L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (5)

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (5)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia Dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°)

P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929

Approbation de l’ordre:

fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).

Imprimatur:

Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd.

Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900.

E. THOMAS, V. G.

SECONDA PARTE

DELLA SPECIALE PRESENZA DI DIO, O DELLA ABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI

CAPITOLO III

Modo di questa presenza

Non è più solo in qualità d’agente che Dio è nell’anima giusta, ma come ospite ed amico, come oggetto di conoscenza e di amore.

È una verità indiscutibile, decisamente affermata dalla Sacra Scrittura, dai Padri e dai teologi che: riversando la grazia nelle nostre anime, lo stesso Spirito Santo vi viene personalmente e si stabilisce lì in modo permanente. Resta da determinare il modo di questa particolare presenza ai giusti e mostrare come Dio sia in loro, non più solo come agente o causa efficiente, ma ancora più perfettamente con un nuovo titolo distinto dal primo. Qual è questo titolo? – Questo è il problema a cui ora si cerca di dare la soluzione. Affrontiamo la parte più delicata e più astrusa della domanda che ci siamo proposti di trattare; ed è particolarmente qui che è davvero necessaria una guida sicura ed esperta. Grazie a Dio non c’è bisogno di andare a cercarla lontano, perché abbiamo la fortuna di possederla nel nostro angelico Dottore Tommaso, in cui lo spirito più penetrante si trova congiunto alla massima santità. Potrà egli quindi parlare per esperienza; a noi sta il seguirlo da vicino e non lasciarlo, se non vogliamo esporci, come tanti altri, o restare al di qua della verità, fornendo solo una spiegazione difettosa ed insufficiente o, per raggiungere l’obiettivo, cadendo nell’esagerazione e nell’errore, facendo dell’abitazione dello Spirito Santo una specie di unione ipostatica: doppio scoglio contro il quale numerosi scrittori sono venuti ad infrangersi. – Nessuno sarà sorpreso di incontrare su questa questione dell’unione della nostra anima con Dio, e soprattutto della maniera con la quale la si deve concepire, una certa diversità di opinioni tra Teologi cattolici; il contrario sarebbe piuttosto abbastanza sorprendente in un argomento così arduo, in cui la rivelazione non proietta che raggi deboli ed obliqui. La maggior parte dei dottori, è vero, si sono allineati seguendo San Tommaso; ma alcuni lo hanno fatto interpretando in modo errato, per non dire completamente impreciso, il pensiero del maestro, che sembrava poco chiaro, non che fosse oscuro in realtà, ma essi lo giudicavano così perché non lo avevano considerato nella sua giusta luce; altri pensavano di poter emanciparsi da una tutela che sembrava loro imbarazzante e che, in definitiva, era solo una condizione di sicurezza, e hanno provato, a loro danno, a battere un nuovo percorso; un piccolo numero ha spinto la temerarietà fino a condannare apertamente la spiegazione data dall’angelico Dottore. – Strada facendo, esamineremo le ragioni degli uni e degli altri. Ma come discernere, tra le diverse opinioni che sono state sostenute e le varie spiegazioni che sono state tentate, ciò che offre le maggiori garanzie di verità e che devo riunire tutti i suffragi? Con quali segni riconoscere il buono o il male fondato di questo o quel sentimento? – Abbiamo per questo un eccellente criterio, una norma facile e sicura, presa  dalle stesse viscere del soggetto. Per essere plausibile, la spiegazione della presenza speciale di Dio nei giusti deve realizzare tutto ciò che promette, tutto ciò che contiene il concetto di missione, donazione, di abitazione dello Spirito Santo; deve di conseguenza implicare una presenza nello stesso tempo sostanziale e speciale della Divinità. Se l’una o l’altra di queste condizioni manca, se ad esempio, il modo di intendere l’abitazione dello Spirito Santo nell’anima giusta, proposta da questo o quel teologo, suppone effettivamente una sostanziale presenza di questa Persona divina, ma unicamente come causa efficiente, la spiegazione suddetta è, per il fatto stesso, convinta di caducità, e deve essere respinta senza un più ampio ulteriore esame; perché non vi troviamo questa presenza speciale che suppone la missione invisibile dello Spirito Santo. Allo stesso modo, se la spiegazione proposta comporti una presenza speciale, è vero, ma puramente ideale, – i filosofi dicono obiettiva, – della Persona inviata, essa è ancora chiaramente insufficiente; perché l’abitazione di Dio in noi presuppone una presenza efficace e reale della Divinità. Esaminiamo, alla luce di questi principi, le diverse soluzioni che sono state date all’interessante problema dell’unione della nostra anima con Dio per mezzo della grazia.

I.

In un opuscolo in lingua latina pubblicato a Tournai nel 1890, e contenente cose eccellenti, un dottore in teologia della diocesi di Colonia, il M. Abate Oberdoerffer, ritenendo che la dottrina di san Tommaso sulla sostanziale inesistenza di Dio nei giusti fosse piuttosto oscura, se non addirittura incompleta, e contenesse più un’indicazione del frutto e dell’effetto della dimora divina, che una spiegazione adeguata di questo particolare modo di presenza, cercò di penetrare ulteriormente nell’intelligenza di questo mistero, e di dare una spiegazione più chiara, più precisa e completa. (Dr P. Oberdoerffer, De inhabitatione Spir. S. in animabus justorum,, c. II. P. 31.). Ecco un riassunto di quanto da lui proposto. – Con la sua operazione e la sua virtù onnipotente, e quindi con la sua sostanza che si identifica con esse, Dio è presente in ogni cosa, come autore della natura, per conservarle nell’esistenza, per muoverle all’azione e condurle al loro fine naturale. Ora, non è solo in questa veste che Egli è nei giusti, ma anche come Autore soprannaturale per conservare in essi la grazia santificante, ut sustineat gratiam, per assisterli nella produzione di atti salutari e infine portarli alla gloria, il termine supremo del loro destino. « Abbiamo qui, dunque – conclude il dotto scrittore – ore al modo ordinario, un particolare modo di presenza speciale all’anima giusta: Habemus igitur etiam sub hac ratione, præter modum ordinarium præsentiæ particularem quemdam. » (Dr Oberdoerffer, op. cit., c. XI, p. 33). È questo il concetto che dobbiamo avere di questa nuova e speciale presenza, di questa dimora di Dio in noi che è frutto della grazia santificante e prerogativa esclusiva dei giusti? Ci rammarichiamo di non poter condividere l’opinione del dottore tedesco su questo punto. – Infatti, dire che Dio è nei giusti, non solo per preservare il loro essere e portarli alle loro operazioni naturali, ma anche per sostenere e conservare la grazia e spingerli ad atti soprannaturali, è altra cosa che affermare la sua presenza in essi in qualità di causa  efficiente? Ora, non è questo un modo di presenza speciale per i giusti, un modo formalmente e specificamente distinto da quello che appartiene a tutti gli altri esseri; è solo il modo ordinario, elevato, se vogliamo, ingrandito, perfezionato, più ampio, più esteso, ma sostanzialmente lo stesso dell’ordine naturale: è la presenza di Dio come agente, per modum causæ agentis (S. T., I, q. VIII, a. 3]. Il colto autore lo ha sospettato, anche se non chiaramente compreso, perché si pone questa obiezione: « I peccatori che si preparano alla giustificazione possono, con l’aiuto della grazia presente, fare atti soprannaturali: perché allora diciamo che Dio non abita in loro, ma solo nei giusti ? »  (Dr Oberdoerffer, loc. cit., p. 33). Noi aggiungeremmo: Non sono solo le mozioni attuali che lo Spirito Santo opera nei peccatori, delle grazie di illuminazione e di ispirazione che Egli si degna di concedere loro; spesso Egli conserva ancora nelle loro anime le virtù teologali della fede e della speranza. Ora, se la speciale presenza di Dio nella creatura ragionevole consiste nel sostenere, conservare i doni liberi e infusi, e contribuire con essa alla produzione di atti soprannaturali, perché si dice che Dio non abiti anche nei peccatori? – E va detto, poiché questa è la dottrina unanime dei teologi, basata sui dati della rivelazione; poiché tale è l’insegnamento formale del Santo Concilio di Trento, che dichiara, nei termini di una perfetta chiarezza, che tutte le opere buone praticate da un Cristiano in stato di peccato, tutti gli atti di virtù che egli può compiere, sotto l’influenza della grazia attuale, per prepararsi alla giustificazione, non sono l’effetto della presenza dello Spirito Santo nel profondo della sua anima, ma la conseguenza di un semplice impulso di questo Spirito divino che bussa alla porta di un cuore che ancora non abita: Spiritus Sancti impulsum, non adhuc quidem inhabitantis. sed tantum moventis. (Trid. sess. XIV, c. iv). Le stesse virtù della fede e della speranza, misericordiosamente conservate dalla bontà divina, in mezzo al cataclisma causato dal peccato, come scintilla nascosta sotto la cenere e facile da riaccendere, come seme di vita soprannaturale che ha solo bisogno di svilupparsi, non sono frutto dell’inabitazione dello Spirito Santo, poiché è solo per la grazia santificante che lo Spirito del Padre e del Figlio procede temporalmente e viene ad abitare le nostre anime. (« Secundum solam gratiam gratum facientem mittitur et procedit temporaliter persona divina. » (S. Th., Summa Theol., I, q. XLIII, a. 3.). – Non era dunque un’opinione personale che san Tommaso difendeva, ma la dottrina della Chiesa che egli formulava, quando insegnava che la sola grazia santificante è il principio di un nuovo modo della presenza divina in noi, e che nessun’altra perfezione aggiunta alla sostanza della nostra anima è capace di rendere presente Dio come oggetto di conoscenza e di amore (S. Th. Summa Theol., I, q. VIII, a. 3, ad 4.). – Ora, se, per costituire questa presenza speciale, bastava che Dio fosse da qualche parte come autore della vita soprannaturale, allo scopo di preservare la grazia e muovere la creatura ragionevole verso atti soprannaturali, ci chiediamo ancora una volta: perché sostenere che Dio non abiti nei peccatori? Non conserva in molti modi i principi della vita soprannaturale, della fede e della speranza? Non contribuisce con loro, attraverso l’influenza della grazia attuale, alla produzione degli atti preparatori per la giustificazione? Padre Oberdoerffer risponde: « Questa obiezione non è infondata. Si può dire che l’esistenza di Dio nei peccatori attraverso la grazia presente è un’ombra della sua presenza nei giusti. Ma la potenza operativa che santifica la creatura e la eleva a somiglianza divina stabilisce in essa una presenza di Dio così singolare e sublime, che la ragione umana è incapace di concepirla e comprenderla perfettamente. È dunque con ragione che questa presenza si chiama presenza e dimora di Dio per eccellenza. » (Dr Oberdoerffer. loc. cit., p. 33). – Che la presenza di Dio nei giusti, ai quali conferisce, con la grazia che li giustifica, tutta questo magnifico corteggio di virtù infuse e doni dello Spirito Santo che accompagnano la grazia santificante, possa essere legittimamente chiamata dimora di Dio per eccellenza, almeno durante lo stato di via, non lo contraddiciamo. Ma se il modo speciale di presenza, frutto e conseguenza della missione invisibile o dono di una Persona divina, consiste essenzialmente nel sostenere la grazia, nel conservare i doni liberi che sono in noi i principi della vita divina, nel farci compiere atti soprannaturali, non possiamo più concepire perché non possiamo dire, in termini rigorosi, che Dio abiti veramente nei peccatori che hanno conservato fede e speranza, e perché questa presenza è solo un’ombra di ciò che i giusti possiedono. Che sia meno perfetto, d’accordo; che sia di altra natura, non solo nulla lo dimostra, ma tutto, al contrario, ci autorizza a negarlo. Non essendo questa spiegazione soddisfacente, dobbiamo cercarne un’altra più plausibile.

II.

Un canonista regolare che insegnava teologia a Monaco all’inizio del secolo scorso, Gaétan-Félix Verani, pensò di averla trovata. Dopo aver esaminato attentamente la spiegazione tomistica, non giungendo a comprendere come la presenza di Dio nei giusti, come oggetto di conoscenza e di amore, potesse essere una presenza reale e fisica, poiché si possono conoscere e amare le cose assenti (VERANI, Theologia speculativa universel, t. III., de Trin., disp. XV, sect.vu, n. 3.) – sempre la stessa obiezione – si volse ad un’altra parte.  Volentieri – ci dice – avrei adottato, per motivi di pietà, l’opinione qualificata come pia da Suarez, secondo la quale la grazia santificante e la carità rivendicano da sole, in virtù di un’esigenza connaturale, la presenza intima, vera e personale di Dio nell’anima santa, se anche la ragione avrebbe potuto persuadersi; ma – aggiunge malinconicamente – i fondamenti su cui si basa questa opinione non sono sufficientemente convincenti. (Verani, ibid., n. 4.). – E dopo essersi messo alla ricerca di una spiegazione più fondata, ecco quella che egli propone: « Io penso – dice – che il modo nuovo e speciale secondo il quale la Persona divina è nella creatura ragionevole a causa della grazia santificante è che Dio sia presente nell’anima come uno sposo alla sua sposa, un amico al suo intimo amico, o meglio ancora come un padre è nel suo figlio teneramente amato e come oggetto costante dei suoi pensieri, dei suoi affetti, della sua preoccupazione di creargli una brillante posizione: perché, facendo dell’uomo un amico e un figlio adottivo di Dio, la grazia santificante richiede che Dio si prenda cura di lui in modo particolare, che lo circondi di una provvidenza particolare. « Da questo modo di parlare – aggiunge il dotto canonico – è facile capire che Dio stia nel giusto in un modo del tutto distinto dal modo in cui vi si trova in tutte le cose con la sua essenza, la sua presenza e la sua potenza; perché se la sua provvidenza è universale e si estende a tutti gli esseri, è più attenta verso i giusti, anche per l’amore di cui è oggetto. Così, quando, per il dono della grazia santificante, le Persone divine sono inviate per la prima volta ad una creatura ragionevole, essa comincia ad essere amata da Dio con un amore speciale, e ad essere governata in modo particolare; e comprendiamo così come le Persone divine si trovino, anche in virtù della loro missione invisibile, presenti in modo nuovo nei giusti. Infatti, se si può dire, secondo il noto adagio, che l’anima si trova più nell’oggetto che ama che nel corpo che anima, perché tutti i suoi pensieri, tutta la sua sollecitudine sono diretti verso l’oggetto amato, possiamo anche affermare, con non minore verità, che per la grazia santificante le Persone divine si trovino in modo nuovo e speciale nei giusti, per la particolare provvidenza di cui sono l’oggetto. » (Verani, loc. cit., n. 11-12). – Noi ammettiamo senza difficoltà questa speciale provvidenza, questa paterna sollecitudine di Dio verso i giusti; e quando si tratta di coloro che possiedono la grazia non solo per un tempo, ma che devono conservarla fino alla fine, o recuperarla un giorno per non perderla più, cioè gli eletti, questa provvidenza ha in teologia un nome particolare: si chiama predestinazione. Ma questa sollecitudine di Dio per coloro che lo amano e che sono amati da Lui, per quanto così attenti come essi dovrebbero essere, non basta, da sola, a dare loro una presenza sostanziale e speciale della Divinità, come riconosce fedelmente  l’emerito professore di Monaco di Baviera. (Verani, ibid., n. 14.). La sua spiegazione non implica una vera abitazione, una presenza effettiva e reale di Dio nell’anima in stato di grazia, distinta dalla presenza d’immensità, ma una semplice unione di affetti. Ma – si affretta ad aggiungere – la grazia e l’amore d’amicizia non richiedono una presenza fisica e reale di Dio nell’anima giusta. (Ibid. n. 14). In contrasto con questo parere, abbiamo stabilito, in un capitolo precedente, e abbiamo dimostrato – crediamo – fino all’evidenza, che la missione invisibile o il dono di una Persona divina – compiuto in ciascuno – apporto o aumento della grazia santificante, implichi al contrario una nuova e sostanziale presenza della Divinità, di conseguenza una vera, reale presenza fisica e non solo una oggettiva e morale. Vedremo più avanti che l’amore della carità richiede anch’esso una presenza effettiva di Dio nell’anima santificata e non può accontentarsi di una semplice unione di affetti.

III.

Per completare l’enumerazione di opinioni più o meno difettose relative al modo di ascoltare e spiegare l’abitazione dello Spirito Santo nei giusti, sarebbe questo il posto giusto per esaminare e giudicare la celebre teoria di Petau, secondo cui la divina dimora per la grazia è peculiare della Persona dello Spirito Santo, invece di essere, secondo il sentimento generale dei teologi, comune a tutta la Santissima Trinità e semplicemente appropriata alla terza Persona; ma questa questione richiede uno studio separato, che discuteremo a tempo debito (cf. supra). – Scarsamente accolto alla sua apparizione e fino ai nostri tempi dalle scuole teologiche che l’hanno comunemente riprovata, questa teoria ha trovato ai nostri giorni un certo favore presso alcune individualità di Francia e di Germania. Essa ha, in particolare, come difensore e come patrono, un religioso francese, sottratto prematuramente al suo Ordine, che onorava con i suoi talenti, e alla Chiesa, che egli edificava con il suo zelo, il R. P. Ramière, della Compagnia di Gesù. Ecco come lo ha spiegato in un libro intitolato: Le aspettative della Chiesa. « Lessius dà come perfettamente certa la dottrina secondo la quale lo Spirito Santo è presente nell’anima giusta, non solo con i suoi doni, ma anche con la sua sostanza. Egli ne ha il diritto, poiché la dottrina opposta, manifestamente contraria alla Scrittura e alla Tradizione, è qualificata come errore dai dottori più autorevoli. In questa grande questione non c’è che un punto solo su cui c’è ancora qualche oscurità. Questa è la parte speciale dello Spirito Santo, in questa opera di santificazione che gli è attribuita ovunque nelle Sacre Scritture. Due cose sono indubitabili: in primo luogo, che lo Spirito Santo non possa venire a vivere nell’anima giusta senza le altre Persone divine che vivono lì con Lui. Anche Nostro Signore dice che se qualcuno lo ama, sarà amato da suo Padre e le tre Persone divine verranno in lui e prenderanno la loro dimora in lui. (Joan. XIV, 23). D’altra parte, non è certamente senza motivo che la missione il cui oggetto è la santificazione delle anime, sia attribuita allo Spirito Santo e non al Figlio. Se in questa missione non vi fosse nulla di proprio allo Spirito Santo, se non facesse nulla che anche il Padre e il Figlio non facciano ugualmente, non sarebbe stato realmente inviato dal Padre e dal Figlio, e le assicurazioni così positive che Gesù Cristo ci dà nel discorso dopo l’Ultima Cena, che ci invierà questo Spirito divino e che suo Padre ce lo invierà nel suo nome, non sarebbero altro che parole vane. Bisogna quindi ammettere, naturalmente, che tra il Giusto e lo Spirito Santo esiste un’unione che non si estende allo stesso modo alle altre Persone. Ma cos’è questa unione? Questo è ciò che lo stesso padre Petau non osa determinare; (Petau., De Trinit., 1. VIII, cap. VI, n. 6).  ci sarà permesso di essere più audaci di lui. » (Ramière, Les Espérances de l’Église. Appendice, XII. in nota). – (In un’opera successiva “La divinizzazione dell’uomo” il p. Ramiere si allinea però completamente alle posizioni del Froget – n. d. r.) – Non è senza ragione che la missione invisibile il cui oggetto è la santificazione delle anime e l’unione con Dio per la carità siano attribuite allo Spirito Santo. La ragione di questa attribuzione, come spiegheremo più avanti in un capitolo successivo, si trova nella sorprendente analogia che esiste tra il carattere della terza Persona, vale a dire la bontà e l’amore, e l’inabitazione  divina per la grazia, questa meravigliosa effusione di amore e di bontà. Quindi, sebbene realizzato nella realtà dalle tre Persone, benché comune a tutta la Trinità, questa ammirevole unione della creatura e del Creatore è attribuita allo Spirito Santo come se appartenesse a Lui di diritto. (« Hæc autem mira conjunctio, quaa suo nomine inhahitatio dicitur, tametsi verissime efficitur pressenti totius Trinitatis numine, ad eam veniemus et mansionem apud eam faciemus (Joan., XIV, 23), attamen de Spiritu Sancto tanquam peculiaris prædicatur. » (Encycl. Divinum illud munus – Leonis PP. XIII.).E giustamente, osserva Leone XIII, poiché « se le tracce della potenza divina e della sapienza si manifestano persino nel peccatore, il giusto solo partecipa all’amore, che è la caratteristica dello Spirito Santo Santo. Aggiungete a ciò che lo stesso Spirito è chiamato “Santo”, poiché essendo il primo e supremo Amore, spinge le anime alla santità, che consiste in definitiva nell’amore di Dio. Ecco perché l’Apostolo, che chiama i giusti “il tempio di Dio”, non li nomina espressamente come il tempio del Padre e del Figlio, ma dello Spirito Santo (I Cor., VI, 19): « non sapete che i vostri corpi sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete ricevuto da Dio? » Quindi quando la Scrittura o i Padri ci rappresentano lo Spirito Santo come l’ospite delle nostre anime, non dobbiamo vedere in questo che una semplice appropriazione basata sull’uso in vigore nella Chiesa, di attribuire allo Spirito Santo le opere della Divinità ove domina l’amore. Ma partire da lì per affermare tra questo Spirito divino e le anime giuste, non so quale particolare unione alla terza Persona e non estendersi allo stesso modo alle altre due, e soprattutto attribuire ad essa la propria e soprattutto attribuirgli come propria la produzione di un qualunque effetto sulle creature, pretendere che « se nella missione (invisibile) non ci fosse nulla di proprio allo Spirito Santo, se non facesse niente che il Padre e il Figlio non facciano altrettanto, non lo si è realmente inviato » è fraintendere stranamente il significato e la portata delle parole della Scrittura e dei Padri, è dividere l’unità dell’operazione in Dio, contrariamente al dogma cattolico, secondo cui tutte le opere esterne sono comuni alle tre Persone per l’unità della loro natura; perché dove non c’è che una sola natura, ci deve essere una sola potenza e una sola operazione.

IV.

Dopo tutti questi tentativi infruttuosi che portano invariabilmente ad escludere l’opinione di Petau, la più improbabile di tutte, restano l’una o l’altra di queste due ipotesi: o una presenza sostanziale di Dio nel giusto, ma come causa efficiente, cioè una presenza comune a tutti gli esseri e che non si differenzia che accidentalmente di molto da ciò che essa è nei peccatori ed anche negli esseri inanimati; o una presenza speciale negli esseri ragionevoli dotati della grazia, ma puramente oggettiva; è tempo allora di proporre finalmente il vero modo di questa presenza dello Spirito Santo, sostanziale e speciale, che la grazia santificante apporta all’anima giusta, senza sacrificare nessuna di queste due condizioni, e senza introdurre questa unione propria e personale con lo Spirito Santo, come ha sostenuto padre Ramière, seguendo Petau. Ci basterà per questo esporre il sentimento di san Tommaso, non come è stato compreso da questi o da quest’altri, ma tale come risulta dalle stesse parole e dai testi comparati del Santo Dottore. – Secondo gli insegnamenti del maestro angelico, Dio può essere sostanzialmente presente in una creatura in tre modi diversi: primo, come agente, o come causa efficiente: questo è il modo ordinario comune a tutti gli esseri senza eccezione; secondo, come oggetto di conoscenza e di amore, ed è la presenza speciale per i giusti della terra ed i Santi del cielo; ed infine, in virtù di un’unione ipostalica: è così che il Verbo si è unito alla nostra umanità in Nostro Signore. (S. Th., I, q. VIII, a 3). Il primo modo di presenza è universale; esso si ritrova ovunque vi sia un effetto qualunque della potenza divina, naturale o soprannaturale; poiché ogni essere creato, essendo essenzialmente dipendente da Dio, non può né giungere all’esistenza, né rimanervi senza l’azione immediata, e quindi senza la presenza intima del suo Creatore. Abbiamo già sufficientemente spiegato sopra questa modalità di presenza per esserne dispensati dall’obbligo di ritornarvi. – La presenza di Dio come oggetto di conoscenza e di amore appartiene solo alle creature ragionevoli, le uniche capaci di conoscerlo e di amarlo. Ma questo secondo modo di presenza ci può essere offerto in una duplice forma, che è estremamente importante discernere bene, se vogliamo evitare l’equivoco in cui è caduto un certo numero di teologi, e per evitare l’obiezione che abbiamo già incontrato sul nostro cammino, e che  continua a ritornare sotto la penna degli oppositori della dottrina di san Tommaso. O si tratta di una presenza puramente oggettiva e morale, oppure, al contrario, si tratta di una presenza effettiva e reale. Nella prima ipotesi, tutti coloro che conoscono e amano Dio, anche attraverso la conoscenza e l’amore puramente naturali, godono di una certa presenza di Dio; perché Egli è nella loro intelligenza attraverso la sua immagine, la sua idea, la sua somiglianza intellettuale; nella loro volontà attraverso un’attrazione che li porta a Lui, attraverso un legame affettivo che li unisce a Lui. Ma questa non è una presenza vera e reale; e anche se, per assurdo, Dio risiedesse esclusivamente in cielo, sarebbe comunque presente, con questa presenza ideale e affettiva, a chiunque faccia della Divinità l’oggetto della sua contemplazione e del suo amore.  – Nella seconda ipotesi, al contrario, se si tratta di una presenza fisica e sostanziale, non solo la conoscenza naturale e l’amore non sono capaci di far abitare Dio in un’anima, ma né la conoscenza soprannaturale che la fede dà, né l’amore del desiderio che la speranza genera, possono dare un tale risultato; solo la grazia santificante e la carità ci danno un tale onore (S. Th., I, q. VIII, a. 3 ad 4). – Quanto al terzo modo di presenza sostanziale, esso si trova solo in Cristo, per effetto dell’unione ipostatica: un’unione ineffabile e incomprensibile, che ci autorizza ad attribuire al Figlio di Dio tutto ciò che fa o soffre la natura umana da Lui assunta; un’unione mirabile, che dà un prezzo infinito a ciascuna delle azioni e delle sofferenze del Dio-Uomo, e gli permette di soddisfare in modo adeguato la giustizia di Dio oltraggiata dal peccato. Questi tre modi di presenza sono riuniti in Nostro Signore. Infatti, Dio è in Lui, come in ogni creatura, come agente, conservando la santa umanità del Salvatore che Egli ha creato e unito al Verbo. C’è ancora, per la grazia santificante, questa presenza speciale per i giusti e i santi; perché fin dal primo momento della sua esistenza, l’anima di Cristo conosce e ama Dio con una conoscenza soprannaturale accompagnata dalla carità; lo conosce, non attraverso le ombre della fede, ma alla luce della visione beatifica; Essa lo possiede così nel modo più perfetto in cui possa essere posseduto da una creatura; Essa lo ama con l’amore di godimento consumato, per cui è veramente beata. Infine, come coronamento di questa doppia unione, già da ora sì perfetta, a questa vi si aggiunge l’unione ipostatica, per mezzo della quale il Verbo comunica alla natura umana, che Egli ha sposato nel grembo della Beata Vergine, la propria sussistenza, affinché, secondo la parola dell’Apostolo, la pienezza della Divinità abiti corporalmente nel Cristo (Col. II, 9), essendo unita non solo alla sua anima ma anche al suo corpo. (S. Th., III, q. II, a. 10, ad a). E non si dica che l’abitazione di Dio per grazia sia perfettamente inutile, se non impossibile, ad un’anima che abbia l’incomparabile vantaggio di essere personalmente unita al Verbo. – È così poco inutile che la stessa unione ipostatica, senza il possesso e il godimento di Dio per mezzo dell’intelligenza e della volontà, non sarebbe sufficiente a beatificare quest’anima. Dio stesso, la felicità sussistente, sarebbe incapace di felicità se non conoscesse e non amasse se stesso; perché senza di essa non potrebbe godere del bene infinito e trovare, nella contemplazione della sua essenza divina, quella gioia suprema che è necessaria  per la beatitudine. Affinché l’anima di Cristo sia beata, essa deve avere, oltre alla sua personale unione con il Verbo, questa unione con Dio mediante l’operazione che consiste nella visione dell’essenza divina e nella fruizione che l’accompagna; e per questo ha bisogno di una grazia creata che la disponga e la renda capace di produrre atti così elevati al di sopra di ogni potenza naturale, e di essere naturalmente alla portata solo di Dio. (S. Th., Qq. disput., De verit., q. XXIX, a. I).

V.

Questa dottrina di san Tommaso, sul triplice modo di presenza sostanziale che Dio può avere nelle cose, è riprodotta in termini quasi identici nella questione delle missioni divine. (S. Th., I, q. XLIII, a. 3). Tuttavia, il santo Dottore vi aggiunge un aspetto particolare e molto importante, sul quale dovremo ritornare; egli dice che con la sua operazione, cioè con i suoi atti di intelligenza e volontà, la creatura ragionevole raggiunge Dio in se stesso: Sua operatione attingit ad ipsum Deum. – Indicheremo di seguito il significato e la portata di queste parole. Ma non possiamo ignorare un articolo magistrale in cui l’angelico Dottore dà al suo pensiero degli sviluppi più ampi, delle spiegazioni che lo rendono più accessibile alla nostra intelligenza, ma che egli non ha ritenuto opportuno riprodurre in seguito nelle opere della sua maturità, dove ha condensato maggiormente la dottrina. Ecco questo articolo. Dopo essersi chiesto se Dio è in tutte le cose con la sua potenza, presenza ed essenza, nei Santi con la grazia, e in Cristo con il suo essere, egli risponde nel seguente modo: « La distinzione di questi modi viene in parte dalla creatura, in parte da Dio. Viene dalla creatura, per come è variamente ordinata e unita a Dio, non da una semplice diversità di ragione, ma da una reale diversità. Infatti, come diciamo di Dio che Egli sia nelle cose a secondo di come Egli è a loro unito e in qualche modo applicato, ne consegue che là dove il modo di unione e di applicazione differisce, il modo di presenza stessa è diverso. Ora la creatura è unita a Dio in tre modi: primo: mediante una semplice somiglianza, perché ogni essere creato possiede in sé una partecipazione e una somiglianza della bontà divina, senza però raggiungere la sostanza stessa di Dio; questo è il modo ordinario di unione, secondo il quale Dio è in tutte le cose con la sua essenza, la sua presenza e la sua potenza. « Secondo, non è più per una semplice somiglianza che la creatura è unita a Dio, ma essa lo raggiunge in Se stesso, considerato nella sua sostanza, per mezzo della sua operazione: questo è ciò che accade quando egli aderisce per fede alla primaria verità, e per carità alla bontà sovrana; questo è il secondo modo, secondo il quale Dio esiste in modo speciale nei Santi, in virtù della grazia. – « In terzo luogo, la creatura raggiunge più Dio non solo con la sua operazione, ma con il suo essere; questo non va inteso come dell’essere che è l’atto dell’essenza, perché nessuna creatura può trasformarsi in Dio, ma dall’essere che è atto di ipostasi o della Persona alla cui unione è stata elevata la natura creata: questo è l’ultimo modo in cui Dio è in Cristo mediante l’unione ipostatica. – Considerata dalla parte di Dio, la diversità dei modi di unione non è reale, ma solo razionale; essa deriva da ciò che si distingue in Dio: essenza, potenza ed operazione. Ora l’essenza divina, essendo assoluta e indipendente da tutte le creature, si trova negli esseri creati solo perché li avvicina a se stessa con la sua operazione; e come operazione nelle cose, è in esse per presenza, perché l’agente deve essere presente in qualche modo alla sua opera; e poiché l’operazione divina non si separa dalla virtù attiva da cui emana, si dice che Dio è nelle cose con la sua potenza; infine, siccome la virtù e la potenza di Dio è identica alla sua essenza, ne consegue che Dio è nelle cose con la sua essenza. »  (S. Th., Sent., lib. I, dist. XXXVIII, q. I, a. 2). Questi, secondo san Tommaso, sono i tre modi di presenza sostanziale che Dio può avere in una creatura, i tre tipi di riavvicinamento e di unione che possono esistere tra il Creatore e l’opera delle sue mani. Dalla parte di Dio, unione con la creatura, con ogni creatura come agente, per conservarla e muoverla nei suoi vari atti; unione con la creatura ragionevole e santa come oggetto della sua conoscenza e del suo amore; infine unione con la natura umana, per assunzione di questa natura e la sua elevazione fino alla personalità divina per costituire questo mirabile composto che noi chiamiamo Dio-Uomo. – Dalla parte della creatura, l’unione con Dio attraverso la semplice somiglianza, cioè attraverso i doni creati che gli sono stati dati come tante partecipazioni e imitazioni analogiche della bontà divina; l’unione per operazione, cioè per mezzo degli atti di intelligenza e di volontà, per mezzo dei quali l’essere creato si porta verso Dio, la verità primaria e il sovrano  Bene, lo raggiunge in se stesso e lo possiede fino a poterne godere in modo iniziale durante lo stato di via, in attesa del godimento consumato che avrà luogo in cielo; l’unione infine nell’unità della persona con Dio, che la fede ci mostra realizzata in Gesù Cristo, la cui natura umana sussiste attraverso la stessa sussistenza del Verbo che gli è stata comunicata. È chiaro che queste diverse modalità di presenza e di unione sono assolutamente irriducibili, e che non c’è solo una differenza di gradi, una differenza accidentale o di più o meno, ma una differenza formale, essenziale e veramente specifica. Una cosa, infatti, è avere Dio presente in noi come causa efficace; un’altra cosa è possederlo come ultimo fine e oggetto del nostro godimento; a maggior ragione il non formare con Lui una sola persona. Nel primo caso, la creatura non raggiunge Dio stesso, benché gli sia intimamente presente; ella non gode di Lui, e spesso ne è incapace; se possiede qualcosa di Dio, non è la sua sostanza, ma è solo una somiglianza, una partecipazione analogica, un’imitazione lontana della sua bontà. Conjungitur creatura Deo tripliciter. Primo modo secundum similitudinem tantum, in quantum invenitur in creatura aliqua similitudine divinæ bonitatis, non quod attingat ipsum Deum secundum substantiam: et ista coniunctio invenitur in omnibus creaturis per essentiam, præsentiam et potentiam (S. Th. Loc. cit.). – Nel secondo caso, al contrario, l’essere ragionevole dotato di grazia possiede veramente Dio nel profondo del suo cuore, raggiunge la sostanza divina attraverso gli atti delle sue facoltà intellettuali, gode di Dio. Secundo creatura attingit ad ipsum Deum secundum substantiam suam consideratum, et non secundum similitudinem tantum; et hoc est per operationem: scilicet quando aliquis fide adheret ipsi primæ veritati, et charitate ipsi summæ bonitati; et sic est alius modus quo Deus specialiter est in sanctis per gratiam (Ibid.). – Sarebbe ingannarsi, tuttavia, considerare questi diversi modi di presenza come realmente distinti in Dio; poiché, al di là dei rapporti di origine opposti, realmente distinti l’uno dall’altro come le Persone divine stesse che essi costituiscono, tutto in Dio è perfettamente unico; la sostanza, le facoltà, le operazioni, le perfezioni i cui concetti sembrano più opposti, si fondono in Lui in perfetta unità e semplicità, e sono solo praticamente distinti. Ci si perdonerà per esserci un po’ attardati su queste nozioni, ma esse ci sono sembrate necessarie per preparare il cammino e illuminare la nostra marcia  verso la meta desiderata; e chiunque sa che una domanda chiaramente posta, e i cui termini siano stati ben chiariti, è per metà risolta, riconoscerà facilmente che non sono né un fuori tema, né una superfetazione.

VI.

Prima di spingere oltre il nostro cammino, fermiamoci un attimo, guardiamo indietro per riconoscere il percorso che abbiamo intrapreso, e prendiamo solidamente possesso del terreno che abbiamo conquistato.  – Quando, facendosi interprete della Scrittura e della Tradizione, San Tommaso dichiara che Dio è nei giusti in una maniera nuova e speciale, che Egli abita il santuario della loro anima, questo non significa, come intende il Dr. Oberdoerffer, che Egli sia in loro per sostenere e conservare la grazia santificante, ut sustineat gratiam, per muoverli alle loro operazioni soprannaturali; è certamente là in questo modo e per questo scopo, ma questo è il modo ordinario e comune di presenza. Questo  non significa che Egli sia unito a loro con i legami di un affezione particolare, che li circondi con una protezione speciale, che ne faccia l’oggetto costante dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni, come sosteneva Verani. Limitare a questo l’unione di Dio con le anime sante, è giungere, volenti o nolenti, alla negazione di una vera abitazione dello Spirito Santo in loro, e di sostituirla con una semplice unione morale, incapace di soddisfare i requisiti di una perfetta amicizia e di soddisfare pienamente alle sì chiare promesse del Salvatore che, « se qualcuno lo ama, sarà amato dal Padre e che le tre Persone divine verranno in lui e vi fisseranno il loro soggiorno. (Giov. XIV, 23). – Per caratterizzare chiaramente questo modo di unione con Dio, che è proprio dei giusti, san Tommaso dichiara che Dio è in loro come oggetto di conoscenza e di amore, in modo che essi possano, con la loro operazione, raggiungere la sostanza divina, (S. Th., I, q. XLIII, a. 3.) e cominciare, già da questa vita, a godere del sovrano Bene. (S. Th. Ibid. ad I). – Ma è sufficiente, per costituire questa presenza speciale, che Dio sia conosciuto e amato con ogni conoscenza e amore soprannaturale? No, per niente. I fedeli in stato di peccato mortale, conoscono Dio non solo attraverso i lumi della ragione, ma anche con quello della fede; essi lo amano ugualmente, non solo con un amore naturale, ma anche con un amore soprannaturale che ha il suo principio nella virtù della speranza; essi possono anche avere quell’inizio di diletto che il Concilio di Trento elenca tra le disposizioni preparatorie per la giustificazione (Trid., sess. VI, c. VI);   eppure Dio non abita ancora in essi, sta solo per entrare nel loro cuore, bussa alla porta, chiedendo che gli si apra. Ecce sto ad ostium et pulso. (Apoc. III, 20). – Abbiamo quindi sentito san Tommaso dirci più in alto, che la conoscenza di Dio, anche soprannaturale, se non è accompagnata dalla carità, è insufficiente a far abitare in un’anima la Santissima Trinità (S. Th., in I ad Cor., c. II, lect. 3.). Per questo egli dichiara, a più riprese, che la sola grazia santificante, ad esclusione di ogni altra perfezione, produce la speciale presenza di Dio,  come oggetto di conoscenza e di amore. (« Nulla alia perfectio superaddita substantiae facit, Deum esse in aliquo sicut objectum cognitum et amatum, nisi gratia; et ideo sola gratia facit singularem modum essendi Deum in rébus, » – S, Th., I., q. VIII, a. 3, ad 4.).  Pertanto, né le virtù soprannaturali della fede e della speranza o gli atti che esse ispirano, né le grazie attuali, né le grazie gratuite, come il dono della profezia o il potere di compiere miracoli, né, a maggior ragione, le qualità naturali sono sufficienti a far abitare Dio in un’anima.  – Perché ci sia una vera dimora dello Spirito Santo, secondo il giudizio di san Tommaso, deve esserci qualcosa di diverso dall’azione di Dio che produce o conserva la grazia; qualcosa di diverso dalla presenza di abitudini soprannaturali e dagli atti che ne derivano; qualcosa di diverso da una speciale provvidenza, per quanto possa essere attenta; è necessaria la presenza vera, reale, sostanziale dello Spirito Santo come oggetto di conoscenza e di amore; è necessario il possesso e almeno il godimento iniziale del sovrano Bene, raggiunto in sé dagli atti di intelligenza e di volontà creata; è necessario un inizio di questa unione beata che un giorno sarà consumata in cielo, ed una sorta di pregustazione della felicità eterna. – Ma questo è ancora un enigma; chi lo scioglierà? Una formula forse preziosa, ma difficile da cogliere, se giudichiamo dalle varie interpretazioni che ne sono state date. Dove gli altri si sono sbagliati, saremo noi più felici? Dove altri hanno fallito, possiamo lusingarci di aver raggiunto sicuramente la verità? Se, per comprendere e spiegare un dogma di così alto ordine, fossimo ridotti ai soli nostri lumi; se, per penetrare nelle profondità di un mistero che va ben oltre la nostra portata, potessimo contare solo sulle nostre risorse, avremmo sicuramente motivo di temere, ricordando le parole dello Spirito Santo: « Non cercare le cose troppo difficili per te, non indagare le cose per te troppo grandi – Altiora te non quæsieris, et fortiora te non scrutatus fueris »; (Eccli. III, 20); perché qui tocchiamo ciò che è di più grande, più santo, più profondo nella vita interiore e mistica, siamo veramente al centro dell’ordine soprannaturale. Ma colui del quale finora abbiamo seguito gli insegnamenti ed esposto la dottrina, san Tommaso, vorrà certamente – lo speriamo – assisterci dall’alto del cielo e ottenerci da Dio i lumi di cui abbiamo bisogno. Contando sulla sua  assistenza fraterna ed il soccorso della sua intercessione, noi andremo  umilmente e coraggiosamente avanti.