DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le letture dell’Ufficio divino che si fanno in questa Domenica sono spesso quelle dei Maccabei (vedi Dom. precedente, pag. 1002). « Antioco, soprannominato Epifane, avendo invaso la Giudea e devastato tutto, dice S. Giovanni Crisostomo, aveva obbligato molti Ebrei a rinunziare alle sante pratiche dei padri loro, ma i Maccabei rimasero costanti e puri in queste prove. Percorrendo tutto il paese, essi riunivano tutti i membri ancora fedeli e integri che incontravano; e di quelli che si erano lasciati abbattere o corrompere, ne riconducevano molti al loro primo stato, esortandoli a ritornare alla fede dei padri loro e rammentando loro che Dio è pieno di indulgenza e di misericordia e che mai rifiuta di accordare la salvezza al pentimento, che ne è il principio. E questa esortazioni facevano sorgere un esercito di uomini più valorosi, che combattevano non tanto per le loro donne, i loro figli, i loro servitori, o per risparmiare al paese la rovina e la schiavitù, quanto per la legge dei padri loro e 1 diritti della nazione. Dio stesso era il loro capo, e perciò, quando in battaglia serravano le file e prodigavano la loro vita, il nemico era messo in fuga: essi stessi fidavano meno nelle loro armi che nella causa che li armava e pensavano che essa sarebbe sufficiente per vincere anche in mancanza di qualunque armatura. Andando al combattimento, non empivano l’aria di vociferazioni e di canti profani come usano fare alcuni popoli: non si trovavano tra loro suonatori di flauto come negli altri campi; ma essi pregavano invece Iddio di mandar loro il suo aiuto dall’alto, di assisterli, di sostenerli, di dar loro man forte, poiché per Lui facevano guerra e combattevano per la sua gloria » (4a Domenica di ottobre Notturno). Dio non considera nel mondo che il suo popolo, Gesù Cristo e la sua Chiesa che sono una cosa sola. Tutto il resto è subordinato a questo. « Dio, che esiste ab æterno e che esisterà per tutti i secoli, è stato per noi, dice il Salmo del Graduale, un rifugio di generazione in generazione» (Introito). «Allorché Israele usci dall’Egitto e la casa di Giacobbe da un popolo barbaro » continua il Salmo dell’Alleluia, Dio consacrò Giuda al suo servizio e stabilì il suo impero in Israele ». Dopo aver mostrato tutti i prodigi, che Dio fece per preservare il suo popolo, il salmista aggiunge: « Il nostro Dio è in cielo, tutto quello che ha voluto, Egli lo ha fatto. La casa di Israele ha sperato nel Signore; Egli è il loro soccorso ed il loro protettore ». Il Salmo del Communio e del Versetto dell’Introito, dice il grido di speranza che le anime giuste innalzano al cielo: « L’anima mia è nell’attesa della tua salvezza, quando farai giustizia dei miei persecutori? Gli empi mi perseguitano, aiutami, Signore mio Dio». «Signore, aggiunge l’Introito, ogni cosa è sottomessa alla tua volontà, poiché tu sei il Creatore e il padrone dell’Universo ». – « Signore, dice ugualmente la Chiesa nell’Orazione di questo giorno, veglia sempre misericordiosamente sulla tua famiglia, affinché essa sia, per mezzo della tua protezione, liberata da ogni avversità e attenda, con la pratica delle opere buone, a glorificare il tuo nome ». Il popolo antico e il popolo nuovo hanno un medesimo scopo, che è la glorificazione di Dio e l’affermazione dei suoi diritti. Tutti e due hanno anche gli stessi avversari, che sono satana e i suoi ministri. La Chiesa, ispirandosi alle Letture del Breviario delle Domeniche precedenti, ricorda oggi gli assalti che Giobbe ebbe da sostenere da parte di satana (Offertorio) e Mardocheo da parte di Aman, che fu calunniatore come il demonio (Introito). Dio liberò questi due giusti, come pure liberò il suo popolo dalla cattività d’Egitto, come venne in aiuto ai Maccabei che combattevano per difendere la sua causa. Cosi pure i Cristiani devono subire gli assalti degli spiriti maligni, poiché i persecutori della Chiesa sono suscitati dal demonio, come quelli del popolo d’Israele nell’antica legge. «Abbiamo da combattere, dice San Paolo, non contro esseri di carne e di sangue, ma contro i principi di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria (Epistola). Come per i Maccabei che, per quanto valorosi, fidavano più in Dio che nelle loro armi, così i mezzi di difesa che devono adoperare i Cristiani sono anzitutto di ordine soprannaturale. « Fortificatevi nel Signore, dice l’Apostolo, e nella sua virtù onnipotente. Rivestitevi dell’armatura di Dio per difendervi dal demonio ». – I soldati romani, servono di esempio al grande Apostolo nella descrizione minuziosa che ci dà della panoplia mistica dei soldati di Cristo. Come armi difensive la Chiesa ha ricevuto nel giorno della Pentecoste, la rettitudine, la giustizia, la pace e la fede; come armi offensive le parole divinamente ispirate dallo Spirito Santo. Ora la parabola che Gesù ci dice nell’Evangelo di questo giorno, riassume tutta la vita cristiana nella pratica della carità, che ci fa agire verso il prossimo come Dio ha agito verso di noi. Egli ci ha perdonato delle gravi colpe: sappiamo a nostra volta perdonare ai nostri fratelli le offese che essi ci fanno e che sono molto meno importanti. Il demonio geloso porta gli uomini ad agire come quel servitore cattivo che prese per la gola il compagno, che gli doveva una somma minima e lo fece mettere in prigione perché non poteva pagare immediatamente. Se anche noi agiremo così, nel giorno del giudizio, cui ci prepara la liturgia di questa Domenica, dicendo: « Il regno dei cieli è simile ad un re che volle farsi rendere i conti dai suoi servi », Dio sarà verso di noi, quali noi saremo stati verso il prossimo. – L’Apostolo parla di una lotta accanita contro i nemici invisibili che ci lanciano dardi infiammati. Il combattimento è terribile e dobbiamo armarci fortemente per poter restare in piedi dopo aver riportata una vittoria completa. Come il soldato, il Cristiano deve avere un largo cinturone, una corazza, dei calzari, uno scudo, un elmo ed una spada.

Mostrarci implacabili per una ingiuria ricevuta, dice s. Girolamo, e rifiutare ogni riconciliazione per una parola amara, non è forse giudicare noi stessi degni della prigione? Iddio ci tratterà secondo le intime disposizioni del nostro cuore: se non perdoniamo, Dio non ci perdonerà. Egli è nostro giudice e non vuole un semplice perdono puramente esteriore. Ognuno deve perdonare a suo fratello « di tutto cuore », se vuol esser perdonato nell’ultimo giorno » (Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Esth. XIII: 9; 10-11
In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, cœlum et terram et univérsa, quæ cœli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, coelum et terram et univérsa, quæ coeli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Oratio

Orémus.

Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut a cunctis adversitátibus, te protegénte, sit líbera, et in bonis áctibus tuo nómini sit devóta.

[Custodisci, Te ne preghiamo, o Signore, con incessante pietà, la tua famiglia: affinché, mediante la tua protezione, sia libera da ogni avversità, e nella pratica delle buone opere sia devota al tuo nome.]

Lectio

Lectio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes VI: 10-17
Fratres: Confortámini in Dómino et in poténtia virtútis ejus. Indúite vos armatúram Dei, ut póssitis stare advérsus insídias diáboli. Quóniam non est nobis colluctátio advérsus carnem et sánguinem: sed advérsus príncipes et potestátes, advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequítiae, in coeléstibus. Proptérea accípite armatúram Dei, ut póssitis resístere in die malo et in ómnibus perfécti stare. State ergo succíncti lumbos vestros in veritáte, et indúti lorícam justítiæ, et calceáti pedes in præparatióne Evangélii pacis: in ómnibus suméntes scutum fídei, in quo póssitis ómnia tela nequíssimi ígnea exstínguere: et gáleam salútis assúmite: et gládium spíritus, quod est verbum Dei.

“Fratelli, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Vestite tutta l’armatura di Dio, perché possiate tener fronte alle insidie del demonio; poiché noi non abbiamo a combattere contro la carne ed il sangue, ma sì contro i principati, contro le podestà, contro i reggitori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti malvagi, per i beni celesti. Per questo pigliate l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e in ogni cosa trovarvi ritti in piedi. Presentatevi adunque al combattimento cinti di verità i lombi, coperti dell’usbergo della giustizia, calzati i piedi in preparazione dell’Evangelo della pace. Sopra tutto prendete lo scudo della fede, col quale possiate spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Pigliate anche l’elmo della salute e la spada dello spirito, che è la parola di Dio „.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

LE PASSIONI.

L’Apostolo, riepilogando la sua lettera agli Efesini, viene a parlare della lotta spirituale che devono sostenere contro il demonio. Non è un nemico comune; è un nemico invisibile, e che attacca con insidie. Un motivo di più per armarsi fortemente e star in guardia chi non vuol essere sorpreso e vinto. Le armi non mancano. Come il soldato ha le sue armi per difendersi contro i nemici corporali; così il Cristiano ha le sue armi per difendersi contro i nemici spirituali. Son soprattutto le armi che ci porge la fede. Tutti dobbiamo combattere la nostra battaglia spirituale fin che siamo su questa terra. La lotta contro le passioni, delle quali il demonio si serve per trarci al suo servaggio, è una lotta continua che noi potremo superare,

1. Fortificandoci nel Signore,

2. Stando sempre preparati,

3. Usando le armi che ci porge la fede.

1.

Cercate la forza nel Signore e nella sua potente virtù.

Noi possiamo essere eccellentemente istruiti nella legge del Signore, e con tutto questo non conseguire la vita eterna, data la nostra incapacità a praticare da soli, senza l’aiuto di Dio, quanto dalla legge del Signore è prescritto. Il demonio, che cerca di impedirci il conseguimento della nostra beatitudine eterna, è un nemico che conosce tutte le arti, tutte le astuzie, tutte le insidie. Bisogna che ci affidiamo a chi può rendere vane tutte le arti del demonio, bisogna che ci affidiamo al Signore, cercando la forza in lui. – Se noi potessimo resistere al demonio con le sole nostre forze, sarebbe inutile rivolgerci ogni giorno al Signore con la preghiera che egli stesso ci ha insegnato: «Non c’indurre nella tentazione», cioè, come spiega Sant’Agostino «non permettete che, sottraendoci voi il vostro aiuto, noi cadiamo in essa» (Lett. 157, 5). Noi possiamo fare tutti i proponimenti immaginabili, ma, senza l’aiuto che vien dall’alto, non riusciremo a metterne in pratica alcuno. S. Pietro protesta a Gesù: «Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». E lo stesso dicevan tutti gli altri. Qualche ora dopo, al momento della cattura di Gesù «tutti i suoi discepoli lo abbandonarono e fuggirono». S. Pietro, poi, arriva «a imprecare e a giurare di non conoscere Gesù » (Marc. XIV, 31, 50, 71). Poveri proponimenti degli uomini, se non sono avvalorati da Dio. Una nave senza timone e senza timoniere tra cavalloni che s’innalzano, e nulla più, è l’uomo che conta sulle sole proprie forze. Ma se di fianco a noi c’è Dio, tutto il potere dei nemici dell’anima nostra si infrange contro la volontà di Lui. «Alla tua volontà — dice Mardocheo rivolto al Signore — tutte le cose sono sottomesse, e non c’è chi possa resistere alla tua volontà» (Est. XIII, 9). Anche il demonio è sottomesso alla volontà di Dio. e le sue astuzie e le sue insidie non possono passare oltre il confine da Lui segnato. – Se tu sei posto sotto la tutela di Dio. Sfuggirai i lacci che il nemico tende per farti cadere, sarai liberato dalle insidie che il demonio prepara attorno a te per uccidere l’anima tua. «Procederai sopra aspidi e basilischi, e calpesterai leoni e draghi» (Ps. XC, 13), come dice il salmista. Egli che può renderti innocui gli animali più feroci e velenosi, al punto che tu potresti passare incolume sul loro capo, può liberarti anche dagli assalti delle passioni, che cercano farti loro preda, può rendere innocuo il serpente infernale che non cessa un momento dal tentativo di avvelenare, con il suo alito pestifero, le anime redente. «Quegli che un giorno ha vinto la morte per noi, vince sempre in noi» (S. Cipriano Epist. 8, 3. ad Mart. et Conf.).

2.

L’Apostolo, dopo averci indicato il primo mezzo, mezzo assolutamente indispensabile, per vincere gli assalti del demonio e delle passioni, il ricorso a Dio; passa a parlare degli altri mezzi spirituali, che egli paragona alle parti dell’armatura del soldato romano. Rivestitevi dell’armatura di Dio. Armatevi da capo a piedi delle armi spirituali, affinché non siate presi all’improvviso dagli assalti del nemico. – I colpi improvvisi, se ben preparati, sono quelli che riescono meglio. I posti militari, presi all’improvviso dagli assalti di schiere ben guidate, finiscono quasi sempre col venire abbandonati dai difensori. Se non vogliamo venir travolti da qualche assalto, che le passioni ci facciano di sorpresa, bisogna stare continuamente all’erta, essere sempre pronti a respingere il primo attacco. In guerra si contrappone arma ad arma, sistema a sistema. Sistema del demonio è non dormire mai per poter cogliere il momento più propizio di muovere all’assalto. Sistema di difesa è quello di non lasciarsi cogliere nel sonno. Perciò S. Pietro, parlando appunto del demonio, che non si prende un momento solo di requie, esorta: «State raccolti, vigilate» (I Piet.: V, 8). Se ci dimentichiamo che le tentazioni possono svegliarsi quando meno lo pensiamo, verremo colti certamente di sorpresa; ci troveremo come disorientati, e difficilmente resisteremo. Non bisogna meravigliarsi, di nessun assalto. Furono tentati santi e sante di ogni età e condizione; non vorremo aver la pretesa d’esser solamente noi a sfuggire agli assalti delle passioni. Se ci meravigliamo, e, conseguentemente, ci turbiamo, le passioni non tarderanno a scuoterci, e a farci perdere terreno. Forti e sereni nella fiducia in Dio non titubiamo un momento, non cediamo in nulla. Se tu non rintuzzi con energia i primi attacchi, la passione diventerà più gagliarda, e a te verran meno a poco a poco le forze per resistere. In breve ti troverai lontano da Dio e assoggettato a satana, del quale prima avevi tanto orrore. Guardati dal primo errore. E primo errore, seguito da altri più gravi, è appunto il non combattere con energia e risolutezza la tentazione ai primi assalti. – Non bisogna neppur meravigliarsi se si risvegliano passioni che si credevano assopite. «Credetemi — dice S. Bernardo — tagliate, rigermogliano; scacciate, ritornano; estinte, si riaccendono; sopite si risvegliano… In tale cimento si può consigliar una cosa sola: osservare attentamente, e con pronta severità tagliare il capo delle rinascenti passioni appena spuntano» (In Cant. Cant. Serm. 58, 10). Stiam sempre preparati anche nei momenti di tregua, «poiché — osserva il Crisostomo — chi si preoccupa di combattimento durante la pace, in tempo di combattimento sarà terribile » (In Ep. 1 ad Tess. Hom. 3, 4).

3.

Soprattutto prendete lo scudo della fede.

Lo scudo della fede, con cui S. Paolo vuole che ci armiamo nel combattimento spirituale, è difesa efficacissima contro gli assalti delle passioni di qualunque genere. La fede p. e. insegna che i Cristiani sono «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ephes. II, 19). La loro vita deve, necessariamente, essere una vita di santità, che ha nulla a che fare con la vita di coloro che vivono lontani dal Signore. Il Cristiano, entrando con il Battesimo a far parte della famiglia di Dio, «l’ha fatta finita con il peccato per non servire alle umane passioni, ma alla volontà di Dio quel tempo che gli resta a vivere nella carne. (I Piet. IV, 2). Se nel momento della tentazione il Cristiano si ricordasse della sua dignità, degli obblighi che essa importa, della rinuncia fatta al peccato, non resterebbe facilmente vittima delle arti dello spirito maligno. – Il Beato Giuseppe Chang, martire cinese, viene esortato dai suoi nipoti a rinnegare la fede cattolica. Per smuoverlo dalla sua fermezza gli offrono una rilevante somma di danaro. «Ti offriamo mille taels d’argento — gli dicono — affinché possa vivere onestamente gli anni che ti restano». — «Perché, rispose il martire, accetterò io questo danaro? Che vantaggio me ne viene?» (C. Salotti: “I nuovi martiri annamiti e cinesi”. Roma, 1909). È la domanda che dovrebbe farsi ciascuno, quando si sente lusingare dalle passioni: Che vantaggio me ne viene? Il piacere che se ne spera è più immaginario che reale. Nulla è più certo delle pene che i piaceri ci fanno soffrire, e nulla è più incostante e misero del godimento che ci fanno sperare. Così potrebbe rispondere l’esperienza. La fede aggiunge un’altra risposta: Il vantaggio che ne avrai sono gli eterni tormenti. E «Chi di voi potrà abitare con un fuoco divoratore? Chi di voi abiterà tra gli ardori sempiterni?» (Isa. XXXIII, 14). – La fede c’insegna che Dio è dappertutto. Nessuno può dire : Mi nasconderò all’occhio di Dio, ed egli non conoscerà le mie opere. «Gli occhi di Dio sono molto più luminosi del sole; sorvegliano d’intorno tutte le vie degli uomini e la profondità degli abissi e penetrano nel cuor dell’uomo fino nei luoghi più riposti» (Eccli. XXIII, 28). Gli occhi di Dio vedono e contemplano il tuo contegno nella lotta contro le passioni, e intanto le sue mani intessono per te una corona.,, se sarai costante. In parecchi monumenti che si innalzano in memoria dei caduti in guerra è rappresentata la vittoria in atto di porgere la corona, o altro simbolo di gloria, a coloro che hanno lottato fino al trionfo. La corona che Dio prepara a quei che vincono nelle lotte spirituali val ben di più che un semplice simbolo. Dio, con la sua presenza, incoraggia chi lotta additandogli la corona del paradiso: «Al vincitore io darò la manna nascosta», (Apoc. II, 17) cioè il cibo dell’eterna beatitudine. Non dimentichiamo mai che Dio è sempre presente. «Solo così persevereremo senza cadere, se terremo sempre in mente che ci è vicino Dio».

Graduale

Ps LXXXIX: 1-2
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie.
V. Priúsquam montes fíerent aut formarétur terra et orbis: a saeculo et usque in sæculum tu es, Deus.

[O Signore, Tu sei il nostro rifugio: di generazione in generazione.
V. Prima che i monti fossero, o che si formasse il mondo e la terra: da tutta l’eternità e sino alla fine]

ALLELUJA

Allelúja, allelúja Ps 113: 1
In éxitu Israël de Ægýpto, domus Jacob de pópulo bárbaro. Allelúja.

[Quando Israele uscí dall’Egitto, e la casa di Giacobbe dal popolo straniero. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XVIII: 23-35
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Assimilátum est regnum cœlórum hómini regi, qui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum cœpísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret, unde rédderet, jussit eum dóminus ejus venúmdari et uxórem ejus et fílios et ómnia, quæ habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Misértus autem dóminus servi illíus, dimísit eum et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: Redde, quod debes. Et prócidens consérvus ejus, rogábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem, donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi ejus, quæ fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quæ facta fúerant. Tunc vocávit illum dóminus suus: et ait illi: Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum? Et irátus dóminus ejus, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus cœléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris.

“Il regno dei cieli è assomigliato ad un re il quale volle trarre i conti con i suoi servi. E avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. E non avendo egli da pagare, il suo padrone comandò ch’egli, la sua moglie e i suoi figliuoli e tutto quanto aveva fosse venduto, e così fosse pagato. Allora quel servo cadendo a terra, si buttò davanti a lui, dicendo: Deh! abbi pazienza verso di me, e ti pagherò tutto. E il padrone impietosito di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ora quel servo, uscito fuori, trovò uno de’ suoi conservi, il quale gli  doveva cento danari, ed afferratolo, lo strangolava, dicendo: Pagami ciò che mi devi! E quel suo conservo, cadendo in terra, lo pregava, dicendo: Abbi pazienza verso di me, ed io ti pagherò tutto. Ma colui non volle; anzi andò e lo cacciò in prigione finché avesse pagato il suo debito. Ora i conservi di lui, veduto il fatto, ne furono grandemente rattristati, e vennero al padrone e gli narrarono tutto il fatto. Allora Il signore lo chiamò a sé e gli disse: Servo malvagio! io ti condonai tutto quel debito, perché tu me ne avevi pregato. E non era dunque giusto che tu avessi pietà del tuo conservo, com’io ancora aveva avuto pietà di te? E adirato il suo padrone, lo diede in mano ai carcerieri infino a tanto che avesse pagato tutto il debito. Così farà ancora il Padre mio celeste con voi, se non rimetterete di cuore ciascuno al proprio fratello i falli suoi „

OMELIA II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra l’amor de’ nemici.

Sic pater meus cœlestis faciet vobis, si non remiseritis unusquisque fratri suo de cordibus vestris. Matth. XVIII.

Non è dunque, fratelli miei, un semplice consiglio che Gesù Cristo ci dà di perdonare le ingiurie; ma un precetto che obbliga con tutto il rigore; del che è facile convincersi coll’applicazione della parabola riferita nell’odierno Vangelo. Un re che voleva far render conto ai suoi servi ne ritrovò uno che gli doveva diecimila talenti. E siccome quest’uomo non aveva onde pagare, il re comandò che fosse venduto con la moglie, con i figliuoli e tutti i suoi beni per soddisfare quel debito: si getta questo servo a’ piedi del suo padrone, gli chiede tempo e gli promette di fare quanto potrà per soddisfarlo. Mosso da compassione, il padrone gli accorda di più della sua domanda e gli rimette interamente il suo debito. Tanta carità doveva senza dubbio istruire questo servo infedele; ma no; trova egli uno di coloro che con lui servivano, il quale gli doveva cento danari ed afferrandolo gli chiede con estremo rigore quello che gli è dovuto. Si getta questi ai suoi piedi per domandargli tempo, ma l’altro gliene ricusa e lo fa mettere in prigione sinché l’abbia pagato. In formato il padrone della condotta di quel ribaldo servo, lo chiamò a sé e gli disse: Commosso dalle tue preghiere, ti ho rimesso lutto il tuo debito: non conveniva egli che tu pure avessi pietà del tuo compagno, siccome io l’ho di te avuta? Ciò detto, lo consegnò ai carnefici per tormentarlo sintantoché avesse pagato quanto gli doveva. – Niuno è tra voi, fratelli miei, il quale sdegnato non sia della condotta di quell’uomo, e che non approvi la sentenza di condannazione contro di lui portata: ma non riconoscete voi in questo il vostro ritratto, e non dovete rivolgere contro voi medesimi tutto il vostro sdegno? Non siete voi forse infatti quel servo ingrato che con un’infinità di peccati avete contratto col Re dei re un debito che non potreste giammai esattamente pagare? Voi gli avete domandata grazia, ed Egli ve l’ha infinite volte accordata; e voi non volete perdonare un’offesa leggiera che un vostro fratello vi ha fatta? Ma che dice Gesù Cristo al fine della sua parabola: Voi avete veduto come questo ribaldo servo è stato trattato dal suo padrone, ed in simil guisa vi tratterà il mio Padre celeste, se voi non perdonate al vostro fratello con tutto il vostro cuore: Sic Pater meus cœlestis faciet vobis, si non remiseritis unusquisque fratri suo de cordibus vestris. Non solamente dunque è nostro dovere di perdonar le ingiurie, ma è ancora nostro interesse. Con tutto ciò si può dire che questa legge è una delle più mal osservate tra gli uomini. Nulla di più importante che l’obbligo di perdonar le ingiurie, di amare i suoi nemici, primo punto; nulla di più vano che i pretesti che si allegano per esentarsene, secondo punto.

1. Punto. Un obbligo fondato sopra un comando che Dio ci fa, sopra l’esempio che ci dà Gesù Cristo e sul nostro proprio interesse, deve senza dubbio essere riguardato come un obbligo molto importante: tale è quello di perdonar le ingiurie, di amare i suoi nemici. Sì, fratelli miei, Dio ci fa un comando di amare i nostri nemici, comando il più giusto ed il più utile al bene della società: Ego autem dico vobis; diligite inimicos vestros (Matt.V). Sono queste parole di Gesù Cristo medesimo: quanto a me Io vi dico, amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano: Benefacite his qui oderunt vos. Voi avete creduto sino al presente, diceva ai Giudei questo divin Salvatore, per una falsa tradizione che viene dai vostri padri, che bastava amar coloro che vi amavano e che potevate odiare quelli che vi odiavano; ma Io vi dico, Io vi comando di amare i vostri nemici: Ego autem etc. Pesate ben bene, fratelli miei, la forza di queste parole: Ego , cioè Io che sono vostro Signore vostro re, vostro Dio, Io da cui dipendete in tutte le cose; Io da cui voi avete tutto a sperare e tutto a temere: Io non vi prego, non vi consiglio solamente, ma vi comando di volere e di fare del bene ai vostri nemici: Ego autem. Se fosse un grande del mondo, un re della terra, che v’intimasse su di ciò i suoi ordini, voi potreste dire che non si estende sin là il suo potere; ma potete voi ricusare di ubbidire a me, che sono vostro Dio, da cui avete ricevuto l’essere, che ha diritto su tutti i movimenti del vostro cuore, che può non solamente perdere il vostro corpo ma ancora la vostr’anima per sempre? Ego autem, etc. Iddio, fratelli miei, ha talmente a cuore l’osservanza di questo precetto che rigetta qualunque sacrificio, se non si rinuncia alla vendetta; mentre se voi offrite il vostro dono all’altare, dice Gesù Cristo, e vi sovvenga che vostro fratello ha qualche cosa contro di voi, lasciate ivi la vostr’offerta ed andate prima a riconciliarvi con lui, perché io preferisco la misericordia a questo sacrifizio: Vade prius reconciliari fratri tuo (Matth. 5). Vale a dire, invano vi risolvereste a far tutto il bene possibile, facendo tutte le buone opere che dipendono da voi, pregare, digiunare, mortificarvi con tutti i rigori della penitenza, arricchire gli altari con le vostre offerte, sovvenire i poveri con le vostre limosine, abbandonar i vostri corpi sino a soffrire il martirio: se voi conservate nel vostro cuore qualche rancore contro il vostro prossimo, se non vi riconciliate con quella persona con cui siete sdegnati, tutte le vostre mortificazioni, il martirio medesimo a nulla si servirebbe: e perché mai? Perché mancate ad un punto essenziale della legge, non avete la carità, che d’essa è la pienezza e senza di cui tutto il restante è un nulla: Si charitatem non habuero, nihil sum (1 Cor. XIII). Si può, fratelli miei, non deplorare a questo proposito la sorte di un’infinità di Cristiani che menano peraltro una vita assai regolata, che fanno molte buone opere, s’accostano ai sacramenti, frequentano le chiese, sono aggregati a pie società, e che conservano, contro il loro prossimo dei risentimenti che non vogliono soffocare, che perseverano ostinatamente in una rea indifferenza per certe persone che han fatto loro qualche scortesia o che loro dispiacciono? Oh quante preghiere inutili! Quante buone opere perdute! Quanti sacramenti profanati! Oh quanto resteranno ingannati all’ora della morte, dopo aver tanto faticato, di non ricevere alcuna ricompensa dei loro pretesi meriti, perché non avranno soddisfatto ad un comando il cui adempimento fa la perfezione del Cristianesimo ed uno dei caratteri più distintivi del Cristiano. – Infatti, fratelli miei, siccome non apparteneva che a Dio il farci un simile comando, così non apparteneva che all’uomo cristiano l’eseguirlo; mentre limitare la sua virtù ad amar coloro che ci amano, a far del bene a coloro che ce ne fanno, che cosa è fare di più, dice Gesù Cristo, di quel che fanno i pagani? Converrebbe non esser uomo per esser insensibile all’amicizia ed ai benefizi; voi siete Cristiano ed in questa qualità siete i figliuoli del Padre celeste, che fa nascere il suo sole anche sopra i malvagi; affinché dunque voi siate perfetti, come perfetto è il vostro Padre celeste, non dovete contentarvi di amar coloro che vi amano, di far del bene a coloro che ve ne fanno; voi dovete ancora amar coloro che vi odiano, far del bene a quelli che vi fan del male: Benefacite his qui oderunt vos. Nulla di più giusto, fratelli miei, che questo comandamento, poiché egli viene da un Dio che ha ogni autorità su di voi e che può disporre di voi; ma nulla altresì che meglio provi la saviezza della provvidenza. Dall’osservanza di questa legge dipende la pace ed il buon ordine che deve regnare nel mondo; mentre se la vendetta fosse permessa, che diverrebbe la società? Sensibili come noi siamo e ripieni dell’amore di noi medesimi, il mondo non sarebbe più che un teatro sanguinoso di guerre, di stragi e di uccisioni; chiunque si crede offeso, fulminerebbe egli medesimo i suoi decreti contro il colpevole; ed a quali estremi non si porterebbe mai il furore dei vendicativi contro quei medesimi che li avrebbero senza intenzione offesi? Chi può lusingarsi di non dare giammai il suo prossimo motivo di dispiacere? Converrebbe per conseguenza rinunciare ad ogni commercio con gli uomini ed abitare con le bestie nei deserti: dunque con altrettanta sapienza che equità, Dio col comando che ci fa di perdonar le ingiurie, di amare i nostri nemici, ha voluto opporre un argine alle passioni del cuore umano. Possiamo dopo questo, o mio Dio, lamentarci di una legge così saggia e così giusta, che procura la pubblica tranquillità, principalmente se facciamo attenzione che voi ne avete spianate le difficoltà coll’esempio, che ci avete dato di fare quel che ci comandate? No, fratelli miei, non solamente con le parole, ma ancora coll’esempio, Gesù Cristo ci ha insegnato il perdono delle ingiurie, l’amore dei nemici: per poco di cognizione che voi abbiate della vita che questo Dio salvatore ha menata sulla terza, potete voi ignorare con qual dispregio egli è stato trattato, quali atroci affronti ha sofferti, di quanti obbrobri è stato satollato? Come si è vendicato degli oltraggi dei suoi nemici? Sempre coi benefizi: Egli ha renduta la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, Egli guariva gl’infermi di una nazione la quale non cercava che di distruggerlo. Che rispondeva Egli alle accuse che facevansi contro di Lui avanti ai tribunali, ove era trattato da malfattore, da scellerato? Egli osservava il silenzio, dice il Vangelo: Jesus autem tacebat (Matth. XXVI). Oh quanto è mai eloquente, fratelli miei, il silenzio di Gesù Cristo! Che bella istruzione si è per voi! Quando vi trattano con dispregio, quando vi opprimono d’ingiurie, ricordatevi allora del silenzio di quest’uomo di dolore ed osservatelo al par di Lui: Jesus autem tacebat. Con qual pazienza ricevette Egli nella casa del pontefice l’oltraggio più umiliante con uno schiaffo onde fu percossa l’adorabile sua faccia? Qual fu allora il suo contegno? Egli non aveva che a parlare, ed il perfido autore di un’azione sì detestabile sarebbe precipitato nel profondo dell’abisso: ma si contenta di dirgli: Se io ho parlato male rendete testimonianza del male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi battete? Oh pazienza di un Dio! Quanto siete capace di confondere, di arrestare i trasporti della vendetta! Che avreste voi fatto in simile occasione, o vendicativi, se aveste avuto il potere di Gesù Cristo, voi che vi date tanto movimento per aver soddisfazione di un insulto molto meno considerabile di quello che Egli ricevette? Ma per confondervi ancora di più, trasportatevi in ispirito sul Calvario per udire le ultime parole di un Dio agonizzante su d’una croce. Di già è Egli spossato affatto di forze per l’effusione del suo sangue. Egli non ha più che un momento a vivere, ed impiega questo momento e fa l’ultimo sforzo per indirizzare a suo Padre una preghiera. Ma qual preghiera! Ella è forse per sollecitare la condanna de’ suoi carnefici? No, fratelli miei, ma per domandar grazia in loro favore. Eterno Padre, dice Egli, esaudite i voti di un Figlio moribondo che vi prega di perdonar ai suoi nemici. Benché degni siano questi scellerati di provare tutto il rigore dell’ira vostra pel deicidio di cui si rendono colpevoli, dimenticate i loro misfatti e fate loro sentire soltanto le dolcezze della vostra misericordia: Pater ignosce illis (Jo. XXIII). Che dite a questo esempio, vendicativi? Non sarà egli capace di calmare le vostre amarezze, di reprimere i movimenti della vostra vendetta? Nel mentre che un Dio onnipotente, che può in un istante schiacciare coloro che lo perseguitano, diventa loro protettore, voi vermi di terra, cenere e polvere, peccatori sciagurati, voi volete vendicarvi? Ah! meritate voi forse il nome di Cristiani e di discepoli del Dio delle misericordie? Invano direte voi che Gesù Cristo era Dio e che poteva benissimo soffrire gli oltraggi de’ suoi nemici; ma Egli era uomo, ed in questa qualità eravi tanto più sensibile, quanto che non li aveva in alcun modo meritati. – Ma volete voi degli esempi più proporzionati alla vostra debolezza? Mirate un s. Stefano, il primo de’ martiri, assalito da una tempesta di pietre che i suoi nemici gettano su di lui; egli piega le ginocchia per chieder a Dio di non imputar loro questo peccato: Domine, ne statuas illis hoc peccatum. Mirate innumerabili martiri, che abbracciano i loro carnefici, loro perdonano la propria morte e pregano per essi; si è con questa eroica carità che fanno conoscere agli idolatri la verità della nostra santa religione e che li attirano nel suo seno; perciocché non vi è che una Religione del tutto divina, per testimonianza dei pagani medesimi, la quale possa persuadere un’azione cosi eroica come il perdono delle ingiurie. È forse per questo mezzo, fratelli miei, che voi rendereste al giorno d’oggi testimonianza alla vostra Religione? Oimè! i vostri odi, le vostre vendette, le vostre dissensioni non sarebbero esse piuttosto capaci di allontanarne coloro che vorrebbero abbracciarla? Ma che risponderete voi avanti a Dio all’esempio dei santi? Potete voi scusare la vostra vendetta, come pretendete adesso, sull’atrocità dell’ingiuria che avete ricevuta? Ma avete voi resistito come essi, sino a spargere il vostro sangue? Paragonate i malvagi trattamenti di cui vi lamentate con quelli che essi hanno tollerati; imponete silenzio ad una natura troppo sensibile, di cui voi ascoltate la voce piuttosto che quella della vostra Religione. Ma, miei cari uditori, io ho qualche cosa di più convincente ancora a proporvi: la salute è di tutti gli affari quello che più merita le nostre sollecitudini: or la fede c’insegna che la nostra riprovazione è inseparabile dall’odio che noi conserviamo per li nostri nemici. Per esser salvo, bisogna ottenere il perdono dei propri peccati; ora il perdonare ai nemici è l’unica via che ci può far trovar grazia presso di Dio. Il Vangelo è chiaro su di ciò: perdonate, dice egli, e vi si perdonerà: Dimettite, et dimittemini (Luc. VI). Volete voi esser trattati con misericordia? Trattate gli altri nello stesso modo, perché sarete misurati con la medesima misura con cui avrete misurati gli altri; sono questi gli oracoli di Gesù Cristo; la stessa verità, che non ammette alcun dubbio e che non può mancare del suo adempimento. Voi avete, fratelli miei, infinite volte offeso, oltraggiato il vostro Dio; voi gliene domandate ogni giorno perdono; Egli ve l’accorderà, ma a condizione che perdonerete voi medesimi a chi vi ha offeso. A voi tocca decidere della vostra sorte: perdonate e siete sicuri di ottenere il vostro perdono. Poiché, quando voi avrete perdonato, potrete dire a Dio: Signore, io ho fatto quel che mi avete domandato; io ho adempiuta la condizione cui avete annesso il mio perdono; permettetemi di esigere il mantenimento della vostra parola: voi avete detto che fareste misericordia a chi la farebbe; io son certo della sincerità, delle vostre promesse, dunque io posso riguardare la mia riconciliazione come certa e sicura. Qual motivo di consolazione, poter esser certi, quanto possiamo esserlo in questa vita, che siamo in grazia con Dio, che portiamo un segno di predestinazione che ci dà diritto al suo regno! Ecco, fratelli miei, il gran vantaggio che si trova nel perdonar le ingiurie. A che pensate voi dunque, vendicativi, che ricusateci seguire una massima sì saggia in sé stessa e vantaggiosa nei suoi effetti? Voi sapete che non otterrete misericordia se non in quanto voi l’avrete fatta agli altri, e non volete esercitare questa virtù verso colui che vi ha offeso? Rinunciate dunque ad ogni speranza di perdono o di salute eterna: simili al servo del Vangelo, i debiti che il prossimo ha contratti con voi non possono paragonarsi a quello di cui voi siete debitori alla giustizia di Dio. Tuttavia, sebbene numerose e gravi siano le vostre offese, sebbene abbiate voi contratto un gran numero di debiti, Dio vuole benissimo cedere i suoi diritti, purché voi cediate i vostri riguardo al vostro prossimo; ma voi ricusate simili proposizioni, voi volete profittare della superiorità che avete su di lui per appagare il vostro odio ed il vostro furore? E bene, vendicatevi, fate sentire al vostro nemico tutta la vivacità del vostro sdegno; ma sappiate che Dio vi tratterà senza misericordia, come voi avete trattato il vostro fratello: Sic Pater meus cœlestis faciet vobis (Matth. XVIII). Non recitate dunque più una preghiera, che non potete dire senza pronunciare la sentenza di vostra condannazione. Iddio esaudendovi per vostra disgrazia, vi dirà: Voi m’avete domandato di perdonarvi, come voi perdonavate a coloro che vi avevano offeso; Io vi giudico da voi medesimi: voi medesimi mi avete dettata la sentenza che proferisco: giacché non avete fatta misericordia, non avete a sperarne da me: De ore tuo te indico (Luc. XIX). Vale dunque a dire che quando fate a Dio questa preghiera, voi gli dite: Signore, io rinuncio alla vostr’amicizia, alla mia felicità eterna, io eleggo l’inferno per mia porzione. Oh crudele vendetta! molto più nocevole all’uomo che tutte le disgrazie, le calamità della vita, che tutti i cattivi trattamenti dei suoi nemici! Tutti gli uomini insieme potrebbero forse portargli colpi cosi funesti come porta egli a sé stesso, poiché perde la sua anima per sempre, e durante l’eternità porterà il peso delle vendette del Signore? Ah! fratelli miei, se voi volete vendicarvi d’un nemico, si è contro la vostra vendetta ed il vostro sdegno che dovete armarvi, dice s. Agostino; egli è il più gran nemico che voi abbiate; vendicatevi di questo nemico con la clemenza e con la mansuetudine; questa vittoria vi guadagnerà il cuore di Dio e sarà coronata d’una gloria eterna.

SECONDO PUNTO PER UN SECONDO DISCORSO

Sopra l’amore dei nemici.

Ego autem dico vobis, diligite inimicos vestros.

– Matth. V-

Io vi ho fatto vedere, fratelli miei, nella precedente istruzione l’obbligo indispensabile che noi abbiamo di perdonar le ingiurie di amare i nostri nemici. Obbligo fondato sul comando che ce ne fa Iddio, sull’esempi o che ce ne dà Gesù Cristo e sul nostro proprio interesse. Contuttociò, benché forti siano questi motivi per ogni uomo cristiano, benché questo precetto sia uno dei più positivi e dei più precisi che siano nel Vangelo, può dirsi che non ve n’è alcuno più combattuto dall’amor proprio e contro di cui si trovino più pretesti. Gli uni, e sono i vendicativi, cercano di scuotere interamente il giogo della fede, non vogliono perdonare, ma render male per male, e non allegano per giustificare le loro vendette che ragioni le quali ne provano piuttosto l’ingiustizia. Gli altri, e sono gli indifferenti, vorrebbero raddolcire il giogo della legge, conciliarla con le loro passioni, perdonare ai loro nemici, ma si persuadono che non sono obbligati né di amarli né di far loro del bene: ragioni vane, di cui noi dimostreremo la frivolezza in due riflessioni che divideranno questo discorso. Quali sono i precetti su cui i vendicativi appoggiano la loro vendetta? 1. Si è la difficoltà di perdonare un’ingiuria, principalmente quando è atroce; il che è impossibile alla natura: 2. Si è un punto d’onore che convien sostenere o vendicare: 3. E lo zelo che bisogna avere per reprimere il vizio, a fine di correggere i malvagi: 4. La facilità che dassi ad un nemico di fare nuovi insulti: 5. Siamo stati offesi i primi, non dobbiamo accordar il perdono se non ci è domandato.

Primo pretesto: La difficoltà di perdonar un’ingiuria principalmente quando è atroce. Come, dice taluno, si può amar colui che ci odia e ci perseguita, che s’impadronisce dei nostri beni, lacera la nostra riputazione, ci minaccia della morte; ah! questo è molto duro: Durus est hic sermo. Chi mai, chi può riportare su di sé una simil vittoria? Bisogna essere insensibile, non essere uomo, per non vendicarsi. No, fratelli miei, Dio non vi comanda di esser insensibili; la religione non distrugge i sentimenti della natura, ma li reprime e li corregge. Essa vi permette le sensibilità, ma vi proibisce di seguirne i moti. Iddio nulla chiede d’impossibile: Egli vi comanda di soffocare ogni sentimento di vendetta e di perdonare al vostro nemico. Questo è dunque in vostro potere; la pratica è difficile, lo confesso; ma evvi forse del merito dove non v’è violenza a farsi? Tutte le virtù cristiane non hanno forse la loro difficoltà? Questa è una delle più grandi, lo so, perché le ripugnanze dell’amor proprio non vi sono punto ascoltate, e bisogna esser animato da un grande amor di Dio per fare un simil sacrificio; ma voi lo sapete, fratelli miei, il cielo non si guadagna che con violenza, e coloro che riportano la corona non l’ottengono che a questo titolo; egli è duro di perdonare, ma sarà molto più duro essere dannato: funesta alternativa, di cui nulladimeno voi dovete esser certi. Inoltre, fratelli miei, la cosa non è già sì diffìcile, come voi ve l’immaginate ; egli è sovente più difficile il vendicarsi che il perdonare: per perdonare, basta volerlo; e quanto non costa mai per soddisfare la sua vendetta? A che noi non ci esponiamo? Quale incertezza sull’esito dei mezzi che per un tal fine si prendono! Qual timore di trovare della resistenza in un nemico che trova sempre l’occasione di nuocere ad un avversario che si vendica! laddove perdonando ci procuriamo la pace dell’anima; pace soave che sola sulla terra è il principio e l’origine della nostra felicità. Egli è dunque molto più dolce il perdonare che il vendicarsi d’un’ingiuria, per quanto possa ella essere atroce.

Secondo pretesto. Ma vi va del mio onore, dice il vendicativo. Per chi sarò io tenuto nel mondo? Mi prenderanno per un vile e codardo, e diverrei l’oggetto del dispregio e dei motteggi degli uomini, se altri mi offendesse impunemente; inoltre il mio onore è offeso nell’ingiuria ch’egli mi ha fatta; egli ha oscurata la mia riputazione con nere calunnie: non sono io dunque in diritto di procurare con una vendetta proporzionata la restituzione di un bene di cui Dio mi ha confidata la cura? Così parla il mondo, ed il suo linguaggio è pur troppo sovente ascoltato, con dispregio di quello che ci tiene la Religione. Ma qual dei due deve vincerla sull’altro, la passione che chiede la vendetta, o la Religione che comanda il perdono? Chi dobbiamo più ascoltare, il mondo, da cui nulla abbiamo ad aspettare, o Dio, da cui abbiamo tutto a temere e tutto a sperare? Il mondo dice: convien vendicarsi, e Dio prescrive di perdonare. Amate voi Meglio incorrere la disgrazia di Dio, piacere al mondo che dispiacere al mondo per aver l’amicizia di Dio? Se è il mondo che dee rendervi felici, ascoltatelo pure, ve lo permetto; ma se è Dio solo da cui dipendete in ogni cosa e che deve fare la vostra felicità eterna, potete voi esistere di ubbidirgli? Dica il mondo quel che verrà. Dio vuole che voi perdoniate ; non vi è intelletto umano che non debba cedere ad una sì rispettabile autorità: ci va della vostra salute nel perdono che dovete accordare ad un nemico; la salute non deve forse vincerla sopra una pretesa perdita d’onore e su tutto ciò che può d’altra parte interessarvi? Questa sola ragione basta per distruggere ogni pretesto che possiate allegare per giustificar la vendetta. – Ma io voglio prendervi per lo stesso principio d’onore a cui voi siete sì sensibili. In che consiste, fratelli miei, il vero onore? Non consiste forse in fare la volontà di Dio, in adempiere il dovere di Cristiano? Non è forse questo che vi attirerà la stima delle persone dabbene? E di chi dovete voi cercare la stima? Non è forse degli uomini di probità? Se la vostra indulgenza nel perdonare vi attira qualche dispregio, ciò sarà al più da qualcheduno senza religione, di cui voi dovete dispregiare i giudizi e sacrificare la stima a quella di Dio. Ma credete voi ancora che lo stesso mondo profano vi dispregerà per avere sacrificato un risentimento contro un nemico? No si ode spesso dire dagli uomini più perversi che nulla vi è di più grande, nulla di più eroico che il perdonare? Davide non fu egli più degno di lode perdonando a Saul, la cui vita era nelle sue mani nella spelonca ove lo ritrovò addormentato, che per la vittoria che riportò sul gigante Golia? V’è maggior gloria, dice il Savio, nel trionfare delle sue passioni che nel riportare vittorie, guadagnar battaglie, conquistarvi imperi. Non bisogna dunque spaventarvi d’un’ombra d’ignominia che non esiste che nella vostra fantasia, poiché egli è più glorioso il perdonare che il vendicarsi. – Ma, dite voi, il mio onore è offeso, quel nemico mi ha diffamato nel mondo, ha talmente denigrato la mia riputazione che non oso più comparirvi. Non posso io forse e non deggio cancellare le malvage impressioni che i suoi discorsi han lasciate nello spirito degli altri? Sì, fratelli miei, voi potete cancellare questa macchia onde siete stati infamati. Ma come? sarà forse con la vendetta? No, perché ella vi è vietata. Voi avete altri mezzi di rendere alla vostra riputazione lo splendore che le è stato tolto. Mentre, o voi avete data occasione ai discorsi che si sono tenuti sul fatto vostro, o questi discorsi sono il frutto della calunnia. Se voi vi avete dato motivo, correggetevi e chiudete la bocca ai vostri nemici. Se la vostra coscienza vi dichiara innocente al suo tribunale, il mondo vi conoscerà e prenderà il vostro partito. La vergogna, e l’ignominia, onde il vostro nemico ha voluto ricoprirvi , ricadrà su di lui. – Ma non posso io forse, dite voi, servirmi delle vie della giustizia per avere la riparazione del mio onore? Voi lo potete, è vero, se esse sono necessarie per riparare e conservare il vostro onore. Ma badar dovete che la passione non guidi giammai i vostri passi, e che, sotto pretesto di farvi rendere giustizia, non cerchiate di soddisfar la vendetta. Conservate sempre alla carità i suoi diritti legittimi e non ricorrete ai privilegi delle leggi che dopo aver provati inutilmente gli altri mezzi; perché è ben raro che nel punire un’ingiuria non si oltrepassino i limiti di un’esatta moderazione. Inoltre quanto costa per avere una soddisfazione per giustizia! A che non conviene esporsi? Un nemico per giustificarsi commetterà nuove ingiurie, esaminerà la vita del suo accusatore, andrà a ricercare sino nelle ceneri dei suoi antenati per scoprire e rivelare cose infamanti, che non si erano giammai sapute o erano già sepolte nelle ombre della tomba. Così accade spesso che più un vendicativo fa sforzi per procurarsi una riparazione, più si disonora; laddove la clemenza procura il riposo, e si trova la tranquillità nella dimenticanza delle ingiurie. Tutto si cancella col tempo; siate sempre uomo dabbene, e la vostra riputazione che è stata oscurata riprenderà il suo primiero splendore, e sarà sempre al coperto dai colpi dei vostri nemici.

Terzo pretesto del vendicativo. Il vizio si autorizza coll’impunità, ed il pubblico bene chiede di arrestarne il progresso. Un nemico si prevarrà della mia indulgenza per farmi nuovi insulti. Non è forse una ragione legittima pretendere la riparazione dell’offesa che mi è stata fatta? Non bisogna tollerar il vizio, fa d’uopo arrestarne i progressi, è vero, ma non con un mezzo che Dio ci proibisce; ciò sarebbe cader in un altro vizio. Il Signore si è riserbata la vendetta: Mea est ultio (Deut. XXXII). Sarebbe un attentare ai suoi diritti il servirci di questo mezzo. Egli è un effetto dello zelo correggere il vizio, reprimere l’audacia dei malvagi; ma quanto è a temere che la vendetta non si copra del manto dello zelo e che sotto questo pretesto non si cerchi di contentare la sua passione. Sapete voi, fratelli miei, che un mezzo eccellente di correggere il vostro nemico è perdonargli e rendergli bene per male, perché questo nemico, se non ha soffocato in se stesso ogni sentimento di religione e di ragione, sarà commosso dalla vostra clemenza e si convertirà; quindi voi accumulerete carboni di fuoco sul suo capo, come dice s. Paolo: mentre se lo guadagnate con i vostri benefici, la carità, che è un fuoco, s’impadronirà del suo cuore, ed egli sarà forzato ad amarvi; se persiste nella sua durezza, diverrà la vittima delle vendette eterne, e voi meriterete le celesti ricompense.

Quarto pretesto. No, mi dite voi, il mio nemico non diventa migliore; io gli ho di già perdonato più volte, ed egli non lascia di offendermi e di perseguitarmi. Convien dunque sempre perdonare? Ella è cosa dura, nol nego, aver a fare con uomini d’un sì malvagio carattere; ma finalmente, fratelli miei, perché quell’uomo è cotanto ribaldo, volete esserlo voi ancora e perdervi com’egli, rendendovi disubbidienti ad una legge che Dio v’impone? Volete voi perdere un tesoro di meriti che potete acquistare col sacrificio dei vostri risentimenti? Voi siete Cristiani; dovete dunque riguardare le persecuzioni del vostro nemico come altrettante occasioni favorevoli di meritar il cielo,poiché non è che per mezzo delle tribolazioni che si può arrivare a quel beato soggiorno; non dovete voi al contrario rallegrarvi, come gli Apostoli e i martiri, che il Signore vi trovi degni di soffrire qualche cosa per la gloria del suo nome? Se ascoltate i sentimenti di vostra Religione, dovete fare maggior caso delle persecuzioni del vostro nemico che vi diffama, che delle adulazioni di chi applaude, perché quelle ci aprono la strada del cielo, laddove le lodi di un adulatore ci conducono alla perdizione. Voi avete perdonato più volte, e nulla avete potuto guadagnare sul cuore del vostro nemico; ma voi avete molto guadagnato sul cuore di Gesù Cristo, che vi dice di perdonare settanta volte sette, cioè ogniqualvolta voi siete offesi: Septuagies septies. – Ma quel nemico s’impadronisce ingiustamente dei miei beni, mi suscita cattivi affari; bisogna forse lasciar tutto, e la Religione ci toglie forse i mezzi di difenderci? No, fratelli miei, Dio non v’impedisce di opporvi alle ingiustizie che altri vuol farvi; ma non è già con render il male che dovete difendervi. Voi avete dei mezzi legittimi che le leggi v’accordano per mettervi al coperto dalle ingiustizie. Servitevene pure, se non potete dispensarvene: ma guardatevi bene dal seguire i movimenti della vostra passione; perdete tutto ciò che avete al mondo piuttosto che la carità, che fa lo spirito del Cristianesimo. Voi potete conservare questa virtù coi vostri beni e col vostro onore, purché non vi allontaniate giammai dai principi della Religione; operate sempre come vorreste aver fatto alla morte, e nulla vi perderete.

Quinto pretesto. Io consento volentieri a perdonare, direte voi, se il mio nemico riconosce il suo mancamento; se si sottomette e mi rende la soddisfazione che domando. Non sono stato io il primo ad offendere, non tocca dunque a me di fare i primi passi della riconciliazione. Io convengo, fratelli miei, che il vostro nemico deve darvi soddisfazione; che nel procedere ad una riconciliazione vi sono certe regole da osservare secondo le circostanze del tempo e la qualità delle persone offese, il che non prendo a qui discutere. Ma quantunque il vostro nemico non voglia darvi alcuna soddisfazione né sottomettersi a dimandarvi perdono, in qualunque stato voi siate, qualunque grado occupiate, voi non siete meno obbligati a perdonargli e ad amarlo. Il Signore non vi dice di perdonare quando altri vi chiederà perdono, vi dice semplicemente di perdonar l’offesa che vi è stata fatta, di amare chi vi odia, di far del bene a chi vi fa del male; voi lo dovete dunque indipendentemente dalle sommissioni, dalle riparazioni che esso vi deve. Benché elevato voi siate al di sopra di quel nemico per il vostro grado e per la vostra condizione, egli è vostro fratello cristiano; voi dovete in questa qualità accordargli la vostra benevolenza, ma d’altra parte, benché superiore voi siate a quel nemico, lo siete voi forse più a suo riguardo? Contuttociò non vi previene egli il primo ? Non vi ricerca egli forse dopo che voi l’avete offeso? Ecco l’esempio che dovete seguire. Siete stato, dite voi, offeso il primo: ecco il linguaggio ordinario di tutti coloro che non vogliono perdonare. Ascoltate due nemici: nessuno vuole riconoscere il suo torto, ciascuno pretende essere stato offeso; quindi ne viene che niuno vuol essere il primo a chiedere scusa; l’orgoglio che predomina la maggior parte degli uomini, li ritiene e li impedisce dall’eseguire un progetto che la grazia inspira. Crediamo essere cosa vile e bassa il chiedere scusa, e che tocca al nostro avversario cercar di rientrar in grazia con noi; quel nemico pensa lo stesso: così ciascuno rimane nel suo stato, cioè in uno stato di dannazione. Ah! se gli uomini avessero più umiltà, non vi sarebbero più inimicizie: colui che avesse offeso altrui riconoscerebbe il suo torto; colui, che fosse stato offeso s’abbasserebbe sino a ricercar il suo nemico per dargli segni della sua carità. Ma io temo, direte voi, di comparire avanti a quella persona; ella mi riceverà male, si farà beffe della mia semplicità, giungerà eziandio sino a conchiudere dal mio modo di procedere che mi stimo felice ancora di confessare con questo che ho torto e di poter riguadagnare la sua amicizia con questa pretesa confessione; tali sono, fratelli miei, le scuse dell’amor proprio schiavo d’un frivolo timore, il quale non è che l’effetto dell’orgoglio. Voi temete che quella persona vi riceva male: ma che ne sapete voi! Cominciate primieramente a fare i primi passi per mezzo di qualche amico comune, andate in appresso voi medesimo, e vedrete che il vostro timore era mal fondato. Ma io sono stato di già mal ricevuto, quella persona si è burlata di me ed ha pubblicato che io era stato ben contento di domandarle perdono; egli è vero che vi sono uomini fieri a tal segno nella loro inimicizia di condursi in siffatta maniera: ma guai a coloro che non corrispondono ai modi di procedere della carità; ben lungi dallo scusarli, qualunque ragione abbiano dal canto loro, essi sono in uno stato di dannazione, tosto che rigettano la pace che vien loro offerta. Quanto a voi, che avrete fatto il vostro dovere, facendo la volontà di Dio, voi guadagnerete il cielo; voi non risponderete a Dio dell’altrui volontà ma della vostra. Dio non esige che voi cangiate quel nemico, ma che vi cangiate voi a suo riguardo. Quanti mezzi una carità ingegnosa non sa ella trovare per disarmar l’ira d’un nemico ? Abbiate questa carità, fratelli miei, e voi verrete a capo di tutto. Ma forziamo l’orgoglio sino negli ultimi ripari, facendo vedere all’indifferente medesimo che il sacrificio, che egli fa dei suoi risentimenti è una trasgressione palliata del precetto della carità; seconda riflessione. Io perdono al mio nemico, dice l’indifferente; io rinunzio alla vendetta, non gli farò alcun male, neppure gliene desidero alcuno; son determinato a non più conservar odio per lui, consento a rinnovare con lui gli antichi uffizi che l’inimicizia aveva interrotti, e questo non basta forse per una perfetta riconciliazione, e Dio chiede forse di più? Ultima e fatale illusione dell’amor proprio, che, sotto pretesto d’indifferenza che si ha per un nemico, manda all’inferno più Cristiani che gli odi più dichiarati: di questi sovente uno si scorregge per via delle agitazioni e dei rimorsi che cagionano nelle coscienze; ma all’opposto egli sta tranquillo e si crede in sicuro all’ombra d’una riconciliazione apparente; vi si marcisce degli anni interi, vi si vive, si muore, e si diventa finalmente la vittima infelice d’una falsa e rea coscienza. Or sapete voi, fratelli miei, che cosa è quella falsa calma su cui vi rassicurate? Si è un fuoco nascosto sotto la cenere; si è, nel fondo, una vera inimicizia mantenuta sotto le apparenze della carità. Voi dite che non volete alcun male a quella persona, d’onde viene dunque che soffrir non potete che se ne dica bene, e siete molto contenti che se ne parli male? Donde viene quel piacere che provate nelle sue avversità, quella tristezza nelle sue prosperità? Voi la lasciate tale come è, voi non volete punto parlarle, voi fuggite il suo incontro: ma si fugge forse l’incontro di una persona che si ama? Non si vuol forse punto parlarle? Ella è dunque una prova che voi non l’amate. Or Dio non vi comanda forse di amare i vostri nemici, di volere e far bene a coloro che vi fanno del male? Invano vi lusingate voi di adempire il precetto con la indifferenza a riguardo del vostro nemico, contentandovi di non volergli e di non fargli alcun male: bisogna volergli e fargli del bene: Diligite et benefacite. Voi lasciate quel nemico per quel che è, non gli volete far alcun bene; ma sareste voi contenti che Dio vi lasciasse per quelli che siete e non vi facesse alcun bene? Eppure così vi tratterà se voi non avete migliori disposizioni a riguardo del vostro nemico. Orsù, dite voi, io gli farò del bene, giacche bisogna farlo, io lo vedrò, io gli parlerò, ma nol farò che per l’amor di Dio, mentre egli nol merita; io lo vedrò, gli parlerò per convenienza, per evitar lo scandalo che potrei dare evitando la sua compagnia. Voi fate bene ad operare per l’amor di Dio, questo è il solo motivo che deve animarvi; ma avvertite che, servendovi di queste restrizioni, voi non pregiudichiate la carità; avvertite bene che, operando per convenienza e per evitare lo scandalo, non sia una politica mondana che vi conduca. Voi potete bensì ingannare gli uomini, che non conoscono il fondo del cuore; ma non potete ingannar Dio che n’è lo scrutatore. Bisogna dunque operare con schiettezza e sincerità. Nessun inganno, nessuna simulazione, si è il cuore ed un cuore ripieno di carità che deve essere il principio di una vera riconciliazione, siccome Dio deve esserne il motivo. Perdonate di tutto cuore, dice Gesù Cristo, De cordibus vestris; mentre se voi non vi riconciliate col vostro nemico che per mire umane, perché un amico ve ne ha pregato, perché un personaggio per cui avete molta considerazione si è intromesso, o perché temete quel nemico e lo risparmiate per interesse, la vostra riconciliazione è ipocrita; resterà sempre nel cuore un lievito d’amarezza, tanto che non sarete animati dalle mire della carità cristiana. – Per venire alla pratica di questa carità, convien rinunciare ad ogni risentimento che può esservi inspirato dal male che vi è stato fatto: osservate su di ciò il silenzio per non rinnovare la piaga; non bisogna far attenzione a quel che fareste se Dio non vi avesse comandato di perdonare, ma operar a riguardo del vostro nemico come operavate prima che vi avesse offeso, come fareste a riguardo d’un altro che non vi fosse nemico, cioè amarlo, dargli dei segni di benevolenza, salutarlo, renderli i doveri della società civile e cristiana, e tutti i servigi che da voi dipendono; pregate per lui, principalmente nell’orazione domenicale, ripetendo più volte quelle parole: perdonateci le nostre offese ecc. Dimitte nobis debita nostra etc: ma guardatevi soprattutto dal differire la vostra riconciliazione, poiché voi più la differirete, più diverrà ella difficile: il che si vide pur troppo per esperienza. – Quelle grandi inimicizie non hanno cominciato che da una indifferenza, quell’indifferenza si è cangiata in avversione, e l’avversione in ostinazione; e tosto che il male è invecchiato, egli è molto più difficile a guarire che nel suo cominciamento: bisogna dunque apportarvi un pronto rimedio. Se l’odio che voi conservate contro il vostro prossimo è di già molto radicato nel vostro cuore, non gli lasciate gettare più profonde radici, ma sin dal giorno d’oggi tagliate, sradicate quel ceppo avvelenato; che il sole, dice l’Apostolo, non tramonti sull’ira vostra: Sol non occìdat super iracundiam vestram. Perciocché, o volete riconciliarvi col vostro nemico, o non volete. Non volerlo si è risolversi ad essere riprovato; ma se lo volete, perché aspettar domani e non farlo quest’oggi? Vi sarà forse più facile? Più aspetterete, più vi renderete colpevoli moltiplicando i vostri odi, profanando i sacramenti, dando scandalo a coloro che sono i testimoni della vostra condotta. Voi vi esponete anche a non riconciliarvi mai; mentre non potete voi forse essere sorpresi dalla morte; o se aspettate alla morte, non dovete voi forse temere che la vostra riconciliazione non sia fìnta e forzata, come accade a coloro che aspettano a farla in quegli ultimi momenti, in cui ella perde tutto il suo merito perché il cuore non vi ha parte alcuna? Se voi sentite ancora qualche ripugnanza a seguire questi avvisi, armatevi di coraggio, voi tutto potrete con la grazia di Dio: pregatelo dunque di aiutarvi per vincere una passione cosi ribelle come la vendetta: Accipite armaturam fidei, ut possitis resìstere in die malo. Ricordatevi del comando che Dio ve ne fa, dell’esempio che vi dà Gesù Cristo e dei grandi vantaggi che ve ne ridondano: la pace dell’anima ed il perdono dei vostri peccati. Andate dunque prontamente a riconciliarvi col vostro nemico all’uscire da questa istruzione o il più presto che potete; ma la vostra riconciliazione sia sincera ed efficace. Se non volete ascoltare la preghiera del vostro nemico che vi domanda grazia, ascoltate quella di Gesù Cristo che ve la domanda per lui, che si mette tra lui e voi per essere vostro mediatore; se non volete aver pietà di quel nemico, abbiate pietà della vostr’anima e non vogliate dannarla. Io ve ne scongiuro pel sangue che Gesù Cristo ha per essa versato; e per tutto lo zelo che m’inspira il desiderio di vederci riuniti un giorno in quel luogo di delizie che io vi desidero. Così sia.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Job I. 1
Vir erat in terra Hus, nómine Job: simplex et rectus ac timens Deum: quem Satan pétiit ut tentáret: et data est ei potéstas a Dómino in facultátes et in carnem ejus: perdidítque omnem substántiam ipsíus et fílios: carnem quoque ejus gravi úlcere vulnerávit.

[Vi era, nella terra di Hus, un uomo chiamato Giobbe, semplice, retto e timorato di Dio. Satana chiese di tentarlo e dal Signore gli fu dato il potere sui suoi beni e sul suo corpo. Egli perse tutti i suoi beni e i suoi figli, e il suo corpo fu colpito da gravi ulcere.]

Secreta

Suscipe, Dómine, propítius hóstias: quibus et te placári voluísti, et nobis salútem poténti pietáte restítui.

[Ricevi, propizio, o Signore, queste offerte con le quali volesti essere placato e con potente misericodia restituire a noi la salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 81; 84; 86
In salutári tuo ánima mea, et in verbum tuum sperávi: quando fácies de persequéntibus me judícium? iníqui persecúti sunt me, ádjuva me, Dómine, Deus meus.

[L’ànima mia ha sperato nella tua salvezza e nella tua parola: quando farai giustizia di coloro che mi perseguitano? Gli iniqui mi hanno perseguitato, aiutami, o Signore, Dio mio.]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimoniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, quod ore percépimus, pura mente sectémur.

[Ricevuto il cibo dell’immortalità, Ti preghiamo, o Signore, affinché di ciò che abbiamo ricevuto con la bocca, conseguiamo l’effetto con animo puro]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (7)

IL CATECHISMO CATTOLICO

A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (7)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

CAPO III.

SEZIONE 2a . — Degli altri sei articoli del Simbolo, che contengono la dottrina circa la seconda Persona della Santissima Trinità e l’opera della Redenzione.

Art. 1. — Dì GESÙ CRISTO E DELLA SUA DIVINITÀ.

D. 79. Che cosa crediamo nel secondo articolo del Simbolo: E in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Signore nostro?

R. Nel secondo articolo del Simbolo: E in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Signore nostro, noi crediamo che il Figliuol di Dio, quello stesso che fattosi uomo chiamasi Gesù Cristo, è l’unico Figliuolo del Padre, Signor nostro,vero Dio da vero Dio, nel quale noi crediamo come nel Padre. (Giov., I, 1, 14; Paolo: ad Eph., I , 20-23; ad Coloss., I, 13-20; la ad Tim., VI, 15, 16.)

D. 80. Perché crediamo in Gesù Cristo come in Dio Padre?

R. Crediamo in Gesù Cristo come in Dio Padre, perché Gesù Cristo è vero Dio come il Padre, unico Dio col Padre (Giov., I, 1; X, 30).

D. 81. In qual modo si prova che Gesù Cristo è il Messia, cioè il Redentore del genere umano, promesso da Dio nell’Antico Testamento?

R. Si prova che Gesù Cristo è il Messia, cioè il Redentore del genere umano, promesso da Dio nell’Antico Testamento, principalmente dalle profezie riguardanti il Redentore, che si compirono esattamente in Gesù Cristo; nonché dalla testimonianza di Gesù Cristo medesimo

(I profeti avevano predetto che il Messia sarebbe nato nella città di Betleem (Mich., V , 2), da una vergine (Is., VII, 14), dalla stirpe di Davide (Is., XI, 1); che sarebbe stato un gran dottore (Is., LXI, 1), avrebbe operato miracoli (Is. XXXV, 5-6), avrebbe sofferto i più atroci dolori (Is., L, 6; LIII, 11-12), sarebbe morto (Sal., XXI, 1 e segg.), risuscitato (Salm., XV, 10, LXVIII, 22), asceso in cielo (Sal., CIX, 1; Att., II, 24). Queste e tante altre cose ancora, predette dai profeti del Messia, si compirono perfettamente in Gesù Cristo. Inoltre ci sono le testimonianze dello stesso Gesù Cristo: ad esempio: Matt., XI, 3-6; XVI, 13-19; XXVI, 63, 64; Marco, XXIV, 26; Giov., IV, 25, 26; XI, 25; XIV, 9, 10; XVI, 15).

D. 82. Quali sono i principali argomenti che ci muovono ad ammettere la divinità di Gesù Cristo?

R. I principali argomenti che ci muovono ad ammettere la divinità di Gesù Cristo sono:

il costante magistero della Chiesa Cattolica;

le profezie dell’Antico Testamento, nelle quali viene preannunziato il promesso Redentore come vero Dio (Salmo II, 7; XLIV, 7; CIX, 3; Is., IX, 6, 7; XL, 3 11.);

3° la testimonianza di Dio Padre quando dice: « Questo è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo!» (Matt., III, 17; XVII, 5; Marco, I, 11);

la testimonianza di Gesù Cristo medesimo comprovata dalla santità della sua risurrezione (Matt., XI, 25-27; XVI, 13-19; XXVI, 63-65; Luca, XXII, 66-71; Giov., V, 18, 19, 23; X, 30);

5 ° la dottrina degli Apostoli confermata dai miracoli. (4 Giov., XX, 31; la di Giov., I V , 15; V, 20; Paolo, ad Rom., IX, 5 ; ad Philipp., II, 6-7 ; ad Hebr., I, 2)

6 ° la confessione d’innumerevoli martiri;

la mirabile propagazione e conservazione della Chiesa di Cristo.

D. 83. Perché il Figliuolo di Dio, fattosi uomo, fu chiamato Gesù?

R. Il Figliuolo di Dio, fattosi uomo, per espressa volontà di Dio, fu chiamato Gesù, vale a dire Salvatore, perché con la sua passione e morte ci salvò dal peccato e dall’eterna dannazione (Matt., I, 21; Paolo: ad Philipp., II, 8-11; Catech. p. parr., p. I, c. III, n. 6).

D. 84. Perché Gesù è detto anche Cristo?

R. Gesù è detto in greco Cristo, in ebraico Messia, in latino Unctus, perché in antico, re, sacerdoti e profeti venivano unti; e Gesù è difatti re, sacerdote e profeta (Esodo, XXX, 30; 1.° dei Re, IX, 16; XVI, 3; 3.° dei Re,XIX, 16; Atti, X, 38; Paolo: ad Hebr., I, 9; Catech. p. parr., p. I, c. III, n. 7.

D. 85. Perché Gesù Cristo è detto Signore nostro?

R. Gesù è detto Signore nostro, perché, in quanto Dio, Egli è il creatore e il conservatore di tutte le creature, con assoluta potestà su di esse; in quanto Uomo-Dio, Egli è il Redentore di tutti gli uomini, sicché giustamente Lo si chiama e venera come: « Re dei re e Dominatore dei dominanti »

(Matt., XXV, 34; XXVIII, 18; Giov., XVIII, 37; Paolo: ad Philipp., II, 6 – 11; ad Coloss., I, 12 – 20; Ia ad Tim., VI, 15; Apoc, I, 5; XLX, 16; Pio XI: Encicl. Quas Primas, 11 dic. 1925; Cat. p. parr., p. I, c. III, n. 11).

D. 86. Perché la seconda Persona della santissima Trinità è chiamata Verbo del Padre?

R. La seconda Persona della santissima Trinità è chiamata Verbo del Padre, perché procede dal Padre come atto d’intelletto, quale concetto della mente, così come in noi l’interno concetto della mente chiamasi verbo(Giov., I , 1 e segg.; l a di Giov., I , 1; Apoc, XIX, 13; S. Tom., p. la, q. 34, a. I, 2).

Art. 2. — DELL’INCARNAZIONE E DELLA NATIVITÀ DEL FIGLIUOLO DI DIO.

D. 87. Che cosa crediamo nel terzo articolo del Simbolo: Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine?

R. Nel terzo Articolo del Simbolo: II quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, noi crediamo che il Figliuolo di Dio, al disopra di qualsiasi ordine naturale e per virtù dello Spirito Santo, assunse l’umana natura, vale a dire corpo e anima, nel purissimo grembo della beata Vergine Maria e che da essa nacque.

 (Matt., I, 20, 21; Luca, I, 31, 35. — Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, volle nascere in Betlemme di Giuda; e poiché non vi era luogo per lui all’albergo, dalla beata Vergine Maria fu posto a giacere in una mangiatoia d’animali, per insegnare agli uomini con questo suo esempio, dato sin dalla nascita, l’umiltà e la fuga degli onori e dei piaceri di questo mondo.).

88. Come si chiama il mistero per cui il Figliuolo di Dio fecesi uomo?

R. Il mistero per cui il Figliuolo di Dio fecesi uomo si chiama la divina Incarnazione del Verbo.

D. 89. Il Figliuolo di Dio, fattosi uomo, cessò di essere Dio?

R. Il Figliuolo di Dio, fattosi uomo, non cessò di essere Dio, ma, pur rimanendo vero Dio, cominciò a essere anche vero uomo (S. Efrem: In Hebdom. sanctam, VI, 9).

D. 90. Quante Nature e quante Persone vi sono in Gesù Cristo?

R. In Gesù Cristo due sono le Nature: la divina e l’umana, ma una sola Persona, cioè la Persona del Figlio di Dio (Conc. di Calcedonia: Definitio de duabus naturis Christi; Conc. III di Costant.: De duabus voluntatibus Christi; Conc. Later., IV, c. I; S. Leo IX, Symbolum fidei. « Poiché, dice il Simbolo Atanasiano, allo stesso modo che anima razionale e carne come sono un sol uomo, così Dio ed uomo sono un sol Cristo».).

D. 91. Per qual ragione il Figliuolo di Dio si degnò di assumere l’umana natura?

R. Il Figliuolo di Dio si degnò di assumere l’umana natura « per noi uomini e per la nostra salvezza »; in altri termini: per offrire a Dio una degna soddisfazione dei peccati, per ammaestrare gli uomini nella via della salvezza mediante la predicazione e gli esempi, per riscattarli dalla schiavitù del peccato mediante la sua passione e morte, per ricostituirli nella grazia di Dio e così ricondurli alla gloria del Paradiso (Gesù Cristo, Redentore dell’uman genere, per merito 0della sua passione e morte, volle bensì che fosse restituita quella giustizia e santità in cui il primo uomo era stato costituito, non però l’integrità di natura. Per il Battesimo, dunque, vien distrutto quanto può aver carattere di peccato, ma rimane il fomite della concupiscenza, perché questa, rimasta per la lotta, non ha forza di nuocere a chi, non acconsentendovi, virilmente la respinge con la grazia di Gesù Cristo; non solo, ma chi giustamente avrà combattuto, verrà coronato (Conc. di Trento, Sess. V). Ancora: la Redenzione non restituì all’umana natura l’immunità dalla morte e dagli altri dolori della vita, cui vollero soggiacere lo stesso divin Redentore e la stessa sua Madre. (S. Epif., Ancoratus, 93).

D. 92, Fu necessaria l’incarnazione del Verbo per la condegna soddisfazione dei peccati?

R. Per la condegna soddisfazione dei peccati fu necessaria l’incarnazione del Verbo, perché non poteva una semplice creatura fornire una condegna, ossia adeguata, soddisfazione dei peccati.

D. 93. Perché una semplice creatura non poteva fornire condegna, ossia adeguata soddisfazione dei peccati?

R. Una semplice creatura non poteva fornire condegna, ossia adeguata, soddisfazione dei peccati, perché il peccato mortale è di una gravità in un certo senso infinita, se si guarda l’infinita Maestà da esso offesa.

(S. Tommaso, p. IIIa q. I , a. 2, ad 2um: « Il peccato commesso contro Dio ha certo carattere d’infinità per l’infinità stessa della maestà divina: l’offesa infatti tanto più è grave quanto più è grande Colui contro il quale si manca: per aver quindi una condegna soddisfazione fu necessario che l’atto di chi sodisfaceva avesse un valore infinito…. »).

D. 94. Perché l’opera dell’Incarnazione viene attribuita allo Spirito Santo?

R. Per quanto solo il Figliuolo di Dio abbia assunta l’umana natura e l’opera dell’Incarnazione — come d’altronde qualsiasi opera ad extra — sia di tutta la Trinità, tuttavia l’opera dell’Incarnazione viene, per titolo speciale, attribuita allo Spirito Santo, in quanto lo Spirito Santo è l’Amore del Padre e del Figliuolo; e l’opera dell’Incarnazione manifesta precisamente l’immenso e singolare amore di Dio verso di noi (Paolo, I. ad Tim., III, 16; Leone XIII, Encicl. Divinum illud munus, 9 maggio 1897; Cat. p. parr., p. I. a, c. IV, n. 3.)

D. 95. La beata Vergine Maria è vera Madre di Dio?

R. La beata Vergine Maria è vera Madre di Dio, perché concepì e partorì, secondo l’umana natura, Gesù Cristo Signor nostro, il quale è vero Dio e vero uomo.

 (Luca, I, 31, 35; II, 7; Conc. di Ef.: Anathematismi Cyrilli, can. I; Conc. II di Costant.: Tria capitala, can. 6; Conc.III di Costant.: Definitio de duabus voluntatibus Christi; S.Gregorio Naz.: Epist. 101; S. Giov. Dam.: Oratio prima de Virginis Mariæ nativitate. – I misteri della divina Incarnazione di Gesù Cristo e della divina Maternità della beata Vergine Maria vengono così esposti brevemente nel Catechismo per i parroci, p. I, c. IV, n. 4: Non appena la beata Vergine Maria, nel dare il suo assenso alle parole dell’Angelo, disse: Ecco l’ancella del Signore, sia fatto a me secondo la tua parola, immediatamente, cioè in quello stesso primissimo istante, per virtù dello Spirito Santo, dal purissimo seno della beata Maria Vergine, venne formato il santissimo Corpo di Cristo, congiunta al corpo la sua anima umana (creata dal nulla) e unita al corpo e all’anima la divinità. Perciò nel medesimo istante di tempo si ebbe un Dio perfetto e un uomo perfetto, e la beata Vergine Maria fu veracemente e propriamente chiamata Madre di Dio e dell’uomo, per aver concepito in quello stesso momento un uomo che era Dio.).

D. 96. S. Giuseppe fu padre di Gesù Cristo?

R. S. Giuseppe non fu, a titolo di generazione, padre di Gesù Cristo; tuttavia così vien chiamato, perché, vero sposo della beata Vergine Maria, esercitò ne’ riguardi di Lui i diritti e i doveri di un padre, come capo di quella società coniugale ch’era stata direttamente preordinata allo scopo di accogliere, difendere e nutrire Gesù Cristo (Luca, III, 23. — Andate a Giuseppe, dice la Chiesa ai fedeli bisognosi di grazie, come altre volte diceva il Faraone agli affamati Egiziani, quando li rimandava a quell’antico Giuseppe. Né è da dubitarsi che il santissimo Patriarca accolga ognora propizio le preghiere de’ suoi devoti, soprattutto nell’ora della loro morte; né è possibile che a lui rifiuti nulla la beatissima Vergine di cui fu l’amantissimo sposo, o Gesù Cristo di cui egli fu il fedele e provvido custode. Leone XIII: Encicl. Quanquam pluries, 10 ag. 1885.).

D. 97. La beata Vergine Maria fu sempre Vergine?

R. La beata Vergine Maria fu sempre vergine, e in modo altrettanto mirabile quanto singolare, la perpetua verginità andò in lei congiunta alla divina maternità (Is., VII, 14; Matt., I , 23; Luca, I , 27; S. Leone M.: Epist. ad Flavianum, Const. Episcopum; S. Efrem: Oratio ad SS. Dei Matrem; Didimo Aless.: De Trinitate, III, 4; S. Epif.: Adv. hæreses, 78, 6; S. Gerolamo: Adv. Helvidium, 19)

Art. 3. — DELL’OPERA DELLA REDENZIONE DEL GENERE UMANO.

D. 98. Che cosa crediamo nel quarto articolo del Simbolo: Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mortoe seppellito?

R. Nel quarto articolo del Simbolo : Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, noi crediamoche Gesù Cristo, al fine di redimere il genere umano col suo sangue prezioso, patì sotto Ponzio Pilato, Procuratoredella Giudea, fu inchiodato sulla croce, morì sopra di essa, indi, deposto dalla croce, venne sepolto.

D. 99. In che cosa consiste l’opera della redenzione compiuta da Gesù Cristo?

R. L’opera della redenzione compiuta da Gesù Cristo consiste in ciò ch’Egli, « mosso dalla sovrabbondante carità con la quale ci amò, mediante la sua santissima passione sul legno della Croce, ci meritò la giustificazione, sodisfacendo per noi al Padre ». (Conc. di Trento, Sess. VI, c. 7).

D. 100. Gesù Cristo patì e morì in quanto Dio o in quanto uomo?

R. Gesù Cristo patì e morì in quanto uomo, perché in quanto Dio non poteva né patire né morire; però la sua stessa incarnazione ed ogni suo ancorché minimo patimento per noi, fu di un prezzo infinito a causa della sua Persona divina (S. Atanasio: Epist. ad Epictetum, 6. — Il Catechismo pei parroci, p. I, c. IV, n. 6, aggiunge qui ben a proposito: « L’uomo muore quando l’anima si separa dal corpo; per cui, quando diciamo che Gesù morì, intendiamo dire che la sua anima si divise dal corpo; con ciò non diciamo che la sua divinità sia stata disgiunta dal corpo. Anzi costantemente crediamo e professiamo che, divisa che fu l’anima dal corpo, la sua divinità rimase sempre congiunta tanto al corpo nel sepolcro, quanto all’anima negl’inferi ».).

D. 101. Perché dunque Gesù Cristo volle subire una passione e una morte così acerba e obbrobriosa?

R. Gesù Cristo volle subire una passione e una morte così acerba e obbrobriosa per abbondantemente soddisfare alla divina giustizia, per dimostrarci più manifestamente il suo amore, per eccitare in noi un odio ancor più grande del peccato e per darci maggior forza nel sopportare i travagli e le asprezze della vita.

D. 102. Per chi patì e morì Gesù Cristo?

R. Gesù Cristo patì e morì indistintamente per tutti gli uomini.

(Is., LIII, 4-6; Paolo, 2a ai Cor., V, 15; la ad Tim., II, 6; IV, 10; Innocenzo X, 31 mag. 1653, Contro le propos. Di Giansenio, n. 5; S. Ambrogio: Epist. XLI, 7. — Una tal prova d’incomparabile amore non deve mai cancellarsi dalla memoria degli uomini; con tutto il cuore dobbiamo amare Colui che, né suo malgrado, né a ciò costretto, subì una morte amarissima, ma sol perché indottovi dall’amore che ci portava. Dice S. Agostino: De cathechìz. rudibus, 7: « Se l’amare poteva esserci di peso, almeno ora non ci sia di peso il riamare; non c’è infatti più potente invito all’amore, che prevenire amando, e troppo duro sarebbe l’animo di chi non volendo per il primo amare, si rifiuti anche di riamare ».).

D. 103. Allora tutti gli uomini vengono salvati?

R. Non tutti gli uomini vengono salvati, ma quelli solo, che mettono in opera i mezzi stabiliti dalla stesso Redentore per partecipare al merito della sua passione e morte (Conc. di Trento: Sess. V I , c. 3. — Vedasi l’enumerazione di tali mezzi alla domanda 178.).

D. 104. Gesù Cristo, morendo sulla croce, offrì se stesso a Dio in vero e proprio sacrificio?

R. Gesù Cristo, morendo sulla croce, offri se stesso a Dio in vero e proprio sacrificio di valore infinito per la redenzione degli uomini, offrendo in loro favore alla divina giustizia una soddisfazione d’infinito valore (Paolo: ad Hebr., IX, 11-28; Conc. di Trento, 1. c, cap. 7; Leone XIII: Encicl. Tametsi futura, 1 nov. 1900; S. Ignazio Mort.: Epist. ad Smyrnæos, 2; S. Giov. Cris. : In Epist. Ad Hebr., XVII, 2; Cat. p. parr., p. I, c. V, n. 9.).

D. 105. Che cosa crediamo nelle parole del quinto articolo del Simbolo: discese all’inferno?

R. Nelle parole del quinto articolo del Simbolo: Discese all’inferno, noi crediamo che l’anima di Gesù Cristo, separata dal corpo, sempre però congiunta con la divinità, discese all’inferno (1a di Pietro, III, 19; Cat. p. parr., p. I, c. VI, n. 2 e segg.).

D. 106. Che cosa s’intende quando si dice: all’inferno?

R. Quando si dice: all’inferno, s’intende non l’Inferno propriamente detto, non il Purgatorio, ma il Limbo dei Santi Padri, ove le anime dei giusti aspettavano la promessa e bramatissima redenzione (S. Ciril. Geros.: Catechesis, IV, 11).

D. 107. Perché Gesù Cristo discese nel Limbo?

R. Gesù Cristo discese nel Limbo per annunziare l’avvenuta redenzione alle anime dei giusti e colmarle quindi d’immensa gioia, nel mentre le faceva partecipi, prima ancora di condurle con sé in Cielo, della visione beatifica di Dio (Cat. p. parr., 1. c. n. 6. — Il Limbo dei Santi Padri, compiuta la redenzione, cessò.).

D. 108. Che cosa crediamo con le altre parole del quinto articolo del Simbolo: Il terzo giorno risuscitò da morte?

R. Con le altre parole del quinto articolo: Il terzo giorno risuscitò da morte, noi crediamo che Gesù Cristo, il terzo giorno dopo la sua morte, per virtù propria e secondo aveva predetto, ricongiunse di bel nuovo l’anima sua al suo corpo, venendo così a rivivere immortale e glorioso (Cat. p. parr., p. I, c. VI, n. 8.).

D. 109. Per quanto tempo e per qual ragione Gesù Cristo rimase sulla terra dopo la sua risurrezione?

R. Gesù Cristo rimase sulla terra dopo la sua risurrezione lo spazio di quaranta giorni al fine di confermare gli Apostoli nella fede della risurrezione stessa e dar compimento alla sua divina predicazione e all’istituzione della Chiesa. (Atti, I, 3.)

Art. 4. — DELL’ASCENSIONE IN CIELO DI GESÙ CRISTO E DEL SUO RITORNO ALLA FINE DEL MONDO PER L’UNIVERSALE GIUDIZIO.

D. 110. Che cosa crediamo con le parole del sesto articolo del Simbolo: salì al cielo?

R. Con le parole del sesto articolo del Simbolo: salì al cielo, noi crediamo che Gesù Cristo, dopo compiutaormai ed assolta l’opera della Redenzione, quarantagiorni dopo la sua risurrezione, per virtù propria, asceseal cielo, in anima e corpo (Conc. Lat. IV, c. I; S. Leone IX: Symbolum fidei; S. Leone Magno: Sermones 73 et 74 De Ascensione Domini; S. Ireneo: Adv. hæreses, I, 10, I.).

D. 111. Che cosa significano quelle altre parole del medesimo articolo: Siede alla destra di Dio Padre Onnipotente?

R. Quelle altre parole del medesimo articolo: Siede alla destra di Dio Padre Onnipotente, significano la gloria perpetua del Redentore in cielo, dove Gesù Cristo trovasi, in quanto Dio uguale al Padre, e in quanto uomo, nel possesso più alto, fra tutte le creature, dei beni divini.

(Dan., VII, 13, 14; Marco, XVII, 19; Giov., V, 27; Paolo: ad Rom., VIII, 34; ad Hebr., VIII, 1; S. Greg. Nazian.: Oratio 45; S. Tom., p. 3, q. 58, a. 4. — Il Catechismo pei Parroci, p. I, c. VII, n. 3 : « La parola sedere non significa qui sito o figura corporale, bensì chiarisce quel fermo e stabile possesso della regia e somma potestà e della gloria, che Gesù Cristo ha ricevuto dal Padre ».

D. 112. Che cosa crediamo nel settimo articolo del Simbolo: Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti?

R. Nel settimo articolo del Simbolo : Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti, noi crediamo che alla fine del mondo Gesù Cristo verrà dal Cielo assieme ai suoi angeli per giudicare gli uomini tutti, tanto quelli che il giorno del giudizio troverà vivi ancora, quanto quelli morti anteriormente, « e allora renderà a ciascuno secondo le sue opere » (Matt., XVI, 27; XXIV, 30; XXV, 31-46; Atti, X, 42; Paolo: ad Hebr., IX, 28; Conc. Lat. I V , S. Leone I X e Benedetto XII, 1. c.; S. Giov. Cris.: In Epist. Ia ad Cor., XLII, 3; S. Pietro Canisio: De fide et symbolo, n. 15; Cat. p. parr., p. I).

D. 113. Quale sarà la sentenza nell’universale giudizio?

R. Nell’universale giudizio la sentenza sarà, per gli eletti: « Venite, benedetti del Padre mio, possedete il regno a voi preparato sin dalla costituzione del mondo » ; per i reprobi invece: « Andate lungi da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato al diavolo ed ai suoi angeli » (Matt., XXV, 34, 41; San Bonav.: Soliloq., III, 5: « Anima mia, non si cancelli mai dalla tua memoria quell’« Andate, maledetti, nel fuoco eterno; venite, benedetti, possedete il regno ». Può pensarsi una cosa più lamentevole, più paurosa di quell’andate? Una più gradevole di questo « Venite! »? Due parole, di cui nessuna suona all’orecchio più orribile della prima, nessuna più dolce della seconda ».).

D. 114. Oltre l’universale giudizio alla fine del mondo, ve ne sarà un altro?

R. Oltre l’universale giudizio alla fine del mondo, vi sarà un giudizio particolare per ciascuno di noi, immediatamente dopo la morte (Paolo: ad Hebr., IX, 27. — Il catechista faccia notare che del giudizio particolare come degli altri Novissimi si tratterà nella dom. 583 e segg.).

D. 115. A quale intento ha voluto Iddio il giudizio universale dopo quello particolare?

R. Dio ha voluto il giudizio universale dopo quello particolare, per la propria gloria e per quella di Cristo e degli eletti, per la confusione dei reprobi e perché l’uomo ricevesse in anima e corpo e in presenza di tutti la sentenza che lo premia o lo condanna (Sap., V, 1 e segg.; Matt., XXV, 31-46; Il Catechismo pei parroci, p. I, c. VIII, n. 4. —

Dio è, invero, infinitamente giusto, ma non sempre durante questa vita temporale rende a ciascuno quel che gli spetta, bensì dopo la morte, nel giudizio tanto particolare, quanto universale. È quindi evidente quanto sia grossolano l’errore di coloro che nel constatare come di frequente i malvagi godono la prosperità e i buoni soffrono l’avversità, non arrossiscono di trattar Dio d’ingiusto. A dire il vero, come non è perfetta la felicità dei malvagi cui rimorde la coscienza del peccato e turba il terrore della divina vendetta, così non è priva di consolazioni l’afflitta condizione dei buoni, cui conforta la tranquillità della coscienza e la speranza delle eterne ricompense. Ma quando sarà sopravvenuta la morte, allora sì che nessun merito sarà lasciato senza mercede, come nessun peccato senza punizione.).

D. 116. Perché viene attribuita a Gesù Cristo la potestà di giudicare il genere umano?

R. Per quanto la potestà di giudicare sia comune a tutte le Persone della Santissima Trinità, viene a titolo speciale attribuita a Gesù Cristo, come Dio e come uomo, per la ragione ch’Egli è « Re dei re e Dominatore dei dominanti » ; infatti tra le potestà regali si annovera quella giudiziaria, tra le cui funzioni vien compresa anche quella di premiare o di punire ciascuno secondo i suoi meriti.