SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMO 140: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, exaudi me

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 140

Psalmus David.

[1] Domine, clamavi ad te, exaudi me;

intende voci meae, cum clamavero ad te.

[2] Dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo; elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.

[3] Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiae labiis meis.

[4] Non declines cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis; cum hominibus operantibus iniquitatem; et non communicabo cum electis eorum.

[5] Corripiet me justus in misericordia, et increpabit me: oleum autem peccatoris non impinguet caput meum, quoniam adhuc et oratio mea in beneplacitis eorum.

[6] Absorpti sunt juncti petræ judices eorum; audient verba mea, quoniam potuerunt.

[7] Sicut crassitudo terræ erupta est super terram; dissipata sunt ossa nostra secus infernum.

[8] Quia ad te, Domine, Domine, oculi mei; in te speravi, non auferas animam meam.

[9] Custodi me a laqueo quem statuerunt mihi, et a scandalis operantium iniquitatem.

[10] Cadent in retiaculo ejus peccatores: singulariter sum ego, donec transeam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXL

Preghiera viva al Signore perché asterga nell’uomo le macchie dei peccati nel giorno contratte onde sicuro sia il riposo della notte.

Salmo di David.

1. Signore, a te ho alzate le grida, esaudiscimi; sii intento alla mia voce, quando io a te la rivolgo.

2. S’innalzi la mia orazione come l’incenso al tuo cospetto; sia l’elevazione delle mie mani come sacrifizio della sera.

3. Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca; e un uscio alle mie labbra, che interamente le serri.

4. Non permettere che il mio cuore studii maliziose parole, ad accettare scuse a’ peccati, (1)

5. Come fanno gli uomini che operano iniquità; e io non avrò parte alle cose che ei pregiano.

6. Mi correggerà il giusto con misericordia, e mi sgriderà; ma l’olio del peccatore non impingui mai la mia testa. (2)

7. Perocché l’orazione mia tuttora sarà contro quelle cose, delle quali ei sin compiacciono; perirono i loro principi infranti alla pietra. (3)

8. Udiranno come le mie parole sono state efficaci: come una grossa zolla di terra nel campo si sbriciola; così le nostre ossa sono disperse fin presso al sepolcro. Ma giacché a te mirano, o Signore, o Signore, gli occhi miei, io ho sperato in te, non isperder l’anima mia.

9. Guardami dal laccio che mi hanno teso, e dalle insidie degli operai d’iniquità.

10. Nelle reti di essa cadranno i peccatori. Solitario son io fino al tempo del mio passaggio. (4)

(1) “Cum electis eorum”, non significa, come immaginano coloro che non hanno letto il testo ebraico, “cum viris electis”, ma “cum electis cibis, o, secondo il senso letterale e l’espressione ebraica, “cum dulcibus cibis eorum”.

(2) La seconda metà del versetto 5 ed il versetto 6 sono forse, dice M. Le Hir, il passaggio più difficile del salterio. Tuttavia noi non ammettiamo che il senso indicato dal sapiente interprete, « ora ancora, la mia preghiera è per i miei nemici, in mezzo ai loro contrattempi ed i loro mali. » Il testo ebraico recita “in malitiis eorum”, invece che “in beneplacitis eorum”; il profeta vuol dire dunque: « La mia preghiera si leverà contro i vizi ed i crimini nei quali essi si compiacciono ».

(3) Noi propendiamo volentieri per il legame di questi versetti: “sicut crassitudo, etc.” con il seguente, ed il senso sarebbe: benché siamo stati a due passi dalla nostra perdita, io non ho cessato, Signore, di sperare in Voi. – “Sicut crassitudo terræ” come le zolle di terreno che disperde colui che lavora, le mie ossa sono state disperse ai limiti dell’inferno.

(4) “Singulariter”, cioè singularis, unicus, solus.

Sommario analitico

Davide, prevedeva la disfatta dell’armata del ribelle Assalonne (Secondo M. Le Hir, questo salmo sarebbe stato composto dopo la morte di Saul, e Davide vi protesta che egli non vuol prendere alcuna parte nel crimine di coloro che hanno causato la perdita di Saul, o ne gioiscono (3-6) e, poiché è ancora circondato da pericoli, prega il Signore di procurargli una liberazione completa,

I. Prima della vittoria, domanda:

1° la grazia di ben pregare, cioè che la sua preghiera:

a) sia esaudita a causa del suo fervore (1),

b) che si elevi a Dio come incenso,

c) che sia gradita a Dio come il sacrificio della sera (2);

2° la vigilanza sulle sue parole: a) egli chiede che sia messa una guardia alla sua bocca  perché egli parli sempre a sproposito, b) affinché non cerchi di scusare i suoi peccati (3, 4);

3° la fuga dalla società degli empi (4);

4° la pazienza:

a) per amare le reprimende dei giusti,

b) affinché abbia in orrore le adulazioni dei malvagi (5).

II. Dopo la vittoria, predice ed ammira:

1° la potenza della sua preghiera, che trionfa dei suoi nemici (6);

2° la rovina dei suoi nemici precipitati e schiacciati contro la pietra (6);

3° il ritorno e la docilità degli altri alle sue parole piene di forza e di dolcezza;

4° ma siccome, per il momento in cui parla, le sue forze sono dissipate come le zolle del terreno dopo il lavoro del contadino (7), si indirizza al Signore, lo prega di conservargli la vita a causa della sua preghiera piena di speranza (8), e di preservarlo dalle insidie dei suoi nemici (9);

5° egli annunzia la loro distruzione, congiuntamente con il suo ristabilimento sul trono (10).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-5.

ff 1, 2. — San Crisostomo, iniziando la spiegazione di questo salmo, indirizzava ai semplici fedeli del suo tempo le seguenti riflessioni, che non potremmo malauguratamente indirizzare ai Cristiani dei giorni nostri, ma che sono di un’applicazione rigorosa e scuotente per i sacerdoti che non conoscono le parole di questo salmo, che si canta in ogni età della vita, ma che sono pochi a conoscerne il vero senso. Ora, non meritiamo severi rimproveri lo quando si canta tutti i giorni, quando sulle labbra si hanno le parola di cui non si cerca di penetrare il senso e la forza? Voi, se intravvedete un’acqua pura e limpida non potete dispensarvi dal tuffarvi entro le vostre mani, dal dissetarvi. Colui che passeggia frequentemente in una prateria, non vuole uscirne senza aver raccolto qualche fiore. Ma per voi che, fin dai giovani anni fino all’estrema vecchiaia, non cessate di cantare questo salmo, non ne ricordate che le parole, mentre siete seduto su di un tesoro nascosto, portate da un fianco e dall’altro una borsa che resta chiusa: la curiosità non vi ispira il desiderio di comprendere ciò che significhi questo salmo … nessuna ricerca, ma elusione? Tuttavia non potete asserire che questo salmo sia così chiaro, da favorire la negligenza e non vi dia modo di cercare un senso che si presenta da solo (S. Chrys.). – « Signore io ho gridato verso di Voi, esauditemi. » Solo perché avete gridato, pretendete di essere esaudito e basando su questo motivo l’efficacia della vostra preghiera. Bisognerà dunque per pregare una voce forte e chiassosa? … No, il Profeta vuol parlare di un grido interiore che parta da un’anima infiammata di amore e da un cuore contrito. Colui che manda le sue grida, impiega tutte le sue forze, così come colui che grida dal fondo del cuore applica tutte le forze della sua anima (S. Chrys.) – Colui che non prega dal fondo del cuore, non prega, non si dà pena di dare alla voce della sua preghiera la forza e il fulgore delle gride. Può succede che coloro che cantano per abitudine o per interesse le lodi di Dio, gridino nel tempio o nella società dei fedeli, ma queste grida non saranno la preghiera del Profeta; non si verificherà mai che un uomo solo, ai piedi del suo oratorio, emetta grida nella sua preghiera, senza che un cuore sia toccato dal desiderio di ottenere ciò che desideri. Queste grida, del resto, sono più nel cuore che nella voce (Berthier). – Voi pensate che sia cosa finita quando avrete detto: « Io ho gridato verso di voi. »? Voi avete gridato per questo in piena sicurezza. Se la tribolazione è cessata, cessate egualmente le vostre grida; ma se restano ancora alla Chiesa ed al Corpo di Cristo delle tribolazioni da soffrire fino alla fine del mondo, il Corpo di Cristo non deve dire soltanto: io ho gridato verso di Voi, esauditemi; bisogna invece che dica ancora: « Siate attento alla voce della mia supplica, mentre grido verso di Voi. » La nostra indigenza non avrà per termine se non la nostra vita, e le nostre preghiere non devono cessare se non con il nostro ultimo sospiro. (S. Agost.). – Notate che il Profeta non dice: l’estensione delle mie mani, ma l’elevazione delle mie mani, perché l’estensione è ben diversa dalla elevazione. Un uomo può estendere le sue mani dietro di sé, o ai suoi lati, cioè verso i vizi, come Dio rimproverava al suo popolo: « Quando voi stenderete le vostre mani verso di me, io non vi ascolterò. » (Isai. I, 15). (S. Girol.). –  Tutte le qualità della preghiera sono contenute in questo versetto. Che la mia preghiera sia diretta verso di Voi come il fumo dell’incenso. Essa deve essere diretta dal Signore, perché senza il soccorso dello Spirito-Santo, noi non sapremmo, dice l’Apostolo, ciò che dobbiamo chiedere. – Essa deve essere fatta con purezza di intenzione, senza la quale non può salire, come l’incenso, fino al trono di Dio. – Essa deve essere sostenuta dall’attenzione dello spirito, perché, come il minimo soffio respinge il vapore dell’incenso ed impedisce di elevarsi nell’aria, così le distrazioni dello spirito dissipano la preghiera e rompono il corso che essa dovrebbe prendere verso il cielo. – Essa deve essere nell’ordine della volontà di Dio, così come i sacrifici della legge non potevano piacergli se non erano conformi al rito che Eli aveva prescritto. – Essa deve essere umile e fatta in spirito di sacrificio, qualità nominatamente espressa dalla comparazione di cui si serve il Profeta. – Essa deve essere fervente e partire da un cuore bruciante d’amore. L’incenso, di per se stesso è di odore gradevole, ma è sotto l’azione del fuoco che sprigiona tutto il suo profumo. Così la preghiera è buona di sua natura, ma diventa di molto migliore ed emette un odore più soave quando parte da un fuoco ardente. così come quando si pone l’incenso sul braciere acceso e sui carboni ardenti. – Essa deve essere costante, tal come i sacrifici della legge che non cessavano mai e si rinnovavano ogni giorno, mattino e sera. – Essa deve avere come scopo l’offerta per la santificazione delle nostre opere da Dio, ciò che il Profeta indica con l’elevazione delle mani. – Avete notato questo incenso che brucia nei nostri templi, nel giorno delle nostre grandi solennità? Vedete come si consuma al fuoco dell’altare, come si spande nel sacro ambiente, come si alza dolcemente verso i cieli! Sotto questo emblema materiale, la luce della fede spande un incenso misterioso che esce dal cuore dei Cristiani, si riunisce, si consuma nello stesso focolaio della carità, e di là risale verso Dio, come un profumo che bruci in coppe d’oro. Ma non è sufficiente che l’incenso sia nella coppa per bruciare e profumare lo spazio sacro, bisogna che si lasci polverizzare e che riposi su carboni ardenti; (Eccli. IV); solo allora si muta in vapori leggeri, ed il suo profumo è tanto più soave di quanto si possa ottenere con gli odori più delicati e variati. Così è per l’incenso e per la preghiera: esso non brucia e non si eleva fintanto che il fuoco dell’amore non lo abbia consumato, e più i carboni accesi del suo cuore sono ardenti, più il vapore è penetrante e profumato. Se ogni parte intima dell’anima, se ogni fibra del cuore ha dato ciò che possiede di più soave e di più divino, non saprebbe concepirsi nulla di più delizioso che il profumo di questa preghiera. O felice combustione dell’anima per mezzo della preghiera! O santa combustione dell’intelligenza, del cuore, della memoria, della volontà, dell’essere tutto intero! Felice l’uomo, dice San Crisostomo, che fa della sua anima un incensiere, che tutti i giorni vi pone carboni ardenti, vi riversa i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue affezioni, come un profumo preso e portato dalle regioni più ricche dell’Oriente! Felice l’uomo la cui vita è un incenso che brucia. (Mgr LANDRIOT. Prière, I, 46).

ff. 3, 4. — Due cose sono necessarie perché esca ciò che debba uscire, e non esca ciò la cui uscita è interdetta: un portiere ed una porta; una porta senza portiere non è sufficiente, perché questa porta sarebbe necessariamente o sempre aperta o sempre chiusa; un portiere senza porta non avrebbe un facile servizio; bisognerebbe sempre essere sul chi vive, e avere tanta forza per impedire l’entrata e l’uscita a chiunque volesse violare la consegna. Ma con una porta ed un portiere, ogni cosa diventa più sicura e più facile. (Bellarm.). – Il Re-Profeta comincia la sua preghiera con ciò che può essere, senza grande vigilanza, la causa di tutti i mali, e divenire, al contrario, per un’anima attenta, il principio di tutti i beni … così come è inutile avere una casa, una città, dei merli, delle porte, delle aperture, se nello stesso non ci sono anche dei guardiani che sappiano quando bisogna aprire e quando chiudere, così la lingua e la bocca non sono di alcuna utilità qualora non siano dirette dalla ragione; ad essa Dio ne ha affidato la cura con l’aprirle e con il chiuderle con ogni vigilanza, con tutta la circospezione possibile, filtrando le parole che deve lasciar uscire e quelle che deve invece ritenere. «La spada ne ha fatto perire meno della lingua. » – Così l’autore sacro dell’Ecclesiastico ci fa questa raccomandazione: mettete alla vostra bocca delle porte e delle sbarre, fate una bilancia per le vostre parole; (Eccli. XXVIII, 28); e in altra parte: « Chi darà una sentinella alla mia bocca, chi metterà un sigillo inviolabile sulle mie labbra, affinché io non cada, e la mia lingua non causi la mia perdita? » (XXII, 33). Dio solo lo può: « è dell’uomo – dice Salomone – preparare la propria anima, e del Signore governare la sua lingua. » – Noi abbiamo qui la nostra parte di azione, ed è per questo che il saggio ci dà il precetto di mettere alla nostra bocca una porta e delle sbarre. Ma egli vi fa pure implorare il soccorso di Dio, se noi vogliamo che i nostri sforzi siano coronati da successo. Poniamo dunque una guardia costante alla nostra bocca, che la nostra ragione le serva da chiave, non per tenerla sempre chiusa, ma per non aprirla se non in tempo opportuno. Talvolta il silenzio è più utile della parola, altra volta la parola è preferibile al silenzio. Se la bocca doveva essere sempre costantemente aperta, che bisogno c’era di mettervi una guardia? Se insieme ci sono delle porte ed una guardia, è perché noi facciamo ogni cosa nel tempo opportuno. (S. Chrys.). – Quali sono queste parole di malizia da cui il Profeta chiede a Dio di preservarlo? Esse sono numerose e di tipo diverso: le parole insidiose e perfide, quelle che fanno oltraggio a Dio, che ispirano l’allontanamento dalle virtù e l’amore del vizio, quelle che, spargendo cattive dottrine, risentendo dell’eco di costumi perversi, si fanno ascoltare con piacere, e molte altre simili, quelle cioè che sono parole di malizia, e che provengono da un cuore profondamente corrotto. (S. Chrys.). – Le parole di malizia più pericolose sono quelle che cercano di scusare i peccati, e che malauguratamente, mascherano sì abilmente le colpe che appena si riconoscono. – Una delle vie che conducono più direttamente alla morte, è lo stato di un’anima peccatrice che, liberandosi di ogni timore, cerca dei pretesti per coprire il proprio lassismo. Il peccato è un gran male, sicuramente, ma un male ben più spaventoso è negare il peccato dopo che sia stato commesso. (S. Chrys.). – Non c’è colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori non hanno fatto molto se non aggiungono l’audacia di scusare la loro colpa a quella di commetterla; e se poco era l’iniquità con lo spingerci a seguirla, essa si ingrandisce ancor più con il difenderla. Sempre, o qualcuno ci ha indotto, o qualche incontro imprevisto ci ha spinto nostro malgrado; diversamente, avremmo fatto … lo stesso. E se fuor di noi non troviamo su chi far ricadere la colpa, cerchiamo qualche cosa in noi che non venga da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, la nostra natura. È il linguaggio ordinario di ogni peccatore. Così, noi non abbiamo più bisogno di cercar delle scuse; il nostro crimine basta a se stesso, e non cerchiamo un mezzo più forte per la nostra giustifica, se non nell’eccesso della nostra malizia (BOSSUET, Sur l’effic. de la Pén.). – Occorre non aver nessun rapporto – soprattutto di intimità – con coloro che fanno il male e non prendere parte i festini o ai piaceri di questi uomini di iniquità. È nella società dei peccatori che si impara non solo a conoscere il crimine, ma a giustificarlo, a rivestirlo addirittura dei colori della virtù. I peccatori orgogliosi sono come la donna adultera di cui parla il saggio. Dopo il suo crimine, ella sembra ancora piena di fiducia, « … ella mangia, asciuga la bocca e dice: non ho fatto alcun male (Prov. XX, 20).

ff. 5. – « Ecco il senso del Profeta. Io non voglio aver alcun rapporto con coloro che mi propongono un linguaggio ingannevole per perdermi; io mi lego di preferenza a coloro che, più severi, mi indirizzano rimostranze utili, scoprono i miei peccati e riprendono le mie colpe. » In effetti, uno delle più grandi caratteristiche della misericordia e della carità è curare le ferite dell’anima. (S. Chrys.). – « Ma l’olio del peccatore non ingrasserà la mia testa. » Ma direte: cosa posso fare? Io sono preda degli ingannatori, essi non cessano di mormorare alle mie orecchie. Adulatori, ingannatori, mendaci, essi lodano in me ciò che non vedo, lodano in me ciò che non stimo, e ciò che mi è più caro,  invece in me lo riprendono … Che il peccatore non ingrassi la vostra testa con il suo olio; vale a dire, non vi rallegrate di simili parole, non le accettate, non vi acconsentite, non vi felicitate. Egli vi avrà presentato l’olio dell’adulazione, ma la vostra testa resti intatta, non si gonfi, non abbia rigonfiamenti. (S. Agost.). – Il Profeta compara le adulazioni dell’uomo perverso e corrotto ad un profumo velenoso; questi ha l’odore di un profumo squisito, ma porta la morte come il più fatale dei veleni. (Berthier). – Diffidiamo dunque delle lodi e dei complimenti degli uomini. Guardatevi dall’adulatore che spande profumi sulla vostra testa: sappiate che egli non fa scoprire il suo gioco, con questa immensa profusione di lodi che sparge a piene mani, egli si prende la libertà di denigrare la vostra condotta, o anche tradirvi senza essere sospettato. Chi non ti odierebbe o adulazione corruttrice della vita umana, con i tuoi perfidi abbracci ed i baci velenosi, perché sei tu che dai il divin Salvatore tra le mani dei suoi nemici implacabili? (BOSSUET, III Serm. p. le Vend. Saint.).  

II. — 6 – 10.

ff. 6, 7. Nulla di più facile e di così comune che l’avere compiacenza per coloro che ne hanno nei nostri riguardi: adulare coloro che ci adulano, amare coloro che ci amano, e divenire simile a loro. -Non soltanto, dice il Re-Profeta, non voglio le loro perniciose adulazioni, né le loro reprimende, ma mi dichiaro apertamente contro la loro lussuria, e lungi dall’accettare la loro falsa compassione, opporrò la mia preghiera ai loro colpevoli desideri. (S. Chrys.). – Il Profeta, in questi versetti, predice dapprima il castigo, poi il ritorno e la riconciliazione di una parte dei suoi nemici: gli uni precipitati e battuti contro la pietra, gli altri arrendevoli alla sua voce. (Berthier). – Parola di Dio è potente ed efficace, particolarmente sulla bocca di un uomo animato dallo spirito di Dio e santo, come Davide. Pure la terra più dura si apre sotto lo sforzo del vomere dell’aratro; così il cuore dell’uomo non resiste alla potenza ed all’efficacia della parola divina. – « Essi comprenderanno le mie parole, perché esse hanno prevalso. » Le mie parole hanno prevalso sulle loro parole. Essi hanno parlato da uomini loquaci, ed io, io ho detto la verità … Perché esse hanno prevalso? Perché sono state predicate da uomini che non avevano paura. Non avevano paura di cosa? Dell’esilio, della rovina, della morte, della croce. Non solo non temevano la morte, ma non temevano la morte di croce, che sembrava fra tutte, la più ignominiosa, perché l’aveva scelta il Signore. Dunque, è per essere state predicate da uomini senza paura che esse hanno prevalso. (S. Agost.). Questo è il ritratto vivo di un giusto gravemente tentato o ingiustamente perseguitato: le sue ossa, cioè la forza della sua anima, sono indebolite. Noi abbiamo sofferto mali estremi, dice il Re-Profeta; come una terra strappata, scavata in ogni senso, siamo stati dispersi, votati a rovina certa, portati all’orlo della tomba. Noi siamo sull’orlo del precipizio, e tutto ciò che possiamo fare, è non cadere. (S. Chrys.) 

ff. 8-10. – « Nel segreto mi hanno teso un laccio lungo la strada sulla quale avanzavo, » tanto quanto è ad essi possibile fare, perché lo hanno posto vicino alla via. « Voi ignorate, dice la scrittura, che avanzate in mezzo alle insidie, » (Eccli. IX, 20). Che vuol dire: « in mezzo alle insidie? » Sulla via del Cristo, da ogni lato ci sono insidie, insidie a destra, trappole a sinistra; a destra la prosperità del secolo, a sinistra l’avversità del secolo; le trappole di destra sono delle promesse, quelle di sinistra, delle minacce. Quanto a voi, camminando in mezzo alle insidie, non uscite dalla vostra strada; non vi lasciate né sedurre dalle promesse, né abbattere dalle minacce. « Nella via in cui avanzavo, mi hanno teso un laccio in segreto. » (S. Agost.). – Sempre ci vengono poste insidie, o dagli eretici, o dagli empi, o dai demoni. Le vie hanno una certa affinità con le virtù. I demoni mi tendono una trappola nella elemosina, se apro le mie mai ai poveri per essere visto dagli uomini, e apparendo nel fare il bene, cado nel vizio e nel peccato di vanagloria. Se do la mia tunica a mio fratello per essere visto da un altro, mi è teso ancora un laccio. (S. Girol.). –  Due cose sono da temere per la morte dell’anima: 1° le insidie del demonio che sono o la concupiscenza della carne, o la concupiscenza degli occhi, o l’orgoglio della vita; 2° i cattivi esempi e gli scandali di coloro che vivono secondo i desideri della loro carne, degli avari e degli orgogliosi. – Il Profeta domanda due cose: la prima, di conoscere le insidie che gli tendono i suoi nemici; la seconda di essere preservato dalla protezione del Signore (Berthier-Duguet). – Il Profeta non ignora i pericoli che corre la sua speranza, quando dice: « guardatemi dalla insidia che mi hanno teso e dagli scandali di coloro che operano l’iniquità. » Dappertutto in effetti, ci sono insidie, dappertutto scandali; il mondo è pieno di imboscate che ci sono mosse dal principe di questo mondo, o dagli spiriti di malizia sparsi nell’aria, o dai figli della disobbedienza nei quali opera lo spirito di errore. Insidie ci vengono tese dagli uomini di cattivo consiglio, o da pericolosi esempi, quando ci eccitano a prendere parte alle voluttà ed ai piaceri del mondo; quando manifestano empietà contro Dio in seno alla prosperità; quando con i loro insulti ed oltraggi, seminano turbamenti ed agitazione nella nostra volontà. Ora, l’insidia o il laccio, differisce dallo scandalo: l’insidia è una eccitazione alla voluttà, ad un’azione illecita che, come un’insidia, allaccia colui che si lascia prendere; lo scandalo è una sposa senza religione, un figlio dalla cattiva condotta, un fratello blasfemo, avaro, invidioso o schiavo di vergognosi vizi. Questi sono posti là come soggetti di scandalo che ci mettono nella necessità di irritarci, di riprendere, di reprimere, di punire ed uscire dalla calma abituale della nostra fede (S. Hilar.). – È una proposizione assoluta e senza restrizione, che i peccatori cadranno prima o dopo nelle insidie che essi avranno teso agli uomini giusti ed alla virtù. – in mezzo alle insidie che coprono la terra, il miglior partito che c’è da prendere è il ridursi alla solitudine, sempre che lo stato in cui ci si trovi possa permetterlo. « Io sono solo, fino a quando io passi.» Non sembra che egli si paragoni ad un uomo impegnato in una via difficile, o circondato da nemici che lo pressano e gli impediscono il passaggio? Non si crederebbe che si trovi all’entrata di una oscura foresta o di un fiume pericoloso, e che non aspiri che a lasciare questo cattivo stato più presto che gli sarà possibile? Questa è la vita di ogni uomo che giunga al termine che è l’eternità. Egli deve dire: … che il mondo, con le sue frivolezze, mi lasci tranquillo, « … fino a che io passi. » Cosa mi interessa tutta la grandezza umana, dal momento che « … io passo. »? Perché, durante questo passaggio, intraprenderò di soddisfare le mie passioni? Io non mi stabilirò su questa terra che non è il mio termine, e sulla quale non faccio che transitarvi. Un viaggiatore non si arresta, passa; questa è la sua unica cura, e non ne desidera che il fine, fine che non debba essere un luogo di passaggio, ma un soggiorno fisso ed immutabile (Berthier).

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (11)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (11)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo IV.

IL CUORE DI GESÙ E L’EUCARISTIA

Unione tra Cristo e noi.

È verità che l’unione definitiva degli uomini con Dio attraverso Gesù Cristo non possa avvenire qui sulla terra. Essa avrà luogo in cielo. Quando tutto ciò che è terreno e mortale in noi sarà stato sepolto sulla terra e consumato nel sepolcro, allora la nostra anima potrà unirsi a Dio con tutte le sue forze, ricevere nella sua intelligenza tutto lo splendore della luce divina, fare spazio nella sua volontà alle fiamme dell’amore divino, unendosi a Dio con le facoltà sensibili, ed essere – secondo San Paolo – uno e medesimo spirito con Lui, inebriarsi del torrente delle sue delizie, entrare nella sua gioia, godere della sua beatitudine. Allora – come dice ancora l’Apostolo – Dio sarà tutto per tutti gli uomini, e tutti gli uomini saranno uno in Gesù Cristo e nel Padre suo, come il Padre è uno con il Figlio, e il Figlio uno con il Padre. Solo allora tutti i desideri del Cuore di Gesù saranno soddisfatti. Mentre siamo sulla terra ci saranno sempre in noi elementi che si opporranno alla nostra perfetta divinizzazione, e la nostra unione con Dio e tra di noi, attraverso Gesù Cristo, non potrà mai essere perfetta. Ma non crediamo che questa impossibilità spinga il Cuore di Gesù a rinunciare alle sue aspirazioni. Anche se la nostra unione con Lui non sarà completa sulla terra, Egli non cessa di lavorare per la sua realizzazione. Se è obbligato a mantenere l’unione beatifica per una vita migliore, ne creerà sulla terra, nella Comunione eucaristica, una più adatta alla nostra esistenza attuale, attraverso la quale potrà soddisfare il desiderio di unione che l’amore per noi fa nascere nel suo Cuore. Nessun Santo Dottore ha espresso meglio di San Cirillo d’Alessandria l’amorevole piano che ha spinto il Divin Salvatore ad istituire questo Sacramento: « Per aiutarci a raggiungere la perfetta unione con Dio e tra di noi, per quanto lontani siamo l’uno dall’altro nel corpo e nello spirito, il Figlio unigenito di Dio ha adottato un mezzo degno della sua sapienza: santificare i fedeli nella Santa Comunione, con il cibo dello stesso corpo, il suo, che li rende “concorporali” con Se stesso e tra di loro. Chi potrebbe, infatti, mettere in discussione e negare l’unione sostanziale che si opera tra tutti coloro che questa divina delizia unisce a Gesù Cristo? Nutriti dallo stesso pane, non possiamo che formare un unico corpo, perché Gesù Cristo non può essere diviso… Egli è uno ed indivisibile; e quando i nostri corpi sono uniti al Suo, con la più intima delle unioni, i nostri membri sono suoi più che nostri. » San Paolo testimonia la realtà di questa unione corporea che contraiamo con Gesù Cristo partecipando alla sua carne divina, quando ci ha parlato di questo mistero di pietà: « Sconosciuto in passato ai figli degli uomini, ai quali lo Spirito Santo lo rivela ora attraverso gli Apostoli e i Profeti, è giusto sapere che tutti i popoli sono invitati a diventare parte dell’eredità divina, ad essere incorporati a condividere insieme i frutti delle promesse di Gesù Cristo. » (Ef.. III, 5-6). Come possiamo dubitare di essere una cosa sola con Lui e tra di noi, se siamo tutti “concorporei”, non solo tra di noi, ma con il Divin Salvatore, presente in ognuno di noi attraverso la sua carne? Comprendiamo dunque questa ammirevole economia? Il Figlio di Dio che ci aveva dotato di una natura spirituale e corporale allo stesso tempo e che, per riscattarci, volle formarsi un corpo e un’anima simile alla nostra, si è compiaciuto di unirsi a noi spiritualmente e corporalmente in questo Sacramento. Nell’Incarnazione, il suo corpo sensibile e palpabile gli era servito come mezzo per rivelarsi agli uomini, immerso nell’oscurità dei sensi. Quel Corpo divino è stato per tutta l’umanità il veicolo materiale della sua dottrina celeste e della sua grazia spirituale. Nell’Eucaristia lo stesso corpo gli servirà non solo per mostrarsi, ma per donarsi. Egli verrà a portare lo Spirito di grazia non solo in seno all’umanità, ma al cuore stesso di ogni singolo uomo. Gesù Cristo ha due corpi ugualmente reali: uno materiale, simile al nostro; l’altro mistico, le cui membra siamo noi. Attraverso la Comunione eucaristica, le membra del suo corpo materiale servono come cibo per i membri del suo Corpo mistico, come nella Redenzione gli servirono come vittima e come riscatto. Mangiando la carne del loro Capo, essi sono uniti più strettamente a Lui e, attraverso di Lui, l’uno all’altro. Più Lo ricevono, più gli appartengono. Ogni volta che lo prendono come cibo, essi incorrono in un nuovo obbligo di consacrare a Lui la vita che Egli conserva per loro. Infatti, come il Divin Salvatore può vivere solo per il Padre suo, così chi si nutre di Lui è obbligato a vivere solo per Lui (Giov. VI, 58). La Comunione eucaristica realizza sulla terra le aspirazioni del Cuore di Gesù e i disegni misericordiosi del suo amore. È il centro al quale convergono tutte le operazioni divine nell’ordine della grazia e l’immagine più perfetta che abbiamo in terra delle meraviglie celesti dell’ordine della gloria. La vita e la felicità degli Angeli e dei Santi del cielo viene dal possesso di Gesù Cristo stesso che, nell’Eucaristia, ci viene donato nella sua interezza. In loro questo possesso è accompagnato da una certa gioia, ma è privato del merito. In noi si compensa con il merito ciò che si perde in gioia. Questo Sacramento dell’amore significa che sono in vera ed intima unione non solo i Cristiani con Gesù e i Cristiani della terra tra di loro, ma anche gli abitanti della terra con quelli del cielo, gli uomini con gli Angeli, consumando così nell’unità vivente del Cuore di Gesù, tutta la creazione razionale.

Comunione eucaristica e creazione materiale.

Ma essa fa ancora di più: estende alla natura materiale le glorie di questa unione di tutti gli esseri con Dio attraverso Gesù Cristo. Natura e grazia non sono che due parti della stessa opera, armoniosamente subordinate l’una all’altra. Non perdiamo di vista questa verità di fede così cara enunciata da San Paolo. È bene sapere che le cose materiali della terra, così come le cose spirituali del cielo, sono state create per Gesù Cristo. Non hanno altro scopo se non quello di glorificarlo, e devono trovare in Lui, come nel loro comune Capo, la loro perfezione e la loro unità. I Santi avevano questa verità davanti a sé ed hanno anche scoperto nel libro della natura, bellezze e ragioni per amare Dio. Imitiamoli e consideriamo la creazione materiale nel suo rapporto con la Comunione Eucaristica. Sarà facile per noi comprendere che questa Comunione non è solo il punto di unione tra cielo e terra, ma anche il coronamento soprannaturale dell’ordine della natura. La natura è una scala vivente, i cui passi tendono a salire incessantemente, ad unirsi a quelli più alti ed a salire verso Dio. È un’unione ininterrotta, in cui gli elementi si uniscono ai minerali, questi alle piante, le piante agli animali e questi all’uomo. Ma sembra che lì l’unione sia interrotta. Tra l’uomo e Dio c’è un abisso che nulla può colmare, eppure deve essere colmato. Perché Dio ha fatto la creazione non per separarsene, ma al contrario per unirla a Sé. Con quali mezzi userà il suo amore per unire tra loro termini separati da una distanza infinita? Molti si sono offerti a Lui. Potrebbe Egli, innanzitutto, accontentarsi di dare all’uomo il potere di conoscerlo nelle sue opere, di amarlo come un servo ama il suo padrone e di meritare una mercede commisurata ai suoi servizi. Queste relazioni del Signore con il servo avrebbero stabilito tra l’uomo e Dio una certa unione, anche se molto imperfetta, realizzando i disegni misericordiosi dell’amore divino. Egli ha progettato che l’uomo vivesse della sua vita, che fosse animato dal suo Spirito e che fosse degno della gioia dell’eterna visione “faccia a faccia”. La nostra unione con Dio si fermerà lì? Dandoci il Suo Spirito ci unisce al mondo degli spiriti; ma il mondo dei corpi non può così partecipare alla gioia di questa intima comunicazione. L’opera dell’Amore divino sarebbe incompleta. Affinché non fosse così, il Figlio di Dio assunse un corpo simile al nostro. A quel corpo, composto come il nostro da elementi presi dal mondo materiale, Egli comunica una dignità veramente divina, perché è il corpo di un Dio. In Lui, quindi, il mondo dei corpi e degli spiriti è in comunicazione con Dio. Tuttavia, questa è un fatto solo parziale. In tutto il mondo materiale e nell’immensità dello spazio c’è un solo punto illuminato dagli splendori della divinità. Questo non basta per l’Amore divino, che vuole un’unione più intima ed estesa allo stesso tempo, un’unione più universale e perfetta. Come ottenere questo risultato? Il corpo dell’Uomo-Dio avrà il potere di riprodursi simultaneamente in tutti i punti dello spazio, di unirsi a tutti gli altri corpi, di darsi in pasto a tutti gli uomini, di farli comunicare con Sé e, attraverso di Sé, con la Trinità. Per operare questa unione, alla quale tutti i corpi e gli spiriti sono invitati, Gesù userà due sostanze che si trovano ovunque: il pane ed il vino. Non c’è un solo chicco di grano, un solo grappolo d’uva sulla terra che, in virtù delle parole sacramentali, non possa diventare il corpo e il sangue di Gesù Cristo. E poiché ogni chicco di grano ed ogni acino d’uva è composto da parti prese dagli elementi, dall’aria, dalla terra, la creazione intera, materiale e spirituale, realizza incessantemente la sua ascensione a Dio nell’Eucaristia. Questo è il modo di considerare la Comunione Eucaristica. Non è solo l’unione dell’uomo con Dio e dei Cristiani con gli altri Cristiani. È, inoltre, l’unione universale di tutti gli esseri creati con il loro Creatore, attraverso Gesù Cristo, il Mediatore Universale. Attraverso la Comunione eucaristica, il Cuore di Gesù ha così colmato l’abisso che separa il finito dall’infinito. Attraverso di essa, si completa in modo soprannaturale l’ascesa della natura verso Dio, che sembrava destinata ad essere incompleta. Attraverso di essa, Egli unisce continuamente il mondo della natura a quello della grazia, e quello della grazia a quello della gloria. Realizza così il piano di raccogliere in Sé, come nel comune Capo, tutte le cose del cielo e della terra. Cosa c’è di più bello dell’unità di tutte le cose nel Sacramento che in modo molto speciale può essere chiamato il Sacramento del Cuore di Gesù? Se ci soffermassimo su questi pensieri, sarebbe molto più facile per noi elevarci a Dio attraverso la contemplazione della creazione. Si comprenderebbe meglio il linguaggio con cui ciascuno degli esseri che lo compongono glorifica non solo il Dio invisibile che lo ha fatto uscire dal nulla, ma anche il Dio incarnato, in previsione del quale è stato creato. Con i Santi saliremmo i gradini di questa scala mistica che porta dalla terra al cielo, dal visibile all’invisibile, dalla creatura al Creatore. Non potremmo prendere il pane materiale che nutre il nostro corpo ed il vino che lo fortifica, senza desiderare il Cibo divino di cui queste sostanze sono al tempo stesso simbolo e veicolo. Così, in ognuno di quegli oggetti sensibili, che così spesso ci distolgono da Gesù Cristo e da Dio, troveremmo i mezzi per unirci a Gesù Cristo e, attraverso Gesù Cristo, alla Trinità.

Capitolo V

IL CUORE DI GESÙ SI IMMOLA INCESSANTEMENTE PER NOI NELL’EUCARISTIA

Immolazione del Cuore di Gesù

Il primo e principale aspetto dell’opera divina, che dobbiamo realizzare con il Cuore Divino, è il sacrificio, poiché la sua prima funzione sulla terra è stata la continua immolazione di se stesso. Il nostro primo dovere verso di Lui è quello di immolarci con Lui. Tra tutti gli atti di religione, il sacrificio è il più perfetto di tutti, il più glorioso per Dio, il più meritorio per l’uomo, perché è la testimonianza più significativa che l’uomo possa dare alla sovrana maestà di Dio, la più solenne dichiarazione che possa fare della sua completa dipendenza dalla potenza assoluta del Creatore. Il primo e principale aspetto dell’opera divina, che dobbiamo compiere con il Cuore Divino, è il sacrificio, poiché la sua essenziale attività sulla terra è stata la continua immolazione di se stesso. Il nostro primo dovere verso di Lui è quello di immolarci con Lui. Le parole sono solo un suono passeggero che proviene frequentemente dalle labbra. I sentimenti del cuore sono ascoltati solo da Dio, ed il suo linguaggio è più sincero di quello delle labbra, anche se non è sempre privo di illusioni. Ma, quando la creatura si offre da se stessa alla propria immolazione per onorare il suo Creatore, non riconosce forse che Egli è il principio della sua vita, l’arbitro supremo dei suoi destini? Questo è esattamente ciò in cui consiste il sacrificio. Esso non è solo la testimonianza di sentimenti, di parole o di atti: è la testimonianza della morte; l’osservanza della volontà onnipotente di Dio, non solo nell’accettazione del bene, ma anche del male; è il nulla e la tomba che ci obbligati a glorificare l’Autore della vita. Ma ciò che rende meritoria questa testimonianza è proprio ciò che sembra renderla impossibile: Dio non ha fatto le sue creature per niente e, nell’immolarsi, esse operano contro i suoi piani: « Voi non vi dilettate della nostra distruzione », diceva Tobia al Signore. E non c’è, infatti, nessun crimine che sia punito più severamente nella Scrittura che i sacrifici umani. Cosa possiamo fare per esprimere a Dio, attraverso il sacrificio, la nostra completa dipendenza, senza privarci della vita che Egli ci ha dato? Per molto tempo gli uomini non potevano fare altro che ricorrere al sacrificio di animali. Hanno sostituito la loro vita con quella degli animali. Sceglievano dai loro greggi i tori più grassi, o gli agnelli più teneri, e, immolando sull’altare dell’Altissimo quelle vittime, riconoscevano di dipendere da Lui non solo nei loro possedimenti, ma in tutto il loro essere. Fino a che punto questa testimonianza è stata degna della maestà di Colui al quale è stata offerta! Che cos’erano quegli agnelli o quei capri che venivano macellati per manifestare la grandezza dell’Altissimo? Non erano nulla di per sé, ma Dio li ha accettati come figure dell’Ostia Immacolata che, nella pienezza dei tempi, gli sarebbe stata offerta. Infatti, è nel seno di Maria che comincia a battere il Cuore che darà a Dio tutta la gloria che merita. Il suo primo battito fu l’inizio del suo sacrificio: « I sacrifici non potevano esservi graditi – disse a Dio Padre fin da quel primo momento – ma per rimediare alla loro insufficienza mi avete dato un corpo; così io ho detto: eccomi, sono pronto a fare la vostra volontà. » Avete bisogno di una vittima parimenti divina come Voi; perché la vostra infinita maestà e potenza siano riconosciute, deve essere sacrificata una vita di valore infinito. In realtà, la vita mortale del Salvatore non fu che una lunga immolazione, durante la quale Egli non cessò di offrire nel suo Cuore il Sacrificio che doveva offrire poi sulla croce. Il Sacrificio di sangue è durato alcune ore, mentre quello del Cuore è durato trentatré anni. Cosa manca ora alla gloria divina? Cosa manca nella testimonianza data all’Onnipotente dall’umanità? Quando un uomo, che è vero Dio accettò la morte in croce, in quel giorno ci fu una perfetta uguaglianza tra il saldo ed il debito. Quel giorno gli omaggi della terra erano in perfetta consonanza con la Maestà che riempiva il cielo. Ma il sacrificio è finito, la vittima ha lasciato l’altare e Dio Padre gli ha restituito la vita che aveva perso per amore. Cosa ci resta da offrire a Dio? Rimarremo senza sacrificio? La più perfetta delle religioni sarà privata dell’atto supremo della religione? Qui l’immenso amore del Cuore di Gesù chiamerà in suo aiuto la sapienza del Verbo di Dio. Il Cuore Divino aveva trovato i mezzi per iniziare la sua immolazione trentatré anni prima del sacrificio del Calvario. È giusto che ora trovi i mezzi per continuare il suo Sacrificio fino alla fine dei secoli. Colui che è immortale deve sottomettersi alla distruzione della morte, perché senza di essa non c’è sacrificio. Inoltre, il rinnovarsi del Sacrificio cruento del Calvario, deve avvenire non tutto in una volta e in un solo luogo, ma ogni giorno e in quasi tutti i punti dello spazio. Il Profeta infatti lo aveva annunciato e il Cuore di Gesù è incaricato dell’attuazione di questa parola: « Da est ad ovest il mio Nome è grande tra le nazioni, e ovunque l’ostia immacolata viene sacrificata e offerta nel mio nome. » La profezia non si è forse compiuta? L’Immortale non muore in ogni momento? L’Agnello Divino non è costantemente sugli altari? Qual clima, per quanto sia mortifero, quale regione è così barbara da non essere fecondata dal sangue di questa vittima divina? In quale momento del giorno o della notte non è immolato in qualche parte nel mondo?

L’immolazione eucaristica è solo apparente?

Diremo allora che questa immolazione è apparente, e che, di conseguenza, non può soddisfare le esigenze di una Religione perfetta, che chiede un vero sacrificio? Chi non vede che nel sacrificio reale ciò che piace di più a Dio non è la distruzione del corpo, come atto esteriore, ma la libera accettazione che ne fa il cuore? Se così non fosse, il sacrificio più glorioso per Dio sarebbe la morte incessante ed eterna che i condannati soffrono all’inferno. No, quello che Dio vuole è l’abbandono di un cuore così penetrato nel rispetto della sua sovrana Maestà, così pieno d’amore della sua infinita bontà, che dimentica se stesso, che si abbandona, si arrende, non fa conto di ciò che non sia Dio, e, contento di compiacerlo, accetta finanche la morte con la stessa volontà come della vita, la ignominia con tanta gioia quanto la gloria. Non sono queste le disposizioni del Cuore di Gesù nella Santa Eucaristia? Se è impassibile in se stesso, non è impassibile nella specie in cui è coinvolto. Sotto queste Egli è davvero soggetto ad insulti, ad oltraggi ed a rifiuti. Si guardi come si arrende a loro, con quanta sincerità si dona. C’è mai stata una vittima più obbediente? La morte stessa è per caso più passiva ed immobile? E qual è la causa di questa indifferenza? È per caso impotenza? No, perché quella Vittima-Ostia immobile è l’Autore della vita. Solo l’amore lo riduce in quello stato, l’amore per Padre suo ed il nostro amore. Cos’è che manca nel suo sacrificio perché sia il più libero, il più espressivo ed efficace di tutte le testimonianze date alla Maestà divina? D’altra parte, il Sacrificio che il Cuore di Gesù offre sull’altare non è un sacrificio isolato: è il rinnovamento perpetuo del Sacrificio del Calvario. Come il Cuore Divino ha potuto, trentatré anni prima, offrire quel Sacrificio di sangue, anche se il sangue non scorreva ancora, così potrà rinnovarlo ora e fino alla fine dei secoli, anche se il sangue non scorre. Era necessario che il sangue fosse versato una sola volta, perché quel Sacrificio, essendo pubblico, non poteva essere compiuto solo nel silenzio del cuore; ma avendo soddisfatto a questo requisito, cosa può impedire che il sacrificio si rinnovi frequentemente?

Noi completiamo l’immolazione eucaristica.

Il Sacrificio Eucaristico non è del tutto completo di per sé. La sua unione con il sacrificio del Calvario non è sufficiente a dargli tutta la perfezione che dovrebbe avere nella mente della Vittima divina. Sta a noi dargli il suo ultimo complemento. Poiché la terra continua ad oltraggiare la giustizia divina, è opportuno che l’espiazione di questi oltraggi non venga interrotta. I continui eccessi di sensualità e di orgoglio, devono essere contrapposti ad una reale e perpetua immolazione. Il sangue deve scorrere senza sosta, per lavare via le macchie con cui gli uomini non smettono di coprirsi. Ma quel sangue, che non può scorrere dal Cuore di Gesù, può scorrere dalle membra del Corpo mistico del Salvatore. Ed infatti, deve essere così. E se non fosse così, in che modo i membri sarebbero degni del Suo Capo? Come riconoscerebbe Dio Padre nei fratelli adottivi di Gesù Cristo, l’immagine del suo Figlio naturale? Non è forse l’unica condizione per la salvezza degli uomini, la loroà somiglianza con il modello divino degli eletti? E possiamo sperare di raggiungere la somiglianza con un Dio la cui vita di sacrificio è stata una continua immolazione, se ci rifiutiamo di immolarci con Lui? Non sarebbe ingiusto volere che il nostro Capo Divino si sacrifichi per l’espiazione dei nostri crimini, e rifiutarsi assolutamente di far parte di questa espiazione? Quando si incaricò di soddisfare per noi, non è stato per compensare la nostra impotenza. Offrendo se stesso per primo in sacrificio, ci ha messo a disposizione infinite soddisfazioni, che non potrebbero essere applicate a noi se non volessimo sacrificarci con Lui. – Anche se l’unione con il sacrificio del Salvatore non fosse di assoluta necessità, esso sarebbe comunque un obbligo d’onore. Ed infatti, supponendo che sia in nostro potere unirci alla più divina di tutte le opere di Gesù Cristo, il Sacrificio del Calvario, e che spettasse solo a noi dare al Sacrificio Eucaristico il complemento che gli manca, non saremmo forse noi felici di usare un tale potere? Questa indifferenza dimostra che non prestiamo attenzione ai desideri che il Cuore di Gesù ci manifesta assistendo alla sua immolazione eucaristica. Infatti, ogni volta che si Egli presenta a noi sull’altare, chiede il sacrificio di coloro che lo amano. In un altro tempo disse ai suoi Apostoli: « Sarò battezzato con un battesimo di sangue, e come sono in angoscia finché non sarà compiuto! » – Ognuna delle palpitazioni del suo Cuore aveva lo stesso merito dello spargimento di tutto il suo sangue. Ma quel merito non gli bastava, perché sapeva che gli uomini avevano bisogno della potente voce del sangue per uscire dal loro letargo. Perché vedeva ovunque che l’orgoglio e la sensualità avevano strappato via la gloria di Dio, proclamando che i piaceri e la gloria di questa vita sono gli unici beni dell’uomo. E ardeva dal desiderio di poter protestare contro queste menzogne e di gridare, con i tormenti e le ignominie della sua morte, che la gloria ed il piacere non sono nulla; che solo Dio merita il nostro amore. Per questo desiderava poter offrire, in faccia del cielo e della terra, quel Sacrificio che già da tempo aveva offerto nel suo cuore. L’orgoglio e la sensualità non esercitano lo stesso impero nelle anime e non rinnovano gli stessi oltraggi contro la Maestà divina? Il sacrificio del sangue versato liberamente e delle persecuzioni subite con amore è meno necessario oggi che in passato? Senza dubbio il Cuore di Gesù offre in esso il suo sacrificio mistico, di valore pari a quello della croce. Ma pur avendo lo stesso merito, non brilla allo stesso modo. C’è bisogno di qualcos’altro, quindi, per riparare alla gloria divina. È necessario che il battesimo di sangue sia rinnovato nel corpo del Salvatore. Il Cuore di Gesù assaporerà un’angoscia indicibile fino a quando i suoi membri non gli daranno la soddisfazione di vederlo riprodotto in loro. Questo è proprio quello che chiede ad essi: « Io faccio quel che è la mia parte, e ciò che voi non potreste fare. Offro a Dio mio Padre un’immolazione di un prezzo infinito, che metto a vostra disposizione; c’è però qualcosa che non posso più fare e che voi dovete compensare. Non posso più soffrire, eppure per ciò è necessaria una sofferenza volontaria per compensare la giustizia divina e salvare il mondo. Compensate la mia impotenza in ciò che questo riguarda, e nulla mancherà al nostro sacrificio; così sarà veramente il sacrificio di tutto il mio Corpo mistico; voi presenterete la materia e io le darò la virtù. In questo modo il mio Cuore avrà compiuto in voi la sua grande funzione, che consiste nel riprodurre Me stesso in ciascuno dei miei membri, e nel continuare nella mia Chiesa, fino alla fine dei secoli, la grande opera che ho compiuto nella mia Persona durante la mia vita mortale. »

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME, DOMINE, AB HOMINE MALO” (CXXXIX)

SALMO 139: Eripe me, Domine, ab homine malo  

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 139

In finem. Psalmus David.

[1] Eripe me, Domine, ab homine malo;

a viro iniquo eripe me.

[2] Qui cogitaverunt iniquitates in corde, tota die constituebant praelia.

[3] Acuerunt linguas suas sicut serpentis; venenum aspidum sub labiis eorum.

[4] Custodi me, Domine, de manu peccatoris, et ab hominibus iniquis eripe me: qui cogitaverunt supplantare gressus meos;

[5] absconderunt superbi laqueum mihi, et funes extenderunt in laqueum; juxta iter scandalum posuerunt mihi.

[6] Dixi Domino: Deus meus es tu; exaudi, Domine, vocem deprecationis meae.

[7] Domine, Domine, virtus salutis meae, obumbrasti super caput meum in die belli.

[8] Ne tradas me, Domine, a desiderio meo peccatori; cogitaverunt contra me; ne derelinquas me, ne forte exaltentur.

[9] Caput circuitus eorum, labor labiorum ipsorum operiet eos.

[10] Cadent super eos carbones, in ignem dejicies eos; in miseriis non subsistent.

[11] Vir linguosus non dirigetur in terra, virum injustum mala capient in interitu.

[12] Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis, et vindictam pauperum.

[13] Verumtamen justi confitebuntur nomini tuo; et habitabunt recti cum vultu tuo.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIX.

Preghiera della Chiesa contro il demonio ed i suoi istrumenti, i malvagi, non già di Davide contro Saulle, non dicendosi nel Salmo cosa che si appropri a Davide ed a Saulle.

Per la fine: salmo di David.

1. Liberami, o Signore, dall’uomo cattivo; liberami dall’uomo iniquo.

2. Quei che in cuor loro macchinavano pensieri di iniquità, tutto il giorno preparavan battaglie.

3. Hanno affilate le loro lingue, come serpenti: hanno veleno di aspidi sotto le loro lingue.

4. Difendimi, o Signore, dalla mano del peccatore; e liberami dagli uomini iniqui. I superbi, che macchinavano di farmi cadere, mi han preparato un laccio nascostamente.

5. E le funi hanno tese per prendermi: mi hanno posto inciampo lungo la strada.

6. Ho detto al Signore: Tu se il mio Dio; esaudisci, o Signore, la voce di mia preghiera.

7. Signore, Signore, mia forte salute, tu facesti ombra alla mia testa nel dì del conflitto. (1)

8. Non darmi, o Signore, alle mani del peccatore, com’ei mi desidera; hanno macchinato contro di me, non mi abbandonare, affinché non s’insuperbiscano.

9. Il forte de’ loro raggiri, il faticoso lavoro delle loro labbra gli avvilupperà. (2)

10. Cadranno carboni sopra di essi; tu li getterai nel fuoco; non reggeranno alle miserie.

11. L’uomo di mala lingua non avrà prosperità sopra la terra; l’uomo ingiusto sarà preda delle sciagure nel suo morire.

12. Io so che il Signore farà giustizia ai bisognosi, e vendicherà i poveri.

13. I giusti poi daran laude al tuo nome; e gli uomini di rettitudine abiteranno sotto i tuoi occhi.

(1) Queste parole: « a desiderio meo, » significano più logicamente contro il mio desiderio, e, se si adottasse quest’ultimo senso, bisognerebbe intenderlo come di un desiderio corrotto.

 (2) « Caput circuitus eorum, »  vale a dire, ciò che c’è di essenziale, di più forte, di piu formidabile in coloro che mi circondano, o in ciò che è intorno a me, cioè la perversità della loro lingua. – O, se si vuole, il capo di coloro che mi circondano e mi assediano, vale a dire Doeg o Architofel, secondo che si riporti questo salmo alla persecuzione di Saul o Assalonne.

Sommario analitico

In questo salmo, che ha molte analogie con il LV, e che si può far risalire alla persecuzione di Saul e dei suoi cortigiani, o a quella di Assalonne,

I. – Il Re-Profeta prega Iddio di liberarlo dalla mano dei malvagi con cui dipinge, sotto diverse figure la malvagità e la malizia (1):

1° i loro disegni perversi (2),

2° le loro maldicenze, le loro calunnie e le loro menzogne (3),

3° le loro violenze e inganni (4-5).

II. – Egli esprime la fiducia che ha di essere esaudito, e dà a Dio come motivo:

1° che Egli è la sua forza e la sua salvezza (6),

2° che ha già provato gli effetti della sua protezione (7),

3° l’insolenza dei suoi nemici (8).

III. – Prevede e predice i castighi che subiranno gli empi, persecutori dei giusti:

1° l’arma più formidabile di coloro che lo perseguitano, le loro deviazioni piene di malignità e perversità delle loro lingue, ricadrà su di essi (9);

2° il fulmine piomberà su di essi ed essi saranno precipitati nel fuoco dell’inferno (10);

3° calamità innumerevoli saranno la parte degli uomini dalla lingua perfida, ed i mali più grandi perseguiranno gli uomini ingiusti, fino alla morte (11);

4° mentre una sorte migliore sarà riservata agli oppressi, ed una beatitudine eterna, con la gioia della vista di Dio, sarà il premio dei giusti e dei cuori retti (12, 13).

Spiegazioni e Considerazioni

I. —1-5.

ff. 1. – « Liberatemi dall’uomo malvagio. » Non da questo tale o tal altro uomo malvagio, ma dall’intera specie; non solo dagli strumenti, ma dal loro principe, cioè dal demonio stesso. Perché dunque dire: « dall’uomo malvagio, » se si tratta del diavolo? Perché egli è figurato così chiamato con questo nome nel Vangelo: « L’uomo nemico venne e seminò la zizzania sopra in buon grano. » (Matth. XIII, 20-28). Pregate dunque con tutto il vostro potere, per essere liberato dall’uomo malvagio. « Perché voi non lottate contro la carne ed il sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, » (Ephes. VI, 12), cioè contro i dominatori dei peccatori (S. Agost.). – L’uomo malvagio è lo stesso che l’uomo ingiusto; perché il Profeta lo chiama malvagio? perché è ingiusto, per paura che voi non pensiate che un ingiusto possa essere buono. In effetti, ci sono degli ingiusti che sembrano essere dannosi: essi non sono né crudeli né duri, non perseguitano e non opprimono nessuno; ma essi sono ingiusti perché lussuriosi, invidiosi, voluttuosi. Come potrebbe, colui che non risparmia nulla a se stesso, non nuocere ad altri? In effetti, innocente è colui che non nuoce, ma non colui che nuoce a se stesso. E come colui che nuoce a se stesso potrebbe non muoversi? Ma in cosa vi nuoce? Egli vi nuoce almeno con l’esempio, poiché vivendo con voi, vi invita a fare ciò che egli fa. E vedendolo prosperare tra le sue turpitudini, non siete anche voi indotti in simili godimenti? Anche se voi non acconsentite, vi troverete almeno un’occasione di lotta. Come dunque non vi nuoce, se vi spinge a combattere nel vostro cuore l’attrattiva delle sue azioni? (S. Agost.).  

ff. 2. « Essi hanno meditato il male nel loro cuore; » essi non sono stati trasportati da un movimento irriflessivo, questi disegni iniqui sono l’opera di una profonda premeditazione. « Essi hanno meditato; » cioè essi hanno adoperato tutte le risorse, ogni attività del loro spirito (S. Chrys.). – « Essi hanno complottato ingiustizie nel loro cuore. » Il Profeta ha parlato così per coloro che hanno spesso sulle labbra delle buone parole. Voi comprendete la voce di un giusto, ma non trovate mai il cuore di un giusto; altrimenti, perché il Profeta avrebbe aggiunto: « Essi hanno complottato delle ingiustizie nel loro cuore? » Liberatemi da loro; che la vostra mano onnipotente mi strappi a loro. Perché è facile evitare inimicizie aperte; è facile sbarazzarsi di un nemico che si presenta e si mostra tale, e la cui iniquità è evidente nelle sue parole; questo nemico è inopportuno, ma l’altro è invece pericoloso; è difficile evitare colui che ha il bene sulle labbra e nasconde il male nel suo cuore (S. Agost.). –  « Essi ogni giorno mi combattono. » Il salmista abbraccia tutta la vita in queste parole. La guerra della quale parla qui, non è quella che si fa con le truppe schierate in battaglia e le armi in pugno, ma quella guerra che gli uomini si fanno in pubblica piazza e all’interno delle loro dimore, senza corazza protettiva, senza scudo di difesa; essi hanno come arma la loro malvagità, e lanciano le loro parole più spinose dei dardi più acuti. Ora ciò che dimostra l’eccesso della loro perversità, non è tanto che siano ricorsi all’inganno, alla dissimulazione, né che non concepiscano se non lotta e combattimenti, ma piuttosto che tutta la loro vita trascorra senza tregua in questa guerra omicida (S. Chrys.).

ff. 3. – « Essi hanno aguzzato le loro lingue come quella del serpente. » Vedete come è ignobile il vizio. Esso cambia gli uomini in animali velenosi, in aspidi, in serpenti e spinga fino agli istinti più feroci quella lingua creata per essere l’organo della ragione. (S. Chrys.). 

ff. 4. – È nel serpente soprattutto che si trova l’astuzia e l’inganno allo scopo di nuocere; è per questo che egli procede tortuosamente. Esso non ha piedi, il fruscio almeno avvertirebbe il suo arrivo! Nella sua marcia, si trascina dolcemente, ma mai seguendo una linea retta. È dunque così che questi uomini che procedono come serpenti per fare del male, nascondono il loro veleno in un contatto pieno di dolcezza. Essi avvolgono con le loro spire l’innocenza che li ossessiona, sibilano contro la virtù che insultano, lacerando con i loro morsi le virtù più divine. Il Profeta continua: « Sotto le loro labbra si nasconde il veleno degli aspidi. » Notate: il loro veleno è sotto le loro labbra, di modo che troveremmo sotto le loro labbra ben altra cosa di ciò che si mostra sulle loro labbra. Il Profeta li designa assai chiaramente in altro salmo, ove dice: « Essi hanno per il prossimo parole di pace, ma cattivi pensieri sono nei loro cuori. » (Ps. XXVII, 37), (S. Agost.). – Quando il serpente vede avanzarsi verso qualcuno per colpirlo, fa un cerchio di tutto il suo corpo, e al centro nasconde la testa, perché sa che essa è il principio della sua vita. È così che i nemici della Religione sembrano nascondersi, proteggersi e difendersi, avvolgendosi in discorsi filosofici. Ma il Sacerdote versato nella scienza delle Scritture, armato di una verga, cioè della croce, rompe questo cerchio, trova la testa che vi era nascosta, e la colpisce producendo le testimonianze delle Scritture. (S. Girol.). « Essi hanno teso un laccio sui miei passi. » Se essi non hanno potuto realizzare i loro pensieri, è alla sovrana bontà di Dio che bisogna attribuirlo; è Lui che ha deviato i loro ingiusti disegni. Vedete come il crimine è profondamente meditato, gli ostacoli sapientemente posizionati. Essi li hanno nascosti, li hanno tesi lungo il cammino, affinché la lunghezza stessa della trappola, la cura con cui era nascosta e la sua prossimità, vi faccia cadere inevitabilmente colui che essi vogliono perdere. Essi sono stati dei veri artigiani del crimine, mettendo insidie in ogni luogo, con l’unico scopo di prendere un uomo (S. Chrys.)

ff. 5. – Ma non si tratta solamente, come da un vostro nemico, di indurvi in errore in qualche affare che avete con lui, né di ingannarvi in un processo ove un tribunale è tra voi giudicante. Egli avrà ostacolato la vostra strada se vi ha fatto ostacolo nella via di Dio, in maniera da farvi vacillare nel bene, o scivolare via dalla via, o cadere sulla via, o restare immobile nella via, o tornare indietro verso il punto di partenza. Tutte le volte che riesce in qualche cosa del genere, esso vi soppianta, vi inganna. Pregate per sfuggire a questo tipo di insidie, per paura di perdere il vostro patrimonio celeste ed il vostro titolo di coerede di Cristo, poiché siete chiamato a vivere eternamente con Colui che vi ha fatto suo erede; perché Colui che vi ha costituito suo erede non vi chiama a succedergli dopo la sua morte, ma a vivere eternamente insieme a Lui (S. Agost.). –  « Essi hanno teso delle corde per servire da lacci ai nostri piedi. » Cosa significano questi lacci? È detto in altra parte: « Ciascuno è legato dalle catene del suo peccato; » (Prov. V, 22); ed Isaia dice chiaramente: « Maledizioni a coloro che trascinano i loro peccati come una lunga corda. » (Isai. X, 18). Ma perché comparare i peccati ad una corda? Perché ogni peccatore che persevera nei suoi peccati, aggiunge peccato su peccato, e mentre dovrebbero correggersi accusando il proprio peccato, lo raddoppiano difendendolo, non considerandolo tale nel confessarlo, e spesso perché vogliono premunirsi con nuovi peccati, contro quelli che hanno già commessi. (S. Agost.). –  Essi hanno dunque voluto farmi cadere per mezzo dei loro peccati. E queste corde, dove le hanno tese?  « Essi hanno posto delle trappole presso i miei sentieri, » non “nei” miei sentieri, ma « vicino ai miei sentieri. » I vostri sentieri, sono i Comandamenti di Dio. Essi hanno posto le loro trappole vicino ai sentieri; non uscite da questi sentieri e non cadrete nelle loro trappole (S. Agost.). 

II. — 6-8.

ff. 6-8. – Qual risorsa vi resta? Qual rimedio in mezzo a tanti mali, in mezzo a queste tentazioni, a questi pericoli? « Io ho detto al Signore, voi siete il mio Dio. » Se non siete santi, non potete dire al Signore: «Voi siete il mio Dio. » Non c’è che colui sul quale il peccato non regni che possa dire: « Il Signore è mia eredità. » (S. Girol.). – I malvagi sono degli uomini, ma essi non sono dei miei; ma Voi, Voi siete Dio ed il mio Dio. Ma forse che Dio non è il Dio degli ingiusti? Perché di chi non è Dio Colui che è il vero Dio? Tuttavia Egli è, propriamente parlando, il Dio di coloro che gioiscono di Lui, che lo servono, che gli sono sottomessi con gioia. (S. Agost.). – « Ascoltate la voce della mia supplica, non i suoni delle mie parole, ma ciò che dà vita alle mie parole. In effetti, i suoni che l’anima non vivifica, non possono chiamarsi suoni; non parole; la voce è propria degli essere animati, degli esseri che vivono. (S. Agost.). – « Voi siete la forza da cui viene la salvezza, e perché ho questa speranza? « Perché Voi avete protetto la mia testa con la vostra ombra nel giorno della guerra. » Ora ancora, io devo combattere, combatto fuori contro gli ipocriti, combatto dentro contro le mie voluttà, perché « io vedo nelle mie membra un’altra legge che combatte la legge del mio spirito e mi rende schiavo sotto la legge del peccato, che io sento nelle mie membra, maledetto uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio, per Gesù-Cristo nostro Signore (Rom. VII, 23-25). Nei duri lavori di questa guerra, egli ha dunque fissato i suoi sguardi sulla grazia di Dio; e siccome già cominciava a soffrire il calore ed a disseccarsi, ha trovato un’ombra che gli ha reso la vita. (S. Agost.). – Non molto tempo prima – egli dice – ma è nel giorno stesso in cui il malore mi minacciava, quando i miei nemici cioè stavano per venire alle mani, e correvo i più grandi pericoli, che mi avete messo in sicurezza. Dio non ha bisogno né di preparazione né di esortazione, Egli che conosce il presente, l’avvenire, il passato, e che è sempre là pronto a venire in nostro soccorso. « Voi avete messo la mia testa all’ombra; » Vale a dire, Voi mi avete messo al riparo dal più leggero pericolo, dal minimo calore. Grazie a Voi, io ho gustato una sicurezza, una gioia, una tranquillità senza pari; lungi dal soffrire un calore importuno, io mi sono riposato sotto la vostra ombra con delizia, libero da ogni pericolo, libero da ogni timore… David non dice: non mi abbandonate, perché io sono degno di questo favore; non mi abbandonate in considerazione della mia vita passata nella pratica della virtù. Qual motivo egli adduce? « Nel timore che essi non si ergano; » cioè per timore che non divengano più insolenti e che il mio abbandono non ispiri loro una arroganza ancor più grande. (S. Chrys.).

III. — 9-13.

ff. 9-11. –  L’espressione « Circuito, deviazione, » vuol dire le loro riunioni, I loro conciliaboli, i laboratori dei crimini, i loro abominevoli disegni. Il Salmista vuol loro dire: i loro progetti criminali e tutta la malignità del loro spirito perverso e corrotto li schiacceranno e li perderanno senza ritorno. (S. Chrys.). – Il principio del cerchio che descrivono, cioè l’orgoglio, il lavoro delle loro labbra, li coprirà. E cos’è il cerchio che essi descrivono? È il fatto che essi marciano girando su se stessi e non si arrestano mai, vagano nel labirinto dell’errore nel quale il cammino non ha mai fine. In effetti, ogni uomo che faccia un lungo viaggio comincia da una qualche parte e finisce in un altro luogo; ma colui che cammina in cerchio, non arriva mai. Questo è il lavoro degli empi che il Profeta descrive più chiaramente in un altro salmo, dicendo: « gli empi camminano in cerchio girando. » (Ps. XI, 9). Ma il principio del cerchio che essi descrivono, è l’orgoglio, perché è l’orgoglio l’inizio di ogni peccato. (Eccli. IX, 15). Ma come l’orgoglio è « il lavorio dei loro peccati? » Infatti ogni orgoglioso è ipocrita ed ogni ipocrita è mendace. Gli uomini lavorano per mentire, mentre nulla è più facile che dire la verità. È un lavoro fabbricare le proprie parole, ma non c’è lavorio per chi vuol dire la verità; la verità parla da sé senza sforzo (S. Agost.). « … Il lavoro delle loro labbra. » Questo lavoro, è la loro malvagità. In effetti la malvagità è un vero lavoro; essa diviene principio di rovina per il suo autore, e schiaccia chi se ne renda colpevole. (S. Crys.). – Pene inflitte agli empi sono i castighi che cadono dall’alto, inviati cioè dalla giustizia di Dio: il fuoco della collera di Dio, che cade dal cielo, le fiamme divoranti in cui saranno gettati, miserie insopportabili nelle quali non potranno sussistere, dalle quali saranno come schiacciati sena potersi sostenere né risollevare, e nelle quali dimoreranno eternamente, senza poterne mai uscire. – L’ « uomo della lingua » è una espressione che non si può troppo considerare. Si chiama uomo di piacere colui che cerca incessantemente di soddisfare il gusto che ha per la voluttà; si chiama uomo di buona carne, colui che fa dei piaceri della tavola un suo interesse capitale; ugualmente l’uomo della lingua deve essere colui che si dà a tutti gli eccessi che si possono commettere parlando. L’Apostolo San Giacomo dice che con la lingua si benedice Dio e si maledicono gli uomini, per far capire che i giusti si servono della lingua per rendere omaggio a Dio, ed i malvagi se ne servono per perseguitare il prossimo. Ora, colui che benedice Dio non è l’uomo della lingua, ma è l’uomo del cuore; egli medita molto e parla poco: è per questo che Gesù-Cristo raccomandava ai suoi discepoli di non fare lunghi discorsi pregando. L’uomo di lingua è assolutamente e senza eccezione, secondo il linguaggio della Scrittura, colui che abusa della parola, sia per oltraggiare il Signore, sia per nuocere al prossimo (Berthier). – Ora, quest’uomo non prospererà sulla terra; letteralmente, « non camminerà dritto. » L’uomo intemperante con la lingua, ama la menzogna. Qual è in effetti il suo piacere, se non quello di parlare? Poco importa di cosa parli, purché parli. È impossibile che cammini rettamente. (S. Agost.). – Ora, un tale uomo si vede per la maggior parte del tempo come oggetto di un odio condiviso sia dai buoni che dai malvagi. È il nemico generale, è odioso e di peso a tutti, nessuno può sopportarlo. E come l’uomo dolce, paziente, che sa tacere, è solidamente stabilito in una perfetta sicurezza, amato da tutti, così colui che non sa contenere la sua lingua conduce una vita sempre incerta, si fa numerosi nemici, ed oltretutto riempie la sua anima di agitazione e non si concede un momento di riposo. (S. Chrys.). – Questi mali di cui sarà caricato durante la sua vita, lungi dal meritare un giorno, come i giusti, le ricompense dovute alla pazienza, cadranno su di lui come un diluvio al momento della sua morte, e non gli serviranno che ad aggravare la sua sorte eterna.

ff. 12, 13. – Due elementi vi sono nella giustizia di Dio: punire i malvagi, ricompensare i buoni. – Il Profeta dichiara che questi due atti della giustizia di Dio sono di egual  verità. – Il Signore farà giustizia ai deboli ed ai poveri, punendo i loro persecutori e coronando essi stessi. – Essi loderanno eternamente il nome di Colui che avrà preso le loro difese. – Al momento in cui sosterrete la loro causa, o farete loro giustizia, essi confesseranno il vostro nome; essi non attribuiranno niente ai loro meriti, attribuiranno tutto alla vostra misericordia … E dove saranno le loro delizie, ove sarà il loro riposo, ove sarà la loro gioia, dove sarà la loro beatitudine? In se stessi? No, ma in Colui che li colmerà di gioia manifestandosi ad essi. Purifichiamo il nostro viso, per trovare la nostra gioia contemplando il suo volto: « Perché noi siamo i figli di Dio – dice San Giovanni – e ciò che noi saremo non è ancora apparso: noi sappiamo che, quando apparirà, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così com’è. » (S. Agost.).