FESTA DELLA B. V. DEL SACRATISSIMO ROSARIO (2020)

FESTA DELLA B.V. DEL ROSARIO (2020)

Dal libro dell’Ecclesiastico.
Sir XXIV:11-31

Cercai per tutto un luogo di riposo, e ho scelto di abitare nei domini del Signore.
Allora il Creatore di tutte le cose diede ordini e mi parlò, e, colui che m’ha creata, riposò nel mio tabernacolo,
E mi disse: Abita in Giacobbe, sia in Israele la tua eredità, e fra i miei eletti metti le (tue) radici.
Da principio e prima dei secoli io sono stata creata, e fino all’età all’età futura non cesserò di esistere, e ho servito nel santuario alla presenza di lui.
E così ebbi stabile dimora in Sion, e nella città santa trovai anche il mio riposo, e in Gerusalemme la mia potenza.
E misi radici in mezzo al popolo glorificato, che ha la sua eredità nei domini del mio Dio, e la mia dimora è nella riunione del santi.

Mi elevai come il cedro sul Libano, e come il cipresso sul monte di Sion:
Mi elevai come la palma in Cades, e come la pianta di rose in Gerico:
M’innalzai come un bell’olivo nei campi, e come un platano nelle piazze presso l’acque.
Mandai profumo come la cannella e il balsamo aromatico: come di mirra squisita ho spirato soave profumo;
E come storace e galbano e onice e mirra stillante e come incenso ch’esce senza incisione ho profumato la mia abitazione, e come balsamo senza mistura è l’odor mio.
Io ho disteso i miei rami come il terebinto, e i miei son rami d’onore e di grazia.

Io sono la madre del bell’amore, e dei timore, e della scienza, e della santa speranza.
In me c’è tutta la grazia della via e della verità, in me tutta la speranza della vita e della virtù.
Venite a me tutti voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti;
Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio possesso è più del favo di miele.
Il mio ricordo traverserà il corso dei secoli.
Quelli che mi mangiano, avranno sempre fame, e quelli che mi bevono, avranno sempre sete.
Chi ascolta me, non sarà confuso, e quelli che operano con me, non peccheranno.
Quelli che mi pongono in luce, avranno la vita eterna.

* * *

Allorché l’eresia degli Albigesi s’estendeva empiamente nella provincia di Tolosa mettendovi di giorno in giorno radici sempre più profonde, san Domenico, che aveva fondato allora l’ordine dei Predicatori, si applicò interamente a sradicarla. E per riuscirvi più sicuramente, implorò con assidue preghiere il soccorso della beata Vergine, la cui dignità quegli eretici attaccavano impudentemente, ed a cui è dato di distruggere tutte l’eresie nell’intero universo. Ricevuto da lei l’avviso (secondo che vuole la tradizione) di predicare ai popoli il Rosario come aiuto singolarmente efficace contro l’eresie e i vizi, stupisce vedere con qual fervore e con qual successo egli eseguì l’ufficio affidatogli. Ora il Rosario è una formula particolare di preghiera nella quale si distinguono quindici decade di salutazioni angeliche, separate dall’orazione Domenicale, e in ciascuna delle quali ricordiamo, meditandoli piamente, altrettanti misteri della nostra redenzione. Da quel tempo dunque questa maniera di pregare incominciò, grazie a san Domenico, a farsi conoscere e a spandersi. E, ch’egli ne sia l’istitutore e l’autore, lo si trova affermato non di rado nelle lettere apostoliche dei sommi Pontefici. – Da questa istituzione si salutare promanarono nel popolo cristiano innumerevoli benefici. Fra i quali si cita con ragione la vittoria, che il santissimo Pontefice Pio V e i principi cristiani infiammati da lui riportarono presso le isole Cursolari (a Lepanto) sul potentissimo despota dei Turchi. Infatti, essendo stata riportata questa vittoria il giorno medesimo in cui i confratelli del santissimo Rosario indirizzavano a Maria in tutto il mondo le consuete suppliche e le preghiere stabilite secondo l’uso, non senza ragione essa si attribuì a queste preghiere. E ciò l’attestò anche Gregorio XIII, ordinando che a ricordo di beneficio tanto singolare, in tutto il mondo si rendessero perenni azioni di grazie alla beata Vergine sotto il titolo del Rosario, in tutte le chiese che avessero un altare del Rosario, e concedendo in perpetuo in tal giorno un Ufficio di rito doppio maggiore; e altri Pontefici hanno accordato indulgenze pressoché innumerevoli a quelli che recitano il Rosario e alla confraternita di questo nome. – Clemente XI poi, stimando che anche l’insigne vittoria riportata l’anno 1716 nel regno d’Ungheria da Carlo VI, imperatore dei Romani, su l’immenso esercito dei Turchi, accadde lo stesso giorno in cui si celebrava la festa della Dedicazione di santa Maria della Neve, e quasi nel medesimo tempo che a Roma i confratelli del santissimo Rosario facendo preghiere pubbliche e solenni con immenso concorso di popolo e grande pietà indirizzavano a Dio ferventi suppliche per l’abbattimento dei Turchi e imploravano umilmente l’aiuto potente della Vergine Madre di Dio a favore dei Cristiani; perciò credé dover attribuire questa vittoria al patrocinio della stessa Vergine, come pure la liberazione, avvenuta poco dopo, dell’isola di Corcira dall’assedio parimente dei Turchi. Quindi perché restasse sempre perpetuo e grato ricordo di si insigne beneficio, estese a tutta la Chiesa la festa del santissimo Rosario da celebrarsi collo stesso rito. Benedetto XIII fece inserire tutto ciò nel Breviario Romano. Leone XIII poi, in tempi turbolentissimi per la Chiesa, e nell’orribile tempesta di mali che da lungo tempo ci opprimono, ha sovente e vivamente eccitato con reiterate lettere apostoliche tutti i fedeli del mondo a recitare spesso il Rosario di Maria, soprattutto nel mese d’Ottobre, ne ha innalzato di più la festa a rito superiore, ha aggiunto alle litanie Lauretane l’invocazione, Regina del sacratissimo Rosario, e concesso a tutta la Chiesa un Ufficio proprio per la stessa solennità. Veneriamo dunque sempre la santissima Madre di Dio con questa devozione che le è gratissima; affinché, invocata tante volte dai fedeli di Cristo colla preghiera del Rosario, dopo averci dato d’abbattere e annientare i nemici terreni, ci conceda altresì di trionfare di quelli infernali.

***

Sappiamo allora a chi conformarci e come operare: se San Domenico è riuscito a sconfiggere la peste panteista dell’eresia degli Albigesi, noi – pusillus grex – sebbene indegni, possiamo, con l’aiuto della Vergine Regina delle Vittorie e la grazia del Salvatore, debellare la pandemia panteista della setta modernista usurpante il Vaticano e la Cattedra di S. Pietro, l’apocalittica prostituta che rappresenta la somma di tutte le eresie e le diffonde a perdizione delle anime redente dal preziosissimo Sangue di Cristo. Forza fedeli del Corpo mistico! Come Davide prendiamo tra le mani la fionda del Rosario ed abbattiamo, con il sasso della fede e delle opere di carità, il gigante modernista Golia, il lupo vorace che sta là dove abita satana (Apoc. c. II) e vuole sbranare, se possibile, tutte le anime dei Cristiani. Non c’è tempo da perdere … et IPSA conteret caput tuum! 

BATTAGLIA DI LEPANTO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: FESTA DEL SANTO ROSARIO

DELLA PRESENZA DI DIO (2)

DELLA PRESENZA DI DIO [2]

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VI.

CAPO III.

Degli atti della volontà ne’ quali principalmente consiste quest’esercizio: e come abbiamo da esercitarci in essi.

S. Bonaventura nella sua mistica Teologia (D. Bonav. via 3 et in ep. 15 memorial. c. 22) dice, che gli atti della volontà coi quali in questo santo esercizio abbiamo da alzare il cuore a Dio, sono certi accesi desideri del cuore co’ quali l’anima desidera unirsi con Dio con perfetto amore; certi affetti infiammati, certi sospiri vivi delle viscere co’ quali ella chiama Dio; certi moti pii e amorosi della volontà co’ quali, come con ali spirituali, si stende ed alza in alto, e si va accostando e unendo più a Dio. Questi desiderii e affetti del cuore veementi ed accesi, sono da’ Santi chiamati aspirazioni; perché con essi l’anima s’alza a Dio, che è l’istesso che aspirare a Dio: ed anche, come dice S. Bonaventura (ubi supra), perché siccome respirando ricaviamo e tramandiamo senz’alcun altro atto deliberato il fiato dalla parte più intima del nostro corpo; così con gran prestezza e alle volte senza deliberazione, o quasi senza essa, caviamo questi accesi desiderii dall’intimo del nostro cuore. Queste aspirazioni e questi desiderii vengono dall’uomo espressi con certe brevi e frequenti orazioni che chiamano giaculatorie; Raptim jaculatas, dice S. Agostino (D. Aug. ep. ad Probam, quas est 121); perché sono come certi dardi e saette infocate ch’escono dal cuore e in un punto si lanciano e drizzano a Dio. Usavano assai queste orazioni que’ Monaci dell’Egitto, come dice Cassiano: Breves quidem, sed creberrimæ (Cass. lib. 2 de inst. renunt.); e le stimavano e ne facevano gran conto; si perché, come sono brevi, non istraccano il capo; sì anche perché si fanno con fervore e con spirito elevato, e in un punto si trovano nel cospetto di Dio; e così non danno tempo al demonio di frastornare colui che le fa, riè di mettergli nel cuore impedimento alcuno. Dice S. Agostino certe parole degne di considerazione per tutti quelli che fanno profession d’orazione: Ne illa vigilans et erecta intentìo, quæ tam necessaria est oranti, per productiores moras hebetetur (D. Aug. ep. ad Probam.); e le quali mostrano l’utilità di queste giaculatorie le quali servono acciocché quella vigilante e viva attenzione che è necessaria per orare colla dovuta riverenza e rispetto, non si vada rimettendo e perdendo, come suol avvenire nell’orazion lunga (D. Chrys. hom. 79.). Ora con queste orazioni giaculatorie procuravano que’ santi Monaci di star sempre in questo esercizio, alzando molto spesso il cuore a Dio e trattando e conversando con esso lui (Abbas Isaac collat. 10, c. 10,). Questo modo di stare alla presenza di Dio è comunemente più a proposito per noi altri, più facile e più utile. Ma bisognerà dichiarar meglio la pratica di questo esercitizio. Cassiano (Cass. coll. 10, c. 10) la mette in quel versetto, Deus, in adjutorium meum intende: Domine, ad adjuvandum me festina (Ps. LXIX, 2), che la Chiesa replica nel principio di ciascuna Ora Canonica. Se cominci qualche affare pericoloso, chiedi a Dio che t’aiuti per uscirne bene. Signore, rivolgiti in aiuto mio: Signore, non tardare ad aiutarmi. Per ogni cosa abbiamo necessità del favor del Signore, e così sempre glielo abbiamo d’andare chiedendo. E dice Cassiano, che questo versetto è meraviglioso e molto a proposito per esprimere tutti i nostri affetti in qualsisia stato e in qualsivoglia occasione, o accidente nel quale ci veggiamo; perché con esso invochiamo l’aiuto di Dio; con esso ci umiliamo e riconosciamo la nostra necessità e miseria: con esso ci alziamo su e confidiamo di esser uditi e favoriti da Dio; con esso ci accendiamo nell’amor del Signore che è il nostro rifugio e il Protettor nostro. Per quante battaglie e tentazioni ti si possono presentare, dice Cassiano, hai qui in pronto un fortissimo scudo, una corazza impenetrabile, e un muro inespugnabile: e così l’hai da portar sempre nella bocca e nel cuore; e questa ha da essere la tua continua e perpetua orazione, e il tuo camminare e star sempre alla presenza di Dio. – S. Basilio mette la pratica di questo esercizio nel prendere occasione da tutte le cose di ricordarci di Dio. Se mangi, ringrazia Dio: se ti vesti, ringrazia Dio: se esci in campagna, o vai all’orto, o al giardino, benedici Dio che l’ha creato: se guardi il cielo, se guardi il sole, e tutto il resto, loda il Creatore di ogni cosa : quando dormi, ogni volta che ti svegli, alza il cuore a Dio (D. Basil, hom. in mart. Julitam.). Altri, perché nella vita spirituale vi sono tre vie; una purgativa, che appartiene a’ Principianti; un’altra illuminativa, che appartiene a’ Proficienti; e un’altra unitiva, che appartiene a’ Perfetti; mettono tre sorte d’aspirazioni e d’orazioni giaculatorie. Alcune sono indirizzate a conseguire il perdono de’ peccati e a purgare l’anima da’ vizi e dagli affetti terreni; e queste appartengono alla via purgativa. Alcune altre sono indirizzate all’acquisto della virtù, al vincer le tentazioni, e ad incontrare di buon grado difficoltà e travagli per la virtù; e queste appartengono alla via illuminativa. Alcune altre poi sono indirizzate ad acquistar l’unione dell’anima con Dio mediante un legame di perfetto amore; e queste appartengono alla via unitiva; acciocché ciascuno s’applichi a questo esercizio proporzionatamente al suo stato e alla disposizione in cui troverassi. Ma quanto a questo, sia pur uno quanto si voglia perfetto, si può esercitare nel dolore de’ peccati, e in chieder a Dio il perdono di essi e grazia per non offenderlo mai, e sarà esercizio molto buono e molto grato a Dio. E questo tale, e quegli altresì che attende a purgar l’anima sua da’ vizi e dalle passioni disordinate, e ad acquistare le virtù, si potrà anche esercitare in atti di amor di Dio, per far questo stesso con maggiore facilità e soavità. E così tutti, in qualunque stato si trovino, possono indifferentemente per questo esercizio frequentare questi atti, dicendo: O Signore, non vi avessi mai offeso! Non permettete, Signore, che io vi offenda giammai. Morir sì, ma non peccare. Piaccia alla Divina Maestà Vostra, che più tosto io muoia ben mille volte, che mai cada in peccato mortale. Alcune altre volte può uno alzare il suo cuore a Dio, ringraziandolo de’ benefici ricevuti, così generali come particolari, o chiedendo qualche virtù; quando profonda umiltà; quando perfetta ubbidienza; quando carità; quando pazienza. Alcune altre volte può uno alzare il suo cuore a Dio con atti d’amore e di conformità alla volontà sua santissima, come dicendo: Dilectus meus mihi, et ego IIli (Cant. lI, l6): — Non mea voluntas, sed tua fiat (Luc. XXII, 42): Quid enim mihi est in cœlo? et a te quid volui super terram (Psal. LXXII, 24,)? Queste ed altre simili sono tutte buone aspirazioni ed orazioni giaculatorie, per istare sempre in questo esercizio della presenza di Dio: e le migliori e più efficaci sogliono essere quelle che il cuore mosso da Dio concepisce da se stesso, benché non sia con parole tanto eleganti e tanto ben composte come quelle che abbiamo dette. Né meno è necessario, che siano molte e diverse queste orazioni: perché una sola reiterata spesso e con grande affetto può bastare ad uno per far quest’ esercizio molti giorni e anche tutta la vita. Se ti trovi bene coll’andar dicendo sempre quelle parole dell’apostolo S. Paolo: Signore, che cosa volete ch’io faccia? o quelle della Sposa: Il mio Diletto per me, ed io per esso: o quelle del profeta David: Che cosa ho io da volere, Signore, né in cielo, né in terra se non voi (Act. IX, 6. Reliqua loc. supracit.)? non hai bisogno d’altro: trattieniti in questo, e sia questo il tuo continuo esercizio e il tuo camminare e stare alla presenza di Dio. (1)

CAPO IV.

Si dichiara anche meglio la pratica di questo esercizio, e si propone un modo di camminare  e stare alla presenza di Dio  molto facile ed utile, e di gran perfezione.

Fra le altre aspirazioni ed orazioni giaculatorie che possiamo usare è molto principale e molto a proposito per la pratica di questo esercizio quella che c’insegna l’apostolo S. Paolo nella prima Epistola a que’ di Corinto: Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis; omnia in gloriam Dei facile (I . ad Cor. x, 31, 1): 0 mangiate, o beviate, o facciate qualsivoglia altra cosa; ogni cosa fatela a gloria di Dio. Procurate in tutte le cose che farete, o quanto più frequentemente potrete, d’alzare il cuore a Dio, dicendo: Per voi, Signore, fo questa cosa: per darvi gusto e per piacere a Voi, perché così Voi volete. La vostra volontà, Signore, è la mia, e il vostro gusto è il mio; né ho io altro volere, né altro non volere, che quello che Voi volete, o non volete: questa è tutta la mia allegrezza, tutto il mio gusto, tutta la mia ricreazione, l’esecuzione e l’adempimento della vostra volontà, il piacere e dar gusto a Voi: né v’è altra cosa che volere, né che desiderare, né in che metter l’occhio né in cielo né in terra. Questo è un modo molto buono di camminare e star sempre alla presenza di Dio molto facile ed utile, e di gran perfezione: perché è star in un continuo esercizio d’amor di Dio. E perché in altri luoghi abbiamo toccato e per l’avvenire toccheremo di nuovo questa cosa (Sup. tract. 3, c. 8, et infra tract. 8, c 4), qui solamente voglio dire, che questo è uno de’ migliori e più utili modi di star sempre in orazione che vi siano e che possiamo usare. Né pare che vi manchi altra cosa per finire di canonizzare e di esaltare questo esercizio, che dire, che con esso staremo in quella continua orazione che Cristo nostro Redentore ricerca da noi, come abbiamo dal sacro Evangelio: Oportet semper orare, et non deficere (Luc. XVIII, 1): perciocché qual orazione può esser migliore che lo star sempre desiderando la maggior gloria ed onore di Dio, e lo starci sempre conformando alla volontà sua, non avendo altro volere, né altro non volere, che quello che vuole, o non vuole Dio, e che tutto il nostro gusto e la nostra allegrezza sia il gusto e la soddisfazione di Dio? Perciò dice un Dottore mistico ((3) D. Dìonys. Rich. lib, 1, de contempl, c. 25), e con gran ragione, che colui che persevererà diligentemente in quest’esercizio con questi affetti e desiderii interni, caverà da esso tanto frutto, che in breve tempo sentirassi mutato e cambiato il cuore, e proverà in esso particolare avversione al mondo e singolare affezione a Dio. Questo è cominciare di qua ad essere cittadini del cielo e famigliari della casa di Dio. Jam non estis hospites et advenæ; sed estis cives Sanctorum, et domestici Dei (1Ad Ephes. II,19). Questi sono quei celesti cortigiani che vide S. Giovanni che avevano il nome di Dio scritto nelle loro fronti, che è la continua memoria e presenza di Dio. Et videbunt faciem ejus, et nomen ejus in froniibus eorum (Apoc. XXII, 4.); perché la loro conversazione non è più in terra, ma in cielo: Nostra autem conversano in cœlis est (Ad Philipp, III, 20). — Non contemplantibus nobis quæ videntur, sed quæ non videntur: Quæ enim videntur, temporalia sunt; quas autem non videntur, alterna sunt (II. ad Cor. IV, 18). Bisogna però avvertire in quest’esercizio, che quando facciamo questi atti, dicendo: Per Voi, Signore, fo questa cosa, per amor vostro, e perché così Voi volete, ed altri simili; abbiamo da farli e da dirli come chi parla con Dio presente, e non come chi volge il cuore, o il pensiero, a cosa lontana da sé, o fuori di sé. Questa avvertenza è di grande importanza in questo esercizio; perché questo è propriamente camminare e stare alla presenza di Dio, e questo è quello che rende quest’esercizio facile e soave, e fa che muova e giovi più. Àncora nelle altre orazioni, quando meditiamo Cristo in croce, o alla colonna, avvertono quei che trattano d’orazione, che non abbiamo da immaginarci, che quel Mistero operossi colà in Gerusalemme e mille e tante centinaia d’anni sono; perché questo stracca più e non muove tanto; ma che dobbiamo immaginarci ogni cosa come presente, e che tutto siegua qui dinanzi a noi, figurandoci di sentire i colpi de’ flagelli e le martellate onde furono confitti i chiodi. E se facciamo la meditazione della morte, dicono, che abbiamo da immaginarci di star già per morire disperati dai medici e colla candela in mano. Quanto dunque sarà più ragionevole, che in quest’esercizio della presenza di Dio facciamo questi atti che abbiamo detti, non come chi parla con chi è assente e lontano da noi; ma come chi parla con Dio presente; poiché lo stesso esercizio lo ricerca e realmente la cosa sta così.

CAPO V.

Di alcune differenze e vantaggi che sono nel fin qui proposto esercizio della presenza di Dio relativamente ad altri che si soglion proporre.

Acciocché si possa veder meglio la perfezione e l’utilità grande di questo esercizio e modo di camminare e di stare alla presenza di Dio, del quale abbiamo ragionato, e resti con ciò la cosa meglio dichiarata, noteremo ora alcune differenze o vantaggi che trovansi in questo esercizio, rispettivamente ad alcuni altri. Primieramente, in altri esercizi che alcuni sogliono proporre di camminare e stare alla presenza di Dio, ogni cosa pare che sia in atto d’intelletto e ogni cosa pare che finisca in immaginarsi Dio presente; ma questo presuppone quest’atto d’intelletto e di fede, che Dio sia presente, e passa avanti a fare atti d’amore di Dio, e in questo consiste principalmente: e questa seconda cosa senza dubbio è migliore e più utile che la prima. Siccome nell’orazione diciamo (Supra tract. 5, cap. II.), che non ci dobbiam fermare nell’atto dell’intelletto, che è la meditazione e considerazione delle cose, ma negli atti della volontà, cioè negli affetti e desiderii della virtù e dell’imitazione di Cristo, o che questo ha da essere il frutto dell’orazione; così qui la parte principale, migliore, e più utile di quest’esercizio, sta negli atti della volontà: onde questa è la cosa nella quale abbiamo da insistere. Secondariamente, il che viene in conseguenza di quello che abbiamo detto, quest’esercizio è più facile e più soave degli altri; perché negli altri vi bisogna discorso e fatica dell’intelletto e dell’immaginativa per rappresentarci dinanzi le cose, che è quello che suole straccare e rompere il capo alle persone, e così non può durar tanto; ma in quest’altro esercizio non vi bisogna discorso, ma affetti e atti della volontà, i quali si fanno senza stanchezza; perché sebbene è vero, che vi è pur qualche atto dell’intelletto, questo però si presuppone per mezzo della Fede, senza che ci stracchiamo per farlo sì espressamente, come quando adoriamo il santissimo Sacramento, che presupponiamo per mezzo della Fede, che sta ivi Cristo Salvator nostro, tutta la nostra attenzione e occupazione si volge ad adorare, riverire, amare e chiedere grazie a quel Signore che sappiamo che sta ivi; così passa la cosa in quest’esercizio. E quindi è, che per essere più facile, potrà uno durare e perseverare in esso più lungamente; perciocché anche agli infermi, i quali non possono fare molta orazione, siamo soliti dar per consiglio, che usino d’alzare spesso il cuore a Dio con alcuni affetti e atti della volontà, essendo che questi si possono far facilmente. Onde, quando bene non avesse in sé altro vantaggio quest’esercizio, che il potersi durare e perseverare in esso più che negli altri, lo dovremmo stimare grandemente; quanto più poscia essendovi tanti vantaggi? – In terzo luogo, e questo è un punto principale e molto qui da avvertirsi, l’esercizio della presenza di Dio non è solamente per fermarci in esso, ma ci dee servire di mezzo per far bene le nostre operazioni. Perché  se ci contentassimo d’aver solamente attenzione all’essere Dio presente, e con ciò nelle nostre operazioni ci trascurassimo, e facessimo mancamenti e byd errori in esse, questa non sarebbe buona divozione, ma illusione. Sempre abbiamo da premere in questo, che quantunque teniamo fisso un occhio alla sovrana Maestà di Dio, l’altro nondimeno stia volto a far bene le opere per amor suo. E il considerare che stiamo alla presenza di Dio ci ha da servire di mezzo per far meglio e con maggior perfezione ciò che facciamo. Or questo si fa molto meglio con questo esercizio che cogli altri; perché cogli altri s’occupa assai l’intelletto in quelle figure corporali che uno si vuol rappresentare innanzi, o nei concetti che vuol ricavare dall’avere presente quel Signore che ha, e per ricavarne il buon pensiero molte volte la persona non guarda a quello che fa, e lo fa malamente; ma quest’esercizio, come in esso non vi è occupazione dell’intelletto, non impedisce punto l’esercizio delle opere, anzi aiuta assai a farle riuscire ben fatte, perché la persona le sta facendo per amor di Dio che la sta mirando; e così procura di farle in tal maniera e tanto bene, che possano comparire innanzi agli occhi di Dio, e non sia in esse cosa indegna della sua presenza. Intorno al qual punto abbiamo già di sopra spiegato (Supra tract. 2, cap. 3) come questo stesso è un altro modo molto buono, e molto utile, e proposto ancora dai Santi, di camminare e stare alla presenza di Dio : e così non istaremo qui a replicarlo.