DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE – 2020 –

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La storia di Tobia che si legge nell’Officio divino a questa epoca, coincide spesso con questa Domenica. Sarà dunque cosa utile, continuare a studiare la Messa in relazione col biblico racconto. Tobia sarebbe vissuto, sembra, sotto il regno di Salmanasar, verso la fine del secolo VIII prima di Cristo, al tempo della deportazione degli Israeliti in Assiria. Come Giobbe, questo santo personaggio, diede prova di costanza e di fedeltà a Dio in mezzo a tutte le sue afflizioni. « Non abbandonò mai la via della verità, distribuendo ogni giorno quanto poteva avere ai fratelli e a quelli della sua nazione, che con lui erano in prigionia e, quantunque egli fosse il più giovane nella tribù di Nephtali, nulla di puerile riscontravasi nei suoi atti ». Il Salmo dell’Introito può essergli applicato, poiché parla di un adolescente che fin dai suoi più teneri anni ha camminato nella legge del Signore. Fino dagli anni della sua fanciullezza, dice la Sacra Scrittura, «Tobia osservava ogni cosa conformemente alla legge di Dio. Sposata una donna della sua tribù, per nome Anna, ne ebbe un figlio cui diede il proprio nome e al quale insegnò fin dall’infanzia a temere Iddio e ad astenersi da ogni peccato. Condotto prigioniero a Ninive, Tobia di tutto cuore si ricordò di Dio, visitando gli altri prigionieri e dando loro buoni consigli, consolandoli e distribuendo a tutti del proprio avere, secondo quello che poteva. Nutriva chi aveva fame, vestiva quelli che erano nudi, e seppelliva con cura quelli che erano morti o che erano stati uccisi». Dio permise che venisse cieco, affinché la sua pazienza servisse di esempio alla posterità come quella del sant’uomo Giobbe. « Avendo sempre temuto il Signore fin dalla sua infanzia ed avendo osservato i suoi comandamenti, non si rattristò contro Dio per essere stato colpito da questa cecità, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni della sua vita ». « Noi siamo figli dei santi, soleva dire, e attendiamo quella vita che Dio deve dare a coloro che non hanno mai cambiato la loro fede verso di Lui ». E poiché sua moglie insultava alla sua disgrazia, Tobia proruppe in gemiti e cominciò a pregare con lagrime (Allel.), dicendo parole che sono identiche a quelle dell’Introito: «Tu sei giusto, Signore, tutti i giudizi tuoi sono equi e tutti i tuoi disegni sono misericordiosi. Ed ora, o Signore, trattami secondo la tua volontà ». E, parlando a suo figlio Tobia, disse: « Figlio mio, abbi sempre in mente Dio tutti i giorni della tua vita, e guardati bene dall’acconsentire ad alcun peccato. Fa elemosina dei tuoi beni e non distogliere il tuo volto dal povero. Sii caritatevole in quel grado che puoi e quello che ti dispiacerebbe fosse fatto a te, guardati bene dal farlo ad altri ». Questo precetto dell’amore di Dio e del prossimo e la sua attuazione sono inculcati dall’Epistola e dal Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta l’anima tua e tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso» (Vang.). «Camminate in umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con carità, sforzandovi di mantenere l’unità di spirito nei vincoli della pace » (Ep.). Tobia mandò suo figlio presso Gabelo a Rages, sotto la guida dell’Arcangelo Raffaele. Per via, l’angelo disse a Tobiolo di prendere un pesce che lo aveva voluto divorare e di serbarne il fegato per scacciare ogni specie di demoni e gli indicò inoltre il mezzo per prendere in moglie Sara, senza che il demonio, che aveva già uccisi i suoi primi sette mariti, potesse fargli del male. « Il demonio, spiegò l’Arcangelo, ha potere su coloro che nel contrar matrimonio bandiscono Dio dal loro cuore e ad altro non pensano se non a soddisfare la loro passione». L’Orazione prega Iddio di dare al suo popolo la grazia di evitare i contatti diabolici, « affinché possa con puro cuore essere unito a te solo che sei il suo Dio ». « Come figli di Dio, noi non possiamo, dissero Tobia e Sara, sposarci come pagani, che non conoscono Dio», e «pregarono insieme istantemente il Signore che ha fatto il cielo e la terra, il mare, le sorgenti ed i fiumi con tutte le creature che contengono ». E Dio « benedisse il loro matrimonio, come aveva benedetto quello dei patriarchi, affinché essi avessero dei figli della stirpe di Abramo » (Graduale). Tobia ritornò con Sara e guarì suo padre dalla cecità e questi allora intonò un cantico di ringraziamento, una specie di Benedictus o di Magnificat, nel quale scoprì le grandiose aspettative messianiche: « Gerusalemme tu castigata per le sue opere malvagie, ma essa brillerà di fulgida luce e si rallegrerà nei secoli dei secoli. Dai lontani paesi verranno verso lei le nazioni, portandole delle offerte e adoreranno in essa il Signore. Maledetti saranno coloro che la disprezzeranno e quelli che la bestemmieranno saranno condannati. Beati, continua egli, coloro che ti amano! lo sarò felice se qualcuno della mia stirpe sopravvivrà per vedere lo splendore di Gerusalemme. Le sue porte saranno di zaffiri e di smeraldi e tutta la cinta delle sue mura sarà di pietre preziose. Tutte le pubbliche piazze saranno lastricate di pietre bianche e pure e nelle strade si canterà: Alleluia. La rovina di Ninive è vicina, poiché la parola di Dio non resta senza effetto ». È questo il « cantico nuovo che troviamo nel Salmo del Graduale « Dio è fedele alla sua parola; Egli dissipa i progetti delle nazioni e rovescia i consigli dei principi. Beato il popolo che Egli ha scelto per suo retaggio. Palesa, o Signore, la tua misericordia su di noi, secondo la speranza che abbiamo posta in te». E il Salmo del Communio aggiunge: « Dio ha infranto tutte le forze nemiche, i re superbi sono stati abbattuti e i loro eserciti distrutti. Offrite dunque sacrifizi di ringraziamento a questo Dio terribile », poiché, continua l’Offertorio, « Egli ha gettato uno sguardo favorevole sul popolo in favore del quale il suo nome è stato invocato ». – Gerusalemme, ove il popolo di Dio regna e ove affluiscono tutte le nazioni per lodare il Signore, è il regno di Dio, è la Gerusalemme celeste. Tutti vi sono chiamati con una comune vocazione a formarvi « un solo corpo », la Santa Chiesa, che è una nuova creazione, dice S. Gregorio Magno, e che è animata da « un solo Spirito, una sola speranza, un solo battesimo e una sola fede in un solo Signore » (Epistola). È Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di David, che il « Dio unico e Padre di tutti gli uomini, ha fatto sedere alla sua destra fino al giorno in cui tutti i suoi nemici, vinti, saranno sgabello ai suoi piedi». Questo Dio sia benedetto nei secoli dei secoli» (Epistola). L’unità della nostra fede, del nostro battesimo e delle nostre speranze, come pure dello Spirito Santo, di Cristo e di Dio Padre, dice S. Paolo, fa a tutti noi un dovere di essere uniti dai vincoli della carità, sopportandoci a vicenda. Il comandamento di Dio di amare il prossimo è simile a quello che ci fa amare Dio, poiché è per amor suo che amiamo il prossimo. « Doppio è il comandamento, dichiara S. Agostino, ma una è la carità ». E per consolidare il suo insegnamento agli occhi dei farisei, Gesù Cristo dà loro, in un testo di David, una prova della sua divinità. Dobbiamo dunque, nella fede e nell’amore, essere uniti a Cristo Gesù. « Interrogato circa il primo comandamento, Gesù rivela il secondo, che non è inferiore al primo, facendo loro comprendere che lo interrogavano soltanto per odio, poiché la carità non è invidiosa » (I Cor. XIII, 4). Egli dimostra inoltre il suo rispetto per la legge ed i profeti. Dopo aver risposto, Cristo interrogò a sua volta, e dimostra che pur essendo figlio di David, ne è il Signore, essendo Egli il Figlio unico del Padre, e li spaventa dicendo che un giorno avrebbe trionfato su tutti coloro che si oppongono al suo regno, poiché Iddio farà dei suoi nemici sgabello ai suoi piedi. Con ciò dimostra la concordia e l’unione che esiste fra Lui e il Padre » (S. Giov. Crisostomo – Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Oratio

Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6
“Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in saecula sæculórum. Amen.”

[“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”]

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,]

LA FAMIGLIA CRISTIANA

L’epistola di quest’oggi è una continuazione di quella della domenica scorsa. L’Apostolo, ricordato agli Efesini che devono vivere in modo consono alla grande dignità di Cristiani, alla quale furono chiamati, scende al particolare, e viene a parlare dell’unione degli animi che deve regnare tra di loro. Essi devono conservare l’unione, perché uno solo è il corpo mistico a cui appartengono, la Chiesa; uno solo è lo spirito che anima questo corpo, lo Spirito Santo; uno solo è il fine per il quale sono stati chiamati, la speranza di trovarsi uniti con Dio in cielo; uno solo è il Signore al quale credono con una stessa fede; uno solo è il Battesimo che li ha fatti entrare nella Chiesa. Vi è un solo Dio. che è il Padre comune. Se, per tutti i motivi addotti, deve regnare una perfetta armonia nella famiglia cristiana, quest’armonia non dev’essere minore nelle singole famiglie, che formano la società. E questa armonia non manca:

1. Se ciascuno adempie i suoi obblighi con spirito di fede,

2. Se c’è pazienza e mansuetudine,

3. Se c’è carità.

1.

Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati. Gli Efesini, come tutti i Cristiani, sono stati chiamati a far parte della grande famiglia di Dio. La grande dignità di questa condizione esige che essi vivano, non più secondo le norme del mondo pagano, ma che vivano santamente, corrispondendo alle grazie ricevute.La grande famiglia cristiana è formata da tante piccole famiglie che richiedono, da coloro che la compongono, l’adempimento di particolari doveri, che dovrebbero essere come il santuario dell’armonia e della pace, e sarebbero tali, se si imitassero le mirabili virtù con le quali Gesù ha consacrato la vita domestica. La condizione di chi è senza famiglia non è rosea. Fa compassione l’orfanello senza la guida e il sostegno dei genitori; muove a pietà il vecchio abbandonato; ci fa pena l’infermo che non ha un congiunto che vegli al suo letto, e lenisca i suoi dolori. Ma non è neppur rosea la condizione di tante famiglie nelle quali invece dell’armonia e della pace, si trova l’inferno. Chi è a capo della famiglia non pensa: sono in questa condizione per volontà di Dio; devo, dunque, diportarmi in maniera degna della mia vocazione, e vedere, quindi, ciò che Dio stabilisce in proposito. — Dio stabilisce, per bocca dell’Apostolo – «Le donne siano soggette ai mariti come al Signore, poiché l’uomo è il capo della donna, come Cristo è il capo della Chiesa, essendo il Salvatore del suo corpo» (Ef. V, 22-23.). Qui è stabilita l’autorità del marito nella famiglia, e gli è posto davanti il modello da imitare nell’esercizio di questa autorità: Gesù Cristo. Egli ha salvato la Chiesa, sacrificandosi per essa, la conserva, l’assiste, la governa. Così il marito è capo della moglie, non per tiranneggiarla o maltrattarla, ma per guidarla, proteggerla, e prestarle quegli aiuti e quell’assistenza di cui potrebbe abbisognare. Il marito non deve considerare la casa come un luogo di gioie, di vantaggi, senza voler portarne i pesi, le amarezze, le disillusioni. – Da Dio son stabiliti anche i privilegi e i doveri della moglie. «Come la Chiesa è soggetta a Cristo, così ancora le donne ai loro mariti in ogni cosa» (Ef. V, 24.). Essa non deve pretendere di dominare, usurpando l’autorità del marito, e molto meno deve pretendere di comandare a lui. La sua libertà è limitata. «Egli ti comanderà», aveva già detto Dio a Eva (Gen. III, 16). Questo però non vuol dire che la moglie debba vivere da serva o da schiava. La sua soggezione al marito è basata sull’amore, sull’esempio della soggezione della Chiesa a Gesù Cristo. Perciò l’Apostolo soggiunge: «I mariti devono amar le mogli come i propri corpi» (Ef. V, 28). – Anche le relazioni tra i figli e i genitori sono stabilite da Dio: «Figliuoli, siate ubbidienti ai vostri genitori nel Signore; perché ciò è giusto. Onora il padre tuo e la madre tua: ecco il primo comandamento della promessa, affinché tu sii felice, e abbia lunga vita sulla terra» (Ef. VI, 1-3). Purtroppo l’ubbidienza ai genitori è generalmente trascurata, e l’onore si confonde, il più delle volte, con una confidenza illimitata, poco dignitosa, che presto diventa padronanza, e cambia le parti nella famiglia. Si preferiscono gli insegnamenti della moda a quelli dello Spirito Santo. – I genitori hanno anch’essi tracciata la norma rispetto ai figli. «E voi, padri, non irritate i vostri figliuoli, ma allevateli nella disciplina e negli ammonimenti del Signore » (Efes. VI, 4). I genitori amino sinceramente i loro figli, non passino la misura nel correggerli, lasciandosi guidare dalla passione, invece che dalla ragione; l’affetto paterno, però, non impedisca di osservare i loro difetti e di correggerli, di avvezzarli all’obbedienza e alla mortificazione, e di allevarli nel timor di Dio. – Prima condizione, dunque, per vivere in pace e armonia nella vita domestica è il regolarsi secondo le norme che Dio ha stabilito per i vari membri della famiglia.

2.

Nella grande famiglia cristiana non ci può essere unione, se domina lo spirito della superbia e dell’ira; perciò l’Apostolo vuole che i Cristiani si diportino con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza. Questo contegno è necessario soprattutto nella vita domestica. I motivi di contrasto si hanno maggiormente con chi ci sta vicino. C’è la diversità di carattere. Per quanto due caratteri si assomiglino, non si accordano mai in tutto; e poi c’è sempre qualche circostanza che può metterli in urto tra di loro. Purtroppo la diversità di carattere è il pretesto più frequente della disunione e della rovina delle famiglie. – Dopo un po’ di tempo cominciano gli screzi, poi vengono i contrasti aperti, poi uno diventa uggioso all’altro. La famiglia non è più un dolce nido, è diventata una casa di punizione. Le conseguenze ciascuno può immaginarle. Quasi sempre però si potrebbero evitare se almeno uno dei coniugi fosse stato educato di buon’ora a vincer se stesso con l’esercizio della pazienza. La Beata Anna Maria Taigi visse col suo sposo, sotto i medesimo tetto, per quarant’anni continui, senza che da una parte o dall’altra ci fossero risentimenti o rimpianti, tanta era l’unione degli spiriti. Eppure si trattava di due caratteri disparatissimi. Lei dolce, soave, composta; lui aspro, rozzo, inquieto, e talvolta anche violento. Ma la Beata non si offese mai di questi modi, né mai la si vide contendere con lui. Egli, come dicevano i vicini, aveva un carattere da cagionare continui incendi, ma la dolcezza e il tatto della santa consorte sapeva evitare l’incendio e mantenere l’armonia nella casa (Mons. Carlo Salotti. La Beata Anna Maria Taigi madre di famiglia. Roma 1924, p. 89-90). Sopportiamo il carattere dei compagni di lavoro, sopportiamo il carattere delle persone con cui si tratta per affari o per ufficio, perché non dobbiamo sopportare il carattere di quei che compongono la nostra famiglia? « Quel dovere che ti obbliga verso gli estranei — dice S. Ambrogio al marito — t’incombe maggiormente verso la moglie, col tollerarne e correggerne la condotta » (Exp. S. Evang. sec. Lucam, L. 8, n. 4). Lo stesso si dica della moglie rispetto al marito. Pazienza vince in tutte le guerre. – Nella vita domestica o un momento o l’altro vengono le ore grigie. Con le lamentele, con le imprecazioni, con lo scoraggiamento non si rimedia. Il rimedio più efficace, l’unico rimedio che il capo famiglia deve adottare è quello di una grande pazienza. Deve in quei momenti ricordarsi in modo speciale delle parole del Salvatore: «imparate da me », e sull’esempio di Lui, che governa la gran famiglia cristiana dalla croce, guidare, rassegnato e da forte, la propria famiglia con grande spirito di sacrificio. – Nel cielo della famiglia può sorgere qualche leggera nuvola. Ma questa nuvola bisogna procurare di fugarla subito. « Il sole — dice S. Paolo — non tramonti sul vostro sdegno» (Ef. IV, 26). E ‘ una scena abbastanza brutta, vedere in una casa, al medesimo desco, gente che non parla, facce che si voltano per non incontrarsi negli sguardi, visi corrucciati e fronti tristi. Non è abbastanza pesante la vita che si conduce fuori di casa, per volerla triste anche tra le pareti domestiche? Non dovrebbe mai tramontare il sole prima che la pace familiare sia riacquistata, primi che i malintesi siano dissipati, prima che le piccole tempeste siano sedate.

3.

Tutti i membri della società cristiana, e, più ancora tutti i membri di una famiglia devono sforzarsi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Questo si ottiene con la carità. «La pace e la carità sono sorelle senza bisogni e senza cure». Quando nella famiglia domina la carità, tutto si appiana. Il marito cerca di provvedere a tutto. Non solo trova ragionevoli i sacrifici che gli si domandano, ma sa indovinare e comprendere anche quelli che non gli si domandano; e, per quanto sta in lui, accontenta e previene. Egli sa apprezzare la parte importante e delicata che in seno alla famiglia compie la moglie, e cerca di alleggerirne i pesi con le sue premure. Quando nella famiglia domina la carità, la moglie non si acciglia se il marito è di malumore, soprappensiero. Il lavoro giornaliero, l’andamento degli affari, le preoccupazioni per la famiglia possono spiegare benissimo questi momenti tristi. Essa conosce la propria missione: addolcire, mitigare, rasserenare. Quando nella famiglia domina la carità, i figli non vengono considerati come un peso; non ci si disinteressa di loro. Si ringrazia Dio che li dona e si trattano come li trattava Gesù quando le madri glieli conducevano perché li benedicesse. Egli li trattava come tesori preziosi. Minacciava chi avesse tentato di scandalizzar questi innocenti i cui Angeli vedono continuamente la faccia del Padre celeste, e che hanno diritto al regno del cielo. E quando i genitori considerano i loro figli come tesori preziosi, loro affidati da Dio,usano tutte le precauzioni per tenerli lontani da tutto quello che potrebbe renderne l’anima meno bella agli occhi dei loro Angeli custodi; li correggono quando prendono cattiva piega. Sarebbe un grave errore credere che il castigo escluda l’amore. È questione di lasciarsi guidare dall’amore e non dall’ira. «Non credere di amar tuo figlio, quando non lo castighi… ; — dice San Agostino — questa non è carità, ma languore» (In Epist. Ioannis Tract. 7, 11). – E quando i figli sono trattati con amore illuminato, non rimangono insensibili. Il ripicco, il puntiglio, la cocciutaggine sono rari: è più facile che traggano profitto dalla correzione, rientrando in se stessi. Se vogliamo che nella famiglia regni veramente, come dovrebbe regnare, l’armonia e la pace, non prendiamo per guida gli insegnamenti della moda, ma il santo timor di Dio: nei contrasti, nelle difficoltà non perdiamo mai la calma, in tutto e sempre siamo animati dalla carità. La nave, quando il mare è in tempesta, procede male anche lontana dagli scogli: nella calma, fila sicura anche tra gli scogli, se chi la guida ha occhio attento e cuor generoso.

Graduale

Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.

[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]

Alleluja

Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja

[Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]
Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46

“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogáre”.

[“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io me etta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.]

Omelia II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la castità

Glorificate, et portate Deum in corpore vestro.

I Cor. VI

Tale è, Fratelli miei, l’istruzione salutevole, che S. Paolo dava ai primi Cristiani loro inspirare l’amor della purità, che loro aveva sì fortemente raccomandata; fuggite, loro diceva quel grande Apostolo, la fornicazione, perché chi la commette pecca contro il suo corpo. Or voi dovete sapere, che i vostri corpi sono i tempi dello Spirito Santo, che dimora in voi; che voi non siete più padroni di voi medesimi, poiché siete stati riscattati ad un gran prezzo: glorificate dunque Dio, e portatelo nel vostro corpo: Glorificate, et portate Deum in corpore vestro. Questa dottrina c’insegna, che il peccato opposto alla santa virtù della purità, è più degno di biasimo in un cristiano, che in tutti gli altri; poiché il Cristiano appartiene a Dio in una maniera particolare; il suo corpo è stato consacrato per mezzo del Battesimo, divenendo il tempio dello Spirito Santo, e deve per conseguenza conservarlo in una purezza irrevocabile, che bandisca da questo tempio mistico tutto ciò, che può oscurarne la bellezza. La purità deve dunque essere la virtù prediletta di un Cristiano; ella è uno dei più belli ornamenti del corpo mistico di Gesù Cristo, che è la Chiesa, ed ogni membro di questo corpo, che è imbrattato del vizio contrario, deve essere riguardato come un membro putrido, ed infetto, che merita di esserne reciso. Con tutto ciò, Fratelli miei, quanto questa virtù è necessaria ad un Cristiano, altrettanto ella è rara a trovare. Questo bel fiore ha perduto il suo splendore in mezzo di un mondo perverso, che sparge la corruzione onde egli è infetto, in tutte quasi le condizioni, che in sé contiene. Donde viene questo male? Perché non si conosce il prezzo della virtù – della castità, né si adoperano i mezzi propri per conservarla. Su di questo mi propongo d’istruirvi in quest’oggi. La castità è una virtù molto preziosa; dobbiamo dunque averne una grande stima; primo punto. La castità è una virtù molto delicata; bisogna dunque usare molta precauzione per conservarla; secondo punto. Perché non posso io in quest’oggi parlare col linguaggio degli Angeli per inspirare l’amore di una virtù, che rende gli uomini simili a quei puri spiriti? Chiediamola per mezzo dell’intercessione della Regina dei Vergini.

I. Punto. Una virtù che viene dal Cielo in terra, che innalza l’uomo al Cielo per la somiglianza, che essa gli dà cogli Angeli, e con Dio medesimo, e per la certezza, in cui lo mette della sua eterna felicità, non merita forse, Fratelli miei, il titolo di virtù preziosa, e degna di tutta la mostra stima? Or tale è la virtù della castità: sì, la castità è la figliuola del Cielo, essa vi ha preso la sua sorgente, e la sua origine. Non eravi altri fuori che Dio medesimo, che potesse insegnare, ed inspirare agli uomini la pratica di una virtù così sublime, e così perfetta. Gli uomini carnali ne erano troppo lontani per potere insegnarla: e per verità, in che guisa l’uomo che il peccato aveva reso affatto sensuale, avrebbe egli potuto pervenire alla perfezione di una virtù, che combatte le inclinazioni della natura? Necessario gli era un soccorso dall’alto, che lo rendesse superiore a se medesimo, che superiore lo rendesse a’ suoi sensi, ed alle sue inclinazioni. Ciò ben conosceva il più saggio tra gli uomini, quando diceva, che la continenza è un dono di Dio, che gli bisognava domandare: Sivi quoniam continens esse non possem, nisi Deus det. Il che ha voluto Gesù Cristo ancora farci intendere, quando ci dice nel suo Vangelo, che non tutti comprendono il merito, ed il pregio della castità, ma solamente quelli cui Dio ha fatto parte di questo dono prezioso: Non omnes capiunt verbum istud, sed quibus datum est. Se l’antichità pagana ha somministrati alcuni esempi di castità, ciò non era nella maggior parte, che una virtù di ostentazione o apparente, che serviva di velo a vizi enormi, o per lo meno che non sarà giammai simile a quella che la perfezione della Religion Cristiana inspira ai suoi discepoli. Si videro mai nella gentilità anime cotanto generose, che facessero a Dio il sacrificio della loro vita in favore di questa virtù? Se ne videro giammai di assai costanti per obbligarsi a conservarla per un sacro vincolo, che dura quanto la vita? No, non è che nel seno della santa Religione che professiamo, che vedere si possono dei cristiani separarsi da ogni commercio col mondo, per questa virtù in tutta la sua perfezione. Si richiede per questo una grazia affatto particolare, e non si può negare, che la castità è veramente un dono del Cielo, ma un dono sì prezioso, che nulla si ritrova nel mondo, che agguagli il suo prezzo. L’oro, e le ricchezze perdono tutto il loro splendore, se si paragonano alla bellezza di questa virtù. Ma la castità viene dal Cielo; il Figliuolo di Dio, che il suo amore ha spinto a scender dal Cielo, ci ha lasciato un mirabile esempio della stima, che ha per questa virtù. Dio, infatti, avendo risoluto, per riscattare l’uomo, di prendere una natura simile alla sua, scelse una Vergine per sua madre. Quindi aveva Egli predetto per uno de’ suoi Profeti, che una Vergine concepirebbe, e partorirebbe un figliuolo, che si chiamerebbe Emanuello, cioè, Dio con noi: Ecce Virgo concipiet, et pariet Filium, et vocabityr nomen ejus Emmanuel. Tutt’altro concepimento, che quello di una Vergine, non avrebbe punto convenuto al Dio d’ ogni purità, egli avrebbe in qualche modo oscurato lo splendore della sua santità, dice S. Bernardo. Siccome il Figliuolo di Dio era generato fin dall’eternità da un Padre vergine; così doveva in qualità di uomo essere generato da una madre vergine, e siccome una vergine, aggiunge S. Bernardo, non poteva avere altro figliuolo, che un Dio, così Dio non poteva avere altra madre, che una vergine. Ma quale fu questa creatura privilegiata, su cui il Signore gettò gli occhi per innalzarla ad una sì alta qualità? Fu l’incomparabile Maria, che prevenuta sin dall’istante del suo concepimento, dalle grazie le più abbondanti del suo Dio, vi corrispose con tanta fedeltà, che dai suoi più teneri anni ella si consacrò interamente allo Sposo delle vergini col sacrifizio che gli fece del suo corpo, e della sua anima: sacrifizio che essa rinnovò nel tempio del Signore, allorché vi fu presentata da suoi genitori. Sacrifizio il più santo, ed il più perfetto, che Dio avesse sino allora ricevuto sopra i suoi altari, ma sacrifizio che Maria sostenne con una fedeltà inviolabile nel conservare la sua purità, ed evitare tutto ciò, che avrebbe potuto oscurarne lo splendore. Ella stimava cotanto questa virtù, che sebbene grande fosse per essa la gloria della divina maternità, avrebbe piuttosto rinunciato a questa eminente dignità, se non avesse potuto esservi innalzata, che cessando di esser vergine: Quomodo fiet istud, quoniam virum non cognosco? Rassicuratevi, Vergine santa; lo Spirito Santo, che vi ha scelta per sua sposa, opererà in voi questo grande mistero: si è per la virtù dell’Altissimo, che voi concepirete questo Figliuolo adorabile, il quale deve essere il Salvatore del mondo Spiritus Sanctus superveniet in te, et virtus Altissimi obumbrabit tibi. A queste condizioni Maria si sottomette ai voleri del suo Dio, e conserva lo splendore della sua verginità con la gloria della fecondità: si è dunque per la sua inviolabile purezza, che Maria ha meritato di divenire il Santuario della Divinità, e che si è veduta onorata della più alta dignità, ove una pura creatura possa essere innalzata: qual forte motivo di stimare una virtù, che innalza an cora l’uomo al Cielo per la rassomiglianza, che gli dà cogli Angeli, e con Dio medesimo? No, Fratelli miei, le anime caste non appartengono più alla terra; questa virtù le innalza sino nei Cieli, dice S. Ambrogio: fæc nubes, aéraque trascendit. E come questo? Perché facendole trionfare delle debolezze umane, ed allontanandole dai piaceri sensuali, ella le rende superiori alla nostra corrotta natura, e coi suoi sentimenti, e desiderj un’anima casta vive della vita mede sima degli Angeli: il che Gesù Cristo c’insegna nel suo Vangelo, allorché parlando dello stato d’incorruttibilità, in cui saremo nel giorno della risurrezione, egli aggiunge che noi saremo simili a quei felici spiriti: Sicut Angeli, cui nubent, neque nubentur. Poiché, notate la ragione, che ne dà il Salvatore, poiché non evvi più allora società coniugale; donde ne segue, che la castità, la quale ci libera dai legami del matrimonio, rappresenta in questo luogo di miseria, e di esilio, il felice stato, in cui saremo nella gloriosa immortalità, con questa differenza ancora, che gli Angeli della terra hanno per virtù ciò che gli Angeli del Cielo hanno per natura; nel che, dice il Crisostomo, purità degli uomini, benché inferiore a quella degli Angeli, la sorpassa tuttavia in merito. Gli Angeli, non essendo composti di carne, e di sangue, non hanno passioni a combattere per conservare il tesoro della castità; gli Angeli non conversando con gli uomini non sono esposti agli scogli, che convien evitare; ma noi siamo attorniati da pericoli, ove la castità è incessantemente esposta; noi abbiamo nemici a combattere, passioni a superare, una violenza continua a farci per non perdere questa preziosa virtù; e se noi la conserviamo, siccome essa ci rende simili agli Angeli, così ci dà ancora un carattere di rassomiglianza con Dio. – Sì, Fratelli miei, le anime caste, dice S. Cipriano, sono le vive immagini di Dio sopra la terra, perché più un’anima è staccata dal suo corpo, più si unisce a Dio; e siccome Dio è tutto spirito, chi si unisce a Lui, diventa un medesimo spirito con Lui, dice l’Apostolo: Qui adhæret Deo, unus spiritus est. E per un felice contraccambio, Dio si unisce altresì all’anima casta, la riguarda come sua sposa diletta, ne fa l’oggetto delle sue compiacenze, si compiace di abitare in essa come in un luogo di delizie: Qui pascitur inter illa. Quindi quella ferma certezza, che la castità dà ad un’anima della sua eterna felicità. Io non ho bisogno d’altra prova della verità che avanzo, che le promesse, le quali Gesù Cristo ha fatte nel suo Vangelo alla purezza del cuore, Beati, dice egli, coloro che hanno il cuor puro, perché essi vedranno Dio: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt. Or la castità, è inseparabile dalla purezza del cuore. Si è ai Vergini, dice S. Giovanni, che è riserbato il vantaggio di seguire dappertutto l’Agnello nel soggiorno della gloria: Virgines sequuntur Agnum quocumque ierit. Da queste testimonianze sì consolanti, che possiamo noi, e che dobbiamo conchiudere? Che la castità è un segno di predestinazione, poiché i vergini avranno nel Cielo dei posti, e delle corone distinte, anche al disopra degli altri predestinati. – Se noi vogliamo esaminare più da vicino, perché la castità è uno dei più sodi fondamenti di nostra speranza alla felicità eterna, si è, che essa ci attira dalla parte di Dio grazie particolari e di elezione, che decidono di nostra predestinazione, e che le anime caste sono ordinariamente più fedeli a corrispondere a queste grazie. Infatti, se la castità dà ad un’anima un carattere di rassomiglianza con Dio, che la riguarda come sua sposa diletta, e se l’amicizia regna ordinariamente tra i simili, si può forse dubitare, che l’anima casta non possegga l’amicizia del suo Dio? Qui diligit cordis munditiam, habebit amicum regem. E se l’amor divino non è mai sterile, possiamo noi dubitare che Dio non si comunichi ad un’anima casta con una infusione di grazie, e di favori, come supporre si devono tra uno sposo benefico, ed una sposa diletta? Quindi quei vivi lumi, che egli sparge nel suo spirito per rischiararla, quell’intelligenza che le dà dei misteri della religione i più occulti, come la ricevette il diletto discepolo S. Giovanni, il quale meritò per la sua purità di riposare sul cuore del suo divin Maestro, e di trarne cognizioni che l’innalzarono come un’aquila nel seno della Divinità; siccome essa è più suscettibile, che le altre di questi divini influssi, Egli rianima la sua fede, le fa conoscere la bellezza della virtù, la magnificenza delle ricompense che le promette: quindi ancora quei buoni movimenti, che la portano al bere quella devozione tenera, quella facilità, che essa ritrova nel servigio del Signore; e siccome le anime pure apportano dal canto loro una grande fedeltà alla grazia, si è ciò che perfeziona e consuma l’opera della loro santificazione. Ed in vero, datemi un’anima casta; io vi dirò, dopo S. Basilio, che essa è nella disposizione la più felice per la santità, e la perfezione. Ella è un’anima dotata di tutte le virtù cristiane, o per lo meno cui la pratica ne è facile: e come ciò? si è, che per essere casta, bisogna farsi grandi violenze; e tosto che si è riportata questa vittoria, il restante nulla quasi costa. Un’anima che signoreggia con tanto d’impero sopra un corpo sensuale, supera facilmente tutti gli ostacoli, che essa incontra nella via della santità. Qual sacrificio le resta più difficile a fare di quello che essa ha fatto per arrivarvi? Qual nimico più formidabile di quello che essa ha incatenato consacrandosi al suo Dio, come una vittima pura, e senza macchia? Forse il demonio con le sue tentazioni? Ma esse non sono ordinariamente a temere, se non perché l’angelo delle tenebre è d’intelligenza col nimico domestico farci cadere nelle insidie: ora da che la carne, che è questo nemico domestico, è ridotta in ischiavitù, il demonio vede mancare i suoi disegni. Sarebbe forse il mondo coi suoi beni, e i suoi piaceri? Ma questa lusinga perde tutta la sua forza contro un’anima casta, e pura, che la castità ha sciolta dai piaceri sensuali, perché essa non vi rimira che un rischio necessario di farvi un tristo naufragio; e siccome l’amore delle ricchezze e degli onori è una conseguenza ordinaria dell’amor del piacere, perché si trova in questa mescolanza di che contentare le sue passioni; tosto che si dispregiano i piaceri del mondo, si fa altresì poco caso dei suoi falsi beni, si riguardano con l’Apostolo come fango, indegni di legare un cuore che si è dato a Dio: la castità riporta dunque la vittoria su tutte le tentazioni, e sopra tutte le passioni. – Ella è la compagna di tutte le virtù, poiché bisogna possederle tutte per arrivare a queste; bisogna esser umile, mortificato, dispregiare tutti gli oggetti sensibili, innalzarsi sopra di se medesimo, spogliarsi dell’amor proprio, crocifiggersi incessantemente; non è forse la perfezione del Vangelo, e la via della santità, che Gesù Cristo ci ha rappresentata in essa? Quindi vediamo, che coloro, i quali sono veramente casti, sono i Cristiani i più perfetti; essi sono riserbati nelle loro parole, modesti nel loro procedere, sobri nelle loro mense, rispettosi nei luoghi santi, esemplari in tutta la loro condotta: essi somigliano, dice S. Agostino, ai gigli, che s’innalzano verso il Cielo, e che spargono all’intorno di essi un soave odore; la sola presenza ispira, dell’amore per la virtù. Né è cosa difficile a comprendere, come la castità è una via sicura per giungere alla santità la più consumata, principalmente per le anime, che fanno una professione particolare della verginità. Tosto che un’anima ha scelto Gesù Cristo per suo sposo, ella è libera da un’infinità di oggetti che allontanano dalla via della perfezione: unicamente attenta a piacere a questo divino sposo, essa è esente, come dice l’Apostolo, da tutte le cure, da tutti gli imbarazzi, in cui si trovano le persone; che hanno il loro cuore diviso con alcuni altri oggetti: Virgo cogitat quae Domini sunt, ut sit sancta corpore, et spiritu. Essa non pensa, che ad unirsi a Dio con una vita più perfetta; l’amor divino trova più di sito in un cuore che non è diviso: questo cuore ne è tutto penetrato, tutto in fiammato, e possiede in questo amore il pegno sicuro di sua predestinazione. – Egli è vero che la castità, di cui parla qui l’Apostolo sotto il nome di verginità non è virtù di tutti gli stati; non è dato a tutti di menare un genere di vita così perfetto come quello delle persone che si consacrano a Dio col celibato o nella religione o nel mondo. Ma v’è una castità comune che conviene, e che è necessaria in tutti gli stati: vale a dire che, in qualunque genere di vita sia uno impegnato, si deve evitare tutto ciò che è capace di appannare questo bel fiore; la castità impone ancora alcuni obblighi a coloro che sono impegnati nel vincolo matrimoniale, come a quelli che non vi sono. Io non prendo qui a spiegare questi obblighi; mi contento di dire in generale che ogni Cristiano, in qualunque stato egli sta, deve stimare la castità come una virtù che fa uno dei più begli ornamenti della Religione cristiana; che ogni Cristiano essendo divenuto, per via del Battesimo, membro di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo, deve avere un grande rispetto per sé medesimo, e non profanare questo tempio con macchie che ne oscurerebbero la bellezza; che per sbandire dal suo spirito e dal suo cuore ogni oggetto straniero, ogni inclinazione sregolata ed ogni pensiero contrario alla santa virtù della purità. Se qualcheduno, dice l’Apostolo, ha la temerità di profanare il tempio del Signore, sappia che Dio lo sterminerà e lo manderà in perdizione: Si quis violaverit templum Dei, disperdet illum Deus. Per preservarsi da questa disgrazia,qual precauzione convien prendere? Voi lo vedrete nella seconda parte di questo discorso.

II. Punto. Bisogna confessarlo, fratelli m 06iei, se la castità è preziosa e stimabile, ella è molto difficile a conservare e molto facile a perdere; non v’è virtù alcuna che sia così esposta ai pericoli. Tutto ciò che è al di’ fuori e al di dentro di noi ci mette in un rischio quasi continuo di perderla. Al di fuori, quanti oggetti non trova essa che con le loro lusinghe ed attrattive le portano colpi tanto più funesti, quanto che essa se ne accorge meno. Ella è circondata ed assalita da ogni parte da nemici, cui i sensi danno l’entrata nel nostro cuore. Qui è una Gezabele che si presenta per attirarsi gli sguardi di Jeu, la quale adopera nelle sue vestimenta, nel suo sembiante tutti gli artifici capaci di portare la contagione nel suo cuore. Basta uno sguardo per dare a questa virtù un colpo mortale; la vista di certi oggetti fa talvolta sul cuore sì vive impressioni che è difficilissimo di cancellarle. Sono parole oscene, canzoni lascive, che si odono nelle compagnie ove taluno si trova, e dove, oimè! La castità troppo sovente riceve assalti mortali. – A qual rischio questa virtù non è ella ancora esposta in quelle amicizie che si formano tra persone di diverso sesso? In quelle visite premeditate, con cui, sotto pretesto di un’amicizia sensibile, innocente, si mantiene un fuoco nascosto che non è men vivo, e che si manifesta spesso per via di certe libertà che si prendono, di cui non si suole aver troppo scrupolo, perché si riguardano come segni di amicizia, ma che avanti a Dio sono libertà colpevoli che conducono finalmente ai più gravi disordini. Queste mutue inclinazioni cominceranno da sentimenti di stima che ha l’uno per l’altro, fondati sul merito, sulle buone qualità personali; ma insensibilmente vi entrano ora la passione, i sensi vi prendono la loro parte, il cuore ne rimane soggiogato; e dopo aver cominciato per lo spirito, come dice l’Apostolo, si finisce vergognosamente per la carne. Egli è vero che l’onestà e la convenienza, di cui le persone ben educate seguono le regole, le ritengono ancora nei limiti di un certo dovere. Ma non è men vero che nelle conversazioni frequenti, nelle assiduità continuate, la purità resta ordinariamente infetta dal soffio del serpente infernale; che non se ne esce giammai così puri, come quando vi si è entrato. Questi trattenimenti passansi forse senza sguardi di compiacenza, senza qualche protesta di amicizia? Or qual impressione non fanno su di un cuore già portato al male quegli sguardi, quelle parole, quelle proteste, quei modi piacevoli, quell’umor dilettevole di una persona che ha avuta l’arte di piacere? Non ne è forse egli continuamente occupato quando la lascia, e non sospira dopo forse il momento di rivederla? Or da che il cuore è così schiavo di un amor profano, la castità vi può ella sussistere? Ah! che si estingue del tutto! Invano dirassi che si resiste agli assalti del nemico, rinunciando alle idee e alle impressioni che ricevute si sono da tal sorta di compagnie; ma non è forse sempre mettere la castità a critiche prove l’esporla ad un’aria infetta? Si può forse ignorare infatti che è molto difficile resistere a tutte le lusinghe che presenta l’occasione, e non lasciarsi andare ad una certa sensibilità che strascina il cuore? E non si sa forse che i pensieri contrari alla purità, benché disapprovati e rigettati, sono volontari nella causa che li fa nascere? il che basta per offendere la delicatezza di questa virtù. – Egli è dunque vero che la castità è una virtù molto delicata e molto difficile a conservare per il gran numero di nemici che l’attaccano al di fuori. Ma quand’anche nessun oggetto esteriore le portasse dei colpi, noi abbiamo dentro di noi medesimi il principio e la cagione della sua rovina; noi portiamo questo tesoro in vasi fragili, pronti ad ogni momento a rompersi. Noi sentiamo nei nostri membri una legge funesta che combatte contro quella dello spirito, e di cui può la virtù più soda e più severa con grande stento trionfare. Testimonio l’apostolo s. Paolo, che se ne lamentava egli medesimo, e che, malgrado le austerità con cui affliggeva il suo corpo; aveva ancora bisogno della grazia per rispingere gli assalti dello spirito impuro; testimoni i Girolami, i Bernardi, i Benedetti, i quali si percuotevano aspramente, si ravvolgevano nelle spine, si gettavano in stagni gelati per smorzare il fuoco nascente della concupiscenza. Or se i santi hanno sostenuto questi umilianti assalti, sì lontani com’erano dalle occasioni, estenuati dai rigori della penitenza; se han gemuto sì lungo tempo sopra la dolorosa necessità in cui erano di risentire gli stimoli della carne, come assicurarci della vittoria in mezzo delle occasioni da cui siamo circondati, con una vita molle e sensuale di cui siamo schiavi? Oimè! basta un soffio per oscurare la bellezza di questo specchio; un solo pensiero che le sia contrario, porta ad essa un colpo mortale, tostoché volontariamente vi ci fermiamo; le altre virtù non sono sempre in pericolo di perdersi, ma la castità corre rischio in ogni tempo, la notte come il giorno, nei luoghi sacri come nei profani; la solitudine medesima non la mette al sicuro dagli assalti del suo nemico; dappertutto con noi la portiamo in una carne ribelle alla legge di Dio. Vi sono virtù che possono e che debbono comparire in pubblico per l’edificazione del prossimo; ma la castità non vi comparisce quasi mai che a suo danno: egli è così difficile, dice il Crisostomo, il conservarla in un mondo corrotto, come il camminare su carboni accesi senza essere bruciato, sopra punte di spade senza rimanerne ferito. – Ma da tutto questo che cosa bisogna conchiudere? Dobbiamo noi ricercarla questa virtù o perderci di coraggio per abbandonarci all’inclinazione di una natura corrotta che ci porta a quel che può appagarla? A Dio non piaccia, ripiglia il Crisostomo parlando al suo popolo, a Dio non piaccia, che voi seguitiate le massime perniciose di quegli impuri, di quegli uomini voluttuosi, che, facendosi una necessità del vizio, si sforzano di distruggere la virtù, e falsamente persuasi che né l’uno né l’altra non è libera, si abbandonano alle loro passioni. Se lo sregolamento non dipendesse dalla libertà, perché, dice il medesimo dottore, Gesù Cristo nel suo Vangelo farebbe tanti elogi alla virginità, e proporrebbe come un mezzo salutevole l’esempio di coloro che ne seguono la pratica? Se fosse impossibile custodire la castità; e che il vizio contrario non fosse in nostro arbitrio, Dio infinitamente giusto, potrebbe Egli condannare a pene eterne i fornicatori, gl’impudichi per avere commessi delitti che non potevano evitare? Ciò non si può dire senza bestemmia; Iddio nulla comanda d’impossibile, né può punir l’uomo che per l’uso malvagio che egli fa della sua libertà. Ma giacché questa virtù è così delicata, bisogna anche conchiudere che noi dobbiamo usare molte precauzioni per conservarla. Quali sono queste precauzioni? Quali sono questi mezzi? Io li riduco a tre principali, che sono la fuga delle occasioni, la mortificazione dei sensi e l’orazione. Infatti, fratelli miei, per conservare la castità, bisogna tenerla lontana dai colpi dei suoi nemici e munirla di ripari che la difendano. Or la fuga delle occasioni ci fa trionfare dei nemici esterni; la mortificazione e l’orazione ci rassicurano contro quelli che sono dentro di noi. Se vi sono virtù che attaccano il nemico di fronte, come la forza e lo zelo, ve ne sono ancora che non possono vincere che con la fuga, come la castità; non è che nella fuga che essa trova la sua sicurezza: Fuge, et vicisti. Ed invero, se i nemici di questa virtù sono già sì formidabili nel tempo ancora che non li cerchiamo, e che si presentano a noi, che sarà poi quando si avrà la temerità di eccitarli alla battaglia? Esporsi nelle occasioni pericolose alla purità gli è un essere di già mezzo vinti, un andar d’intelligenza col nemico, un capitolare con lui per consegnargli la piazza. Da che si ama l’occasione del peccato, si ha dell’affetto per l’oggetto di sua passione, e tosto che l’oggetto è presente, qual impressione non fa egli sopra di un cuore già dalla sua inclinazione strascinato? Oimè! i più grandi santi avevano molta pena a difendersi dai colpi di questo nemico nel tempo medesimo che lo fuggivano, e che per evitarlo si rintanavano nelle solitudini. Come dunque resistergli allora quando ce ne avvicineremo con passioni vive e sempre pronte ad infiammarsi? Oimè! una funesta esperienza della maggior parte degli uomini pur troppo ne chiarisce che non dobbiamo aspettarci se non una vergognosa sconfitta. Bisogna dunque, fratelli miei, se volete vincere in questo genere di combattimento, allontanarvi da tutto ciò che è capace di pervertirvi, come sono gli spettacoli, le danze, le compagnie pericolose, la lettura di cattivi libri, le amicizie, gl’intrattenimenti con persone di diverso sesso; in una parola da tutti gli oggetti capaci di dare assalto alla castità. – Io so, e debbo dirlo per consolazione delle anime che amano Dio, io so che malgrado tutte le precauzioni che prender si possono, egli è molto difficile vivere nel mondo senza trovarvi oggetti pericolosi, che non è possibile di evitare tutti gli assalti dei nemici. Come dice l’Apostolo, non tutti possono prendere il partito del ritiro per fuggire i pericoli; vi sono certe compagnie oneste cui non siamo obbligati di rinunciare, da che la virtù non vi è esposta a far naufragio. Ma quel che è a tutti necessario si è di evitare le occasioni prossime, cioè quelle che di loro natura sono capaci di far cadere nel peccato, o che non essendo tali di loro natura, lo sono per rapporto alla malvagia disposizione delle persone che vi si espongono, e che provano colla esperienza la loro debolezza a resistervi. Quel che è necessario a coloro che sono impegnati in certe amicizie sensibili, benché le credano innocenti, si è di rompere queste amicizie tostochè esse tendono alla rovina della castità; e quand’anche non andassero fin là e nulla anche avessero di colpevole, cessano di essere innocenti per questo appunto che cagionano dello scandalo. Quel che è finalmente a tutti necessario nelle occasioni anche remote ed indifferenti, ove la castità nulladimeno può soffrire alcuni assalti, si è, per preservarsi dal rischio di perderla, di mortificare i suoi sensi, che sono come le porte per dove la morte entra nella nostr’anima. Imperciocché, fratelli miei, è egli forse meraviglia vedere il nimico padrone di una piazza non solo aperta al suo passaggio, ma in cui si è procurata una segreta intelligenza? Noi abbiamo dentro di noi medesimi un nimico domestico, che è la nostra carne, una natura corrotta che ci porta verso gli oggetti sensibili; egli è dunque necessario domare questo nemico, indurre questa carne in schiavitù, mortificare i suoi sensi con l’interdire loro tutto ciò che può soddisfarli in pregiudizio della legge di Dio. Bisogna soprattutto chiuder gli occhi agli oggetti pericolosi: mentre questi è di tutti sensi il più difficile a contenere, è quello che più presto ci scappa, e che trova più facilmente il suo oggetto che tutti gli altri. Facciamo dunque, come Giobbe, un patto con i nostri occhi, per non fissarli giammai sopra oggetti capaci di far su di noi qualche malvagia impressione: Pepigi factum cum oculis meis, ne cogitarem de virgine. Chiudiamo le nostre orecchie alle canzoni profane, ai discorsi osceni, alle conversazioni troppo libere; mortifichiamo il nostro gusto, e che la temperanza ci allontani dagli eccessi e dalla delicatezza dei cibi capaci di eccitare in noi il fuoco delle passioni. La castità è un fiore attorniato da spine e che non si trova punto nelle dolcezze di una vita molle e sensuale. La modestia, che è una conseguenza della mortificazione, serve ancora di difesa alla castità. Questa virtù contiene non solamente tutti i nostri sensi nei limiti del dovere, ma regola ancora tutto il nostro esteriore, e nelle vestimenti e nei modi che dobbiamo avere col prossimo essa ignora quegli ornamenti mondani, quelle arie scherzevoli e troppo libere che sono nello stesso tempo i segni di un cuore poco casto e portano la contagione nel cuore altrui. – Ma siccome tutta la nostra forza vien da Dio, a Lui bisogna indirizzarsi per assicurarci dalla vittoria; la continenza è un dono di Dio, dice il Savio, e non l’accorda, che a coloro che gliela domandano: Scivi quoniam continens esse non possem, nisi Deus det. Infatti, se la grazia è necessaria per lavorare ad imperar la salute, essa deve esserlo principalmente nelle occasioni in cui, per acquistare e conservare la virtù, noi abbiamo grandi ostacoli a superare; or la castità è delle virtù la più preziosa e la più difficile a conservare: andiamo dunque spesso ai piedi degli altari ad indirizzare a Dio le preghiere del santo re Davide: noi abbiamo bisogno del soccorso della grazia, che conviene chiedere a Dio con ferventi preghiere, all’esempio del re Profeta: datemi, o Signore, un cuor puro e staccato da ogni oggetto sensibile per non attaccarlo che a Voi solo: Cor mundum crea etc. Ricorriamo ancora a questo fine alla Regina dei vergini, indirizzandole ogni giorno alcune preghiere per ottenere questa grazia: accostiamoci sovente ai sacramenti, che ne sono la sorgente: La penitenza ci servirà di rimedio contro il veleno della libidine, e la santa Eucaristia, unendoci alla carne verginale di Gesù Cristo, ci conserverà in una inviolabile purezza. Inebriati di quel vino che fa germogliare le vergini, noi diverremmo inaccessibili ai colpi del nostro nemico. Felici sono coloro che avranno il cuor puro, dice Gesù Cristo, perché vedranno Dio nel soggiorno della sua gloria: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt. Così sia.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Dan IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.

[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta

Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúris.

[Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.

[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio

Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.

[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (128)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

(Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884)

PARTE SECONDA

CAPO VII.

Si segue a difendere dalle imposture degli eretici i miracoli della Chiesa, con dimostrare come questi ancor le abbisognino.

I. Quei medici che non badano nelle cure se non ad un solo indizio, quanto son facili a formare i loro pronostici, tanto sono anche facili a dare in fallo. Mirate se non accade l’istesso de’ novatori! Dicono che essendo la fede propagata già quanto basta per l’universo, l’asserir più miracoli è vanità, come quei che non abbisognano: piuttosto doversi dire che dai primi secoli in qua sia nella Chiesa già seccata la vena delle meraviglie promesse, o almeno sia stentata e poco vegnente.

II. Ma primieramente, chi ha detto ai novatori, che Dio nella Chiesa, non operi, se non ciò che è di precisa necessità? Non ci ha la bontà divina provveduti con tale ridondanza di beni nell’ordine di natura, che poté dirsi aver lei pensato fino a tenerci in delizie? E perché dunque sarà poi stata sì scarsa nell’ordine della grazia? Questo è con un filo di pochi palmi, cioè colla miseria propria dell’uomo, volere scandagliare quel pelago della beneficenza divina che non ha fondo. Ma ove anche si volesse stare a un tal filo, non è nemmeno vero che i miracoli non siano necessari a’ dì nostri; anzi sono per molti capi (Dato, e non concesso, che i miracoli non tornino più necessari a’ dì nostri, ma che pure siano stati da Cristo compiuti a’ tempi suoi in argomento della divinità di sua religione, rimarrebbe purtuttavia in pie la tesi sostenuta dal nostro autore , che cioè la religione cristiana è l’unica vera e divina fra tutte le note).

III. Sono di necessità per la conversione di nuove genti alla fede, come è avvenuto-nelle Indie, dove un sol Francesco Saverio ne operò tanti, perché erano necessari a domar l’orgoglio di popoli sprezzatori di tutto ciò che non era frutto natio delle loro terre.

IV. Sono altresì di necessità fra i Cristiani, perché non cessando i lupi di vestirsi da agnelli per ingannare, debbesi anche alla religione cattolica questo nobile privilegio delle opere prodigiose, per discernere meglio la Chiesa, sposa di Cristo, da quelle sette, che Egli non ammette per sue.

V. Sono di necessità, affinché Dio mostri a tutto il genere umano la sua speciale assistenza sugli affari di noi mortali. Conciossiachè se scorressero molti secoli senza alcuna opera superiore a tutte le forze della natura, si condurrebbero gli uomini di leggieri a persuadersi che tutto avvenisse per impulso della natura medesima: sicché le cose umane andasser da sè, come un oriuolo una volta carico; né avessero altro moderatore distinto dal proprio peso.

VI. Sono di necessità a stabilire noi fedeli in più altre nostre credenze particolari, e a farci aderire immobili a quella pietra, contra cui tanti sono del continuo que’ flutti che si sollevano. Onde se sant’Agostino diceva che a detta pietra stava legato il suo naviglio coi canapi dei miracoli: Teneri se in ecclesia vinculis mìraculorum (S. Aug. 1. de util. cred. c. 17. et contra ep. fund. c. 4); chi non sa che quanto più sono i canapi, tanto tengono ancora più forte il burchio?

VII. Sono, di necessità a glorificare i santi, amici di Dio, che fu sempre vago di onorare in vita ed in morte con eccessi proporzionati alla magnificenza del suo potere (V. Alph. A Castr. V. Miracul.). Ond’è che non solo vuol fare dei miracoli in grazia d’essi, ma vuole che sian essi quei che li fanno a dispetto di chi non può sopportare un linguaggio tale, non avvertendo che tal fu il linguaggio di Cristo: Qui credit in me, opera, quæ ego facio, et ipse faciet. et maiora horum faciet (Io. XIV. 12): dove quantunque tutti al certo i miracoli da lui vengano, non dubitò dirli opere de’ suoi servi.

VIII. E finalmente sono di necessità, secondo la soavità della provvidenza, perché gli uomini, allettati da’ benefizi temporali, sperino con più fiducia gli eterni, e per gratitudine esercitino vari atti di pietà verso Dio (risvegliati dal loro sonno a forza di una luce viva e veemente, che dia loro su gli occhi fuor dell’usato), e gli esercitino verso ì santi, sì cari al cielo.

IX. Ben è vero che se alla Chiesa convenne un corso di prodigi continuo, non convenne però che questi l’allagassero sempre ad eguale altezza. Così nel principio della legge mosaica fu stabilita la sua prima credenza con moltissime meraviglie, che veramente non ristettero mai, ma seguirono in minor copia, finché si inaridirono totalmente dopo il ripudio che Dio finalmente fé della sinagoga, micidiale a Lui tanto barbara, non più de’ soli servi, ma del Figliuolo. Anche tra gli uomini noi veggiamo che non si rinnovano ad ogni tratto tutti quegli apparati i quali si adoperarono nelle nozze della reina, mentre a riconoscerla nel decorso per vera sposa del re basta la solennità che allor procedette, ed il corteggio che l’accompagna tuttora benché men grande. Parimente la vera Chiesa, sposa di Cristo, fu da principio messa in trono al cospetto dell’universo, con pompa non più veduta: ma questa pompa si è ita scemando assai ne’ seguenti secoli, mercecchè a sì degna sposa basta ora un accompagnamento più positivo a formar la corte.

X. E questa medesima è la ragione, per cui nella conversione del nuovo mondo, benché i miracoli non sieno mancati mai, non sieno però stati universalmente sì numerosi, come furono nei primi propagatori dell’Evangelio. La ragione è, perché gli antichi prodigi bastevolmente anche durano nella memoria de’ predicatori presenti, e nella conversione del mondo antico; il quale in luogo dì miracolosa patente spedisce al nuovo uomini di somma pietà, di somma dottrina, di somma delicatezza; fa che abbandonino lieti la bella Europa, e gli induce a varcar l’oceano fra mille rischi per puro zelo di giovare a que’ barbari sconosciuti e selvaggi. senza curar però dalle loro pesche sì rinomate altre perle più elette che le loro anime.

XI. Nel rimanente è manifestissimo, che secondo la ragion retta debbono tra noi ora i prodigi avvenir di rado, mentre ad una pianta già radicata, quale ora è la fede cattolica in tutto il mondo, non si confà quel medesimo inaffiamento che richiedevasi ad una pianta ancor tenerella. Oltre a che, se i miracoli fossero frutti di qualunque stagione, non sarebbero più miracoli, nè gioverebbero al fine da loro inteso, che è di eccitare la mente umana, vaga sempre più dell’insolito, che del grande.

XII. Questo medesimo diminuirebbe in gran parte il merito della fede, e soggetterebbe agevolmente molti anche dei Cristiani a quel rimprovero che il Salvatore fe’ agli ebrei quando disse: Nisi signa et prodigio, videritis, non creditis: dolendosi Egli de’ segni da loro chiesti, non perché a Lui fosse difficile il darli, ma perché i dati bastavano a dichiararlo più che uomo puro. Quindi la copia eccessiva de’ miracoli susseguenti sarebbe, per cosi dire, una ingiuria de’ precedenti, quasi che non fossero stati da sé bastanti a provare il vero; e il recarli di nuovo in tanto gran numero sarebbe non appagarsi di un giudizio autorevole già precorso, ma voler sempre richiamare a nuova lite quei punti che furono già decisi con più sentenze uscite dal cielo.

XIII. Pertanto questa maggiore parcità di miracoli che ora abbiamo, non reca alla Chiesa cattolica alcuna taccia. Ma quale taccia non reca alle nuove sette quella penuria totale che n’è tra loro? Tra loro sì che sarebbero necessari a tutto rigore. E per qual ragione? Eccola qui manifesta.

XIV. Già la Chiesa cattolica era in possesso, per più di quindici secoli, di essere la vera Chiesa di Cristo, stabilita sopra il fondamento degli Apostoli, e de’ profeti, confermata colla testimonianza d’innumerabili martiri, e specialmente dilatata per tutto colla celebrità di innumerabili meraviglie che l’erano andate innanzi facendo strada, quasi tanti araldi celesti. Quando un apostata, invidioso, impuro, ubbriaco, alza la prima bandiera di ribellione, e col seguito di alcuni popoli invaghiti di libertà, e di alcuni principi subornati dall’interesse, fa sapere a tutta la cristianità, che egli è inviato dal cielo per riformarla sì nel credere, come nell’operare. Ma piano. Ove è la patente di una spedizion tanto inaspettata? Noi siamo ammoniti in tempo dalle scritture, che avranno da venire falsi profeti i quali si vanteranno di essere mandati da Dio come pastori a bene delle anime, e di verità saran lupi scappati su dagli abissi per divorarle. Come saprà dunque il mondo, che il superbo Lutero non sia di questi? e che di questi parimente non sieno un Calvino, un Carlostadio, uno Zuinglio, ed altri lor pari, massimamente che tutti si contradicono, e per tutti si spacciano per maestri di verità spediti dall’alto? Non si possono di certo render sicuri del loro carico e delle loro commissioni, se non coll’assistenza di opere prodigiose che gli accompagnino quasi lettere pubbliche di credenza. Tale è stato sempre il tenore della provvidenza amorevole. Quando ella veramente ha volute, che ad alcuni pochi dalla moltitudine si dia fede in cose difficili, gli ha prima con doni soprannaturali accreditati di modo, che non si potessero rifiutar le loro asserzioni senza colpa dì grave temerità. Così confessa tra i novatori il medesimo Melantone. Ma senza curare la confessione di lui, così miriamo fatto già con Mosè, con Giosuè, con Gedeone e poi co’ profeti, indi con tutti gli apostoli ad uno ad uno. E se con Giovanni Battista fu necessario di alterar questa legge, con inviarlo senza raggi al volto di simili meraviglie fatte da lui (perché non fosse creduto il Messia promesso), si supplì a ciò bastevolmente con altre meraviglie fatte per lui nel suo nascimento, le quali furono tali, che, divolgatesi dentro tempo brevissimo dalla fama, renderono tutta attonita la Giudea nell’aspettazion di quel giorno che era per sorgere da crepuscoli ricchi di tanta luce: Quis putas puer iste erit? Dove io discorro di vantaggio così. La sola vita del precursore potea da sé bastare per dare alle sue parole un continuo peso di autorità incontrastabile, tanto doveva ella essere vita austera, pura, perfetta, e di costumi angelici più che umani. Eppure Iddio non fu pago, che la predicazione di lui stabilisse tutto il suo credito in un tal fondo. Volle, che oltre alla vita potesse anch’ella additare le sue meraviglie, se non compagne del nobile ministero, almeno foriere. Quanto più dunque si richiederanno queste meraviglie medesime per autenticare in persone di vita laida una predicazione sì mostruosa, che getta a terra ogni virtù immaginabile, che fa Dio autor del peccato, che altera sacramenti, che abbatte sacrifizi, che sprezza riti, che mette in deriso a’ popoli il purgatorio, che scioglie i sacerdoti dal celibato, che spoglia i santi di culto, che sconvolge tutto il sistema del Cristianesimo? Io dico, che se Lutero e i simili a lui fosser vivuti come tanti angeli in carne, il mondo non dovrebbe lor porgere alcuna fede, mentre essi portano una dottrina contraria al detto di tutti i padri, a’ decreti di tutti i pontefici, all’autorità di tutta la Chiesa cattolica, e agli avvisi lasciatici dal vangelo: Licet nos, aut angelus de cœlo evangeliget vobis præter quam quod evangelizavimus vobis, anathema sit (Galat. 1. 8). Come si dovrà dunque lor credere in una vita sì dissoluta, poiché in tal vita non pur essi non possono cavar fuori una vera sottoscrizion dell’Altissimo ai loro detti, ma né anche una contraffatta? Questo solo basta a scoprirli per quei che sono, cioè per usurpatori di autorità, non solamente insolita, ma insolente, non mai loro data dal cielo ad esercitare. Noi finalmente quando confessiamo ancora di non avere al presente tanti miracoli, diremo di non averli, perché gli abbiamo già avuti piuttosto in copia, che in carestia. Ma che potran dire quei che né gli hanno al presente, né gli ebber mai? Sicuramente non potran dire d’esser messaggi del cielo, mentre che non ne mostrano le patenti: Si quis adserat se cura secretis imperatoris mandatisvenire, illi non est credendum, nisi in his quæ scriptis probaverit (L. si quis adserat C. demand. principum). Ed eccovi come quei miracoli, i quali tra noi presentemente abbisognano, ma solo di convenienza, tra loro abbisognerebbero di rigore. Eppure ove sono?