GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (39)

GNOSI TEOLOGIA DI SATANA (39)

SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (2).

[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]

Eresie del secondo periodo

Dopo la vittoria decisiva conseguita sopra il sincretismo alessandrino, la Chiesa e la società cristiana non furono per lunga stagione attraversate nel loro corso da alcuna lega esteriore. Però lo spirito di errore non venne meno alla sua natura eternamente gelosa e sovversiva, ed al potere che ha ricevuto dalla previdenza di abbandonarvisi nella misura prescritta, per provare continuamente la verità e lo zelo de’ suoi discepoli. Egli soggiacque allora a una specie di metempsicosi. I sistemi panteisti esterni, sotto i quali si era prodotto, essendo disciolti dal dogma cristiano, egli passò a forme più teologiche, più dommatiche, ma la sostanza non era punto meno panteista, e il risultato non meno antisociale.

I.—Secondo questa nuova strategia, lo spirito di tenebre cominciò dal trasfigurarsi in angelo di luce nel montanismo (Quantunque il montanismo risalga a più alta origine, pure, siccome egli apre la serie delle eresie più particolarmente teologiche, noi abbiamo creduto di poterlo porre dopo il sincretismo). – Il montanismo, che ebbe la trista gloria di macchiar quella del valente Tertulliano e di farlo cadere per eccesso di valore, non smentisce punto il parentado logico che noi vogliam mostrare tra ogni eresia cristiana ed il panteismo. La dottrina di Montano consisteva nel pretendere che Gesù Cristo e la Chiesa non erano il termine del progresso morale e religioso; che, oltre Gesù Cristo, oltre lo Spirito Santo da cui la Chiesa era stata sino allora assistita, doveva venir il Santo Spirito in persona, il paraclito, per recare sulla terra una dottrina più perfetta, una morale più severa che doveva essere un progresso sopra quella del Vangelo, come quella del Vangelo era stata un progresso sulla legge mosaica, e questa sulla legge naturale. « La morale, diceva egli, deve perfezionarsi; essa deve crescere in vigore; Dio medesimo ha provato e mostrato anticipatamente questa gradazione passando dall’antico al nuovo Testamento per mezzo le istituzioni e i modi di salute progressivi dell’uno e dell’altro Testamento ». A questa semplice esposizione del montanismo è facile riconoscere la traccia del panteismo. Questo progresso successivo per mezzo le istituzioni e i simboli non dell’uomo nella perfezion morale, ma della morale in seno all’umanità, somiglia in fatto assai allo sviluppo, alla processione dell’infinito in mezzo alle forme e ai modi del finito, che è propriamente il panteismo. Montano si applicava il benefizio di questa dottrina, facendosi tenere e credere come particolarmente ispirato dal Santo Spirito, come l’organo più potente del paraclito che fosse mai apparso. Egli predicava in conseguenza una morale più rigorosa di quella del Vangelo insegnato dalla Chiesa, pretendendo, oppostamente a questa, che bisognava scomunicare per sempre o senza remissione i peccatori pubblici, fare astinenze e digiuni fuori di ogni misura, vietare le seconde nozze e prevenire le persecuzioni. Come il gnosticismo aveva sviluppato in maniera fantastica la parte teorica del Cristianesimo, così il montanismo ne esagerava la pratica. Il primo minacciava di trasformare il Cristianesimo in una teosofia mistica, il secondo ne faceva un monarchismo esagerato sopra ogni modo. Uscendo l’uno e l’altro, sui passi dell’orgoglio, dalla via cotanto sapiente della Chiesa, e privandosi de soccorsi soprannaturali di lei, mentre esageravano lo prescrizioni, riuscirono a tutte le follie dell’illuminismo e a tutte le infamie per le quali la natura, troppo disconosciuta, ripiglia i suoi diritti. Cosi, negando il dogma dell’Incarnazione nella sua efficacia assoluta, il montanismo degenerava in panteismo e finiva coll’immoralità. I Vescovi cattolici, raccolti in diversi sinodi, fulminarono questa stolta sapienza e questo rigorismo immorale, e separarono dalla società della Chiesa questa setta di menzogna.

II. — Intorno al tempo medesimo sorsero le eresie degli antitrinitarii, de’ sabelliani e de’ patripassionisti. Per salvare l’unità di Dio,compromessa, dicevano questi eretici, nel dogma della Trinità, essi negavano questo dogma, e per conseguenza quello dell’Incarnazione del Verbo, — gli uni, ricusando a Gesù Cristo ogni rapporto consustanziale colla divinità, — gli altri, non vedendo in lui che una potenza divina, non una Persona divina, non la divinità medesima, —gli altri finalmente vedendo in lui la divinità, ma senza pluralità di persone, ridotta all’unica persona del Padre, che si era egli stesso fatto uomo e aveva patito per noi; onde furono chiamati patripassionisti. Cosa singolare, ma profondamente giusta e logica: per voler essere più savi, più gelosi della grandezza di Dio che non la Chiesa, questi eretici cadevano nell’eccesso opposto alla loro orgogliosa pretesa; essi prostituivano la divinità; e, cosa non meno singolare e non meno logica, la prostituivano col panteismo, alternativa inevitabile del dogma cristiano.Così questi spiriti vani e superbi che pretendevano di vendicare la divinità dell’offesa che secondo loro faceva alla sua unità santa l’ammissione delle tre Persone che non inducono in essa alcuna divisione, ammettevano all’identificazione con questa medesima divinità, non già solo tre persone coinfinite e coeterne, ma il mondo altresì,ma l’umanità, ma tutte le creature; e per salvare il teismo cadevano così nel panteismo.Ecco di fatto qual era il loro sistema:« Il Padre, il Figliuolo, il Santo Spirito non sono punto Persone distinte e coeternamente esistenti in una medesima sostanza divina, senza rapporto necessario col mondo. Sono denominazioni esteriori e temporanee della manifestazione della monade divina, nella sua azione sul mondo. Queste manifestazioni diverse della monade non hanno per iscopo che il loro proprio sviluppo; esse si distendono, si dilatano, secondo le espressioni stoiche, (ekteinesthai o platynesthai), o si restringono e si concentrano (syntellesthai). La monade esce nel mondo e diventa Padre; ella si unisce al Cristo per l’opera della Redenzione, e si chiama Figliuolo; ella si identifica coll’umanità, e si fa Santo Spirito. Finalmente, dopo di avere sviluppato la vita divina nei regni del Padre, del Figliuolo e del Santo Spirito, la divinità si ritrae,si raccoglie, si racchiude in sé medesima (Alzog, Storia della Chiesa, t. I, pag. 252 – Dellinger, Origine del Cristiaesimo, t. I, p. 252 – Bergier, Dizionario di teologia). »Così il panteismo usciva apertamente dalla negazione dei dogmi della Trinità e dell’Incarnazione per mezzo di questi eretici.Son ora da studiare le conseguenze antisociali di questa dottrina ela profonda sociabilità dei dogmi cristiani. Io prego in ciò i lettori a degnarmi di tutta l’attenzione.Se noi non siamo che una manifestazione, che un’apparenza, noi siamo annichilati; e al tempo stesso questa manifestazione essendo una manifestazione, una dilatazione di Dio, noi siamo autorizzati, necessitati,divinizzati in tutte le cattive inclinazioni della nostra natura; conseguenza generale del panteismo già esposta e che noi ci limitiamo a ricordare. Scendiamo ad un’ analisi più elementare.L’elemento d’ogni società consiste in due cose: pluralità e similitudine degli esseri.Di fatto, chi dice società dice pluralità, e per conseguenza distinzione. degli esseri fra loro, la cui unione forma la società. Senza questa pluralità, mantenuta dalla distinzione nell’unione medesima, non può esservi né rapporto, né movimento, né vita. — Io aggiungo: Le nostre società, fondate sulla nozione e sul culto del bene e del giusto,vale a dire di Dio, ne suppongono una prima fra noi e Dio, trail finito e l’infinito, per mezzo della loro distinzione necessaria alla loro stessa unione, e senza la quale non essendo noi distinti e sociabili per rapporto a Dio, non lo saremmo più neppure gli uni rispetto agli altri. — Quanto alla similitudine degli esseri, è evidente che essa non è meno necessaria della loro pluralità per stabilire fra essi una società; non si può aver società che coi propri simili, ed è con questo disegno che l’uomo è stato fatto originariamente a somiglianza di Dio. e che per questa prima similitudine è stata formata la nostra serietà con Dio, la quale, rovinata dal peccato, doveva riformarsi e consumarsi più tardi da Dio, facendosi Egli pure simile all’uomo.

Da queste premesse traggo due luminose conseguenze a favore dei dogmi della Trinità e dell’Incarnazione. A favore del dogma della Trinità ne inferisco che Dio, essendo infinito, non può aver rapporto eterno e necessario, o società naturale che con sé medesimo: imperocché chi è a Lui simile (Ps XXXIV, 10)? Che ogni rapporto ed ogni società implicando, come abbiam detto, pluralità non meno che similitudine, bisogna necessariamente che vi sia in Dio una pluralità; la quale siccome non può essere nell’essenza, poiché molti infiniti sono una contradizione, deve essere in qualche cosa che sia in Lui e che non è la sua essenza, qualche cosa che noi chiamiamo persone, le quali dovendo corrispondere ai due gran bisogni di conoscere e di amare, che sono la vita dell’essere, devono essere conoscenza e amore, distinte dal subietto che le genera; finalmente, che deve esser questa la prima di tutte le società sulla quale devono essere formate tutte le altre, quella dalla quale devono discendere ed a cui devono risalire. – A favore del dogma dell’Incarnazione conchiudo, che siccome ogni società suppone pluralità e somiglianza, cosi, perché vi fosse società fra noi e Dio, bisognò che Dio si facesse simile a noi, rimanendo distinto da noi; che l’uno di Dio, se cosi posso dire, si facesse l’uno di noi; che Egli formasse cosi l’anello di congiunzione, l’Emmanuele che congiunge la società degli uomini colla società divina, e che inaugurasse il dogma sociale sul dogma della Trinità per mezzo del dogma dell’Incarnazione, come l’ha sì bene epilogato Gesù Cristo in quella divina preghiera che noi non possiam mai ripeter troppo in simile argomento: Che tutti non siano che uno, ecco la società; come Voi, Padre mio, siete in me, ed Io in voi, che essi siano medesimamente uno in noi, eccone il tipo; finalmente, io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi, eccone il nodo. Per ciò rigettare il dogma della Trinità, come facevano cotesti eretici, è negare all’Essere per essenza la vita di relazione che è propria dell’Essere, e che Egli non può trovare necessariamente che in sé medesimo: è un costringerlo in certo qual modo, secondo questa concezione, a cercare fuori di sé e nel finito i termini de’ suoi rapporti necessari, vale a dire ad abdicare la sua natura e ad assorbire la nostra, e per conseguente ogni società, nel panteismo. – Similmente, rigettare il dogma dell’Incarnazione è rendere impossibile ogni società mediata fra noi e Dio, ogni rapporto accessibile; e siccome questa secondo il disegno di Dio è il fondamento di quella, così il rigettare un tal dogma è un costringerci a metterci pur noi in società immediata, in relazione diretta e necessaria con Dio, ad assimilare per conseguenza la sua natura e la nostra, vale a dire a confonderle, e ad andarci a perdere nell’infinito per mezzo del panteismo. – In questa guisa s’incatenano adorabilmente tutte le verità in seno alla dottrina cattolica; cosi l’eresia degli antitrinitarii e de’ sabelliani doveva essere necessariamente panteistica e antisociale.

III. — Questa eresia dischiuse le strade ad un’eresia a gran pezza più vasta ne’ suoi sviluppi, all’ Ariane simo. L’arianesimo, che menò i sì gran guasti nei popoli germanici e ritardò per sì lungo tempo l’azione incivilitrice del Cattolicismo su que’ barbari, fu una conseguenza dell’eresia antitrinitaria e sabelliana. Il Cristo non era consustanziale al Padre, secondo Ario; Egli era un essere creato, ma superiore a tutto le creature e produttore pur egli delle medesime. L’arianesimo era una prolungazione parziale del panteismo gnostico, che aveva messo in voga la dottrina delle emanazioni divine decrescenti. Agli occhi degli Ariani, il Verbo divino era un’emanazione inferiore al Padre; e siccome al tempo stesso ei lo concepivano sotto la nozione di creatura, così tutta quanta la creazione, la cui nozion vera era distrutta, diventava una serie di emanazioni, ciò ch’era propriamente il panteismo (Dicasi il medesimo dello dottrine eterodosse sopra lo Spirito Santo, le quali non erano che l’arianesimo applicato alla terza Persona della Trinità divina, e che furono condannate nel secondo concilio ecumenico di Costantinopoli.). – Il primo gran concilio di Nicea anatemizzò questa eresia, e formulò la verità cattolica in quel passo del suo simbolo, di cui facciam risuonare i nostri templi: Credo in… Jesum Christum… Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non factum, consubstantialem Patri; dichiarando così la divinità in Gesù Cristo, e all’opposto distinguendone l’umanità, la cui confusione colla divinità l’avrebbe compromessa.

IV. — Apparve allora sulla scena il pelagìanismo, il quale non fu che un’applicazione de’ principii dell’arianesimo. Secondo questo, Gesù Cristo non era che una creatura; era perciò naturalo il conchiuderne che egli non poteva acquistarci alcuna grazia divina; ed è appunto la necessità di questa grazia che rigettava Pelagio, pretendendo che l’uomo poteva aggiungere il più alto grado di perfezione morale e sottrarsi all’impero del peccato colle sue proprie forze. I pelagiani, è vero, non negavano la divinità del Cristo, come facevano direttamente o indirettamente gli ariani; ma avrebbero potuto farlo senza nuocere in alcun modo alla loro teoria. Movendo da due punti di vista diversi, i due sistemi arrivavano al medesimo termine, col dedurne le conseguenze dai loro principii. L’arianesimo separava Dio dall’uomo, il pelagianesimo separava l’uomo da Dio. L’uomo, partendo dalla negazione della divinità di Gesù Cristo, doveva arrivare alla negazione della grazia divina; l’altro, partendo dalla negazione della grazia divina, doveva arrivare alla negazione della divinità di Gesù Cristo; ambedue dovevano riuscire al naturalismo. – Il che è ciò che abbiamo veduto operarsi in grande nel protestantismo, il quale, per mezzo di Zuinglio e Socino, arriva in Rousseau alla dottrina della bontà natia dell’uomo e del pervertimento della società, donde Luigi Blanc e i socialisti hanno tratto i principii della loro riforma. La fiducia di questi nella bontà dell’uomo, sulla quale essi fondano e le loro accuse contro la società che l’ha pervertita, e le loro folli utopie di riforma, illudeva del paro i pelagiani e li recava, per un falso raffinamento di perfezione di cui essi credevano capace l’uomo, a incriminare egualmente la proprietà e tutte le relazioni che costituiscono la società degli uomini. « A veder come i discepoli di Pelagio, dice un moderno scrittore, sostennero che la rinunzia alle ricchezze era un obbligo assoluto per chiunque voleva operare la propria salute, si comprende come potessero sistematicamente riuscire mediante espropriazione alla negazione della proprietà, il comunismo (F. Lacombe: Studi sul socialismo) ». L’ortodossia religiosa e sociale trovò un fiero campione in sant’Agostino, il quale combatté tutti gli errori pelagiani, confrontandoli colla verità cattolica. Egli giustificò la proprietà mobile ed immobile dell’uomo individuale riguardo allo stato; definì in modo ammirabile ciò che era di precetto e ciò che era di consiglio nella legge della rinunzia, e restituì a questa legge il suo vero carattere evangelico, più tosto morale che materiale, che non potrebbe pregiudicato mai alla vita sociale degli individui, di cui si compone quella delle società.

V. — Non è mai che lo spirito umano prorompa in qualche eccesso senza che ne sia in breve punito, cadendo nell’eccesso contrario. Inoltre, come abbiam già detto, il naturalismo non può durar lungo tempo nell’anima umana. Questa ha orrore del vuoto, del suo isolamento da Dio, e non è mai più vicina a precipitarsi in questo abisso come quando è giunta a separarsene. Il naturalismo, una volta che si è abbandonato il Cristianesimo, non è altro che un rapido passaggio al panteismo. Non è la separazione che può salvarci dalla confusione con Dio; è l’unione, la Religione.

Il pelagianismo doveva condurre al predestinazianismo, o alla dottrina opposta dell’onnipotenza della grazia divina nell’uomo, esclusiva di ogni cooperazione umana e negativa d’ogni libertà. Dio ci predestina fatalmente alla felicità o alla dannazione; la sua azione ci rende necessariamente giusti e santi. Tale fu l’eresia del predestinazianismo, che conteneva il panteismo e il fatalismo, doppio errore cuitutte le eresie pare abbiano avuto per iscopo d’impiantar nel cuoredelle società cristiane. – Con profonda sapienza la Chiesa anatemizzò il pelagianismo e il predestinazianismo; il primo nel gran concilio di Cartagine, l’anno 418;il secondo in diversi concili d’Arles e Lione. Essa mantenne due verità certe, l’azione della grazia divina e l’azione della libertà umana, vale a dire, sempre la realtà distinta dell’infinito e del finito,del soprannaturale e del naturale, così nella loro azione come nella loro essenza. La grazia non può nulla sopra di noi senza il concorso della nostra libertà. La nostra libertà non può nulla in noi, nell’ordine della salute, senza il soccorso della grazia. Distinzion capitale, essenziale, che rizza a destra e a sinistra dell’umanità un baluardo che la preserva dal naturalismo e dal panteismo, e tiene sgombro il sentiero del buon senso, dell’esperienza, della tradizion sociale e della verità pratica delle cose sul quale deve correre.

VI. — Ma come si conciliano fra loro la grazia divina e la libertà? Qual è la parte reciproca della loro azione nell’opera dell’umana salute? Gli è in ciò che si tocca al mistero de’ misteri, alla difficoltà delle difficoltà; è questo il passo che la sola Chiesa seppe superare senza cercare né evitare, e al quale sono venuti a sdrucciolare e a cadere tutti quelli che non si sono accontentati di porre semplicemente il piede sulla traccia del suo insegnamento, insistere vestigiis.

E questo è ciò che volle fare il semi-pelagianismo. Secondo il pelagianesimo, il peccato di Adamo non ha turbate le condizioni della perfettibilità umana: l’uomo può fare il bene dopo come prima di quel peccato; egli ha in sé una forza naturale sufficiente. per compiere le buone azioni; esso è naturalmente buono, ela grazia è semplicemente un soccorso che lo aiutano a diventare più facilmente migliore.Secondo il predestinazianismo, il peccato di Adamo ha distrutta nell’uomo la libertà, la possibilità del bene. Egli ha bisogno della grazia, non già come ajuto per rialzarsi, ma come mezzo unico e assoluto di essere rialzato. Essa sola è quella che lo rialza, che lo sostiene e lo fa camminare; egli non conta, è un cadavere. Il semi-pelagianismo credette di essere la sapienza medesima venendo a porsi nel giusto mezzo fra questi due eccessi, e a dire chela grazia e la libertà concorrevano vicendevolmente a rialzar l’uomo e a recarlo al bene; che esse avevano un’egual parte alla sua salutee ch’egli ne aveva un egual bisogno; che dopo il peccato originale,l’uomo non è naturalmente buono, è vero, né portato al bene più che al male, ma che egli si determina con altrettanta facilità all’uno e all’altro; che solo la grazia viene a determinare il buon movimento e a svilupparne il principio che è in lui.Sapienza umana! la Chiesa anatemizzò questa eresia, più perniciosa. delle altre due perché era più speciosa e riconduceva a quella per una doppia china. Occupata non già di cercare il giusto mezzo fra due errori, ma unicamente di dichiarare la verità rivelata, che non. si trova necessariamente in questo giusto mezzo, essa divulgò quei grandi assiomi di fede, di tradizione e di esperienza: cioè che pel peccato di Adamo noi abbiam perduto cotesta grande e felice libertà, cotest’equilibrio della nostra volontà fra il bene ed il male; e che per ristabilire in noi un’eguaglianza perfetta è necessario l’impulso della grazia; che essa è dunque sempre preveniente, e gratuita in quanto preveniente; ma che non è efficace se non col concorso della nostra libertà.Così la Chiesa sciolse il nodo gordiano della libertà e della grazia formato dall’eresia. Certamente questo nodo ha altre difficoltà che si addentrano nelle misteriose profondità della volontà umana e della grazia; ma la Chiesa non entra mai prematuramente in questi abissi, come ella non sta mai in forse a perseguitarvi l’errore e a portarvi la luce netta e viva della precisione quando l’errore gliene porge argomento. Solamente ella mantiene il mondo nel possedimento di queste due grandi verità, di questi die gran principi; il soprannaturale e il naturale, il divino e l’umano, la grazia e la libertà; e li accorda nella loro azione nel seguente modo: la grazia sempre preveniente, la libertà cooperante; Dio che stende la mano all’uomo, e l’uomo che la prende.

VII. — L’arianismo e tutte le eresie precedenti avevano messo in questione l’esistenza della divinità e dell’umanità, dell’infinito o del finito di Gesù Cristo. Il nestorianismo venne ad inaugurare un altro ordine di eresie, quelle che si riferiscono non più all’esistenza, ma ai rapporti naturali ed alle operazioni reciproche delle due nature nel Cristo. L’unità di persona fu attaccata, come l’era stata la dualità di natura. Nestorio venne a dire che vi era dualità di persona come v’era dualità di natura. Egli trasformò la distinzione essenziale del finito e dell’infinito nella loro separazione. Secondo lui, vi eran nel Cristo due persone, poste l’una allato all’altra, unite esteriormente e moralmente. Egli si scandalizzò della denominazione di madre di Dio universalmente data a Maria; sostenne che si doveva dir solo Madre del Cristo, e che l’uomo partorito da Maria doveva essere chiamato Teoforo, o portante Dio, come tempio nel quale Dio dimora. In cotal guisa l’Incarnazione non era altro più che una semplice inabitazione del Logos nel Cristo, e il Verbo eterno non si era fatto uomo. Senza saperlo, questa eresia procedeva dai principii del manicheismo, che, come abbiam già fatto osservare, non è che un doppio panteismo. L’antitesi di due volontà, di due nature divina e umana, o la difficoltà di concepirle unite in una sola persona, fu la sua base principale, come l’antitesi dello spirito e della materia, o la difficoltà di riferirle ad una comune origine era stata una delle basi principali del dualismo. – Ma vuolsi principalmente notare che, isolando il finito dall’infinito, essa doveva riuscire a precipitarvelo.

VIII. — E ciò avverossi ben presto. Eutiche venne, sull’orme di Nestorio, a dire che « prima dell’unione del Verbo coll’umanità le due nature erano assolutamente distinte; ma che dopo l’unione la natura umana, confusa colla natura divina, ne fu talmente assorbita che rimase la divinità sola, e che fu essa sola che patì per noi e ci riscattò. Il corpo del Cristo era dunque un corpo umano quanto alla forma e quanto all’apparenza esteriore, ma non quanto alla sua sostanza ». L’entichianismo conduceva altresì al gnosticismo panteistico puro; egli originò il monofisitismo, che ammetteva una sola natura, ed il monotelismo, che ammetteva per conseguenza una sola volontà in Gesù Cristo; la natura e la volontà divine. – In questa guisa cotali eresie si generavano e si riproducevano reciprocamente; così l’errore s’implicava nel suo proprio labirinto; così, fuori del dogma della fede cattolica, e per poco che si deviasse da esso, si ritornava sempre fatalmente, dall’una parte o dall’altra, al grande abisso. – Il dogma salvatore dell’Incarnazione fu sciolto di nuovo da tutte queste eresie, le quali furono anatemizzate in diversi gran concili. Il terzo concilio ecumenico d’Efeso fulminò il nestorianismo; il quarto concilio ecumenico di Calcedonia percosse l’eutichianismo, e il sesto concilio ecumenico di Costantinopoli condannò il monotelismo. La dottrina del Verbo fatto carne, vita del mondo, fu mantenuta in tutta la sua purezza. Queste eresie non avevano fatto che provarla e porla in una luce più viva. Essa fu richiamata, affermata e definita quale era sempre stata creduta dagli apostoli dopo Gesù Cristo. « Conforme all’insegnamento de’ santi padri, — porta il decreto di uno di questi concilii, — noi dichiariamo a voce unanime che si debba confessare un solo e medesimo Gesù Cristo nostro Signore; il medesimo, perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità; vero Dio e vero uomo; essendo, come uomo, composto di un’anima ragionevole e di un corpo, consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo 1′ umanità; in tutto simile a noi fuorché nel peccato; ingenerato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità; il medesimo, nato in questi ultimi tempi, secondo l’umanità; un solo e medesimo Cristo, figliuol unico, Signore in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione, senza che l’unione tolga la differenza delle due nature, conservando l’una e l’altra la sua proprietà, e concorrendo in una sola persona e sussistenza; in guisa che Egli non è dimezzato o diviso in duo persone, ma è un solo e medesimo Figliuol unico, Dio il Verbo, nostro Signore Gesù Cristo, come i profeti e nostro Signore medesimo ci hanno insegnato, come il simbolo de’ padri ci ha trasmesso (Decreto del quarto concilio di Calcedonia.) ». Alla lettura di questa definizione di fede, l’universo cristiano, per bocca di tutti i Vescovi, sclamò ad una sola voce : « Questa è la fede dei padri, è la fede degli Apostoli; noi la seguiam tutti secondo loro, e tutti noi la pensiamo come loro: Hæc fides patrum, hæc fides apostolorum; huic omnes consentimus, ita sapimus; » e a questo grido tutte le eresie furono confuse, e il sole della verità cattolica, libero da esse, continuò il suo corso. – Dopo questa definizione del dogma dell’Incarnazione, l’incredulità di questo secolo non ci venga a domandare di spiegarglielo e di dirle come ciò avvenga; noi gli risponderemo con un padre: Ciò si fa nel modo che Dio sa: questa è cosa che si definisce, ma non si spiega. Ma al tempo stesso noi le spiegheremo benissimo come ciò non debba spiegarsi, facendo ad essa osservare che nelle cognizioni di qualsiasi ordine, anche le più esatte, come le matematiche, che hanno per oggetto il finito, lo cose non si spiegano da ultimo se non per mezzo di cose che non si spiegano punto; che è proprio delle cose che spiegano le altre di essere inesplicabili esse medesime, e di essere per conseguenza tanto più inesplicabili quanto più sono spiegative; e che la cosa più spiegativa di tutte, quella che spiega tutto, Dio, è tal cosa cui nulla può spiegare. — E perché ciò? — Perché l’Infinito solo può spiegare il finito, ed è proprio dell’infinito l’essere inesplicabile. La spiegazione discendo dall’infinito al finito, ma non risale. — E perché anche questo? — Perché le cose non possono spiegarsi che secondo cose che sono loro anteriori e superiori, come la parola secondo usata in tutte lo spiegazioni lo indica; perché la cosa che non ha nulla che le sia anteriore e superiore non può per conseguenza essere spiegata per mezzo di ciò che non è; — e più parimente perché l’infinito è l’archetipo del finito, il quale essendo fatto secondo questo archetipo, vi si riferisce e ne rivela la spiegazione della sua esistenza, perché ne ha ricevuto questa esistenza medesima. L’immagine si spiega dall’originale; ma l’originale medesimo, l’archetipo, l’infinito, chi lo spiegherà? Quis videbit eum et enarrabit. (Eccl. XLIII, 35.) Sarebbe un medesimo il dimandare chi ha fatto Dio: Egli è colui che è; ecco la sua definizione, nelle sue operazioni come nella sua essenza. Chi spiegherà ragionevolmente il mondo senza la creazione, senza Dio? Chi spiegherà il mondo morale e sociale, chi spiegherà l’uomo e l’umanità senza Gesù Cristo, senza la soluzione che dà l’incarnazione del Verbo? Ma chi spiegherà questa Incarnazione, chi spiegherà Gesù Cristo? Questo non si può e non si deve naturalmente potere. Ma se nessuna cosa spiega l’infinito e le sue operazioni, tutto però lo prova, tutto gli rende testimonianza, quella testimonianza che il problema rende alla sua soluzione. Infatti la sola verità può spiegare la verità. In questo senso ciò che sfugge e deve sfuggire alla spiegazione nella verità infinita si trova in questo, che essa medesima dà la spiegazione delle verità finite, poiché non si può dare se non quello che si ha. E Rivarol pronunziò una parola profondamente giusta quando disse: Dio spiega il mondo, e il mondo lo prova. La spiegazione discende da Dio al mondo, e risale, come prova, dal mondo a Dio: Cœli enarrant gloriam Dei, et opera manuum, ejus annuntiat firmamentum. (Psal.XVllI). Cosi è del dogma dell’Incarnazione: inesplicabile, egli solo spiega e scioglie il problema dell’unione dell’infinito e del finito senza loro confusione. Egli li unisce distinguendoli e li distingue unendoli. Due condizioni sulle quali posa tutto l’edificio delle esistenze morali e sociali, nessuna delle quali può spiegarsi senza che tutto questo edificio non si sposti, non cada e non s’inabissi: due condizioni tuttavia cui, fuor della tradizione cattolica, così ne’ tempi antichi come nei moderni, tutti i movimenti dello spirito umano mirano a falsare ed a violare, e che il solo Cattolicismo mantiene filosoficamente e praticamente nel mondo. – Gesù Cristo solo, e dopo di Lui la Chiesa, come quella che l’ha ricevuta da Lui, ha così la chiave di questa porta misteriosa di comunicazione tra il finito e l’infinito, di cui parla san Giovanni nella sua Apocalisse: Il santo, il vero, che ha la chiave di Davide; che apre, e nessuno chiude; che chiude, e nessuno apre; Sanctus et verus, qui habet clavem David; qui aperit, et nemo claudit; claudit, et nemo aperit. (III, 7).Ma ciò che noi non possiamo omettere senza renderci colpevoli di un silenzio che ci obblighiamo di nuovo a rompere con un omaggio più speciale (Sotto il litolo: La Vergine Maria e i disegni divini), è che Gesù Cristo, il quale definisce tutto, è esso medesimo definito da Maria.L’eresia lo sa benissimo; e se noi per saperlo dovessimo guidicarne dalla sua condotta, essa ce ne ammaestrerebbe oltre il bisogno.Come essa non ha mai attaccato il dogma religioso e sociale della credenza in un Dio creatore se non coll’attaccare il dogma cristiano dell’Incarnazione, così non ha mai attaccato il dogma cristiano dell’Incarnazione se non coll’attaccare il dogma cattolico della maternità divina di Maria.Nella grande eresia di Nestorio è questa divina maternità che era capitalmente in questione; ma in questa questione e sotto questa questione si agitava quella dell’Incarnazione, come sotto questa si agitava quella d’ogni religione e d’ogni società. Ha lo spirito ben ristretto colui che non vede tutta questa concatenazione e non ne sente il profondosignificato.E Maria è o non è dessa la Madre di Dio? Debb’essere Ella o non essere onorata come tale? Question vana e puerile, dicono i saccenti; question vana e puerile come il secolo che la suscitava! Vedete nondimeno: — Maria non è la madre di Dio, diceva l’eresia; poiché nonsi può ammettere che Dio sia nato da una donna. Di fatto, ciò cheè nato da Maria, diceva Ario, è sì il Figliuol di Dio, ma non Dio medesimo: è il primogenito di Dio, è colui pel quale è nato tutto il resto, nel modo medesimo che egli stesso è nato, non essendo così ogni cosa che una emanazione della sostanza infinita…. Colui che è nato da Maria, diceva Nestorio, è il Cristo; vale a dire un uomo in cuila divinità è venuta ad abitare; ma che non è la divinità medesima,non potendosi la natura umana e la natura divina riferire ad un medesimo soggetto, più di quello che la materia e lo spirito possa riferirsi ad una medesima origine, essendo ambedue separate da tutta l’opposizione dei due principii donde esse derivano e che le animano esclusivamente.,. Ciò che è nato da Maria, diceva Eutiche, è niente, è una semplice apparenza umana, una sembianza d’ uomo; Maria nonè in ciò che un velo il quale copre solamente il fondo di Gesù Cristo,il fondo della natura umana, il fondo di tutto ciò che è Dio, Dio solo in tutto, del quale Gesù Cristo, come tutto il resto, non è chel’apparenza (Noi abbiamo abbreviata l’esposizione di queste tre eresie, ma non ne abbiamo esagerato il rigor logico). In questo modo la testa del serpente cercando sottrarsi ai piedi della divina maternità di Maria, la coda del mostro, se così oso dire, per diverse sinuosità si ripiegava e degenerava sempre in panteismo, in manicheismo, in fatalismo, per insinuarne il veleno nella società. – Ma non fu indarno lanciata contro di lui la primitiva sentenza: Porrò nimicizia tra te e la donna, e tra il seme tuo e il seme di lei. Ella schiaccerà la tua testa, e tu tenderai insidie ed calcagno di lei. (Gen. III, 15.) La Chiesa, esecutrice di questo decreto, ha conservata Maria nel possedimento della sua potestà sullo spirito delle tenebre, divulgandola Madre di Dio. Maria è Madre di Dio, perché Dio è nato da Maria. Dio è nato da Maria, perché il Cristo, suo figliuolo, è il Figliuolo di Dio, e come tale, eguale a Dio, Dio medesimo. Maria ha il medesimo figliuolo che il Padre celeste: solamente egli è Figliuolo del Padre celeste da tutta l’eternità, e di Maria nel tempo; però il medesimo figliuolo, la medesima Persona divina, il medesimo Verbo, il medesimo Dio, che ha preso la nostra natura per farne, mercé la sua unione colla propria, una sola Persona, la quale è nata integralmente da Maria. Questa grande personificazione delle due nature finita e infinita, distinte e unite nel Cristo, per la quale tutto il mondo morale e sociale è stato ritratto dal naturalismo e dal panteismo, e ne è preservato, si è formata nelle viscere di Maria, e Maria ne è il nodo vitale. – Ciò posto, si comprende che se il dogma dell’Incarnazione è, come abbiamo dimostrato, la soluzione del gran problema della religione e dell’incivilimento, è ugualmente vero che Maria, onorata nella sua maternità divina, è la formola più esatta, più decisiva e più conservatrice di questa soluzione (Questa formula è benissimo esposta da san Cirillo in questi termini nel decreto del sinodo di Efeso: Si quis non confitetur Deum esse secundumveritatem EMMANUEL, et propter hoc Dei genitricem sanctam Virginem (genuit enim carnaliter carnem factum Dei Verbum), anathema sit!).Il dogma della Vergine Madre scorge in qualche modo e protegge attraverso ai secoli il dogma dell’Uomo-Dio, come anch’essa la Vergine Madre era un tempo la guardiana e la protettrice dell’adorabile Persona dell’uomo-Dio sulla terra. Chiunque si rifiuta di onorare la maternità divina di Maria, egli, il sappia o non lo sappia, non è Cristiano (« Chiunque non ama e non onora la Vergine di un onoro tutto speciale e particolare non è vero cristiano, » – San Francesco di Sales, nel suo mirabile secondo sermone su la Visitazione, avendo a testo Unus Deus, – Ephes. IV. – . « Per conseguenza, esclama Bossuet, poiché la divozione verso la Beata Vergine è sì sodamente fondata, anatema a chi la nega e toglie ai cristiani un cosi potente soccorso: anatema a chi la diminuisce: egli indebolisce la pietà nelle anime, » – Terzo sermone sulla Concezione della Santissima Vergine). Egli non crede al Verbo fatto carne, è deista in qualche grado, o almeno sulla via di esser tale; e chi è deista è in qualche grado panteista o ateo, o in sulla via di diventarlo; il che permette in un certo senso di dire con san Gregorio di Nazianzo: Quegli, che non risguarda Maria siccome la Madre di Dio non crede alla divinità, è ateo. Perciò, integrità ammirabile della verità divina nel cattolicismo. Questa devozione così umile, così avuta a vile dai filosofi, – ai quali non manca per esserlo che di conoscere se stessi per mezzo dell’umiltà di cui questa devozione medesima è la scuola sublime, — questa divozione, ripeto , è si fattamente ben collegata con tutto il rimanente della dottrina che si può dire ch’essa è l’ultimo anello di una catena, il primo de’ quali è il dogma di un Dio creatore, e sospende e rattiene la società sull’abisso del naturalismo e del panteismo. Le più gravi questioni, le più vaste conseguenze -nell’ordine umano e sociale discendono da questi articoli di fede, da questi punti di dogma rilegati nel dominio della divozione e della teologia, la deviazione dai quali conduce, da deduzione in deduzione, dall’uno all’altro errore, alle dottrine più antisociali e più sovversive. – Il perché quando il concilio di Efeso, confermando la tradizione, mantenne la fede de’ popoli intorno alla maternità divina di Maria, Il mondo cristiano esultò di gioia e levò al cielo i suoi plausi di entusiasmo. Esso senti istintivamente che era sfuggito ad uno scoglio. E oggidì, in cui esso si è di bel nuovo salvato dalla sua rovina per un di que’ colpi la cui salutare opportunità rivela la mano della provvidenza, la società tutta quanta, per una ispirazione pur essa provvidenziale e conforme a quel rapporto istintivo che sempre esisté tra la Francia e Maria, corse a prostrarsi riconoscente ai piedi di Nostra Signora, a far echeggiar le volte del suo tempio di canti di trionfo, e rappresentar da per tutto la Madre che stringe il Verbo incarnato con un braccio e stende 1’altro sul mondo, mentre schiaccia sotto i suoi piedi l’idra del socialismo.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/09/25/gnosi-teologia-di-satana-40/

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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