SALMI BIBLICI: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS” (CXXII)

SALMO 122: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 122:

[1] Canticum graduum.

 [1] Ad te levavi oculos meos,

qui habitas in cœlis.

[2] Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum; sicut oculi ancillae in manibus dominæ suæ: ita oculi nostri ad Dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri.

[3] Miserere nostri, Domine, miserere nostri, quia multum repleti sumus despectione;

[4] quia multum repleta est anima nostra opprobrium abundantibus, et despectio superbis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXII.

Preghiera dell’uomo viatore, che nell’esilio soffre travaglio, principalmente per dispregio.

Cantico dei gradi.

1. Alzai gli occhi miei a te, che fai tuo soggiorno nei cieli. Ecco che, come gli occhi dei servi son fissamente rivolti alle mani dei padroni;

2. Come gli occhi dell’ancella son fissamente rivolti alle mani della padrona; così gli occhi nostri al Signore Dio nostro, in aspettando ch’egli abbia di noi pietà.

3. Abbi pietà di noi, o Signore, abbi di noi pietà; perocché siam satolli di disprezzo oltremodo;

4. Perché molto ne è satolla l’anima nostra: ella oggetto di obbrobrio ai facoltosi e di scherno ai superbi.

Sommario analitico

Il salmista, personificando in sé il popolo esiliato e prigioniero, gemente sotto il giogo dei loro nemici,

I. Indirizza a Dio la sua preghiera:

1° pia e sublime (1)

2° umile e perseverante (2).

II – Egli espone i motivi che devono portarlo ad aver pietà di loro:

1° essi sono nella estrema confusione (3);

2° non solo numerosi sono gli oltraggi dei quali sono oggetto, ma eccessivi e penetrano fino al fondo della loro anima;

3° sono un soggetto di obbrobrio per i ricchi e di disprezzo per i superbi (4).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – C’è una gradazione in ciascuno di questi salmi, chiamati appunto graduali. Nel primo il salmista grida verso il Signore dal mezzo della tribolazione; nel secondo, alza gli occhi verso le alte montagne; nel terzo, di rallegra alla promessa che gli viene fatta di entrare ben presto nella casa del Signore. Qui, egli va più oltre, ed è verso Dio che eleva gli occhi (S. Girol.). – Non è più verso un oggetto creato, verso una delle creature intelligenti, chiunque sia, ma è verso Dio stesso che eleva, non solo gli occhi del corpo, ma soprattutto gli occhi interiori dell’anima, l’affezione e l’intenzione. (Hug. Card.). –  È durante il loro soggiorno presso i popoli barbari che i Giudei ricevettero le lezioni più sublimi e che furono, in questa privazione assoluta di tutte le risorse vitali. Essi imparano che Dio, in qualsiasi luogo invocato, esaudisce prontamente alle nostre preghiere. Le prime ragioni di una vita tutta nuova andranno ben presto ad illuminare i loro sguardi, e così il profeta prelude a questo grande cambiamento, e sotto il velo della comparazione, annunzia che l’osservanza dei luoghi prescritti per la legge, cesseranno di essere obbligatori (S. Cris.).- Tutta la scienza della salvezza è il saper alzare gli occhi verso Colui che abita nel cielo. Si esercita così una grandissima virtù della religione: la fede, la speranza e la carità … il Profeta non nomina Dio, lo caratterizza per la sua dimora che è il cielo; non più il cielo che noi vediamo – dice Sant’Agostino – non solo il cielo dove sono gli Angeli ed i Santi, ma il cielo che è in Dio stesso, il cielo che è l’essenza propria di Dio (Berthier). – « Come gli occhi dei servi sono attenti alle mani dei loro padroni. » Se fosse questione di servi e padroni terreni, il Profeta avrebbe dovuto dire che gli occhi dei servi erano fissi sugli occhi, sulle labbra dei loro padroni, perché è con la parola o con un segno degli occhi che i loro padroni intimano i loro ordini; ma nella Scrittura, le mani significano sovente le opere … il Profeta si esprime dunque in tal modo per farci conoscere che i desideri dei servi dei quali parla, sono interamente portati sulle opere. (S. Hilar.). –  Quanti Cristiani tengono sempre, per partito preso, gli occhi rivolti verso terra, (Ps. XVI, 11), e non hanno nulla da sperare da Dio! Colui che al contrario li alza verso il cielo, ha diritto di sperare tutto; nulla lo sorprende, nulla lo stupisce, perché egli ha sempre i suoi occhi fissati a Colui che sempre ha gli occhi aperti su di lui. Che significa questo paragone: « come i servi, etc. » Essi non sperano e non attendono altro soccorso e protezione; perché da chi, il servo e la serva attendono il nutrimento, il vestito e le altre cose necessarie alla vita? Dai loro padroni soltanto; essi anche non si ritirano, ma restano in loro presenza fino a quando non abbiano ricevuto ciò che sia loro necessario (S. Cris.). Orbene, il Profeta alza gli occhi verso il Signore, affinché fermando il suo sguardo su Dio, nel momento in cui esercita la sua giustizia, Dio, mosso a pietà sotto questo aspetto, ascolti la voce della sua misericordia e cessi di colpire. Supponete che un padrone abbia ordinato che si colpisca un servo; lo si batte, egli sente dolore del corpo, fissa uno sguardo doloroso sulla mano del suo padrone, fino a quando questi non faccia segno che si cessi. (S. Agost.). – « … Affinché abbia pietà di noi. » Egli non si stanca, non cessa di fissare i suoi occhi sul Signore, benché Dio, per provare la sua fede, differisca l’esercizio della sua misericordia, perché la fede fa attendere con piena fiducia ed una santa sicurezza l’effetto della sua preghiera. Egli non dubita della misericordia di Dio, perché i suoi occhi restano fissati su di Lui fino a che Dio abbia pietà di lui. A questa attesa perseverante, egli aggiunge la preghiera: «Abbiate pietà di noi, Signore, abbiate pietà di noi. » Egli parla fissando gli occhi su Dio, prega in questa attitudine con quella perseveranza che gli schiavi dei vizi mettono in opera nelle inclinazioni perverse che li dominano. Ma lui, pieno di una ferma speranza nei beni eterni, persevera nella fiducia che la misericordia di Dio avrà per lui il suo pieno effetto (S. Hil.). 

II. — 3, 4.

3, 4. – « Noi siamo saturi di disprezzo e di obbrobrio. » Ecco ciò che deve attendersi quaggiù quella ferma speranza dei fedeli: gli oltraggi degli empi e la persecuzione da parte dei malvagi. In effetti, se predichiamo la giustizia, incorriamo nell’odio dell’uomo iniquo; se lodiamo la castità, l’impudico si irrita; l’intemperante ha in orrore le nostre mortificazioni e i nostri digiuni; se esortiamo i fedeli alla liberalità, l’avaro ci accusa di follia; se predichiamo Gesù-Cristo, Dio crocifisso, il Giudei si aggiungono ai pagani per perseguitare la nostra Religione e la nostra fede. Quando facciamo professione di attendere il giudizio di Dio, i re della terra si offendono, perché essi vogliono ad ogni costo togliere a Dio il potere di esaminare e giudicare la nostra vita. Se insegniamo la resurrezione dai morti, subiremo le contraddizioni degli infedeli, i cui corpi sono come già sepolti sotto tutti i vizi. Infine, la nostra fede, appoggiata sulla Legge, sui Profeti, sui Vangeli e sugli Apostoli, è attaccata e sfigurata da tutte le menzogne degli eretici. Noi siamo battuti, maledetti, esiliati, proscritti, messi a morte con il ferro, con le fiamme, o precipitati in mare; si sevizia la nostra timidezza, nel nostro corpo risentiamo un vivo dolore di tutte queste ingiustizie (S. Hilar.). – Perché, in effetti, in questa valle di lacrime, l’uomo giusto e santo, non è oggetto di disprezzo? Ma il disprezzo di cui parla qui il Profeta è soprattutto quello che soffrono i buoni da parte dei malvagi, i giusti da parte degli empi. Tutti coloro che vogliono vivere piamente secondo il Cristo, soffriranno inevitabilmente degli obbrobri, e saranno inevitabilmente disprezzati da coloro che non vogliono vivere piamente e il cui benessere è solo terreno. (I Tim. III). Si scherniscono coloro che chiamano felicità ciò che gli occhi non possono vedere, e si dice loro: cosa credi tu, cose insensate? Vedi forse ciò che credi? Qualcuno è mai ritornato dagli inferi per riferire cosa gli accade? Io ciò che amo, lo vedo e ne gioisco! Vi si disdegna, vi si disprezza, perché voi sperate delle cose che non vedete; e colui che vi disdegna si vanta di possedere ciò che vede (S. Agost.). – « La nostra anima è stata tutta ripiena di confusione. » Qui, per maggior chiarezza, il Profeta nomina l’anima; perché l’idea del disprezzo affligge soprattutto l’anima intelligente, gli esseri che sono privi di questo dono prezioso, possono conoscere il dolore, ma non il disprezzo … L’obbrobrio ed il disprezzo dicono la stessa cosa, tanto da poter confondere qui gli orgogliosi e gli uomini nell’abbondanza. L’abbondanza è, d’ordinario, seguita dall’orgoglio, ed infatti tutti gli uomini orgogliosi sono come rigonfi e di conseguenza, nell’abbondanza; ma questa è una cattiva abbondanza, una pienezza fittizia e non un bene reale; essi sono saturi di amor proprio e di autostima, si considerano come legittimi proprietari delle ricchezze terrestri che possiedono, e non sognano affatto che essi dovranno rendere severo conto a Dio dell’impiego che ne hanno fatto. (Bellarm.).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.