SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMO 136: “SUPER FLUMINA BABYLONIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 136

Psalmus David, Jeremiæ.

[1] Super flumina Babylonis illic sedimus et flevimus, cum recordaremur Sion.

[2] In salicibus in medio ejus suspendimus organa nostra;

[3] quia illic interrogaverunt nos, qui captivos duxerunt nos, verba cantionum; et qui abduxerunt nos: Hymnum cantate nobis de canticis Sion.

[4] Quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena?

[5] Si oblitus fuero tui, Jerusalem, oblivioni detur dextera mea.

[6] Adhæreat lingua mea faucibus meis, si non meminero tui; si non proposuero Jerusalem in principio laetitiæ meæ.

[7] Memor esto, Domine, filiorum Edom, in die Jerusalem, qui dicunt: Exinanite, exinanite usque ad fundamentum in ea.

[8] Filia Babylonis misera! beatus qui retribuet tibi retributionem tuam quam retribuisti nobis.

[9] Beatus qui tenebit, et allidet parvulos tuos ad petram.

SALMO CXXXVI.

Lamentazione degli schiavi in Babilonia; desiderio della patria e predizione di severi castighi contro i Babilonesi e gli Idumei. Fu aggiunto il titolo aGeremia, perché Geremia predicò imminente ai Giudei la schiavitù babilonica; la pianse; e ne annunziò la fine dopo settant’anni.

Salmo di David a Geremia.

1. Sulle rive de’ fiumi di Babilonia, (1) ivi sedemmo, e piangemmo in ricordandoci di te, o Sionne.

2. A’ salci appendemmo, in mezzo a lei, i nostri strumenti.

3. Perché ivi domandarono a noi, quelli che ci avevano menati schiavi, le parole dei nostri cantici; e coloro che ci avevano rapiti dissero: Cantate a noi un inno, di que’ che si cantano in Sionne.

4. E come mai canteremo un cantico del Signore in una terra straniera?

5. Se io mi dimenticherò di te, o Gerusalemme, sia messa in oblio la mia destra.

6. Si attacchi la mia lingua alle mie fauci, se io non avrò memoria di te; se io non metterò Gerusalemme al di sopra di qualunque mia allegrezza.

7. Ricordati, o Signore, dei figliuoli di Edom, i quali nel giorno di Gerusalemme dicevano: Distruggete, distruggete fino ai suoi fondamenti. (2)

8. Figliuola infelice di Babilonia, beato colui che farà a te quello che tu hai fatto a noi. (3)

9. Beato colui che prenderà e infrangerà sulle pietre i tuoi figliuoli.

(1) Questi fiumi di Babilonia sono il Tigri, l’Eufrate ed il Chobar. Il salmista fa qui menzione dei fiumi non come vede Rosen-Muller, perché si costruivano le sinagoghe sulle sponde dei fiumi o correnti di acqua, affinché i Giudei potessero più facilmente lavarsi le mani secondo il precetto della legge; ma perché coloro che sono nella tristezza ed i giusti amano ritirarsi presso i corsi di acqua per librarsi al loro dolore o alle loro ispirazioni poetiche.

 (2) Si vede nel profeta Abdia (11, 12, 13, 14), che quando i Babilonesi invasero la Giudei, gli Idumei si aggiunsero all’armata di Nabucodonosor contro Gerusalemme e lo eccitarono a distruggerla.

(3) Il castigo invocato qui su Babilonia era estato predetto da Isaia, XIII, 16.

Sommario analitico

Questa bella elegia è, propriamente parlando, l’inno patriottico degli Ebrei. Mai l’amor di patria fu espresso in maniera più energica e più toccante. In questo salmo, così pieno di poesia e che traspira la più profonda tristezza, l’amore più tenero per la patria perduta, i Giudei prigionieri a Babilonia: (1)

I. esprimono il dolore che li opprime:

1° Con la loro tristezza e le loro lacrime (1);

2° Con il silenzio dei loro strumenti musicali (2);

3° Con il rifiuto di prender parte ad ogni gioia sacra o profana, trovandosi in disaccordo con le circostanze del luogo e del tempo in cui essi si trovano (3, 4).

II. – desiderano il ritorno in patria.

1° Essi lo hanno continuamente presente nei loro ricordi (5);

2° Essa è sarà sempre il principale oggetto della loro gioia. (6)

III. – predicono la vendetta che Dio attirerà sui loro nemici.

1° Essi pregano Iddio di punire gli Idumei. E danno la ragione per la quale essi meritano il loro castigo (7);

2° predicono ai Babilonesi che la loro città sarà distrutta dai Persiani, come essi hanno distrutto la città di Gerusalemme, e questo castigo terribile si estenderà fino ai lattanti.

(1) La poesia toccante di questo salmo, il suo sentimento così profondo, così vero, malinconico e naturale, è passato nell’anima delle masse e lo ha reso popolare. Esso risponde a tutte le note lamentevoli del cuore umano. A tutte le amarezze, a tutti i segreti, aspirazioni, errori, dolori, a tutti i gemiti e alle noie delle facoltà alterate, dei desideri ingannati, delle speranze deluse sia per gli individui che per le nazioni. È uno dei brani di poesia più pieno di eterna freschezza, rivestito delle più soavi e pure emanazioni del cuore, già dai primi accordi per cui ogni testa si inclina e sogna con la fronte nelle mani. « Super flumina Babylonis! » L’anima non ha più bisogno di intendere di più: l’estasi la sazia ben presto e la trasporta sulle sue ali sopra tutti i brusii della terra; essa canta e piange la sua elegia ineffabile come un’eco vivente, ed i suoi sublimi accenti tengono i cieli sospesi e fanno tacere le lire eterne. (Clause: I Salmi tradotti, etc. ).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1, 2. – La santa Sion è la città di Dio, e Babilonia è la città del mondo. Quali sono i fiumi di Babilonia? «  È tutto ciò che si ama e che passa, vale a dire, i beni deperibili. » Così voi siete interamente dediti alle cure e vi date ai vostri campi e non sognate che di diventar ricchi. Questo benessere al quale voi tendete, non è la città di Sion, è un fiume di Babilonia. Io mi sento dire: è una gran cosa essere soldato; il soldato è temuto dall’uomo dei campi, o tutti gli obbediscono. Quando sarò soldato, il lavoratore tremerà davanti a me. Insensato! Voi vi gettate in un altro fiume di Babilonia, più turbolento e più avido. Un terzo viene e mi dice a sua volta: ciò che è bello, è essere avvocato, potente per eloquenza, veder gli altri pendenti dalle mie labbra, tanti interessi diversi, e tanti uomini attendere con una sola parola, la perdita o il guadagno, la vita o la morte, la rovina o la salvezza … Oh! In quale abisso vi gettate … anche questo è un fiume di Babilonia, più agitato di tutti gli altri e il cui colpo d’onda batte le rocce. Non vedete questo fiume breve, non vedete che precipita? Prendete cura di non precipitarvi (S. Agost.). – Noi ci imbarchiamo ogni giorno sui fiumi di Babilonia, vediamo questi fiumi passare davanti a noi, questi fiumi dei piaceri del mondo; noi vediamo le voluttà passare davanti a noi, le acque ci sembrano chiare, e nell’ardore dell’estate, si trova piacere nel rinfrescarsi; il corso sembra tranquillo, ci si imbarca facilmente e si entra ben avanti nel commercio di questa città criminale. (Bossuet, Serm. p. de d. de Quares.). – Vi sono altri cittadini della santa Gerusalemme che sono nella loro cattività, che considerano voci di questo mondo e le diverse voluttà che si impossessano degli uomini e li conducono qua e là verso il mare. Alla vista di questi pericoli, invece di abbandonarsi ai fiumi di Babilonia, restano seduti sul bordo dei fiumi di Babilonia, e là piangono sia su coloro che si lasciano trasportare dalla corrente dei fiumi, sia su se stessi, che hanno meritato di essere prigionieri in Babilonia. Essi sono seduti là, cioè umiliati: « Sulla sponda dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » O santa Sion, dove tutto dimora e niente scorre? Chi ci ha precipitato in mezzo a questi torrenti? perché abbiamo abbandonato il vostro fondatore e la vostra società, o Sion? Travolti ora in queste acque mobili ed in queste correnti rapide, colui che si trova nel fiume appena riesce a raggiungere un legno di salvezza e sfuggire al torrente. Nell’umiliazione della nostra cattività, sediamoci dunque sulla sponda dei fiumi di Babilonia, non siamo tanto arditi da precipitarci nella corrente di questi fiumi, o di levarci orgogliosamente in mezzo ai mali o alle tristezze della nostra cattività; ma sediamoci e piangiamo. Sediamoci sopra i fiumi di Babilonia, ma non sotto, e possa la nostra umiltà essere grande perché non veniamo sommersi. Sediamoci sopra i fiumi, non nel fiume o sotto il fiume; tuttavia, sedetevi umilmente e non parlate come se foste in Gerusalemme. Voi vi sarete un giorno, perché il profeta lo dice, in un altro salmo, ove parla della vostra speranza e vi dice nei suoi canti: « I nostri piedi stiano dritti negli atri di Gerusalemme. » (Ps. CXXI, 2). Là, voi vi eleverete se vi siete abbassati qui con la penitenza e la confessione: « I nostri piedi si tengano dunque retti negli atri di Gerusalemme. »  Ma « sulla sponda dei fiumi di Babilonia noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » (S. Agost.) – È una legge di provvidenza che la gioia succeda ai desideri; ed il Cristiano non merita di gioire in cielo, se prima non abbia imparato a gemere in questo luogo di pellegrinaggio; perché, per essere un vero Cristiano, bisogna sentire di essere un viatore, e voi facilmente confesserete che colui che non lo riconosce, non sospira alla sua patria. Ecco perché S. Agostino ha detto queste belle parole che meritano di essere meditate: « Colui che non geme come viandante non gioirà come cittadino: » vale a dire, se comprendiamo, egli non sarà mai abitante del cielo, perché ha voluto esserlo della terra; poiché egli rifiuta il lavoro del viaggio, e non avrà il riposo della patria; ed arrestandosi là dove bisogna camminare, non arriverà dove deve arrivare. Coloro, al contrario, che deplorano il loro esilio, saranno abitanti del cielo, perché non vogliono esserlo di questo mondo, e tendono, con santi desideri, alla felice Gerusalemme. Bisogna dunque che noi gemiamo. A voi, felici cittadini della Gerusalemme celeste, a voi appartiene la gioia; ma, nel mentre che languiamo in questo luogo di esilio, le lacrime ed i desideri fanno la nostra parte. Davide ha espresso i nostri veri sentimenti, quando ha cantato con voce gemente: « Seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia, noi abbiamo gemuto e pianto al ricordo di Sion. » (BOSSUËT, Pan. de S.te Thér.) – Notate qui le due cause del dolore che affliggono un’anima pia che attende con l’Apostolo l’adozione a figli di Dio … È il ricordo di Sion e dei fiumi di Babilonia. Perché non volete che ella pianga, allontanata da ciò che cerca ed esposta in mezzo a ciò che scorre? Ella ama la pace di Sion, e si sente relegata nei turbini di Babilonia, ove non vede che acque correnti, cioè piaceri che passano; e mentre ella non vede nulla che non passi, si ricorda di Sion, di queste felice Gerusalemme in cui tutte le cose sono permanenti. Così, nella diversità di questi due oggetti, essa non sa ciò che di più l’affligga, se Babilonia, in cui si vede, o Sion, da cui è bandita (Bossuet, ibid.). –  « Noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto. » Le anime dei giusti piangono i peccati dei loro fratelli: « La carità geme – dice S. Agostino – noi gemiamo sovente sui peccati dei nostri fratelli, soffriamo violenza, il nostro spirito è in preda ad una vera tortura. »   (Serm. XLIV, Sur les par. du Seig.) — Exemple de saint Paul. (ROM. IV, 2.). essi piangono i loro peccati. « I miei occhi hanno sparso torrenti di lacrime, perché non hanno osservato la vostra legge; (Ps. CXVIII, 136); « Io mi sono consumato nei miei gemiti; il mio giaciglio, ogni notte, sarà bagnato dalle mie lacrime ed il mio letto impregnato delle mie lacrime. » (Ps VI, 6). Così, il Profeta dice alla figlia di Sion, infedele e colpevole: « piangi giorno e notte, e le tue lacrime scorrano come un torrente; Gerusalemme non dia riposo alla tua palpebre, e la pupilla del tuo occhio non taccia. » (Lam. II, 6). L’occhio è un oratore eloquente, la pupilla è come la bocca, e senza aver bisogno di parole, si persuade facilmente di tutto ciò che vede. Il torrente non basta, perché esso si dissecca molto presto, c’è bisogno di una fonte inestinguibile di lacrime: « Per questo io sprofondo in lacrime ed i miei occhi spandono torrenti di lacrime. » (Lam. I, 16). Ma bisogna che voi piangiate « al ricordo di Sion. » Non c’è santo dolore, né lacrime feconde, se il ricordo di Sion non viene a mescolarsi. Le lacrime sterili sono quelle che il dolore fa versare senza che la religione le consoli, né le consacri. Molti versano lacrime di Babilonia, perché gioiscono delle gioie di Babilonia. Gioire per un guadagno e piangere per una perdita appartiene egualmente a Babilonia. Voi dovete piangere, ma al ricordo di Sion. Se piangete al ricordo di Sion, piangerete anche quando sentirete le gioie di Babilonia … Che ciascuno esamini la felicità che ha come trasportato la sua anima di allegrezza, che l’ha come glorificata di gioia, l’ha elevate al di sopra di lui stesso e gli fa dire: Io sono felice! Che si domandi se questa felicità non passi e se non possa essere certo che durerà eternamente. Se non è certo e vede scorrere ciò che fa la sua gioia, l’oggetto della sua felicità non è che un fiume di Babilonia; che vi si sieda quindi vicino e pianghi. Egli si siederà e piangerà, se si ricorda di Sion. Oh questa pace che vedremo in Dio! Oh! Questa santa eguaglianza con gli Angeli! Oh! Questa visione, e questo magnifico spettacolo! Senza dubbio, voi trovate belle le cose di Babilonia che vi imprigionano; … che non vi catturino, non vi seducano! Altro è la consolazione dei prigionieri, altra la gioia degli uomini liberi (S. Agost.) – « Noi abbiamo sospeso i nostri strumenti musicali ai salici delle loro rive. » Essi sospendono ai rami gli strumenti della loro gioia, per mostrare ai loro oppressori che avevano più a cuore le loro lacrime che i cantici. Per noi, sospendere i nostri liuti ai salici di Babilonia, è abbandonare gli strumenti della gioia degli uomini di questo secolo, che come alberi sterili, sono irrorati incessantemente dalle acque di Babilonia. –  I cittadini di Gerusalemme hanno i loro strumenti: questi sono le Scritture di Dio, i precetti di Dio, le promesse di Dio, la meditazione della vita ventura; ma quando sono in mezzo a Babilonia, essi sospendono i loro strumenti ai salici. I salici sono degli alberi che non portano alcun frutto; questi alberi sono bagnati dai fiumi di Babilonia e sono sterili. Così come gli uomini cupidi ed avari sono sterili in buone opere, così i cittadini di Babilonia, nutriti di voluttà che procurano loro i beni passeggeri, somigliano agli alberi di questo paese bagnato dai fiumi di Babilonia: voi cercate del frutto in essi e non ne trovate alcuno. Quando dobbiamo sopportare tali uomini, noi viviamo con coloro che sono in mezzo a Babilonia. C’è in effetti una grande differenza tra il territorio di Babilonia e l’esterno di Babilonia; perché vi sono di coloro che non sono in mezzo a questa città, cioè che non sono profondamente affondati nei piaceri e nelle delizie del secolo. Ma, per parlare chiaramente e con poche parole, coloro che sono molto malvagi sono al centro di Babilonia e non sono che alberi sterili, come i salici di Babilonia. Quando li vediamo, li troviamo talmente sterili, che è difficile riconoscere in essi alcun mezzo che li conduca alla vera fede, alle buone opere, o alla speranza della vita futura, o al desiderio di essere liberati dalla schiavitù della nostra condizione mortale. Noi conosciamo le Scritture delle quali potremmo parlare loro, ma non raccogliendo in essi alcun frutto che ci serva da punto di partenza, noi volgiamo gli occhi sopra di essi e diciamo: essi non hanno ancora né gusto, né intelligenza, e tutto ciò che diremo loro, lo prenderebbero come parte cattiva e ce lo rivolgerebbero contro. Differendo dall’intrattenerli con le Scritture, noi sospendiamo i nostri strumenti ai salici; perché noi non troviamo questi uomini degni di portarli (S. Agost.) –  Quando i figli di Dio sono prigionieri in Babilonia, cioè quando lo spirito e le massime del mondo li tengono asserviti alla loro dura tirannia, allora la loro bocca si chiude come il loro cuore. Non più preghiera, non più lode di Dio, non più professione di fede. Si può oltraggiare, bestemmiare davanti ad essi impunemente Dio, Gesù-Cristo, i suoi misteri, la sua Religione, la sua Chiesa; essi restano silenziosi, restano muti: la parola di Dio è incatenata sulle loro labbra, essi tengono la verità di Dio prigioniera nell’iniquità.

f. 3, 4. – Perché era proibito loro di cantare in terra straniera? Perché orecchie profane non erano degne di ascoltare questi canti misteriosi. Essi vogliono dire: non ci è stato permesso di cantare. Noi abbiamo, è vero, perso la nostra patria, ma restiamo inviolabilmente fedeli alla nostra legge, e la osserviamo con scrupolosa esattezza. Così, benché siate i padroni dei nostri corpi, non trionferete mai delle risoluzioni della nostra anima (S. Chrys.). – Coloro in cui agisce il demonio, ci interrogano talvolta e ci dicono: dateci le ragioni della vostra fede, spiegateci perché il Cristo è venuto sulla terra ed in cosa il Cristo è stato utile al genere umano? Dopo la venuta del Cristo, le cose umane non sono che peggiorate rispetto a prima ed erano in altri tempi in uno stato più felice di quanto non lo siano ora! I Cristiani ci dicono che il Cristo abbia apportato il bene sulla terra? In cosa pensano che le cose umane siano più felici, dacché il Cristo è venuto sulla terra? Voi vedete dunque che se i teatri, gli anfiteatri ed i circhi restano sani e salvi, se nulla perisce in Babilonia, se gli uomini navigano nell’abbondanza delle voluttà, cantano e danzano al suono di canzoni oscene, se la corruzione dei libertini e delle donne di cattiva vita segue il suo corso piacevolmente in tutta sicurezza; se colui che grida per far dare onori ai pantomimi, che non aveva da temere la fame nella sua casa, se questo fiume di delizie colava senza diminuzione e senza turba alcuna, se tutte queste frivolezze erano accompagnate da una tranquillità perfetta, allora il nostro tempo sarà da questi dichiarato felice, ed il Cristo avrebbe – secondo loro – apportato alle cose umane una gran somma di felicità. Ma dal momento che le iniquità sono distrutte, che sulle rovine della cupidigia è impiantato l’amore di Gerusalemme, che la vita presente è mescolata all’amarezza, per far desiderare la vita eterna, che gli uomini sono istruiti dai castighi e ricevono colpidel loro Padre, per evitare l’alt del Giudice, il Cristo non avrebbe portato del bene, e secondo loro il Cristo non ha portato che sofferenze. Se cominciate a mostrare all’uomo i benefici del Cristo, egli non vi comprende … E che, egli dice, sono questi i beni che è venuto a portare il Cristo: che un uomo debba perdere ciò che possiede, darlo ai poveri e restare povero egli stesso? Che farete dopo questa risposta? Bisogna allora dire: voi non comprendete i beni che dà il Cristo … Coloro che ci hanno condotti prigionieri, quando entrano nel cuore di certi uomini e ci interrogano con la bocca di coloro che li dominano, ci dicono: « Cantate i vostri cantici. » Dateci le ragioni della venuta del Cristo, e fateci conoscere qual sia l’altra vita. Io non domando che di credere; ditemi solo perché mi ordinate di credere? Io rispondo a colui che mi interroga e gli dico: O uomo! Perché non vuoi ciò che ti ordino di credere … tu sei pieno di cattive convinzioni; se io parlo dei beni della Gerusalemme celeste, tu non li comprendi; occorre dapprima svuotarti di ciò che ti riempie, per poterti riempire di ciò di cui sei vuoto … Cosa gli risponderemo ancora? Babilonia vi porta, vi chiude nel suo seno, Babilonia vi nutre; Babilonia parla con la vostra bocca; voi non sapete comprendere se non ciò che brilla nel tempo, voi non sapete meditare le cose eterne, voi non comprendete ciò che chiedete « … come canteremo i cantici del Signore in terra straniera? » In verità è così! Cominciate a volere annunziare la verità, anche quel poco che conoscete, e vedete come sia inevitabile che abbiate da sopportare simili beffe, che viglio strappare la verità e che sono pieni di falsità … Rispondete loro, a questi ignoranti, incapaci di comprendere ciò che vi domandano, e dite loro, con profondo sentimento di amore per il vostro santo cantico: « Come canteremo noi il cantico del Signore in terra straniera? » (S. Agost.) – Ecco qua lo spirito del mondo che, attraverso la bocca dei più ignoranti e dei più indegni prende piacere nel beffarsi della pietà, nell’insultare coloro che ne fanno professione, che chiede talvolta con sorriso sdegnato: dove sono queste gioie e queste consolazioni spirituali di cui voi riempite la vostra immaginazione, e porta la temerità fino a voler trattare nelle assemblee tutte profane, le questioni più alte e profonde della Religione.

II. — 5, 6.

 ff. 5, 6. – Come il segno dell’oblio era stato il pizzicare l’arpa e cantare i cantici del Signore sulla terra straniera, così questo popolo chiama su di essa tutte le maledizioni, scongiurando il suo Dio di disseccare la sua mano, e attaccare al palato la sua lingua che aveva disimparato i suoi canti, se mai, dimenticando la patria, toccasse un’arpa e facesse ascoltare i cantici di Sion in terra straniera. (Bellarm.). – … che la mia lingua resti attaccata al palato se non mi ricordi di te; vale a dire: che io diventi muto, se non mi ricordo di te. In effetti, a che serve parlare, a che serve cantare se non si canta il canto di Sion? È il cantico di Gerusalemme la nostra lingua. Il cantico dell’amore di questo mondo è una lingua straniera, una lingua barbara, che abbiamo appresa in cattività. Questo dunque sarà muto davanti a Dio se avrà obliato Gerusalemme; ed è poco il ricordarsene, perché i suoi stessi nemici se ne ricorderanno volendo rinchiuderli. Qual è – essi dicono – questa città? Che sono i Cristiani? Che valgono i Cristiani? Oh, se non ci fossero più Cristiani! La folla dei cattivi ha vinto questi tiranni, e tuttavia questi mormorano; essi si abbandonano al loro furore, vogliono far perire questa santa città che viaggia in mezzo ad essi, come il faraone voleva distruggere il popolo di Dio, mettendo a morte i figli maschi, preservando le femmine, affondando le virtù e nutrendo le voluttà. È dunque poco ricordarvi di Gerusalemme, esaminate come ve ne ricordate. Noi ci ricordiamo di certe cose con un sentimento di odio, e di altre con un sentimento di amore; ecco perché, dopo aver detto: « O Gerusalemme, se mai ti dimenticassi, che la mia mano destra sia dimentica di me; che la mia lingua resti attaccata al mio palato, se non mi sovvengo di te, », il Profeta ha immediatamente aggiunto: « Se non faccio di Gerusalemme l’oggetto della mia gioia più dolce. » La nostra gioia più dolce si trova, in effetti, là dove gioiremo di Dio, là ove regna l’unione fraterna e dove saremo in piena sicurezza nell’amicizia dei nostri fratelli e l’unione dei nostri concittadini; là nessun tentatore ci farà violenza, nessuno potrà indurci alla minima sensualità, niente ci causerà gioia che non sia il bene; là si estinguerà ogni necessità, là comincerà una sovrana felicità, » … se non farò di Gerusalemme « l’oggetto della mia gioia più dolce. » (S. Agost.) –  Il Profeta si vota qui ad un’altra pena se dovesse dimenticare Gerusalemme: « Che la mia lingua si attacchi al mio palato. » Egli sa quanto sia grave che la lingua resti muta per le lodi di Dio; egli sa qual virtù felici ed eterne si tengono davanti al trono di Dio,  e non cessano di proclamare le sue lodi, dicendo: « Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti » (Isai. VI, 3); egli sa che la Scrittura ha detto di coloro che, come i morti, sono muti quando si tratta di lodare Dio: « La loro bocca è un sepolcro aperto, » (Ps. V, 2), perché la loro lingua rimane silenziosa e morta alle lodi di Dio. Il salmista si sottomette a questo castigo del silenzio come punizione del suo oblio, se cessa di ricordarsi di Gerusalemme e se non si propone Gerusalemme come il principale soggetto della sua gioia. Ciascuno di noi ha nelle inclinazioni della sua volontà e nelle affezioni della sua anima, delle cause diverse di gioia. L’ubriacone mette la sua gioia nel vino, l’uomo sensuale nei piaceri della tavola, l’avaro nel denaro, l’ambizioso negli onori, il sedizioso nelle rivoluzioni, il voluttuoso nelle dissolutezze. Il Profeta si propone Gerusalemme come principale oggetto della sua gioia; si rallegra al pensiero che sarà ricevuto un giorno in questa celeste città ove questa vita mortale farà posto all’immortalità, ove sarà riunito ai cori degli Angeli, prenderà possesso del regno di Dio e diverrà conforme alla sua gloria. Egli non conosce altri piaceri, nessun’altra cosa piace alla sua anima, Gerusalemme solo è il principale oggetto della sua gioia. (S. Hilar.). – Il Profeta Isaia ci invita a non conoscere gioia più vera e grande della gioia che risulta dall’amore e dalla speranza di questa santa città non fatta da mano d’uomo, ove risiede la divina allegrezza e della quale è detta nel Vangelo: « Entrate nella gioia del Signore. » (Matth., XXV).- Rallegratevi con Gerusalemme, trasalite di allegrezza, voi tutti che l’amate; unite i vostri trasporti ai suoi, voi tutti che piangete con essa; voi sarete riempiti dalle sue consolazioni, voi sarete inondati dal torrente delle sue delizie, gioirete dello splendore della sua gloria. » (Isai. LXVI, 10, 11).

III. – 7-9

ff. 7-9. – « Ricordatevi, Signore dei figli di Edom, nel giorno di Gerusalemme. » Si tratta del giorno di Gerusalemme sofferente e schiava, o del giorno di Gerusalemme liberata, rientrata dall’esilio, associate all’eternità? « Ricordatevi Signore, dei figli di Edom; » non li dimenticate mai. Quali sono questi figli? « Coloro che dicono: distruggetela, distruggetela fin dalle fondamenta. » Ricordatevi dunque di questo giorno nel quale essi hanno volute distruggere Gerusalemme. In effetti, quali terribili persecuzioni la Chiesa ha sofferto! Con quale rabbia i figli di Edom, cioè gli uomini carnali, sottomessi al demonio ed ai suoi angeli, adoratori della pietra e del legno, schiavi degli adoratori della pietra e del legno, schiavi dei piaceri della carne, gridavano: distruggete i Cristiani; che non ne resti neppure uno solo! Distruggeteli fino alle fondamenta. Non è questo che essi dicevano? E mentre parlavano così, i persecutori erano riprovati ed i martiri coronati. « Ricordatevi dei figli di Edom, … distruggeteli, distruggeteli fin dalle fondamenta. » I figli di Edom dicono: distruggetela, distruggetela, ed il Signore dice loro: servitela. Quale parola prevarrà, se non quella di Dio che dice: il primogenito servirà il più giovane? (S. Agost.). – « Distrugge, distruggete sin dalle sue fondamenta. » Non è ancora il grido di Guerra e lo scopo che la rivoluzione persegue ai giorni nostri? Il trionfo che essa proclama è riservato al nostro secolo, la missione che essa reclama e di cui si glorifica con la bocca dei suoi corifei, non è l’annientamento del Cristianesimo pubblico, il ribaltamento dell’ortodossia sociale? Distruggere i resti ultimi dell’antico edificio dell’Europa Cristiana, ed affinché la demolizione sia definitiva, abbattere la chiave di volta intorno alla quale le ultime pecore ancora sussistenti potrebbero, presto o tardi, riavvicinarsi o ricongiungersi: ecco l’opera alla quale le mille voci dell’empietà convengono apertamente nella nostra generazione; ecco il lavoro della disorganizzazione alla quale – è manifesto – noi assistiamo. E poiché non c’era mai stato un edificio così vasto come l’edificio Cristiano, mai si sono viste rovine così gigantesche (Mgr PIE, Disc, et Instruc, t. V, 2.). – È unanime l’indignazione del Profeta e di un’anima convertita che, riguardando la sua abiezione e la sua miseria, torna su Babilonia, causa unica delle sue disgrazie, degli sguardi di dolore, di collera e di disprezzo. – « Maledetta figlia di Babilonia, » grida, infelice per la tua allegria, infelice per il tuo odio. Ciò che hai fatto, ti sarà reso: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra. » Egli dichiara Babilonia infelice e dichiara felice colui che le renderà ciò che ci ha fatto. Cerchiamo dunque ciò che gli sarà reso e che ci viene detto: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra! » Ecco ciò che gli sarà reso. Cosa ci ha fatto dunque questa Babilonia? Noi l’abbiamo già cantata in un altro salmo: « I discorsi degli empi hanno prevalso contro di noi. » (Ps. LXIV, 4). In effetti, alla nostra nascita, noi veniamo piombati, piccolo infanti, nella confusione di questo mondo, e fin dalla più piccola età, veniamo tuffa nelle vane opinioni e nei diversi errori. E questo bambino, nato per essere cittadino di Gerusalemme, e già veramente Cittadino di questa città nella predestinazione di Dio; ma aspettando, prigioniero in un tempo, cosa apprende ad amare, se non ciò che i suoi genitori mormorano alle sue orecchie? Essi insegnano e fanno apprendere loro l’avarizia, le rapine, le menzogne di ogni giorno, le diverse maniere di adorare gli idoli ed I demoni. Che può fare questo piccolo bimbo, quest’anima tenera e flessibile esaminando ciò che fanno le persone più adulte, se non conformarsi a ciò che vede fare? Babilonia ci ha dunque perseguitato fin dalla nostra infanzia; ma diventati più grandi, abbiamo ricevuto da Dio il dono di riconoscerlo, per non seguire gli errori dei nostri genitori. «Le nazioni, dice Geremia, verranno da tutte le estremità della terra e diranno: Veramente i nostri padre hanno adorato la menzogna e la vanità, da cui non hanno tratto alcun profitto. » (Ger. XVI, 19). Ecco ciò che dicono I giovani che, nella loro infanzia, hanno trovato la morte seguendo queste vanità; che rigettino essi queste vanità e che, richiamati in vita, progrediscano in Dio rendendo a Babilonia tutto ciò che ella ha reso. Cosa gli renderanno? Ciò che ella ci ha dato. Che i suoi figli siano a loro volta sbattuti; in più, i loro piccoli sbattuti che muoiano. Quali sono i piccoli figli di Babilonia? Le cattive passioni nel momento in cui esse nascono. Ci sono in effetti degli uomini che devono combattere passioni inveterate. Quando la concupiscenza è al suo nascere, prima che abbia preso forza contro di voi; quando la concupiscenza è ancora molto piccola, prima che prenda la forza di un’abitudine depravata; quando è ancora piccola, schiacciatela. Ma temete che essa non muoia, benché schiacciata? Schiacciatela « … sulla pietra. Ora questa pietra è il Cristo. » (I. Cor., X, 4). – Qualunque sia la felicità che possa arridervi in questo mondo, non vi mettete la vostra fiducia, e guardatevi dall’intrattenervi con compiacenza nei vostri piaceri. Il nemico è grande? Uccidetelo sulla pietra. È piccolo, schiacciatelo sulla pietra. Uccidete i grandi sulla pietra, schiacciate i piccoli sulla pietra. Che la pietra trionfi su tutti! Costruite anche sulla pietra, se non volete essere trascinati o dal fiume o dai venti, o dalle tempeste. Se volete essere armati contro le tentazioni del secolo, che il desiderio della Gerusalemme eterna cresca e si fortifichi nei vostri cuori. La cattività passerà, la felicità arriverà; il vostro nemico sarà condannato alla fine, e noi trionferemo con il nostro Re, per non morire mai più. (S. Agost.). – Questa è una pietra che porta un nome divino, questa pietra è il Cristo, ed è anche colui che il Cristo ha chiamato Egli stesso … Pietro. Questa pietra salva coloro che essa tocca, resuscita coloro che sfiora. O generazione contemporanea, o figlia sfortunata di questa Babilonia che è la rivoluzione moderna, felice colui che afferrerà i tuoi figli, li fermerà, li schiaccerà sulla pietra, che è Gesù Cristo, e che è l’insegnamento apostolico. (Mgr PIE, Discours, etc., t. VII, 560).