LA NATIVITA’ DELLA SANTISSIMA VERGINE MARIA (8 Settembre 2020)

Natività della Santissima Vergine

[A. NICOLAS: LA VERGINE MARIA secondo il Vangelo – Parte II. Milano, C. Turati ed. 1857]

Noi abbiam percorso tre gradi del destino della santissima Vergine: — la sua predestinazione; — la sua preconizzazione profetica; — la sua Concezione immacolata. Si vuol considerar ora la sua natività. Il Vangelo non fa conoscere nulla di particolare intorno alla natività e all’infanzia della santissima Vergine: si tien pago di dire che si chiamava Maria, che era moglie di Giuseppe, e che Gesù Cristo è nato da Lei: Jacob autem genuit Joseph, virum Maria, de qua natus est JESUS, qui vocatur Christus (Matt. I, 6).V’è anzi questo di straordinario, nel silenzio del Vangelo su tale argomento, che le due genealogie che vi sono date di Gesù Cristo procedono, sia risalendo, sia discendendo, da Giuseppe, padre putativo di Gesù Cristo, ed evitano di mentovare il parentado proprio della santa Vergine. Così, noi sappiamo, dal Vangelo, quali erano gli autori e gli antenati di Giuseppe, e non sappiamo, direttamente almeno, quali erano quelli della santa Vergine. Il che è tanto meno naturale, nelle genealogie di Gesù Cristo, perché Gesù Cristo non ha ricevuto il sangue dei suoi avi che per mezzo di Maria. Da un altro lato, quanto più il Vangelo mette nell’ombra  la filiazione di Maria, e tanto più mette in luce la sua maternità. Saltando di pie pari tutto ciò che risguardala nascita e l’educazione di lei, appena egli ci dice che essa è madre. Il medesimo momento presenta la Madre e il Figliuolo alla nostra attenzione, e noi non intendiamo il nome di Maria senza udire incontanente anche quello di Gesù: Maria de qua natus est Jesus. Tutto ciò non è senza ragione e parla a chi sa intenderlo. – Ciò significa, cosa da noi già riconosciuta nel capitolo precedente, che Maria è tanto la figlia di Adamo quanto la madre di Gesù; che Ella non trae la sua nobiltà da’ parenti, ma che tutto al contrario i suoi parenti sono nobilitati da lei, e non solo i suoi parenti immediati, ma la casa di David, la tribù di Giuda, il popolo ebreo, il genere umano, tutta quanta la creazione; nobiltà che medesima trae da Gesù Cristo. – Conforme a quello che abbiamo detto, che Maria è destinata per essere madre di Dio, e non solamente destinata, ma creata a quest’unico fine da quel Dio medesimo che ha voluto esser fatto da Lei, è vero il dire, non in una maniera generale, ma in un modo tutto particolare, che essa è la figlia di quel Gesù di cui è la madre; la figlia del Dio e la madre dell’uomo; la figlia e la madre dell’uomo-Dio; e che così, come disse felicemente un padre, la sua genealogia comincia dalla Divinità e finisce coll’umanità del suo Figlio. Perciò il Vangelo non poteva parlarci più convenientemente di Maria che tenendo poco conto della sua filiazione naturale, e non parlando che della sua maternità divina, lasciandoci ignorare chi era suo padre, per far risaltare solamente chi era suo figliuolo: Maria, della quale nacque Gesù, chiamato il Cristo (Matt. I, 16); MARIA DI GESÙ, come la chiamavano gli apostoli (Secondo una lettera di sant’Ignazio martire, loro discepolo). Se tutto il Cristianesimo consiste in questa verità, scritta nel sublime principio del Vangelo di san Giovanni, che il Verbo « die il potere di diventar figliuoli di Dio  a tutti que’ che ricevettero, che non sono nati per via di sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo, ma da Dio medesimo; e che per ciò il Verbo è stato fatto carne ed abitò tra di noi; » quanto convenientemente è nata da Dio questa Vergine, che la prima, la sola, in una maniera così ineffabile, ha ricevuto in persona il Verbo medesimo, e da cui noi tutti abbiam ricevuto; in cui e da cui questo Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi! Essa non ha dovuto rinascere, come noi, per un’azione della grazia, posteriore alla sua nascita naturale. Questa grazia ha prevenuto in lei la natura: ella se n’è impadronita, l’ha penetrata, formata, elevata sin dall’istante della sua concezione, sino a far di lei sua figliuola, nel disegno di renderla acconcia ad essere la madre di Gesù. Essa la faceva sin d’allora con tutte le qualità fisiche e morali ch’Ella doveva, come madre, comunicar poscia all’umanità del suo Figlio. Questo è un pensiero altrettanto sodo che commovente e glorioso per la santissima Vergine. Proviamolo con alcune riflessioni. È nella natura che i figli ritraggano della loro madre, filii matrizant, come dice il proverbio latino; ma quanto più devono ritrarre da una madre vergine! II sangue, gli umori, il latte onde la santissima Vergine ha formato e nutrito Gesù, hanno dovuto produrre in lui ciò che noi li vediam loro produrre naturalmente ne’ figliuoli rispetto alla loro madre: la somiglianza, la trasmissione del temperamento, della complessione, de’ costumi, del carattere, della fisonomia, ma in un grado incomparabilmente perfetto che nelle filiazioni ordinarie; perché Maria sola vi ebbe parte, e perché, nella calma profonda e verginale della sua natura immacolata, nessun turbamento, nessun soffio impuro dal di fuori è venuto a stornare e alterare questa santa trasmissione. – San Paolo dice del Figliuolo di Dio: « Annichilò sé stesso, presa la forma di servo, fatto simile agli uomini, è per condizione riconosciuto qual uomo, » et habitu inventus ut homo (Fil. II, 7). E il medesimo san Paolo fa osservare altrove che il Figliuol di Dio è stato fatto tale, da una donna, factum ex muliere: non nato, ma fatto: espressione energica, la quale mostra che il Figliuol di Dio nonha preso in prestanza il seno di Maria per apparire solamente figliuolo dell’uomo, ma ha voluto essere fatto da Lei medesima, e ha voluto trarre da Lei questa somiglianza e questa fisonomia d’uomo. Dal che si può conchiudere che Egli aveva la fisonomia di Maria, habitu inventus ut Maria, come ciascuno di noi è fatto a somiglianza della propria madre, e molto più ancora per le ragioni che abbiamo or ora accennate. – A dir breve, Gesù Cristo è così perfettamente uomo come è perfettamente Dio: e questa è una verità incontrastabile. La natura umana ha dunque dovuto produrre in Lui i suoi più puri effetti: tanto più puri perché la natura è stata perfezionata dalla grazia in tutta la sua pienezza in Maria. Ora, importando l’effetto della natura umana ria che i figliuoli siano l’immagine de’ loro parenti, Gesù Cristo doveva come uomo essere l’imagine di Maria, come era qual Dio l’immagine del Padre celeste. Così insegna san Tomaso d’Aquino: Filius non minus Matris quam Patris imago est (Cit. da Contenson). Così nel fisico come nel morale, Gesù, fatto da Maria, doveva esserne umanamente il ritratto; si doveva potergli applicare il verso del poeta: Sic oculos, sic ille manus, sic ora ferebat. E questo è certamente ciò che faceva dire ai popoli della Giudea in vedendolo: « Non è ella sua madre quella che chiamasi Maria? » (Matt. XIII, 55). Ma così era perché Maria era essa medesima preventivamente il ritratto di Gesù; perché, come abbiam detto, Ella stessa, la prima, aveva ricevuto dal suo Dio queste qualità, questi costumi, questi lineamenti per trasmetterglieli; così era insomma, perché Ella era stata fatta da Lei in quanto Dio, come Egli aveva voluto essere fatto da Lei in quanto uomo. –  Il Verbo creatore, da cui tutto è stato fatto, si è così preparato Egli stesso la sua umanità nella madre sua. Egli ha voluto, dice san Bernardo, che Ella fosse vergine, perché da Lei senza macchia Egli fosse prodotto senza macchia; Egli ha voluto che Ella fosse umile, perché uscisse da Lei dolce ed umile di cuore. Voluit itaque esse virginem, de qua immaculata immaculatus procederet: voluit et humilem, de qua mitis et humilis corde prodiret. – Così di tutte le altre qualità, di tutte le altre doti che doveva avere la sua umanità, e. di cui Egli aveva messo come la provisione in Maria. – Come un artista la prima cosa comincia a fare in piccolo modello la figura che si propone di eseguire in grande, cosi Dio « fa già apparire nella natività di Maria, dice Bossnet, un Gesù Cristo abbozzato, se così posso dire, un Gesù Cristo cominciato con una espression viva e naturale delle sue perfezioni infinite (I Serm. Sulla natività della santa Vergine). » Ricordando il magnifico pensiero di Tertulliano, che quando Jebova-modellava il primo uomo egli non affezionava sì seriamente a questa formazione se non perché « in quel fango che Egli lavorava, aveva in pensiero il Cristo che si doveva far uomo: » Quodcumque limus exprimebatur, Christus cogitabutur homo futurus. Bossuet fa questa riflessione, che prega i suoi uditori in pesare attentamente: « Se è così che, sin dall’origine del mondo, Dio, creando il primo Adamo, pensasse a disegnar in lui il secondo; se è in vista del Salvatore Gesù Egli forma il nostro primo padre con tanta cura, perché il suo Figliuolo ne doveva uscire dopo una così lunga serie di secoli e di generazioni interposte; oggi che vedo nascere la beata Maria che lo deve portare nelle sue viscere, non ho io maggior ragione di conchiudere che Dio, creando questa divina fanciulla, aveva il suo pensiero in Gesù Cristo e non lavorava che per Lui? Christus cogitabatur » (ibid.). Ricordando al popolo ebreo la sua elezione nella persona di Abramo, Isaia diceva: « Ponete mente alla pietra donde voi foste tagliati e alla sorgente donde voi foste tratti (Is. LI, 1). « Ora, questa pietra informe è primieramente  il genere umano creato da Dio in vista della divina figura di Gesù Cristo che Egli deve estrarne. Ma fra questa prima e quest’ultima operazione, Dio gliene fa sostenere diverse altre che lo raccostano successivamente al suo glorioso fine. Egli lo sgrossa, per così dire, ne trae sulle prime il popolo di Israele, poi la tribù di Giuda, poi la casa di David; e ciascuno di questi abbozzi, avendo di mira Gesù Cristo, nasce per così dire da questo tipo divino in quella appunto che lo attua. Ma infino a questo punto tutto fu collettivo nell’opera di Dio: fu un popolo, una tribù, una famiglia. Fra quest’ultimo stato dell’opera e il suo fine non vi sarà Egli alcun intermediario individuale che sia come l’apprestamento di questa grande opera; che ne nasca per recarla immediatamente ad effetto, e in cui il gran fabbro non abbia a fare altro più che mettervi l’ultima mano: che dico? che a mettervi sé medesimo. È questo il glorioso destino di Maria. Questo è ciò che la distingue da tutti i suoi antenati, da tutto il genere umano, da tutta la creazione, per porla col Figliuolo di Dio in un rapporto unico, incomparabile ed ineffabile, in quanto è individuale, immediato, verginale, materno, divino; il più avanzato di tutti i rapporti dell’umanità con Dio, dopo quello dell’unione ipostatica dell’umanità colla divinità del Verbo. E come, dice un santo dottore, a motivo di questa unione personale colla sua divinità, l’umanità di Gesù Cristo ha dovuto brillare di tutte le perfezioni della natura e della grazia nel loro più alto punto di eccellenza, così conveniva che, dopo la sua propria umanità, Dio adornasse di queste perfezioni la persona della Madre sua come quella che era con lui nella relazione più vicina che si possa concepire, poiché si può dire in certo qual modo che la maternità di Maria è coll’umanità di Gesù Cristo ciò che questa umanità è colla divinità che se l’è unita. È questa, dice il medesimo dottore, la ragione per cui dalla pianta de’ piedi sino al sommo del capo non si dovette ritrovar nulla in Maria che fosse sconveniente, difettoso, ributtante; tutto dovette esser fatto col più grande amore dalla divina sapienza, ammirabilmente scevro da ogni superfluità, lavorato con perfezione e con una squisita delicatezza. E questo è ciò che dice eccellentemente il Vangelo allora che egli chiama Maria piena di grazia, la qual parola nella sua brevità tien luogo d’ogni panegirico; sopra tutto quando si considera che ella non esce dalla bocca di un mortale, ma dalle labbra di un Angelo, ambasciatorc della corte celeste, quale espressione della sua ammirazione e del suo omaggio: AVE, MARIA, GRATIA PLENA. – Per far comprendere tutto il cumulo di grazie e di bellezze spirituali che questa espressione racchiude e che trovar si dovevano in Maria, Gersone ricorre all’allegoria di Pandora, sotto la quale l’antichità pagana aveva dipinto la perfezione della prima donna, donde è venuto tutto il male, non si accorgendo che essa dipingeva meglio la seconda, donde è venuto tutto il bene, Maria, la vera Pandora, che le Persone divine hanno a garììa dotato di tutti i doni, di tutte le grazie, gratia plena (Lasignificazione di Pandora equivale a quella di gratia piena di grazia). – Per mostrare la ricchezza di questa celeste dotazione,anima dunque Gersone tutte le grazie, tutte le virtù le fa venire a gara a ricolmar de’ loro presenti questa Vergine predestinata, figlia del Padre, madre del Figlio, sposa dello Spirito Santo. La purezza in persona si avanza per distendere colle sue mani la materia che deve formare il suo corpo: la previdenza per organizzarlo, la grazia per animarlo. Indi ciascuna parte è rivendicata da ciascuna virtù. La carità forma il suo cuore: la prudenza si applica a disporre il suo cervello; il pudore rotondeggia la sua fronte; l’affabilità versa la soavità sulle suelabbra; la decenza ferma sulle gote di lei la sua sede di predilezione; la modestia e la verginità spandono sopra tutto il suo corpo la grazia e l’incanto; finalmente tutte le virtù concorrono così felicemente a comporre questa Vergine insigne, che esse medesime, stupefatte dell’opera loro, possono appena riconoscerla in questa perfezione prodotta da un concerto cosi unanime, poiché ciò che tutte hanno fatto oltrepassa infinitamente ciascuna di esse. Questa allegoria non fa che tradurre la bellezza della santissima Vergine in linguaggio umano. La tradizione orientale e locale ne ha conservato l’impressione, e testimonianze apostoliche ce l’hanno tramandata. Noi non riferiremo qui cotali testimonianze per serbarci fedeli alla legge che ci siam fatta di non uscire dal Vangelo. In oltre ciò sarebbe superfluo: il Vangelo dice tutto quello che bisogna sapere a chi sa leggerlo sui ginocchi della Chiesa. Qualunque sia stato l’esteriore della santissima Vergine, una cosa non potrebbe esser dubbia, ed è che l’anima che informava il suo corpo doveva comunicarle le grazie di santità onde il Vangelo ci dice che essa era piena e mostrare in alto nel più alto grado questa parola dell’Ecclesiastico: Gratia super gratiam mulier sancta et pudorata. Le sue parole, il suo portamento, i suoi gesti, i suoi movimenti, i suoi atti, accordati, per cosi dire, al tono dell’anima sua, come le corde di una lira tocca dallo Spirito Santo, dovevano rendere i melodiosi accordi delle sue virtù, della sua modestia, della sua verginità, della sua umiltà, della sua dolcezza, della sua pazienza, della sua discrezione, della sua fede, della sua carità, della sua carità, finalmente della sua unione incomparabile con Dio, la più intima dopo quella dell’Uom-Dio. Tutta la sua persona doveva rivelare la verità di questa parola dell’Angelo: “Il Signore è teco. « Dominus tecum. «Parola che si può intendere, dice Nicole, non solamente dell’Incarnazione che poco stava a compiersi, ma ancora dell’abitazione di Dio nella Vergine, come nel suo tempio e sopra il suo trono: perocché egli vi abitava in una maniera particolarissima, empiendo tutta l’intelligenza e la volontà di Lei. essendo il principio di tutti i suoi pensieri, di tutti i movimenti del suo cuore e di tutte le sue azioni, e non permettendo che vi si mescolasse la menoma bruttura che potesse oscurarne la purezza. In guisa che queste parole, Dominus tecum, il Signore è teco, possono essere risguardate come la sorgente di quella pienezza di grazia che l’angelo le aveva attribuita (lib. II, de Virginibus). » – Di qui quel tipo così distinto che ci è rimasto della santissima Vergine, secondo il Vangelo, che esce fuori dal silenzio medesimo e dal raccoglimento di questa figura verginale in mezzo al rumore ed all’agitazione di tutte quelle scene divine che scuotevano il cielo e la terra e che la lasciavano così calma, avendo la parte più grande presso al suo Figliuolo, e la più riservata, la naturale naturale nel soprannaturale, la più iniziata ai misteri del cielo, di cui Ella conservava il segreto nel suo cuore con una fede che nulla smoveva, ed una fedeltà che non si smentiva mai. Tipo unico della Vergine che i gran maestri dell’arte hanno a gara tentato di esprimere, senza poterne mai esaurir la grazia e la maestà profonda, e che sant’Ambrogio dipingeva così in iscorcio: « Nulla di altero nello sguardo, nulla di sconsiderato nelle parole,  di avventato nel gesto, di abbandonato nel portamento, di precipitato nella voce; ma tutto l’aspetto del suo corpo era come il simulacro dell’anima sua e la figura della sua santità. Onde, nessun’altra scorta poteva meglio di sé medesima farla rispettare, mentre si rendeva venerabile collo stesso contegno e incesso, e pareva non tanto imprimere orme col piede quanto presentare esempi di virtù (S. Ambrosius, Lib. II: De virginibus.). –  Tale è l’impressione che risveglia ancora e risveglierà sempre il nome così dolce, così puro, così santamente grazioso di Maria; il più sparso e il meno comune di lutti i nomi; che si presta e non si dà mai a quelle che lo portano, cotanto è rimasto proprio alla Vergine che lo ha santificato, ed alla quale esso risale sempre, puro delle sue applicazioni, come il raggio risale al suo astro. E tale è il significato di questo nome ineffabile di Maria: Stella, stella del mare, stella del mattino, immagine delicata della venuta di Maria nel mondo. Questa è la stella di cui, quindici secoli prima, Balaam prediceva il levarsi, allora che, profetando la dominazione universale del Messia, diceva: « Io lo vedrò, ma non ora; fisserò in lui io sguardo, ma non da vicino: DI GIACOBBE NASCERÀ’ UNA STELLA, e spunterà da Israele una verga e percuoterà i capi di Moab e rovinerà tutti i figliuoli di Seth. (Num. XXIV, 17) » Profezia che gli antichi Ebrei intendevano concordemente del Messia; che, come riferisce Giuseppe, faceva la preoccupazione universale della sua nazione al tempo della venuta di Gesù Cristo, e che, secondo il medesimo storico e il Talmud, favorì il successo passeggero del falso messia Barckochebas, pel significato di questo nome, il quale significa FIGLIO DELLA STELLA. La stella il cui vero Figliuolo regna da milleottocento anni su tutti i figliuoli di Seth (Cioè sulla razza umana, essendo Seth figlio di Adamo), Maria, levandosi sull’orizzonte di questo mondo, è stata come l’alba del mattino della verità, come la punta del giorno della fede, che ha sparso nel mondo Gesù Cristo, luce eterna, come canta la Chiesa, QUÆ LUMEN ÆTERNUM MUNDO EFFUDIT JESUM CHRISTUM (Prefazio nelle Messe della santa Vergine). Ella è stata come l’aurora del Sole di giustizia, che allontana le ombre della legge e tinge il cielo de’ primi fuochi della grazia, come la Chiesa la saluta ancora: Quæ progreditur quasi aurora consurgens. Immagine felice che, meglio assai di tutte le fiacche e sparute applicazioni che ne hanno fatto i poeti, trova in Maria la sua verità, tutta la sua purezza. Di fatto, a quel modo che, subito dopo scorta l’aurora, si vede nascere come dal suo seno il corpo del sole, così Maria non appare nel Vangelo che in un rapporto prossimo con Gesù, Luce del mondo, che nasce da lei: Maria de qua natus est Jesus, simile ancora, per la sua verginità, all’aurora che non perde nulla né della sua purezza né della sua integrità col partorire il re degli astri e coll’essere la madre del giorno. Ma sopra tutto questo simboleggiamento dell’aurora conviene a Maria come espressione della verità che domina in questo studio, che Maria è la figlia della grazia di cui essa partorisce l’autore, come la prima chiarezza del mattino che si chiama l’aurora è prodotta dal sole prima che esso apparisca, prodotto egli stesso dal mezzo, dal seno dell’aurora.

DA S. PIETRO A PIO XII (21)

CAPO IX.

IL PONTIFICATO DI LEONE XIII

PREAMBOLO

Orma incancellabile

È passato quasi un cinquantennio dalla morte di Leone XIII [oggi più di un secolo – ndr.-], eppure egli vive nella nostra storia, nella storia della nostra cultura e della nostra attività quotidiana, nella storia della Chiesa e del mondo contemporaneo. Per un prodigioso fenomeno, che ancor oggi ci fa stupire, tutti, avevano dovuto inginocchiarsi davanti a lui. Non solo il poeta si accorgeva che il Papa era l’Uomo, che anche quando fievole mormora, il mondo l’ode; lo stesso incredulo, il nemico più irriducibile del nome cristiano, sentiva dinanzi a Leone XIII che nessuna potenza sulla terra poteva rivaleggiare con la forza morale del Papato. L’aristocratica finezza, lo splendore del genio e del sapere, la nobiltà della vita, il prodigio di lucidità d’una niente larga ed aperta, il nobile tatto avveduto d’una santa diplomazia conquistatrice, la sua squisita ed alta pietà non spiegavano ancora il fatto portentoso. Dalle urla di morte, che eran risuonate pochi decenni prima, si era passati ad un’epoca nuova, in cui, le parole d’oro della cupola michelangiolesca, s’imposero a tutti come una verità innegabile. Era Dio, che ancora una volta si rivelava nel suo Vicario; erano i nuovi, squilli di risurrezione, i nuovi trionfi della fede. – Lui vivente, chi lo guardava rimaneva estatico. La stessa, eccezionale longevità, la sua tremula persona, la figura diafana e quasi spiritualizzata, quell’esile corpo ischeletrito e quella vita tutta e solo concentrata nell’occhio vivo e scintillante, parevano ammonire che nel Papa non si deve considerare solo il vecchio venerando, ma bensì il Cristo vivente nella sua Chiesa. Egli parlava. E le sue parole gravi, austere e solenni, sembrava giungessero dalle regioni dell’al di là. Il suo non piegarsi mai al dominio delle vicende umane; il senso profondo dell’immortalità del Papato e della grandezza della missione che Dio gli aveva affidato; le conquiste è le primavere belle che si susseguivano alle primavere; le sue Encicliche, soprattutto, che eran battaglie e nel corso dì pochi anni si tramutavano in vittorie, tutto contribuiva a rammentare al mondo stupito le divine energie che rendono. forte e sicura la Cattedra di Pietro ed a far rifulgere allo sguardo di ognuno la vitalità soprannaturale del Papato. Quando il Vegliardo, che pareva quasi dovesse esser sottratto alla legge di morte, si addormentò con un sorriso alla visione dell’Infinito, quando parve allontanarsi dal mondo con lenta maestà, Egli sembrò un gigante. La voce dei popoli lo salutava uno degli spiriti più eletti che abbia avuto l’umanità, ed uno dei Papi più grandi, che abbia governato la Chiesa.

E quel giudizio resta immutato.

* * *

D. Chi fu eletto Papa alla morte di Pio IX?

— Il card. Gioacchino Pecci, che assunse il nome di Leone XIII.

D. Come lo si può chiamare Leone XIII?

— Il Papa delle mirabili Encicliche.

D. Che cosa sono le Encicliche?

— Secondo l’etimologia greca, sono lettere circolari, che i principi e i magistrati spedivano ai dipendenti. per comunicare leggi e disposizioni varie. Oggi designano le lettere che il Papa indirizza alla Chiesa universale in merito a questioni di fede e morale, od anche per commemorare uomini od avvenimenti di universale interesse.

D. Quale fu l’oggetto delle Encìcliche di Leone XIII?

— Fu il socialismo, la questione operaia, l’anarchismo, la democrazia cristiana, i limiti della potestà statale, il matrimonio e la famiglia, la libertà e la legge, la Chiesa e la civiltà. Tali encicliche costituiscono le tappe luminose del suo pontificato.

D. Qual è una tra le più importanti encicliche?

— La « Rerum Novarum » del 15 maggio 1891 intorno alla questione sociale, che risolse con criteri positivi, semplici, valevoli per un lungo tratto.

D. Fu sottolineata subito la sua importanza?

— Dapprima si restò più sorpresi che compresi, ma oggi si vede quale servizio abbia reso quest’enciclica alla Chiesa, risospinta più vigorosamente tra il popolo; allo Stato richiamato ai suoi compiti e ai suoi limiti; e alle classi restituite ai loro interessi ragionevolmente equilibrati. La « Rerum Novarum » ben merita il nome di « magna charta » della dottrina sociale cristiana.

D. Oltre che gran Maestro, che cosa si rivelò Leone XIII?

— Si rivelò altissimo in politica. I principi, interpretando ingiustamente il dogma dell’infallibilità pontificia, avevano lasciato nell’isolamento la s. Sede; Leone XIII procurò di rinnovare le buone relazioni con le altre Corti; poco per volta con tattica e prudenza vi riuscì, s’impose alle Nazioni, le ricongiunse diplomaticamente alla s. Sede e indusse persino Bismark, come si è visto, a riconoscere l’autorità spirituale del Papa e a sottomettervisi.

D. Altre nazioni lo chiamarono àrbitro nelle loro questioni politiche?

— Sì, quali la Spagna, il Portogallo, la Russia, l’Argentina, il Cile.

D. Che cosa dimostrò l’esposizione vaticana del 1888?

— Per la partecipazione di tutti gli Stati, meno l’Italia, per festeggiare il giubileo sacerdotale di Leone XIII, fu una prova splendida di amore e di venerazione di tutti i Cattolici, di rispetto e di stima di tutti, ma dimostrò altresì che il Papa, sebbene prigioniero, è pur sempre il faro posto da Dio nel mondo per condurre i popoli alla salute e alla felicità.

D. A che cosa s’estese ancora la cura di Leone XIII?

— Agli studi biblici, facendo sorgere la « Commissione Biblica »; alla Storia della Chiesa, aprendo gli Archivi Vaticani all’insigne storico Ludovico Von Pastor; agli studi filosofici, caldeggiando il ritorno allo studio di s. Tommaso d’Aquino. – Morì a 93 anni il 20 luglio 1903. – Il mondo intero, senza distinzione di parti, attonito di fronte alla sua molteplice attività e alle poderose realizzazioni raggiunte, lo proclamò grande.