gesù Cristo e della sua religione; essi sono vissuti e sono morti nell’ignoranza; mentre i Cristiani hanno veduto dall’età della ragione, la face della fede brillare dinanzi a loro come uno splendido sole ed hanno ricevuto dei lumi più che bastevoli per conoscere quello di cui erano tenuti verso Dio, verso il prossimo e verso se medesimi. O inferno dei Cristiani, quanto sarai terribile e rigoroso! Ma io vi dico, e potrete udirlo senza fremere? Che quanto il cielo è lontano dalla terra, altrettanto l’inferno degli infedeli sarà lontano da quello dei Cristiani. Se bramate saperne la ragione, eccola. Se Dio è giusto, come non possiamo dubitarne, Egli deve punire un’anima nell’inferno in proporzione delle grazie che ha ricevute e disprezzate, delle conoscenze che aveva per servir Dio. Posto ciò, è dunque giusto che un Cristiano dannato soffra infinitamente più di un infedele nell’inferno, perché  le grazie, i mezzi per salvarsi erano infinitamente più grandi. Per farci sentire, M. F., la necessità di approfittare delle grazie che riceviamo nella nostra santa religione, io imprendo a dimostrarvi quanto un Cristiano dannato sarà più tormentato di un infedele. Per farvi comprendere, M. F., la grandezza dei tormenti che sono riservati ai cattivi Cristiani, sarebbe necessario essere Dio medesimo, perché Egli solo lo comprende, e i dannati soli lo sentono, perché Dio è infinito nelle sue punizioni come nelle sue ricompense. Quando il buon Dio mi concedesse il potere di trascinare qui, al mio posto, un infame Giuda il quale ha commesso un orribile sacrilegio comunicandosi indegnamente e vendendo il suo divin Maestro, ciò che fanno spesse volte i cattivi Cristiani colle loro confessioni e comunioni indegne, il solo suo grido sarebbe: Oh! io soffro! Triste linguaggio che non può esprimere né la grandezza, né la lunghezza dei loro patimenti! O inferno dei Cristiani quanto sarai terribile! poiché Gesù Cristo sembra esaurire la sua potenza, la sua collera e il suo furore per far soffrire questi cattivi Cristiani. O mio Dio, si può mai pensarvi, sentirsi di questo numero e vivere tranquilli! Mio Dio, quale sciagura può paragonarsi con quella di questi Cristiani! — Ma, mi direte voi, ammesso ciò sembrerebbe che vi sieno parecchi inferni. — Ora, io vi dirò che, se i patimenti e le pene dei dannati fossero le medesime, Dio non sarebbe giusto. Dico di più, che vi sono altrettanti inferni quanti sono i dannati, e che i loro patimenti sono grandi in proporzione della grandezza e del numero dei peccati che hanno commessi e delle grazie che hanno disprezzate. Dio, che è onnipotente, ci rende sensibili alle nostre sventure, a grado che il male che abbiamo commesso è grave. Accade dei dannati come dei santi. Questi sono felici, è vero; tuttavia ne occorrono alcuni che sono maggiormente elevati in gloria, e questo, giusta le penitenze e le altre buone opere che hanno praticato nel corso della loro vita. Corre la stessa cosa dei dannati: essi sono tutti infelici, tutti privi della vista di Dio, ciò che costituisce la più grande di tutte le sciagure; perché se un dannato avesse la sorte di vedere il buon Dio, una volta, ogni mille anni, e ciò per cinque minuti, il suo inferno cesserebbe di essere un inferno. Sì, M. F., il buon Dio ci renderà sensibili a questa privazione ed agli altri tormenti, giusta il numero, la grandezza e la malizia dei peccati che avremo commessi. Ditemi, M. F., possiamo noi udire senza fremere il linguaggio di quegli empi che vi dicono che essi amano di essere dannati tanto per molto come per poco? Ah! infelici, voi non avete mai posto mente che maggiormente i vostri peccati saranno moltiplicati e saranno commessi con più grande malizia, maggiormente soffrirete nell’inferno? Da ciò io inferisco, M. F., che i Cristiani che hanno peccato con maggior conoscenza, che sono stati tante volte obbligati di fare violenza a se stessi per soffocare i rimorsi della loro coscienza, che hanno disprezzato tutte queste sante inspirazioni e tutti questi buoni desideri che Dio ha loro dato, sono maggiormente colpevoli; dunque è ben giusto, io dico, che la giustizia di Dio si faccia sentire più rigorosamente sopra di essi che non su quei poveri infedeli che hanno peccato, in parte, senza conoscere il male che commettevano e Colui che essi oltraggiavano, senza conoscere la bontà e l’amore di un Dio verso le creature sue. Se gli idolatri, ci dicono i santi, sono dannati per aver trasgredito le leggi di Dio che non conoscevano, delle leggi che non hanno conosciute, (S. Paolo – Rom. II, 14, 15 – scrive che i gentili che non hanno altra legge che la legge naturale, sono legge a se medesimi; essi non sono adunque senza legge, né scusabili quando la trasgrediscono, commettendo il male, quale sarà dunque la punizione dei Cristiani i quali conoscono il male che commettono, i doveri che devono compiere? Che comprendono quanto oltraggiano Dio, che non ignorano i mali che si preparano per l’eternità; e che nonostante ciò, non omettono di peccare? No, no, M. F., la potenza e la collera di Dio, sembrano non essere abbastanza grandi né l’eternità abbastanza lunga per punire questi infelici. Sì, M. F., parmi vedere quelle fiamme accese dalla giustizia di Dio rifiutarsi di far soffrire queste pene agli idolatri e lanciarsi con un furore spaventevole sopra questi infelici Cristiani riprovati. Infatti, chi non sarebbe tocco di compassione vedendo ardere queste nazioni straniere? Ah! devono esse esclamare dal mezzo delle fiamme che le divorano: Mio Dio, perché ci avete gettati in questi abissi di fuoco? Noi ignoravamo quello che bisognava fare per amarvi. Se noi vi abbiamo oltraggiato, è perché non vi conoscevamo. Ah! Signore, se a noi fosse stato  detto, come ai Cristiani, tutto quello che avete operato per noi, come ci avete amati, ah! no, mai non avremmo avuto la sventura di offendervi. – Ah! parmi di vedere Gesù Cristo turarsi le orecchie per non udire le grida di quegli infelici. No, M. F., Gesù Cristo è troppo buono per non lasciarsi commuovere. Se non ci avesse detto, senza il battesimo e fuori della Chiesa, non possiamo sperare il cielo, potremmo credere che queste povere anime siano dannate senza aver saputo quello che bisognavo fare per salvarsi? No, M. F., parmi che Gesù Cristo non può volgere gli occhi su questi sventurati senza essere tocco di compassione. Ma che si consolino nella loro sventura; i mali che soffriranno saranno infinitamente meno rigorosi che quelli dei Cristiani. Mio Dio! potrà dire ciascuna di esse, perché mi avete gettata in questo fuoco? – Ma, dall’altra parte, ascoltate le grida, gli urli dei Cristiani dannati. Ah! quanto io soffro! Io non veggo, io non tocco, io non sento che fuoco. Ah! se io sono dannato è per colpa mia, io non ignoravo tutto ciò che bisognava operare per salvarmi, e aveva tutti i mezzi più che necessari per ciò. Ah! peccando, io sapeva benissimo, che perdeva il mio Dio, la mia anima e il cielo, e che mi condannava per sempre ad ardere nell’inferno! Ah! sciagurato! Io sono punito perché l’ho voluto. Il buon Dio che tante volte mi ha offerto il suo perdono e tutte le grazie che mi abbisognavano per questo, il buon Dio che mi incalzava coi rimorsi di coscienza che mi straziavano e che sembravano costringermi a uscire dal peccato, ed io non l’ho voluto e sono dannato! Io non mi sono giovato di tutti i lumi che questa bella religione mi forniva, che per peccare con maggior malizia. Sì, mio Dio, dirà quel Cristiano per tutta l’eternità, punitemi, è giusto, perché se voi vi siete incarnato, se voi avete sofferto tante umiliazioni, tanti tormenti, una morte così dolorosa e ignominiosa, non era che per muovermi ad operare il salvamento dell’ anima mia. Tutta questa bella religione che avete stabilito, nella quale versate con tanta copia le vostre grazie per i peccatori, non era che per il mio salvamento; sì, mio Dio, io non ignorava tutto ciò. – Sì, M. F., un Cristiano dannato avrà, per il volgere dell’eternità, dinanzi agli occhi, tutti i buoni pensieri, tutti i buoni desideri, tutte le buone opere che avrebbe potuto praticare e che ha omesso, tutti i sacramenti che non ha ricevuto e che poteva ricevere, tutte le preghiere tralasciate, tutte le Messe che ha mal ascoltate e alle quali avrebbe potuto assistere come si conviene, ciò che lo avrebbe grandemente aiutato a salvare l’anima sua. Sì, M. F., questo cattivo Cristiano si ricorderà tutte le istruzioni che non ha ascoltate o che ha disprezzate, e colle quali avrebbe potuto conoscere i doveri suoi. Ah! diciamo meglio, M. F., tutti questi ricordi saranno come altrettanti carnefici che lo strazieranno. – Or bene, M. F., di tutto ciò, il buon Dio avrà nulla da rimproverare ai poveri idolatri. No, essi non sapevano che volesse significare pensare al buon Dio, amarlo, né i mezzi a cui appigliarsi per andare al cielo; ciò che ha fatto dire a parecchi santi che tutto ciò che il buon Dio poteva inventare per far soffrire i Cristiani dannati non sarà troppo rigoroso per essi, perché conoscevano quello che bisognava fare per andare al cielo e piacere a Dio. Vedete, M. F , se non è giusto che noi soffriamo nell’altra vita più dei pagani. Ascoltate con quale malizia il Cristiano pecca sopra la terra, con quale audacia si ribella contro Dio. Sì, o Signore – egli dice – io so che voi siete il mio Dio, il mio creatore, che avete sofferto, che siete morto per me, che mi avete amato più di voi stesso, che non cessate di chiamarmi a voi colla grazia vostra, coi rimorsi di coscienza e colla voce dei miei pastori; or bene! io mi rido di voi e di tutte le vostre grazie. Voi mi avete imposto dei comandamenti che intendete sieno osservati colla minaccia dei castighi più rigorosi: io mi rido di voi e dei comandamenti vostri, e delle vostre minacce. Voi mi avete dato tutti i lumi necessari per comprendere tutta la bellezza della nostra santa religione e la felicità che ci procura: or bene! io farò tutto l’opposto di quello che essa mi comanda. Voi mi minacciate che se resto nel peccato perirò in esso: io è precisamente per questo che non voglio uscirne. Io so benissimo che voi avete istituito dei sacramenti coi quali noi possiamo francarci dalla sua tirannia: e non solamente io non voglio approfittarne, ma io voglio di giunta disprezzare e schernire coloro che vi ricorreranno, per muoverli ad operare come io opero. Io so che voi siete realmente presente nel sacramento adorabile dell’Eucaristia, ciò che dovrebbe indurmi a non presentarmi davanti a Voi che con un grande rispetto e un santo tremore, segnatamente essendo un peccatore quale sono: non ostante ciò, io voglio recarmi nelle vostre chiese e ai piedi dei vostri altari per disprezzarvi e ridermi di voi col mio poco rispetto e la mia poca modestia. – Sì, dirà quella giovane mondana e perduta, io voglio co’ miei abbigliamenti e col mio fare seducente rapirvi l’onore che vi si tributa: io prenderò tutti i mezzi per rapirvi i cuori; io mi studierò di accendere nei cuori, coi miei modi infornali, i fuochi impuri che ve li renderanno un oggetto di orrore. Voi volete amarmi? Io farò quanto potrò per disprezzarvi. Voi mi dite che io sarò felice, se lo voglio, per tutta l’eternità, se vi servo fedelmente; ma che se faccio l’opposto, voi mi getterete negli abissi, nei quali mi farete patire mali senza fine: io mi rido dell’uno e dell’altro. Ma, pensate voi, noi non diciamo ciò peccando; noi pecchiamo, è vero, ma non teniamo questo linguaggio. — Mio amico, le vostre azioni lo dicono, tutte le volte che voi peccate, conoscendo il male che commettete. Ne dubitate forse? Ditemi, quando lavorate il santo giorno della domenica, o che mangiate di grasso noi giorni proibiti, quando giurate, o quando pronunciate parole sconce, voi sapete benissimo che oltraggiate il buon Dio, che voi perdete l’anima vostra e il cielo, e che vi preparate un inferno. Voi sapete benissimo che essendo nel peccato, se voi non avete ricorso al sacramento della penitenza, voi non sarete giammai salvi. Andate, peccatori inveterati, indurati, andate, fango d’iniquità, le nazioni straniere vi aspettano per mostrarvi che, se voi avete commesso il male, voi lo sapevate benissimo. Posto ciò, è dunque giusto che un Cristiano che pecca con tanta conoscenza e con tanta malizia, sia punito più rigorosamente nell’altra vita d’un infedele il quale ha peccato, per così dire, senza sapere che commetteva il male. Ditemi, M. P., tenete voi in nessun conto tutti questi benefizi dei quali il buon Dio vi ha favoriti a preferenza dei pagani, e che voi avete disprezzati? Ah! M. P., quanto i tormenti che il buon Dio prepara ai cattivi Cristiani sono spaventosi! Possiamo noi udire senza fremere quello che ci dice S. Agostino, che occorrono dei Cristiani i quali, soli, nell’inferno, soffriranno più che nazioni intere di pagani, perché, così egli, occorrono dei Cristiani che hanno ricevuto soli delle grazie che non nazioni intere di idolatri. No, miei figli, ci dice S. Giovanni Crisostomo, i peccati dei Cristiani non sono più peccati, ma sacrilegi dei più orribili, in confronto dei peccati degli idolatri. No, no, cattivi Cristiani, dice loro, non è più questione di peccati, per voi, ma di sacrilegi i più orribili. – Ma, voi pensate, ciò è molto grave! — M. F., ne bramate la prova? Eccola: che cos’è un sacrilegio? — È, mi direte voi, la profanazione di una cosa santa, consacrata a Dio, come sono le nostre chiese, le quali sono destinate alla preghiera; è una profanazione, quando ci rechiamo senza rispetto, senza modestia, che parliamo, ridiamo o dormiamo. È, mi direte voi, la profanazione d’un ciborio destinato a contenere Gesù Cristo sotto le specie del pane, o d’un calice, che è santificato dal contatto del corpo adorabile di Gesù Cristo e del suo sangue prezioso. — Ora, ci dice S. Giovanni Crisostomo, i nostri corpi sono tutto questo per il santo battesimo. Lo Spirito Santo ne fa il suo tempio colla santa comunione; i nostri cuori sono somiglianti ad un ciborio che contiene Gesù Cristo: “Le nostre membra non sono le membra di Gesù Cristo? „ (I Cor. VI, 15) La carne di Gesù Cristo non si mescola alla nostra carne? Il suo sangue adorabile non fluisce nelle nostre vene? Ah! sventurati, abbiamo noi mai fatto queste riflessioni, che, ogni volta che pecchiamo, commettiamo una profanazione ed un sacrilegio orribile? No, no, mai vi abbiamo posto mente, e se prima di peccare ne fossimo stati convinti, ci sarebbe stato impossibile il peccare. Ah! mio Dio, come il Cristiano conosce poco quello che fa peccando! Ma, mi direte voi, se tutti questi peccati i quali sono così comuni nel mondo, sono profanazioni e sacrilegi così ingiuriosi al buon Dio, qual nome dare a quello che chiamiamo sacrilegio, e che commettiamo quando nascondiamo i nostri peccati o li camuffiamo per timore o per vergogna confessandoci? — Ah! M. F., possiamo noi fermarci, senza venir meno di orrore, al pensiero di un tal peccato, che getta la desolazione nel cielo e sopra la terra! Ah! un Cristiano può spingere il furore suo sino ad un tale eccesso, contro il suo buon Dio e il Salvatore suo? Un Cristiano che avesse commesso un solo sacrilegio in vita sua, potrebbe ancor vivere? Ah! no, non vi sono parole, né espressioni per rappresentarci la grandezza, la laidezza d’un tal mostro. Un Cristiano, io dico, il quale, nel tribunale della penitenza, in cui un Dio ha spinto la grandezza della sua misericordia oltre i limiti che gli angeli stessi non potranno mai comprendere: ah! che dico? un Cristiano il quale, tante volte ha sperimentato l’amore del suo Dio, potrebbe rendersi colpevole d’una tale atrocità verso un Dio così buono? Un Cristiano, io dico, alla sacra mensa, avrà il cuore, il coraggio di strappare il suo Dio dalle mani del sacerdote per consegnarlo al demonio? Ah! sciagura spaventevole! Ah! disgrazia incomprensibile! un Cristiano avrà il barbaro coraggio di trucidare il suo Dio, il suo Salvatore, e il suo padre il più amabile! Ah! no, no, l’inferno, con tutto il furore suo, non ha mai potuto inventare alcuna cosa di simile! O angeli del cielo, venite, venite in soccorso del vostro Dio, che è contuso e trucidato dai suoi propri figli! Ah! no, no, mai l’inferno ha potuto spingere il suo furore ad un tale eccesso! Ah! Padre eterno, come potete soffrire tali orrori contro il vostro divin Figlio, il quale ci ha tanto amati, e che ha sacrificato così di buon grado la propria vita per riparare la gloria che il peccato ci aveva rapita! – Un Cristiano che fosse colpevole di un tal peccato, potrebbe egli camminare, senza che gli sembri che la terra, ad ogni istante si apra sotto i suoi piedi per seppellirlo nell’inferno? Ah! M. P., se il pensiero di un tal peccato non vi fa fremere d’orrore e non agghiaccia il sangue nelle vostre vene, ah! voi siete perduti! ah! no, no, non più cielo per voi, il cielo vi ha rigettati! No, no, non occorre castigo abbastanza grave per punirvi di un tal peccato, il quale eccita la meraviglia degli stessi demoni! Venite, sciagurati, venite, vecchiardi infami, così S. Bernardo, venite, carnefici di Gesù Cristo. E che! sciagurati! Voi avete commesso un sacrilegio, voi sopra il quale si è fatto scorrere il sangue adorabile di Gesù Cristo nel tribunale della penitenza! Sciagurati, così egli, voi avete nascosto i vostri peccati, voi avete avuto la barbarie di assidervi alla sacra mensa per ricevervi il vostro Dio! Fermatevi! fermatevi! ah! mostro d’iniquità, ah! di grazia, risparmia il tuo Dio! ah! no, no, mai l’inferno può spingere il suo furore fino ad un tale eccesso. Ah! M. F., se nazioni straniere soffrono già tormenti così spaventosi nell’inferno, quale sarà dunque la gravezza dei tormenti dei Cristiani e delle cristiane che, tante volte nel corso della loro vita, hanno commesso dei sacrilegi. Ah! no, no, l’inferno non sarà mai abbastanza rigoroso per punire questi mostri di crudeltà. Oh! quale spettacolo, così il grande Salviano, vedere dei Cristiani nell’inferno! Ah! ci dice, che cosa sono diventate tutte quelle splendide e tutte quelle belle qualità, che sembravano rendere i Cristiani quasi somiglievoli agli angeli? O mio Dio, puossi mai concepire qualche cosa di più spaventevole! un Cristiano nell’inferno! un battezzato trovato fra i demoni! un membro di Gesù Cristo nelle fiamme! Divorato dagli spiriti infernali, un figlio di Dio tra i denti di Lucifero! Venite, nazioni straniere, venite, popoli sventurati, che non avete mai conosciuto Colui che avete offeso e che vi ha gettati nelle fiamme, venite; è cosa giusta che siate i carnefici di quei Cristiani riprovati, i quali avevano tanti mezzi di amar Dio, di piacergli, e di acquistare il cielo, e che non hanno passato la loro vita che a far soffrire Gesù Cristo, lui che ha tanto desiderato di salvarli! Venite ad udire Gesù Cristo medesimo, il quale ci dice che al giudizio, i Niniviti che erano una nazione infedele, sì, dice egli, i Niniviti si leveranno contro questi popoli ingrati e li condanneranno. Questi Niniviti, alla sola predicazione di Giona, il quale era loro sconosciuto, fanno penitenza e abbandonano il peccato (Matt. XII, 41); e dei Cristiani ai quali questa santa parola è stata tante volte prodigata; sì, questa parola divina, la quale non ha cessato di risuonare alle loro orecchie, ma ah! non ha colpito il loro cuore indurato, questi Cristiani non si sono convertiti. Ah! M. F., se tante grazie, tante istruzioni, tanti sacramenti fossero stati concessi ai poveri idolatri, quanti santi, quanti penitenti avrebbero popolato il cielo! mentre tutti questi beni non serviranno che a indurarvi sempre più nel peccato. – Ah! terribile momento nel quale Gesù Cristo determina i diversi gradi di patimenti che noi soffriremo nell’inferno! Ah! ciò si farà in proporzione delle grazie che abbiamo ricevute e disprezzate. Sì, una sola grazia avrebbe bastato ad un Cristiano per salvarlo, se avesse voluto approfittarne, e ne avrà ricevute e disprezzate migliaia e migliaia! Ah! se ciascuna grazia disprezzata sarà un inferno per un Cristiano, ah! mio Dio, quale sciagura eterna per questi cattivi Cristiani! Ah! sarebbe necessario poter udire questi Cristiani riprovati dal mezzo delle fiamme nelle quali la giustizia di Dio li ha precipitati! Ah! se almeno, dicono essi, non fossimo mai stati Cristiani, benché fossimo dannati come quegli infedeli, almeno potremmo consolarci, perché non avremmo saputo quello che bisognava fare per salvarci! Quante grazie di meno ricevute e che non avremmo disprezzate. Ma, noi sciagurati, noi siamo stati Cristiani, circondati di lumi e inondati di grazie per condurci ed aiutarci a salvarci. Ah! dirà ciascuno di essi, questi tristi quadri saranno continuamente dinanzi ai miei occhi per tutto il volgere dell’eternità! Io, il cui nome è stato scritto nel libro dei santi, io che sono stato nel battesimo bagnato del sangue prezioso di Gesù Cristo, io che poteva ad ogni istante uscire dal peccato e assicurarmi il cielo, io al quale tante volte si è fatto udire la grandezza della giustizia di Dio verso i peccatori e segnatamente verso i Cristiani riprovati. Ah! se almeno mi fosse stata tolta la vita prima di nascere, non sarei mai stato in cielo, è vero; ma almeno non soffrirei tanto nell’inferno. Ah! se Dio non fosse stato così buono e mi avesse punito al mio primo peccato, io sarei nell’inferno è vero; ma sarei meno al fondo e i miei tormenti sarebbero meno rigorosi. Ah! in questo memento io riconosco che tutta la mia sventura proviene da me. Sì, M. F., ogni riprovato ed ogni nazione avrà il suo quadro dinanzi agli occhi, e ciò per il volgere dell’eternità tutta quanta, senza mai potere disfarsene, né volgere altrove lo sguardo. Ah! queste povere nazioni idolatre vedranno per tutta l’eternità che la loro ignoranza è stata in parte la causa della loro perdita. Ah! diranno gli uni agli altri, oh! se il buon Dio ci avesse concesso tante grazie e tanti lumi quanto a quei Cristiani! Ah! se noi avessimo avuto la ventura di essere istruiti come essi. Ah! se noi avessimo avuto dei pastori per insegnarci a conoscere e ad amare il buon Dio il quale tanto ci ha amati e che ha tanto patito per noi! Ah! se ci fosse stato detto quanto il peccato oltraggi Gesù Cristo e quanto la virtù è di un gran prezzo agli occhi di Dio, avremmo potuto commettere il peccato, avremmo potuto disprezzare un Dio così buono? Non avremmo mille volte preferito morire che recargli dispiacere? Ma ah! noi non avevamo la sorte di conoscerlo; se noi siamo dannati, ah! è perché ignoravamo quello che bisognava fare per salvarci. Sì, noi abbiamo avuto la sventura di nascere e di morire nell’idolatria. Ah! se avessimo avuto la fortuna di avere dei genitori Cristiani che ci avessero fatto conoscere la vera religione, avremmo potuto non amare il buon Dio? Se, come i Cristiani, fossimo stati testimoni di tanti prodigi che ha operato nel volgere della sua vita mortale, e che continua fino al chiudersi dei secoli, lui, che morendo, ha lasciato loro tanti mozzi per rilevarsi dalle loro cadute, quando avevano avuto la sventura di commettere il peccato; se noi avessimo avuto il sangue adorabile di Gesù Cristo che fluiva ogni giorno sopra il loro altare per impetrar grazie per essi! Oh! questi felici Cristiani ai quali si era tante volte raccontato la misericordia di Dio, la quale è infinita! Oh! Signore, perché ci avete gettati nell’inferno? Di grazia, frenate la vostra giustizia, mio Dio, se vi abbiamo offeso, è perché non vi conoscevamo. Ditemi, M. F., possiamo non essere commossi dei tormenti di quei poveri idolatri? Poveri infelici, è vero che voi sofferto e siete separati da Dio, il quale avrebbe formato tutta la felicità vostra; ma consolatevi in quanto i tormenti vostri saranno infinitamente meno rigorosi che quelli dei Cristiani. Ma che penseranno e diventeranno questi Cristiani considerando il loro quadro nel quale saranno notate tutto le grazie che avranno ricevuto o disprezzato? Ahi che dico, dei cristiani che si vedranno arrossire e contristarsi per tanti peccati e por tanti sacrilegi; ah! ciò basta per servir loro d’inferno. Essi vorrebbero poter volgere il loro volto da un’altra parte per essere meno divorati dal rammarico; ma Gesù Cristo li forzerà per sempre, di guisa che questa sola vista basterebbe per servir loro d’inferno e di carnefice. Che cosa potranno dire per scusarsi e addolcire un poco i loro tormenti? Ah! nulla del tutto; all’opposto, tutto contribuirà ad accrescere la loro disperazione; essi vedranno che né le grazie né gli altri mezzi di salvamento non sono loro mancati, che all’opposto, tutto è loro stato prodigato; e vedranno che tutti questi beni, che avrebbero salvato tanti poveri selvaggi, non hanno servito che a dannarli. Ah! diranno a se medesimi, se almeno fossimo restati nel nulla. Ah! quale sventura per noi d’essere stati Cristiani! No, M. F., noi non possiamo pensare a quello che è arrivato a quei poveri Egiziani senza essere mossi di compassione. Essi perirono tutti passando il mar Rosso, rigurgitarono l’acqua di bocca e furono tutti inghiottiti; questo mare che tante volte li aveva portati sopra le sue onde con sì felici navigazioni, questo mare diventò il mezzo del loro supplizio e li espose alle risa dei loro nemici, ai quali apriva un libero passaggio per salvarli dalle loro mani. Ma, ahi lo spettacolo che ci presenta un Cristiano riprovato è assai più desolante. Per il volgere dell’eternità tutta quanta, si vedranno questi Cristiani dannati, si vedranno rendere per la bocca tutte le grazie che hanno ricevute e disprezzate nel corso della loro vita. Ah! si vedranno uscire da quei cuori sacrileghi quei torrenti del sangue divino che hanno ricevuto e orribilmente profanato. Ma, così S. Bernardo, ciò che aggiungerà un nuovo grado di tormenti a questi Cristiani dannati, è che, per tutta la eternità, essi avranno dinanzi agli occhi quello che Gesù Cristo ha sofferto per salvarli, e rifletteranno che non ostante ciò essi si sono dannati. Sì, così questo santo, essi avranno innanzi agli occhi tutte le lagrime che questo divin Salvatore ha sparso, tutte le penitenze che ha fatte, tutti i suoi passi e tutti i suoi sospiri, e tutto ciò per renderli migliori. Essi vedranno Gesù Cristo quale era in quella mangiatoia quando è nato, e che è stato adagiato sopra un manipolo di paglia; quale egli era nel giardino degli Ulivi, dove ha tanto pianto i loro peccati, perfino con lagrime di sangue. Egli si mostrerà come nella sua agonia, e quando lo si trascinava per le vie di Gerusalemme. Essi crederanno di udire appenderlo alla croce,

implorare misericordia per essi: e con ciò egli mostrerà loro quanto il loro salvamento gli ora costato caro, e quanto ha patito per meritar loro il cielo, che hanno perduto con

gioia e con malizia. Ah! M. F., quali rammarichi! ah! quale disperazione per questi Cristiani riprovati! Ah! grideranno dal fondo delle fiamme, addio, bel cielo, è per noi che siete stato creato, e che noi non vedremo mai! Addio, bella città che dovevate essere il nostro soggiorno eterno e formare la nostra felicità! Ah! se noi vi abbiamo perduta, è per nostra colpa e per nostra malizia. – Sì, M. F., ecco la triste meditazione d’un Cristiano per tutta quanta l’eternità nell’inferno. No, i pagani non avranno quasi nulla di tutto ciò da rimproverarsi; essi non avranno da rimpiangere il cielo perché non lo conoscevano; essi non hanno rifiutato né disprezzato i mezzi che si presentavano loro per salvarsi, perché ignoravano quello che bisognava fare per arrivare a questa felicità. Ma Cristiani, che non si è cessato d’istruire, di stringere ai panni e di sollecitare a non perdersi, ed ai quali si sono presentati tutti i mezzi i più facili per arrivare alla vita felice per la quale erano creati! Sì, M. F., un Cristiano dirà a se stesso per tutta l’eternità: Chi è dunque che mi ha gettato nell’inferno? Forse Dio? No, no. Non Gesù Cristo; all’opposto Egli voleva assolutamente salvarmi. Forse il demonio? No, no, io poteva non obbedirgli, come hanno fatto tanti altri. Sono dunque le mie inclinazioni? Ah! no, no, non sono le mie inclinazioni; Gesù Cristo mi aveva conferito l’impero sopra di esse, io poteva domarle colla grazia di Dio la quale non mi sarebbe mai venuta meno. Dunque donde può procedere la mia perdita e la mia sventura? Ah! tutto ciò non deriva che da me stesso, e non da Dio, né dal demonio, né dalle inclinazioni mie. Sì, io stesso mi sono attirato sul capo tutte queste sventure; sì, sono io che mi sono perduto e riprovato di mia propria volontà; se avessi voluto mi sarei salvato. Ma io mi sono dannato! Non c’è più mezzo e non più speranza; sì, è la mia malizia, la mia empietà e il mio libertinaggio che mi hanno gettato in questi torrenti di fiamme dalle quali più non uscirò. Sì, M. F., se la parola di Dio merita qualche credenza, io vi scongiuro di pensare seriamente a questa verità che ha convertito tante anime. E perché non produrrebbe gli effetti medesimi sopra di noi? Perché non sarebbe rivolta alla nostra felicità piuttosto che alla nostra sventura, se vogliamo approfittarne? Sì, M. F., o cangiamo vita, o noi saremo dannati; perché sappiamo benissimo che il nostro modo di vivere non può condurci al cielo. Ah! M.

F., ci accadrà come al povero Joab, il quale per evitare la morte, si rifugiò nel tempio e abbracciò l’altare nella speranza che lo si risparmierebbe, perché altra volta era stato il favorito di Davide; fu tuttavia per ordine suo che fu mandato a morte. Colui che era incaricato di ucciderlo gli gridò: Esci di là. — No, risponde il povero Joab; se è necessario morire, preferisco morir qui. Il soldato, vedendo che non poteva strapparlo dall’altare, trasse il suo pugnale, glielo immerse nel seno, e il povero Joab, baciando l’altare, ricevette il colpo della morte, e cadde ai piedi del tabernacolo, che aveva preso per sua difesa e per suo asilo (III Reg. II). Ecco, M. F., quello che ci accadrà un giorno, se non approfittiamo, o piuttosto se continuiamo a disprezzare le grazie del salvamento che ci sono copiosamente prodigate. Ora, noi siamo come Joab, che era il favorito e l’amico di Davide. Non sorgeva quasi un giorno, senza che ricevesse qualche nuovo beneficio dalla parte del principe. Egli era preferito a tutti gli altri sudditi; ma ebbe la sventura di non saperne approfittare e fu punito senza misericordia da quel medesimo dal quale era stato ricolmo di tanti benefizi. Si, M. F., accadrà la stessa cosa di noi che siamo stati preferiti a tante nazioni infedeli le quali vivono nelle tenebre e che non hanno mai avuto la ventura di conoscere la verità, vo’ dire la vera Religione e che periscono in questo triste e miserando stato. Ma di giunta, M. F., qual castigo non ci dobbiamo aspettare dalla parte di Colui che ci ha tanto amati e ricolmi di tanti benefizi, se, come Joab, abbiamo avuto la sventura di temprare le nostre mani nel sangue di Abner, vo’ dire di Gesù Cristo, ciò che noi facciamo ogni volta che pecchiamo; ma molto più orribilmente quando abbiamo la sventura di profanare i Sacramenti. O mio Dio, vi si può mai pensare e non morire di spavento? O mio Dio, come può avvenire che un Cristiano osi spingere sì innanzi la sua crudeltà e la ingratitudine sua? Ah! infelice, così S. Agostino, tu cadi di colpa in colpa, sempre nella speranza che ti fermerai ! Ma non temerai di mettere il suggello alla tua sventura? Oh! che gli ultimi sacramenti e tutti i soccorsi della Chiesa giovano poco a questi peccatori i quali sono vissuti disprezzando le grazie che ci procura la nostra santa religione! Sì, suonerà l’ora nella quale voi riceverete gli ultimi sacramenti colle migliori disposizioni agli occhi del mondo; ma ricevendoli v’accadrà come a Joab. Gesù Cristo che è nostro principe e nostro Signore, pronuncerà la vostra sentenza di riprovazione. Invece di servirvi di viatico per il cielo, la comunione non sarà per voi altra cosa che una massa di piombo per precipitarvi con maggior velocità negli abissi; voi stringerete come Joab è stato detto tante volte che, se lo volessi, potrei amare il buon Dio e salvare l’anima mia e rendermi felice per tutta quanta l’eternità; io al quale sono state offerte tutte le grazie per uscire dal peccato! Ah! se almeno non fossi stato Cristiano. Ah! se almeno non mi si fosse mai parlato del servizio di Dio e della sua religione. Ma no, nulla mi è mancato, avevo ogni cosa, e di nulla ho saputo approfittare. Tutto doveva essere diretto a procurarmi la mia felicità, e, per il nessun conto che ne ho fatto, tutto si è ritorto a mia sventura; addio, bel cielo!… addio, eternità di delizie !… addio, felici abitatori del cielo! … tutto è finito per me!… Non Dio, non cielo, non felicità!… Oh! quante lagrime ho da versare!… Quante grida da mandare in queste fiamme!… Non più speranza!… Ah! triste pensiero che strazierà un cristiano per l’eternità tutta quanta!… Ah! non perdiamo un momento per evitare questa sventura. E la sorte felice che vi desidero.

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (8)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (8)

Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa

Catania, 7 Marzo 1957 P. Ambrogio Gullo O. P. Rev. Eccl.

Imprimatur

Catanæ die 11 Martii 1957 Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO VIII

ALTRE TENDENZE SPIRITUALI

Le analisi che abbiamo fatto, anche se sommarie, hanno mostrato nella Chiesa antica una forte vitalità spirituale. I molteplici rami e gli abbondanti frutti testimoniano del vigore della radice, come pure della sua origine trascendente, divina, poiché la stessa storia sacra lo dichiara espressamente e le opere confermano le sue rivelazioni. Ci resta da gettare un colpo d’occhio generale su questo insieme di fatti spirituali, evocati in queste brevi pagine, per individuarvi i punti di contatto. Li troveremo nelle tendenze profonde dei gruppi spirituali che abbiamo incontrato dovunque in queste evocazioni, per rapide che siano state. Per tenerci tuttavia a ciò che vi è di più caratteristico, collegheremo tali tendenze alle grandi Scuole dottrinali della Chiesa antica, seguendoli d’altronde nel loro adattamento, relativo ma reale e fecondo, alle nuove condizioni che si imposero alla cristianità fin dalla metà del I secolo.

Scuola di Alessandria

Alessandria fu chiaramente un punto d’incontro provvidenziale fra lo spirito cristiano, fondato sulla fede, e lo spirito greco fondato sulla ragione. L’origenismo, che è il frutto più evidente di tale incontro, restava fondamentalmente cristiano di animo e di cuore, a dispetto di certe audacie degli iniziatori, audacie che i migliori Vescovi di Alessandria seppero temperare,  nel III e soprattutto nel IV secolo, poi nel V; basti citare Sant’Atanasio e San Cirillo, due nomi dalla gloria sfolgorante. Non tutti i dottori alessandrini furono origenisti, tutt’altro; ma tutti i Cattolici di questa scuola ebbero in eredità, come caratteristica, un gusto molto accentuato per le cose di Dio. Le cose divine erano veramente il punto di partenza di tutte le loro speculazioni e il termine diretto del loro sforzo ascetico, quando si davano all’ascesi come Sant’Antonio, o l’incoraggiavano a fondo, come fece efficacemente Sant’Atanasio. Questi monaci, che osservavano digiuni prolungati ed erano sempre in lotta con il demonio, erano d’altronde avidi di silenzio e di preghiera, e le consacravano lunghe ore del giorno e della notte. Il patriarca di Alessandria che ne testimonia con ammirazione merita di essere preso alla lettera (v. sopra). – Un celebre rappresentante della pietà alessandrina di spirito origenista fu Evagno il Pontico (+ 399), monaco di Nitria, dove Origene fu lungamente in onore. Lui stesso veniva dal Ponto, beneficiava di una grande cultura, aveva frequentato San Gregorio a Costantinopoli, e godeva di un alto prestigio. San Massimo il Confessore gli deve il meglio del suo pensiero: i tre gradi dell’ascesa spirituale; la dottrina dell’apatheia nell’esercizio delle virtù e la funzione dell’amore nella preparazione alla contemplazione; la teoria della preghiera pura, contemplazione da cui è esclusa ogni immagine. Egli dovette usare, nella sua opera abbastanza vasta e complessa, formule pericolose che lo compromisero gravemente e lo fecero condannare come origenista, due secoli più tardi. San Cirillo di Alessandria (+ 444) doveva essere, nel V secolo, la grande autorità spirituale dell’Egitto. Egli ha meglio di chiunque altro messo in luce la funzione dello Spirito Santo come principio santificatore in ogni Cristiano. Senza dubbio tutta la Trinità ci santifica, ma lo fa per mezzo dello Spirito « che è il suo profumo e la sua qualità o la sua virtù che fortifica », la « fonte d’acqua viva che feconda per la vita eterna », il « sigillo che si imprime (nelle anime) per restituire loro la somiglianza divina ». È pure su questa azione dello Spirito Santo che Cirillo, come tutti i Padri del IV secolo, si basa per provarne la divinità. Lo Spirito Santo deifica, dunque è Dio; per comunicare il fuoco ci vuole del fuoco; bisogna essere Dio per rendere partecipi della divinità. Lo Spirito Santo, che è Dio, si unisce all’anima che Egli santifica in una semplice unione morale, relativa ma vera, strettissima e fecondissima, come si era unito al primo uomo, ed è così che l’uomo è « deificato ». – Le formule che abbiamo citate, le immagini usate per tradurre una realtà profonda, esprimono a meraviglia il carattere realistico della pietà alessandrina. Lungi dal negare la grazia santificante, come si è creduto a torto, Cirillo l’attribuisce in proprio allo Spirito Santo; tale appropriazione spiega tutto, a patto di appoggiarsi bene sulla concezione greca della Trinità: si possono allora ricercare le analogie esistenti fra la giustificazione e gli attributi personali dello Spirito Santo, analogie che sono il vero fondamento dell’appropriazione. Tale realismo della fede, portata così fino al misticismo, è la caratteristica più saliente della tradizione alessandrina, preoccupata di mettere in tutto l’accento su Dio e l’azione divina nelle anime.

Scuola di Antiochia

La scuola di Antiochia, soprattutto a partire dal IV secolo, praticava particolarmente una specie di alto moralismo cristiano, divino sotto molti aspetti, ma più vicino alla realtà umana. Il suo modello migliore ci è dato da San Giovanni Crisostomo. A torto lo si è accusato di origenismo; Sant’Epifanio, ingannato dapprima dalle perfide calunnie di Teofilo di Alessandria, ha riconosciuto il suo errore, e Teofilo stesso non ha invocato nessuna delle sue accuse al conciliabolo della Quercia. Infatti Crisostomo si ricollega piuttosto alla scuola anti-origenista, quella di Antiochia. D’altronde, un solido senso tradizionale gli fece evitare i pericoli cui potevano condurre le tendenze di quella scuola, alla quale doveva tutta la sua formazione religiosa scientifica. Specialmente in cristologia, egli ha mantenuto con cura l’unità personale del Salvatore, evitando le formule dualistiche troppo recise del suo maestro Diodoro; afferma che il Cristo è uno, pur paragonando la sua umanità a un tempio in cui Egli abita. Si astiene, del resto, dallo scrutare il mistero. In che modo Cristo è uno? Non cercatelo, dice; Cristo lo sa. Aveva agito egualmente per la questione trinitaria. Uno dei grandi rimproveri che rivolge agli anomei è di voler « comprendere » Dio. Egli aveva il senso del mistero e questa umiltà, come la sua docilità alla tradizione, lo preservò dagli scogli. I pelagiani pretesero che egli negasse il peccato originale; Sant’Agostino li confutò e con ragione. Malgrado non si trovi nella sua opera una teoria del peccato originale così precisa come presso il Vescovo di Ippona, la dottrina di una caduta dell’umanità vi è chiaramente affermata. Sant’Efrem Siro, creatore di una celebre scuola ad Edessa, dove si ritirò quando i Persiani invasero Nisibi dopo il 360, si ricollega, fin nel suo misticismo, ai maestri di Antiochia, e con il meglio delle sue tendenze spirituali prepara le vie a San Giovanni Crisostomo. È nei monasteri che egli ha esercitano la maggiore influenza ed essa è di ordine ascetico e morale, fondata sulla fede più salda, sostenuta da una vera devozione verso la Vergine Maria. – Alla, base di questa dottrina troviamo l’affermazione molto esplicita della libertà. L’uomo è stato fatto a immagine di Dio, per mezzo della libertà e del dominio che ha su tutta la creazione; per mezzo della sua attitudine a ricevere i doni di Dio; per mezzo della facilità con cui il suo spirito può tutto concepire e applicarsi a tutto. Nei progenitori, tale immagine naturale di Dio era accompagnata da preziosi doni soprannaturali, comportanti una certa luce esteriore, che velava ai loro sguardi la loro nudità e non era che un riflesso dei doni spirituali della loro anima. Tutto questo è stato perduto col peccato, ma la libertà, per quanto indebolita e malata, sussiste: Sant’Efrem è molto categorico su questo punto. L’uomo decaduto ha bisogno della grazia, ma questa l’aiuta senza violenza, senza distruggere la libertà. Sant’Efrem considera volentieri la vita cristiana come un combattimento spirituale. Egli fornisce armi contro tutti i vizi, soprattutto contro i vizi capitali: raccomanda in modo particolare il digiuno, la temperanze, la preghiera, la lettura dei Libri Santi. Fra le virtù che sembra preferire, segnaliamo la carità, la verginità, la pazienza, l’umiltà, la penitenza, di cui tratta spesso. Insegna con forza la vanità dei beni di questo mondo e spinge le anime ferventi al ritiro. Innumerevoli sono le istruzioni che ha indirizzato ai monaci; segnaliamo soltanto un piccolo trattato « sulla vita spirituale », un altro sulla formazione dei monaci e due opuscoli « sulla virtù, a un novizio ». Esiste infine di lui, semplice diacono, un piccolo scritto che esalta la dignità dello stato sacerdotale e la santità che esso esige. È ancora alle tendenze ascetiche di Antiochia, sembra, più che alla teologia alessandrina, che bisogna collegare l’opera del vescovo di Fotikè, in Epiro, Diadoco, « Cento capitoli sulla perfezione spirituale », che è un capolavoro. L’autore visse nel V secolo e non è conosciuto se non per la sua attività spirituale, specialmente contro gli euchiti, falsi mistici dell’Asia Minore (condannati ad Efeso nel 431), che spiegavano le tentazioni per mezzo della coabitazione nell’uomo di Dio e del demonio. La sua opera molto saggia contiene eccellenti consigli, per la lotta contro le passioni e il diavolo; raccomanda le virtù morali più comuni, continenza, temperanza, povertà, obbedienza, umiltà, ma con insistenza particolare sulla vita interiore: preghiera, raccoglimento, silenzio, pace del cuore. Tuttavia il fondo della dottrina esposta da Diadoco è soprattutto mistica ed è quanto vogliamo qui presentare a grandi linee. I primi capitoli, I e II, pongono le basi: le virtù teologali tendenti a dare un gusto spirituale di Dio che è una vera sapienza; essa si manifesta in esortazioni apostoliche, quando la sua abbondanza stessa non toglie la parola. L’essenza della sua dottrina è questo « gusto spirituale » di Dio che riempie l’anima di dolcezza, frutto della presenza divina. Il « gusto di Dio » è un vero senso interiore con cui lo Spirito Santo forma le anime a immagine del Creatore. È con tocchi successivi che l’artefice divino realizza la sua opera nelle anime. In questa formazione progressiva, Diadoco distingue tre tappe: un periodo di dolcezze, all’inizio della vita spirituale; poi un lungo periodo di lotte contro gli assalti del demonio e dei sensi, con cui l’anima si purifica e tende al perfetto possesso del senso per mezzo dello spirito; quando tale senso le è accordato, essa ne è tutta trasformata. In una simile anima si sviluppa spesso una attività infusa, molto profonda, della carità che « oltrepassa la fede » (supra fidem consistere), poiché « colui che si lega a Dio con un’ardente carità è allora ben più grande della sua fede; egli è tutto intero nel suo desiderio ». Questo desiderio, atto di una carità arricchita dal senso dello spirito, la stabilisce in uno stato più elevato della semplice fede imperfetta.

Scuola d’Occidente

Nella stessa epoca, agli inizi del V secolo, finiva  di formarsi e di maturare nell’Africa latina un’opera dottrinale che doveva, provvidenzialmente, sintetizzare i migliori elementi spirituali delle antiche scuole e trasmetterli all’Occidente prima dell’invasione barbarica. Da Cartagine e da Ippona, che erano i suoi grandi centri di azione, Sant’Agostino poteva, di fatto, irradiare sull’Europa e sull’Oriente, dopo aver lui stesso beneficiato dei nuovi apporti della vastissima cultura spirituale che rispondeva al suo genio, tutto rivolto verso i grandi problemi del pensiero e della vita. Si ricollegherebbe già con la sua filosofia alla scuola di Alessandria, se non fosse necessario guardarsi da ogni eccesso. Il genio di Platone l’aveva conquistato fin dall’età di diciannove anni, ma in realtà non lo conobbe a fondo che a trent’anni, attraverso testi di Plotino recentemente tradotti che l’entusiasmarono, a dispetto delle riserve sempre più gravi che la sua fede rinascente, ravvivata dall’influenza di Sant’Ambrogio a Milano, sollevava e di cui le Confessioni conservano il ricordo. Al di là di Plotino, è a Platone che egli va istintivamente, sempre più, fino a non vedere più altro che lui, come farà trent’anni dopo nella Città di Dio. È infatti in un Dio puro Spirito che troverà il vero centro delle idee, centro tutto trascendente, e tuttavia agente sul capolavoro clic è lo spirito umano, certo sostanzialmente unito al corpo, ma ben superiore al corpo, essendo chiamato alla vita immortale, e avendo, malgrado le sue cadute, alti destini. – Questa profonda filosofia dello spirito, d’altronde non è che un’ancella per Agostino, un’ancella meno osservata in se stessa che nella sua attività ausiliaria, al servizio della teologia vivente, per mezzo della quale si ricollega, più ancora che ai filosofi, ai grandi Dottori cristiani di Alessandria, provvidenzialmente conosciuti a Milano attraverso Sant’Ambrogio, che trovava in essi le fonti inesauribili della sua vita cristiana e della sua predicazione. – Al tempo stesso poneva le sicure basi dottrinali di una morale viva, cristiana di ispirazione. La nota essenziale di tale sintesi è il senso di Dio e sono le Confessioni che ne danno lo spirito. L’opera descrive la presenza e l’opera di Dio vivente nell’autore — i libri IX e X sono tra i migliori in questo senso — compiuta e fissata in lineamenti decisivi nel XIII, secondo un metodo che si appoggia meno sulla Scrittura che su quell’altissima esperienza mistica orientata verso l’azione e verso la preghiera. I libri XI e XII sono un saggio di applicazione di tali principi ai primi capitoli del Genesi, secondo un metodo di superiore ricerca dottrinale, attratta dai grandi problemi, e specialmente da quello del Tempo, che l’autore ritiene essere uno di quelli in cui meglio si manifesta la differenza fra il Creatore, che vive fuori del tempo, nell’eternità, come nel suo centro di azione e di riposo, e la creatura che vi si trova sempre rinchiusa, qualunque cosa faccia. Questi e altri analoghi problemi furono ripresi nei dodici libri su lì Genesi alla lettera, vera Summa di domande e di profonde risposte sui punti più elevati della scienza naturale e soprannaturale dell’epoca. Anche se l’opera è scientifica, non si può dimenticare il quadro spirituale in cui è nata e il tempo in cui è stata realizzata. – Negli stessi anni infatti Sant’Agostino affrontava il suo capolavoro sulla Trinità, che spinge a fondo le indagini sulla divinità stessa, considerata specialmente nelle sue Persone. Evidentemente la Scrittura darà il suo contributo, ma la ragione ne raggrupperà i dati e li arricchirà con una serie di analisi e di sintesi che prepareranno da lontano i lavori delle università medievali. Le pagine sulla relazione, fondamento della personalità in Dio, sono geniali. Ma più importanti ancora e più nuovi sono gli otto ultimi libri di quest’opera (VIII-XV), in cui l’autore, con una penetrazione e una sottigliezza ineguagliate, osserva l’anima umana da molteplici punti di vista, per trovarvi un’immagine della vita trinitaria più rassomigliante possibile. – Gli alti voli della Scuola di Alessandria, le rigorose ricerche scritturali e morali della Scuola di Antiochia trovano così, nell’opera di Sant’Agostino, una vera sintesi vivente. Vi trovano anche il loro compimento, poiché durante gli ultimi vent’anni della sua vita egli dovette scrutare un altro aspetto del Cristianesimo, quello che è concentrato nella Città di Dio, opera di teologia più che di storia, nonostante il grande posto che vi occupa la storia. Di fronte alle rovine sociali di cui egli intravede l’imminenza, il suo pensiero si eleva alla sola città immutabile, alla vita celeste in cui gli eletti formeranno una vera società imperitura; i tempi che la precedono non hanno significato e valore duraturo per gli uomini che nella misura in cui questi possono volgergli verso tale fine e li orientano, di fatto, verso di esso. – Tali sono gli elementi generali della sintesi dottrinale che Sant’Agostino lasciava, morendo, in eredità all’Occidente di cui doveva essere il maestro per eccellenza sul piano dottrinale. Non è sicuro che le loro vere linee di forza siano state bene osservate e mantenute. – Le controversie pelagiane hanno obbligato il Santo a prendere posizioni di resistenza irrigidite dalla lotta e che la visione d’insieme potrebbe e dovrebbe attenuare, specialmente l’importanza di una profonda sapienza soprannaturale, fondata su una vera vita dello spirito, senza detrimento per l’unità sostanziale dell’uomo o per l’universalità dell’appello degli uomini alla salvezza. Le restrizioni su questi punti furono il risultato di diverse riduzioni del vasto piano spirituale costruito da Agostino ad altezze cui ci si eleva troppo raramente, per il rischio di comprometterlo. – Fra quelli che esposero con maggiore autorità e ampiezza la sua dottrina spirituale, bisogna segnalare soprattutto San Gregorio Magno, che l’aveva presa per guida e ispiratrice fin da prima del suo pontificato, e che approfittò dell’autorità che gli veniva dalla sua carica, durante quattordici anni (590-604), per applicarne i principi alla vita cristiana universale. Prima di lui, ad Arles, un monaco prete, Fornero, aveva esposto i suoi principi in un volume spirituale consacrato alla vita pastorale, sotto questo pio titolo « Vita contemplativa ». San Gregorio riprende questo tema e lo applica specialmente ai monaci nei suoi « Moralia », e con essi è tutta la Chiesa che ne ha beneficiato. In realtà, l’opera non è così nettamente morale, né pastorale, ma piuttosto spirituale, nel senso stretto e attuale del termine, spingendo la spiritualità fino al misticismo, poiché il pensiero del Papa si spinge fin là sulla linea agostiniana. SantAgostino pone, nell’ordine spirituale, dei principi: essi sintetizzano alti valori che erano già riconosciuti, almeno sostanzialmente, fin dall’antichità cristiana, specialmente in Oriente, e che dovevano essere apprezzati e realizzati soprattutto nella vita cristiana in Occidente. – L’influenza di San Gregorio doveva segnare d’altronde molto efficacemente queste realizzazioni nelle cristianità occidentali per mezzo del posto effettivo, preponderante, che poté mantenervi il Papato, erede del potere delle chiavi affidato a San Pietro e centro gerarchico indispensabile all’unità vera per l’intera Chiesa. Tale autorità si fece particolarmente attenta nell’istituzione monastica, di cui la Chiesa d’Occidente ebbe tanto bisogno e da cui trasse tanti vantaggi nelle epoche più tormentate della sua storia. Tali sostegni dottrinali e pratici dovevano essere eminentemente benefici, anche se gli effetti non si manifestarono che più tardi in tutta la loro ampiezza.

Scuola bizantina

In Oriente la Chiesa era allora molto provata, in numerose località, anche se il centro creato da Costantino restava inviolato e raggruppava intorno a sé, almeno di nome, gli antichi patriarcati del IV secolo. Costantinopoli ridivenne sempre più Bisanzio, a partire dal IV secolo, a dispetto delle sue grandezze, non soltanto politiche, ma religiose, le sole che qui ci interessano. Con le secessioni prodotte dalle eresie, che divennero vere piaghe nazionali (nestorianesimo, soprattutto in Siria; monofisismo, predominante in Egitto), secessioni aggravate dalla spinta dei Persiani e degli Arabi al sud, e degli Slavi al nord, Bisanzio divenne un bastione superbo ma isolato, nonostante la magnifica ripresa di influenza al sud e all’ovest. Tale bastione almeno era cristiano, se si intende con ciò l’intervento ufficiale della religione in tutti gli ingranaggi dello Stato e in tutte le branche della società. Quanto al fondo spirituale, bisogna esaminare più da vicino. – Costateremo anzitutto nella Chiesa di Bisanzio l’esistenza di ciò che si potrebbe chiamare « la scuola bizantina », titolo che giustifica il mantenimento, almeno nominale, di una influenza dottrinale esercitata da questa Chiesa sui Cristiani detti « ortodossi », parola che designa le Chiese orientali formate da Costantinopoli e rimaste fedeli al suo spirito. Ma il suo territorio a partire dal VI secolo si era molto ristretto, poiché, malgrado tutto il prestigio di Giustiniano e i suoi effimeri trionfi in Occidente, l’impero si infranse nell’Oriente meridionale. Ripiegato su se stesso, si mantenne e fece più tardi conquiste spirituali presso gli Slavi che avevano ricevuto la fede cristiana. Da ciò l’interesse che si accorda a questo gruppo religioso e al suo spirito. – La Chiesa bizantina restò saldamente cattolica fino al IX secolo e oltre, nonostante le crisi che la lacerarono. Chiusa in se stessa e dominata dalla Corte, non ebbe veri pensatori paragonabili ai maestri delle antiche scuole di Oriente. Ne ha conservato, un po’ coagulato, il ricordo grazie ai tre gerarchi cui essa si rifaceva, San Basilio e San Gregorio Nazianzeno, questi neoalessandrini del IV secolo, e San Giovanni Crisostomo, gloria di Antiochia, aureolato dal martirio, poiché il suo esilio e la sua morte tragica servirono molto alla sua causa. Questi nomi sono infatti ricordi di gloria più che forze ispiratrici di vita. La stessa eloquenza che domina in questa Chiesa fu più formale di quella di tali antichi maestri. Essa avrà almeno il merito di trasmettere alla Chiesa la testimonianza di una ardente pietà mariale, poiché è nelle sue omelie che si sono trovati gli omaggi più belli all’Immacolata Concezione di Maria e alla sua Assunzione. – Fra i maestri che caratterizzarono il pensiero e la spiritualità bizantina, bisogna segnalare « Dionigi l’Aeropagita », questo teologo che scriveva indubbiamente ai confini della Siria e dell’Egitto, probabilmente alla fine del V secolo, che fu introdotto a Costantinopoli sotto Giustiniano, nel IV secolo, e vi fu chi si acclimatò definitivamente nel, VII secolo per opera di San Massimo il Confessore. L’Aeropagita metteva al servizio di una sicura fede cristiana una filosofia neoplatonica molto accentuata, benché la sua utilizzazione in teologia fosse abbastanza superficiale, più verbale che profonda, a differenza dell’uso che ne aveva fatto Sant’Agostino in Occidente. Tuttavia questo incontro aveva il suo valore e può segnare veri accostamenti dottrinali. Quanto alla sua mistica, essa è più formale che potentemente realizzata. – Il vero maestro spirituale della Chiesa bizantina è San Massimo il Confessore, teologo profondo, morto martire per difendere l’umanità di Cristo contro i monoteliti, nel VII secolo. La sua teologia, difatti, si accompagnava con una ardente devozione verso l’Uomo-Dio, di cui raccomandava con fervore l’imitazione, fin dalle prime pagine di uno scritto ascetico; e del resto la sua mistica, strettamente legata alla carità, si espandeva in contemplazione. Egli temperava così l’intellettualismo di Dionigi in questo campo, pur utilizzando le sue vedute sulle « gerarchie » in una « Mistagogia » che si ispira a tale autore. Massimo è uno dei migliori maestri spirituali dell’antichità, il più sicuro della Scuola che egli rappresenta per noi perfettamente. Tempera felicemente, in profondità, ciò che questa Scuola, sotto l’influenza molto brillante della Corte imperiale, aveva di splendente all’esterno, nella liturgia e nell’arte come nell’eloquenza un po’ fittizia anche dei migliori oratori religiosi. San Massimo era monaco. Per questo titolo si ricollegava a quella élite cristiana che aveva prima fuggito le città per trovare la pace di Dio, e le aveva poi invase per portarla alle anime esposte a pervertirsi. Di fronte ai richiami al lusso e al fasto mondano che la corte di Bisanzio incarnava agli occhi delle masse, di fronte al sontuoso palazzo del basileo, i monaci presentavano l’esempio vivente di una vita di raccoglimento, di penitenza e di preghiera. Gli imperatori iconoclasti soprattutto soffrirono di tale contrasto nell’VIII secolo e tentarono con ogni mezzo di spezzare tale resistenza distruggendo il monachesimo, poiché i monasteri erano il luogo di asilo preferito dei difensori delle icone. Gli studiti brillarono per la loro energia in questa lotta, da cui uscirono definitivamente vincitori dopo cento anni e più di lotte. Quasi sempre i Vescovi cedettero davanti alla volontà imperiale; i monaci fecero invece fronte unico, sostenuti dal Papa, la cui autorità era riconosciuta dalla Chiesa bizantina (le Novelle stesse, inserite da Giustiniano nel Codice, ne sono testimonianza), finirono per trionfare definitivamente nel IX secolo. – La festa dell’« ortodossia », stabilita nell’843, evoca questa epopea religiosa in un senso storicamente cattolicissimo, benché le interpretazioni che ne sono state date in seguito le diano un ben diverso significato. L’ortodossia autentica si appoggia sulle caratteristiche della Chiesa che il simbolo di Costantinopoli, nel 381, riconduce a quattro e che la liturgia bizantina stessa fa ripetere ogni domenica: « Unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam ». Un orientale, Sant’Ireneo, nel II secolo, venne a ricordare all’Occidente chequesta cattolicità e questa apostolicità delle Chiese erano,di fatto, realizzate per mezzo dell’unione con laChiesa di Pietro che è a Roma. La Chiesa bizantina,di cui abbiamo parlato, lo sapeva, specialmente nelle sueélites spirituali, e ciò fu la sua forza. L’ortodossia,lungi dall’essere un criterio di verità, ne richiama uno,chiaro e netto. La Chiesa bizantina può trovarlo, sempreparlante nella sua storia e nella sua liturgia, perpoco che lo si liberi dalle scorie depositate dalle passioni su un fondo storico glorioso e fondamentalmente cristiano. La Scuola bizantina, ben capita, può trarre dal loro « isolamento » funesto tutte le Chiese che si rifanno ad essa e che spesso vegetano spiritualmente per mancanza del sostegno della cattolicità. E quale vasto campo di irradiamento per lei!

LE INDULGENZE

LE INDULGENZE

(Enciclopedia Cattolica – C. d. VATICANO, 1951, vol. VI coll.1901-1910)

INDULGENZE. – Indulgentia, indulgere, in senso proprio indica condiscendenza, e condiscendere, nelle varie sfumature dell’idea. Gli storiografi imperiali-romani usano la parola nel senso tecnico di remissio tributi o remissio pœnæ, concessioni che gli imperatori solevano fare in certe occasioni. Valeva anche per indicare la abolitio, una specie di amnistia, decretata in occasione di lieti eventi pubblici. Nell’epoca carolingia era adoperato ancora come termine tecnico per per indicare condono di pene o di tributi (così nei Capitularia). Nel Codice Teodosiano (l. IX, tit. 38, De indulgentiis criminum) designa i condoni elargiti dagli imperatori cristiani specialmente a Pasqua; tanto è vero che la Domenica delle Palme, in molti testi dell’alto medioevo (calendari, sacramentari, vari Comes [cerimoniali], ecc.), viene detta dominica indulgentia. Quanto alla materia del condono delle pene, si riscontrano diversi termini che possono indicare anche l’indulgenza nel senso stretto attuale, ma che possono indicare e indicano di fatto anche altre idee simili o affini, in  quei tempi nei quali incominciò a svilupparsi la vera indulgenza. Da questa imprecisione di termini è nata tanta confusione fra gli studiosi meno cauti nelle loro ricerche. P. es., le parole absolutio, relaxatio, remissio, venia, condonatio e indulgentia, che possono indicare, nei secc. XI – XIII sia la indulgenza propriamente detta, sia, e più spesso, le varie forme di remissione, sacramentale e penitenziale, e anche extrasacramentale. Quest’ultima è la vera indulgenza, come oggi si intende. – Secondo la dottrina cattolica indulgenza è « la remissione dinanzi a Dio della pena temporale dovuta per i peccati, già perdonati riguardo alla colpa, che l’autorità ecclesiastica concede dal tesoro della Chiesa a modo di assoluzione per i vivi e a modo di suffragio per i defunti » (can. 911).

Sommario: I . Storia. – II. Natura. – III. Potestà di concedere indulgenza – IV. Divisione. – V . Requisiti per la concessione e l’acquisto delle indulgenze

I. STORIA

(1-7 omissis)

8. Legislazione tridentina e post-tridentina. — Il Concilio di Trento, dopo quelli di Lione e di Vienna, tornò ad occuparsi delle indulgenze, soprattutto in vista della spietata guerra  spiegata dai riformatori contro di esse. Nella Sess. XXI, cap. 9, soppresse l’istituzione dei « questori », cioè dei raccoglitori di denaro per le indulgenze, che fece tanto male a causa degli abusi che vi si inserirono, e riservò la pubblicazione di indulgenze ai soli Ordinari; essi possono anche, se occorre raccogliere, senza compenso alcuno, eventuali elemosine. Finalmente, nella sess. XXV, si emanò il celebre decreto de indulgentiis, nel quale, dopo aver definito che la Chiesa ha il diritto di concedere indulgenze da Cristo Signore, si approva di nuovo l’uso delle indulgenze come christiano populo maxime salutarem, abolendo nuovamente ogni specie diquestua in vista di indulgenze, e ordina che i Vescovi vigilino seriamentenelle proprie diocesi sopra ogni possibile abuso, denunziandolo nei sinodi provinciali, e al Sommo Pontefice.Dopo il Concilio di Trento Clemente VIII eresseuna commissione cardinalizia per occuparsi delle indulgenze secondola mente del Concilio, la quale continuò sottoPaolo V i suoi lavori, preparando varie bolle e decretiin materia. Ma soltanto Clemente IX creò una vera Congregazioneper le indulgenze (e le reliquie), con breve del 6 luglio1669; nell’apr. 1668 uscirono i primi decreti della medesima. Pio X, con motu proprio del 28 genn. 1904,unì la Congregazione delle I. con quella dei Riti, ma nel1908, con il nuovo ordinamento della Curia, tutta lamateria delle indulgenze passò al S. Uffizio. Benedetto XV però,con motu proprio del 25 marzo 1915, trasferì la sezionedelle indulgenze dal S. Uffìzio alla Penitenzieria Apostolica, rimandandoal S . Uffizio tutto ciò che riguarda la dottrina sulleindulgenze. Così fu confermato dal Codice, can. 238 § 2.

BIBL.: 1. Letteratura storica: la storia delle indulgenze è stata diligentemente studiata non solo dai cattolici, ma anche dai protestanti, anche perché le questioni riguardanti le indulgenze, furono l’occasione per lo scoppio della tremenda rivoluzione religiosa-sociale, che va sotto il nome di riforma. È stato intuito fin dal sec. XVIII che le indulgenze, nel senso stretto della parola, risalgono soltanto al sec. XI e non sono che il frutto di una lunga evoluzione che si basa sulla storia e sullo sviluppo della penitenza ecclesiastica. Si può dire che l’opera storico-critica più antica sulle indulgenze, fu quella di E. Amort, De origine, progressu, valore ac fructu indulgentiarum accurata notitia historica, dogmatica, polemica, crìtica (Augusta 1735). Ma soltanto durante il secolo passato e nel presente gli studi sull’indulgenza, sono arrivati a tale punto da rendere chiara e sicura la storia dell’evoluzione genetica delle indulgenze. Il merito va in prima linea a N. Paulus, il quale, sin dal 1899, in una serie quasi innumerevole di articoli e studi particolari, ha raccolto un immenso materiale, soprattutto documentario, che gli permise finalmente di scrivere l’opera fondamentale sulle indulgenze: Geschichte des Ablasses im Mittelalter, 2 voll. Paderborn 1922-23. Chiarita soprattutto la nozione precisa dell’indulgenza, nel senso teologico-canonistico attuale, egli poteva ben discernere, fra le discordanti opinioni dei dotti, i presupposti storici, e la effettiva origine dell’i.: poteva eliminare molti documenti falsi e incerti, e chiarire, inserendole nel loro tempo, le diciture ambigue o malamente interpretate. Un altro studioso, B. Poschmann, fondandosi sopra il materiale storico del Paulus, continuò l’investigazione soprattutto dal punto di vista della penitenza cattolica e della sua prassi attraverso i secoli, per meglio chiarire ancora la natura dell’indulgenza e la sua, per dir così, legittimità, dimostrando che non è nata da elementi estranei alla prassi e dottrina della Chiesa sulla penitenza, ma che è conforme ad essa, anche se in apparenza si discostava da certe forme usuali nel suo tempo. Si citano subito le sue principali opere: Die abendlàndische Kirchenbusse am Ausgang des christlichen Altertums, Bonn 1928; Die abendlàndische Kirchenbusse im frulien Mittelalter, ivi 1930; Pœnitentia secunda, ivi 1940; Der Ablass im Lichte der Bussgéschichte, ivi 1948. Nella trattazione dell’argomento si inserì nel 1932  I. A. lungmann, con la sua poderosa opera: Die lateinischen Bussriten in ihrer geschichtlichen Entwicklung, Paderborn 1932. Altre opere interessanti di una certa importanza sono: A. Gottlob, Kreuzablasse und Alniosenablass. Eine Studie tiber die Frùhzeit des Ablasswesen, Stoccarda 1906; E. Goller, Der Ausbruch der Reformation und die spàtmittelalterliche Ablasspraxis, Friburgo 1917; H. Delehaye, op. cit. (5 articoli estratti dagli Anal. Boll., 44 [1926], 45 [1927], 46 [1928]). L’opera fondamentale pratica sulle indulgenze è: Die Abldsse, ihr Wesen und Gebrauch, pubblicata la prima volta dal p. F. Beringer, Paderborn l86 c, continuata da I. Hilgers e finalmente da P. A . Steinen (5a ed., 2 voll., I vl 1921 – 22). Lo Hilgers aveva anche pubblicato un suo studio: Die katholìsche Lehre von den Ablàssen und deren geschichtliche Entwicklung, ivi 1914, nel quale volle riportare l’origine delle indulgenze, quanto più indietro possibile, ma fu fortemente contrastato da Paulus. Nelle grandi enciclopedie francesi: E. Magnin, Indulgences, in DThC, VII, coll. 1594-1636; P. Galtier, Indulgerne, in DFC, II, coll. 718 – 52; H. Leclercq. Indulgence, in DACL, VII, coll. 535 – 40; gli stessi autori confessano candidamente di aver attinto il materiale per le loro esposizioni dalle opere e dagli articoli di N. Paulus. ( …. )

II. NATURA. –

Secondo l’insegnamento della Chiesa ogni peccato, anche veniale, lascia nell’anima non solo lo stato di colpa ma anche lo stato di pena. Ora il fedele, che confessa i suoi peccati o emette un atto perfetto di contrizione con il proposito di confessarsi, ottiene sicuramente la remissione della colpa e il condono della pena eterna, che segue ogni colpa grave, ma non sempre o almeno non del tutto consegue la remissione della pena temporale, la quale può essere rimessa in questa vita per mezzo delle opere satisfattorie e delle indulgenze, oppure dovrà essere rimessa nell’altra vita, in Purgatorio. L’indulgenza pertanto non è remissione della pena eterna, la quale viene condonata unitamente alla colpa, né remissione di colpa sia mortale sia veniale. Né molto meno può dirsi che l’indulgenza sia la remissione dei peccati futuri, come hanno insegnato alcuni protestanti: lo ha dichiarato espressamente Papa Eugenio IV in una concessione d’indulgenza a favore della Congregazione di S. Giustina (E. Amort, De origine indidgentiarum, Augusta 1735, p. 136). L’indulgenza invece è un atto di giurisdizione, che suppone lo stato di Grazia e che viene esercitato, pur in diverso modo, sui fedeli vivi e sui defunti. Per i vivi l’indulgenza è concessa per modo di assoluzione, ossia di remissione per un atto di potestà giudiziale, che porta con sé una soluzione, ossia  un pagamento operato con i beni comuni della famiglia cristiana. Ai defunti l’indulgenza è applicata per modo di suffragio: e defunti non sono più sottoposti alla giurisdizione della Chiesa, quindi non si può parlare di assoluzione giudiziale, ma solo di suffragio, nel senso che i fedeli pellegrini in questa terra (homines viatores) pongono un’opera buona e mediante l’autorità della Chiesa offrono i meriti satisfattori di Gesù Cristo al Sognore pregandolo che voglia accettarli in remissione delle pene, che le anime purganti debbono ancora scontare. Tale remissione di pena opera non solo in foro esterno, davanti alla Chiesa, ma anche in fòro interno, davanti a Dio. L’autorità ecclesiastica nel concedere le indulgenze, attinge al tesoro della Chiesa, costituito dai meriti satisfattori di Gesù Cristo, ai quali vanno aggiunti quelli della Vergine e dei santi. Ogni opera buona, fatta in stato di Grazia, oltre la parte meritoria, ch’è inalienabile e che dà diritto alla ricompensa, porta con sé la parte satisfattoria, per mezzo della quale si può scontare il debito temporale contratto con il peccato e che può esse ceduta anche agli altri. Tale tesoro viene applicato mediante la Comunione dei santi, in forza della quale la Chiesa trionfante, la purgante e la militante non costituiscono tre società, ma formano un solo corpo, di cui Cristo è il capo ed i fedeli le membra, le sono talmente unite dal vincolo dell’amore che i beni della comunità sono come propri di ciascuno e vanno a beneficio dei singoli (I Cor. XII, 12-26).

III. POTESTÀ DI CONCEDERE INDULGENZE

Risiede nella Chiesa, in coloro ai quali è stata commessa la potestà delle chiavi e che perciò per diritto divino hanno il governo della Chiesa. Tale verità, definita dal Concilio di Trento (Denz.-U, 989), si deduce dalle parole di Gesù Cristo dirette a s. Pietro: « Ti darò le chiavi del Regno dei cieli … Qualunque cosa scioglierai in terra, sarà sciolta in cielo » (Mt. XVI, 19). Se la Chiesa può, nel Sacramento della Penitenza, lavare l’anima dalla macchia della colpa, può certamente liberarla anche da un male più leggero, ossia dallo stato di pena.

IV. DIVISIONE. –

Le indulgenze si dividono in: a) plenarie, e parziali. È plenaria quella che, secondo la mente del concedente, rimette tutta la pena temporale: può essere però plenaria totaliter o relative secondo le disposizioni di chi l’acquista (can. 926). L’indulgenza plenaria, se non è detto espressamente il contrario, può acquistarsi una sola volta al giorno, anche se le opere prescritte vengono compiute più volte (can. 928 § 1); se può acquistarsi più volte al giorno vien detta toties quoties. Tra le indulgenze plenarie toties quoties è ben nota quella della Porziuncola concessa per il 2 di ag. L’indulgenza plenaria quotidiana, che suol concedersi per la visita ad una chiesa, va intesa nel senso che  può guadagnarsi in qualsiasi giorno, ma una volta soltanto nell’anno (can. 921 § 3). Il Giubileo è una indulgenza plenaria arricchita di particolari privilegi dal Romano Pontefice, e differisce dalle altre indulgenze plenarie per le solennità con cui è concesso e per i privilegi da cui è seguita. Queste circostanze estrinseche sono ordinate a rendere più profonde le disposizioni dei fedeli, e perciò stesso più sicura, soggettivamente, la remissione di tutte le pene temporali. Si deve pertanto ritenere il Giubileo non è superiore alle altre indulgenze plenarie quod effectum, ma soltanto quoad affectum (cf. F. L. Ferraris, Prompta bibliotheca canonica, IV, Montecassino 1848, p. 280). Parziale è l’indulgenza che rimette soltanto parte della pena temporale: se non è detto espressamente il contrario, essa può lucrarsi tante volte al giorno quante volte vien compiuta l’opera  prescritta (can. 928 § 2); b) personali, reali e locali, secondo che vengono concesse direttamente alle persone o ceto di persone, p. es., a religiosi; oppure sono annesse all’uso di particolari oggetti sacri, p. es., medaglie, corone, ovvero sono concesse la visita ad un determinato luogo sacro; c) perpetue o temporanee, secondo che sono accordate senza restrizione di tempo oppure sono limitate ad un certo numero di anni; d) indulgenze per i vivi o per defunti oppure per vivi e defunti. Per alcune indulgenze  personali, annesse all’appartenenza all’Azione Cattolica, alle Confraternite ed ai  Terz’ordini, v. alle rispettive voci. Così pure per alcune principali indulgenze: (ad es., Via Crucis, altare privilegiato, Porziuncola e reali, quelle annesse alle varie Corone,  agli Scapolari; alle medaglie o simili ecc.).

V.  REQUISITI PER LA CONCESSIONE E L’ACQUISTO DELLE INDULGENZE

Da parte del concedente si richiede che abbia la legittima potestà: distribuire infatti i beni di una società, quali sono le indulgenze rispetto alla famiglia cristiana, spetta a coloro che presiedono alla società medesima. Si richiede inoltre una causa giusta e legittima: chi è infatti preposto alla concessione delle indulgenze, non è dissipatore ma dispensatore del tesoro della Chiesa. Da parte dell’acquirente si richiede (can. 925):

a) che sia battezzato. Possono partecipare dei beni di società soltanto coloro che ne sono membri: si diviene membri della Chiesa per mezzo del Battesimo;

b) che sia in stato di Grazia, almeno quando pone l’ultima opera ingiunta: fino a che vi è la colpa, non vi può essere remissione alcuna di pena;

c) che sia suddito del concedente (ma se il concedente è il Vescovo di una diocesi, possono lucrare l’indulgenza anche tutti coloro che si trovino nel suo territorio: can. 927);

d) che abbia l’intenzione, almeno generale, di lucrare l’indulgenza; non è necessario che tale intenzione sia attuale o virtuale: è sufficiente l’abituale;

e) che adempia a tutte le condizioni. Quelle che comunemente sogliono imporsi per l’acquisto delle indulgenze plenarie sono: la Confessione, la Comunione, la recita di qualche preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice e la visita di una chiesa o di un oratorio pubblico, ovvero, per coloro che legittimamente ne usano, di un oratorio pubblico. – Quando è prescritta la Confessione, questa va fatta anche da coloro che non hanno coscienza di alcun peccato mortale; essa però può farsi entro gli otto giorni immediatamente  precedenti a quello, cui è annessa l’indulgenza, o entro gli otto giorni seguenti. Quando, poi, si tratta di indulgenze annesse a pii esercizi (tridui, settenari, novene), la Confessione può farsi anche entro gli otto giorni che seguono immediatamente il compimento dell’esercizio. Inoltre: non è obbligatoria in quest’ultimo caso la Confessione per chi si comunica quasi tutti i giorni con retta intenzione, anche se se ne astenesse una o due volte la settimana; né per chi si confessa abitualmente almeno due volte al mese. È eccettuata da questo privilegio la Confessione prescritta per l’acquisto del Giubileo o di indulgenze concesse a modo di Giubileo (can. 931). La Comunione deve essere sacramentale e non basta la spirituale; vale quella ricevuta per Viatico e anche quella pasquale (eccettuato il caso del Giubileo o di indulgenza a modo di Giubileo). Basta sia fatta la vigilia del giorno a cui è annessa l’indulgenza; o nell’ottava che lo segue. Nel caso di indulgenze concesse per tridui etc., vale per la Comunione quanto fu detto per la Confessione. Non è necessario che la Comunione sia fatta in chiesa, di cui è prescritta la visita per l’acquisto dell’indulgenza.  Con una sola Comunione si possono lucrare parecchie indulgenze plenarie concesse per il medesimo giorno, purché si adempiano le altre condizioni prescritte per ciascuna delle indulgenze che si vogliono acquistare (can. 931). La visita ad una chiesa, quando è prescritta, può farsi dal mezzogiorno della vigilia sino alla mezzanotte del giorno stabilito per l’indulgenza. (can. 923). Si richiede di accedere al luogo prescritto con l’intenzione generale o implicita di onorare Dio. Se il luogo delle visite non è prescritto in modo determinato, le persone viventi in una casa religiosa, collegi, convitti, ospedali, ecc., e le persone addette loro assistenza o servizio, possono lucrare le indulgenze visitando la cappella dell’Istituto, nella quale soddisfano al precetto festivo (decr. della S. Penitenzieria Apostolica del 20 sett. 1933, A. A. S. , 25 [1933], p. 446). La preghiera deve essere vocale almeno in parte e non solo mentale (can. 934 § 1), ed è libera a scelta, se non vi sono p r e scrizioni speciali. Per soddisfare alla clausola « secondo l’intenzione del Sommo Pontefice » basta la recita di un Pater, Ave e Gloria (decr. cit., ibid., p. 446); però trattandosi della indulgenza del « Perdono di Assisi » o di indulgenza toties quoties, per cui si richiede la visita di una chiesa, si dovranno recitare 6 Pater, Ave e Gloria, senza poter sostituire altra preghiera, anche più lunga (decr. della S. Penit. Apost. del 5 luglio 1930, A A S, 22 [1930], p. 363). Da notare, che le preghiere possono essere recitate alternativamente con un compagno, o seguite mentalmente quando sono recitate da un altro (can. 934 § 2); i muti possono acquistare le indulgenze unendosi coi fedeli che pregano e innalzando il cuore a Dio; e le preghiere possono recitarle mentalmente, espresse con i gesti loro propri percorse sul libro con gli occhi (can. 936). Infine, le indulgenze annesse alle invocazioni e giaculatorie si possono da tutti acquistare con la sola recita mentale (decr. della S. Penit. del 7 dic. 1933; A A S , 26 [1934], p. 35). Quando per causa ragionevole non si può tenere in mano il Rosario o il Crocifisso indulgenziati, si possono acquistare le indulgenze, se si porta indosso l’oggetto indulgenziato (decr. S. Penit. del 9 nov. 1933; A.A.S., 25 [1933], PP- 502 -13).

BIBL.: E. Amort, De orìgine, progressu ac fructu indulgentiarum, Augusta 1735; I. B. Bouvier, Traìté dogmatique et pratique des indulgences, des confrérìes et du jubìlé, X ed., Parigi 1855; P. Moccheggiani, Collectio indulgenti arimi theologice, canonice et historice digesta, Quaracchi 1897; G. Grimaud, Ordo des ìndulgences plénìères apprativo par la S. C. des Indulgences, Parigi 1904; L. Fanfani, De indulgentiis, Torino 1926; A. Lépicier, Le indulgenze: loro orìgine, natura e svolgimento, Vicenza 1931; J. Lacau, Précieux trésors des indulgences, 10a ed., Torino-Roma 1932; 1Theologia Mechliniensis, Tractatus de indulgentiis, 5a ed., Malines 1933; G. Demaret. Indulgences à l’usage de tous les fidèles suìvìes d’une manuel de piété, Parigi 1940; A. Legrand, Florilegium seu fasciculus precum et indidgentiarum, 3a ed., Bruges 1941; V. Heylen, Tractatus de indulgentiis, 6a ed., Alalines 1948; S. De Angelis, De indulgentiis. Tractatus quoad earum naturam et usum, 2a ed., Città del Vaticano 1950.

Serafino De Angelis