GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (51) LA VERA E LA FALSA FEDE -VI.-

LA VERA E LA FALSA FEDE –V.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ X. – A somiglianza pure dei Magi, il cattolico, sostenuto dall’insegnamento della Chiesa, manifesta la certezza della sua fede coll’efficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circondano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa.

Ma la certezza che si ottiene dall’insegnamento cattolico, ancora meglio che da una fede nel suo linguaggio vivissima, si rende fra i Cattolici manifesta da una fede, come quella dei Magi, efficace o generosa nelle sue opere. E che cosa difatti, se non la certezza che abbiamo della verità dei misteri della fede, della forza delle sue grazie, dell’ampiezza delle sue ricompense, persuade tra noi quel disprezzo dei beni temporali e della vita presente, quelle virtù eroiche, quei sacrifici sublimi, quei prodigi di santità che fuori della Chiesa Cattolica si cercherebbero invano, e che l’idolatria, il maomettano, l’eretico nei momenti di un qualche lucido intervallo della loro ragione c’invidiano ed ammirano, senza poterli intendere, molto meno imitare? E una grande e profonda parola quella in cui la sacra Scrittura fa dire a Dio: IL MIO GIUSTO VIVE DI FEDE: Justus autem meus ex fide vivi! (Hebr. X). Imperciocché è appunto la certezza che la fede inspira, unita ai soccorsi soprannaturali che ottiene, che fa vivere sulla terra ad uomini ricoperti di una carne inferma e corrotta una vita angelica, celeste e divina. Essa è che doma le passioni più rivoltose, che contiene i trasporti più violenti, che sana le piaghe più inveterate e più profonde dell’umanità, e persuade la penitenza alla mollezza, l’annegazione all’amor proprio, la carità all’avarizia, la clemenza all’odio, l’umiltà all’orgoglio. Essa è che persuade al sacerdote, al religioso, alla verginella di soggiogare la più violenta delle inclinazioni della natura corrotta, ed immolarsi col sacrifizio continuo della castità più severa, alla gloria di Dio, al bene delle anime, al desiderio di una vita più perfetta in terra e più gloriosa nel cielo. Essa è che spinge il missionario cattolico ad abbandonare patria, parenti, amici, agi, onori, ricchezze; ed a traverso oceani tempestosi ed orridi deserti penetrare nelle contrade più barbare e più crudeli, in cerca di mostri a forme umane, per farli prima uomini e quindi Cristiani, senza altra speranza che quella di coronare una vita di apostolo, una vita di stenti, di privazioni, di croci, di sacrificj di ogni specie, colla morte di un martire. Essa è che anima tante illustri verginelle a fare un sacrificio della loro gioventù, delle loro comodità, della loro bellezza, per dedicarsi all’istruzione delle figlie del povero; ad apprestare nelle prigioni, negli ospedali, nei campi di battaglia, all’umanità inferma, colle lezioni della fede, tutti i soccorsi della carità. Essa è che ispira tante virtù modeste, ma grandi; ignote al mondo, ma note a Dio; virtù che nei paesi cattolici santificano l’interno delle famiglie e vi mantengono colla fede la santità, e coll’ordine la concordia, la pace e la felicità. Essa è infine che incoraggia tanta gente di ogni età, sesso e condizione, a non temere né i sarcasmi degli empj, né il disdegno dei mondani, né la persecuzione dei parenti, né la perdita dei beni, né i pericoli della vita per conservare la fede, per non violare il pudore, per pròfessar la pietà. In somma è questa fede certa che rifonde tutto l’uomo e lo trasforma; fortifica l’anima e la solleva sopra sé stessa e le ispira nobili idee, sublimi sentimenti, sacrificj generosi ed eroici; e riproduce in ogni tempo, in ogni luogo, all’ammirazione del cielo e della terra, lo spettacolo unico e proprio solo della Chiesa Cattolica, lo spettacolo grandioso e stupendo di tanti uomini che, circondati dalla seduzione o dall’ingiustizia di tutte le passioni, son giusti ed in mezzo a tanti esempi di una vita voluttuosa e da bruto, novelli Lot, menano una vita che imita la purezza degli Angioli e manifesta la santità di Dio: Justus autem meus ex fide vìvit. – Che più? simile a quella dei Magi, la certezza che viene dall’insegnamento cattolico si produce ancora per mezzo di una fede costante in faccia ai più grandi scandali capaci di scuoterla e di abbatterla. Vede l’anima veramente cristiana la sua fede combattuta da tanti miscredenti, sfigurata da tanti eretici, disonorata da tanti delitti, oppressa da tanti tiranni. Vede i confidenti non meno che i nemici, i figliuoli stessi non meno che gli estranei, i protettori non meno che i persecutori, con una infernale energia lavorare, dove di nascosto, dove in palese, a metterla in discredito ai dotti, in diffidenza ai governi, in odio al popolo; e disputarsi l’empio vanto di darle l’ultimo crollo o co’ tenebrosi maneggi della loro politica, o col veleno delle loro dottrine, o coll’obbrobrio dei loro costumi. Tutto ciò essa vede, e come si gloria in Dio delle nuove conquiste e della gloria della fede, così geme in silenzio innanzi a Dio e versa lagrime di dolore sulle sue perdite e sui suoi obbrobrj. Ma, al pari degli obbrobri di Gesù Cristo suo capo, che, rivelati a Mosè, come dice S. Paolo, servirono a corroborar la sua fede, invece d’indebolirla, gli obbrobrj e le sconfitte della fede, rattristano ma non iscandalizzano e non fan vacillare la fermezza della credenza dell’anima veramente cattolica. Questa fede, oscurata, annerita dai vapori dell’errore e delle passioni, come la sposa dei Cantici, non le sembra men bella: Nigra sum sed formosa; e quanto la vede più combattuta, tanto le sembra più solida e più verace. Sa essa l’anima fedele, e lo sa di certo che quello che crede è vero al di sopra di tutto ciò che è vero. Come dunque un nuovo vangelo annunziatole dai demonj convertiti in angioli di luce non basterebbe a sedurla, così non bastano a scuoterla, ad intimorirla tutti gli scandali presentatili da uomini convertiti in demonj. Questi scandali, al contrario, facendole sempre meglio conoscere la miseria di chi mal crede e peggio opera ed il vanto di ben credere e di operar bene, le rendono sempre più cara la stessa fede e ve la confermano. Non importa che lo scandalo le venga dalla parte da cui dovrebbe venire l’edificazione e il sostegno: la sua fede rimane costante a fronte delle apostasie degli stessi Cattolici, come quella dei Magi a fronte del disprezzo che mostrarono per Gesù Cristo i suoi stessi Giudei. – Al principio della rivoluzione francese, un ufficiale in Lione essendosi presentato ad un parroco per confessarsi, questo miserabile, che aveva fatto naufragio nella fede, guardando l’ufficiale dall’alto in basso con una sardonica meraviglia, se ne fece beffe, dicendo di non comprendere come mai un graduato e colto militare potesse essere sì pregiudicato e sì cieco da credere ancora alla confessione. « Tutto ciò, ripigliò l’ufficiale, nulla da un tanto scandalo scosso nella sua fede, tutto ciò, signore, non vi riguarda. Ditemi, siete voi sacerdote? avete dal vostro legittimo Vescovo la necessaria facoltà d’assolvere? » E rispondendo il parroco: « Sicuramente, » « Or bene, soggiunse l’ufficiale, compiacetevi di ascoltare la mia confessione e promettetemi da uomo d’onore di assolvermi, se me ne credete capace, coll’intenzione di fare ciò che fanno i ministri della vera Chiesa, e non v’imbarazzate del resto. Se voi lo avete dimenticato, io però ho la sorte di ricordarmi ancora, e so quello che vale l’assoluzione di un legittimo sacerdote, fornito della legittima potestà, qualunque sia per altro la sua opinione e la sua condotta: » Promise il parroco di fare, e fece quanto e come l’ufficiale desiderava. E questi, confessatosi coi sensi della più grande pietà, ritirossi lasciando il parroco non saprebbe dirsi se più confuso della propria miscredenza, o meravigliato di trovare in questo novello centurione una fede sì solida e sì sublime. – Questo bell’esempio di fede, che ci è stato raccontato da un degnissimo ecclesiastico francese il quale lo avea saputo dallo stesso militare, questo esempio, dico, nei tempi di libertinaggio, di apostasia e di errore, ad ogni istante si rinnova. – Ma le anime veramente cattoliche, che in tali tempi, come ha detto S. Paolo, meglio si manifestano, sanno che la vera fede è soggetta a quando a quando a simili vicende per parte dell’errore e delle passioni: ma sanno ancora che, simili al sole che non abbandona un emisfero se non per il luminare un altro, e non tramonta la sera se non per tornare a spuntare il dì appresso, la stella miracolosa della fede, vera luce del mondo, non perde una porzione del suo splendore visibile e della sua esterna testimonianza in certi tempi ed in certi luoghi, se non per tornare in altro tempo e in altro luogo a brillare di un nuovo lustro e riscuotere omaggi novelli, e che, dopo essersi nascosta per qualche tempo da profuga, tornerà a mostrarsi per regnare da regina. Perciò né i libertini che la discreditano, né gl’indifferenti che non la curano, né i rei costumi che la disonorano, né gli antichi fratelli che cadono, né gli stessi ecclesiastici che prevaricano, scuotono punto i veri Cattolici nella loro fede. Deplorano siffatti scandali, ma non li imitano; compiangono tanta cecità, e, lungi dal divenir ciechi essi pure, imparano a vederci anche meglio; studiandosi di mantenere la purezza della lor fede colla purezza della lor anima; per non essere ancor essi strascinati dalla licenza del vivere alla turpe e vergognosa necessità di non credere. Non solo però questi tempi di pubblici scandali, ma i giorni ancora di prova, di tentazioni e di combattimenti privati ai quali Iddio sottopone alle volte le anime di tempra forte e robusta, e dei quali si è poc’anzi fatta parola, questi giorni altresì non duran sempre: passano essi più o meno rapidamente, per dar luogo ai giorni più sereni e più lieti, ai giorni di ricompensa e di conforto, che la divina bontà concede ancora in questa vita alle anime elette, dopo che la tentazione, coll’averne purificata la virtù e provata la fedeltà, le ha fatte trovare degne di Dio. – La stella dei Magi; dopo essersi occultata per provare la fermezza della lor fede ed accrescerla, tornò a brillare più splendida ai loro occhi; così la luce divina, dopo di essersi per qualche tempo ecclissata per provare pure ad accrescere la fede delle anime veramente cristiane, ricomparisce nella lor mente più brillante e più chiara. I venti delle tentazioni cessando di agitare questa preziosa fiammella, essa getta un lume immobile, costante e sicuro. E poiché nelle cose di Dio la mente tanto vede di più quanto il cuore è più puro, avendo detto il Signore: Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt (Matth. V.); così dopo che il cuore, per la prova sofferta, è stato purificato da quelle resine carnali da cui si sollevano i vapori delle passioni, la mente, divenuta più sgombra e più chiara, ci vede meglio di prima. E chi può mai intendere, non che spiegare o descrivere con parole lo stato di pace, di quiete, di secreta gioja in cui entrata l’anima, si abbandona a vagheggiare le bellezze della vera fede? Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Anche questo è un gran prodigio, è un gran mistero di fede, che moltissimi fra gli stessi Cattolici intendono poco, e gli eretici e i miscredenti non lo intendono affatto come gli uomini carnali, perduti nelle delizie dei sensi ed intenti a soddisfare il ventre che si hanno eretto in divinità, Quorum Deus venter est (Philip. III), non intendono come mai possa esser felice un cuore che assoggetta tutte le sue inclinazioni all’abnegazione evangelica; così gli eretici e i miscredenti, tutti occupati a ragionare e discutere, e che si sono fatti un idolo della loro ragione, non comprendono, nè possono comprendere come esser possa tranquilla e felice una mente che ha rinunziato ai propri lumi, al proprio giudizio per cattivarlo in ossequio della vera Fede. Ma che questo doppio mistero della grazia e della fede s’intenda, o non s’intenda, ciò nulla importa; il fatto sta che, tra i veri Cattolici, è certo e visibile. Poiché è certo e visibile presso di loro che siccome le anime veramente pure, lungi dall’essere infelici perché si privano degli sfoghi dei sensi, questi sfoghi anzi lor fanno orrore, e il sacrificio stesso della loro carne le consola, e l’incanto della purezza le rapisce e forma parte della loro interna felicità, così le anime veramente fedeli, lungi dal soffrire perché s’interdicono ogni raziocinio, ogni indagine in opposizione alla fede, ogni delirio della ragione, questo stesso sacrifizio della loro mente e del loro giudizio le appaga, le trasporta, e, facendole tranquille, le rende felici. – Imperciocché la felicità della mente consiste nell’ordine e nel riposo dei pensieri, come nell’ordine e nel riposo degli affetti consiste quella del cuore; ed opera della grazia divina si è l’ordinare la credenza, come sua opera è l’ordinare la carità: Ordinavit in me charitatem (Cantic. II) . Perciò la stessa grazia che rende facili i precetti di Dio, ne rende credibili i dommi; la stessa grazia che rende leggiero il peso della legge rende ancora soave e delizioso il giogo della fede. Ora siccome questa grazia ordinatrice non si dispensa che nella Chiesa, così solo nella Chiesa può trovarsi questo doppio ordine, questo doppio riposo, questa doppia felicità. – Solo del popolo della vera Chiesa si adempie la gran profezia: « Il mio popolo si assiderà nelle bellezze della pace, nei tabernacoli della fiducia, in seno ad un ricco ed abbondante riposo: Sedebit populus meus in pulchritudine pacis, in tabernaculis fiduciæ, in requie opulenta (Isa. XXXII). – Mirate quel tenero bambinello che ha preso sonno nelle braccia materne. Oh come è placido il suo respiro, perché  nulla teme il suo cuore! con quale abbandono di sé, con quale fiducia, con quale tranquillità e pace prolunga il suo riposo! oh come è bella la condizione dell’innocenza che dorme in seno all’amore! Or questa non è che un’immagine assai debole della intera sicurezza dell’anima cattolica nella verità della sua fede; dell’immensa fiducia con cui, intorno a ciò che crede, si abbandona nelle braccia della Chiesa, che a nome di Dio le parla de’ misteri di Dio: e vi si riposa con una pace profonda, con una tranquillità perfetta, sapendo che non può ingannarla, perché è sposa di Gesù Cristo, e non vuole ingannarla, perché è madre dei Cristiani; sicché il Cattolico solo può ripetere col Profeta: In pace in idipsam dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me (Psal. IV). – La vera Religione, a ben riflettervi, non è in fondo che amore. La fede è l’amore che docile ascolta, la speranza è l’amore che attende, la contrizione è l’amor che si duole, la preghiera è l’amor che desidera, la pratica del bene è l’amor che s’immola, la pietà e la divozione è l’amore che si trattiene con famigliarità e con confidenza coll’oggetto amato che è Dio, e tutto il culto cattolico non è che l’espressione dell’amore di Dio verso dell’uomo diretta ad eccitare, a mantenere, a cattivare l’amore dell’uomo verso Dio. Perciò il principale effetto della grazia della fede è d’infondere nell’anima una forza segreta, onde la volontà vuole ed ama di credere quello che crede; e domandando all’intelletto il sacrificio di acconsentire a ciò che esso non intende e supera la sua capacità, l’ottiene; e l’intelletto, sotto il peso di questo amore soprannaturale, si piega e si sottomette ai misteri rivelati con maggior fermezza di quello che se li avesse veduti. Perciò S. Paolo non solo il sentimento che ci solleva ad amare Iddio come sommo bene, ma quello pure che ci fa credere e sperare in Lui come somma verità, attribuisce alla secreta operazione dello Spirito Santo mediante la carità divina che, venendo egli in noi pel Battesimo, ha diffusa nei nostri cuori: Habemus accessum per fidem in gratiam istam, et gloriamur in spe gloriæ filiorum Dei..,. Spes autem non confundit: quia charitas Dei diffusa est in cordibus vestris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis (Rom. V.). La vera fede adunque è più nel cuore che nell’intelletto; oppure è nell’intelletto insieme e nel cuore: nell’intelletto per farlo credere amando, nel cuore per farlo amare credendo; e se il principio ne è la grazia, la forma e l’alimento ne è l’amore. Una fede siffatta salvò Maddalena: giacché lo stesso dolcissimo Gesù, che la assicurò della sua salute pel merito della sua fede, Fides tua te salvum fecit (Luc. VIII), dichiarò altamente che questa fede sì grande di Maddalena avea preso da un grande e tenerissimo amore la sua forza, il suo abbellimento o la sua perfezione: Dilexit multum (ibid.). Ora dall’amore nasce la fiducia, dalla fiducia il riposo nell’oggetto amato. Egli è adunque perciò ancora che il Cattolico, in cui la fede non è effetto del convincimento di un freddo raziocinio umano, ma del sacro fuoco dell’amore divino, va incontro con vero trasporto alla parola di Dio, all’insegnamento divino manifestatogli per mezzo della Chiesa; lo riceve con una immensa fiducia e vi si adagia e vi si riposa coll’intelletto e colla volontà, colla mente e col cuore, come in un tabernacolo di sicurezza e di pace: Sedebit in tabernaculis fiducia, in pulchritudine pacis. Oh condizione felice! oh sorte avventurosa della coscienza cattolica! Ma per sempre meglio intenderne i vantaggi e il pregio, procuriamo di confrontarla colla condizione infelice, colla sorte deplorabile delle coscienze di coloro che sono fuori della vera Chiesa; giacché, come le tenebre fan meglio risaltare il pregio della luce, così le miserie dell’errore fan meglio apprezzare il vanto di conoscere e di professare la verità.

§ XI. – Si entra a dimostrare che, fuori della Chiesa cattolica, non vi è CERTEZZA alcuna di fede. Da prima perché manca un’autorità divina. L’autorità politica, che fuori della Chiesa dispone della religione, non è altrimenti divina nel decretare i simboli di fede, ma umana o diabolica. Contradizione e castigo degli eretici, obbligati a far dipendere la loro fede dall’autorità secolare, essi che non vogliono riconoscere  l’autorità della Chiesa. Assurdità che vi sarebbe a riconoscere divina l’autorità degli eresiarchi; i loro stessi discepoli l’hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere un’autorità divina pel Cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo. – Il vero eretico non riconosce alcuna autorità divina, ma mette la propria ragione al di sopra di Dio stesso. Questo orribile peccato lo ha comune con Lucifero.

Abbiamo veduto che la certezza onde noi Cattolici siamo perfettamente tranquilli e sicuri nella nostra fede sopra tre motivi principalmente si fonda: . sull’autorità divina, interprete infallibile della divina parola; 2.° sull’interno ajuto della grazia della fede; . sull’esterna testimonianza dell’unità delle cattoliche credenze. Ora, poiché nessuno di questi tre motivi si trova nel sistema dell’insegnamento dell’eresia, egli è chiarissimo che l’eretico, veramente tale, non è e non può mai esser certo di quello che crede, e che fuori della cattolica Chiesa non vi è, né può esservi, in materia di religione, né vera certezza, né vera fede. – Non vi è da prima presso gli eretici un’autorità divina, interprete infallibile della divina parola. Accade nell’ordine religioso ciò che accade nell’ordine politico; giacché le stesse ne sono le leggi fondamentali, come lo stesso Dio ne è l’autore. Come la mancanza dell’autorità politica produce l’anarchia dei poteri nello stato, così la mancanza dell’autorità religiosa produce in religione la confusione delle credenze. E come l’anarchia dei poteri distrugge lo stato, così la confusione delle credenze alla lunga finisce col distruggere ogni religione. Come dunque la forza o il dispotismo politico può solamente mantenere un’apparenza di ordine in un popolo caduto nell’anarchia dei poteri, così la sola forza o il dispotismo religioso può, presso di un popolo caduto nella confusione delle credenze, mantenere un’apparenza di religione: Perciò non solo nei paesi maomettani e idolatri, ma ancora ne’ paesi cristiani, ma scismatici o eretici, è la podestà secolare, è la forza, è la spada che domina la religione. – Vi sono, è vero, vescovi ed arcivescovi nella chiesa anglicana, come vi è il santo sinodo nella così detta chiesa ortodossa. Ma quelli riconoscon per pontefice il re, o la regina col suo parlamento, questo l’imperatrice o l’imperatore col suo senato. Le stesse confessioni, gli stessi simboli legali, nei quali l’eresia e lo scisma han ridotto a certe formule l’errore, sebben foggiati da uomini di chiesa, è sempre l’autorità secolare che gli impone a tutti come leggi, che ne reclama l’esecuzione, e che al bisogno gli interpreta a seconda del suo interesse o del suo capriccio. Che anzi negli stessi stati, come la Prussia, l’Olanda, la Svizzera, in cui la supremazia religiosa della podestà politica non è un domma di religione, e perciò non é un diritto, è però ammessa ed esercitata di fatto; poiché infatti è il potere politico che decide nelle materie religiose, come nelle civili: che ordina le preghiere e i digiuni, come le imposte; che dispensa dai precetti del Vangelo, come dalle prescrizioni del codice civile; che regola le coscienze come le dogane, e dirige il culto come la polizia. – Qui due riflessioni si presentano naturalmente alla mente: la prima si è, la contradizione manifesta in cui l’eresia si trova con sé medesima. Poiché qual maggiore contraddizione di questa di rigettare l’autorità della Chiesa universale ed ammettere e sottoporsi all’autorità politica di un governo particolare in materia di religione? e di dire che l’autorità della Chiesa non è necessaria, mentre che l’eresia stessa altro mezzo non trova di perpetuare i suoi scismi e i suoi errori che quello d’insegnarli e d’imporli, coll’autorità sostenuta dalla forza? Qual contradizione più rivoltante di questa, di sostenere che Roma, che la Chiesa universale, riunita, per esempio, in Trento (in cui i più grandi talenti uniti a tutte le virtù fecero di quel Concilio l’assemblea la più santa, la più dotta, la più augusta, la più memorabile di quante mai ne abbia vedute la terra), non ha capito il Cristianesimo e vi si è ingannata: e che hanno ben capito e ci hanno solamente indovinato Costantinopoli, Pietroburgo, Vittemberga, Augusta, Londra, Ginevra ed i conciliaboli ivi raccoltisi sotto la protezione del soldato o del carnefice, e composti di frati apostati, di ecclesiastici incestuosi, d’ingiusti usurpatori, di fanatici sanguinarj, di artigiani falliti, di soldati rivoltosi, di femmine invereconde; in cui tutte le follie unite a tutte le turpitudini, e tutte le assurdità innestate a tutti i vizj, ne fecero le orge le più comiche insieme e le più scandalose di quante ne rammenti la storia delle umane ingiustizie e delle umane stravaganze? La seconda riflessione si è, che il castigo di Dio è visibile sopra questi popoli e sopra queste chiese ereticali o scismatiche, ribelli alla vera Chiesa. L’orgoglio che ha ricusato di sottomettersi al Vescovo dei Vescovi si vede ivi curvato innanzi ad un militare fortunato o alla sovranità religiosa in gonnella, e palparne le passioni e adorarne i capricci e subire dalla loro bocca profana la regola del credere e dell’operare, che ha sdegnato di ricever dalla bocca del Vicario di Gesù Cristo. Non han voluto sapere queste chiese degradate di esser guidate dal pastorale, e sono cadute sotto il regime dello scettro e della spada. La seta della romana tiara è sembrata lor troppo grave, e sono obbligati a gemere sotto il peso di una Corona di ferro. Rigettarono le bolle del Vaticano, ed invece devon piegare la fronte innanzi ai decreti di gabinetto, e ricevere dai parlamenti, invece dei concilj, dai tribunali laicali, invece delle sacre congregazioni, ed invece del concistoro romano, dal consiglio di stato la soluzione dei casi di coscienza e l’interpretazione del Vangelo. Sicché come la fede del Cattolico si riduce in fondo a questo semplice articolo, che comprende tutte le verità: « Io credo tutto ciò che crede la Chiesa; » così la fede del Cristiano, nei paesi in cui lo scisma e l’eresia è la religion dello stato, si riduce a quest’articolo, che comprende tutti gli errori, non escluso l’ateismo: « Io credo a ciò che ordina di credere il re, o l’imperatore. » – Di più, una delle prove più luminose, come si è di già veduto, che l’autorità pontificia insegnante è manifestamente divina si è che gli uomini d’ingegno, d’indole, di nazioni diverse, che per circa duemila anni l’hanno esercitata, appena si sono messi a sedere sulla cattedra di verità, dimenticando tutte le loro idee e le loro passioni, han parlato tutti lo stesso linguaggio. Poiché, senza un’assistenza divina sempre la stessa, era impossibile in tanta diversità di tempi, d’interessi, di opinioni, un accordo si costante, si uniforme, sì contrario alle condizioni dell’umanità e però ancora sì prodigioso. Ma immaginate che i sommi pontefici avessero insegnato il contrario gli uni dagli altri in materia di fede: non potendosi allora decidere chi di loro avesse insegnato il vero e chi il falso, non si potrebbe con sicurezza credere a nessuno. Or con molto più di ragione non si può credere ad alcuna delle autorità civili che si hanno usurpato il diritto di spiegare il Vangelo, e che si vedono interpretare questo Vangelo unico in mille maniere differenti e contrarie; giacché il Cristianesimo di Londra non è quello di Pietroburgo, il Cristianesimo di Berlino è condannato di eresia all’Aja, e quello di Ginevra in Atene è tacciato di empietà … Ma siccome sotto un Dio unico non vi è, né vi può essere che una stessa e medesima fede; una stessa e medesima legge, uno stesso e medesimo modo d’intenderla e di praticarla; e lo stesso Dio non può ispirare interpretazioni sì differenti e sì contrarie della sua stessa parola divina, uniforme ed immutabile: così è chiarissimo che queste autorità civili, che si hanno arrogato la supremazia religiosa, non sono ispirate dal Dio di verità, di pace e di concordia, ma dallo spirito di menzogna, di confusione e di disordine: e che non sono organi divini che insegnano le vie della salute, ma strumenti diabolici che strascinano le anime alla perdizione. – E poi, dopo che si è negato al Sommo Pontefice, capo della Chiesa universale, l’autorità divina di spiegare agli uomini il Vangelo, come è possibile il riconoscere investito di questa stessa autorità divina un fanciullo, od una donnetta, per diritto di nascita o per intrigo di rivoluzione, saliti al trono, o un ribaldo o uno straniero che vi si é fatta strada con una guerra ingiusta, o con una usurpazione felice? Il buon senso più volgare non ripugna di ammettere sì enorme stravaganza? – Credo perciò che quelli stessi cui la ribellione alla Chiesa ha conferito un diritto sì esorbitante e sì assurdo sulla religione dei loro popoli non prendano già in serio questa loro dignità; o che, come degli antichi auguri ci narra Cicerone, che incontrandosi tra via non potevano contenersi dal ridere e volgere essi stessi in burla l’assurdità del loro ministero, così questi pontefici di fabbrica umana non possono non farsi beffe del loro ridicolo pontificato. Checché sia però di loro è certissimo che chi ha fior di senno in capo fra i loro sudditi non crede che essi abbiano autorità in materia di fede, più di quella che un semplice privato ne ha in materia politica, e che l’ima autorità è tanto poco divina quanto l’altra è poco sovrana. Perciò gl’Inglesi protestanti, come vari di loro più sinceri ce lo han confessato, non riconoscono nel loro re-pontefice che la sola esterna rappresentanza della supremazia religiosa, cioè un’autorità puramente politica per mantenere l’esterna unità di una politica religione, qual è la chiesa anglicana, non mai però una vera autorità religiosa, molto meno divina, che abbia diritto di comandare la fede e legar le coscienze. Ciò che, in altri termini, significa che il re d’Inghilterra colla sua prerogativa di capo della religione anglicana e con tutti gli omaggi che a tal titolo riceve, non è più pontefice di quello che sia re un re da teatro; salvo la differenza che un re da teatro fa ridere, e questi pontefici di politica creazione, a cominciar da Nerone che fu pontefice a questo modo, han fatto più di una volta scorrere piogge di lagrime e torrenti di sangue. – Né minor violenza bisognerebbe fare all’intimo senso per riconoscere come inviati di Dio, ripieni del suo spirito e rivestiti di un’autorità divina gli eresiarchi, dalla cui viltà sacrilega i principi secolari han ricevuta la loro religiosa autorità. E mai credibile che Iddio, per illuminar la sua Chiesa e rimetterla sulla strada della verità, da cui gli eretici pretendono che si sia allontanata, tralasciate quelle anime sublimi ed eroiche che in tutti i tempi e precisamente nel secolo XVI suscitò nel Cristianesimo, un S. Gaetano Tiene, un S. Girolamo Emiliani, un S. Ignazio Lojola, un S. Filippo Neri, un S. Carlo Borromeo, un S. Francesco Saverio, un S. Camillo di Lellis, un S. Francesco Carracciolo, un S. Francesco di Sales, un S. Giuseppe Calasanzio, un S. Francesco Borgia, un S. Andrea Avellino, un S. Felice da Cantalice, un S. Pio V, un S. Pietro d’Alcantara, un S. Giovanni della Croce, un Sisto V, un Luigi da Granata, un Bartolomeo de’ Martiri, un Roberto Bellarmino, un Cesare Baronio, un Tomaso Moro, un Pietro Canisio e mille altri santi o venerabili uomini, di un zelo sì disinteressato, di una vita sì pura, di una carità sì eroica, di un ingegno sì vasto, e degnissimi perciò di ricevere in abbondanza lo spirito di Dio e di servire ai disegni della sua misericordia; che, tralasciati, dico, costoro, abbia voluto comunicarsi ad un Fozio l’ipocrita, ad un Giovanni Uss l’indiavolato, ad un Lutero l’incestuoso, ad un Calvino il sodomita, ad un Rotmano il crudele, ad un Arrigo VIII il poligamo, e ad altri uomini di simil tempra, autori di tutti gli scandali, rei di tutti i delitti, ed abbia voluto costituirli apostoli della verità, luce del mondo? In verità che la cosa è troppo assurti per potersi credere, troppo ridicola per potersi affermare. – E poi, se essi stessi questi eresiarchi si sono l’un l’altro scomunicati, anatematizzati, maledetti come apostoli di errore e corruttori della verità, e sì sono a vicenda regalati i titoli di asini, di porci, di diavoli in carne; come si farebbe a decidere chi fra loro ha avuto ragione e chi torto nel parlare cosi, chi è stato da Dio ispirato e chi dal demonio? non avendo potuto a tutti lo stesso Dio ispirare dottrine sì contradittorie da meritar l’una l’anatema dell’altra. Non è dunque più ragionevole e giusto il credere che. Eccettuata la sentenza onde si sono a vicenda condannati siccome eretici, poiché si sono in ciò renduti giustizia e si sono dati il nome che loro spetta, in tutto il resto l’inferno e non il cielo li ha ispirati? – Perciò i loro discendenti si vergognarono ben presto di tali antenati, e per fare obbliare al mondo di avere essi avuto questi mostri per loro guide e maestri, lasciati i nomi delle persone che ricordavano tanti delitti e tante infamie, chiesero alle cose il titolo onde distinguersi, e non si chiamarono più luterani, calvinisti, zwingliani, ma riformati, confessionisti, evangelici, protestanti, ortodossi. E con ciò han dato a conoscere al mondo che nemmeno essi stessi gli eretici riconoscono nei loro turpi patriarchi ombra di spirito di Dio, di missione divina, di divina autorità. – Ma la sacra Scrittura non contiene la parola di Dio? Credendo adunque, come gli eretici dicono credere alla Scrittura, non vengono essi a credere alla parola di Dio e sulla sua autorità? Sì, se col credere alla divina Scrittura credessero essi o potessero credere ad una autorità pure divina che infallibilmente la interpreti. Ma dove trovarla questa autorità fuori di quella della Chiesa Cattolica, che hanno rigettata? La logica dell’errore è così forte come quella della verità. Dopo che si è detto che la Chiesa cattolica o universale si è ingannata, non si può, senza contradizione, ammettere come infallibile l’autorità d’una chiesa particolare. Nessuna chiesa particolare adunque che ha fatto scisma dalla Chiesa universale si può essa stessa imporre come autorità divina ed infallibile ai membri che la compongono; ed è obbligata a lasciare ad ognuno la più ampia latitudine d’intendere la Scrittura come gli pare. Il principio protestante adunque: Che, in materia di religione cristiana, quello si deve ritenere per vero che sembrerà vero ad ognuno leggendo la Scrittura, è la conseguenza legittima, inevitabile, necessaria di ogni eresia che nega l’autorità della Chiesa cattolica, ed in questa conseguenza ogni eresia si risolve. Perciò ogni eresia, come la stessa parola Io indica, non è in fondo che opinione particolare e privata. – Gli eretici veramente tali non hanno dunque fede che nell’infallibilità loro personale, non ammettono altra autorità che la propria ragione. Ed egualmente impudenti e ridicoli che orgogliosi ed empj non arrossiscono di sostenere che può errare il Sommo Pontefice, il testimonio sincero della credenza cattolica, il custode del deposito della rivelazione, il dottore universale, principio e centro della cattolica unità; ma che non erra poi mai l’uomo privato, il zerbino, il militare, il bifolco, la donnicciola: che può ingannarsi colui che Gesù Cristo ha rivestito del ministero d insegnare; ma non s’inganna però mai colui che ha solo l’obbligazione di credere; che può traviare e addormentarsi il pastore, che ha l’incarico di guidare e di pascere; ma che cammina sempre dritta e sicura e che è sempre vigilante sopra sé stessa la pecora, che ha un incessante bisogno di essere guidata e pasciuta: che il maestro alle volte non intende bene la divina parola, ma che bene sempre la intende il discepolo; che è fallibile colui cui è stato detto da Gesù Cristo, la tua fede non fallirà giammai (Luc. XXII); ma è infallibile colui cui il Signore ha detto, bada bene che quello che tu credi un lume in te stesso può benissimo non essere altro che tenebre (ibid. 11). Quanto dire che osano di attribuirsi, ognuno in particolare, quella infallibilità che negano al capo dei fedeli, al corpo dei pastori, alla Chiesa universale, e con una stolida confidenza si appoggiano ad una fragile canna, dopo di avere abbandonata la quercia come non abbastanza solida e sicura. – Pertanto se, ammettendo la divinità delle Scritture riconoscessero la divina autorità che ha la Chiesa d’interpretarla, allora la loro fede, come la nostra, andrebbe a risolversi a terminare in Dio. Ma poiché, rigettata l’autorità della Chiesa, hanno adottato il principio di non ammettere per vero, se non ciò che a ciascuno parrà cero leggendo la Bibbia, come gli antichi filosofi han detto: Quello doversi tener per vero che sembra vero ad ognuno studiando la natura; ognuno di loro si è messo nella disposizione di non credere delle verità primitive o evangeliche né più né meno di quello che gli piacerà e come gli piacerà di crederlo, e di rigettar come falso, o disprezzare come indifferente, tutto ciò che nella rivelazione cristiana rimane al di fuori del circolo delle sue concezioni, de’ suoi giudizj, de’ suoi gusti, dei suoi capricci. In questo orribile sistema adunque, come lo ha benissimo avvertito Tertulliano, sebben l’uomo protesti di credere alla parola di Dio depositata nella Scrittura, pure non è la rivelazione divina che serve di regola alla ragione umana, ma la ragione umana che allarga o restringe, accetta o rigetta, e decide sulla rivelazione divina. Non è l’uomo che si assoggetta alla parola di Dio, ma è la parola di Dio che riman sottoposta al giudizio dell’uomo, Unusquisque arbitratu suo modulatur quod accepit (De præser.). L’ultimo motivo della sua credenza non è già Dio che ha parlato alla Chiesa, ma la propria ragione che ha deciso della parola di Dio, ed ove la fede del Cattolico, nella sua analisi, si risolve in quest’ultimo articolo: Io credo a Dio, la fede dell’eretico finisce in quest’altro: lo credo a me stesso. Quanto dire che l’uomo si erige e si forma un Dio di sé stesso. – L’eretico adunque, coerente a’ suoi principj, non solo non fonda la sua credenza sopra alcuna autorità divina, ma la stabilisce sopra il più grande dei delitti di cui l’umana intelligenza può farsi rea innanzi a Dio, sopra l’idolatria di se stesso. – Quest’orrendo delitto della ragione, che si fa un Dio di se stessa, l’eresia lo ha comune colla filosofia pagana. Degli antichi filosofi Cicerone, in persona di Balbo, afferma che, disprezzando sdegnosamente ogni autorità, tutto pretendevan decidere al tribunale della propria ragione, ed altro oracolo non ammettevano che il proprio giudizio: Tu auctoritates omnes contemnis, ratione pugnas … Suo unicuique utendum est judicio (De nat. deor.). E Seneca pure, alunno ed interprete della stessa scuola, il filosofo, dicea, abbandonato ai proprj pensieri, non acconsente, non crede che a se stesso, Philosophus, cognitionibus suis traditus, acquiescit sibi. Lungi adunque dal credere a Dio, non ammettevano Dio se non come ad ognuno sembrava bene di ammetterlo, o piuttosto se lo creava ciascuno a seconda del proprio capriccio, o delle proprie passioni. E siccome il Creatore è al di sopra della creatura, così questi stolidi e sacrileghi creatori di Dio non mancano di preferirsi a Dio stesso e di costituirsi dii dello stesso Dio. Poiché lo stesso Seneca in più luoghi ha bestemmiato « che il filosofo, pel merito della sua sapienza, è a Dio superiore; » benché, in quanto a lui stesso, per eccesso senza dubbio di modestia, contentossi di dirsi a Dio solamente eguale: Hoc mihi philosophia promittit, ut me Deo parem faciat. E per dirlo qui di passaggio, chi non ravvisa in questa sacrilega parola del pagano filosofo un eco fedele della parola sacrilega che Lucifero pronunziò di se stesso dicendo: « io mi farò somigliante all’altissimo Iddio. Similis ero Altissimo (Isa. XIV) , » e che ripeté quindi all’orecchio dei nostri progenitori, promettendo loro che sarebbero divenuti simili a Dio disubbidendo a Dio, Nequaquam moriemini, sed eritis sicut dii (Gen. II). Ora questa stessa orribile parola che, uscita dal fondo dell’abisso, risuonò prima nell’empireo, poi nell’Eden e infine nel mondo pagano con sì funesto rimbombo, si è ripetuta e si ripete ancora, con non minor danno, in quelle parti del mondo cristiano ove ha dominato e domina ancora l’eresia. Simon Mago, Manete, Montano, Maometto fra gli antichi, Lutero, Martino, Giorgio, Diderot e Rousseau, fra i moderni si sono apertamente attribuita l’ispirazione e l’infallibilità divina e si sono preferiti, lo dirò io?…. al medesimo Gesù Cristo. I loro discendenti non osano più altrettanto colle parole, ma l’osano coi fatti. Giacché che cosa è mai il principio protestante ammesso ed enunciato dai protestanti medesimi: Il protestantismo consiste nel credere come più piace e nel vivere come si crede? se non prendersi scherno di ogni rivelazione divina, opporre il proprio capriccio alla divina parola; è lo stesso che dire: « Che Dio abbia o no parlato, poco m’importa. Se ha parlalo, non ha diritto di impormi la sua parola per regola della mia intelligenza e della mia condotta. Che cosa poi abbia detto, non mi curo saperlo, giacché ho sempre diritto di far dipendere la mia credenza dal mio capriccio e la mia vita dalla mia credenza. « E non è questo un considerarsi eguale, anzi superiore a Dio stesso? È dunque la stessa parola di Lucifero, che collo stesso accento del sacrilegio ripercossa in faccia alla montagna dell’orgoglio ha un eco nel cuor dell’eretico. È Io stesso spirito di superbia luciferina che lo anima, che lo ispira, che lo regge, che lo acceca, che lo perde. Oh misera condizione dell’uomo alla scuola di un tal maestro, sotto il regime di un tal padrone, sotto l’ispirazione di siffatta divinità!

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.