DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (3)

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO [3]

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VIII.

CAPO VII.

Di altri beni ed utilità grandi che sono in questa conformità alla volontà di Dio.

Un altro gran bene e grande utilità reca seco questo esercizio; ed è, che questa conformità e intera rassegnazione nella volontà di Dio è delle migliori e più principali disposizioni che dal canto nostro possiamo mettere, acciocché il Signore ci faccia delle grazie e ci riempia di beni. E così quando Dio Signor nostro volle far S. Paolo di persecutore Predicatore e Apostolo suo, lo prevenne con questa disposizione. Gli mandò un gran lume dal cielo che lo buttò giù da cavallo, e gli aprì gli occhi dell’anima, e gli fece dire: Domine, quid me vis facere (Act. IX)?Signore, che cosa vuoi tu che io faccia? Eccomi qui, Signore,come un poco di creta nelle tue mani, acciocché faccia di me quello che ti piacerà.E così Dio ne fece un vaso eletto, acciocché portasse e spargesse il suo nome per tutto il mondo: Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus, et regibus, et filiis Israel (Ibid. IX, 15). Si legge della santa vergine Geltrude (3), che Dio le disse: Chiunque desidera che io venga liberamente ad abitare in lui, m’ha da rassegnar la chiave della propria volontà, senza tornar più a domandarmela. Perciò il nostro S. Padre ci mette questa rassegnazione e indifferenza per la principale disposizione a ricever grazie grandi da Dio: e con questa vuole che s’entri negli Esercizi, e questo è il fondamento che ci propone nel principio di essi; che siamo indifferenti e staccati da tutte le cose del mondo, non desiderando più questa che quell’altra, ma desiderando, che in ogni cosa si faccia e s’adempisca in noi la volontà di Dio. E nelle Regole, o Annotazioni che mette per indirizzo ed aiuto si di quello che dà, come di quello che fa gli Esercizi, nella quinta di esse si dice: Sarà di grandissimo aiuto a quello che fa gli Esercizi, l’offerirsi liberamente, e il mettersi totalmente nelle mani di Dio, acciocché faccia di lui e delle cose sue quello che più gli piacerà (D. Ign. Lib. Exerc.).E la ragione, d’esser questa una così buona disposizione e mezzo per ricevere delle grazie dal Signore, è, perché da una banda si levano via con questa gl’impedimenti dei nostri mali affetti e desideri che vi potrebbero essere; e dall’altra, quanto più uno si fida di Dio, mettendosi affatto nelle sue mani e non volendo se non quello che Egli vuole, tanto più obbliga l’istesso Dio ad aver cura di lui e a provvederlo di tutto quello che gli conviene. È anche per un altro verso questa conformità alla volontà di Dio mezzo molto efficace per acquistare tutte le virtù, perché queste s’acquistano coll’esercizio degli atti loro. Questo è il modo naturale per acquistar gli abiti; e in questo modo vuol anche Dio darci la virtù ; perché Egli vuole operar le opere di grazia a proporzione come opera quelle della natura. Ora esercitati tu in questa rassegnazione e conformità alla volontà di Dio; e in questo modo ti eserciterai in tutte le virtù, e così verrai ad acquistarle tutte: perché alcune volte ti si porgeranno occasioni d’umiltà, alcune altre d’ubbidienza, altre di povertà, altre di pazienza, e così delle altre virtù. E quanto più ti eserciterai in questa rassegnazione e conformità alla volontà di Dio, e più andrai crescendo e perfezionandoti in essa; tanto più andrai crescendo e perfezionandoti in tutte le virtù. Conjungere Deo, et sustine, ut crescat in novissimo vita tua, dice il Savio (Eccli. III, 2). Congiungiti a Dio, e conformati in ogni cosa alla volontà sua. Conglutinare Deo, dice un’altra versione (Supra tract. 5, c. 14 et 15.): Accostati e unisciti con esso, e in quella maniera crescerai e farai molto profitto. Per questo i Maestri della vita spirituale consigliano (ed è meraviglioso consiglio) che mettiamo gli occhi in una virtù superiore, la quale rinchiuda in sé le altre, e che questa procuriamo principalmente nell’orazione; e a questa drizziamo l’esame e tutti i nostri esercizi, perché, mettendo gli occhi in una cosa, è più facile l’andar dietro ad essa, e acquistando quella si acquista ogni cosa. Ora una delle cose principali, nelle quali possiamo mettere gli occhi per questo effetto, è questa rassegnazione e intera conformità alla volontà di Dio: e così in questa saranno molto bene impiegati l’orazione e l’esame, ancorché vi spendiamo molti anni e tutta la vita ancora; perché, se acquistiamo questa, acquisteremo tutte le virtù. – S. Bernardo sopra quelle parole dell’apostolo S. Paolo, Domine, quid me vis facere (Act. IX, 6.)? Signore, che cosa vuoi che io faccia? dice: O verbum breve, sed plenum, sed vivum, sed efficace, sed dignum omni acceptione (D. Bernard, serm. 1 de conv. S. Pauli). Oh parola breve, ma piena, che ogni cosa abbraccia e nessuna cosa lascia: Signore, che cosa volete che io faccia? parola breve, ma compendiosa, ma vivace, ma efficace, e degna di essere grandemente stimata. Se dunque vuoi un documento breve e compendioso per acquistare la perfezione, eccoti questo: Di’ sempre coll’apostolo S. Paolo: Signore, che cosa volete che io faccia? e col profeta David: Signore, il mio cuore è disposto e preparato; è preparato e disposto per tutto quello che voi volete da me (Psal. LVI, 8 et CVII, 1). Porta sempre questo in bocca e nel cuore; e all’istesso passo che andrai crescendo in questo, andrai crescendo in perfezione. Un altro bene e un’altra utilità abbiamo anche in questo esercizio, ed è, che ne possiamo cavar un rimedio molto buono per certa sorta di tentazioni che sogliono venire. Il demonio procura alle volte d’inquietarci con alcune tentazioni di pensieri condizionali e di certe immaginarie domande: Se uno ti dicesse la tal cosa, che risponderesti? Se accadesse la tal altra cosa, che faresti? in tal caso come ti porteresti? e siccome egli è sottilissimo, ci rappresenta le cose in modo, che per qualsivoglia banda pare che ci troviamo perplessi, e non sappiaci come uscirne; perchè sta ivi il laccio teso, non curandosi il demonio, che sia vera, o apparente, o finta, quella cosa colla quale c’inganna. Pur che egli faccia il fatto suo, di tirar l’uomo a qualche cattivo consentimento, non gl’importa più questa che quell’altra cosa. In queste tentazioni dicono comunemente che la persona non è obbligata a rispondere né col sì né col no: anzi che farà meglio a non risponder cosa alcuna, e questo specialmente conviene più a persone scrupolose; perché se cominciano a tener ragionamenti col demonio, e ad entrar in proposte e risposte con lui, questo è quello che egli cerca, perché non mancano mai a lui repliche, né mai usciranno elleno cosi franche dalla scaramuccia, che non n’escano col capo rotto. Ma una risposta trovo io molto buona e giovevole in queste tentazioni, e l’usar questa tengo che sia meglio che il non risponder niente: ed è appunto quello che andiamo dicendo; cioè, che a qualsivoglia di queste cose può uno rispondere ad occhi chiusi: Se questa è la volontà di Dio, io la voglio. Se Dio vuol questo, lo voglio anch’io. Io vorrei in questo quello che volesse Dio. In ogni cosa mi rimetto alla volontà di Dio. Io farei in questo quello che fossi obbligato e il Signore mi concederebbe grazia che in ciò non l’offendessi, ma facessi quel che fosse volontà sua. Questa è una risposta generale che soddisfa pienamente in qualunque caso; e il darla così in generale non porta seco veruna difficoltà, ma più tosto una somma facilità, poiché siamo certi, che se la cosa propostaci in qualunque supposizione è volontà di Dio, è anche buona: se è volontà di Dio, è anche il meglio: se è volontà di Dio, è quello che a me più conviene. Possiamo dunque con tutta sicurezza abbandonarci alla volontà di Dio e dir tutte queste cose; e con ciò il demonio resterà molto burlato e confuso, e noi altri molto contenti e inanimati colla vittoria. Siccome nelle tentazioni di Fede si dà per consiglio, specialmente agli scrupolosi, che non rispondano ad esse in particolare, ma che dicano in generale: Io tengo e credo tutto quello che tiene e crede la santa Madre Chiesa; così in queste tentazioni è molto buon rimedio il non rispondere in particolare cosa alcuna, ma rimetterci in tutto e per tutto alla volontà di Dio, la quale è sommamente buona e perfetta.

CAPO VIII.

Si conferma con alcuni esempi quanto piace a Dio quest’esercizio della conformità alla volontà sua, e la perfezione grande che è in esso.

Racconta Cesario (Cæs. lib. L. 10 dial. a. 6),che in un monastero si trovava un Monaco al quale aveva Dio conceduta tanta grazia di far miracoli, che gl’infermi guarivano solamente con toccar le sue vesti e la sua cintura. Considerando da un canto il suo Abbate attentamente questa cosa, e dall’altro non vedendo in quel Monaco cosa speciale la quale desse indizio di gran santità, lo chiamò da banda e gli domandò onde mai fosse che Iddio per suo mezzo operava tanti miracoli? Ed egli rispose, che non lo sapeva: perché, diceva, io non digiuno più di quello che digiunano gli altri; non mi disciplino più; non fo più penitenze; né fo più lunga orazione; né fatico né veglio più di essi. Quel, che io posso dire di me, si è, che né le cose prospere m’innalzano, né le avverse m’abbattono: nessuna cosa che avvenga mi turba né m’inquieta: l’anima mia se ne sta con un’istessa pace e quiete in tutti gli avvenimenti, per molto diversi che siano, sì propri, come d’altri. Allora l’Abbate gli disse: Non ti turbasti, o inquietasti alquanto l’altro giorno, quando quel gentiluomo nostro contrario attaccò fuoco alla nostra casa di villa e l’abbruciò? No, disse, io non sentii turbazione alcuna nell’anima mia; perché ho rimessa ogni cosa nelle mani di Dio: e così la cosa prospera, come l’avversa, così il poco, come il molto, lo piglio sempre con egual rendimento di grazie, come venuti dalla sua mano. E conobbe allora l’Abbate, che questa era la cagione di quella virtù che aveva di far miracoli. Blosio narra (Blos, in appendice ad institutionem spirit. c. 1 in fine.), che essendo interrogato da un Teologo un certo povero mendico di vita perfetta, come aveva fatto ad acquistare la perfezione; rispose in questa maniera: Io feci deliberazione di mettermi in tutto e per tutto alla sola divina volontà, alla quale conformai talmente la mia, che quanto Dio vuole tanto voglio io. Quando la fame mi dà fastidio, quando il freddo mi molesta, io lodo Dio: sia l’aria serena, o sia rigida, o tempestosa, similmente lodo Dio: qualsivoglia cosa, che Egli mi dà, o permette che mi venga, sia prospera, o avversa, sia dolce, o amara, la ricevo dalla sua mano con grande allegrezza, come cosa molto buona, rassegnandomi tutto in esso con umiltà. Non ho mai potuto trovar riposo in cosa alcuna, che non fosse Dio: e già ho trovato il mio Dio, nel quale godo un riposo e una pace eterna. Il medesimo Biosio racconta di una santa vergine, che essendo interrogata, come avesse acquistata la perfezione, rispose: Ho presi tutti i travagli e le avversità con gran conformità alla volontà di Dio, come venuti dalla sua mano: e a qualunque persona, che mi facea qualche ingiuria, o mi dava qualche molestia, ho sempre procurato di ricompensargliela con qualche particolar beneficio: con nessuno mi son lamentata de’ miei travagli, ma solamente sono ricorsa a Dio, dal quale ho ricevuto subito fortezza e consolazione (Blos, ubi sup,, et cap, 10 monilis spirit.). Riferisce pure di un’altra vergine di gran santità, che domandata con quali esercizi avesse acquistata tanta perfezione, rispose con molta umiltà, che non le erano mai avvenuti dolori, o travagli sì grandi, che ella non desiderasse di soffrirne de’ maggiori per amore di Dio, tenendoli per suoi singolari favori, e di questi pure giudicandosi indegna (Blos., ut supra). – Narra Taulero (Taul. serm. 1 de circumc.), che varie persone si raccomandavano ad una Serva di Dio totalmente rassegnata nelle divine sue mani, acciocché facesse orazione per alcuni interessi d’importanza; ed ella rispondeva, che l’avrebbe fatta. Alle volte però se ne dimenticava; ma tanto e tanto tutto ciò che le raccomandavano succedeva tanto felicemente, quanto quelle persone sapevano desiderare; onde poi tornavano a ringraziarla come se per l’orazion sua avessero conseguito l’intento: sebbene ella se ne confondeva e diceva, che ringraziasser Dio; poiché essa non vi aveva posto niente del suo. E, perché concorrevano a lei molti in questo modo, ella se ne andò a Dio a formare di lui un’amorevole querela, perché facesse sì prosperamente succedere tutti i negozi che a lei erano raccomandati; che di poi da lei ritornasser le genti a renderne grazie, non avendo ella tante volte per ciò fatto nulla, né porta una supplica: al che rispose il Signore: Vedi, figliuola, quell’istesso giorno nel quale tu mi desti la tua volontà, diedi Io a te la mia: e ancorché tu non mi chiegga cosa alcuna in particolare, quando Io so, che gusti di essa, la fo come tu l’avresti saputa chiedere. – Nelle vite de’ Padri si racconta d’un contadino i cui terreni e vigne rendevano frutti in maggior abbondanza di quelli degli altri suoi vicini, che domandato da alcuni di coloro, come andasse la cosa, rispose, che non si meravigliassero dell’avere lui migliori frutti che essi, perché egli aveva sempre i tempi come li voleva: e molto più meravigliandosi coloro di questa risposta, gli domandarono, come potesse ciò essere; al che replicò: Io non voglio mai altro tempo che quello che Dio vuole: e come io voglio quello che vuol Dio, così Egli mi dà i frutti come io li voglio. – Racconta Severo Sulpizio nella vita del beato S. Martino vescovo, che in tutto il tempo che conversò seco mai noi vide adirato né mesto, ma sempre con gran pace e allegrezza: e la cagione di ciò dice che era, perché quello che gli avveniva egli lo pigliava e riceveva come cosa venuta dalla mano di Dio; e così si conformava in ogni cosa alla volontà sua, con grande tranquillità, composizione d’animo ed allegrezza.

CAPO IX.

D’alcune cose che ci faranno facile e soave questo esercizio della conformità alla volontà di Dio.

Acciocché questo esercizio della conformità alla volontà di Dio ci si faccia facile e soave, bisogna primieramente, che abbiamo sempre avanti gli occhi quel fondamento che mettemmo al principio (Vide supra cap. 1 et 2), cioè, che niuna avversità né travaglio ci può venire, o accadere, che non passi per le mani di Dio e non venga ordinato e misurato dalla sua volontà. C’insegnò Cristo nostro Redentore questa verità non solo in voce, ma anche col suo esempio. Quando comandò a S. Pietro la notte della sua passione, che rimettesse il coltello nella guaina, soggiunse: Calicem, quem dedit mihi Pater, non vis, ut bibam illum (Jo. XVIII, 11)? Non vuoi ch’io beva il calice che m’ha dato il mio Padre? Non disse il calice che m’han procurato Giuda, gli Scribi, i Farisei; perché  sapeva molto bene, che tutti questi non erano altro che come coppieri che lo servivano in porgergli quella tazza preparatagli dal suo divin Padre; e che quello che essi facevano con malizia e con invidia il Padre eterno colla sua infinita bontà e sapienza l’ordinava per rimedio del genere umano. E così disse anche di poi a Pilato il quale vantavasi, che aveva podestà di crocifiggerlo e di liberarlo. Non haberes potesltatem adversum me ullam, nisi tibi datum esset desuper (Jo. XIX, 11): Tu non avresti podestà alcuna contro di me, se non l’avessi avuta dall’alto. Spiegano i Santi: Nisi ex divina dispositione et ordinatione id factum esset ,Di maniera che ogni cosa viene da alto, per disposizione e ordine di Dio. (D. Chrys. hom. 83 in Jo.; D. Cyrill. lib. 12, o. 22 in Jo.; D. Irenœus lib. 4 contra hæreses, c. 34; D. Aug. tract. IV, 26 in Jo.). Disse maravigliosamente questa cosa l’apostolo S. Pietro colà nel capo quarto degli Atti degli Apostoli (IV, (Act. IV, 26 et seq.), spiegando quel testo del Profeta, Quare fremuerunt gentes, et populi meditati sunt inania? Astiterunt Reges terræ, et Principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Chrislum ejus (Ps. II, 1), dice così: Convenerunt enim vere in civitate ista adversus sanctum puerum tuum Jesum, quem unxisti, Berodes, et Pontius Pilatus, cum Gentibus, et populis Israel, facere, qum manus tua et consilium tuum decreverunt fieri: Veramente si unirono in Gerusalemme i Principi e le podestà della terra contra Cristo nostro Redentore per metter in esecuzione quello che nel Concistoro della santissima Trinità era stato determinato e decretato; perché essi non potevano far altro che questo. E così veggiamo, che quando Dio non volle, non fu bastante tutta la potenza del re Erode a privarlo di vita, essendo egli bambino: e sebben fece uccidere tutti i bambini di quel paese circonvicino, nati da due anni in giù; nondimeno non poté incontrarsi in quello che cercava; perché Egli non voleva morire allora. I Giudei altresì e i Farisei vollero più volte metter le mani addosso a Cristo, e dargli morte: una volta tra le altre, nel mentre che trovavasi in Nazaret, lo condussero sulla cima del monte, sul dorso del quale stava edificata quella città, per indi precipitamelo; e dice il sacro Evangelio: Ipse autem transiens per medium illorum, ibat (Luc. IV, 30): Egli se ne andava con molta pace per mezzo di loro; perché non si era eletto quella qualità di morte, e così essi non gliela potevano dare. Un’altra volta lo vollero lapidare; e già avevano alzate le mani per tirargli i sassi; e Cristo nostro Redentore si mette con gran pace a ragionar con essi e a domandar loro: Multa bona opera ostendi vobis ex Patre meo; propter quod eorum opus me lapidatis (Jo. X, 32)? Io ho fatte molte opere buone a benefìcio vostro; per quale di esse mi volete lapidare? Non permise né diede loro licenza di menar le mani: Quia nondum venerat hora ejus (ibid. VII, 30.): Perché non era ancorarrivata la sua ora. Ma arrivata chefu l’ora nella quale Egli aveva determinato di morire, allora poterono eseguire quel tanto che il Signore determinato aveva di patire, perché allora Egli lo volle, ed allora ne diede loro licenza: Hæc est hora vestra et potestas tenebrarum (Luc. XXII, 53): così lor disse quando andarono per prenderlo. Ogni giorno ero con voi nel Tempio, e non mi prendeste mai, perché non era ancor giunta l’ora; adesso è giunta; e perciò eccomi qui, Io son desso quel che cercate. Quanto fece colà Saulle, quanto s’adoperò, quanti mezzi prese, per avere nelle mani David, il che appunto fu figura di quello che poi doveva avvenire nel divin Redentore? Un Re d’Israello contra un uomo particolare: Ut quærat pulicem unum; come disse l’istesso David (I Reg. XXVI, 20, et c. XXIV, 15); e con tutto ciò non gli poté mai riuscire. La divina Scrittura lo nota tanto bene, e ne rende questa ragione: Non tradidit eum Deus in manus ejus (1 Reg. XXIII, 14):Perché non volle Iddio darglielo nelle mani. Qui sta tutto il punto. E così nota molto bene S. Cipriano sopra quelle parole, Et ne nos inducas in tentationem (D. Cypr. serm. de orat. Dom. Matth. VI, 13), che tutto il nostro timore e tutta la nostra divozione e sollecitudine rispetto alle tentazioni e’ travagli hanno da essere in ordine a Dio; perciocché né il demonio, né alcun altro ci può far male alcuno, se Dio prima non ne dà loro licenza. Secondariamente, benché questa verità ben appresa sia da sé sola bastevole e di grande efficacia per indurci a conformarci in tutte le cose alla volontà di Dio; nondimeno non abbiamo da fermarci qui, ma dobbiamo passar avanti ad un’altra cosa che viene in conseguenza di questa, e la notano i Santi (D. Doroth. doct. 13; Nil. c. 29 de orat, in Psal. Dixit Dominus); la qual è, che insieme col venirci tutte le cose dalla mano di Dio, abbiamo da persuaderci, e credere, che vengano per maggior nostro bene e vantaggio (De S. Gertr., ref. Blos. c. 11, mon. spir.). Anche le pene dei dannati vengono loro dalla mano di Dio; non però per utilità e rimedio loro, ma per puro loro castigo: ma le pene e i travagli che Dio manda agli uomini in questa vita, siano giusti, o siano peccatori, abbiamo sempre da credere, e da aver sempre questa ferma fiducia di quella infinita Bontà e Misericordia, che mandandocegli, ce gli mandi per nostro maggior bene e perché questo più ci conviene per l’eterna nostra salute. Così lo disse la santa Giuditta al suo popolo, quando stavano in quell’afflizione e angustia sì grande, assediati da’ loro nemici: Ad emendationem, et non ad perditionem nostram evenisse credamus (Judith VIII, 27). Crediano pure, che Dio ci ha mandati questi travagli, non per nostra rovina, ma per emendazione e utilità nostra. D’una volontà tanto buona, quanto è quella di Dio il quale ci ama tanto, possiamo bene star certi e sicuri, che non vuole se non il bene e il meglio, e quello che più conviene a noi altri: il che appresso si dichiarerà più pienamente (Infra cap. 10 e 22). – In terzo luogo per cavar maggior frutto da questa verità, e acciocché questo mezzo sia più efficace per acquistare una perfetta conformità alla volontà di Dio, non abbiamo da contentarci di conoscere e credere speculativamente, che tutte le cose vengono dalla mano di Dio, né di crederlo in generale e come alla rinfusa, perché così ce lo dice la Fede, ovvero perché così l’abbiamo letta, o udito; ma bisogna, che andiamo attuando e avvivando questa Fede, con procurar di conoscere e di così giudicar della cosa praticamente, di maniera che veniamo a pigliar tutte le cose che ci succedono, come se sensibilmente e visibilmente vedessimo Cristo Signor nostro che ci stesse dicendo: Piglia, figliuolo, che questo tel mando io; è volontà mia, che tu faccia, o patisca adesso questa e questa cosa; perché in questa maniera ci si renderà molto facile e soave il conformarci in tutte le cose alla volontà di Dio. Che se ti apparisse l’istesso Gesù Cristo in persona, e ti dicesse: Vedi, figliuolo, che questo è quello che Io voglio da te; questo travaglio, o questa infermità, voglio che tu patisca adesso per me; in quest’ufficio, o ministero, voglio che tu mi serva; chiara cosa è, che ancorché fosse la più difficil cosa del mondo, la faresti di molto buona voglia tutto il tempo della tua vita, e ti terresti per molto felice, che Dio si volesse servir di te in quella cosa; e per comandartela esso, crederesti, che questa fosse il meglio, e che più ti convenisse per la tua eterna salute, e non ne dubiteresti punto, né ti verrebbe pure un primo moto in contrario. – In quarto luogo bisogna che nell’orazione ci esercitiamo e ci andiamo attuando assai in quest’esercizio, scavando e profondendoci bene in quella ricchissima miniera della provvidenza tanto paterna e tanto particolare che Dio ha di noi altri; perché così facendo c’incontreremo in questo tesoro: il che andremo dichiarando ne’ capì seguenti.

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