L’UFFIZIO DELLE TENEBRE

L’UFFIZIO DELLE TENEBRE.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Tip. Ferroni – Firenze, 1869).

In questa sera comincia l’uffizio delle tenebre. La Chiesa celebra, per così dire, in questi tre ultimi giorni, le esequie del Salvatore. L’uffizio delle tenebre si compone del mattutino e delle laudi di domani, che per anticipazione si cantano la vigilia. Si è dato a questa parte d’uffizio il nome di Tenebre, perché verso la fine di esso rimangono spenti tutti i lumi, così per esprimere il duolo profondo della Chiesa, come per rappresentare le tenebre, onde tutte la terra fu avvolta alla morte di Gesù Cristo. L’estinzione dei lumi richiama ancora alla memoria un fatto storico della nostra bella antichità cristiana. L’uffizio che facciamo la sera si faceva di notte, e durava fino alla mattina; via via che il giorno si avvicinava, si spengevano successivamente le faci che non erano più necessarie. Queste faci sono candele poste sopra un candelabro triangolare, a sinistra dell’altare; ordinariamente in numero di quindici, sette per parte e una in mezzo. Si spengono candele di ciascun lato, successivamente, alla fine d’ogni salmo, cominciando dalla più bassa, dalla parte del Vangelo, e quindi dall’altra, e cosi alternativamente, sinché resti sola quella di mezzo che si lascia accesa. Le dette candele sono di cera gialla, come prescrive un antico rituale romano, perché la Chiesa non ne impiega d’altra qualità nei funerali e nel gran lutto. Quella che è posta nel mezzo del candelabro triangolare, è ordinariamente di cera bianca, perché raffigura Gesù Cristo. All’ultimo versetto del Benedictus, si toglie e si nasconde dietro l’altare, per tutta la recita del salmo Miserere e le preci: quindi si riporta. Questa cerimonia ci raffigura la morte e la resurrezione del Salvatore. Le altre quattordici candele rappresentano gli undici Apostoli e le tre Marie: si spengono per rammentarci la fuga degli uni e il silenzio delle altre nel tempo della passione. Un tal numero di candele e il modo di disporle e di spengerle gradatamente, ha origine da oltre al VII secolo. Quale dev’essere la nostra venerazione per una cerimonia che è stata contemplata da tanti pii cristiani? Possa ella eccitare in noi i medesimi sentimenti di pietà che essa eccitò nei nostri padri! In generale i riti usati dalla Chiesa, specialmente per le principali feste, sono di una antichità molta lontana. Tutto l’uffizio delle Tenebre è impresso del più profondo dolore: l’invitatorio, gli inni, il Gloria Patri, la benedizione, tutto è soppresso. Non vi si odono che quattro voci: quella di David, che piange sulla lira gli oltraggi fatti a Gesù Cristo e la morte del suo Signore e Figlio di Dio: quella di Geremia, che agguagliando i lamenti ai dolori, canta le ruine di Gerusalemme e i tormenti dell’augusta vittima; quella della Chiesa, i cui teneri accenti chiamano i suoi figli alla penitenza: Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore Dio tuo e finalmente quella delle sante donne, che avevano seguito Gesù dalla Galilea, e che piangevano dietro a lui mentre saliva il Calvario. Il loro viaggio, le loro lacrime, e le loro grida ci vengono rappresentate dai due chierici che cantano e in ginocchioni, e andando, quei kyrie, eleison. intramezzati dai responsi e da lamentevoli sospiri. Non vi è né capo, né pastore per presedere all’uffizio di questi tre giorni; poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecorelle della mandra saranno disperse. L’uffizio è seguito da un rumore confuso, che ci richiama alla mente la venuta e lo scompiglio tumultuoso della coorte, che armata di bastoni, e condotta da Giuda s’inoltra di nottetempo ad arrestare il divin Salvatore nell’Oliveto.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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