I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUI PECCATI TACIUTI IN CONFESSIONE”

Sui peccati taciuti in confessione.

Adducunt ei surdum et mutum.

(MARC. VII, 32).

Questo sordomuto presentato a Gesù Cristo per esser guarito, F. M., è la triste immagine d’un gran numero di Cristiani, quando si presentano al tribunale di penitenza. Gli uni sono sordi alla voce della coscienza, che li sollecita a manifestare i propri peccati; gli altri sono muti; quando devono manifestarli tacciono, e quindi, profanano il Sacramento. Dio mio! qual disgrazia! Si, F. M., tacere un peccato mortale per vergogna o per timore, oppure accusarlo in modo da non farlo conoscere come la coscienza ce lo rimprovera, è un mentire a Gesù Cristo stesso, è un cambiare in veleno mortale il sacro rimedio che la misericordia di Dio ci offre per guarire le piaghe fatte dal peccato alla nostra povera anima. Che dico? è un renderci colpevoli del più grande di tutti i delitti, il sacrilegio. Ah! volesse Iddio che questo peccato fosse raro tra i Cristiani, come lo sono i mostri. Ah! volesse Iddio che quello ch’io dirò non si riferisse a nessuno di quanti sono qui presenti! Ma, ahimè! F. M., io lo dico piangendo amaramente, esso è più comune di quanto non si pensa! Dio mio! quante confessioni sacrileghe farà conoscere il gran giorno del giudizio! Dio mio! quanti peccati non mai conosciuti si manifesteranno in quel momento! Dio mio, può un Cristiano rendersi colpevole d’un tal oltraggio verso il suo Dio e il suo Salvatore? Per potervene ispirare il maggior orrore che mi sarà possibile, vi metterò innanzi, F. M.,

1° quanto un Cristiano, commettendolo, è barbaro e crudele verso Gesù Cristo suo Redentore;

2° quanto deve esser grande la misericordia di Dio per tollerare sulla terra un tal mostro, dopo così orribile attentato.

I. — Sì, F . M., parlarvi d ella confessione, è parlarvi di tutto ciò che vi ha di più prezioso nella nostra santa Religione, eccettuata la morte di Gesù Cristo ed il sacramento del Battesimo e dell’Eucaristia. Interrogate, F. M., tutti i dannati che bruciano nell’inferno; vi risponderanno che si sono dannati perché non usarono questo Sacramento o perché l’hanno profanato. Salite in cielo, domandate a tutti i beati assisi su quei troni di gloria, che cosa li ha condotti in quel luogo così felice? quasi tutti vi diranno che la confessione è stato il solo rimedio da essi usato per uscire dal peccato e riconciliarsi col buon Dio. O religione bella! Sei disprezzata perché non sei conosciuta! O religione consolante! quali mezzi facili ed efficaci ci fornisci per ritornare a Dio, quando abbiamo avuto la disgrazia di allontanarcene col peccato! — Ma, mi direte, che cosa dunque può rendere cattive le nostre confessioni? — Amico mio, molte sono le cause di questa disgrazia:

1° quando non impieghiamo un tempo sufficiente per l’esame;

2° quando non accusiamo i nostri peccati come li conosciamo;

3° quando non abbiamo la contrizione sufficiente per ricevere l’assoluzione;

4° quando ricevendo l’assoluzione non abbiamo la risoluzione di adempire alla penitenza dataci dal sacerdote; e

5° quando non vogliamo fare le restituzioni che possiamo e dobbiamo fare, e che il sacerdote ci comanda. – Vi assicuro, F. M., che il solo pensiero d’entrare in questi particolari mi fa tremare; e sono quasi certo che, se la fede non è spenta in voi, e se veramente desiderate la vostra salute, ben pochi tra voi non avranno da temere per le loro confessioni passate. – Su, F. M., interroghiamo quelle povere coscienze che, da tanti anni, sono lacerate dai rimorsi; prendiamo in una mano la fiaccola del gran giorno delle vendette, e nell’altra la bilancia che peserà tutte le azioni degli uomini, e vedremo ciò che non abbiamo mai veduto, o meglio, ciò che non abbiamo mai voluto vedere; e sentiremo il grido di quella coscienza che abbiamo cercato fino ad ora di soffocare.

— Date libero corso ai vostri rimorsi, F. M.; ben fortunati, se non avete perduto il dono prezioso della fede, se la disperazione non s’impadronisce di voi considerando l’abisso in cui siete precipitati. Ascoltate la vostra povera anima che vi grida d’aver pietà di lei, poiché, se la morte vi colpisse in questo stato, si dannerebbe. “Ah! di grazia, abbi pietà di me; strappami da quest’abisso in cui mi hai gettata! dovrò dunque esser separata per sempre dal mio Dio, che doveva formare tutta la mia felicità? Dio mio! non vedervi mai! quale spaventevole disgrazia!„ Ma no, F. M., veniamone alla prova, e conosceremo ancor meglio se siamo nel numero di questi disgraziati dei quali oggi vi parlo. 1° Dico dunque anzitutto, F. M., che, se non impieghiamo un tempo conveniente nell’esame, le nostre confessioni non valgono nulla, per non dire che sono sacrileghe. È vero che non è possibile determinare il tempo che dobbiamo impiegare nell’esame. Chi è stato tanto tempo senza confessarsi deve impiegarvi maggior tempo di chi si confessa spesso. Dobbiamo quindi impiegarvi un tempo proporzionato allo stato in cui ci troviamo, ed al tempo dacché non ci siamo confessati. E diamovi quel tempo e quelle cure che metteremmo in un affare, che ci stesse molto a cuore. L’esame è dunque la prima cosa che dobbiamo fare, per sperare una buona confessione. Si deve cominciarlo colla preghiera, implorando con tutto il cuore i lumi dello Spirito Santo e la protezione della Ss. Vergine. Bisogna far qualche buona opera, come ascoltare la S. Messa; e, se possiamo, fare qualche piccola mortificazione nei pasti e nel sonno; offrire le nostre pene della giornata a Dio, per cominciare ad intenerire la sua giustizia. Bisogna poi ritirarsi in un luogo appartato, se si può; od almeno, svegliandosi, o per via, man mano che il buon Dio vi fa conoscere i vostri peccati, attestargliene il vostro dolore. Non dovete accontentarvi di scorrere i vostri peccati una volta sola, ma più volte, fino ad impararli a memoria, per quando avrete la grazia di confessarvene; perché sapete quanto me, che se tralasciate qualche peccato mortale, per mancanza di esame, quando pure foste stati disposti, se li aveste conosciuti, a confessarli, la vostra confessione non cesserebbe per questo d’essere un sacrilegio. Se, prima di comunicarvi, vi ricordate di qualche peccato mortale, state bene attenti: se li avete taciuti per vostra colpa, o perché non avete impiegato un tempo conveniente per l’esame, dovete, selo potete, riconciliarvi, e, se non lo potete dovete ancora esaminarvi davanti al buon Dio se, qualora non vi foste confessati di quel peccato, il sacerdote vi avrebbe dato il permesso di comunicarvi … se siete in dubbio è meglio tralasciare la vostra comunione rimandandola ad un’altra volta. Ahimè! se prendessimo tante precauzioni per la salute della nostra anima come ne abbiamo per i nostri affari temporali, tutte le nostre confessioni sarebbero buonissime e ci assicurerebbero il perdono! Ahimè! quante confessioni fatte quasi senza esame, senza preparazione! Si può quindi viver tranquilli in uno stato cosi disgraziato?

2° Ho detto in secondo luogo, che dopo aver bene esaminata la nostra coscienza, dobbiamo accusare i nostri peccati meglio che possiamo, se vogliamo ottenerne il perdono. Se parlassi per esempio ad increduli, comincerei col dimostrar loro l’assoluta certezza di questa necessità d’accusare i propri peccati; ma con voi, P. M., sarebbe inutile. Nessuno dubita d’una grazia sì preziosa, che forma, quaggiù, tutta la felicità d’un Cristiano; poiché dopo il peccato essa è la sola ed unica speranza per ottenere il cielo. Dico dunque, F. M., che questa seconda condizione è assolutamente necessaria, perché la nostra confessione sia buona. L’accusarsi è quanto costa di più ai peccatori orgogliosi; ed è anche quello che fa commettere il maggior numero di confessioni sacrileghe. Vedete quanti giri adoperano questi cattivi Cristiani per sembrare meno colpevoli: siamo più preoccupati del modo con cui accuseremo i nostri peccati per provare meno confusione, che del modo con cui dirli come Dio li conosce. Quante volte abbiamo sentito la nostra coscienza che ci faceva conoscere che non li dicevamo come si doveva, e noi ci siamo acquietati pensando che era la stessa cosa. Quante volte ci siamo accorati di conoscere troppo bene i nostri peccati, ed anche di conoscerne tanti, perché ci trovavamo assai colpevoli, invece di ringraziare con tutto il cuore Iddio di questa grande grazia? Quante volte non abbiamo scelto il momento in cui il sacerdote aveva meno tempo, perché non potesse farci qualche domanda? Quante volte abbiamo detto i nostri peccati in fretta, senza lasciare al sacerdote tempo di farci confessare qualche notevole circostanza, che si doveva assolutamente far conoscere, perché la confessione fosse buona? – Non parlerò di coloro, F. M., che pregano Dio per trovar confessori che non li costringano a lasciare le loro cattive abitudini. Non vogliono certo morire in esse; ma non sono risoluti di abbandonarle subito. Ahimè! sono poveri ciechi che corrono nell’inferno a passi da gigante, e forse senza pensarvi. Ma quanti ve ne sono che, per ignoranza o per timore, non vogliono nemmeno prendersi la briga di esaminarsi, né distinguere le circostanze che aggravano il peccato o ne mutano la specie. – Non entrerò in grandi particolari, perché l’anno scorso, vi ho spiegato tutto questo abbastanza. Vi accusate d’aver lavorato alla festa; ma non dite per quante ore, né quante persone avete fatto lavorare, né se era durante le sacre funzioni; né quante persone vi hanno visto e son rimaste scandalizzate. Vi accusate, è vero, d’aver mangiato di grasso nei giorni proibiti; ma non dite quante persone abbiano mangiato per causa vostra, e quante, avendovi visto, si sono scandalizzate, e forse, imitarono il vostro esempio; non dite se avete indotto anche i vostri figli ed i vostri domestici. Vi accusate d’aver mangiato di grasso, ma non dite se l’avete fatto per empietà, ridendovi dei precetti della Chiesa; dite che non ci avete pensato; ma non dite che ne fu causa la vostra golosità. Vi accusate d’aver lasciate alcune pratiche di pietà: il Benedicite, l’Agimus, l’Angelus, il segno di croce passando davanti ad una croce o ad una chiesa; ma non dite se fu per rispetto umano, ciò che aumenta considerevolmente il vostro peccato. Vi accusate d’aver avuto distrazioni nelle vostre orazioni; ma non dite se fu durante la S. Messa, e nel fare la vostra penitenza, il che spesso è peccato mortale, mentre non lo è nelle altre preghiere della giornata. Dite che avete cantato cattive canzoni; ma non dite quanto in esse v’era di cattivo, né se alcuno vi ascoltava; non dite se le avete insegnate ad altri, né se avete pregato altri di insegnarvele. Vi accusate di aver parlato male del prossimo; ma non dite se fu di vostro padre, di vostra madre, o di persone consacrate a Dio, il che aggrava il vostro peccato; non dite nemmeno che l’avete fatto per odio, per vendetta o per gelosia, o se avete cercato chi gli voleva male, per meglio parlare a vostro agio. Dio mio! quante cose a cui non si pensa! Dio mio! quante confessioni sacrileghe! Ma ecco, F. M., un’astuzia di cui il demonio si serve per ingannare e perdere un gran numero d’anime. Una persona avrà taciuto un peccato, due, tre, o se volete, dieci anni fa: troppo tormentata, se ne accusa come se l’avesse commesso dopo la sua ultima confessione, e poi si crede tranquilla, sebbene non abbia detto quante confessioni e comunioni abbia fatte in quello stato, né accusato di nuovo tutti i peccati commessi e confessati dopo quel momento. Dio mio, quale accecamento! Costui lungi dal cancellare il suo peccato, non fa che aggiungere un nuovo sacrilegio agli antichi. Ah! F. M., chi potrebbe dirvi il numero delle anime che il demonio trascina nell’inferno a questo modo? Altri, che avranno commesso qualche grave peccato, non osando accusarlo, domanderanno di fare la confessione generale, per unire questo peccato agli altri, come se l’avessero commesso da lungo tempo. V’ingannate, la vostra confessione non vale nulla. .Dovete accusare particolarmente tutti i peccati che avete commessi da quando avete ricevuta l’ultima assoluzione, se volete che la vostra confessione sia buona. Ecco qui un altro laccio che il demonio ci tende. Quando vede che i peccati taciuti non tormentano troppo, cerca di tranquillizzarci, dicendoci che li confesseremo la prima volta che torneremo a confessarci, e lo fa sempre nella speranza che, prima d’allora ci colga la morte, oppure Dio ci abbandoni. Sì, F. M., il sacrilegio è un delitto che ci allontana talmente da Dio, e spegne sì presto in noi la fede, che spesso, malgrado tutti i mezzi che abbiamo per uscire da questo stato, non lo facciamo; e questo è per un giusto castigo di Dio, attiratoci dai nostri sacrilegi; eccone uno spaventoso esempio. Il padre Lejeune racconta un fatto, che ci dice d’aver raccolto dalla bocca di chi ne era stato testimonio. Narra che presso Bruxelles viveva una povera, cheagli occhi del mondo, adempiva esattissimamente i suoi doveri di religione. La gente l’aveva in concetto di santa; ma la povera disgraziata taceva sempre un peccato vergognoso che aveva commesso nella sua giovinezza. Essendosi ammalata, della qual malattia poi morì, restò come tramortita per alcuni momenti, poscia ripresa la cognizione, chiamò sua sorella che la serviva, dicendole: “Sorella mia, sono dannata. „ Quella poveretta s’appressò al letto dell’inferma e le disse: “Sorella, tu sogni, svegliati, e raccomandati al buon Dio. „ — “Non sogno, no, rispose ella, so bene ciò che dico; ho visto il posto che mi è preparato nell’inferno.„ La sorella corse subito a cercare il parroco. Non essendo questi i n casa, suo fratello, che ne era il vicario, venne subito a vedere la povera ammalata: è da lui, ci dice il padre Lejeune, che ho saputo il fatto, predicando una missione in quei dintorni. Accompagnandoci, ci fece vedere la casa abitata da quella povera donna; e ci fece piangere tutti raccontandoci il fatto. Ci disse che entrato nella casa, s’avvicinò all’ammalata: “Ebbene! buona donna, che avete dunque visto, che vi è parso così spaventoso? „ — “Reverendo, gli rispose ella, sono dannata; ho veduto il posto che mi è preparato nell’inferno, perché, una volta, ho commesso il tal peccato. “E lo confessò davanti a tutti quelli che erano nella camera. “Eh! mia buona donna, ditemelo in confessione, e ve ne assolverò.„ —- “Signore, gli rispose, sono dannata. „ — “Ma, le disse il sacerdote, siete ancora in vita e potete ancora salvarvi; se volete, vi darò un biglietto scritto col mio proprio sangue, col quale m’obbligherò, anima per anima, a dannarmi per voi, se voi per caso lo foste, purché vogliate domandar perdono a Dio e confessarvi. „ — “So benissimo, le rispose essa, che se voglio domandar perdono con tutto il mio cuore a Dio, Egli mi perdonerà; so che posso riparare a tutti i miei sacrilegi; ma non voglio domandargli perdono, perché da troppo tempo abuso delle sue grazie e lo crocifiggo coi miei sacrilegi.„ Il sacerdote rimase per tre giorni e tre notti a piangere presso l’ammalata, senza poter farle fare un solo atto di contrizione, né indurla a confessarsi; anzi, un momento prima di morire, ella rinnegò il buon Dio, rinunciò al suo Battesimo e si diede al demonio. Mio Dio, che disgrazia! Capite, F . M., che cos’è il profanare i Sacramenti? Non vedete che, malgrado tutti i mezzi che abbiamo per riparare il male fatto, non ce ne serviamo? Ahimè! se il buon Dio ci abbandona per punirci delle nostre colpe, che ne sarà di noi? Quanti peccati sono di questo numero, senza sembrare tali agli occhi del mondo, ma che agli occhi di Dio non sono meno colpevoli! Quanti si trovano in questo stato, non perché tacciono i loro peccati, ma perché non hanno contrizione, perché non si correggono affatto delle lor cattive abitudini; sono sempre gli stessi, in loro non si vede mai alcun cambiamento in meglio. Dio mio, quanti Cristiani dannati, e che, agli occhi del mondo, sembrano essere buoni! Vedete dunque, F. M., che se noi comprendessimo bene che cos’è ricevere i Sacramenti, vi recheremmo disposizioni ben diverse da quelle che vi portiamo. È vero che la maggior parte, tacendo i loro peccati, conservano sempre il pensiero di accusarli; ma, senza un miracolo, si perderanno egualmente. Se ne volete sapere il perché, è facilissimo dirvelo: perché più restiamo in questo stato spaventoso che fa fremere il cielo e la terra, e più il demonio prende potere su di noi, più la grazia di Dio diminuisce, e più s’accresce il nostro timore, più i nostri sacrilegi si moltiplicano e più andiamo indietro; e quindi ci mettiamo nella quasi impossibilità di rimetterci in grazia di Dio. Potrei citarvene cento esempi. Ma, ditemi, F. M, forseché, dopo aver trascorso nel sacrilegio cinque o sei anni, durante i quali avete oltraggiato il buon Dio più di tutti i Giudei insieme, osate ancora credere che Dio vi darà tutte le grazie necessarie per uscire da questo stato spaventoso? Credete forse, che di fronte a tante atrocità di cui vi siete resi colpevoli verso Gesù Cristo, non avete che a dire: “Abbandonerò il peccato;„ e che tutto sia finito? Ahimè! amico mio, e chi vi garantisce che Gesù Cristo non vi abbia fatto la stessa minaccia che fece ai Giudei, e non abbia pronunciato contro di voi la stessa sentenza che pronunciò contro di essi: “Voi non volete approfittare delle grazie di cui volevo colmarvi; ma io vi abbandonerò, e voi mi cercherete, e non mi troverete e morrete nel vostro peccato. „ (Giov. VIII, 21). Ahimè! F. M., quando la nostra povera anima è nelle mani del demonio, non ne esce così facilmente come noi crediamo. – Ecco, F. M., ciò che fa il demonio per ingannarci: quando commettiamo il peccato ce lo dipinge come cosa da poco. Ci fa pensare che molti altri ne commettono ben più di noi; oppure, che ce ne confesseremo, accusandone quattro invece di due. Ma quando il peccato è commesso, fa tutto il contrario: ce lo rappresenta come una montagna, e ce ne ispira tanto orrore che non abbiamo più la forza di confessarcene. Se siamo troppo tormentati per aver taciuto un peccato, per rassicurarci, ci dice che lo accuseremo nella prima confessione; poi, ci dice che non ne avremo il coraggio, che bisogna aspettare un’altra volta per dirlo. Guardatevi bene, F. M., solo il primo passo costa; una volta entrati \ nella prigione del peccato, è ben difficile uscirne! Ma, fra tutti i peccati, quello che ci fa commettere maggior numero di sacrilegi, è quello contrario alla santa virtù della purità (… e quello che si commette allungando le mani alla roba altrui – nota del Beato); questo maledetto peccato reca con sé tale infamia, che ci trascina ad ogni sorta di sciagure; e, vedremo, nel giorno del giudizio, che la maggior parte delle confessioni cattive furono rese tali da questo peccato. Si racconta nella storia, che un giovane fin dai suoi primi anni s’era consacrato a Dio. S’era di più ritirato in un bosco per vivere da solitario. Per le sue grandi virtù era diventato oggetto d’ammirazione in tutti i dintorni; si parlava di lui come d’un santo. Ma il demonio che non poteva tollerare tanta virtù in un uomo sì giovane, mise in opera tutte le sue arti per rovinarlo. Continuamente lo perseguitava con cattivi pensieri. Il giovane ricorreva subito alla preghiera domandando al buon Dio la forza per non cadere. Il demonio non gli lasciava pace né giorno né notte, sempre nella speranza di guadagnarlo. Ahimè! il povero giovane, stanco di combattere, a poco a poco si arrese; e finalmente, nel suo cuore acconsentì ad un desiderio d’impurità. Ebbe appena acconsentito a quel desiderio, che tosto si sentì turbato. Quanto è vero che allorché il peccato entra nel nostro cuore, la pace se ne va! – Vedendosi vinto s’abbandonò ad una così profonda tristezza che nulla poteva consolarlo; piangeva continuamente: “Ah! Pelagio, diceva, parlando tra sé, come ti sei lasciato troppo presto ingannare! tu, che poco fa, eri un figlio diletto di Dio, ed ora, sei schiavo del demonio: bisognerà pur che te ne confessi e faccia penitenza del tuo peccato. Ma, se lo confesso, che si penserà di me? Perderò la mia stima presso il sacerdote. „ In mezzo a tanti pensieri, andò verso la porta del suo eremitaggio, e vide passare una persona vestita da pellegrino, che gli disse: “Pelagio, perché vi abbandonate ad una sì profonda tristezza? chi serve un Dio tanto buono, non deve esser così triste; se l’avete offeso, fate penitenza, confessatevi, e senza dubbio Dio, che è sì buono, vi perdonerà.

„ — “E dove m’avete conosciuto? domandò Pelagio.„ — “Vi conosco benissimo, rispose il pellegrino, voi siete Pelagio, tenuto da tutti per un santo. Se volete uscire da questa tristezza, confessatevi, e riavrete l’antica pace dell’anima e la vostra primiera tranquillità. „ Il povero Pelagio restò tutto stupito di quanto gli diceva il pellegrino, e lo invitò a sé; ma guardando da ogni parte, non lo vide più, perchè era scomparso: ciò che gli fece capire che era un avvertimento del cielo. Allora risolse di fare una austera penitenza, capace di placare la giustizia di Dio; e per meglio eseguire il suo disegno, risolse di andare in un monastero vicino dove si esercitavano grandi austerità. Si presentò al superiore dicendogli che aveva un grande desiderio di vestire il sacro abito. L’abate e tutti i religiosi ne provarono grande gioia, molto più perché era considerato come un gran santo. Infatti quando fu nel monastero, era sempre il primo nelle pratiche di pietà; faceva rigorose penitenze, portava sempre il cilicio e digiunava esattissimamente. Dopo qualche tempo, cadde ammalato e parve certo che dovesse morire. Il buon Dio nella sua misericordia, in compenso di tante virtù che aveva praticate nel monastero, gli mandò forti ispirazioni di confessarsi del peccato taciuto; ma egli non ebbe mai il coraggio di accusarlo, trattenuto sempre dal timore della vergogna, mentre confessava tutti gli altri peccati con vivo dolore. Un momento dopo ricevuto il santo Viatico, morì. I religiosi fecero i funerali, non come quelli d’un morto ordinario, ma di un santo di cui si cominciava già ad implorare la protezione presso Dio. Tutti gli abitanti dei paesi vicini venivano in folla per raccomandarsi allesue preghiere. Ahimè! come Dio giudica diversamente dagli uomini. La notte seguente, essendosi il sagrestano alzato per suonare il mattutino, e passando per la chiesa, gettò gli occhi sul luogo dove era stato sepolto Pelagio; s’accorse che il cadavere era fuori di terra, e pensando che non l’avessero ben interrato, lo seppellì senza dir nulla. Ma all’indomani lo trovò ancora fuori della sua tomba; e notò che la terra l’aveva rigettato al di fuori. Andò dall’abate e gli raccontò quanto aveva visto. L’abate fece radunare tutti i religiosi e comandò che andassero in chiesa. Presso al sepolcro di Pelagio, pregarono nostro Signor Gesù Cristo di far conoscere la sua volontà, se forse il defunto dovesse essere sepolto in un luogo più onorevole; si rivolsero anche al morto, dicendogli ad alta voce : “Voi, Pelagio, che siete stato sì obbediente nella vostra vita, diteci se Iddio vuole che il vostro corpo sia messo in un luogo più degno. „ Allora il defunto gettò un grido spaventoso, esclamando: “Ah! me disgraziato, per aver taciuto un peccato in confessione, sono condannato al fuoco dell’inferno finché Dio sarà Dio; se volete assicurarvene, avvicinatevi e guardate il mio corpo.„ L’abate s’avvicinò e vide il suo corpo tutto infuocato, come i pezzi di ferro posti in una fornace. Allora il defunto disse che la volontà di Dio era ch’egli fosse gettato sul letamaio come una carogna. Ahimè! che disgrazia, F. M.! quanto gli sarebbe stato facile salvarsi, poiché era un santo riguardo alle altre virtù! Dio mio, che disgrazia! per non aver avuto la forza di confessare un solo desiderio cattivo, che, appena nato nel suo cuore, aveva subito detestato! Ahimè! quanti rimorsi e quante lagrime per tutta l’eternità! Ahimè ! F. M., quante cattive confessioni fa commettere questo peccato, o meglio, quante anime conduce nell’inferno! Ahimè! quanti, fra quelli che; ascoltano, sono di questo numero, ed ai quali occorrono tutte le loro forze per non farsi conoscere! Ah! amico, lasciate libero il corso ai vostri rimorsi, lasciate scorrere le vostre lagrime, venite a gettarvi ai piedi del Signore, e troverete la pace e l’amicizia del vostro Dio, che avevate perdute. – Ma, voi pensate, non credo che vi siano cristiani capaci di tacere i propri peccati, perché ne sarebbero troppo tormentati. — Ah! F. M., se dovessi giurare, per affermare che ve ne sono, non esiterei a dirvi che fra quelli che m’ascoltano ve ne sono almeno cinque o sei lacerati dai rimorsi, e ben persuasi che quello che dico è vero; del resto abbiate pazienza, lo vedrete nel giorno del giudizio, ed allora vi ricorderete di ciò che oggi vi dico. Dio mio! la vergogna od il timore possono farrimanere un Cristiano in uno stato sì spaventoso! Ah! amico mio, che cosa vi preparate? Non osate aprirvene al vostro pastore? ma c’è forse lui solo nel mondo? Non troverete sacerdoti che vi faranno la carità di accogliervi? Pensate che vi si imporrà una penitenza troppo lunga? Ah! amico, non sgomentatevi! sarete aiutato, se ne farà per voi la maggior parte; si pregherà per voi, si piangeranno i vostri peccati, per attirare su di voi in maggior copia le misericordie di Dio! Amico mio, abbiate pietà di questa vostra povera anima, che ha tanto costato a Gesù Cristo!… Dio mio! chi potrà mai comprendere l’accecamento di questi poveri peccatori? Avete taciuto un peccato, amico, ma bisognerà pur che un giorno sia conosciuto, e agli occhi di tutto l’universo; mentre, con una parola l’avreste nascosto per sempre e cambiato il vostro inferno in una eternità di gloria! Ahimè! dove un sacrilegio conduce questi peccatori! non vogliono morire in questo stato, ma non hanno la forza di uscirne. Dio mio, tormentateli in modo che non possano più resistervi!…

3° Ho detto, in terzo luogo, che la mancanza di contrizione rende cattive le nostre confessioni. Sebbene, da ciò che ho detto, abbiate visto quante persone fanno cattive confessioni, vi dirò ora che, esaminato tutto, la mancanza di contrizione sarà la causa del maggior numero di confessioni sacrileghe. Non voglio estendermi su questo perché ve ne parlerò forse domenica; vi dirò solo per ora che non dobbiamo confessarci senza domandare di tutto cuore al buon Dio la contrizione con ferventi preghiere. È vero, F. M., facciamo assai bene preoccupandoci di ottenere la grazia di ben accusare i nostri peccati; ma dobbiamo ancor più preoccuparci di sapere se abbiamo la contrizione dei nostri peccati. Quando abbiamo la disgrazia di tacere un peccato, ci pare di aver nell’anima una tigre che ci divora; e della mancanza di contrizione non ci interessiamo. Ma, mi direte, che cosa bisogna fare per averla? — Dovete anzitutto domandarla al buon Dio qualche tempo prima di confessarvi, e se volete sapere se l’avete, il che è facilissimo, vedete se avete mutato vita. Perché la nostra confessione non ci lasci alcuna inquietudine, bisogna, che dopo aver confessato i nostri peccati, possediamo le virtù contrarie. Bisogna che l’umiltà, il disprezzo di noi stessi, prenda posto dell’orgoglio e di quella buona opinione che abbiamo di noi; bisogna che lo spirito di carità, di bontà e di misericordia, prenda il posto dello spirito di odio, di vendetta, gelosia e d’invidia; bisogna che lo spirito di distacco dai beni di questo mondo succeda allo spirito d’avarizia, di cupidigia, ed al desiderio d’ingannare il prossimo; bisogna che lo spirito di mortificazione e di espiazione dei propri peccati, prenda il posto della golosità e dell’amore dei piaceri del mondo: bisogna che la bella virtù della purità salga su quel trono dove dominava il vizio infame. Ah! che dico, F. M.? bisogna che il fervore e l’amore alia preghiera e la vigilanza nel respingere le tentazioni del demonio, succedano alla tiepidezza, alla negligenza ed indifferenza per tutto ciò che riguarda Dio, e la salute dell’anima; e che la dolcezza, la pazienza occupino il posto della collera, degli scatti d’ira e d’ogni sfogo di sdegno; in una parola: noi eravamo peccatori; ora che ci siamo confessati, dobbiamo cessare di esserlo. Ahimè! F. M., se non vediamo in noi questi cambiamenti, dopo tante confessioni e comunioni, tremiamo, o piuttosto, ritorniamo indietro, perché non ci sia dato di sentirne, m a troppo tardi, la necessità.

4° Ho detto in quarto luogo, F. M., che le nostre confessioni non valgono nulla, quando non diciamo, almeno più esattamente che ci è possibile, il numero dei nostri peccati mortali. Vi son di quelli che si accontentano di dire: “Mi accuso d’aver bestemmiato, d’aver cantato cattive canzoni, e nulla più. „ Le vostre confessioni non saranno mai buone, se non determinate il numero dei vostri peccati mortali. E vero che non si può sempre dirlo esattamente, ma bisogna accostarvisi per quanto è possibile.

5° In quinto luogo una confessione è cattiva, quando ricevendo 1’assoluzione, non si ha l’intenzione di compiere la penitenza che il sacerdote ci impone. Non dovete accontentarvi di confessare d’aver tralasciato la penitenza; ma bisogna dire che confessandovi non avevate l’intenzione di farla; poi, se l’avete tralasciata per negligenza. Se l’avete omessa volontariamente ed avevate confessato peccati mortali, commettete un nuovo peccato mortale. Dobbiamo sempre compiere la penitenza in ginocchio, eccetto che il sacerdote ci dica che possiamo farla stando seduti. Alcuni la fanno camminando, lavorando; questo non è soddisfare alla penitenza. Non dovete mai cambiarla da voi stessi, né farla cambiare da un altro sacerdote, eccettuato che non possiate andare da quello che ve l’ha imposta; e questo cambiamento non deve farsi che quando vi è impossibile Compierla. Alcuni sanno poco leggere: se si impone loro qualche preghiera che sia nei libri, per orgoglio, non vogliono dire che non sanno abbastanza leggere e poi la dicono tutta sbagliata. Dovete dire semplicemente che non sapete abbastanza leggere, affinché il confessore ve la cambi, e, se questo vi è capitato parecchie volte, dovete dirlo in confessione, affinché ve ne sia data un’altra.

6° Ho detto in sesto luogo che la mancanza di restituzione rende sacrileghe le nostre confessioni. Non parlo di quelli che hanno derubato od ingannato il prossimo, e non se ne confessano: costoro sono già perduti; ma dico che coloro ai quali il confessore ha imposto qualche restituzione, se nel momento in cui ricevono l’assoluzione, non hanno l’intenzione di farla, la loro confessione non vale nulla; e se, potendolo, non avete restituito come avevate promesso, confessandovi dovete dirlo. Convenite dunque con me quanto sia necessario dare di quando in quando un piccolo sguardo alla propria vita passata, per riparare le cattive confessioni che, anche senza saperlo, avremmo potuto fare.

II. — Ma, ahimè! . M., che vita disgraziata conducono quelli che tacciono i loro peccati in confessione, e restano con tali carnefici nel cuore! Pensate sempre che li accuserete in qualche confessione, o prima di morire. Amico mio, voi siete cieco, non lo farete mai: il demonio o nelle vostre confessioni, od in punto di morte ve lo impedirà come ve lo ha impedito sino ad ora. Se ne dubitate, ascoltatemi, e vedrete che è vero; chi vive nel sacrilegio è quasi sicuro di morirvi. Racconta il padre Giovanni Romano, della Compagnia di Gesù, che il famoso Giovanni d’Avila, predicando in una città della Spagna, fu chiamato ad ascoltare la confessione d’una giovinetta che per le cure della madre era stata allevata in ogni più bella virtù. La madre non mancava di comunicarsi ogni sabato in onore della santa Vergine. Morta la madre, la figlia continuò nella stessa divozione, aggiungendovi parecchie elemosine, digiuni ed altre buone opere. Udendo spesso predicare il Padre Giovanni d’Avila ne era sinceramente commossa, e si sentiva vivamente portata alla virtù. Caduta inferma, lo fece pregare di venire a visitarla, perché desiderava confessarsi da lui. Sebbene la sua malattia non fosse molto pericolosa, voleva provvedere presto alla salute della propria anima. Il Padre le concedette con gioia ciò che domandava. Essa cominciò a confessarsi con segni d’un dolore sì vivo e con una sì grande abbondanza di lagrime, che il Padre era stupito di trovare, almeno in apparenza, una sì bell’anima. Finita la confessione, il Padre se n’andò tutto consolato: avendole data l’assoluzione, la lasciava, sempre, almeno in apparenza, in una grande sicurezza della sua salute. Accadde intanto un fatto straordinario. Il fratello, che padre d’Avila aveva condotto con sé, stando in un’altra stanza, vedeva uscire di quando in quando dalla parte del muro, una mano nera tutta pelosa, la quale stringeva la gola dell’ammalata, in modo che sembrava volesse soffocarla. Il fratello, vedendo questo, restò fortemente stupito. Tornato al convento si presentò al superiore, egli raccontò quanto aveva visto. Il superiore gli domandò se ne era ben sicuro. Ed il fratello: ” Ne sono sicuro come sono sicuro d’esser qui davanti a voi. Per un momento ne ho dubitato, ma raddoppiata 1’attenzione, ho visto tutto ciò che vi dico. „ Allora il superiore chiamò padre Giovanni e, sebbene fosse di notte, gli comanda di ritornare dall’ammalata, dicendogli di fare ogni possibile per indurla a riconciliarsi, se si sentiva qualche cosa che non la lasciasse quieta. Il Padre partì collo stesso compagno. Quando furono alla porta sentirono pianti e gemiti; appena ebbero battuto, un valletto venne a dir loro che la padrona era morta, che quasi subito dopo essersi confessata aveva perduto la parola e l’uso dei sensi, sicché non aveva potuto comunicarsi. Dopo aver vista la defunta, ritornarono al convento dove informarono il superiore di quanto era accaduto: cosa che l’afflisse molto. Il Padre che aveva confessato l’ammalata fu preso da un sì grande dolore che si mise a piangere amaramente, e se n’andò davanti al Ss. Sacramento, ove prostrato, cominciò a pregare il Signore per il riposo di quella disgraziata giovane, domandando che volesse liberarla dall’eterna dannazione. Dopo aver pregato per qualche momento, sentì un gran rumore, come di grosse catene trascinate per terra. Voltatosi là donde sentiva venire il  rumore, vide davanti a sé una persona circondata da capo a piedi di catene e di fiamme tenebrose. Il Padre, senza spaventarsi, le domandò chi fosse. Ella rispose: “Sono l’anima di quella disgraziata giovane che siete venuto a confessare stamattina, sono quella per la quale ora pregate, ma invano. Ho ingannato tutti colle mie ipocrisie, e colle mie false virtù. Bisogna che voi conosciate quelle ipocrisie. Dopo la morte di mia madre, un giovane s’innamorò di me; dapprima opposi qualche resistenza; ma poi egli vinse la mia debolezza. Se il mio fallo fu grande, fu ben più grande la ripugnanza a confessarlo, che il demonio suscitò in me; io sentiva vivi rimorsi di coscienza; il pensiero dei tormenti in cui ora mi trovo mi era un supplizio. Inconsolabile, e non cercando che di uscire da questa pena, avevo deciso parecchie volte di confessarmene; ma la vergogna ed il timore che il confessore perdesse la buona opinione che aveva di me, me lo impedivano sempre. Così continuai le mie confessioni e comunioni. Quando sentivo le vostre prediche, esse erano tanti dardi che mi ferivano il cuore, e finalmente risolvetti di confessarmi da voi: per questo vi feci chiamare. Ah! avrei dovuto cominciare da’ miei sacrilegi, e non dalle piccole mancanze! Poiché dopo, non ebbi più la forza di accusarvi il mio peccato taciuto. Ed eccomi ora dannata per sempre! Non perdete il vostro tempo a pregare per me. „ — “Ma, qual è la più grande delle Vostre pene? „ le domandò il Padre. “È il vedere, risposegli, che avrei potuto salvarmi confessando il mio peccato, colla stessa facilità con cui lo faccio ora, senza però che adesso ne abbia alcun merito. „ E dopo scomparve, mandando grida spaventose e facendo un orribile fracasso colle sue catene. Ah! F. M., quale stato orrendo è mai quello di un’anima che compare davanti al tribunale di Gesù Cristo rea di sacrilegi. Frughiamo nei più segreti ripostigli delle nostre coscienze e se sentiamo qualche rimorso, cerchiamo di farlo dileguare con una buona confessione, che è il solo rimedio, poiché né le penitenze, né le elemosine potranno ripararvi. Ahimè! F. M., un povero Cristiano in questo stato non ricava alcun merito da tutte le sue buone opere, per lui tutto è perduto pel cielo. Dio mio, si può vivere con sacrilegi sulla coscienza, soprattutto quando ci sono noti? Non si è già all’inferno per i rimorsi che continuamente si provano? È possibile gustare qualche piacere nella vita? . S. Antonio ci racconta ciò che il buon Dio rivelò ad un santo prelato, mentre ascoltava la confessione d’una persona che, per vergogna, taceva un peccato d’ impurità. Il santo vedendo accanto ad essa un demonio, gli domandò che cosa facesse in quel luogo. Il demonio rispose che adempiva ad un ordine di Gesù Cristo. “Che! gli disse il santo, da quanto tempo osservi gli ordini di Gesù Cristo ?,,“Sì, disse il demonio, io che avevo tolta la vergogna a costei, perché più arditamente peccasse, ora gliela restituisco, affinché vinta dalla vergogna, non confessi il suo peccato.„ Dio mio! quant’è da compiangere un orgoglioso e com’è in pericolo di dannarsi; poiché, infatti, se noi tacciamo i nostri peccati, se non li diciamo quali sono, questo non è che effetto d’orgoglio. Dio mio! acconsentire a dannarsi, o meglio, cambiare l’umiliazione di cinque minuti con quella d’una eternità!… Ahimè! quei poveri dannati accuseranno i loro peccati taciuti ed i loro sacrilegi per tutta l’eternità senza poterne ottenere il perdono; mentre, in questo mondo, una semplice accusa ad un sacerdote pieno di carità, che ci aiuta a domandare perdono al buon Dio e che desidera al pari di noi la nostra salute, ci avrebbe salvati. Ah! no, no, F. M., questo non si può capire! portare il proprio accecamento fino a tal punto!… Siete caduto, amico mio, senza dubbio avete fatto molto male; ma rialzatevi presto, poiché ancora lo potete; forse un altro giorno non lo potrete più: eccone la prova. Si narra nella storia che un missionario era andato notte tempo, da un’ammalata. Vedendo che la malattia era mortale, avvicinatosi al letto, le disse: “Signora, eccovi vicina a render conto a Dio della vostra condotta, temo assai che abbiate taciuto qualche peccato in confessione; se non ve ne accusate, vi dannerete: riflettete. „ — “Possibile, esclamò l’ammalata, debbo morire? Riconosco, disse al missionario, che da molto tempo mi confesso malissimo, tacendo per vergogna alcuni peccati.„ Ma dicendo questo, perdette la parola, e senza poter dire una sola sillaba, morì in questo stato miserando e, certamente si dannò. Ahimè! in quale orribile stato compariranno costoro nel giorno del giudizio, trovandosi coperti di sacrilegi! Ah! diranno “montagne copriteci, crollate su di noi, nascondeteci a Dio„ (Apoc. VI, 16) come noi abbiamo nascosto i nostri sacrilegi agli occhi del mondo! Ma no, tutto si vedrà e tutto comparirà davanti all’universo. Ah! quale rammarico d’aver vissuto tre o quattro anni, forse, in questo stato, divorati dai rimorsi di coscienza senza aver voluto rimediarvi! – Ma, ditemi, che deve pensare una persona che si rende colpevole di questo peccato, quando riceve l’assoluzione? Che deve pensare quando il sacerdote le dice: “Andate in pace, e procurate di perseverare?„ Ah! se essa sentisse Gesù Cristo che, dall’alto dei cieli, grida al suo ministro: “Fermati, fermati, disgraziato: quel sangue prezioso che fai scendere su quell’anima grida vendetta, e scriverà la sua condanna: fermati ministro, io condanno e maledico quest’anima. „ Ah! disgraziato, tu hai tradito il tuo Dio! Va, va, perfido Giuda, accostati alla sacra Mensa per compire l’opera del tuo furore! Va a dargli la morte! Ah! F. M., se sentiste Gesù Cristo che dal fondo del suo tabernacolo vi grida: Fermati, fermati, figlio mio! Ah! di grazia, risparmia il Padre tuo! Perché vuoi farmi morire? Fermati, fermati, figlio mio, risparmia il tuo Dio; perché vuoi dargli il colpo mortale? „ Ah! se un Cristiano fosse capace di comprendere l’enormità del suo delitto, potrebbe spingere ad un simile eccesso il suo furore contro un Dio sì buono, un Dio che ci ama più di se stesso, che non vuole e non desidera che la nostra felicità? Dio mio! un Cristiano che avesse commesso un delitto così orrendo, quale è il sacrilegio, potrebbe ancora vivere? Non gli parrebbe di udire incessantemente dentro di sé una voce, quale l’udiva quel giovane che aveva ucciso suo padre : “Figlio mio, perché mi hai ucciso, perché mi hai tolta la vita?„ Un Cristiano che avesse avuta questa disgrazia, potrebbe ancora fermare i suoi occhi su quella croce, volgere il suo sguardo verso quel tabernacolo: oh! che dico? verso quella sacra Mensa dove ha fatto morire Gesù Cristo suo Dio e suo Salvatore in un modo così orribile e spaventoso? Sì, F. M., questo peccato è orrendo, ed è purtroppo assai comune; vi sarebbe da morire al solo pensarvi!… Che dobbiamo dunque concludere da quanto abbiamo detto? Ecco: dobbiamo usare tutti i mezzi possibili per ben fare le nostre confessioni; non dobbiamo mai ricevere l’assoluzione quando abbiamo qualche cattiva abitudine, se non abbiamo l’intenzione di correggercene; non dobbiamo confessarci mai in fretta; non cercare mai i termini che possano mitigare l’accusa dei nostri peccati, od attenuarli ai nostri occhi o a quelli del nostro confessore, e non confessarci mai senza domandare a Dio la contrizione dei nostri peccati. Finalmente, se anche da venti, trent’anni, avessimo taciuto alcuni peccati, non dobbiamo dar retta a nessun pretesto; ma bisogna confessarli subito: e se siamo sinceri, stiamo certi che il buon Dio ci perdonerà; mentre invece, se aspettiamo in punto di morte, o non potremo fors’anche, per un castigo terribile della giustizia di Dio, come abbiamo visto, non lo vorremo. Quando siamo tentati di tacere qualche peccato, pensiamo subito ai rimproveri che il nostro confessore stesso ci farà nel giorno del giudizio, quando vedrà che l’abbiamo ingannato. Sì, operiamo come vorremmo aver fatto all’ora di nostra morte, a tutto andrà bene. È ciò che..