DELLA PRESENZA DI DIO (1)

DELLA PRESENZA DI DIO [1]

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VI.

CAPO I .

Dell’eccellenza di questo esercizio e dei gran beni che sono in esso.

Quærite Dominum, et confìrmamini: quærite faciem ejus semper.

Ps. CIV, 4

Cercate Dio con fortezza e con perseveranza, dice il profeta David: cercate sempre la sua faccia.. La faccia del Signore dice S. Agostino che è la presenza del Signore (super Ps. CIV): e così cercare la faccia del Signore sempre, è camminar sempre alla sua presenza, volgendo il cuore a Lui con desiderio e con amore. Isichio nell’ultima Centuria [e lo apporta anche il glorioso S. Bonaventura] dice, che lo star sempre in questo esercizio della presenza di Dio, è cominciare ad esser di qua beati; perché la beatitudine dei Santi consiste in veder Dio perpetuamente, senza giammai perderlo di veduta. Or giacché in questa vita non possiamo veder Dio chiaramente, né come Egli è, perché questo è proprio dei Beati; almeno imitiamoli nel modo nostro e secondo quello che comporta la nostra fragilità, procurando di star sempre riguardando, riverendo e amando Dio. Di maniera che siccome Dio Signor nostro ci creò per avere a stare eternamente alla sua presenza nel cielo, ed ivi goderlo; cosi volle, che avessimo qui in terra un ritratto e un saggio di quella beatitudine, camminando sempre alla sua presenza, contemplandolo e riverendolo, sebbene all’oscuro: Videmus nunc per speculum in ænigmate: tunc autem facie ad faciem (I ad Cor. XIII): Adesso il veggiamo e contempliamo noi per mezzo della Fede come per mezzo di uno specchio; di poi lo vedremo alla scoperta e a faccia a faccia: Ista est meritum, illa præmium: Quella vista chiara, dice Isichio, è il premio e la gloria e beatitudine che aspettiamo; quest’altra oscura è merito per mezzo del quale abbiamo da arrivare a conseguir quella. Ma infine al modo nostro imitiamo i Beati, procurando di non perdere mai Dio di veduta nelle nostre operazioni, siccome gli Angeli santi i quali sono mandati per nostro aiuto, per nostra custodia e nostra difesa, s’occupano in tal maniera in questi ministeri in prò nostro che mai non perdono Dio di vista; come lo disse l’Angelo Raffaello a Tobia: Videbar quidem vobiscum manducare et bibere: sed ego cibo invisibili, et potu, qui ab hominibus videri non potest, utor (Tob. XII, 19): Pareva bene che io stessi mangiando e bevendo con voi altri; ma io uso un altro cibo invisibile ed un’altra bevanda che non può esser veduta dagli uomini. Stanno gli Angeli santi del continuo come nutrendosi e sostentandosi di Dio: Semper vìdent faciem Patris mei, qui in cœlis est (Matt. XVIII, 10): così noi altri sebbene mangiamo, beviamo, trattiamo e negoziamo cogli uomini, e pare che ci occupiamo e tratteniamo in questo; abbiamo nondimeno da procurare, che non sia questo il nostro cibo né il nostro trattenimento, ma un altro invisibile che gli uomini non veggono; cioè lo star sempre riguardando ed amando Dio e facendo la sua santissima volontà. – Grand’esercizio fu quello che praticarono quei Santi e Patriarchi dell’antica legge in ordine a questo punto del camminare sempre alla presenza di Dio: Providebam Dominum in conspeclu meo semper; quoniam a dextris est mihi ne commovear (Ps. XV, ). Non si contentava il reale Profeta di lodar Dio sette volte il giorno; ma sempre procurava di tenerlo presente. Era tanto continuo questo esercizio in quei Santi, che era anche comune linguaggio loro il pregiarsi di questo, soliti di spesso dire: Vivit Dominus, in cujus conspectu sto (III Re, XVII, 1; – IV. Reg. III, 14): Vive il Signore, alla cui presenza io sto. Sono grandi i beni e le utilità che risultano dal camminar sempre alla presenza di Dio, considerando, che egli ci sta guardando; e perciò lo procuravano tanto quei Santi, perché questo basta a fare, che uno sia molto ben regolato e molto composto in tutte le sue azioni. Dimmi un poco, qual è quel servo che dinanzi agli occhi del suo padrone non proceda con molta puntualità? ovvero qual servo si trova tanto sfacciato, che alla presenza del padrone non faccia quello che esso gli comanda, o ardisca di offenderlo sotto a’ suoi occhi? ovvero qual sarà quel ladro a cui basti l’animo di rubare, mentre vede, che il Giudice gli sta guardando alle mani? Ci sta guardando Dio, il quale è nostro giudice ed è onnipotente, che può far che la terra s’apra e che l’inferno inghiottisca chiunque lo fa sdegnare contro di sé, e alcune volte l’ha fatto. Or chi ardirà di muoverlo a sdegno? E così S. Agostino diceva: Quando io, Signore, considero attentamente, che mi state sempre guardando e vegliando sopra di me notte e giorno, con tanta cura, come se in cielo e in terra Voi non aveste altra creatura da governare che me solo: quando considero bene, che tutte le mie operazioni, pensieri e desideri, sono patenti e chiari dinanzi a Voi, mi riempio tutto di timore e mi copro di vergogna (c.(D. Aug. c. 14 soliloq.). Certo ci mette in grand’obbligo di viver giustamente e rettamente il considerare, che facciamo tutte le cose dinanzi agli occhi del Giudice che vede il tutto e a cui nessuna cosa si può celare. Se la presenza d’un uomo grave ci fa star composti, che farà la presenza di Dio? S. Girolamo sopra quello che Dio dice di Gerusalemme per mezzo del profeta Ezechiello, Meique oblita es (Ezech. XXII, 13), Ti sei dimenticata di me, dice: Memoria enim Dei excludit cuncta flagitia: La memoria di Dio esclude tutti i peccati. L’istesso dice sant’Ambrogio (D. Ambr. lib. de fide resurr. Tom. 4). E in un altro luogo dice S. Girolamo: Certe quando peccamus, si cogitaremus Deum videre, et esse prœsentem, numquam, quod ei dispiaceret, faceremus (4 (4) D. Hieron. Ìn Ezeeh. 8 circa illud, dicunt enim, non vldebit Dominus nos). È tanto efficace mezzo la memoria di Dio e il camminar alla presenza sua, che se considerassimo, che Dio è presente e che ci sta guardando, non ardiremmo mai di far cosa che gli dispiacesse. Alla peccatrice Taide bastò questo solo per lasciare l a sua mala vita e andarsene all’eremo a far penitenza, come abbiamo detto di sopra (tract. V.). Diceva il santo Giob: Nonne ipse considerai vias meas, et cunctos gressus meos dinumerat ((2) Job XXXI, 4)? Dio mi sta guardando come testimonio di veduta e mi va contando i passi; e chi ardirà mai di peccare né di far cosa malfatta? Per lo contrario tutto il disordine e tutta la ruina dei tristi nasce dal non ricordarsi, che Dio è presente e che gli sta guardando, secondo quello che tante volte replica la Scrittura divina in persona degli uomini cattivi: Et dixisli: Non est, qui videat me (Isa. XLVII, 10) — Non videbit novissima nostra (Jerem. XII, 4). E così lo notò san Girolamo sopra quel capo 22 di Ezechiello, ove il Profeta, riprendendo Gerusalemme di molti suoi vizi e peccati, viene a conchiudere, che la cagione di tutti essi era l’essersi dimenticata di Dio: e questa stessa cagione nota la Scrittura in molti altri luoghi, Siccome un cavallo senza freno si va a precipitare e una nave senza chi la governi si va a perdere; così levato via questo freno, l’uomo se ne va dietro a’ suoi appetiti e alle sue passioni disordinate: Non est Deus in conspectu ejus: inquinata? sunt via? illius in omni tempore (Psal. IX, 20), dice il profeta David: Non tiene Dio dinanzi a’ suoi occhi, non lo considera presente dinanzi a sé; e perciò le vie sue, cioè le sue operazioni, sono macchiate di colpa in ogni tempo. Il rimedio che il beato S. Basilio in molti luoghi dà contra tutte le tentazioni e’ travagli, e contra tutte le cose e occasioni che ci si possono presentare, è la presenza di Dio (p. Basil, in reg. brev. et in reg. fus. disput.). Onde se vuoi un mezzo breve e compendioso per acquistare la perfezione, il quale contenga e rinchiuda in sé la forza e l’efficacia di tutti gli altri mezzi, questo è desso, e per tale lo diede Dio ad Abramo: Ambula coram me, et esto perfectus (Gen. XVII, 1): Cammina alla mia presenza, e sarai perfetto.  – In questo, come in altri luoghi della sacra Scrittura, l’imperativo si piglia pel futuro, per significare l’infallibilità del successo. È cosa tanto certa, che sarai perfetto se andrai sempre riguardando Dio e se starai avvertito ch’egli ti sta guardando; che da quest’ora ti puoi tenere per tale. Perché, siccome le stelle dall’aspetto del sole che hanno presente, e in cui stanno rivolte, traggono lume per risplendere dentro e fuori di sé, e virtù per influire nella terra; così gli uomini giusti i quali sono come stelle nella Chiesa di Dio, dall’aspetto del medesimo Iddio, dal mirarlo presente, e dal volgere il loro pensiero e desiderio a Lui, traggono lume col quale nell’interiore che Dio vede risplendono con vere e sode virtù, e nell’esteriore che veggon gli uomini risplendono con ogni decenza e onestà; e ritraggono virtù e forza per edificare e santificar altri. Non è cosa nel mondo che esprima tanto propriamente la necessità che abbiamo di star sempre alla presenza di Dio, quanto questa. Guarda la dipendenza che ha la luna Dal sole, e la necessità che ha di star sempre rimpetto ad esso. La luna da sé non ha lume; ha solo quello che riceve dal sole, secondo l’aspetto col quale lo guarda; e opera nei corpi inferiori secondo il lume che riceve dal sole: e così i suoi effetti crescono te scemano secondo che ella stessa va crescendo e scemando: e quando si pone dinanzi alla luna qualche cosa che le impedisca l’aspetto e la vista del sole; subito nell’istesso punto si ecclissa e perde la sua luce, e con essa ancora gran parte dell’efficacia d’operare che aveva mediante il lume che riceveva dal sole. L’istesso accade nell’anima rispetto a Dio che è il suo sole. Perciò i Santi ci esortano a questo esercizio. S. Ambrogio e S. Bernardo trattando della continuazione e perseveranza che dee essere in noi intorno ad esso, dicono: Sicut nullum est momentum, quo homo non utatur vel fruatur Dei bonitate et misericordia; sic nullum debet esse momentum, quo eum præsentem non habeat in memoria (D. Ambr. lib. de dlgu. coni. bum. c. 2; D. Bernard, c. 8, medit.): Siccome non v’è punto né momento nel quale l’uomo non goda della bontà e misericordia di Dio; cosi non vi ha da esser punto né momento nel quale non abbia Dio presente nella sua memoria. E in un altro luogo dice S. Bernardo: In omni actu vel cogitatu suo sibi Deum adesse memoretur; et omne tempus, quo de ipso non cogitai, perdidisse se computet (D. Bern. in spec. mon.): In tutte le sue operazioni e in tutti i suoi pensieri ha da procurare il Religioso di ricordarsi, che ha Dio presente: e tutto il tempo che non pensa a Dio ha egli da tenerlo per perduto. Mai non si dimentica Dio di noi altri: sarà ben di ragione che noi altresì procuriamo di non mai dimenticarci di lui. S. Agostino sopra quelle parole del Salmo XXXI, Firmabo super te oculos meos, dice: Non a te auferam oculos meos; quia et tu non aufers a me oculos tuos (D. Aug. in Ps. XXXI, 8): Non leverò, o Signore, gli occhi miei da te; perché tu non levi mai i tuoi da me: sempre li terrò fermi e fissi in te, come faceva il Profeta: Oculi mei semper ad Dominum (Ps. XXIV, 15). S. Gregorio Nazianzeno diceva: Non tam sæpe respirare, quam Dei meminisse débemus (D. Greg. Naz. In I orat. Theol.): Tanto spesso e tanto frequente ha da esser il ricordarci di Dio, quanto il respirare, e anche più. Perché siccome ad ogni momento abbiamo necessità di respirare, per rinfrescare il cuore e per temperare il calor naturale, così abbiamo necessità di ricorrere in ogni momento a Dio coll’orazione, per raffrenare il disordinato ardore della concupiscenza che ci sta stimolando e incitando al peccare.

CAPO II.

In che cosa consiste quest’esercizio di camminar sempre alla presenza di Dio.

Per poter noi cavar maggior frutto da quest’esercizio, bisogna che dichiariamo in che cosa consiste. In due punti consiste, cioè in due atti, l’uno dell’intelletto e l’altro della volontà (Vide sapra tract. 5, c. 7). Il primo atto è dell’intelletto, poiché questo sempre si ricerca e si presuppone per qualsivoglia atto della volontà, siccome insegna la filosofia. La prima cosa dunque ha da essere il considerare coll’intelletto, che Dio è qui e in ogni luogo; che riempie tutto il mondo; e che sta tutto in tutto, e tutto in qualsivoglia parte di esso, e tutto in qualsivoglia creatura, per piccola che sia. Su questo si ha a fare un atto di fede, perché questa è una verità che la Fede ci propone per crederla: Non enim longe est ab unoquoque nostrum. In ipso enim vivirnus, et movemur, et sumus (Ex Act. XVII, 27, 28.), diceva l’apostolo san Paolo. Non avete da immaginarvi Dio come lontano da voi, o come fuori di voi; perché è dentro di voi. S. Agostino dice di se medesimo (D. Aug. lib. 10 Confess. e. 27): Signore, io cercava fuori di me quello ch’aveva dentro di me. Dentro di voi sta Egli. Più presente, più intimo e più intrinseco è Dio in me, che non sono io stesso. In Esso viviamo, ci moviamo, e abbiamo l’essere: Egli è quegli che dà vita a tutto quello che vive; e quegli che dà forza a tutto quello che opera; e quegli che dà l’essere a tutto quello che è. E s’Egli non istesse presente, mantenendo tutte le cose, tutte lascerebbero d’ essere e si ridurrebbero al niente. Considera dunque, che sei tutto pieno di Dio, e circondato da Dio, e che stai come nuotando in Dio. Quelle parole, Pieni sunt cœli et terra gloria tua (Ex Isa. VI, 3. Eccl. in Prœfat. Missæ), sono molto a proposito per questa considerazione: i cieli e la terra, o Signore, sono pieni della vostra gloria. Alcuni per attuarsi meglio in questo esercizio considerano tutto il mondo pieno di Dio, come in fatti Egli è: indi immaginano se stessi in mezzo di questo mare immenso di Dio, circondati da esso per ogni parte, in quel modo che starebbe una spugna in mezzo al mare, tutta inzuppata e piena d’acqua, e oltre di questo circondata d’acqua da tutte le bande. E non è questa cattiva similitudine rispetto al corto nostro intelletto; ma con tutto ciò ella stessa è assai debole e scarsa, e non arriva ad esprimere a sufficienza quel che diciamo; perché questa spugna in mezzo del mare se sale in alto trova fine; se cala al basso trova terra; se va da un canto all’altro trova lido; ma in Dio non troverai niuna di queste cose: Si ascenderò in cœlum,tu illie es : si descendero in infernum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo, et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me, et tenebit me dextera tua (Psal. CXXXVIII, 8, 9, 10): S’io salirò in cielo, ivi sei tu, Signore; e se me ne calerò sino all’inferno, pur Li sei; e se prenderò alI e me ne passerò di là dal mare, colà mi condurrà e mi terrà la tua potente mano. Non vi è fine o termine in Dio, perché è immenso e infinito. Inoltre la spugna, per esser corpo, non può esser totalmente penetrata dall’acqua la quale è un altro corpo; ma noi altri siamo in tutto e per tutto penetrati da Dio il quale è puro spirito. Pur finalmente queste ed altre simili comparazioni, ancorché scarse e manchevoli, aiutano e sono a proposito per farci comprendere in qualche modo l’immensità infinita di Dio, e come Egli è presente e sta intimamente dentro di noi e in tutte le cose. [fondamentale al riguardo è l’opera di B. Froget, l’Inabitazione dello Spirito Santo in noi – ndr.]. E per questo le apporta S. Agostino (D. Aug. ep. 57 ad Dard. et lib. 7 Confessi, e. 5). » Ma è d’avvertire in questo esercizio, che per questa presenza di Dio non fa di bisogno il formarci entro di noi alcuna sensibile immagine o rappresentazione di Dio, a forza di fantasia, figurandoci, che Egli ci stia a lato, o da un’ altra banda determinata, né immaginarselo nella tale o tal altra forma o figura. Vi sono alcuni che s’immaginano di avere avanti di sé, ovvero al lato loro, Gesù Cristo nostro Redentore, che vada, o stia con essi, e gli stia sempre mirando in ciò che fanno: e in questa maniera stanno sempre alla presenza di Dio. Altri di questi s’immaginano Cristo crocifisso, che stia sempre loro dinanzi; altri se l’immaginano legato alla colonna: altri nell’orto in atto di far orazione e di sudar sangue; altri se l’immaginano in qualche altro passo della Passione, o in qualche mistero gaudioso della sua santissima Vita, secondo quello che suole più muovere ciascuno: ovvero per qualche tempo se l’immaginano in una azione e per qualche altro in un’altra. E ancora che questa sia cosa molto buona, se si sa fare; nondimeno, ordinariamente parlando, non è questo quello che più ci conviene e ci è più utile: perché tutte queste figure e immaginazioni di cose corporali straccano, e aggravano, e rompono assai la testa. Un S. Bernardo e un S. Bonaventura dovevano saper far questo d’altra maniera che noi, e vi trovavano gran facilità e quiete; e così se n’entravano in quei buchi delle Piaghe di Cristo e dentro al suo Costato, e quello era il loro ricovero, il loro rifugio e riposo, parendo loro d’udir quelle parole dello Sposo ne’ Cantici (Cant. II, 13,14): Surge, amica mea, speciosa mea, et veni, columba mea, in foraminibus petræ, in caverna maceriæ. Altre volte s’immaginavano il piè della croce piantato e conficcato nel loro cuore, e stavano ricevendo nella loro bocca con grandissima dolcezza quelle gocciole di sangue che stillavano e scorrevano come da aperti fonti dalle Piaghe del Salvatore. – Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Isa. XII, 3). Facevano que’ Santi queste cose molto bene, e se ne stavano benissimo; ma se tu te ne vorrai stare tutto il giorno in queste considerazioni e con questa presenza di Dio, potrà essere, che, per un giorno e per un mese che tu lo faccia, perda tutto l’anno d’orazione; perché ti ci romperai il capo. Ben si vedrà quanta ragione abbiamo d’avvertire questa cosa; poiché anche per formarci la composizione del luogo, che è uno de’ preludi dell’orazione col quale ci facciamo presenti a quello che abbiamo da meditare, immaginandoci, che realmente quella cosa si faccia ed accada allora sotto i nostri occhi, avvertono quei che trattano dell’orazione, che non ha la persona da fissare né attuar molto l’immaginazione nella figura e rappresentazione di questo cose corporali che pensa; acciocché non si rompa la testa, e per guardarsi da altri inconvenienti d’illusioni che potrebbero occorrere. Ora se per un preambolo dell’orazione che si fa in così breve spazio di tempo, e stando uno quieto e posato, senza avere altra cosa che fare, vi bisogna tanta avvertenza e circospezione; che sarà volendosi tutto il giorno, e fra le altre occupazioni, ritenere questa composizione di luogo e queste materiali rappresentazioni? Quella presenza adunque di Dio della quale trattiamo adesso, esclude tutte queste immaginazioni e considerazioni, ed è molto lontana da esse; perché ora trattiamo della presenza di Dio in quanto Dio, il quale dico primieramente che non vi è bisogno di fingerselo presente, ma solamente di crederlo, perché questo è verissimo. Cristo nostro Redentore in quanto uomo sta in cielo e nel santissimo Sacramento dell’Altare; ma non istà in ogni luogo: onde quando c’immaginiamo presente Cristo in quanto uomo, questa è un’immaginazione che noi altri fingiamo; ma in quanto Dio è qui presente, e dentro di me, e in ogni luogo, e riempie ogni cosa; Spiritus Domìni replevit orbem terrarum (Sap. 1, 7). Non abbiamo dunque bisogno di fingere quello che non è; ma di attuarci in credere quello che è. Dico in secondo luogo, che l’umanità di Cristo si può bensì immaginare e figurare coll’immaginazione, perché ha corpo e figura; ma Dio, in quanto Dio, non ci può immaginare né figurare com’Egli è; perché non ha corpo né figura, essendo puro spirito. Né anche un Angelo né la nostra propria anima possiamo immaginarci come sien fatti, perché sono spiriti; quanto meno potremo immaginarci né formarci concetto alcuno del come sia fatto Dio? – In che modo dunque abbiamo noi da considerare Iddio presente? Dico, che solamente col fare un atto di fede, presupponendo, che Dio è qui presente, poiché la Fede ce lo dice, senza voler sapere come né in che modo ciò sia: siccome dice san Paolo che faceva Moisè, il quale invisibilem tamquam videns sustinuit (ad Hebr. 1): Essendo Dio invisibile, egli lo considerava e lo teneva presente come se lo vedesse, senza voler sapere né immaginarsi come Egli fosse fatto: come quando uno sta parlando col suo amico di notte, senza voler cercare com’Egli sia fatto né ricordarsi di questo, gode unicamente e dilettasi della conversazione e presenza dell’amico che sa esser ivi presente. In questa maniera abbiamo noi da considerare Dio presente: ci basti sapere, che il nostro amico è qui presente per godere della sua presenza. Non ti fermare a voler guardare come egli sia fatto, che non ci affronterai, essendo di notte adesso per noi altri: aspetta, che si faccia giorno, e quando apparirà la mattina dell’altra vita, allora egli si manifesterà, e potremo vederlo chiaramente com’Egli è fatto: Curri apparuerit, similes et erìmus; quoniam videbimus eum sicuti est (I. Jo. V.). Per questo Dio apparve a Mosè nella nuvola e nell’oscurità: non vuole, che tu lo vegga; ma solamente che creda, ch’egli è presente. Tutto questo che abbiamo detto appartiene al primo atto dell’intelletto che si ha da presupporre. Ma bisogna avvertire, che la principal parte di questo esercizio non consiste in questo; perché non si ha da occupare solamente l’intelletto, considerando Dio presente; ma s’ha da occupare anche la volontà, desiderando e amando Dio, e unendosi con esso: e in questi atti della volontà consiste principalmente quest’esercizio. Del che tratteremo nel capo seguente.

DELLA PRESENZA DI DIO (2)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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