SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAM ET JUDICIUM CANTABO TIBI” – (C)

SALMO 100: “MISERICORDIAMO ET JUDICIUM cantabo tibi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR; 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 100

Psalmus ipsi David.

[1]  Misericordiam et judicium cantabo tibi, Domine; psallam,

[2] et intelligam in via immaculata: quando venies ad me? Perambulabam in innocentia cordis mei, in medio domus meæ.

[3] Non proponebam ante oculos meos rem injustam; facientes prævaricationes odivi, non adhaesit mihi

[4] cor pravum; declinantem a me malignum non cognoscebam.

[5] Detrahentem secreto proximo suo, hunc persequebar, superbo oculo, et insatiabili corde, cum hoc non edebam.

[6] Oculi mei ad fideles terræ, ut sedeant mecum; ambulans in via immaculata, hic mihi ministrabat.

[7] Non habitabit in medio domus meæ qui facit superbiam; qui loquitur iniqua non direxit in conspectu oculorum meorum.

[8] In matutino interficiebam omnes peccatores terræ, ut disperderem de civitate Domini omnes operantes iniquitatem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO C.

Narra Davide le sue buone opere (che confessa doni di Dio), ad ammaestramento dei successori, e in prima del figlio. Col suo esempio egli spiega quale debba essere il principe verso i famigliari, verso la casa privata e verso lo Stato.

Salmo dello stesso Davide

1. Della misericordia e della giustizia, a te canterò laude, o Signore.

2. Le canterò, e studierò la via dell’innocenza; quando fìa che tu venga a me?

Io camminava nell’innocenza del cuor mio, in mezzo della mia casa. (1)

3. Io non mi proponeva mai cosa ingiusta; odiai quei che prevaricavano.

4. Non ebbi dimestichezza con uomo di cuor depravato; non conobbi il maligno, che si allontanava dalla mia strada.

5. Il detrattore segreto del suo prossimo, questo io lo perseguitava.

Con uomo di occhio superbo e di cuor insaziabile, con questo io non mi poneva a mensa.

6. Gli occhi miei son rivolti agli uomini fedeli del paese per farli sedere presso di me; miei ministri eran quelli che camminavano nell’innocenza.

7. Non abiterà nella mia casa colui che ha il tratto superbo; colui che parlava iniquamente, non trovò grazia dinanzi a me.

8. Al mattino io toglieva dalla terra i peccatori, affine di sterminare dalla città di Dio tutti quelli che operano l’iniquità.

(1) Si sa che nell’ebraico il futuro equivale spesso all’imperfetto; ma qui quest’ultimo tempo turberebbe l’armonia del salmo e sarebbe dunque meglio conservare il futuro con San Gerolamo e gli ebraizzanti, senza i versetti 2, 3, 5.

Sommario analitico

In questo salmo che si riconduce comunemente al tempo in cui Davide fu riconosciuto re da tutte le tribù (Questo sentimento si appoggia sul versetto 8, in cui Davide dichiara che sterminerà dalla città, che non essere che quella di Gerusalemme, tutti gli scellerati), e può essere considerato come il modello riassuntivo dei doveri di un re verso il suo popolo, di un pastore verso il suo gregge, di un superiore, di un capo o un padre di famiglia, Davide espone ciò che è stato (2):

I. In rapporto a Dio:

1° Cercando la sua gloria con l’esercizio della misericordia e della giustizia (1).

2° Implorando il suo soccorso e cioè: – a) Cantando le sue lodi nei sentimenti tutti interiori; – b) comprendendo on la prudenza ciò che deve fare (2).

II. – In rapporto al prossimo:

1° Nella condotta generale della vita, a) conservando l’innocenza del cuore, b) dando l’esempio delle virtù alle persone della sua casa (2);

2° Nei consigli, – a) non proponendosi mai delle cose ingiuste; – b) abbassando i prevaricatori; – c) non prendendo mai cattivi consiglieri (3); – d) abbandonando quelli tra i suoi amici che fanno il male (4);

3° Nei rapporti familiari: – a) perseguendo i calunniatori, soprattutto i calunniatori occulti (5);

4° Alla mensa, – a) allontanando dalla sua tavola i superbi e le persone dominate dalla cupidigia (6);

III. – E più particolarmente in rapporto a coloro che egli associa alla sua amministrazione:

1° Scegliendo uomini fedeli per farli sedere a lui vicino;

2° prendendo come servitori coloro che sono senza macchia (7);

3° Allontanando dalla sua corte tutti gli orgogliosi e coloro la cui bocca proferisce l’iniquità (7);

4° Punendo i malvagi in tutto il suo regno e bandendoli da tutte le città del popolo. 

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2.

ff. 1. – Questo salmo è propriamente il salmo dei re e di tutti coloro che governano sotto di essi, in proporzione dell’estensione del loro potere; è per essi un regolamento della condotta, un ordine di coscienza privato. Conviene ancora più particolarmente ai Vescovi ed a tutti i Superiori ecclesiastici, che Gesù-Cristo associa alla sua regalità spirituale, così come al suo Sacerdozio. È l’arte di governare in tutti i sensi, che il salmista intende cantare. – I semplici fedeli vi ritrovano abbondanti istruzioni per se stessi. Essi vi vedono quali cure adottare per sottrarsi ai danni delle conversazioni e degli esempi del mondo, per non legarsi che con gli amici di Dio, per camminare con sicurezza nella notte di questo secolo, e meritare di presentarsi pieni di giusta fiducia nel gran giorno dell’eternità (Berthier). –  Ciò che contiene il primo versetto di questo salmo, dobbiamo ricercarlo nel salmo intero: « Signore, io celebrerò nei miei canti la vostra misericordia ed il vostro giudizio, » che nessuno presuma l’impunità a causa della misericordia di Dio, perché il Signore esercita anche la giustizia; ma d’altro canto, nessuno di coloro che si sono cambiati e migliorati abbia terrore del giudizio di Dio, perché la misericordia precede questo giudizio. In effetti gli uomini nei loro giudizi, si lasciano talvolta vincere dalla misericordia, ed agiscono contro giustizia, e si ritrova in essi la misericordia, ma non la giustizia; e talvolta, volendo rendere un giudizio rigoroso, essi perdono la misericordia. Ma Dio, pur usando le bontà della sua misericordia, non perde la severità del suo giudizio, ed anche nella severità del suo giudizio, Egli non perde la bontà della sua misericordia. Che se noi vogliamo distinguere nell’ordine dei tempi la misericordia ed il giudizio, forse troveremo che il Profeta non li abbia posti senza motivo nell’ordine che ha seguito, non dicendo: il giudizio e la misericordia, ma: « la misericordia ed il giudizio ». Se noi dunque distinguiamo queste due cose nei tempi che sono loro propri, forse troveremo che il tempo presente è quello della misericordia, e che il tempo avvenire è quello del giudizio. Quando vedete i giusti e gli ingiusti guardare lo stesso sole, gioire della stessa luce, bere le acque della stessa sorgente, essere nutriti dalla stessa pioggia, essere ricolmi degli stessi frutti della terra, respirare la stessa aria, possedere ugualmente i beni di questo mondo, astenetevi dal credere che Dio sia ingiusto dando tutte le cose egualmente ai giusti ed agli ingiusti. È il tempo della misericordia: non è ancora quello della giustizia! In effetti se Dio non si risparmiasse dapprima con la misericordia, non troverebbe nessuno da coronare con il giudizio. È dunque il tempo della misericordia, cosicché la pazienza di Dio conduca i peccatori alla penitenza (S. Agost.). – Dove sono coloro che vogliono che ciò sia derogare alla perfezione della contemplazione, il legarsi agli attributi divini, ai quali, essi dicono, bisogna preferire la contemplazione della sua essenza? E non sanno essi più che Gesù Cristo, nella più alta orazione, che si sia degnato di manifestarci, dice: « Padre mio Santo, Padre mio giusto? » Chi sa cosa sia l’essenza di Dio? Ma chi non sa o non debba sapere ciò che è la sua essenza che si adora sotto il nome di santità e di giustizia? Celebriamo dunque senza fine questi due attributi. Diciamo con Davide: « O Signore io canterò a voi misericordia e giustizia, » perché è come dire, con Gesù-Cristo ed in Gesù-Cristo : « Padre mio santo, Padre mio giusto. » (Bossuet, Méd. s. l’Ev., 2 S. LXVII, j.). – Dal momento che mi affiderete il ministero della vostra santa parola, o mio Dio, io predicherò queste due verità senza mai separarle; la prima, che Voi siete un Dio terribile nei vostri giudizi; ed la seconda che Voi siete il Padre delle misericordie ed il Dio di ogni consolazione. Io non sarò mai così temerario da predicare la vostra misericordia senza predicare la vostra giustizia, perché io conosco le conseguenze pericolose che deriverebbero dall’empietà; Ma mi farò pure un crimine il predicare i rigori della vostra giustizia senza parlare nello stesso tempo delle dolcezze della vostra misericordia, perché la fede mi insegna – e Voi stesso me lo avete rivelato – che la vostra misericordia salva i peccatori, o meglio che la vostra sola giustizia non possa che dannarli e riprovarli. – Io coniugherò dunque l’una e l’altra insieme per poter dire sempre, come Davide: « Signore, io canterò la vostra bontà ed i vostri giudizi. » (Boud.,  Sévér. de la Pénitence). – Il Profeta sembra avvertirci che dobbiamo cantare le lodi di Dio con intelligenza ed applicarci a conoscere il senso dei salmi che cantiamo, affinché il nostro spirito non si smarrisca e non resti senza frutto, allorché non sia la sola bocca a soddisfare il dovere di lodare Dio (S. Ger.). – Quando la nostra voce salmodia i canti che non possiamo comprendere, associamo almeno l’intenzione della Chiesa, nostra madre: noi sappiamo bene che preghiamo, e Dio prende la nostra preghiera come prende la preghiera di un bambino. – « Io camminavo nell’innocenza del mio cuore, etc. » Davide comincia col dirci ciò che era ai suoi occhi ed gli occhi di Dio; egli ci dirà in seguito ciò che era agli occhi degli altri e del popolo. Io camminavo in questa via, portando l’innocenza nel mio cuore; il mio cuore, il mio pensiero, la mia azione, appartenevano al bene; io difendevo il mio cuore dai cattivi pensieri e dai desideri perversi; io sapevo che la vita e la morte escono dal cuore. « … dal centro della mia casa. » Non basta contentarsi di questa testimonianza interiore del proprio cuore; molti sono irreprensibili esteriormente, sulla pubblica piazza; ma nella loro casa, nel loro interno, si macchiano di tutte le iniquità (Bellarm.).

ff. 2. – Colui che ama l’iniquità non cammina più, perché non ha più da camminare. In effetti, ogni malizia è un ceppo, la sola innocenza dà il via; solo essa offre una via libera da percorrere. « Io camminavo nell’innocenza del mio cuore, al centro della mia casa. » Ciò che il Profeta chiama il centro della casa, è: o la Chiesa nella quale cammina il Cristo, o il suo cuore, perché il nostro cuore è la nostra casa interiore. In questo senso, il Profeta non farebbe che spiegare ciò che sta per dire: « nell’innocenza del mio cuore. » Che cos’è l’innocenza del suo cuore? Il centro della sua casa. Chiunque ha nel suo cuore una casa cattiva, ne è costantemente rigettato fuori; perché colui che è oppresso nel suo cuore da una cattiva coscienza, è come un uomo che dovrebbe fuggire dalla casa in cui l’acqua vi penetrasse, o il fumo la rendesse inabitabile; egli non vi potrebbe restare; così l’uomo il cui cuore non è in pace, non può abitare volentieri nel suo cuore. Tali uomini escono da se medesimi con tutti gli sforzi del loro spirito, si riversano all’esterno, si compiacciono delle cose esteriori che riguardano il corpo; essi cercano il riposo nelle frivolezze, negli spettacoli, nelle dissolutezze, in tutti i disordini. Perché cercano la felicità al di fuori di se stessi? Perché non c’è il bene dentro di essi, essi non hanno di cosa rallegrarsi nella loro coscienza (S. Agost.).

II. — 3-6.

ff. 3. – Dopo aver considerato come l’atrio del palazzo ove abbiamo visto la misericordia, la giustizia, una gioia santa, una prudenza consumata, Dio stesso, presiedendo a tutto, ci ha fatto penetrare all’interno del palazzo. Ci resta ora da considerare Davide e tutto ciò che rappresenta, nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche. Dall’innocenza del cuore, il Re-Profeta passa a quella degli occhi e delle mani. Egli ha allontanato i suoi occhi da ogni ingiustizia, sia nell’esercizio delle sue funzioni di giudice sovrano riguardo ai suoi soggetti, sia nella distribuzione degli impieghi e degli onori.

ff. 4. – Vegliare sui propri occhi, sul proprio cuore, sui propri passi, sono tre doveri essenziali nell’affare della salvezza. Il Profeta prende questi tre obblighi in un senso molto esteso. Non solo bada ai suoi occhi per allontanarli da oggetti criminosi, ma non soffre in sua presenza di nulla che possa compromettere la purezza della propria anima; egli evita allo stesso modo i discorsi o le azioni che possano essere sorgente di peccato; egli detesta tutti coloro che commettono l’ingiustizia (Berthier). – «Io non mi proponevo davanti agli occhi cose cattive o ingiuste. » Cosa significano queste parole? Io non lo amavo? In effetti, è costume il dire parlando di un uomo che ne ama un altro: non ho che lui davanti agli occhi; e di colui che si disprezza ci si lamenta ordinariamente in questi termini: egli non getta gli occhi su di me. Cos’è dunque aver davanti agli occhi? È amare. Cos’è non amare? È non essere là con il cuore. Di conseguenza, dicendo: « … io non avevo dinanzi agli occhi cose cattive, » il profeta ha detto: io non amavo cose cattive. Egli espone in seguito qual sia questa cosa cattiva ed ingiusta, dicendo: io ho odiato i prevaricatori. » Se camminate con il Cristo al centro della casa, cioè: se riposate nel vostro cuore, o se camminate nella Chiesa nella via pura e senza macchia, voi non dovete solo odiare i prevaricatori esterni, ma anche i prevaricatori che trovate al di dentro. Quali sono i prevaricatori? Coloro che odiano la legge di Dio, coloro che non la intendono e non la praticano son chiamati prevaricatori. Odiate coloro che sono colpevoli di prevaricazione; cacciateli lontano da voi. Ma voi dovete odiare i prevaricatori e non gli uomini. Voi vedete che un uomo prevaricatore ha due nomi: quello dell’uomo e quello del prevaricatore. Dio ha fatto l’uomo, e l’uomo si è fatto da se stesso prevaricatore; amate in lui ciò che Dio ha fatto, perseguite in lui ciò che egli stesso ha fatto, e ciò che Dio ha fatto viene fuori. (S. Agost.). –  Il più grande elogio che si possa fare di un uomo virtuoso, è dire che i malvagi non osano comparire in sua presenza. – Non ammettere alla nostra amicizia coloro il cui cuore è corrotto; non permettere loro di attaccarsi a voi. – Bisogna allontanarsi dalla loro compagnia quanto essi si allontanano da noi per i loro costumi, e trattarli come persone da non conoscere (Duguet). –  « Io non conoscevo colui la cui condotta maligna allontanava da me. » Che significa: « Io non lo conoscevo? » … Io non lo approvo, non lo lodavo, non mi piaceva … è in questo senso che Dio – che tutto conosce – dirà tuttavia a certi uomini alla fine dei secoli: « Io non vi conosco; » (Matt. VII, 23); io non vi riconoscono come conformi alla mia regola. Io conosco in effetti la regola della mia giustizia; voi non siete conformi a questa regola, voi avete deviano da essa, non siete retti. È in questo senso che il profeta dice qui: « … io non lo conoscevo. » – Il profeta parla così perché il malvagio, quando per caso incontra il giusto in un sentiero stretto, dice ciò che è scritto nel libro della Sapienza: « la sola sua vista ci è insopportabile, » (Sap. II, 15); e cambia il suo cammino per non vederlo. Ma quando non ci sono malvagi che vediamo e che ci vedono, che non solo non si allontanano da noi, ma corrono verso di noi, e talvolta vogliono farci essere asserviti al compimento delle loro iniquità, come si allontanano da voi? Costui si allontana da voi e non si unisce a voi. Che vuol dire: si allontana da voi? Non vi segue, e che vuol dire: egli non vi segue? Egli non vi imita. Di conseguenza queste parole: « … quando il malvagio si allontana da me, » significano; quando il malvagio non mi assomiglia, quando rifiuta di seguire le mie vie, quando rifiuta di vivere come me, egli che mi proponeva la sua imitazione, « … io non lo conosco, », non che quest’uomo mi era sconosciuto, ma che io non lo approvavo. (S. Agost.). – Ogni maldicenza è un gran male, ancor più la maldicenza fatta in segreto, che toglie a colui che ne è l’oggetto, il mezzo di giustificarsi. – Non solo noi non dobbiamo dare il nostro consenso, la nostra approvazione alla maldicenza, ma noi dobbiamo perseguire il suo autore, proponendoci un doppio fine, di non ascoltarlo volentieri e non permettergli una colpevole maldicenza. (S. Gerol.). – Lo Spirito Santo compara coloro che maledicono in segreto a dei serpenti che mordono senza fare rumore (Eccl. X). Essi chiedono il segreto a tutti, e non vedono – dice S. Crisostomo – che è proprio questo che li rende disprezzabili; perché domandare a colui al quale ho fatto confidenza della mia maldicenza che mantenga il segreto, è propriamente confessargli la mia ingiustizia; è come dirgli: siate più saggio e più caritatevole di me; io sono un maldicente, non lo siate anche voi; parlandovi di questa persona, io offendo la carità; non seguite il mio esempio! Così Davide, che fu un principe così illuminato, non aveva tanto orrore della maldicenza quanto del segreto della maldicenza. Io avevo pietà – egli diceva – di coloro che per il calore e la passione erompono in maldicenze, anche se oltraggiose ed atroci; ma se vedo qualcuno che ispira segretamente il veleno della sua malignità, mi sento animato dallo zelo dell’indignazione, e mi sembra che sia mio dovere il perseguitarlo e confonderlo. (Bourd.,  sur la Médis.). –  Perché dunque il Signore ha mangiato con gli orgogliosi? Io non dico con i pubblicani ed i peccatori, perché costoro erano umili, essi conoscevano la loro malattia e cercavano il medico; ma noi vediamo che il Signore ha mangiato con i farisei e gli orgogliosi. Perché dunque per bocca del profeta ci dice: « Io non prendevo i miei pasti con l’uomo dall’occhio superbo? » Perché dunque proporci ciò che Egli non fa, mentre ci esorta ad imitarlo? Noi ci asteniamo da questi tipi di rapporto con i nostri fratelli, quando invece è il caso di riprenderli, e noi non partecipiamo ai loro pasti perché si correggano. Noi mangiamo con degli estranei, con dei pagani, piuttosto che con coloro che sono dei nostri, se vediamo che essi vivono nel disordine, affinché arrossiscano e si correggano. È quanto noi facciamo spesso per la guarigione di altri; ma quanto agli estranei e agli empi, essi sono spesso seduti alla stessa nostra tavola (S. Agost.).

ff. 5. – Che vuol dire ancora questa parola del Profeta: « io non prendevo i miei pasti con l’uomo dall’occhio orgoglioso e dal cuore insaziabile? » Il cuore pio ha i suoi festini, il cuore superbo ha pure i suoi; perché facendo allusione alla maniera di cui si nutre il cuore orgoglioso come il Profeta ha detto: « il loro cuore insaziabile. » Di cosa si nutre il cuore insaziabile? Se è orgoglioso è invidioso; non può essere altrimenti. L’orgoglio è il padre dell’invidia; non può non generarla e sempre ne è accompagnata. Ogni orgoglioso è dunque invidioso; se è invidioso si nutre del male altrui. È ciò che fa dire all’Apostolo: « Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! (Galat. V, 15) » Voi vedete degli orgogliosi a tavola, astenetevi dal porvi accanto a loro; fuggite questo tipo di festini. Essi non possono provare che gioia per il male altrui, perché il loro cuore è insaziabile. Badate di non farvi coinvolgere nei loro festini, nei lacci del demonio (S. Agost.).

III. — 6-8

ff. 6. – Dovere indispensabile dei principi e di tutti i superiori, a qualunque ordine essi appartengano, è servirsi dei propri occhi per vedere le cose da se medesimi, perché ne renderanno conto a Dio. – Non potendo tutti vedere da se medesimi, essi pongono gli occhi su uomini di una probità ed una fedeltà riconosciuta (Dug.). Spesso non ci si preoccupa che della loro abilità, della loro fedeltà e non si vede che questi uomini, ai quali si affida una parte così importante dell’autorità sovrana, perdono gli altri e perdono se stessi con l’esempio di una vita depravata. – « Colui che marciava nella via pura e senza macchia mi ha servito. » Egli mi ha servito – egli dice – e non si è servito egli stesso. In effetti molti sono i ministri del Vangelo; ma essi lo sono per se stessi, perché cercano il proprio interesse e non quello del Cristo (Filipp. II, 24). Che cos’è dunque il servire il Cristo? È cercare gli interessi del Cristo! Tuttavia, quando dei malvagi annunziano il Vangelo, gli altri sono salvati, ma essi sono puniti. In effetti Egli, Gesù, ha detto: « Fate ciò che essi dicono e non fate ciò che essi fanno. » (Matt. XXIII, 3). Non temete dunque nulla anche quando ascoltate predicare il Vangelo da un malvagio. Guai a chi serve il Cristo per se stesso, ma accettate ciò che viene dal Cristo. (S. Agost.). – Davide considera come uno dei più grandi vantaggi del suo regno, vedere seduti anche presso di lui degli uomini giusti e fedeli; tra tutti i favori che aveva ricevuto dal Dio dei suoi padri, non erano le sue vittorie e le sue prosperità le cose da cui era più ammirato: era la virtù e la giustizia dei soggetti che presiedevano ai suoi consigli e che circondavano il suo trono, e la pietà dei Nathan e dei Cusai gli parve la caratteristica più sensibile della protezione del Signore su di lui, che non la conquista di Gerusalemme o le spoglie delle nazioni nemiche osannanti alla sua gloria. Un uomo giusto è un dono del cielo, ed i grandi soprattutto non saprebbero onorare troppo la virtù, perché la potenza non può dare loro che dei soggetti, ma la virtù sola dà loro degli amici fedeli e sinceri (Massill., Mélange des bons, etc.).

ff. 7, 8. – La casa di coloro che sono depositari dell’autorità non deve essere mai aperta a questi superbi, a questi insolenti che opprimono i deboli con le loro calunnie e le loro imposture. – Noi possiamo così riportare al cuore, ciò che è detto della casa. Colui che pratica l’orgoglio non ha abitato nel suo cuore; nessuno di coloro che gli somigliano non ha abitato nel mio cuore; l’orgoglioso non vi ha abitato, perché l’ingiusto non abita nel cuore di un giusto. Il giusto, anche quando sarà separato da voi da grandi distanze, abita con voi, se voi non avete che un cuor solo. (S. Agost.). –   

La preoccupazione di un re saggio, e di ogni uomo che Dio ha posto alla testa dei suoi simili, è quella di proteggere la vita dei buoni dagli attacchi, ed i loro costumi  dagli scandali dei malvagi. « Fin dal mattino – egli dice – prima che il male abbia gettato radici profonde, io facevo sparire dalla terra tutti coloro la cui vita era dannosa per i loro fratelli. – Fin dal mattino, mettevo a morte tutti i peccatori della terra. » Queste parole richiudono evidentemente un senso misterioso; perché il Profeta non vuole dire che egli lavava le sue mani ad ogni levarsi dell’aurora spargendo il sangue umano; questa interpretazione sarebbe tanto assurda quanto poco credibile. La città del Signore, è l’edificio spirituale che ogni uomo costruisce in se stesso; i peccatori della terra sono coloro dei quali il Salvatore ha detto: « … è dal cuore che escono i cattivi pensieri, le invidie, gli adulteri, le rapine, le false testimonianze ed altri vizi simili. » Colui che purifica il suo cuore scaccia con il pensiero di Dio, dall’edificio spirituale che egli costruisce, questi peccatori della terra che escono dalla carne terrestre e corrotta. I primi fuochi dell’aurora nascono in un’anima nello stesso tempo in cui una verità salutare comincia ad illuminare quest’anima ove occorre distruggere e sterminare tutti i pensieri colpevoli; perché se non si prende cura  di sopprimere questi primi movimenti che portano al male, il pensiero sarà ben presto seguito dall’atto cattivo. Così ad esempio, un pensiero di adulterio è uno di questi peccatori della terra; se non tagliate e non sterminate questo pensiero dalla vostra anima come con una spada, e non lo tranciate fin dal mattino, cioè appena si produce, esso vi condurrà lontano, e dal semplice pensiero del crimine, sarete condotto a consumare il crimine stesso (S. Basil., in Isai. V). – Questo ultimo versetto ci trasporta anche a questo grande e terribile giorno in cui Gesù-Cristo farà brillare sul mondo intero la sua misericordia e la sua giustizia. Il tempo di questa vita è come il tempo della notte rispetto all’altro mondo, ove tutte le cose apparirebbero come in pieno giorno. In questo tempo, Dio usa misericordia e risparmia i peccatori per invitarli a convertirsi; ma verrà il mattino, l’inizio dell’eternità in cui Egli ucciderà con il soffio della sua bocca e con l’arresto di una maledizione irrevocabile, tutti i peccatori della terra, ed impedirà che la sua città santa sia macchiata da nessuno di coloro che si troveranno colpevoli di iniquità. (S. Agost.)