SALMI BIBLICI: “QUI HABITAT IN ADJUTORIO ALTISSIMI” (XC)

SALMO 90: “QUI HABITAT IN ADJUTORIO ALTISSIMI

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 90

[1] Laus cantici David.

     Qui habitat in adjutorio Altissimi,

in protectione Dei cœli commorabitur.

[2] Dicet Domino: Susceptor meus es tu et refugium meum; Deus meus, sperabo in eum.

[3] Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium, et a verbo aspero.

[4] Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis ejus sperabis.

[5] Scuto circumdabit te veritas ejus: non timebis a timore nocturno;

[6] a sagitta volante in die, a negotio perambulante in tenebris, ab incursu, et daemonio meridiano.

[7] Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis; ad te autem non appropinquabit.

[8] Verumtamen oculis tuis considerabis et retributionem peccatorum videbis.

[9] Quoniam tu es, Domine, spes mea; Altissimum posuisti refugium tuum.

[10] Non accedet ad te malum, et flagellum non appropinquabit tabernaculo tuo.

[11] Quoniam angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis.

[12] In manibus portabunt te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum.

[13] Super aspidem et basiliscum ambulabis, et conculcabis leonem et draconem.

[14] Quoniam in me speravit, liberabo eum; protegam eum, quoniam cognovit nomen meum.

[15] Clamabit ad me, et ego exaudiam eum; cum ipso sum in tribulatione; eripiam eum, et glorificabo eum.

[16] Longitudine dierum replebo eum, et ostendam illi salutare meum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XC

Il titolo non leggesi nei codici ebraico e greco. Forse fu aggiunto per far intendere che il Salmo non fosse di Mosè. Argomento è esortazione a porre in Dio ferma fiducia. Ora parla il profeta, ora il giusto, ora Dio a modo drammatico. Il Salmo è utile a formare i costumi.

Lauda o cantico di David.

1. Colui che riposa nell’aiuto dell’Altissimo, viverà sotto la protezione del Dio del cielo.

2. Egli dirà al Signore: Mio difensore sei tu, e mio asilo; egli è il mio Dio, in lui spero.

3. Imperocché egli dal laccio dei cacciatore e da dure cose mi ha liberato.

4. Dei suoi omeri farà ombra a te, e sotto le ali di lui avrai fidanza.

5. La sua verità ti coprirà come scudo per ogni parte: non temerai i notturni spaventi.

6. Non di giorno la saetta volante, non l’avversiere che va attorno nelle tenebre, non gli assalti del demonio del mezzogiorno.

7. Mille cadranno al tuo fianco, e diecimila alla tua destra; ma nissuna (saetta) a te si accosterà.

8. Ma tu coi tuoi propri occhi osserverai; e vedrai il contraccambio renduto ai peccatori.

9. ( E dirai): Tu sei, o Signore, la mia speranza; e che per tuo rifugio hai scelto l’Altissimo.

10. Non si accosterà a te il male, e alla tua casa non accosterassi il flagello.

11. Imperocché egli ha commessa di te la cura ai suoi Angeli; ed eglino in tutte le vie tue saran tuoi custodi.

12. Ti sosterranno colle lor mani, affinché sgraziatamente tu non urti col tuo piede nel sasso.

13 Camminerai sopra l’aspide e sopra il basilisco; e calpesterai il leone e il dragone.

14. Perché egli ha sperato in me, io lo libererò; lo proteggerò perché ha conosciuto il mio nome.

15. Alzerà a me la voce, e io lo esaudirò; con lui son io nella tribolazione, ne lo trarrò, e lo glorificherò.

16. Lo sazierò di lunghi giorni, e farogli vedere il Salvatore, che vien da me.

Sommario analitico

In questo Salmo in cui Davide espone la sicurezza e la tranquillità di cui gode, in mezzo ai pericoli così numerosi di questa vita, si vede l’uomo giusto che ripone tutta la sua fiducia in Dio (1).

(1) [Questo salmo sembra essere un dialogo a due voci, con una terza nel nome di Dio, senza il coro. I tre primi versetti sono detti per la prima voce, i versetti 5-8 per il coro, ed il versetto 9 per una seconda voce; i versetti 9-13 per il coro, ed i versetti 14-16 per una terza voce, nel nome di Dio. – Questo salmo enumera, con una grande poesia nel dettaglio, e sotto ricche metafore, tutti i vantaggi legati ai luoghi di asilo, e soprattutto a questo asilo posto in un luogo elevato che non è altri che l’Altissimo. Questo salmo è pieno di malinconia e di attraenti misteri, quando è recitato o cantato di sera, sotto le ombre maestose che cadono dalle volte delle nostre antiche basiliche sull’assemblea raccolta dei fedeli, ché incoraggia ad essere intrepidi nella vita ed al riposo della forza, per la fiducia in Dio (Claude, Les Psaumes, etc.)].

I. – Considera Dio come una fortezza inespugnabile nella quale:

1° Dio riceve l’uomo giusto e gli offre un sicuro rifugio;

2° Egli si comunica a lui e lo fa entrare nella propria intimità (1);

3° L’uomo giusto che sfugge ai suoi nemici vi trova un asilo ed un rifugio contro i suoi persecutori (2, 3).

II. – Durante il soggiorno che fa il giusto in questa fortezza inespugnabile in cui Dio lo riceve:

1° Prima del combattimento: – a) Dio lo mette al riparo delle sue spalle: – b) lo copre sotto le ali come una chioccia copre i suoi piccoli (4);

2° Durante il combattimento: – a) lo protegge dai suoi nemici coprendolo con lo scudo della sua verità contro gli attacchi notturni (5-6); – b) gli dà ancora la forza di trionfare dei suoi nemici (7);

3° dopo il combattimento: – a) Dio gli procura la gioia di vedere la loro disfatta (8); – b) gli concede di gioire dall’alto di questa fortezza, di una sicurezza che nulla può turbare; – c) ricolma di questa gioia allontanando dalla sua dimora tutto ciò che è capace di nuocere.

III. – Quando il giusto esce da questa fortezza:

1° Dio gli dà degli Angeli per guida e per difesa: – a) essi lo custodiscono in tutte le sue vie (11); – b) lo portano nelle loro mani per garantirlo da tutti i pericoli della strada (12, 13);

2° Dio stesso si accompagna a lui nella strada e dichiara, per bocca del Profeta, ciò che debba fare in favore dei giusti: – a) Egli li libererà dai loro nemici coloro che sperano in Lui (14); – b) li assisterà nelle loro tribolazioni; – c) li libererà e farà volgere queste tribolazioni a loro gloria (15); – d) renderà questa gloria universale; 

e) ed al colmo, si manifesterà Egli stesso a loro (16).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1, 2. – È da questo salmo che il demonio ha tratto le parole di cui ha osato servirsi per tentare Nostro Signore Gesù-Cristo. Ascoltiamolo dunque, per istruirci e per poter resistere al tentatore, non mettendo la nostra fiducia in noi, ma in Colui che è stato tentato prima di noi, per assicurarci la vittoria nelle nostre tentazioni. In effetti, la tentazione non gli era necessaria, ma la tentazione del Cristo è un insegnamento per l’uomo. Ora, se prestiamo attenzione a ciò che il Cristo risponde al demonio, per rispondergli allo stesso modo, noi entriamo dalla porta. Che vuol dire entrare dalla porta? Entrare attraverso il Cristo, imitare i modi del Cristo (S. Agost.). – Ci sono tre tipi di persone che non dimorano nel segreto dell’Altissimo: 1° coloro che, in luogo di confidare in Dio, mettono la fiducia nella loro forza, nelle loro ricchezze, sia temporali che spirituali; 2° coloro che disperano della loro salvezza, soccombendo sotto il peso delle loro infermità, senza ricorrere a Dio; 3° coloro che si lusingano invano di ottenere il suo soccorso senza curare di correggersi. I primi dimorano nei propri meriti, i secondi nella diffidenza, i terzi nei loro vizi (S. Bern.). – Colui dunque che imita il Cristo sopportando tutte le pene di questo mondo, e mettendo in Dio la propria speranza per non essere sedotto dalla lussuria, né annientato dalla paura, costui è veramente colui che abita sotto l’aiuto dell’Altissimo, e che dimora sotto la protezione del Dio del cielo. – « Egli riposerà sotto la protezione del Dio del cielo, » vale a dire che, forte di questa protezione, non temerà nulla di ciò che esista o di ciò che possa accadere sotto il cielo. È il complemento di ciò che il salmista sta per dire nella prima parte di questo versetto: l’assistenza dell’Altissimo ha soprattutto come scopo di aiutarci a fare il bene; la sua protezione, di difenderci dal male. E si noti che non dice: egli dimorerà alla presenza del Dio del cielo, ma sotto la protezione del Dio del cielo. Gli Angeli trasaliscono di gioia alla sua presenza; per me, possa io riposare sotto la sua protezione! Gli Angeli sono felici di essere eternamente alla presenza di Dio, possa io – quanto a me – essere in sicurezza sotto questa divina protezione! (S. Bernardo). – Per abitare così nel segreto dell’Altissimo, non è sufficiente un atto passeggero di fede, di speranza, ma occorre una lunga abitudine, una perseveranza costante nel mettere la propria fiducia in Dio; bisogna per così dire, essersi costruito una casa, una dimora in Dio e portarla con sé. « Egli dimorerà sotto la protezione del Dio del cielo. » Qui non si tratta di un soggiorno transitorio, come una delle capanne erette nei cantieri o nelle vigne, come sotto la tenda del viaggiatore: è una dimora permanente. – Ora non ci sono che gli uomini di preghiera che abitano così in modo permanente nel segreto di Dio. Per elevarsi a questo segreto di Dio, bisogna fare ciò che san Gregorio spiegava con questa comparazione sensibile: voi vedete – egli diceva – l’acqua che zampilla da una tubazione, essa si pone a livello della riserva da dove è discesa; ma darà essa questo spettacolo che fa la delizia di coloro che ne sono testimoni, se essa non è costretta in questo canale stretto dal quale si slancia in aria? Non si spanderà nella campagna se la si lascia in libertà? Ne è lo stesso per i nostri spiriti ed i nostri cuori, tutte le volte che li abbandoniamo a se stessi, che li lasciamo errare nelle occupazioni frivole del mondo, essi si spandono e non risalgono alla sorgente di ogni bene. – Chi dice a Dio: « Voi siete il mio sostegno, il mio rifugio e il mio Dio? – Colui che abita sotto l’aiuto dell’Altissimo. Chi è colui che abita così sotto l’aiuto dell’Altissimo? Colui che non si mette al riparo da se stesso. Chi è colui che abita sotto l’aiuto dell’Altissimo? Colui che non è orgoglioso, come lo sono stati coloro che hanno mangiato il frutto proibito, al fine di essere come déi, che hanno perso il dono dell’immortalità che avevano ricevuto nella loro creazione, « Voi siete il mio protettore, il mio rifugio, il mio Dio. » Queste tre parole sembrano corrispondere ai tre grandi benefici di Dio: l’uno passato, l’altro presente, ed il terzo futuro. Il primo, è l’infinita misericordia di Dio che ritrae l’uomo dal peccato e dalla via che conduce alla perdizione. Il secondo, quando Dio diventa il rifugio del peccatore convertito contro le ricadute e le tentazioni che potrebbero rivoltarlo. Il terzo, che è il più grande di tutti, è compreso in queste parole « Mio Dio. » Dio è il mio Dio, cioè il sovrano Bene, ma lo sarà per noi veramente ed in una maniera personale, se non nel cielo quando lo vedremo così com’è. (S. Bernardo) – Egli dirà al Signore: « Voi siete il mio difensore, e il mio rifugio, ed il mio Dio. » Tutte le creature possono dire a Dio: Voi siete il mio Creatore; gli animali possono dire: Voi siete il mio pastore; tutti gli uomini possono dire. Voi siete il mio difensore, che dimora sotto l’assistenza dell’Altissimo. Egli aggiunge: « … e il mio Dio. » Perché non dice: Nostro Dio? Perché nella creazione, nella redenzione, in tutte la altre grazie comuni, Dio è Dio di tutti gli uomini; ma, nelle tentazioni, gli eletti lo considerano e lo invocano come loro Dio, a titolo particolare. In effetti, Egli è disposto a difendere colui che è prossimo a soccombere, coprendolo con la sua potente protezione, come se lasciasse tutte le altre creature e non fosse Dio che per lui solo … notate, egli non dice: io ho sperato, o io spero, ma « io spererò ». È l’augurio, la risoluzione, l’intenzione del mio cuore. Questa speranza riposa nel mio seno ed io persevererò. Io non mi lascerò andare né alla disperazione, né ad una vana speranza, perché maledetto è colui che pecca sperando il male e disperandone; io non voglio essere più di coloro che non sperano nel Signore: « io spererò in lui » (S. Bern.). –  « Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori. » Siamo dunque degli animali? Ahimè! Si, questo è pur vero. L’uomo che è elevato agli onori, non lo ha affatto compreso: egli è stato comparato alle bestie irragionevoli ed è divenuto simile a loro (Ps. XLVIII, 15). Si, gli uomini sono come animali senza ragione, come pecore erranti senza pastore … Ma chi sono questi cacciatori? I cacciatori pieni di malizia, di inganno e di crudeltà; dei cacciatori che non suonano il corno per timore di essere sentiti, ma che lanciano le proprie frecce nel segreto contro l’anima innocente ed indifesa. Questi sono i principi delle tenebre, versato in tutti gli inganni del demonio, e ciò che è l’animale davanti al cacciatore abile, l’uomo più fine e più abile lo è davanti ad essi, a meno che essi non siano di coloro che, come gli Apostoli, conoscono il pensiero di satana, e a chi la saggezza di Dio ha dato il potere di scoprire i suoi disegni artificiosi e funesti. (S. Bernardo). –  Il demonio ed i suoi angeli tendono i loro tranelli, e gli uomini che camminano in Cristo camminano lontani da questi lacci. In effetti il demonio non osa tendere i suoi lacci nella via che è il Cristo; egli li pone attorno alla via, ma non sulla via stessa. Il Cristo sia sempre la nostra via, e noi non cadremo nelle insidie del demonio. Ma colui che erra fuori da questa via incontra l’insidia: a destra, a sinistra egli pone i suoi lacci; « … voi camminate in mezzo alle trappole » (S. Agostino). – Così come in mezzo ai pagani, colui che è Cristiano è esposto alle parole ingiuriose dei pagani, così in mezzo ai Cristiani, coloro che vogliono essere più vigilanti e migliori degli altri, sono esposti agli insulti degli stessi Cristiani … – In tutte le città, c’è un numero di cattivi Cristiani che vivono nel disordine, e coloro che voglio vivere bene tra di loro, coloro che vogliono essere sobri in mezzo ad uomini intemperanti, che vogliono restare casti in mezzo ad uomini dissoluti, che vogliono adorare Dio puramente in mezzo ad uomini che consultano gli astrologi e nulla chiedono ai loro vani calcoli; infine colui che vuole andare in Chiesa, in mezzo ad uomini amici degli spettacoli frivoli del teatro, costui è esposto agli insulti dei Cristiani stessi, che lo caricano di parole ingiuriose e che lo rimproverano dicendo: « Quanto a voi, voi siete un grande uomo, voi siete un santo »; essi lo insultano, e da qualunque parte si giri, a destra o a sinistra, si sentono parole oltraggiose. Ma se egli se ne duole, o si allontana dalla via del Cristo, cade nei lacci dei cacciatori (S. Agost.) -. – Qual è questa parola dura se non il grido dell’insaziabile inferno: eliminate, eliminate, colpite, distruggete, mettete a morte, impeditegli di dividere le spoglie? Qual è questa dura parola se non questa: « Che l’empio sia eliminato per non vedere la gloria di Dio? » (Isai. XXVI, 10). Allo stesso modo i cacciatori trionfano gioiosi quando, catturata la preda, gridano: Afferratela, legatela, ponetela sul braciere, afferratela e gettatela nella caldaia bollente, la stessa dura parola del popolo giudeo quando esclamò: « … via, via, crocifiggilo » (Giov. XIX, 15). Voi avete sopportato questa dura parola, Signore; perché? Se non per liberarci da una simile parola … gli uomini del mondo, quando consigliamo loro di fare penitenza, ci rispondono come fecero i Giudei a Nostro Signore: « Questa parola è dura. » (Giov. VI, 61). Ma come, sono una cosa dura « … queste afflizioni sì brevi e leggere della presente vita, che produrranno per noi il contrappeso eterno di una incomparabile gloria? » (II Cor. IV, 17) – Vi sembra duro riscattare con un lavoro sì breve e leggero queste sofferenze e queste torture che non vedranno mai termine, e che nessuno spirito può concepire? Vi sembra duro ascoltare questa parola: « … Fate penitenza? » voi siete nell’errore. Un giorno veramente sentirete una dura parola: « … andate via, maledetti, al fuoco eterno. » (Matt. XXV, 41). Ecco la parola che bisogna temere, la sola parola che deve apparirvi dura, e allora troverete che il giogo del Signore è dolce ed il suo peso leggero. (S. Bern.). 

II. — 4-8.

ff. 4-8. – « Ti metterà all’ombra sotto le sue spalle, e sotto le sue ali sarai pieno di speranza. » È evidente che questo riferimento delle due ali spiegate indica a sufficienza che voi siete come tra le spalle di Dio, in modo tale che le sue ali, in mezzo alle quali vi trovate, vi proteggano da ogni lato, e facciano in modo che non abbiate a temere nessuno. Badate solo di non lasciare un asilo ove alcun nemico osi penetrare. Se la chioccia protegge i suoi pulcini, quanto più sarete sicuri sotto le ali di Dio contro il demonio ed i suoi angeli! (S. Agost.) – Quattro benefici segnalati ci vengono accordati all’ombra delle spalle di Dio: Dio ci nasconde sotto le sue spalle; ci protegge contro gli attacchi degli uccelli predatori, che sono le potenze dell’aria; ci offre un’ombra salutare e rinfrescante, e ci mette al riparo degli ardori brucianti del sole; infine ci nutre e ci riscalda, come la chioccia riscalda i suoi pulcini che nasconde sotto le sue ali (S. Bern.). – Questo è lo scudo impenetrabile della verità di Dio, che rende invulnerabile coloro che sanno servirsene. Un elmetto copre soltanto la testa, una corazza non può difendere che una parte del corpo, ma lo scudo è una difesa generale che si può alzare, abbassare e girare intorno al corpo (Dug.). – Circondato da questo scudo della fede fondata sulla Verità di Dio, non si temono né le tentazioni di pusillanimità, figurate dai timori notturni di cui parla il Profeta, né le tentazioni di vanagloria e di orgoglio, significate dalla saetta che vola di giorno, né le tentazioni di avarizia ed il desiderio di ricchezze che risiedono nelle tenebre profonde nell’anima e l’accecano, né le tentazioni di impurità, significate dagli assalti del demonio del mezzogiorno, che cerca di abbracciarci con i fuochi della lussuria. – Dopo aver rassicurato l’uomo giusto e pieno di fiducia in Dio, il Profeta gli fa vedere la disfatta dei suoi nemici, e la protezione tutta particolare di cui sarà oggetto. Questa vittoria non sarà completa che nella vita futura, e lo spettacolo del castigo degli empi costituirà una parte della gloria dei giusti. – « Ma tuttavia voi considererete con i vostri occhi. » Perché queste parole: « … Ma ora? »  È stato permesso agli empi di ergersi arrogantemente contro i vostri servi; è stato permesso agli empi di perseguitare i vostri servitori. E questo impunemente? No, non sarà impunemente; perché, benché lo abbiate permesso, ed i vostri servi ne abbiano merito per la loro corona, « … tuttavia, essi considereranno con i loro occhi, e vedranno la punizione dei peccatori. » Ora, noi abbiamo bisogno di vedere, con gli occhi della fede, e la loro elevazione temporale e le lacrime che verseranno eternamente. Un potere passeggero è stato loro dato sui figli di Dio, ma sarà loro detto un giorno: « … andate nel fuoco eterno. » E chiunque ha occhi per vedere, considererà con i propri occhi; ed è questo un terribile spettacolo, il vedere l’empio florido in questo mondo, e fissare gli occhi su di lui per contemplare con la fede i supplizi che gli sono riservati alla fine, se non si corregge; perché coloro che pretendono di maneggiare il fulmine, più tardi saranno fulminati (S. Agost.). – I giusti troveranno, nella considerazione dei supplizi del peccatore, un soggetto di grazie e di gioia: 1° perché, grazie alla sola misericordia del Redentore, essi sono sfuggiti a questi supplizi eterni; 2° perché essi gioiranno di una perfetta sicurezza, vedendo i castighi dei peccatori, di cui non avranno più a temere né la malizia né gli attacchi diabolici, e che non vedranno non solo caduti alla loro destra e sinistra, ma caduti per sempre nell’inferno; 3° A causa della comparazione che faranno del loro stato con quello dei peccatori, paragone che farà risaltare la brillanza e lo splendore della gloria di cui saranno ricoperti; 4° perché vedranno nei supplizi dei malvagi il compimento dei disegni provvidenziali della saggezza e della giustizia divina (S. Bern.).

ff. 9, 10. – Gli uomini cercheranno sempre un asilo nei luoghi più elevati. Colui che si rifugia nel seno di Dio, stabilisce la sua dimora nell’asilo più elevato, il più forte, il più inaccessibile alle imprese degli uomini. Ce ne sono molti che vogliono farsi un rifugio in Dio, per sfuggire alle tempeste di questa vita. – Ora, il rifugio che Dio ci presenta e nel quale si può sfuggire alla collera ventura, è un luogo molto elevato e molto nascosto (S. Agost.). – « Voi avete posto il vostro rifugio in un luogo molto elevato. » Il tentatore non potrà avvicinarsi, il calunniatore non potrà salirvi, il maledetto accusatore dei suoi fratelli non potrà mai raggiungerlo …  « Voi avete posto il vostro rifugio in un luogo molto elevato; voi avete scelto l’Altissimo per vostro rifugio. » Fuggiamo spesso in questo rifugio, il luogo è fortificato, non c’è da temere alcun nemico. Piacesse a Dio che noi potessimo sempre dimorarvi! Ma questo non è possibile nella vita presente. Ciò che è ora per noi un rifugio, diventerà un giorno una dimora permanente per l’eternità. Ma nell’attesa, benché non ci sia concesso abitarvi sempre, ricorriamo spesso a questo rifugio. In tutte le nostre tentazioni, in tutte le nostre tribolazioni, in tutte le nostre necessità, di qualunque natura siano, questa città di rifugio ci è aperta, il seno della madre nostra ci attende, le viscere della misericordia sono pronte a riceverci.  (S. Bernar.) – Uno dei frutti di questa speranza che il giusto ripone nell’Altissimo, è che il male non gli si avvicinerà. Ora vi sono due tipi di male: il peccato e la pena dovuta al peccato; il peccato è il male propriamente detto, la pena non è che un male relativo, così è questa pena che bisogna intendere con il castigo o catastrofe di cui parla qui il Profeta. Che il peccato sia solo un male nel senso assoluto della parola, e che così non lo sia per la pena, è evidente: solo il peccato ci rende malvagi, mentre la pena non ci rende che infelici; nessuno può servirsi del peccato per il bene, mentre la pena può rendersi meritoria; il peccato non è mai utile, perché ci fa perdere più di quanto non ci dia; non si può mai dire che sia un bene, perché è sempre una iniquità, mentre la pena più esserci buona ed utile; non si può dire che Dio sia l’autore del peccato, perché tutto ciò che Egli fa, è buono, mentre la pena la si può ricondurre alla sua giustizia (S. Bernar.) – (Bellarmin.) – Quando il peccato sarà stato completamente distrutto, essendone stata eliminata la causa, l’effetto cesserà di esistere, e non potendo più il male avvicinarvi, le catastrofi non potranno raggiungere la vostra tenda, ed il castigo sarà allontanato dall’uomo esteriore e l’uomo interiore sarà puro e affrancato da ogni colpa.

III. — 11-16.

ff. 11-13. – 1° Provvidenza ammirevole di Dio, che deputa a guardia nostra uno degli Angeli che vedono la sua faccia in cielo. – Chi ha comandato, a chi ha comandato, nell’interesse di chi è stato comandato? Da ciò possiamo concludere l’amore di Dio per noi, l’amore che gli Angeli ci portano, e la dignità della nostra anima. (S. Gerol., S. Bern.) – Chi ha dato questo comando? Qual è il Padrone degli Angeli, da chi essi ricevono ordini da eseguire? Alla volontà di Chi essi obbediscono? È dunque la sovrana Maestà che ha comandato agli Angeli, ai suoi Angeli, cioè a queste intelligenze sublimi e felici che sono così vicini a Lui, che Gli sono uniti, che vivono nella sua familiarità, che sono veramente della casa di Dio, che ha comandato loro a vostro riguardo. Chi siete voi? Signore, che cos’è l’uomo, perché vi ricordiate di lui, o il Figlio dell’uomo perché ve ne diate pena? L’uomo non è che un ammasso di corruzione, ed il Figlio dell’uomo un verme di terra? E cosa pensate che abbia comandato agli Angeli a vostro riguardo? Ha forse scritto contro di voi cose aspre? Ha forse comandato loro di far risplendere la loro potenza contro una foglia portata dal vento? Ha loro comandato di far sparire l’empio, perché non veda la gloria di Dio? Ecco cosa avrebbe dovuto comandare, ma non sono questi gli oggetti del suo ordine: « Egli ha comandato ai suoi Angeli di custodirvi in tutte le sue vie ».  E come queste parole non devono ispirarci un profondo rispetto, penetrarvi di una tenera devozione, e mettere nel vostro cuore una fiducia senza limiti, un profondo rispetto per la presenza dei suoi Angeli, un sentimento di tenera affezione per la loro benevolenza nei vostri riguardi, una fiducia senza limiti in questi guardiani tanto fedeli! (S. Bern.). – 2° Ecco il fine per il quale gli Angeli sono posti a nostra guardia: per custodirci in tutte le nostre vie, cioè in tutti i nostri pensieri, in tutti i nostri affetti, in tutte le nostre parole, in tutte le nostre azioni, queste sono le vie attraverso le quali noi andiamo a Dio. Ora, gli Angeli ci conducono nella via del cielo (Exod. XXIII, 20); essi rianimano il nostro coraggio e ci danno le forze per entrare generosamente in questa via. – « Essi vi custodiranno in tutte le vostre vie. » Quali sono queste vie? Quelle nelle quali voi camminate evitando il male e fuggendo la collera futura. Ci sono tante vie, tanti tipi di vie, cosa che crea un danno molto grande al viaggiatore. Quanto è facile, in questo incrocio di strade multiple, prenderne una che inganni, se manchiamo di discernimento nella via che scegliamo; perché Dio non ha comandato ai suoi Angeli di custodirci in tutte le vie, ma in tutte le « nostre vie ». Ci sono delle vie che dobbiamo evitare, delle vie seminate di insidie, costeggiate da precipizi, vie ben differenti da quelle nelle quali abbiamo bisogno di essere custoditi. (S. Bern.) – Una volte fortificati, gli Angeli ci indicano chiaramente il cammino. Essi ci aiutano in mezzo alle difficoltà della strada; essi combattono per noi se il nemico ci attacca. – 3°  Ecco ancora l’amore con il quale gli Angeli assolvono a questa missione: essi ci portano nelle loro mani, figura questa improntata alla nutrice, alla madre che porta i suoi figli nelle sue braccia. Le mani degli Angeli sono l’intelletto e la volontà. – I nostri piedi sono le affezioni della nostra anima, e le due principali affezioni sono l’amore ed il timore. Ogni azione, ogni parla, ogni desiderio dell’uomo verso un oggetto qualunque, sono l’effetto dell’amore e del timore, l’amore di un bene che vogliamo acquisire o il timore di un male che temiamo di soffrire; e noi urtiamo i nostri piedi contro la pietra, quando all’occasione di un bene temporale che vogliamo acquisire o che temiamo di perdere, cadiamo nel peccato. (S. Agost.). – Santi Angeli, quanti siete, « … che vedete la faccia di Dio, » ed ai quali Egli ha comandato di custodirci in tutte e nostre vie, apportate alla nostra debolezza i soccorsi di ogni sorta che Dio ha messo nelle vostre mani per la salvezza dei suoi eletti, per i quali si è degnato di stabilirvi spiriti amministratori.  (Bossuet, Elév. IV, S. III, E.) – O Angeli del cielo, io vivo in mezzo al mondo ove gli scandali mi circondano; vegliate su di me e custoditemi, è il Signore stesso che ve lo ordina! Voi, i cui occhi contemplano la faccia dell’Altissimo, abbassate tuttavia i vostri sguardi fino ai miei piedi, e nello stesso tempo che sostenete il mondo, portatemi nelle vostre mani, perché i miei piedi non inciampino nella pietra di scandalo. – Il demonio, il primo e più pericoloso nemico del genere umano, è figurato sotto il nome di aspide, di basilisco, di leone, di dragone, secondo i diversi modi con cui cerca di attaccarci. Questi animali rappresentano anche i quattro vizi principali: l’aspide, le suggestioni segrete degli spiriti immondi (S. Greg.); il basilisco, la vanagloria e l’invidia (S. Bern.); il leone, l’orgoglio, ed il drago, la collera.

ff. 14-16. – La vera conoscenza di Dio è quella che è congiunta alla speranza e all’amore; conoscere Dio, altrimenti, è conoscerlo in maniera sterile. – Non temete, quando siete nell’afflizione, che Dio, per così dire, non sia con voi: che la fede sia con voi, e Dio è con voi nelle vostre tribolazioni. Il mare solleva i suoi flutti, e voi siete sballottati nella vostra barca perché il Cristo si è addormentato. Se la vostra fede dorme nel vostro cuore, è come se il Cristo, che abita in voi per la fede, dormisse con il vostro naviglio. Quando cominciate a sentire qualche agitazione, svegliate il Cristo che dorme! Eccitate la vostra fede, e sentirete che non vi abbandonerà! (S. Agost.). – Tutto il Vangelo non è, in qualche modo, che il commento di questa bella parola del Profeta : « … Io sono con lui nella tribolazione. » Dio è sempre stato con i giusti nella tribolazione, ma questa verità ha ricevuto una applicazione ben più sensibile e più generale dopo che il Verbo di Dio si è degnato di farsi simile a noi e passare Egli stesso in tutte le tribolazioni. – « Io lo salverò e lo glorificherò. » A chi non sarebbe sufficiente essere glorificato da Colui le cui opere sono perfette? Perché una sì grande immensità non può glorificare i suoi eletti che in maniera immensa. La glorificazione deve essere necessariamente grande, e discendente da una gloria tanto magnifica (II Piet. I, 17). La gloria del mondo è ingannevole, il suo splendore è vano, i giorni dell’uomo sono brevi. Il saggio non desidera questa gloria, egli dice dal fondo del cuore a Colui che vede il fondo dei cuori: « io non desidero il giorno dell’uomo, voi lo sapete. » (Ger. XVII, 16). Io desidero qualcosa di più prezioso. Io conosco colui che ha detto: « Io non ricevo la gloria che viene dall’uomo. » (Giov. V, 41) Quanto siamo miserabili nel cercare la gloria che viene dagli uomini, e non volere quella che viene da Dio solo! Quella gloria per la quale non abbiamo che indifferenza, è la sola che abbia durata, la sola che possa riempire i nostri desideri (S. Bern.). – Cos’è la lunghezza dei giorni? La vita eterna. Non pensiate che qui si tratti di una lunghezza analoga a quella dei giorni dell’estate che sono più lunghi di quelli dell’inverno. Sono questi i giorni che Dio deve darci? No, la lunghezza dei giorni, non ha fine, è la vita eterna (S. Agost.). – « Ed io gli farò vedere la salvezza che destino a lui, » vale a dire, gli mostrerò il Cristo stesso. Ma come? Non si è visto il Cristo sulla terra? Cosa ha dunque di straordinario da mostraci? Ma il Cristo non è stato visto allo stesso modo in cui lo vedremo. Non è stato visto che come lo hanno visto coloro che lo hanno crocifisso, e noi che non lo abbiamo visto, noi abbiamo creduto in Lui, essi avevano degli occhi, dunque non ne abbiamo noi? Noi ne abbiamo, e questi sono gli occhi del cuore; ma noi vediamo ancora per la fede e non in realtà. Quando arriverà la realtà? Quando lo vedremo faccia a faccia (I Cor. XIII, 12), secondo l’espressione dell’Apostolo, e secondo la promessa di Dio che ci ha fatto come la più grande ricompensa dei nostri travagli. Qualunque sia il vostro lavoro, voi lavorate per giungere a questa visione. Noi vedremo dunque, un nonsoché di grande, perché questa visione deve essere tutta la nostra ricompensa; ora, questa visione incomparabile è quella di Nostro Signore Gesù-Cristo. (S. Agost.). – Il salmista, dopo aver detto: « io lo colmerò di giorni, » sembra rispondere a questa domanda: donde verrà il giorno in questa città di cui leggiamo: « E la città non ha bisogno del sole, né della luna per essere illuminata, perché non ci sarà più notte »? (Apoc. XXI, 23). « Io gli farò vedere la mia salvezza, » egli dice, e così l’Agnello sarà la sua fiamma, la luce che la illuminerà. Non è più con la fede che lo istruirò, non lo eserciterò con la speranza, il tempo della prova è trascorso; io colmerò i suoi desideri con la visione chiara: « Io gli farò vedere la mia salvezza, » Io gli farò vedere il mio Gesù, affinché contempli eternamente Colui in cui ha creduto, che ha amato, che ha sempre desiderato. «  Mostrateci Signore, la vostra misericordia, e donateci la vostra salvezza; » mostrateci Colui che ci destinate come Salvatore, e questo ci è sufficiente; perché chi lo vede, vede anche Voi, perché Egli è in Voi e Voi siete in Lui. Ora, « la vita eterna consiste nel conoscervi, Voi, il solo vero Dio e Gesù-Cristo che Voi avete inviato. » (Giov., XVII, 3S. Bern.) – La Gloria riservata al giusto consiste dunque in una durata senza limiti e nella visione del Salvatore; è questa manifestazione piena ed intera di Se stesso che prometteva ai suoi Apostoli quando diceva: «  Colui che mi ama sarà amato dal Padre mio, Io l’amerò e mi manifesterò a lui. » (Giov. XIV, 21). « Le due promesse comprese in questo versetto non sono dunque niente meno che l’eternità e la visione di Gesù-Cristo; l’una senza l’altra non sazierebbe l’uomo giusto; l’eternità senza Gesù-Cristo non potrebbe essere che l’inferno, e la visione di Gesù-Cristo senza l’eternità non potrebbe essere che una beatitudine passeggera, di conseguenza soggetta al timore di perderla … e al rimpianto di averla perduta. (Berthier).  

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° corso di esercizi spirituali (14)

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (14)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

14. La fiducia

Prima di lasciarvi voglio aiutarvi a fare ancora una riflessione utile, e cioè vorrei dirvi una parola sulla fiducia, perché gli Esercizi finiscono e comincia la loro applicazione; la visione si chiude e comincia l’azione. La causa è messa e debbono cominciare gli effetti buoni. È il momento in cui bisogna aver fiducia. La fiducia suppone un fondamento e il fondamento c’ è. Ecco tutto. Ciascuno di voi ha davanti i suoi problemi, i suoi difetti, le cose che gli rimangono ancora da fare. Vorrei dirvi: non spaventatevi mai. Nel corso di questi Esercizi ciascuno di voi ha potuto costatare che Dio aiuta a vedere la verità e talvolta aiuta in una maniera sorprendente. Ed è Lui che agisce: non si tratta di cause esterne, è Lui. Quello che accade qualche volta, può accadere sempre e può ripetersi sempre purché noi — mi si passi la parola — aiutiamo il buon Dio a farlo accadere. Voi avete visto che durante gli Esercizi possono muoversi in noi dei sentimenti, delle certezze, delle accensioni anche formidabili. Anche qui non si tratta di cause esterne: si tratta della mano di Dio. Bene, quello che è accaduto una volta può accadere sempre, può accadere tutti i giorni. Ma soprattutto possiamo avere la tranquillità che Dio non ci abbandona in quelle articolazioni dei fatti, in quelle articolazioni della nostra vita, in quei momenti nei quali noi abbiamo bisogno assolutamente di luce, di certezza e di forza dentro di noi. Quello che accade in qualche momento può accadere sempre ed è indefinitamente ripetibile. Il fondamento c’è — lo avete visto — e il fondamento sta in quello che Iddio ci ha dato. Nostro Signore, lo ricordate, ci ha detto che dobbiamo chiedere e possiamo chiedere e che riceveremo; che se busseremo ci sarà aperto, perché il Padre stesso ci ascolta. Ci ha assicurato dell’infallibilità della sua assistenza e della infallibilità della preghiera. Non ci ha assicurato l’oggetto da noi inteso nella preghiera, perché poi possiamo chiedere anche cose meno convenienti o possiamo chiedere inadeguatamente o cose irragionevoli ecc. Ma la preghiera ha sempre un effetto: c’è aggiunta la promessa divina. – Ma il grande documento della nostra fiducia è proprio la SS. Eucaristia. Si può pensare che Colui che ha inventato questo, che ha fatto questo, che ha trasformato con questo l’orizzonte di tutto il mondo, che ha innalzato con questo le possibilità di tutti i redenti, che ha anticipato con questo una comunione eterna, è possibile mai che non sia dalla nostra parte? Voi capite bene che tutto l’oggetto, divino, amabilissimo oggetto di questi Esercizi, ritorna per darci una parola di fiducia. Ciascuno di voi può contemplare le sue questioni, i suoi problemi, le sue risoluzioni, il suo domani, ma sempre con infinita pace, perché c’è Lui. Il fondamento c’è: è questione di appoggiarvisi. Ma è certo che, appoggiandovisi, tutte le questioni possono risolversi nella forma migliore, tutti i problemi possono avere la loro conclusione nella maniera più felice, tutto quello che può rimanere dubbio nell’anima può trovare la luce al momento, nella misura in cui forse noi non pensiamo, ma certo può trovare la luce. Non c’è nessuna questione che rimanga fuori di questa affermazione universale. Voi potete avere fiducia e guardare con fiducia. Ricordatevi che c’è Lui; a Lui potete sempre direttamente chiedere, con Lui potete sempre direttamente intrattenervi; mi permetto di richiamare e raccomandarvi quello che ho già detto a proposito dell’orazione eucaristica. – Guardate che con l’applicazione della orazione eucaristica non c’è più niente da temere nella propria vita, né per i propri dubbi, né per le proprie carenze, né per le contingenze attraverso le quali potrà venirsi a trovare la vostra vita. Tutto è perfettamente solubile, notate bene, non nel senso della comodità, perché a colui che è andato in croce per noi non possiamo chiedere le comodità. Possiamo chiedere qualche volta di essere sollevati dalla nostra umana debolezza e dalla nostra piccolezza, ma la faccia di chiedere proprio che ci faccia un letto di petali di rose, non la possiamo avere. E su questo credo che si possa essere facilmente d’accordo, perché dinanzi a tutto quello che Nostro Signore Gesù Cristo ha dato, noi non possiamo essere degli egoisti, ma dobbiamo imparare da Lui ad essere infinitamente generosi. Ma è certo che si può guardare all’avvenire con fiducia per quanto riguarda noi, per quel che riguarda il nostro apostolato, le nostre imprese, la nostra opera. Guardate sempre con fiducia: avete il documento in mano. E di questo documento in mano, di questa infinita risorsa, di questa incomparabile grazia — questo vi dico — sappiatevene servire. Essa non mette limiti; la risorsa non ha limiti. Il tempo e lo spazio hanno i loro limiti, le circostanze hanno i loro limiti, i dolori hanno pure i loro limiti, ma ricordiamoci che la grazia di Dio non ha limiti mai.

FINE

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° corso di esercizi spirituali (13)

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (13)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

13. La vittoria sul mondo

Dobbiamo concludere il discorso sull’iter che ci ha intrattenuto in questi Esercizi. Abbiamo detto che noi dobbiamo percorrere una strada insieme con Gesù Cristo e che Gesù Cristo lo troviamo dov’è, ossia dove s’è messo Lui. E nella forma più vicina, più umana, più accostevole, nell’Eucaristia. E pertanto, pensando che il cammino della vita dobbiamo farlo con Lui, ci siamo volti costantemente alla considerazione dell’Eucaristia. – Quando Nostro Signore ha istituito l’Eucaristia, allorché ha porto un calice ai discepoli, ha detto queste parole: « Fino a che non lo beva nuovo con voi ». E con questo rimandava il pensiero dei discepoli presenti in tutte le generazioni all’ultimo termine, cioè al banchetto eterno. Noi dobbiamo per un momento tenere gli occhi fissi a questo: la mensa, la comunione che noi abbiamo con Gesù Cristo, l’intimità alla quale ci autorizza la dottrina eucaristica nei confronti con Lui, debbono avere la conclusione nel banchetto eterno, che noi chiamiamo così, che si chiama così, non solo per la ragione di colleganza col banchetto nel quale Dio e gli uomini si trovano insieme mentre questi sono nel pellegrinaggio terreno, ma ancora perché l’immagine del banchetto è immagine tipicamente biblica per esprimere la pienezza dei beni. Noi dobbiamo guardare al banchetto eterno. – E allora, la prima considerazione che io sottopongo a voi in questo ordine di idee e per arrivare a quel punto, eccola. In questo iter, sapendo che siamo con Gesù Cristo, che con Lui possiamo parlare tutto il giorno, che lo possiamo ricevere tutte i giorni, che di Lui possiamo essere nutriti e con Lui possiamo essere forti, noi dobbiamo essere consapevoli, fieri, sicuri e coraggiosi di fronte al mondo. – Io sono profondamente convinto che gli uomini del nostro tempo siano molto più vicini a Dio di quanto noi crediamo; proprio per l’esperienza della fugacità e della caducità delle cose umane e per la fretta travolgente del loro stesso progresso e per le spettacolose terribili applicazioni che quella fretta ha recato, si sono trovati ben più vicini e sono tutti più vicini a ripensare con obiettività il loro stato. Per questo motivo e anche per la esperienza che ne faccio tutti i giorni, è mia convinzione profonda che gli uomini del nostro tempo, presi a uno a uno, siano più vicini a Dio, molto più di quanto non lo fossero 25, 30, 40, 50 anni fa. Di questo io sono convinto circa gli uomini individui, presi a uno a uno. Ma l’ambiente loro, il mondo, che è cosa diversa dagli uomini, è quanto mai sospetto, quanto mai misero e quanto mai degno di compassione. Non di ammirazione, di compassione. Noi sappiamo che questo mondo cerca d’intimorirci, e cerca d’intimorirci sciorinando tutte le sue conquiste, le sue possibilità tecniche, sciorinando, con molta mala fede, la sua scienza come se noi diventassimo piccoli, inermi, assolutamente incapaci e non potessimo sostenere il confronto con questa maestà che si muove fiera e spesse volte tracotante. Questo scopo a cui tende il mondo: dare a noi il senso di una inferiorità, fa parte di quel tale vento del deserto a cui ho già accennato durante questi Esercizi, quel vento che viene dal deserto e che non aiuta a crescere nessuna pianta ma le brucia tutte. Quel vento del deserto può arrivare a noi e può creare in noi dei complessi d’inferiorità, quasi che a non essere scanzonati come il mondo, a non essere tracotanti come il mondo, noi abbiamo a essere degli esseri inferiori, quasi che noi dobbiamo metterci a tremare dinanzi alle sue conquiste. Io vi prego di non tremare mai dinanzi a niente, le conquiste del mondo moderno, che ha arretrato su tutta la linea per quel che riguarda il pensiero e altre manifestazioni collegate col pensiero — ha certamente arretrato, dico, la cultura —, la intelligenza di questo mondo ha invece straordinariamente avanzato nel campo delle scienze esatte, delle loro applicazioni, delle scienze positive e della tecnica, ordinando scienza e applicazioni positive ad aumentare l’agio, il comodo e il piacere materiale degli uomini. Ma ricordiamoci bene che tutto il complesso delle scienze positive e delle scienze esatte non può oltrepassare l’accidens quantitatis, sta tutto al di qua: questa piccola cosa della quale noi abbiamo avuto occasione di parlare a proposito della presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucaristia, l’accidens quantitatis, lo ferma e lo fermerà sempre. Al di là di quello, in fatto di scienze esatte e in fatto di scienze positive, si potrà andare solo modestamente con qualche deduzione, con qualche parallelismo; il resto è lasciato alla fantasia, non alla scienza. È questo il motivo per cui non dobbiamo aver paura mai, mai. Ricordiamoci che la matematica comanda e comanda la fisica. La matematica di natura sua, non costata altro che la successione ed i rapporti di estensione. La matematica non ha per canto suo le supreme ragioni dell’essere ed i rapporti di causa ed effetto. È questo il motivo per cui talvolta taluni matematici, sconfinando in campo che non era il loro e cioè nel campo metafisico, hanno dato prova di altrettanta ignoranza e incapacità in campo metafisico, che è il massimo, quanto potevano dar prova egregia di valore nella loro diretta e immediata competenza. – Il mondo cerca di donare a noi dei complessi d’inferiorità; cerca perché non abbiamo talune sue manifestazioni — e ne possiamo fare benissimo a meno perché non servono a niente —, perché non abbiamo la sua iattanza, perché non abbiamo la sua sicumera; cerca di farci credere che siamo dei poveretti. Dei poveretti? Ricordatevi che noi camminiamo con Gesù. Cristo; ricordatevi che il mondo, tanto quanto la sua scienza è stato sempre al qua dell’accidens quantitatis, il mondo intero è stato sempre al di qua della barriera della morte e non l’ha mai potuta oltrepassare. E non la passerà mai. Gesù Cristo l’ha passata. E nella storia della Chiesa la fa passare quando crede: Egli è padrone della vita. Noi camminiamo con Lui, non camminiamo con un morituro. Il mondo cammina con sé stesso morituro. Noi assistiamo a questa mostra di giuochi: vediamo cose che sembrano grandiose e stupende, che hanno un andamento che oggi non si dice più meraviglioso, si dice addirittura cosmico, e non è vero. Noi in realtà assistiamo allo scendere in questa arena arrossata di squadre di gladiatori che hanno armi diverse, sono condannati alla morte e danno spettacolo Però questi gladiatori passano tutti davanti al podio di Cesare, alzan la mano e salutano gridando « Ave Cæsar, morituri te salutant ». Noi vediamo tutte queste cose, le guardiamo con senso di pietà e di tristezza, perché tutte queste  spettacolose cose, che sembrano scendere con tanta muscolosa iattanza nell’arena arrossata di sangue le vediamo invece passare dinanzi al podio di Gesù Cristo dicendo «Ave, Christe, morituri te salutant ». Ma camminiamo, noi, per cose che noi muoiono e siamo con Lui che, unico, ha passato la morte. – Non dimentichiamocelo mai; che non ci prenda mai il senso di una certa miseria: « Il cielo e la terra passeranno ma – ha detto Lui – le mie parole non passeranno », e nessun uomo si può perita neppure di sognare una cosa simile. Le pari degli uomini volano via molto più facilmente vento e degli uomini. Noi dobbiamo ricordare che quando spira questo vento del deserto e tenta di prenderci farci venir paura, di farci tremare, che vorrebbe far piegare le nostre ginocchia rivestendoci di complessi d’interiorità, noi con umiltà davanti a Dio e davanti a Dio e davanti a tutti i fratelli, ma con fierezza di fronte alla storia e di fronte avvenimenti  del mondo, al mondo come ambiente, dobbiamo levare la testa con sicurezza e coraggio. – I paragoni verranno incalzando davanti a noi per ottenere determinati effetti psicologici, ma attenti bene! Non lasciatevi prendere. S. Agostino, nel XII libro della sua mirabile opera De civitate Dei parlando e riassumendo tanti eventi e circostanze della storia, le guarda, a un certo momento si direbbe con una riflessione sdegnosa che vi riporto ed esclama: « Sono tutte impalcature effimere per costruire l’unica casa durevole. La storia è così Quello che voi vedete, quello che pare stupendo, non dimenticatelo: sono tutte impalcature effimere che servono unicamente per costruire l’unica casa durevole, che è il Regno di Dio. – La cultura! La cultura, la grande cultura, che ha messo tutto il suo impegno nel far perdere all’uomo la stima per la propria intelligenza, prima, poi per la certezza, poi per la verità, e l’ha privato della sicurezza della verità, poi della norma di coscienza, poi finalmente della stessa valutazione dell’essere, poi finalmente l’ha portato e condotto al disprezzo della stessa vita e della stessa felicità. Il cosiddetto pensiero dominante oggi, che non lo è, perché è una forma di romanticismo deteriore, l’esistenzialismo, è la scuola del disprezzo della vita e del disprezzo della felicità. L’ultima voce dell’ultima forma esistenzialista è il gettare in faccia al destino la stessa libertà perché non sa che farsene neppure di quella. L’odium vitæ. Prima avevano dissertato, disquisito e giocato a proposito dell’ odium contra veritatem, e sono arrivati necessariamente all’odium vitæ, allo svuotamento di tutto. È possibile aver paura? – Guardateli bene! Sono scintillanti, hanno armature splendide, fregiate d’oro; i loro pennacchi ondeggiano accompagnando e ritmando gesti di una forza, di una virulenza, di una tracotanza impressionante. Guardateli: sono gladiatori che scendono nell’arena; attendono, si ammazzeranno tra di loro, purtroppo. Credete voi di dover aver paura del mondo? È questo il dramma del nostro tempo: la dissociazione tra il fatto che gli uomini, presi come singoli, sono in realtà molto più vicini a Dio e hanno fame e sete di giustizia molto più di quanto noi possiamo credere — e lo si sperimenta ogni giorno — e l’altro fatto che il loro ambiente, che è cosa diversa dai singoli e dalla somma dei singoli, perché è cosa nella quale rifluisce tutto quello che si è raccolto da quattro secoli a questa parte e forse anche da prima, il loro ambiente porta tutti i segni della pazzia e della malattia. È possibile averne paura? – Non meravigliatevi che nell’ultima meditazione io vi intrattenga su questo argomento e insista così fortemente su questo argomento. Perché a che cosa ci si riduce noi quando abbiamo paura di qualcheduno? Noi possiamo morire, ma le cose che ci sono care non le toccherà nessuno e scapperanno fuori anche di sotto terra se dovessero andarcisi a nascondere, e s’aprirebbero veramente le tombe, se questo fosse necessario. Non ha importanza che noi si viva o si muoia quando si è camminato e quando s’intende morire con Gesù Cristo: ha importanza che quello che noi amiamo ben più di noi stessi sia assicurato al disopra del carattere effimero del mondo. « Sono tutte impalcature effimere poste per costruire l’unica casa durevole ». Guardate sempre con questa sicurezza. Guardate al mondo della cultura perché dovete lavorare anche per convertirlo, non rigettando quello che di prezioso può portare con sé ed effettivamente porta, ma non dimenticatevi che quel mondo non vi può far paura. Noi abbiamo l’assicurazione della vita, abbiamo l’assicurazione della vittoria, noi siamo e camminiamo con Gesù Cristo. Questa è la prima considerazione conclusiva che lascio a voi. – Una seconda considerazione. Noi abbiamo visto che Gesù ha istituito l’Eucaristia a tavola, mentre mangiava con gli altri; l’ha legata alla mensa Domini, alla mensa del Capo famiglia, nella luminosità dell’affetto familiare, nella chiarezza dei rapporti familiari, nella comunità. L’Eucaristia, ricordate, la si vede sempre in mensa Domini, nella comunità, e l’Eucaristia, con il quadro che intorno ad essa, col celebre discorso dell’Ultima Cena Gesù ha steso e delineato, ci porta sempre a parlare della famiglia di Dio. È inscindibile. E allora guardate bene che il monito dell’Eucaristia si volge sempre e fa volgere l’anima nostra verso la famiglia di Dio. È come dire che volge l’anima nostra verso l’apostolato. È una vocazione, quella dell’apostolato, che noi abbiamo perché ce l’ha data Lui. Segna talmente la sua strada che noi non possiamo essere veramente con Cristo se in un modo o nell’altro, agendo o pregando o soffrendo, non ci mettiamo nella linea dell’apostolato. Non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo è nei tabernacoli di tutto il mondo ad aspettare che noi, per quanto possiamo, gli portiamo tutti gli sparsi figli di Dio per la terra. Per quel che possiamo. Quelli che ci sono vicini, quelli che sono lontani, di tutti i continenti: sta lì ad attendere. Non che abbia bisogno di noi. No. Gesù Cristo non ha bisogno di noi; siamo noi che abbiamo bisogno di Lui. Ma Egli sta amorevolmente ad attendere, e noi che camminiamo con Lui dobbiamo sentire il battito del suo cuore che continua a dire: « Sitio », ho sete, aspetto. E dobbiamo portare gli altri o agendo, o pregando o soffrendo. Le strade possono essere diverse, ma neanche le monache di clausura, se si dispensassero dal concetto dell’apostolato, camminerebbero con Gesù Cristo: possono camminare con Gesù Cristo perché pregando lavorando e soffrendo possono rispondere, mentre l’accompagnano nella loro solitudine, al palpito e al desiderio del suo Cuore. L’apostolato cristiano è una questione connessa, come avete visto, con l’Eucaristia, e il vostro apostolato mettetelo in questa luce. E nel vostro apostolato proponetevi sempre di rendere meno deserti i tabernacoli, perché troppo deserti sono i tabernacoli e talvolta quasi dimenticati da quelli stessi che li dovrebbero curare con amore e tenerezza infinita! Collegatelo sempre, fatelo partire di là come mozione, fatelo tornare là come termine, il vostro apostolato. L’apostolato. La vostra opera vive per questo. Nella luce dell’apostolato sappiate stimare la vostra Cittadella. La vostra Cittadella è Cittadella, ma amo rappresentarla come un ponte, un ponte nuovo per uomini ai quali non è sufficiente gettare delle mobili malsicure ed effimere passerelle. La Cittadella è un ponte. Avete forse visto delineate delle fortezze che sono sui ponti. Ce ne sono a questo mondo, sono insieme cittadelle e sono ponti; ci sono dei castelli che sono costruiti sui fiumi, che uniscono due rive difendendo dagli oltraggi dell’una riva l’altra riva, eppure congiungendo le due rive. La vostra Cittadella vive per l’apostolato e ha la missione di congiungere, di gettare un ponte verso molti ai quali, senza particolari attitudini, particolari accorgimenti, particolare apertura di cuore e di metodo, nessuno sta gettando un ponte. Non dimenticate quello che dico: che in talune direzioni non esistono opere che si possano dire attrezzate, schematizzate, finalizzate, irrobustite, modellate in modo tale da costituire un ponte verso le zone più lontane da Nostro Signore Gesù Cristo, verso le zone della cultura, verso le zone del lavoro, verso le zone della confusione e della anarchia mentale, morale e materiale. La vostra opera è attrezzata per questo. Voi fate un lavoro che, sotto taluni aspetti e per talune considerazioni, nel nostro Paese si può considerare insostituibile al momento presente. E pertanto sappiate amare e stimare la vostra vocazione all’apostolato in questa Cittadella, che però è Cittadella stesa sugli archi di un ponte e deve congiungere due rive. E deve congiungere quelli che altri non possono o non hanno mezzi o non hanno attrezzature per poter congiungere. Ma il vostro apostolato, non dimenticatelo mai, fatelo tutto partire di là, incentratelo tutto là — questo è il significato degli Esercizi attraverso i quali mi sono sforzato di condurvi umilmente — e fatelo ritornare tutto là, perché troppi tabernacoli sono deserti e troppi sono i disertori dell’amore di Dio, della misericordia di Dio e della grazia di Dio. E questa è la seconda considerazione che lascio a voi chiudendo il discorso sull’iter della vita che accompagna Gesù Cristo presente tra di noi. – Ora ne viene una terza ed è quella conclusiva. Vedete, Nostro Signore quando nel discorso dell’Ultima Cena, verosimilmente prima della istituzione della Eucaristia, ha narrato la parabola della vite, ha descritto la sua Chiesa nei suoi tre momenti: militante, escatologico, eterno; l’insieme della sua Chiesa, del suo Regno, e ha identificato sé stesso col tronco della vite. Tanto basta per capire che Nostro Signore Gesù Cristo ha messo una colleganza tra l’Eucaristia e la sua Chiesa. Siccome del momento escatologico non ce ne dobbiamo occupare perché non vi arriveremo: penso che noi non arriveremo a vedere la fine del mondo, possiamo lasciarlo da parte. Siccome al momento eterno ci pensa Iddio: noi non possiamo che presentare umili preghiere a Lui, alla Vergine, agli Angeli e ai Santi, anche quello possiamo lasciarlo da parte. Noi dobbiamo invece occuparci della Chiesa militante. – Il collegamento che Gesù Cristo ha fatto tra sé stesso, l’Eucaristia e la sua Chiesa è evidentissimo. In mano di chi ha messo sé stesso? In mano di Pietro e degli altri Apostoli. A chi ha detto : « Fate questo in memoria di me »? A Pietro, agli Apostoli, ai discepoli. Tutto alla Chiesa. La grande presente al suo spirito, mentre teneva il discorso che  accompagnato la istituzione dell’Eucaristia, lo sappiamo dall’adombramento della parabola della parabola della vite — la grande presente era la sua Chiesa, quella che ha chiamato « la mia Chiesa ». Quel possessivo usato da Lui, con un affetto che potrà riempire tutti i secoli di commozione, quel possessivo « la mia Chiesa » riguarda la sua Chiesa. E pertanto l’Eucaristia, come per altre colleganze ci ha fatto volgere verso la missione della Chiesa, che è quella dell’apostolato, l’Eucaristia ci fa volgere lo sguardo alla Chiesa di Gesù Cristo. – Noi, se siamo dei votati, dobbiamo totalmente vivere con Gesù Cristo, « in mensa Domini »; vivere con la Chiesa. La nostra vita non si può distinguere da quella della Chiesa. I fedeli devono anch’essi sentire con la Chiesa, dal posto di sudditi, sudditi dei pastori stabiliti da Lui, come dice la dottrina; ma per noi che siamo votati in diverso modo o con promessa o con voti o con l’Ordinazione sacerdotale, per noi non può esistere nulla che non sia inserito, allineato, assorbito, assimilato nella stessa vita della Chiesa. – La Chiesa. Vogliamo essere con Gesù Cristo? Stiamo con la Chiesa. L’iter con Gesù Cristo lo si realizza soltanto se siamo con la sua Chiesa, perchésoltanto nella sua Chiesa noi troviamo legittimamente l’Eucaristia. E allora imparate a dare ai vostri pensieri un corso, direi, di obbedienza costante, un corso d’assimilazione affettuosa; ai vostri pensieri, ai vostri desideri, alle vostre preoccupazioni date un corso di dedizione tenerissima alla santa Madre Chiesa. Quello che si presenta gioioso per lei sia gioioso per voi, quello che si presenta arduo per lei sia arduo per voi; quello che si presenta di sacrificio per essa sia amabile sacrificio per voi. Bisogna diventare così per essere con Gesù Cristo: vivere, camminare con la Chiesa. – La Chiesa oggi ha davanti grandi problemi. La Chiesa ha il problema di far presto nella evangelizzazione dei due continenti che sono saltati improvvisamente e scapigliatamente nella strada della storia e rischiano di portare la confusione in tutta la strada della storia: l’Asia e l’Africa. La Chiesa ha questa grande istanza e la persegue. La Chiesa ha davanti a sé la istanza di compiere tutto quello che è necessario e che è nella sua disponibilità giuridica, per rendersi al massimo pronta e adatta a ricevere la fede di quelli che sono ancora infedeli nel grande continente asiatico e nel grande continente africano. – La Chiesa ha davanti a sé l’assestamento dei popoli nella giustizia e nella pace. Perché essa sola ha nelle mani una dottrina capace di portare all’assestamento duraturo dei popoli nella pace, almeno la sufficiente convivenza. Già una volta la Chiesa ha dovuto prendere in mano i popoli per dei secoli. Che cosa non sia costato questo alla Chiesa noi lo possiamo intuire leggendo la storia ecclesiastica, e Dio solo lo sa, ma l’ha fatto; perché a certe istanze e a certi livelli della vita umana, le piccole massime del campo delle scienze e del pensiero e della legislatura bastano a creare cerchi circoscritti, ma non sono state capaci di creare nulla di veramente universale. La Chiesa ha davanti a sé questo grande problema dell’avvenire e della pace dei popoli. La Chiesa ha il problema di fare quanto prima, al livello della religiosità e della cultura e del pensiero, la liquidazione della più grande ferita che sia stata inferta al suo corpo: la divisione protestantica, quella divisione che ha avvelenato il mondo civile, che ha avvelenato l’Europa e della quale sono conseguenza diretta, con evidenza di legami e di successioni e di cause, le ultime due guerre mondiali e tutto quello che potrebbe ancora accadere. Ma soprattutto, forse ancora più del Protestantesimo stesso, deve fare la liquidazione di quello che la grave ferita, che il terribile veleno allora cosparso ha lasciato nel pensiero, nel costume, nella depravazione del mondo.

So bene che alla Chiesa di Dio « nec rosæ, nec lilia desunt »: non mancano mai né le rose porporine né i gigli candidi, mai. E Dio manda gli uomini secondo i tempi; manda i giganti quando occorrono lotte gigantesche; manda i santi quando occorre la santità; manda i grandi strateghi quando occorre la strategia. Dio sa quello che fa. Dio non rende troppo comode le cose agli uomini perché essi debbono acquistarsi, attraverso le cose scomode, il merito della loro gloria; ma Dio sa quello che fa e arriva al momento opportuno. E forse noi cominciamo già a intuire qualche cosa del piano di Dio in quello che sarà. Ma vedete questa Madre, questa Madre che deve nutrire i suoi figli all’interno, che deve andare a raccogliere per tutta la terra gli altri sparsi figli, almeno virtualmente, potenzialmente figli; questa Madre che li deve nutrire, che li deve difendere, che deve talvolta con sé stessa fare un arco tra il cielo e la terra per sostenere tutto quello che umanamente può cadere! Noi sappiamo bene che gli altri fatti sono impalcature effimere per costruire l’unica casa durevole, che è essa nel tempo; essa che dal tempo si protenderà poi, unica forma associativa delle cose umane, nell’eternità. – E abbiamo finito. Vedete, S. Tommaso d’Aquino al termine della sua sequenza, il Lauda Sion, che è una delle più meravigliose poesie che siano state mai scritte in questo mondo, si volge al Signore nel Sacramento: « Tu, qui cuncta scis et vales, qui nos pascis hic mortales, tuos ibi commensales coheredes et sodales, fac sanctorum civium ». E siamo ritornati al punto di partenza. Lo sguardo deve rimanere fisso là. Abbiamo detto che l’iter è con Gesù Cristo e Gesù Cristo è lì per noi soprattutto, anzitutto. Nessun iter ha una ragione logica in sé stesso se non ha un punto d’arrivo; e il punto di arrivo non è quaggiù, a una felicità qualsiasi, a un livello qualsiasi, a una soddisfazione, a una dignità, a un posto qualsiasi, no. Il punto di arrivo non è la gloria di quaggiù, non è il plauso, non è neppure l’amore di quaggiù. Il punto di arrivo è lassù. Non dimenticatelo mai: l’Eucaristia ci collega al cielo: « Tuos ibi commensales coheredes et sodales, fac sanctorum civium ». Amen.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/01/24/s-s-gregorio-xvii-il-magistero-impedito-3-corso-di-esercizi-spirituali-14/

SALMI BIBLICI: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS” (LXXXIX)

SALMO 89: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 89

[1] Oratio Moysi, hominis Dei.

    Domine, refugium factus es nobis

a generatione in generationem.

[2] Priusquam montes fierent, aut formaretur terra et orbis, a sæculo et usque in sæculum tu es Deus.

[3] Ne avertas hominem in humilitatem; et dixisti: Convertimini, filii hominum.

[4] Quoniam mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna quæ præteriit, et custodia in nocte;

[5] quæ pro nihilo habentur eorum anni erunt.

[6] Mane sicut herba transeat; mane floreat, et transeat; vespere decidat, induret, et arescat.

[7] Quia defecimus in ira tua, et in furore tuo turbati sumus.

[8] Posuisti iniquitates nostras in conspectu tuo, sæculum nostrum in illuminatione vultus tui.

[9] Quoniam omnes dies nostri defecerunt; et in ira tua defecimus. Anni nostri sicut aranea meditabuntur;

[10] dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni. Si autem in potentatibus octoginta anni, et amplius eorum labor et dolor; quoniam supervenit mansuetudo, et corripiemur.

[11] Quis novit potestatem iræ tuæ,

[12] et præ timore tuo iram tuam dinumerare? Dexteram tuam sic notam fac, et eruditos corde in sapientia.

[13] Convertere, Domine; usquequo? et deprecabilis esto super servos tuos.

[14] Repleti sumus mane misericordia tua; et exsultavimus, et delectati sumus omnibus diebus nostris.

[15] Lætati sumus pro diebus quibus nos humiliasti, annis quibus vidimus mala.

[16] Respice in servos tuos et in opera tua, et dirige filios eorum.

[17] Et sit splendor Domini Dei nostri super nos; et opera manuum nostrarum dirige super nos, et opus manuum nostrarum dirige.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXIX

È il salmo intitolato da Mosè, non perché da Mosè composto; ma perché Mose prega Dio. Argomento è orazione a Dio pel genere umano, il quale pel peccato originale cadde nelle massime sciagure, ed è nella necessità del soccorso di Dio a portare con pazienza i mali della vita ed arrivare alla beatitudine celeste. (1)

Orazione di Mosè nomo di Dio.

1. Signore, tu sei stato nostro rifugio per tutte quante le età.

2. Prima che fossero fatti i monti, e formata la terra e il mondo da tutta l’eternità e per tutta l’eternità, o Dio, sei tu.

3. Non ridur l’uomo nell’abiezione, tu che dicesti: Convertitevi, o figliuoli degli uomini. (2)

4. Perocché mille anni dinanzi agli occhi tuoi son come il dì di ieri che è trapassato;

5. E come una vigilia notturna; i loro anni saran come cosa che nulla si stima.

6. In un giorno passa com’erba: al mattino fiorisce, e passa; sulla sera cade, e si indurisce, e si secca.

7. Siam venuti meno sotto il tuo sdegno, e pel tuo furore viviamo in turbamento.

8. Hai collocate davanti a te le nostre iniquità, e la nostra vita davanti alla luce della tua faccia.

9. Così tutti i giorni nostri sono mancati, e noi sotto il tuo sdegno siam consumati.

10. Come tela di ragno saran considerati gli anni nostri: pei giorni di nostra vita si hanno i settant’anni. E pei più robusti gli ottant’anni; e il di più è affanno e dolore. Dappoiché é venuta in aiuto la (tua) benignità, e noi sarem tosto rapiti. (3)

11. Chi sa conoscere la grandezza dell’ira tua? e chi sa comprender la tua indignazione, come tu sei formidabile?

12. Fa adunque conoscere (a noi) la tua destra, e dà a noi un cuore illuminato dalla sapienza. (4)

13. Volgiti a noi, o Signore; e fino a quando (sarai sdegnato)? placati coi servi tuoi.

14. Sarem ripieni al mattino di tua misericordia, e saremo nella esultazione e nel gaudio per tutti i giorni nostri.

15. Avrem letizia per ragione dei giorni nei quali tu ci affliggesti, e per gli anni nei quai vedemmo miserie.

16. Getta il tuo sguardo sopra i tuoi servi e sopra le opere tue; e reggi tu i loro figliuoli.

17. E la luce del Signore Dio nostro sia sopra di noi; e governa tu in noi le opera delle nostre mani; e l’opra delle mani nostre, governa tu.

(1) Diversi interpreti hanno attribuito questo salmo a Mosè, perché ne porta il nome; ma Sant’Agostino e, dopo di lui un gran numero di commentatori, respingono questa opinione per ragioni desunte dalla durata assegnata alla vita dell’uomo nel versetto 10, e pensano che il nome di Mosè sia stato attribuito a questo salmo per conferirgli maggiore autorità. – Questo salmo deve al nome di Mosè che porta, il posto che occupa nel breviario, nell’ufficio delle “laudes” del giovedì, ove è stato avvicinato al cantico di Mosè dopo il passaggio del mar rosso, che ebbe luogo, si dice, il giovedì.

(2) Nel testo ebraico, il Salmista oppone l’eternità di Dio alla brevità della vita degli uomini. Voi siete – egli dice – immortale ed immutabile, l’uomo passa sotto gli occhi vostri; Voi riducete allo stato più umile, alla distruzione, alla morte, e dite: andate e tornate, figli di Adamo nella polvere dalla quale siete stati tratti (Gen. III, 19).

(3) Le miserie che accompagnano la vita e ne accorciano il corso sono un effetto della giusta collera di Dio, ma la morte, che è il termine di queste miserie, può essere vista come un effetto della sua bontà, della sua compassione.

(4) Il senso di questo versetto, nella Vulgata, potrebbe essere la conseguenza di ciò che precede: Fate almeno che, riconoscendo la vostra mano in questi castighi, noi ne siamo istruiti in saggezza

Sommario analitico

Il Salmo CI, composto sulla fine della cattività di Babilonia, indica che i Salmi che compongono questo libro siano stati raccolti poco prima dell’epoca in cui, sotto Esdra, fu formato il canone dei Giudei (Le Hir.). – In questo salmo, in cui il profeta considera il genere umano dopo la caduta di Adamo e contempla le miserie di questa vita mortale e passeggera.

I. – Egli si volge a Dio:

1° Come verso il rifugio che gli è preparato dall’inizio del mondo (1);

2° come verso l’Autore eterno della salvezza dell’uomo;

3° Come verso la causa prima della sua conversione (2).

II. –  Deplora la brevità della vita:

1° Comparata con la primitiva immortalità (3);

2° considerata in se stessa e nei simboli della sua breve durata (5, 6);

3° Egli espone la causa di questa brevità della vita: la collera di Dio (7);

4° l’occasione di questa collera, il peccato (8, 9);

5° i lavori inutili che abbreviano ordinariamente la vita (10).

III. – Egli desidera che Dio:

1° che Dio, per un effetto della sua dolcezza, lo distolga dal male e gli faccia conoscere la grandezza della sua collera;

2° gli insegni la vera saggezza (10-12);

3° ponga su di lui degli sguardi di misericordia (13);

4° gli faccia provare i dolci e soavi effetti di questa misericordia, in cambio dei mali che egli ha sofferto (14-15);

5° diriga lui e tutta la sua vita con la sua luce divina, conduca e faccia prosperare tutte le sue opere (16, 17).

Spiegazioni e Considerazioni

1. – 1, 2.

ff. 1, 2. – Davide, prima di raccontare il triste destino dell’uomo, e deplorare le calamità del genere umano, comincia con il lodare Dio, affinché non si imputino alla durezza del Creatore le sventure e le prove di cui sta per parlare, ma alle colpe di colui che è stato creato (S. Girol., Epist. 139). – Dio è per noi un rifugio sicuro in tutte le nostre tribolazioni, qualunque esse siano; è un rifugio aperto a tutti, in ogni tempo e per l’eternità. « Signore, Voi siete stato il nostro rifugio di generazione in generazione, » per insegnarci come il Signore sia divenuto nostro rifugio, cominciando per noi ad essere ciò che non era in precedenza, benché sia sempre stato il nostro rifugio, il Profeta aggiunge: « prima che le montagne fossero fatte, e che la terra ed il pianeta non fosse formato, Voi siete fin dall’eternità, ed in tutti i secoli ». Voi dunque, che siete da sempre, Voi che siete da prima che noi fossimo e che il mondo fosse … Voi siete diventato il nostro rifugio dal giorno in cui ci siamo come convertiti a Voi (S. Agost.). –  « Prima che le montagne fossero fatte … Voi siete Dio. » Prima dell’esistenza di questi esseri che, nella vostra creazione, sono i più grandi ed i più elevati, prima che la terra fosse costituita perché vi fosse un essere che vi conoscesse e vi lodasse sulla terra; e non è esagerato dire che quasi tutti gli esseri abbiano cominciato sia nel tempo, sia con il tempo, ma piuttosto « … dal secolo fino al secoli Voi esistete. » La Scrittura non dice forse a ragione: Voi siete stato fin dai secoli, e sarete fino al secolo? essa pone il verbo al presente, per far comprendere che la sostanza di Dio è assolutamente immutabile, e che non si possa dire di Lui. Egli è, Egli è stato, Egli sarà, ma soltanto.: Egli è! Da ciò vengono queste parole: « Io sono Colui che sono » (Es. IV, 16) – « Voi siete sempre lo stesso, ed i vostri anni non verranno mai a mancare » (Ps. CI, 27, 28). Ecco che l’eternità è diventata vostro rifugio, ed è verso di essa che noi dobbiamo fuggire l’incostanza dei tempi, per restare sempre in essa (S. Agost.). – Fin tanto che noi siamo quaggiù, viviamo in mezzo a grandi e numerose tentazioni, ed è da temere che esse ci distacchino da questo rifugio. Così, cosa chiede l’uomo di Dio nella sua preghiera? « Non allontanate l’uomo nella sua bassezza », fate che l’uomo non si allontani dalle vostre eterne grandezze per desiderare ciò che passa, e prendere gusto a ciò che è terrestre, egli aggiunge poi: perché Voi avete detto: « convertitevi figli dell’uomo », come se dicesse: Io vi domando ciò che voi avete ordinato, glorificando così la grazia divina, affinché chi si glorifica, si glorifichi nel Signore, senza il cui soccorso noi non possiamo, con la nostra sola volontà, vincere le tentazioni di questa vita (S. Agost.). – Chiediamo spesso a Dio che non permetta che noi ci perdiamo nel fango dei nostri desideri e delle nostre passioni, e non ci seppelliamo interamente nella morte con l’oblio completo del sovrano Bene, perché Egli stesso ci ha chiamati a convertirci a Lui con la voce esterna delle Scritture, e con la voce interna della sua grazia.

II. — 3 – 9.

ff. 3-6. – Ecco il motivo per il quale noi dobbiamo allontanarci da tutto ciò che passa e scorre, al fine di arrivare al nostro rifugio, ove dimorare senza mai cambiare: e per quanto tempo si possa desiderare di vivere, « mille anni davanti ai vostri occhi, sono come il giorno di ieri che è passato. » Non è detto lo stesso per il giorno come il giorno di domani che deve ancora venire, perché tutto ciò che è limitato dal tempo che finisce, deve essere considerato come già passato (S Agost.). – « Il numero dei giorni dell’uomo, anche il più lungo, è di cento anni, e questi pochi anni sono come una goccia d’acqua nel mare, come un granello di sabbia nel giorno dell’eternità. Ecco perché il Signore è paziente verso gli uomini, e spande su di essi la sua misericordia » (Eccl. XVIII, 8, 7). Che sono cento anni, che sono mille anni, se un solo momento li cancella? Consideriamo allora come brevissimo, o piuttosto come un niente ciò che finisce, poiché infine, anche quanto si fossero moltiplicati gli anni oltre tutti i numeri conosciuti, visibilmente questo non sarà nulla quando saremo giunti a questo termine fatale. (Bossuet) – « I loro anni saranno come le cose che sono considerate un nulla. » Considerate un nulla, in effetti, sono le cose che non esistono prima di essere giunte e che, al loro arrivo, non saranno già più; perché esse non vengono per essere, ma per non essere. Il mattino, cioè l’inizio, che l’uomo trascorre come l’erba, il mattino, che fiorisce e che passa; la sera, cioè il poi, che cade, si dissecca e appassisce; cade nella morte e si dissecca nel suo cadavere, si dissecca nella polvere (S. Agost.). – La scrittura compara incessantemente la durata della nostra vita con ciò che vi è di più mobile, di più fuggitivo, di più leggero: è un’ombra, un sogno, un fiore che appare e appassisce ben presto, un fulmine che svanisce; ciò che è passato è ingoiato nel nulla, ciò che è futuro non è che in nostra potenza, quel che chiamiamo presente ci sfugge, e all’ultimo momento della nostra vita, di questa carriera non resta, per quanto lunga possiamo immaginarla, che il ricordo consegnato in parte alla nostra anima, ma ben più incisa nell’intelletto di Dio. È questo ricordo solo che ci deve interessare, e secondo il quale dobbiamo regolare tutti i nostri passaggi (Berthier).

ff. 7, 9. – L’uomo innocente non avrebbe provato la morte, ma è per l’invidia del demonio e a causa del peccato al quale egli ha condotto l’uomo, che la morte è entrata nel mondo. È dunque la collera di Dio, divampata per la malizia del peccato, che ha abbreviato la vita dell’uomo, e l’ha ridotta ad uno stato di debolezza. – È  lo stesso peccato che ha riempito di disturbi l’uomo, che godeva in principio di una pace profonda, nella conoscenza e nell’amore del suo Creatore (Duguet). – Nessuno deve essere persuaso che tutte le sue iniquità non siano presenti all’occhio di Dio, e che lo splendore di questa Maestà eterna rischiari finanche le pieghe più intime ed oscure della sua coscienza. Ciascuno di noi, al momento della morte, può dire: ecco il mio secolo finito; e con questo secolo, quale che sia la sua lunghezza o la sua brevità, tutti i secoli del mondo sono ugualmente assorbiti ed annientati. Non resta se non la luce di Dio, ed essa si stende su tutti i momenti della vita. Si saranno persi di vista gli smarrimenti dell’infanzia, le irruenze della giovinezza, gli intrighi dell’età matura, la debolezza della caducità, non ci si ricorderà né dei pensieri di frode, né dei desideri nascosti, né delle parole sconsiderate, né delle azioni momentanee, molto meno ancora delle circostanze che hanno cambiato o aggravato la specie dei peccati. Ma nulla sfugge alla conoscenza di Dio, come Egli tenga conto della minima azione fatta per compiacerlo, come raccolga tutti i dettagli della vita del peccatore per accusarglieli. (Berthier). – I suoi occhi eternamente aperti osservano tutte le direzioni, contano tutti i passi di un peccatore, e considerano i suoi peccati come sotto un sigillo, per presentarglieli nell’ultimo giorno … si nasconde agli uomini durante il momento così breve di questa vita, che passa come un’ombra, ma quando questa ombra sarà passata, la luce del volto di Dio, alla quale tutta la nostra vita sarà esposta, manifesterà tutto, metterà in evidenza le cose più nascoste nel fondo dei cuori. (Bossuet). – Anima cristiana, leva gli occhi, contempla in silenzio queste verità teologiche: che Dio, nella sua santità, conosce il tuo peccato, lo considera, lo esamina, e ne misura tutte le dimensioni; tanto che Egli vede nell’infinità delle bellezze e le grandezze delle sue perfezioni divine, sia che veda nelle bruttezze, le bassezze e gli obbrobri della vostra vita criminale. Egli compara il tuo stato al suo; trova che non c’è più né altezza né gloria nelle più sublimi elevazioni della tua saggezza e del tuo amore verso il suo Verbo, e che non c’è che il niente dove  sei caduta allontanandovi da Lui. Egli vede gli uni gli altri nella stessa visione. Che cos’è questo, gran Dio, esclama il Profeta tremante di orrore? (Ps. LXXXIX, 8). Occorre dunque che questo sia in un giorno così splendido nel quale contempliate le disgrazie e le onte della nostra vita miserabile e che, tra gli splendori del paradiso, il secolo della nostra ingratitudine, sia uno spettacolo della vostra eternità? Ecco come Dio conosce ciò che passa tra noi, ecco ciò che pensa di un solo e minimo peccato. (BOSSUET, liêflex. sur le triste état des pécheurs.)- Signore, Voi avete chiamato le nostre opere a comparire davanti alla vostra giustizia, avete posto il nostro secolo nello sguardo luminoso del vostro volto. Guardate la luce di questa fiamma, tutti i nostri giorni non sono stati che una sequela di cadute, e dovremo molto meditare per riempire i nostri anni di un lavorio che non ci sarà profittevole, un vero lavoro di ragnatela. – Riflessione, questa, tardiva che faranno alla morte tutti coloro che, per una lunga vita, avranno goduto della più grande prosperità. Essi diranno allora, vedendosi spogliati di tutti i loro beni: ahimè, tutti i nostri giorni si sono consumati, sono svaniti, e ci troviamo noi stessi consumati. Consideriamo allora il corso così precipitoso di una vita che tende alla morte in tutti i momenti, non attacchiamo il cuore ad un qualcosa che passa sì prontamente (Duguet). Perché rattristarci sulla rapidità dei destini dell’uomo? La vita è breve! E che importa! Che bisogno abbiamo di restare per tanto tempo sulla terra? Il cielo è nelle buone opere, non alle lunghe opere. Temete il viver male, non temete di vivere poco. Voi siete qui per lavorare. Se lavorate bene, avete paura di ricevere troppo presto la ricompensa? Al contrario, desideratela: Dio permette che voi la desideriate; ciò che Egli permette è giusto e saggio. Se lavorate male, di che si lamenta il vostro cuore, più virtuoso delle vostre opere? Convertitevi e desiderate di morire presto, per non ricadere nel peccato. « Colui che vuol vivere per raggiungere la perfezione – diceva un santo dottore – desideri morire, ed è perfetto. » Ma non crediate che la vita sia così breve: voi lasciate per tanto tempo dopo di voi, il bene o il male di cui avete riempito i vostri giorni. Non avete rovinato che un cuore, quanti ne rovineranno altri! Non avete preservato che un’anima, quante anime essa non preserverà (L. V., Rome et Lorette, n, 58.).

ff. 10, 11. – Nulla c’è di più preoccupante della ragnatela, niente di più fragile che il proprio lavoro. Esso si risolve nel tendere dei fili che sono distrutti in un momento. –  I nostri giorni trascorrono nei vani lavori simili a quelle tele che il ragno produce dalla sua sostanza e che lo affaticano. C’è molta arte nel lavoro di questo insetto, sembra quasi che esso rifletta per formare un tessuto così fine e ben  ordinato. È per questo che il Salmista si serve del termine “meditare”. Cosa facciamo durante la nostra vita? Riflessioni per ergere delle opere così frivole come le tele leggere del ragno, per intraprendere grandi lavori che terminano nel prendere delle mosche, per formare delle trame e tendere dei filamenti in cui siamo noi stessi avviluppati, e che si rompono tanto facilmente quanto più li abbiamo tessuti con difficoltà (Berthier, Duguet). – Qual è l’uomo la cui vita non si consumi tra vani progetti, tra vane meditazioni! Si fanno sogni che non si avverano; si formano dei desideri che non si realizzano o non soddisfano mai; si inseguono dei beni passeggeri, ci si agita, ci si sforza, ci si tormenta. E cosa ne viene all’uomo da tutto questo lavoro … domanda l’Ecclesiaste? (I, 3). Gli anni dell’uomo trascorrono nel meditare inutili pensieri; essi meditano, ci dice il Re-Profeta, come il ragno che tesse la sua tela. Ogni anno che passa è una tela nuova che si tesse e che si strappa. Le mosche frivole che si catturano nelle nostre trappole, valgono i nostri duri lavori? … così i nostri anni si succedono rapidamente e ci trascinano con esse; esse consumano lentamente la nostra vita. « Cosa viene all’uomo dal suo lavoro? » Ahimè, egli si consuma lavorando, tutte le cure che lo occupano lo divorano. Ogni nuovo affanno per il suo cuore, aggiunge una ruga nuova alla sua fronte. Simile al ragno tesse lui stesso i fili effimeri delle sue opere, e come esso, si dissecca, stendendo la tela. Tuttavia, ci affrettiamo a ridirlo, sono soprattutto i peccatori che si impegnano in pene superflue, perché a loro si applicano le parole di Davide: « allontanandosi da Dio, essi si sono resi inutili » (Ps. XXXVIII). E sempre è l’anima dei peccatori che lo stesso Profeta ha visto in questo versetto del Salmo: « Signore, avete punito l’uomo a causa delle sue iniquità, Voi avete fatto seccare la sua anima come il ragno » (Ps. XXXVIII, 13).  (Mgr. DE LA BOUILLERIE, Symb. II, p. 444, etc.).- Il Profeta aveva considerato l’eternità di Dio e vi oppone la durata sì breve della nostra vita, che è di settanta anni, o al più di ottanta anni, ma ancor circa la metà del genere umano perisce prima di raggiungere la giovinezza, e non c’è che la decima parte degli uomini fatti per giungere a settanta anni. (Berthier).

III. — 11-17.

ff. 12, 13. – Effetto della misericordia di Dio, è abbreviare il corso della nostra vita. Una vita breve, ma tutta impiegata al servizio di Dio, è ben lunga. Una vita lunga, ma che si consuma in bagattelle, è ben corta, ma quale lunghezza di mali produrrà (Dug.). – Dalla severità con cui Dio ha punito il peccato del primo uomo, il Profeta trae le conclusioni della divina severità in generale. Chi potrà temervi tanto da eguagliare il suo timore alla vostra giustizia e i mille mezzi che avete per punire i peccatori? – « Chi sa apprezzare la potenza della vostra collera e misurare la vostra collera sul timore che Voi ispirate? » – Non appartiene – dice il Profeta – che ad un piccolo numero di uomini il conoscere la potenza della vostra collera; perché nei riguardi della maggior parte degli uomini, più voi li risparmiate, più vi irritate contro di essi, di modo che è piuttosto alla vostra collera che alla vostra dolcezza che occorre attribuire la pena ed il dolore con i quali voi castigate ed istruite coloro che Voi amate, per paura che siano destinati alle pene eterne. Quanto è difficile trovare un uomo che sappia misurare la vostra collera sul timore che Voi ispirate, e considerare come un effetto della vostra collera la pazienza con la quale risparmiate coloro contro i quali vi irritate maggiormente, di modo tale che il peccatore prosperi nella sua via e riceva un castigo più severo nell’ultimo giorno. Non c’è che un piccolo numero di coloro che sono istruiti per comprendere che la vana ed ingannevole felicità degli empi è la prova di una collera più violenta da parte di Dio (S. Agost.). –  « Fate conoscere la vostra destra; » cioè fate conoscere il vostro Cristo, del quale è stato detto: « … A chi è stato rivelato il braccio del Signore. » (Isai. LIII, 1). Fatelo conoscere in modo tale che i suoi fedeli apprendano in Lui a sollecitare ed a sperare da Voi, di preferenza, le ricompense che non sono espresse nell’Antico Testamento, ma rivelate dal Nuovo. Fate che essi non pensino che bisogna stimare come gran prezzo la felicità che danno i beni terreni e temporali, bramarla e amarla con passione, per timore che i loro piedi non siano tremanti quando la vedranno posseduta da coloro che non vi adorano, e per timore che essi non scivolino e non cadano in errore nel calcolare la vostra collera (S. Agost.). –  C’è una saggezza di spirito ed una saggezza del cuore che San Paolo chiama la saggezza del mondo: questa conviene ai filosofi, ai politici e a tutti i falsi saggi del mondo. La vera saggezza del cuore, consiste nell’essere ben persuaso che tutta la falsa saggezza del mondo non è che una follia, secondo la qualifica stessa del grande Apostolo, e che non si può essere veramente saggio se non quando si riconosce che si ama e si preferisce Dio ad ogni cosa. – Dio si ritira talvolta e per qualche tempo dai suoi servi; ma quando i suoi fedeli sono in questo stato pietoso, Egli si lascia piegare in loro favore.

ff. 14, 15. – Il Profeta, anticipando per esperienza i beni a venire e considerandoli già come compiuti, esclama: « Noi siamo ricolmi fin dal mattino della vostra misericordia. » Questa profezia è dunque per noi, nel mattino dei lavori e dei dolori di questa notte, « … come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori » (II Piet. I, 19). – Fin tanto che questa promessa si compia, alcun bene ci è sufficiente e non deve farci soffrire, per timore che il nostro desiderio non resti in cammino, intendendosi cioè finché non sia soddisfatto. « Noi siamo nella gioia per tutta la durata dei nostri giorni. » Questo è il giorno che non ha fine. Tutti i giorni sono radunati in uno solo; ecco perché noi saremo saziati; perché non ci sarà un giorno che fa posto ad altri giorni, là dove non c’è nulla che non sia ancora da venire, e che non sia già venuto. Tutti i giorni sono riuniti insieme. Perché non c’è che un solo giorno che arriva e non passa mai, e questo giorno è l’eternità. (S. Agost.). – Rallegriamoci quaggiù in proporzione alle nostre sofferenze. Perché le gioie del cielo vi saranno proporzionate. Vedete i radiosi volti di questa folla di Santi che numerosi circondano, affollandosi, il trono dell’Altissimo, saziate le vostre anime con la contemplazione della loro grave ed intellettiva bellezza; ammirate questi fieri sguardi con cui si dipinge la loro purezza senza macchia, e la calma intensità del loro amore tutto celeste. Ebbene, per la maggior parte di essi, è il dolore che li ha condotti attraverso la tempesta fino a queste rive felici; è il dolore che ha confezionato le corone da cui la loro testa è ornata; il dolore profondo, acuto e prolungato che ha fatto contemplare ad essi, senza veli, la splendida ed eterna Maestà di Dio (FABER, Le Créât, et la créât., p. 217). – Non è vero che per molti tra noi, per misericordia di Dio, le più grandi dolcezze che abbiamo gustato nella nostra vita siano nate in queste grandi contraddizioni? E consultando il fondo della nostra anima, noi possiamo dire con il Salmista: « non ci resta che un sentimento di gioia al ricordo dei giorni nei quali siamo stati umiliati, e degli anni in cui abbiamo incontrato il male. »

ff. 16, 17. – « Gettate uno sguardo sui vostri servi. » 1° Lo sguardo di Dio è sovranamente desiderabile, essendo per noi la sorgente di vita e di ogni bene: « La grazia e la misericordia del Signore riposano sui suoi Santi, ed il suo sguardo sui suoi eletti. » (Sap. IV, 15). – 2° Noi abbiamo bisogno di Dio come guida nella via del cielo: « … e dirigete i loro figli. » – 3° Noi abbiamo bisogno in questa via, della luce divina: « … e che la luce del Signore si spanda su di noi. » – 4° L’uomo deve agire, ma deve dirigere tutte le sue opere verso Dio: « Conducete dall’alto le opere delle nostre mani. » – Tutte le nostre buone opere sono le opere delle mani di Dio, sulle quali Egli getta volentieri gli occhi. Guai a colui che le attribuisce a sé e le considera come opere delle sue mani. Se Dio le conduce e le dirige, non saranno più le opere delle nostre mani, ma delle mani di Dio (Dug.). – Tutte le nostre buone opere si riassumono in una sola opera buona, che è la carità; perché la carità è la pienezza della legge (Rom. XIII, 10). In effetti, dopo aver prima detto: « E rendete rette in noi le opere delle nostre mani, » il Profeta dice in un secondo luogo. « Rendete retta l’opera delle nostre mani, » come per mostrare che tutte le nostre opere non sono che un’opera unica, che cioè debbano tendere ad un’opera unica. Le nostre opere in effetti, sono rette quando tendono a quest’unico fine, perché la fine di ogni precetto, dice San Paolo (1 Tim. I, 5), è la carità che proviene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (S. Agost.).

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° Corso di Esercizi Spirituali (12)

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (12)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

12. La orazione eucaristica

Il quadro di famiglia che Nostro Signore Gesù Cristo ha delineato intorno all’Eucaristia ci porta a considerare un altro elemento, quello dell’intimità, perché l’intimità è propria della famiglia. Questo discorso potrebbe allargarsi in diverse direzioni, ma per ragioni di tempo conteniamolo in un punto solo, il colloquio con Nostro Signore, cioè l’orazione. Questa orazione — parlo della orazione eucaristica, ma quello che dico può valere per qualsiasi tipo di orazione — ha l’aspetto di un colloquio. Vorrei dire che questo colloquio diventa un elemento caratteristico dell’iter che dobbiamo fare con Gesù Cristo. Perché io attiro la vostra attenzione sulla orazione eucaristica? Perché prima di tutto nella S. Comunione — a parte la preparazione che tutti sanno che va fatta e fatta bene — il nostro apporto è dato da questo discorrere con Nostro Signore. Pertanto il parlare della orazione eucaristica risolve anche il punto pratico più interessante a proposito della S. Comunione. Ma c’è un altro motivo anche più pratico che ritengo di dover delineare subito per indicare gli elementi che facilitano la orazione eucaristica. Mi rendo ben conto che il problema, quando si tratta di orazione, è sempre questo: Beh, io comincio, mi metto lì, poi a un certo punto non so più che cosa dire, e allora… mi attacco a ripetere sempre la stessa cosa, senza fine. Intanto è già una gran cosa ripetere, tanto più che la ripetizione è quella che può consumare, nel senso di portare a esplicitazione completa, l’amore di Dio. Si può fare benissimo! Ma mi rendo anche conto che quando si parla di orazione eucaristica, di colloquio con Nostro Signore Gesù Cristo, bisogna anche un po’ insegnare come si fa a parlare. È lo stesso problema che occorre a proposito della meditazione. Perché, vedete, la oratio eucaristica, e cioè la orazione che si fa davanti al SS. Sacramento, sia in chiesa che in qualsiasi punto del pianeta — quando in chiesa si è impediti di venirci col corpo, ci si può venire con la mente e col cuore — in realtà può diventare la orazione di tutta la vita. E allora veramente per questa strada si arriva a portare a perfezione una vita che sia, come è logico, come è da suggerirsi a tutti i Cristiani, incentrata in Nostro S. Gesù Cristo presente là dove Lui si è messo presente, cioè nell’Eucaristia. E vorrei affidare a questo discorso sulla orazione eucaristica la ripetizione della verità che ho già ricordato, e cioè che la pietà eucaristica non la si fa soltanto con le ginocchia o con la gola, facendo delle grandi genuflessioni e cantando, perché talvolta può anche accadere che intere ore di orazione siano fatte soltanto con le ginocchia e con la gola e nient’altro. Ci vuole qualche cosa di più. È tutta quanta la vita che viene ad armonizzarsi, a razionalizzarsi, a organizzarsi intorno a Nostro Signore. – La orazione eucaristica deve essere una orazione d’intimità. Perché? Perché la orazione eucaristica ha sempre il carattere di un dialogo: si parla con Nostro Signore. Non è mai un monologo, è sempre un colloquio. Questo colloquio, poiché da Nostro Signore è stato collocato nell’atmosfera di famiglia, di una famiglia divina, deve prendere sempre il carattere della intimità. Io ho già dovuto dire qualche cosa a proposito della intimità con gli altri: la intimità della carità con i fratelli, dell’amicizia, e ho ricordato che è un elemento fondamentale; ma ora, trattandosi di parlare con Nostro Signore Gesù Cristo, il che è una questione un po’ più alta, devo riprendere il discorso e dire quello che non ho avuto occasione di dire quando parlavo della intimità con gli altri, di quella intimità bene inteso onesta e sincera che ha luogo anche nella vita umana, nell’ambiente familiare e in tutti quegli ambienti che riproducono in qualche modo la stessa atmosfera del focolare domestico. – La preghiera deve essere d’intimità, bene! La intimità da che cosa risulta? Vediamo un po’ gli elementi dei quali è fatta la intimità. Il primo elemento è una comunanza: bisogna che ci sia qualche cosa di comune. Perché la fusione propria della intimità avviene su qualche cosa di comune. Se non c’è qualche cosa di comune, non si realizza l’intimità. E allora perché la preghiera e il colloquio con Nostro Signore raggiunga l’intimità, deve avere qualche cosa di comune. Che cosa di comune? L’apprezzamento dello stato di grazia. Quando si è nello stato di grazia, si ha la partecipazione della vita divina. La grazia è una partecipazione della vita divina, elemento che ci mette in comunità, in comunione di vita con Nostro Signore, comunione reale, non solo psicologica; è ontologica questa. – Ma noi dobbiamo cercare di spingere al massimo questa comunità di qualche cosa. Ed è quando con Nostro Signore ci si sforza di portare l’animo nostro ad avere le gioie e i dolori che ha avuto Lui nella sua vita terrena; avere le approvazioni e le disapprovazioni che Egli, giudice eterno, ha nella sua eterna saggezza, nel suo beneplacito, Egli, Signore delle cose. Quando noi la portiamo a questo, la comunità, la intimità aumenta. Per esempio io aumento la intimità con Nostro Signore se l’elemento comune, che poi porta legna al fuoco da ardere, sono le preoccupazioni della Chiesa, le preoccupazioni delle anime, le gioie della Chiesa, le gioie delle anime, tutti i bisogni che si conoscono, perché i bisogni di tutti gli uomini sono cose che interessano il Cuore divino; e allora, se noi entriamo su quelli, siamo subito in comunione. Non dimenticate! Vedete come incomincia a diventare facile la orazione eucaristica! Non si finisce più. Perché se nella orazione eucaristica uno, mancandogli assolutamente tutto, non solo i ceppi da gettare sul fuoco ma anche i sarmenti e perfino le foglie secche, comincia a dire: Signore, vedi, conosco il tale, poveretto, guarda un pochino, non se la sa cavare, così…. Lo sai, d’accordo, ma aspetti che te lo dica io. Abbi pietà di lui. Guarda ! Poi c’è l’altro e poi l’altro ancora. C è questo e poi quello. Quando uno non sapesse più cosa dire, soltanto che si metta su questo elemento che gli viene indicalo dalla comunità, non la finirebbe più. Io ho goduto quando ho sentito leggere certi punti nella vita del santo Curato d’Ars. L’hanno inteso pregare a voce alta — a voce alta si prega anche meglio — e ho goduto di sentire che stava facendo una preghiera di questo tipo. Badate che con una preghiera di questo tipo si può fare una orazione eucaristica che duri anche tutta una notte, perché di esemplari sui quali portare la nostra attenzione benevola e supplichevole ce ne sono tanti. E ci si trova nella intimità, perché si parla a Dio, a Gesù Cristo, di coloro che Egli ama, di coloro per i quali egli è andato in croce. La prima caratteristica della orazione eucaristica è la intimità. La intimità si basa sulla comunione, sulla comunità dell’oggetto, su degli elementi comuni. Guardate che la intimità è fatta di fiducia completa, la intimità è il « rilascio » dell’anima di uno verso l’anima dell’altro. Il rilascio, espresso in termini meno materiali e più esatti, è la fiducia. E la preghiera eucaristica acquista una intimità quando, oltre la comunione, la comunità dell’oggetto, ha la infinita fiducia. È quella fiducia in Nostro Signore Gesù Cristo che prende il carattere dell’abbandono. – La intimità non solo si fonda sulla comunione dell’oggetto, sulla fiducia, ma si fonda anche sulla semplicità. Tutto ciò che è arzigogolo guasta la intimità. L’intimità è un filo diretto. È una linea retta brevissima. Basta che faccia un cerchio perché la intimità s’illanguidisca. Quindi la semplicità dell’animo e la generosità del cuore, cioè l’amore che dona, che cerca; il cuore largo, il cuore aperto. Questi sono gli elementi con i quali si fa la intimità. Io mi sono fermato a esaminarne con una certa lunghezza uno, ho appena sfiorato l’altro, e ho accennato agli ultimi. Badate bene che tutte queste cose, a farne la radiografia, rivelano una ricchezza enorme per la oratio eucaristica, per il colloquio con Nostro Signore. – Ora andiamo avanti ed esaminiamo un altro elemento che si prospetta in modo diverso, ma che arricchisce stupendamente ed è il fondamento della orazione eucaristica. È l’atto di adorazione. L’atto di adorazione che cosa è? È il riconoscimento della sovraeminenza propria di Dio Signore e Creatore, della sua infinita eccellenza, della sua infinita superiorità. Il riconoscimento è adorazione. Ora la adorazione nella orazione eucaristica è una cosa necessaria, anzi è la prima, è preminente. Non è uno stato come la intimità. È un atto la adorazione. Ecco perché se ne distingue. Tuttavia può sembrare che possa essere esaurita subito: Signore, io ti adoro! Ti riconosco Padrone di tutto, Signore del cielo e della terra! Sei infinito, sei santo, sei perfetto. Amen. E poi? Finisce lì. Eh no! Non finisce lì. Attenti bene. Qui si apre un’altra ricchezza immensa. Perché? L’atto di adorazione non può essere inteso soltanto teorico. Perché se è inteso soltanto teorico, io pronuncio delle parole, dico: Signore, tu sei il creatore del cielo e della terra: adoramus te, benedicimus te, e giù fino in fondo, e poi è finito. Ma l’atto di adorazione concreto, pratico, è l’accettazione di Dio. È l’accettazione in concreto della superiorità divina. In poche parole è la conformazione, prima e soprattutto, della propria volontà alla volontà divina, e poi conseguentemente la conformazione di tutte le proprie azioni alla divina volontà. È la osservanza della legge, l’adorazione in concreto. Ora posso anche rendermi conto che la adorazione in concreto, l’osservanza della legge, la si fa anche dopo la orazione eucaristica, la si fa poi nella vita. La si fa lì, la si fa dovunque. Quello che invece emerge, proprio ai fini della orazione eucaristica, della sua ricchezza, è l’atto della uniformità della volontà propria alla volontà divina. E può essere fatto nella orazione sia come rettifica del passato, rettifica di tutto quello che è stato non accettazione, non uniformità della volontà propria alla volontà di Dio, sia come accettazione di tutto il presente e come premessa del futuro. Ora vedete che sorta di ricchezza è questa! Noi nella nostra vita non potremo avere un bene uguagliabile a questo, al di sotto della grazia del Signore, di avere l’abito della uniformità della volontà nostra alla volontà di Dio, che è l’abito morale proprio corrispondente all’atto della adorazione. – Ma agli effetti della preghiera e della adorazione eucaristica in sé stessa, ammirate un po’ che sorta di ricchezza. Se uno, quando è a colloquio con Nostro Signore e nella sua adorazione, comincia a dire: ecco io ho fatto questo, e la volontà perfettamente uniformata alla volontà di Dio non l’ho avuta, aggiustiamola! Ho fatto quest’altro, e lì le cose non erano del tutto secondo la legge di Dio, aggiustiamole! E se le fa passare, e le esamina, e trascina la vita propria, il proprio ricordo, la propria memoria davanti a Gesù Cristo, nella sua nudità, con la sua deformità, umilmente, e fa la rettifica, oh! ne viene fuori uno di quegli atti di adorazione che rintronano anche gli orecchi degli Angioli! Pensare e richiamare tutti gli elementi che sono difficoltosi nella propria esperienza spirituale e nella propria vita, richiamarli tutti e in tutti fare la rettifica della volontà: io voglio così, deve essere così perché così è la tua volontà. Vedete come allora può diventare incredibilmente ricca la orazione eucaristica, mentre diventa incredibilmente proficua ai fini morali di irrobustimento della propria vita. Perché noi la perfezione la troveremo sempre nella uniformità perfetta e concreta della nostra volontà alla volontà di Dio. E, vedete, è un esercizio questo che bisogna fare e farlo molto. Farlo quando si è al tempo delle vacche grasse affinché serva quando si arriva al tempo delle vacche magre. – Perché ci sono poi i momenti di aridità; i momenti di abbassamento, i momenti in cui cascano le ali a terra. Siamo uomini, poveretti! Si capisce che quando arriva lo scirocco, ci si sente più snervati. Quando arriva la tramontana si dirà: è freddo, ma si diventa più gagliardi. Le stesse cose succedono anche nella vita dell’anima. E allora che cosa è che salva e rende facile la uniformità alla volontà di Dio nei momenti delle vacche magre, cioè quando le faccende tentano allo stordimento, alla confusione e alla tentazione e soprattutto alla aridità spirituale? Quando avvengono certi traumi, certi choc psichici per cui succede nella nostra anima quello che succede quando si prende inavvertitamente una boccata di brodo che è ancora bollente, a cento gradi, e si rimane con la bocca tutta quanta bruciata per cui fino al giorno dopo non si sente più gusto di niente. E questo sarebbe poco, purché non succeda altro, che non si facciano delle piaghe. – Si hanno degli choc psichici, a volte, che producono questo effetto: di far perdere completamente la sensibilità, il gusto delle cose spirituali. Mettono veramente a terra. Oppure quando si debbono affrontare grandi decisioni, accettare dei dolori, accettare cose che possono fare anche spavento. Cari miei, allora viene bene l’esercizio della uniformità alla volontà divina. – La orazione eucaristica ha altri aspetti. Dopo la adorazione viene il ringraziamento. Guardate che cosa rappresenta per la nostra vita il ringraziamento inteso in concreto. Perché il ringraziare è il riconoscimento di un benefìcio ricevuto. Ed è quella certa forma di restituzione fatta con un atto affettuoso, con un riconoscimento affettuoso e con un atto spirituale di amore, di generosità, di ammirazione, una certa aliquale restituzione del bene che si è ricevuto. Quando io dico grazie, esprimo questo: mi hai fatto una cosa che mi ha fatto del bene, mi ha fatto piacere. Ti vorrei restituire qualche cosa. Riconosco anzitutto che mi hai fatto qualcosa e ti restituisco un atto di affetto. Ecco, questo è il ringraziamento. Però — ed è qui dove si vede la ricchezza pratica dell’inserimento nella orazione eucaristica del ringraziamento — l’atto del ringraziamento contiene sempre il giudizio sulla bontà delle cose. Questo significa che quello di cui io dico grazie, mi accorgo che è un bene. Se grazie lo dico distrattamente, per abitudine, non penserò a niente, sono quelle frasi che assumono quasi il valore di una interiezione. Ma se grazie lo dico sapendo quel che dico, in quel momento dico: questo è un bene, cioè riconosco che è un bene. – Sentite, miei cari amici, potete voi provarvi a pensare come cambia tutto il panorama della nostra vita spirituale se ci abituiamo a considerare che tutte le cose che Dio ci ha dato sono beni e che noi generalmente non consideriamo? Perché tutto passa in giudicato, passa nel comune, passa nel diritto e non se ne parla più. Ma se ci soffermiamo e facciamo questo atto di educazione di considerare le singole cose e accorgerci che sono un bene, allora si sostanzia l’atto del ringraziamento. Ne ho di cose di cui mi posso accorgere che sono un bene! Non la finiamo più nessuno di noi, perché i beni che abbiamo ricevuti sono infiniti. Noi gretti, che guardiamo quasi sempre nella mano dove c’è vuoto e non guardiamo mai nella mano dove c’è pieno e pertanto ci lamentiamo! Ma se siamo giusti, siccome sono molto di più le cose che abbiamo di quelle che non abbiamo, per giustizia dobbiamo prenderne atto: sì, questo è un bene, lo riconosco. Non nel dimenticatoio, non nella oblivione, non nel disprezzo, non nel non conto. Atto di giustizia. Questo è bene, quest’altra cosa è bene. Signore tu me l’hai data! Enumerare i beni! Anche in capo alla giornata! Ma insomma che oggi vi sia il sole non è una cosa bella, non è un bene? È sempre meglio che vi sia il sole che il tempo uggioso, che deprime, snerva, irrita. Siamo circondati di beni! Tutta la nostra vita è stata una continua elargizione di beni da parte di Dio. E se è così, ringraziamolo! – Vedete che non ci si ferma più, se vogliamo essere esatti. E di cose da nutrire la orazione eucaristica quante ne arrivano! Ma c’è un altro fatto che ha un risultato morale: la nostra vita, quando cui mi accorgo che è un bene, si accende una lampadina nuova! E io, continuando la elencazione e accorgendomene: questo è un bene, quest”altro è un bene, questo è un altro bene, aumento continuamente la luce. È verissimo questo: le anime liete sono quelle che vivono di riconoscenza. Il segreto della gioia è vivere di riconoscenza. Per la ragione che è riconoscenza vera, s’accorge del bene. Insomma, riconoscenza significa contemplazione del bene. Se uno si va a mettere per tutta la vita dinanzi a un lebbroso che si disfa, dinanzi a un cimitero stravecchio dove tutte le cose pare abbiano il tedio persino della eternità; se uno si mette sempre davanti a cascamorti, a gente che deve storcere sempre la bocca, gente che deve sempre capire a rovescio, parlare a rovescio, interpretare a rovescio, che deve predire dolori, che deve predire sciagure; che deve far cascare il mondo, catastrofi, apocalissi… a un certo punto, poveretto, gli viene un infarto! Finisce con l’avere il muso lungo anche lui: muso lungo di fuori e muso lungo di dentro. L’ha con gli altri e l’ha con se stesso; va tutto male, mangia limoni dalla mattina alla sera! – Il discorso potrebbe farsi lungo, ma bisogna che andiamo avanti. C’è la propiziazione. Il chiedere perdono. Basta enunciare: capite subito quale ricchezza porti questo terzo punto alla orazione eucaristica. C’è poi la impetrazione. Ah! Qui qualche parola bisogna spendercela, e vedrete la ricchezza che nella orazione eucaristica anche questo elemento può portare all’animo nostro nel colloquio con Nostro Signore Gesù Cristo. Chiedere. Ma se ci mettiamo a chiedere, possiamo non finirla più. Quanto lui ci ha incoraggiato! Ci ha detto: «Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto», e ha aggiunto : « Sine intermissione orate ». Dunque si tratta di chiedere. C’è da chiedere per noi, per gli altri, per la Chiesa, per chi ne vuole e per chi non ne vuole, per chi sta bene, per chi sta male, per chi canta, per chi ride… per tutti. Si può chiedere per tutti. E siccome il buon Dio allarga la manica quanto più noi chiediamo e s’aumenta l’effetto della nostra preghiera se chiediamo insistentemente e se chiediamo di più e per i più, questa manica facciamola allargare! Andiamo avanti e cerchiamo di arrivare, almeno sommariamente, in fondo all’argomento di questa oratio eucaristica. Vedete! Questa orazione eucaristica può arrivare e deve arrivare a uno stato anche contemplativo., Intendiamoci -. io non parlo della contemplazione mistica, cioè quella che presuppone uno stato carismatico, che viene da una grazia speciale, da un miracolo che fa Iddio. Ma stiamocene pure in quella che non è contemplazione straordinaria, e cioè la orazione eucaristica che può arrivare a quello stato di quiete in cui non c’è più il fatto discorsivo, il fatto della successione delle immagini, ma il fatto dell’intelletto che, seguendo l’affetto del cuore, rimane fisso in Dio. Fisso, non addormentato eh, intendiamoci, fisso, che è una cosa diversa. Fisso su verità che riguardano Iddio, lasciando l’azione a un fatto penetrativo; quel fatto penetrativo che consiste nel guardare con l’intelletto, sostenendo la volontà il cuore, per cui una verità, che a guardarla sembrava nuvolosa, si dipana, diventa chiara. E allora in questa fissità dell’intelletto, senza fatto discorsivo, cioè senza successioni d’immagini o passaggio da maggiore a minore in un ragionamento, una verità diventa sempre più chiara, abbagliante. Questo può accadere e può accadere senza che occorrano grazie straordinarie. Quindi è una certa quale orazione di quiete. Una certi quale, intendiamoci, non la orazione di quiete di S. Giovanni della Croce, di S. Teresa, di S. Lutgarda e di S. Matilde’. Beati loro! È una orazione di quiete, di una certa qual quiete che è possibile al comune Cristiano. È evidente che l’arrivare a questo stato di contemplazione, di aliquale orazione di quiete, suppone una pace nell’anima, suppone aver placato quel certo sommovimento psicologico, aver fermato il passeggio indebito della fantasia — che a volte viene bene, soccorre perché con le sue trovate e con i suoi cartelloni e con i suoi ritagli aiuta — suppone aver fermato tutto questo. E pertanto il fatto contemplativo in qualsiasi orazione e anche nella orazione eucaristica della quale stiamo parlando non è il più facile, intendiamoci. Ma è possibile. E non è detto che a brevi tratti, a frammenti, non si possa intercalare, infilare in mezzo a tutto il rimanente della oratio eucaristica. E può essere anche che, a forza d’infilarcelo anche per pochi istanti, qualcuno riesca a portarlo avanti per qualche minuto; e poi può essere anche che gli accada di portarselo avanti per qualche ora: Dio sia benedetto! E sia benedetto anche colui al quale ciò succede. Però non è una cosa facile, ma ci si può arrivare. – Allora lo sguardo dell’intelletto è fisso a Gesù Cristo o a qualche verità, in quella fissità però nella quale, senza fatto discorsivo dell’anima, l’oggetto stesso, da solo, lo muove, e passa dallo stato nebuloso allo stato più luminoso, dallo stato chiuso allo stato aperto, dallo stato generico allo stato dettagliato; e può arrivare anche a una luce abbagliante. E può anche lentamente presentare, quasi si direbbe, delle risposte — non parliamo di cose miracolose — da parte di Dio, cioè sottoporre all’intelligenza che rimane così fissa in Dio dei principi o delle verità che, pervenute in quel momento, sono come la presentazione di una risposta. Perché ci può essere, al di là della orazione di quiete, un dubbio, una istanza che pencola nell’anima. E può accadere, in questa orazione di quiete, permettendolo Iddio, che l’oggetto si dipani da solo e venga a mettere davanti al naso proprio quella cosa che occorreva considerare per risolvere un dubbio, Allora Dio sia benedetto! Intendiamoci, è cosa diversa dall’intervento, dalle voci; per carità, non parliamo di quelle cose lì perché è talmente grave il pericolo dell’isterismo, che bisogna starsene bene attenti. Vedete che cosa è, che cosa può essere la orazione eucaristica! Come si può dipanare con la stessa ampiezza con la quale s i dipana il moto dell’onda nel mare immenso, che si riproduce, si risolleva, ripete il suo ritmo fintanto che forse, a distanza di migliaia di chilometri, trova la sponda. La sponda è l’eternità! Nel caso presente è la orazione eucaristica, il colloquio con Nostro Signore. – Perché il Signore sta lì? Sta lì perché noi camminiamo nella nostra vita con Lui. Ma capite bene che camminare nella vita con Lui non è semplicemente muovere delle gambe e mettersi dei chilometri dietro alle spalle. È un’altra cosa! È un movimento di virtù che s’ispira all’Eucaristia. È  un movimento dell’intelligenza che vive di tutta la realtà teologica, dogmatica, evangelica che sta nell’Eucaristia. È accendere il fuoco che Lui ha acceso intorno all’Eucaristia: la caritas, che ha il suo più grande fondamento nella humilitas. Ma è il parlare con lui partendo dal fondamento di quello stato di grazia che ci rende consoni e partecipi della stessa natura divina e che mette una comunanza tra noi e Gesù Cristo, dinanzi alla quale impallidiscono tutte le altre comunanze o comunità che possono annoverarsi nell’ordine meramente naturale. Parlare con Lui tutta la vita! Ora voi traducete e capirete il valore dell’ora di adorazione, il valore della visita al SS. Sacramento, capirete il valore della visita fatta al SS. Sacramento anche da lontano. Anche da lontano! Quando camminerete e incontrerete una chiesa, non dimenticatevi mai di parlare con Lui, anche se non vi entrerete. Quando vedrete un campanile, ricordatevi che c’è Lui e sappiate parlare con Lui, sia pure brevissimamente. Non è detto che gli altri se ne debbano accorgere, non occorre affatto. Sono affari che si sbrigano dentro sé stessi! Ma l’iter con Gesù Cristo ha una parte importante, una parte dirimente, una parte vitale nel colloquio con Nostro Signore Gesù Cristo. – Allora camminiamo con Lui! Che non accada, come è accaduto ai due discepoli che fino a Emmaus non si sono accorti di niente. Soltanto avvertivano un certo calore dentro. Apriamo gli occhi prima! Loro avevano parlato con Lui; ma avevano parlato senza accorgersene. Noi parliamo con Lui accorgendocene e ripetendo sempre, come hanno ripetuto quei due poveri uomini che in fondo finivano con lo scappare sconsolati da Gerusalemme e poi sono tornati indietro: « Mane nobiscum, Domine, quoniam advesperascit ». Rimani con noi,Signore, perché si fa sera! Già, si fa sempre seranel mondo, perché c’è la caducità delle cose, perchéc’è il volgersi del sole; c’è il volgersi dellestagioni e degli anni, c’è in tutto il ridursi all’umiltàdella morte. E allora il colloquio deve durare:

« Mane nobiscum, Domine, quoniam advesperascit!».

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GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° Corso di Esercizi Spirituali (11)

S. S. GREGORIO XVII:IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (11)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

11. La vera carità

Il collegamento fra la nostra vita eucaristica e la virtù della carità è talmente grande, talmente fondamentale, per volere di Nostro Signore Gesù Cristo, che noi dobbiamo ancora insistere su questo concetto e sulle sue pratiche conseguenze. Già vi ho fatto vedere che nella mente del nostro Divin Salvatore la carità fa veramente parte della cornice e dello sfondo della vita eucaristica, della pietà eucaristica. – La virtù della carità va pratìcata come l’ha praticata Nostro Signore Gesù Cristo. Che sostanza ha dato Nostro Signore Gesù Cristo alla parola: amare il prossimo? L’ha data in due modi: parlando e facendo. Parlando, egli ha detto chiaramente che se noi non ameremo il nostro prossimo anche quello che non ci è bene viso, saremo come i pagani. Ha detto chiaramente che l’amore verso i propri fratelli è complementare dell’amore di Dio,  e pertanto fa parte del primo e supremo di tutti i precetti che racchiude tutta la Legge e i Profeti: amare Dio e amare il prossimo. L’amore del prossimo va distinto, per l’oggetto, dall’amore di Dio, ma è parte complementare delle stesso amore di Dio. Nostro Signore ha detto che il prossimo va amato come amiamo noi stessi. Sono parole grandi e tuttavia hanno bisogno di una spiegazione pratica che è data dal modo in cui si è comportato Gesù Cristo stesso. Allora si raggiunge veramente la sostanza della carità verso il prossimo. – Nostro Signore per amare noi uomini ha fatto così: ha fatto di sé stesso, Dio, un uomo. Ossia ha fatto di sé stesso quello che sarebbe venuto bene per noi. Se non si fosse fatto uomo, non avrebbe potuto redimerci; non sarebbe stata possibile, in via di giustizia, la soluzione del peccato del mondo, del peccato di tutti gli uomini. Tutto questo è legato al fatto che s’è fatto uomo come noi, avendo preso la umana natura per mezzo di una madre come abbiamo fatto tutti noi. Cioè Egli ha amato noi non soltanto, come talvolta potrebbe sembrare in questo mondo, con la sua borsa — tanto non l’aveva, non l’ha mai voluta avere, l’ha lasciata portare agli altri — o con altri elementi estranei a sé, no; ha amato gli uomini con sé stesso, facendo di sé quello che veniva bene per gli uomini. E allora ci ha dato veramente l’indicazione di come si faccia ad amare il nostro prossimo. Questa è la grande indicazione che distingue la carità dall’amore umano, dall’umanitarismo, dalla filantropia e da tutte le altre cose o piacevolezze che si vanno dicendo talvolta in questo mondo; che distingue la socialità cristiana da tutto ciò che non è socialità cristiana. Il prossimo lo si ama così: facendo di noi delle persone talmente complete, buone, umili, sante, equilibrate, talmente a posto da essere sempre il principio della vita e della gioia, della serenità e della pace, della concordia e della riconciliazione per tutti gli altri. Ecco la carità: una moglie ama il marito se fa qualcosa per cui il marito sta bene; il marito ama la moglie se fa qualcosa per cui la moglie sta bene. E così l’amico per l’amico, il compagno per il compagno, il collaboratore per il collaboratore. Tra gli uomini questa è la grande legge: si amano gli altri facendo noi buoni in modo che gli altri stiano bene, come ha fatto Nostro Signore Gesù Cristo. E allora si comprende come la virtù della carità venga descritta da S. Paolo nel cap. XIII della prima Lettera ai Corinti con una tale sequenza di attributi che si direbbe quasi diventata la virtù totale. E tutta quella serie di attributi si compendia in questo: per amare il prossimo bisogna diventare buoni su tutto il fronte. E questo perché non dobbiamo dare agli altri soltanto delle parole o dei facili e futili sentimenti, ma qualche cosa di sostanziale, come ha fatto Nostro Signore Gesù Cristo. Non è la prima volta che vi parlo di questo argomento, ma è un argomento che non sarà mai abbastanza richiamato, perché è troppo facile che la carità verso il prossimo la si confini in un sentimento, in una specie d’istinto o addirittura in una specie di simpatia, il che non è assolutamente adeguato al concetto di carità, o che la si confini in un’abitudine di elemosina o in qualche elargizione di sorrisi di bontà e di forma quando la elemosina non la si vuole e non la si può fare o ci sembra che non sia il caso di farla. – Allora è chiaro che la virtù della carità ha bisogno della umiltà. L’elemento che più di tanto equilibra noi in rapporto ai nostri fratelli è la virtù della umiltà. Ho già detto che la virtù dell’umiltà risolve a questo mondo le questioni. È la chiave con cui si aprono tutte le porte. È l’espediente o, meglio, la risorsa con la quale si superano tutte le difficoltà, è la forza con la quale si fanno cadere tutte le muraglie, tutte le fortezze, anche quelle di Gerico. È l’arma con la quale si spuntano tutte le armi degli altri. Veramente humilitas omnia resolvit. Ora non devo fare un discorso diretto sulla virtù dell’umiltà, ma devo parlarne quale elemento potenziale per avere la virtù della carità. Badate bene che, siccome la virtù della carità è una virtù di relazione col prossimo, il fondamento di tutte le buone relazioni col prossimo sta sempre nella umiltà. Se ve ne volete convincere, provate a guardare da che parte arrivano a noi tutti i fastidi che ci dà il prossimo nostro: arrivano dalla superbia. La superbia degli altri, che poi si stempera in orgoglio, in vanità, in ambizione, in testardaggine, in gelosia, in invidia, in spirito di vendetta. Tutte parti potenziali della superbia, che è veramente il fumo negli occhi. Noi stiamo tanto bene quando troviamo della gente umile. Qualche volta questo stare bene è un po’ interessato, perché non siamo umili noi e allora ci fa ancora più piacere che lo siano gli altri, quasi perché la diversità aumenta il comodo e l’agio nostro; e questo non va bene. Tanto la umiltà si desidera dagli altri, altrettanto bisogna darla agli altri. Deve esserci una reciprocità. Gli altri, con le manifestazioni della loro superbia, ci danno veramente fastidio, ci creano una pena, sono per noi un disagio permanente. Vedendo questo negli altri, allora possiamo capire, dallo specchio, come siamo noi quando, con la nostra superbia, siamo ambiziosi, vanitosi, orgogliosi, gelosi, invidiosi, testardi; prendiamo talvolta delle grandi impennate e arriviamo alle impazienze e alle sfuriate, mettiamo su i musi, diventiamo nervosi e facciamo della gran solennità fuori posto. In sostanza si tratta di banalissime manifestazioni di superbia senza nessuna dignità. Da questo possiamo capire quanto diamo fastidio al nostro prossimo. – Voi capite che per avere la carità sostanziale secondo l’esempio che ci ha dato il nostro divin Salvatore, bisogna che ci mettiamo bene in testa che il primo dono che possiamo fare ai nostri fratelli è la nostra umiltà. L’umiltà è l’arte di sapere aver torto quando non lo abbiamo, di saperci tirare indietro, di avere così torniti i nostri sentimenti interiori che questi non abbiano a trapelare in tante manifestazioni, sia pure di sfumatura, ma che annebbiano, che lacerano la buona concordia coi nostri fratelli. Occorre, per questo, farci un’abitudine interiore, perché l’umiltà, se non è un fatto interiore, è inutile averla esternamente. La umiltà che si ha solo esternamente si chiama untuosità. E d è falsità, perché se uno, per essere umile e non credendoci affatto, dice: Io sono un somaro, io sono un’oca, è chiaro che questa non è umiltà, questa è falsità e soprattutto è untuosità. Oppure è cerimoniosità: grandi inchini, grandi scappellate e riverenze, titoli, ecc. Sono tutte cose esterne e di poco valore, che non reggono. Attenti bene! L’umiltà, per elevare, santificare, corroborare e assicurare la vita di relazione, non regge se non è un fatto interiore, se non parte dall’umile sentire di sé, da quel giudizio sincero di noi dato da noi stessi, se non parte da quella prudenza per cui, anche dinanzi a ragioni obiettive per stimarci a una determinata quota, noi abbassiamo sempre il prezzo, perché sappiamo che c’è un istinto di personalità che a nostra insaputa, incoscientemente, ci porta avanti. Con questo deprezzamento volontario, virtuoso, probabilmente arriveremo a metterci nel giusto circa la valutazione di noi stessi e quindi circa tutte le conseguenze anche esterne di contegno che vengono a dipendere da essa. Per ritornare al mistero eucaristico, vedete con quale umiltà si è presentato Nostro Signore Gesù Cristo, sotto quali apparenze si è messo. Non si è andato a mettere sotto le apparenze di una corona gemmata, di un simbolo d’oro, non si è andato a costituire chissà mai quale cosa artistica, straordinaria, ricercata, rara, ma si è messo sotto le apparenze del pane e del vino che sono il nostro nutrimento quotidiano. Le cose più semplici, più immediate. Nostro Signore ci dà questo esempio e se ne sta lì nel tabernacolo ad aspettare gente che non viene; rimane solo in tante chiese e in tante ore del giorno, tutte le ore della notte. È raro trovare dei santi Curati d’Ars che passino la notte in chiesa a pregare, a fare la parte degli altri, a fare la lampada vivente. È così difficile mettere su delle associazioni che facciano l’adorazione anche di notte! Vedete quale esempio di umiltà ci viene da Nostro Signore! La virtù della carità, proprio perché deve essere sostanziale, come mette l’accento sulla virtù della umiltà, deve mettere l’accento su qualche altra virtù. Perché se vi riducesse ad essere accompagnata da queste altre virtù, difficilmente reggerebbe. E parlo della semplicità e della sincerità dell’anima. In tutti i nostri rapporti col prossimo s’impone sempre un’istanza di chiarezza. L’istanza di chiarezza è dovuta a questo: che noi presentiamo al prossimo la nostra faccia, il corpo-materia, insomma; e per quanto la faccia abbia gli occhi e gli occhi siano le porte dell’anima che lasciano trapelare guizzi dai quali si possono capire tante cose, l’anima il nostro prossimo non la vede direttamente. La condizione naturale, imprescindibile dell’umana condizione è questo modo di essere opachi per natura, dato dal fatto che siamo costituiti di anima e di corpo, e non c’è la visione immediata tra anima e anima, che richiede sostanzialmente, perché i rapporti col nostro prossimo siano nella carità, la trasparenza. Cioè là dove esiste un corpo che è di natura sua opaco e non lascia vedere direttamente l’anima — perché l’anima può benissimo celarsi e presentarsi in spoglie completamente mentite — è necessario metterci la trasparenza. Questa è la ragione obiettiva che richiede la semplicità e la sincerità, proprio perché nelle relazioni nostre col prossimo crolla questo sipario opaco. Notate bene che ho detto due parole: non ho detto soltanto sincerità, che è la virtù morale della verità, ma ho detto anche semplicità. E la ragione è questa: che la sincerità non riesce a dare la trasparenza se manca la semplicità. La semplicicità è la negazione di ogni arzigogolo; è la negazione delle complessità, delle complicazioni, delle vie ritorte. È la negazione, insomma, di tutto quell’involgersi col quale noi facciamo perdere al nostro prossimo le tracce di quello che realmente pensiamo, anche senza dire delle menzogne. Quando manca la semplicità, non è detto che noi siamo menzogneri; non si dice il rovescio di quel che si pensa, non c’è disparità, per sé e direttamente, tra il pensiero e la parola, ma c’è un tale menare un can per l’aia che alla fine della favola si ottiene lo stesso effetto, press’a poco quasi come se si dicesse una bugia: si gira, si gira e si complica; si fanno tanti di quei giri nel labirinto delle nostre parole che si fa perdere la nozione di dove sia il nord, il sud, l’est e l’ovest. Questa è la mancanza di semplicità. Ora capite perché non ho detto che per fare cadere questo velario opaco, che è sempre pronto a erigere dei muri tra noi e il nostro prossimo, occorre solo la sincerità: perché la sincerità dà la trasparenza, ma questa trasparenza deve essere aiutata e assicurata dalla semplicità. Sì, voi potete mettere un vetro, lo so, e il vetro di natura sua è trasparente; ma se questo vetro ce lo mettete smerigliato, non ci si vede attraverso. Se voi questo vetro lo mettete sfaccettato, come si sfaccettano i diamanti, non potete vedere bene la parte di là. La sfaccettatura vi devia molti raggi e pertanto le immagini non vi possono arrivare. Ecco perché la sincerità, per raggiungere la trasparenza, per far cadere il velo della opacità, deve essere armata e sostanziata essa pure di semplicità. Non se ne può fare a meno. Che andamento sereno prende allora tutta la dottrina di Nostro Signore Gesù Cristo! Come noi da questa sponda, seguendo il pensiero suo, abbiamo l’impressione di intravvedere il paradiso terrestre, l’Eden! Come si fanno belle, colorite, vive le cose! Come cambia completamente la vita, in tutti i suoi rapporti, quando sia veramente come vuole Nostro Signore Gesù Cristo! – La virtù della carità ha un punto delicato, e non si può fare a meno di parlarne anche perché c’è l’invito esplicito di Nostro Signore Gesù Cristo: « Se stai per fare il tuo dono davanti all’altare… ». Ritorniamo al concetto eucaristico. Badate che è un richiamo preciso a una legge senza la quale la carità non sussiste, ma diventa parziale, frammentaria, e poi finisce col cadere nella sua stessa sostanza. Si tratta della legge del perdono. A volte la carità appare talmente fatta di velluto e pare vellutare talmente tutte le pareri e tutti i pavimenti e persino il cielo, che vien da piangere a considerarla bene. Ma quando si arriva all’argomento del perdono, cascano gli altarini. Io ho paura che su dieci che si ritengono molto Cristiani, quasi perfetti Cristiani, e che si ritengono di avere il colloquio immediato con Dio, a mala pena se ne trovano tre o quattro che sanno perdonare. Eppure la legge del perdono è legge fondamentale nel Vangelo, tanto fondamentale che quando Nostro Signore ha creduto opportuno insegnarci una preghiera molto breve, riassuntiva, in cui ha messo le cose principali, il Pater noster ce l’ha infilata dentro: vi ha messo la condizione: « Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ». Questo ci fa dire, e così ci mette in imbarazzo sempiterno. Quando si dice il Pater noster, se ci si pensa, talvolta non si riesce ad andare avanti e finirlo. Perché se si pensa a quel che si dice quando cirivolgiamo a Dio dicendo: « Signore, rimetti a noii nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», se per disgrazia non è perfettamente veroche noi abbiamo rimesso ai nostri debitori, come si fa a dirlo? Capisco che alle volte si va talmente avanti con l’armonica automatica che si dicono le cose più inverosimili al buon Dio mentre si prega Se ci si pensasse un po’ di più, si direbbero cose meno inverosimili. Invece con una faccia tosta inverosimile diciamo: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. – La legge del perdono è fondamentale nell’Evangelo. Io direi che un vero cristiano lo si riconosce dal perdono. Il grado, la temperatura, la valenza, la caratura, quella autentica, sostanziale, genuina del Cristiano la si conosce dal perdono. Nostro Signore è stato, direi, tremendo su questo punto. Ricordate la parabola del servo cattivo? Aveva avuti condonati dal proprio padrone tanti talenti e non aveva avuto la forza di condonare un piccolo debito a un suo conservo. E il padrone ha fatto prendere lui, la moglie e i figli e gettarli in una prigione finché non rendesse fino all’ultimo centesimo. – Quando Pietro chiese a Gesù: « Signore, fino a quante volte dovremo perdonare? Fino a sette volte? » gli sembrava di sfornare tutta la generosità del mondo. E si è sentito rispondere: « Non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette », frase che nel linguaggio aramaico nel quale parlava N. S. Gesù Cristo, significa: perdonerai sempre. Sempre. Adesso io non indugio a parlare del fatto che il perdono non inibisce che si faccia giustizia, che si diano le punizioni a chi si devono dare, perché le ragioni sociali prevalgono su quelle individuali. Non è il caso di fare la casistica. Ma la legge del perdono in sé deve rimanere. Qui c’è una piccola precisazione da fare. La legge del perdono molti la considerano una legge da tirarsi fuori come i grandi addobbi, come i pavesi, cioè nelle grandi occasioni: la scena è pronta, le quinte sono ben tirate, tutto è luminoso e io faccio il bel gesto del perdono. È il gesto di S. Giovanni Gualberto che un venerdì santo incontra per la strada, inerme, lui che era armato, l’uccisore del proprio fratello, il quale allarga le braccia in croce e domanda pietà in nome del Crocifisso di cui quel giorno si faceva la commemorazione. S. Giovanni Gualberto lo perdona abbracciandolo, poi va nella chiesa di S. Miniato, e il Crocifisso china il suo capo verso di lui come a dirgli: Hai fatto bene! Casi solenni, vero? Distribuiti qua e là nella vita, per qualche circostanza un po’ teatrale, molto drammatica, molto ben drappeggiata e illuminata, è quasi una recitazione di orgoglio. Badate che la legge del perdono è una legge che dobbiamo applicare dalla mattina alla sera. È qui veramente dove si vede il perdono. Certo, quando si danno le grandi occasioni, le gravi offese, allora bisogna fare grandi remissioni, dare qualche grandissima assoluzione, perdonare al proprio calunniatore. Beh, sì, ci sono anche queste occasioni, non dico di no. Ma guai se pensiamo che la legge del perdono sia valevole soltanto in queste grandi occasioni. La legge del perdono va applicata dalla mattina alla sera, cento volte al giorno. In moltissimi dei rapporti che noi abbiamo col nostro prossimo salta fuori qualche debituccio, o almeno noi crediamo che il nostro prossimo, qualunque esemplare del nostro prossimo con cui abbiamo da fare, ci pianti sempre lì qualche piccolo debito. Che poi sia vero o non sia vero, anche questa è una cosa da tener presente, perché siamo moltissimo pronti a registrare tutti i debiti che gli altri hanno con noi, e ne inventiamo anche, e non siamo affatto pronti a ricordare i crediti che gli altri hanno con noi. Ma è certo che dalla mattina alla sera, nei contatti col nostro prossimo, sia che esista o non esista una ragione obiettiva, noi vediamo allinearsi tutta una serie di piccoli crediti nostri e di debiti altrui. E queste cose poi, ristagnando, formano una specie di patina, talché a volte finiscono col dare l’umor nero e chissà quale capacità di fulminare tutto 1’universo! Allora viene il nervoso, vengono le reazioni, ci si lavora sopra, si mettono fuori i musi e non si finisce più. Allora gli altri capiscono che ci sono dei musi, e ne fanno anche loro; uno capisce che l’altro ha fatto i musi e non capisce perché ha fatto i musi. A volte ci costruiamo noi un mondo di nemici, di persecuzioni, di vendette, di guai, insomma, che poi sono tutti nella nostra fantasia. – È l’applicazione della legge del perdono che interessa. E non è facile! Io ritengo che sia più facile dare i grandi perdoni, quelli solenni, teatrali; credo che sia più facile perché lì c’è anche il senso di troneggiare, di fare una cosa egregia: tutto l’insieme sostiene. Mentre è difficilissima, nella giornata, la continua applicazione della legge del perdono per cui non resta mai niente, la pagina rimane sempre pulita. Non c’è mai nessun debito, tutto viene subito messo a posto. – Ecco, io credo che da questa più o meno disordinata descrizione della legge del perdono al minuto, non all’ingrosso, voi siate in grado di fare una conclusione molto importante: il perdono al minuto è quello che libera l’anima continuamente, è quello che sblocca l’anima continuamente, che la riporta sempre alla serenità virtuosa, non poltrona, virtuosa davanti a Dio e davanti ai fratelli. Ed è quella che ci fa stare a questo mondo molto meglio, perché si sta bene a questo mondo quando si fa così. Costa un po’, eh! esercitare il perdono a questo modo e regolarmente bruciare tutti idebiti degli altri mano mano che pare arrivino, pensando anche che il maggior numero di debiti degli altri sono frutto della nostra fantasia e del nostro orgoglio e non frutto del peccato altrui. Anche questa considerazione deve avere il suo peso. –  Ma è la liberazione, la serenità dell’anima. Allora si raggiunge veramente la semplicità. Vi ho detto: c’è qualche cosa di opaco tra noi e i fratelli: la carità deve farcela abolire. Ma per abolirla occorre la sincerità. La sincerità da sola, che sarebbe per sé trasparente, può non esserlo perché i vetri possono essere smerigliati, sfaccettati, dipinti e perfino istoriati. Da questo vetro bisogna continuamente, con una pelle di daino, spazzare via tutto quello che vi si posa: la polvere, i granelli, gli insetti, tutto. Senza questa pelle di daino in mano non si riesce a mantenere la semplicità dei rapporti e pertanto la sincerità nei contatti coi nostri fratelli. Perché è quando ci si sente circondati di sincerità, di trasparenza, che si sta bene. Ma la trasparenza può essere mantenuta con la semplicitàe col perdono continuo. Rinnegando il perdono al minuto, il vetro si copre, si appanna. Se al mattino era bello, traslucido, alla sera non si vede più di là: è tutto coperto dai debiti degli altri e dai crediti nostri. Allora non si vede più niente e tutto diventa incerto, dubbioso, penoso, precario. Bisogna dare questa carità al nostro prossimo. Nostro Signore, mentre istituiva l’Eucaristia, faceva questo discorso : « Ut omnes unum sint! »: che tutti siano una cosa sola! L a grande luminosità della pietà eucaristica da parte dei fedeli è la carità, carità che arriva a questo punto. Così sia.

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SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAS DOMINI, IN ÆTERNUM CANTABO” (LXXXVIII)

SALMO 88: MISERICORDIAS DOMINI in æternum cantabo

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 88

Intellectus Ethan Ezrahitæ.

[1] Misericordias Domini in æternum cantabo;

in generationem et generationem annuntiabo veritatem tuam in ore meo.

[2] Quoniam dixisti: In æternum misericordia ædificabitur in cœlis; praeparabitur veritas tua in eis.

[3] Disposui testamentum electis meis; juravi David, servo meo:

[4] usque in æternum præparabo semen tuum, et ædificabo in generationem et generationem sedem tuam.

[5] Confitebuntur cœli mirabilia tua, Domine; etenim veritatem tuam in ecclesia sanctorum.

[6] Quoniam quis in nubibus aequabitur Domino, similis erit Deo in filiis Dei?

[7] Deus, qui glorificatur in consilio sanctorum, magnus et terribilis super omnes qui in circuitu ejus sunt.

[8] Domine Deus virtutum, quis similis tibi? potens es, Domine, et veritas tua in circuitu tuo.

[9] Tu dominaris potestati maris, motum autem fluctuum ejus tu mitigas.

[10] Tu humiliasti, sicut vulneratum, superbum; in brachio virtutis tuae dispersisti inimicos tuos.

[11] Tui sunt cœli, et tua est terra; orbem terræ, et plenitudinem ejus tu fundasti;

[12] aquilonem et mare tu creasti. Thabor et Hermon in nomine tuo exsultabunt.

[13] Tuum brachium cum potentia; firmetur manus tua, et exaltetur dextera tua.

[14] Justitia et judicium praeparatio sedis tuae; misericordia et veritas praecedent faciem tuam.

[15] Beatus populus qui scit jubilationem: Domine, in lumine vultus tui ambulabunt;

[16] et in nomine tuo exsultabunt tota die; et in justitia tua exaltabuntur.

[17] Quoniam gloria virtutis eorum tu es, et in beneplacito tuo exaltabitur cornu nostrum.

[18] Quia Domini est assumptio nostra, et sancti Israel regis nostri.

[19] Tunc locutus es in visione sanctis tuis, et dixisti: Posui adjutorium in potente; et exaltavi electum de plebe mea.

[20] Inveni David, servum meum, oleo sancto meo unxi eum.

[21] Manus enim mea auxiliabitur ei, et brachium meum confortabit eum.

[22] Nihil proficiet inimicus in eo, et filius iniquitatis non apponet nocere ei.

[23] Et concidam a facie ipsius inimicos ejus, et odientes eum in fugam convertam.

[24] Et veritas mea et misericordia mea cum ipso; et in nomine meo exaltabitur cornu ejus.

[25] Et ponam in mari manum ejus, et in fluminibus dexteram ejus.

[26] Ipse invocabit me: Pater meus es tu, Deus meus, et susceptor salutis meae.

[27] Et ego primogenitum ponam illum, excelsum prae regibus terræ.

[28] In aeternum servabo illi misericordiam meam, et testamentum meum fidele ipsi.

[29] Et ponam in sœculum sœculi semen ejus, et thronum ejus sicut dies cæli.

[30] Si autem dereliquerint filii ejus legem meam, et in judiciis meis non ambulaverint;

[31] si justitias meas profanaverint, et mandata mea non custodierint:

[32] visitabo in virga iniquitates eorum, et in verberibus peccata eorum;

[33] misericordiam autem meam non dispergam ab eo, neque nocebo in veritate mea.

[34] Neque profanabo testamentum meum, et quae procedunt de labiis meis non faciam irrita.

[35] Semel juravi in sancto meo, si David mentiar:

[36] Semen ejus in œternum manebit. Et thronus ejus sicut sol in conspectu meo,

[37] et sicut luna perfecta in aeternum, et testis in caelo fidelis.

[38] Tu vero repulisti et despexisti; distulisti christum tuum.

[39] Evertisti testamentum servi tui; profanasti in terra sanctuarium ejus.

[40] Destruxisti omnes sepes ejus; posuisti firmamentum ejus formidinem.

[41] Diripuerunt eum omnes transeuntes viam; factus est opprobrium vicinis suis.

[42] Exaltasti dexteram deprimentium eum; laetificasti omnes inimicos ejus.

[43] Avertisti adjutorium gladii ejus, et non es auxiliatus ei in bello.

[44] Destruxisti eum ab emundatione, et sedem ejus in terram collisisti.

[45] Minorasti dies temporis ejus; perfudisti eum confusione.

[46] Usquequo, Domine, avertis in finem: exardescet sicut ignis ira tua?

[47] Memorare quae mea substantia; numquid enim vane constituisti omnes filios hominum?

[48] Quis est homo qui vivet et non videbit mortem? eruet animam suam de manu inferi?

[49] Ubi sunt misericordiœ tuœ antiquœ, Domine, sicut jurasti David in veritate tua?

[50] Memor esto, Domine, opprobrii servorum tuorum, quod continui in sinu meo, multarum gentium;

[51] quod exprobraverunt inimici tui, Domine, quod exprobraverunt commutation-nem christi tui.

[52] Benedictus Dominus in œternum. Fiat! fiat!

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXVIII

Ethan Ezraita era uomo sapientissimo (lib. 3, c. 4 dei Re): il Salmo è dato alla sua intelligenza; poiché argomento é preghiera a Dio di mandare presto il Cristo promesso in Davide, a liberare il popolo dalla schiavitù dei suoi mali.

Istruzione di Ethan Ezraita.

1. Le misericordie del Signore canterò io eternamente.

2. A tutte le generazioni annunzierò con la mia bocca la tua verità. (1)

3. Imperocché tu dicesti che la misericordia sarebbe stabilita per sempre nei cieli, e che sopra di essi poserebbe la tua verità.

4. Io ho fermata alleanza coi miei eletti, ho giurato a David mio servo: fino all’eternità serberò stabile il seme tuo.

5. Ed io per tutte le generazioni farò stabile il tuo trono.

6. I cieli predicheranno, o Signore, le tue meraviglie: e alla tua verità (darà laude) la chiesa dei Santi;

7. Imperocché, e chi sarà a Dio uguale nell’alto? qual dei figliuoli di Dio sarà simile a Dio?

8. Dio, che èglorificato nel concilio dei santi: grande e terribile a tutti quelli che a lui stanno d’intorno.

9. Signore, Dio degli eserciti, chi è simile a te? possente sei tu, o Signore, e intorno a te la tua verità.

10. Tu comandi all’orgoglio del mare, e il movimento dei flutti di lui tu ammansi.

11. Tu umiliasti il superbo, come un che è ferito a morte: col robusto tuo braccio tu sperdesti i tuoi nemici.

12. Tuoi sono i cieli e tua la terra; tu il mondo formasti e tutto quello ond’egli è ripieno; tu creasti l’aquilone e il mare.

13. Il Thabor e l’Hermon esulteranno nel nome tuo, potente cosa egli è il tuo braccio.

14. Sia robusta la mano tua, e celebrata sia la tua destra; la giustizia e l’equità sono la base del tuo trono.

15. La misericordia e la verità anderanno innanzi a te: beato il popolo, che sa in te rallegrarsi.

16. Signore, alla luce della tua faccia cammineranno, e nel nome tuo esulteranno tutto dì; e mediante la tua giustizia saranno esaltati.

17. Perocché gloria della loro fortezza se’ tu; e per la buona tua volontà il poter nostro sarà esaltato;

18. Imperocché protezione nostra egli è il Signore, e il Santo di Israele, che è nostro Re.

19. Tu parlasti allora in visione a’ tuoi santi, e dicesti: Ho preparato in un uomo potente l’aiuto; e ho esaltato quello che io elessi di mezzo al mio popolo.

20. Ho trovato David, mio servo: l’ho unto coll’olio mio santo.

21. Imperocché la mano mia lo assisterà; e farallo forte il mio braccio.

22. Non guadagnerà nulla sopra di lui. Il nemico, e il figliuolo d’iniquità non saprà fargli danno.

23. E distruggerò dinanzi e lui i suoi nemici; e metterò in fuga coloro che lo odiano.

24. E con lui sarà la mia verità e la mia misericordia: e nel nome mio crescerà egli in potenza.

25. E la mano di lui stenderò sopra il mare, e la sua destra sopra i fiumi. (2)

26. Egli a me griderà: Tu sei il Padre mio, mio Dio e principio di mia salute.

27. E io lo costituirò primogenito più eccelso dei re della terra.

28. A lui conserverò la mia misericordia in eterno, e la mia alleanza con lui sarà stabile.

29. E il seme di lui farò che sussista per tutti i secoli, e il trono di lui quanto i giorni del cielo.

30. Che se i figliuoli di lui abbandoneranno la mia legge, e non cammineranno secondo miei comandamenti,

31. Se violeranno i giusti miei documenti e non osserveranno i miei precetti:

32. Visiterò colla verga le loro iniquità, colla sferza i loro peccati.

33. Ma non torrò a lui la mia misericordia e non farò torto alla mia verità;

34. E non violerò il mio patto, e non tratterò le parole, che vengono dalla mia bocca.

35. Una volta per sempre giurai per la mia santità; non mancherò di parola a David: 36. seme di lui durerà eternamente.

37. E il trono di lui sarà in eterno dinanzi a me, come il sole e come la luna piena, come il testimone fedele nel cielo. (3)

38. Tu però hai rigettato, e messo in non cale, e allontanato da te il tuo Cristo. (4)

39. Hai rotta l’alleanza col tuo servo; hai conculcato per terra il suo sacro diadema.

40. Hai distrutti tutti i suoi ripari; nei luoghi forti di lui hai posto lo sbigottimento.

41. Tutti quei che passavan per via, lo hanno depredato: è divenuto lo scherno dei suoi vicini.

42. Hai dato gagliardia alla mano di coloro che lo insultano; rallegrasti tutti i suoi nemici.

43. Hai renduto ottuso il taglio della sua spada, e nella guerra non gli hai dato soccorso.

44. Hai annichilato il suo splendore; e hai spezzato in terra il suo trono.

45. Hai accorciati i giorni di sua bella età, lo hai ricoperto di ignominia.

46. Fino a quando, o Signore, ti terrai ascoso continuamente? e come fuoco divamperà il tuo sdegno?

47. Ricordati qual sia l’esser mio: perocché non hai tu soggettati alla vanità tutti i figliuoli degli uomini?

48. Qual è quell’uomo che avrà vita, senza veder mai la morte? chi trarrà l’anima sua dalle mani d’inferno?

49. Dove sono, o Signore, le antiche tue misericordie, cui tu giurasti a David per tua verità?

50. Ricordati, o Signore, dei rimproveri (che nel mio seno celati io tengo), che sono fatti ai tuoi servi da molte genti;

51. Dei rimproveri fatti, o Signore, dai tuoi nemici, i quali ci hanno rimproverato la mutazione del tuo Cristo. (5)

52. Benedetto il Signore in eterno: così sia, così sia.

(1) La misericordia di Dio è comparata ad un edificio ben strutturato, al quale si può sempre sopraggiungere.

(2) Vale a dire dal Mediterraneo all’Eufrate, nella persona di Salomone, e da un capo del mondo all’altro, nella persona del Messia.

(3) « E il testimone fedele che è in cielo ». – Il testimone è Dio stesso e manterrà di conseguenza ciò che promette nel giuramento. – Altri traducono: e come il testimone fedele che è in cielo, vale a dire la luna, o come l’arcobaleno, che è segno dell’alleanza di Dio con gli uomini.

(4) Il salmista oppone alle speranze concepite in virtù delle promesse, il triste stato del popolo e del suo re, quando Gerusalemme fu presa da Sesac, re d’Egitto, e Roboamo si assoggettò; o secondo altri, quando Nabuccodonosor venne per impadronirsi di Gerusalemme, e di Sedecia, che condusse in cattività.

(5) Il senso letterale è: « essi vi hanno rimproverato di aver cambiato le vostre promesse relativamente all’avvento del Cristo! »; o anche il cambiamento sopraggiunto nel suo stato, stato di umiliazione in cui si è ridotto.

Sommario analitico

Il Profeta Ethan, in questo salmo, parlando sia a nome suo che a nome del popolo tenuto in cattività, predice la venuta del Messi, sotto la figura di Davide, al quale conviene solo una parte di questo salmo nel senso letterale (V. 28-30, p. 38). Sembra che Ethan abbia composto questo salmo sotto Roboamo, che non solo aveva visto le dieci tribù separarsi da lui, ma sotto il regno ma sotto il regno del quale, una parte della tribù di Giuda fu condotto in cattività da Sosac, re d’Egitto, e fu obbligato a spogliare il tempio per pagare il tributo imposto dal vincitore.

I. – Egli comincia a lodare Dio Padre a causa della promessa fatta di inviare il Messia:

1° Egli è degno di ogni lode a causa della sua misericordia e della sua verità, tutte e due eterne (1, 2);

2° Egli è fedele: a) nei riguardi degli eletti, ai quali ha promesso il Messia; b) nei riguardi del Messia stesso, di cui conserverà eternamente i figli ed il trono reale (3, 4).

II. – Egli presenta il Messia stesso posto sul trono, che riceve adorazioni dagli Angeli e dagli uomini.

1° Si indirizza al Padre eterno che ha rivestito suo Figlio di questa gloria incomparabile e di cui i cieli lodano le meraviglie e la verità (5);

2° Proclama l’eccellenza del Messia: a) Egli brilla di uno splendore incomparabile in mezzo agli angeli e ai santi (6); b) è terribile nei suoi giudizi, al di sopra di tutti coloro che lo circondano (7); c) è il Signore onnipotente e giusto dispensatore dei castighi e delle ricompense (8);

 3° occorre far vedere la potenza data a Gesù-Cristo su tutto l’universo, a) sul mare di cui doma i flutti e calma la collera (9, 10); 6) nei cieli e su ogni parte della terra (11, 13);

4° Egli prega il Cristo seduto sul suo trono: – a) gli domanda di dispiegare la sua potenza per la difesa dei buoni ed il castigo dei malvagi (14); – b) descrive le virtù che sono l’appoggio del suo trono (14); – c) eccita il popolo oggetto della misericordia divina, alla lode di Dio;

5° Egli enumera i vantaggi di cui il Messia è sorgente per gli uomini, sia in questa vita, che nell’altra: – a) la luce nell’intelligenza (15); – b) la gioia nella volontà; – c) la loro elevazione all’ombra della giustizia di Dio (16); – d) egli da la ragione di queste grazie e di questi favori: Dio è l’onore della loro potenza, ed è alla sua bontà che è dovuta questa elevazione (17, 18).

III. – Il profeta introduce Dio stesso, descrivendo la potenza e la felicità di questo grande Re:

1° Considerato in se stesso, – a) egli ricorda la promessa che ha fatto ai patriarchi ed ai profeti di inviare il Messia al mondo (19); – b) la scelta particolare che ha fatto di lui nella persona di Davide, che ne era la figura (20); – c) l’unzione reale che gli ha conferito, ed il soccorso che gli ha prestato contro tutti i suoi nemici (21-23); – d) la sicurezza che la misericordia e la verità di Dio non cesseranno di circondarlo (24); – e) l’estensione del suo impero (25); – f) l’amore mutuo del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre (26); – g) la sua elevazione al di sopra di tutti i re della terra (27); – h) l’eternità del suo regno (28-30);

2° Nella sua posterità e nei suoi discendenti: a) Dio dichiara che li punirà paternamente con la sua giustizia, quando peccheranno contro di Lui (31, 32); b) che non ritirerà la sua misericordia (33); c) che sarà fedele alle promesse che ha fatto, soprattutto sulla durata eterna della razza del Messia (34-36); d) che Egli si stabilirà eternamente sul suo trono con la sua presenza. (37).

IV. – Egli prega Dio di inviare al più presto il Messia che ha promesso, a causa dell’estrema miseria alla quale è ridotto il suo popolo.

1° Enumera queste miserie: a) Dio sembra aver rigettato completamente il suo popolo (38); b) ha ribaltato l’alleanza fatta con Lui; c) la devastazione del tempio e la distruzione delle mura di Gerusalemme (39, 40); d) la spaventosa diffusione in tutte le sue fortezze; e) le sue ricchezze saccheggiate; f) Egli è divenuto l’obbrobrio dei suoi vicini (41); g) i suoi nemici si sono fortificati contro di lui (12); h) Dio gli ha tolto il suo soccorso (43); i) il suo re è spogliato degli attributi di dignità (44); j) il suo regno che doveva essere eterno è distrutto e coperto di confusione (45);

.2° Egli domanda a Dio di accelerare la venuta del Messia: – a) a causa della lunga attesa del suo popolo, – b) a causa della sua miseria e della breve durata della sua vita (47-48); – c) a causa della sua bontà e della sua misericordia divina (49); – d) a causa della malizia dei nemici del popolo di Dio (50, 51); – e) a causa  della gloria di Dio (52).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1-4. – « Signore, io canterò eternamente le vostre misericordie; di generazione in generazione, la mia bocca proclamerà la vostra verità ». Che le mie membra – egli dice – obbediscano al Signore; io parlerò ma dirò ciò che è in Voi. « La mia bocca proclamerà la vostra verità. » Se non obbedisco, io non sono vostro servo; se parlo da me, io sono un mentitore. Di conseguenza, che io dica ciò che è vostro, o che io parli, sono due cose distinte: l’una viene da Voi, l’altra da me; la vostra verità da una parte, la mia bocca dall’altra. Quale verità proclama, quale misericordia canta? « Io canterò le vostre misericordie. » (S. Agost.). – La misericordia essenziale in Dio è una, come tutti i suoi altri attributi; si può dire tuttavia che ve ne siano diversi, secondo i diversi effetti che produce in noi. Le principali misericordie di Dio riguardo all’uomo sono: la creazione, la redenzione, la giustificazione, la glorificazione. –  Io trovo in me – dice S. Bernardo – sette misericordie di Dio al mio riguardo; la prima è che Egli mi ha preservato da un gran numero di peccati, quando ero ancora nel secolo; la seconda misericordia è stata l’attendermi, il sopportarmi, perché Egli differiva la sua vendetta, perché Egli pensava a perdonarmi; la terza misericordia è stata il richiamarmi a penitenza, lacerando il mio cuore che sentiva il dolore dei suoi peccati; la quarta misericordia è stata l’accogliere con bontà la mia anima pentita; la quinta, di darmi la forza di praticare la continenza e tutte le virtù cristiane; la sesta, di accordarmi la grazia di meritare i beni eterni; la settima, di darmi la speranza di ottenerli (S. Bern. Serm. De sept mis.). – Perché voi avete detto: « La misericordia si eleverà come un edificio eterno nei cieli. » Io costruisco in modo tale da non distruggere; perché distruggete qualche volta per non costruire e talvolta distruggete per costruire (S. Agost.). – La fermezza della parola di Dio è fondata non sulla instabilità delle creature, né sulle volontà mutevoli degli uomini, ma solidamente stabilita come un edificio eterno nei cieli. – La misericordia precede sempre la verità, perché la verità non brillerebbe nel compimento delle promesse, se la misericordia non la precedesse nella remissione dei peccati (S. Agost.). –   « Io ho disposto un testamento per i miei eletti. » Quale testamento, se non quello per il quale siamo rinnovati per ricevere una nuova eredità? Quale testamento se non quello che ci assicura una eredità di cui l’amore ed il desiderio ci fanno cantare un cantico nuovo, … e ho fatto un giuramento. »  Se voi mi ispirate una sì grande sicurezza con la vostra semplice parola, che ne sarà del vostro giuramento? Il giuramento di Dio è vietato all’uomo, perché l’uomo è fallibile. Dio solo giura con sicurezza, perché non può ingannarsi (S. Agost.) – Queste parole. « io stabilirò la vostra discendenza fin nell’eternità, » si riferiscono non solo alla carne del Cristo nato dalla Vergine Maria, ma ancora a tutti coloro che crederanno nel Cristo, perché noi siamo membra di questo Capo. Il corpo non può esserne separato, e se la testa è glorificata eternamente, le membra saranno anch’esse glorificate, perché il Cristo resta eternamente intero. Cosa vuol dire « di generazione in generazione? » : in tutte le generazioni.

II. — 5-8.

ff. 5, 6. – Stimarsi incapace di rendere a Dio delle azioni degne di grazie per i suoi benefici, e di proclamare le sue meraviglie, è dare questa commissione ai cieli, cioè ai Santi abitanti dei cieli (Bellarm.). – Per conoscere quali cieli celebreranno queste meraviglie vedete dove esse sono celebrate: « Nella Chiesa dei Santi. »  È fuor di dubbio che per cieli, non si sbaglia nell’intendere i predicatori della parola di verità. Che la Chiesa dunque raccolga la rugiada dei cieli; che i cieli facciano cadere sulla terra arida, una pioggia benedetta, e che la terra, ricevendo questa pioggia, produca dei germi preziosi di buone opere (S. Agost.). –  Ora, cosa predicano i cieli nella Chiesa dei Santi? Chi sarà tra le nuvole simile al Signore? I predicatori sono nel contempo dei cieli e delle nuvole: dei cieli, a causa del bagliore della verità; delle nuvole a causa delle oscurità della carne; esse vengono e passano. È nella Chiesa ove è l’assemblea dei Santi, che si trova la verità. La verità della fede è esclusivamente nella Chiesa che, secondo l’espressione dell’Apostolo, è la colonna ed il fondamento della verità (1 Tim. III, 15). – Ora, nessuno è simile al Figlio di Dio, anche tra i figli di Dio; Egli è unico, noi siamo numerosi; Egli è uno, noi siamo in Lui; Egli è generato, noi siamo adottati; Egli è per natura il Figlio generato fin dall’eternità, noi siamo stati fatti figli di Dio nel tempo per grazia; Egli è senza peccato, noi siamo stati liberati dal peccato da Lui (S. Agost.).

ff. 7, 8. – Poiché è Dio che deve essere glorificato nell’assemblea dei giusti, perché le nuvole e il figlio di Dio non possono essere suoi eguali, resta loro il prendere la risoluzione che conviene alla fragilità umana: « Chi si glorifica, si glorifichi nel Signore ». (1 Cor. I, 31). – Il pensiero della grandezza, della potenza e della verità di Dio, vivamente impressa in un cuore, è sufficiente per cancellarne tutte le illusioni, tutte le menzogne opposte alla verità di Colui che esiste perché sussiste per Se stesso, senza aver bisogno di alcuna creatura (Dug.). – Ciò che sarà per noi più spaventoso nel giudizio di Dio, non sarà né la maestà del Giudice, né la sua potenza, né la sua grandezza, ma la sua verità, questa verità che si ergerà contro di noi, questa verità che ci accuserà, che ci convincerà, che ci condannerà, che ci confonderà; non questa fragile verità degli uomini, ma questa invincibile Verità di Dio, questa immutabile Verità di Dio, questa inconfutabile Verità di Dio; questa Verità che non può essere né rinnegata, né contestata, né elusa; in una parola, o mio Dio! Questa Verità che circonda il vostro trono e che la Scrittura chiama per questo la vostra Verità (S. Girol.). – « La vostra verità è intorno a Voi » Ma quando essa si è diffusa senza persecuzione? Quando senza contraddizione? Il popolo in mezzo al quale vi è piaciuto nascere e vivere, era come una terra separata dai flutti della gentilità, che appariva arida, per essere irrorata dalla pioggia, mentre le altre nazioni erano come un mare abbandonato all’amarezza che le rendeva sterili. (S. Agost.).

ff. 9-13. – Che faranno dunque i vostri predicatori, allorché i flutti di questo mare ruggiscono contro di essi? È vero, il mare si gonfia, il mare si oppone al loro passaggio, il mare spinge i suoi ruggiti; ma, « Voi comandate alla potenza del mare, e calmate la violenza dei flutti » (S. Agost.). – Gesù-Cristo, durante la sua vita mortale, ha pure dominato sul mare ed ha calmato i flutti. Ma Egli ha fatto di più, portando la pace al mondo, che è un mare più furioso che l’elemento di cui la terra è circondata. Ma – dice Sant’Agostino – come riceveremo questa pace? Come navigheremo su questo mare senza far naufragio? Guardiamoci: il vento è impetuoso, la tempesta è terribile. Ciascuno fa la sua esperienza, perché ognuno è agitato dalle sue passioni. Ora, chi ci preserverà dal pericolo: amate Dio e camminerete sulle acque, sentirete sotto i vostri piedi tutto l’orgoglio del secolo, e non affonderete. Al contrario se amate il secolo, sarete inghiottiti; perché il secolo non fa che assorbire tutti coloro che lo amano, e non sa sostenerli (Berthier). – Non siete Voi che avete colpito il superbo e ferito il dragone? Non siete Voi che avete seccato il mare e la profondità dell’abisso, e che avete aperto al vostro popolo, in mezzo alle acque, la via della salvezza? Voi vi siete umiliato  ed avete umiliato il superbo, siete stato ferito ed avete ferito; perché il demonio non poteva non essere ferito dal vostro sangue sparso per strappare il contratto che aveva condannato i peccatori. Da dove veniva in effetti il suo orgoglio se non da colui che aveva un titolo contro di noi? Questo titolo, questa cambiale, voi l’avete strappato nel vostro sangue (Coloss. II, 14); voi avete dunque colpito colui al quale avete strappato tante vittime (S. Agost.). – L’uomo lascia volentieri i cieli a Dio, ma pretende di essere padrone della terra che gli appartiene. Egli ne possiede più che può, e desidera possederla interamente. Disgraziato e cieco nel non vedere e nel non sentire che questo possesso della terra, anche se si realizzasse, sarebbe di poca durata, mentre il possesso del cielo sarà eterno (Dug.). – Il Tabor e l’Hermon, figurano le montagne più alte, sia per la loro nascita, sia per la loro dignità. Esse trasaliranno di gioia, non per i propri meriti, ma nel vostro nome, e ne faranno risentire le lodi con una sottomissione intera a tutte le vostre volontà. – « La potenza è con il vostro braccio ». Che nessuno si arroghi alcuna potenza, « … la potenza è con il vostro braccio. » Noi siamo stati creati per Voi, noi siamo stati difesi da Voi. (S. Agost.).

ff. 14. – Quattro attributi principali in Dio, sono marcati in quasi tutte le pagine della santa Scrittura: la sua potenza e la sua bontà, la sua giustizia e la sua misericordia, affinché il timore della sua potenza e della sua giustizia porti gli uomini ad implorare la sua misericordia e la sua bontà. Due sono le basi sulle quali il trono di Dio è appoggiato, essendo tutti i giudizi che rende, temperati dalla fusione di questa giustizia e di questa misericordia (Dug.). – « La giustizia ed il giudizio sono le basi del vostro trono. » Alla fine appariranno la vostra giustizia ed il vostro giudizio, attualmente essi sono nascosti. E che ne è ora? « La misericordia e la giustizia camminano davanti al vostro volto. » Io sarò spaventato alla vista delle basi del vostro trono, io sarò atterrito alla vista delle basi del vostro trono, io temerò la vostra giustizia ed il vostro giudizio avvenire, se la vostra misericordia e la vostra verità non cammineranno davanti a Voi. Perché temerò dunque il vostro giudizio dell’ultimo giorno se per la vostra misericordia, che precede questo giudizio, voi cancellate i miei peccati, e voi compite le vostre promesse manifestandomi la verità? (S. Agost.). –  « Felice il popolo che sa lodarvi nella gioia del suo cuore, che comprende l’esultanza. » Che cos’è comprendere l’esultanza? È sapere da dove viene una gioia che mille parole non sanno spiegare, perché la vostra gioia non viene da Voi. L’orgoglio non causa i vostri trasporti, ma soltanto la grazia di Dio (Idem). Colui che non loda Dio che con le labbra, e che, non sentendo quanto tutte le lodi siano al di sotto di ciò che merita il Signore, non raggiunge l’esultanza ed il sentimento del suo cuore al canto delle sue labbra, non è felice. (Bellarm.).

ff. 15-18. Vedete se questa esultanza non viene dalla grazia, non viene da Dio e non da voi: « Signore, essi cammineranno alla luce del vostro volto, al chiarore di questa luce che brilla nell’intelligenza, che illumina la volontà e che infiamma il cuore. » (S. Agost.). – Noi dobbiamo camminare alla luce del volto di Dio, luce che è il Vangelo, la luce dello Spirito Santo (S. Girol.), Gesù-Cristo stesso, Luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Giov. I, 9). – Non c’è nulla che Davide ripeta più spesso, e niente che gli uomini dimentichino con più facilità, che questa verità così importante di non attribuirsi ciò che essi hanno ricevuto da Dio, e di rinviargli tutta la gloria della loro virtù, della loro forza, perché Egli li ha più che elevati e non perché essi ne siano degni (S. Agost.). – Scelta di Dio è puramente gratuita, e senza meriti precedenti, per i quali Egli sceglie e prende chi Gli piace, non perché è il suo popolo, ma affinché lo sia. Come Santo, bisogna vedere la giustizia in questa scelta, e come Re, la sua autorità (Dug.). 

III. — 19-37.

ff. 19-29. – Vedere l’analisi per la sequela delle idee. 1° la mano di Dio viene in nostro soccorso, « perché la mia mano l’assisterà; » 2° tutta la nostra forza viene da Lui, « e il mio braccio lo fortificherà; » 3° nessuno potrà nuocere a colui di cui Dio si dichiara il protettore, « il nemico non guadagnerà nulla nell’attaccarlo; » 4°  non soltanto i suoi nemici saranno ridotti all’impotenza, ma completamente distrutti, « ed io ridurrò a pezzi sotto i suoi occhi i suoi nemici. » – L’uomo mette volentieri la speranza del suo soccorso in un uomo che è potente, ma è Dio che dà il suo soccorso a quest’uomo non perché egli è, ma affinché egli sia potente. – Ricorrere al principio stesso della potenza, che non è altri che Dio (Dug.). – Essere veramente il servitore di Dio, è una qualità infinitamente preferibile a tutta la grandezza, la potenza e l’indipendenza pretesa dei re della terra. – L’unzione santa e divina di Gesù-Cristo, il vero Davide, non è fatta con un olio esteriore, ma per l’infusione e l’unione sostanziale della divinità stessa alla santa umanità mediante l’Incarnazione del Verbo (Dug.). – Chi può contrastare o resistere contro la mano di Dio, contro il braccio dell’Onnipotente, e temere colui che sostengono? –  Il nemico eserciterà la sua rabbia su di Lui, ma non avrà vantaggi su di Lui; egli è abituato a nuocere, ma non potrà nuocergli; lo impegnerà ma non gli nuocerà. Anche i suoi furori gli saranno utili, perché coloro contro i quali si scatena sono coronati dalla vittoria che riportano su di lui. Come sarà in effetti vinto, se non ci attaccasse mai? Dove Dio sarebbe il nostro soccorso se non avessimo mai da combattere? Il nemico farà dunque il suo mestiere, ma il nemico non avrà vantaggi su di lui.  (S. Agost.). – È sovranamente pericoloso essere nemico degli amici di Dio. Odiare Lui è odiare coloro che Egli ama. Egli li conserva come la pupilla dell’occhio, poiché Egli stermina prima o poi tutti coloro che li odiano (Dug.).- La verità di Dio, vale a dire la fedeltà con la quale Egli compie le sue promesse, è un potente scudo che circonda il giusto da ogni lato. « La misericordia di Dio sempre con lui, » quale soggetto di gioia e di consolazione! La virtù del Nome di Dio, vale a dire Dio stesso, che sarà il principio della sua elevazione, quale motivo di speranza e di riconoscenza! (Id.). Ricordatevi, finché lo potete, quanto spesso queste due cose – la misericordia e la verità – ci sono ricordate perché le ridiciamo a Dio. E mentre Egli fa splendere su di noi la sua misericordia, cancellando i nostri peccati, e la sua verità, nel compiere le sue promesse, allo stesso modo anche noi, camminando nella sua via, dobbiamo rendergli la misericordia e la verità: la misericordia avendo pietà dei miserabili; la verità, astenendoci dal giudicare ingiustamente. Che l’amore della verità non rimuova da noi la misericordia, e la misericordia non faccia ostacolo alla verità (S. Agost.). – Questa potenza spirituale, è l’impero universale di Gesù-Cristo sul cielo, sul mare, sui fiumi, eccetto che sul cuore dell’uomo che Gli è così spesso ribelle (Dug.). – Invocare Dio come nostro Padre, cosa può Egli rifiutare a colui che ha per Lui l’amore di un figlio? – Dio in effetti è nostro Padre, non c’è verità più certa di questa; e tutto ciò che la paternità terrestre offre di più tenero e di più amabile, non è che una pallida immagine della soavità e della dolcezza ineffabile del nostro Padre che è nei cieli. La parola non saprebbe esprimere ciò che questa idea offre di bello e di consolante; noi cessiamo di sentirci isolati in mezzo al mondo, ed i castighi e le afflizioni ci appaiono sotto una luce nuova. La consolazione esce per noi dal sentimento stesso della nostra debolezza, noi riponiamo in Dio i problemi che non possiamo risolvere, questa pia idea entra più avanti nel nostro cuore e diviene il movente di tutti i nostri atti spirituali. Nel peccato  ce ne ricordiamo, nei Sacramenti la gustiamo, nei nostri sforzi verso la perfezione, noi ci appoggiamo su di essa; nelle tentazioni, noi vi poggiamo le forze; nelle sofferenze vi troviamo la gioia. Dio è nostro Padre fin nelle circostanze ordinarie della vita: Egli ci protegge contro i mille pericoli di cui non permette che noi neanche ci accorgiamo; esaudisce le nostre preghiere, benedice coloro che noi amiamo e ci supporta fin in questi brividi e queste ricadute che sembrano incredibili, e di cui siamo noi stupiti per primi (Fab. Progrès de l’âme, p. 72). È a causa di Gesù-Cristo che il testamento di Dio con noi sarà inviolabile, è da Lui che questo testamento è stato reso familiare; Egli è il Mediatore di questo testamento, la firma di questo testamento, la cauzione di questo testamento, il testimone di questo testamento, l’eredità promessa da questo testamento ed il Coerede di questo testamento (S. Agost.). – Non è mai dalla parte di Dio che questa alleanza è primariamente violata, ma è sempre da parte dell’uomo, sul quale ricade tutto il male, tutta la perfidia di questa infedeltà. – La razza dei peccatori ben presto è estinta; non c’è che quella dei giusti, cioè coloro che sono nati alla grazia, sia per i loro discorsi, sia per l’esempio della loro vita, che sussiste in tutti i secoli (Dug.). – « Il suo trono durerà per tutti i giorni del cielo. » I giorni della terra sono spinti dai giorni che succedono; quelli passati non più sussistono, quelli che seguono non durano, essi non vengono che per andarsene, e sono quasi spariti prima di giungere. I giorni del cielo, al contrario, come gli anni che non passano, non hanno avuto un inizio e non avranno un termine; là nessun giorno è racchiuso tra una veglia ed un domani. Nessuno vi attende l’avvenire, nessuno perde il passato; ma i giorni del cielo sono sempre presenti, è là che il trono del Signore starà per l’eternità (S. Agost.).

ff. 31-34. – « Se i miei figli abbandonano la mia legge, io visiterò le loro iniquità, ma non rigetterò la mia misericordia da lui, e non gli nuocerò nella mia verità. » La misericordia di Dio non nuoce nella mia verità. La misericordia di Dio non brillerà solo nel suo richiamo alla grazia, ma anche nei castighi e nei suoi colpi. Che la sua mano paterna sia dunque su di noi, e se sarete buoni figli, badate di non respingere la sua disciplina; perché quale figlio c’è, a cui il padre non imponga una disciplina? Che vi imponga dunque la sua disciplina, dal momento che non vi toglie la sua misericordia; che Egli percuota il figlio ribelle, dal momento che gli conserva la sua eredità. Quanto a voi, se avete ben compreso le promesse di vostro Padre, non temete se Egli vi punisca, ma piuttosto che vi rigetti, perché Dio corregge colui che Egli ama; Egli batte con la verga ogni figlio che accoglie (Ebr. XIII, 5-7). Il figlio coperto di peccato può respingere la verga, quando vede il Figlio unico, esente da peccato, colpito da questa verga? « … io visiterò le loro iniquità con la verga nella mano. » L’Apostolo faceva la stessa minaccia quando diceva: « cosa volete da me, che io venga a voi con la verga in mano? » (1 Cor. IV, 21). A Dio non piace che dei figli pii dicano: può venire anche con la verga, io non verrò mai. È meglio essere istruito dalla verga di un padre, che perire negli inganni di un ladro (S. Agost.). – Dio non ritira dal suo Cristo la sua misericordia, dal momento che non la ritira dalle sue membra, dal suo Corpo, nel quale soffrirebbe sulla terra (S. Agost.). – Non c’è nulla tuttavia che possa farci commettere peccato con sicurezza e convincerci, con sentimento perverso, che commettendo qualche cattiva azione, noi non periremo giammai. Lasciamo da parte certi peccati, certe iniquità che si trovano in tutti gli uomini, e gli attirano certamente i castighi di Dio; perché se quest’uomo è Cristiano, la misericordia divina non si ritira da lui per questo. Al contrario, se giungete fino a commettere tali iniquità rigettando lontano la verga che vi colpisce, e respingete la mano che vi flagella, vi indignate contro la disciplina di Dio, fuggite dal Padre che vi castiga, e non vogliate più Lui per padre, perché vi risparmi quando peccate; in questo caso siete voi a rendervi estraneo all’eredità, non è Dio che vi ha castigato; perché, se foste rimasto sotto il castigo,  avreste conservato i vostri diritti all’eredità: « Io non ritirerò da lui la mia misericordia, e non gli nuocerò nella mia verità; » alfine la verità del vendicatore non gli nuoce, e la misericordia del liberatore non gli è ritirata (S. Agost.) – « Io non violerò affatto la mia alleanza e non revocherò le parole uscite dalle mie labbra ». Se i figli del Cristo sono bugiardi, non è questa per me una ragione per mentire; Io ho promesso, ho realizzato … diversi Cristiani peccano in maniera perdonabile; il più delle volte il castigo corregge il peccato, si emendano e guariscono; ma ci sono alcuni altri che si allontanano assolutamente da Dio, e che lottano, con tutta la durezza della loro testa, contro la disciplina del Padre. Questa paternità di Dio, essi la rigettano interamente, perché portino il sigillo del Cristo, e cadono in tali iniquità che non si possono non ricordare queste parole dell’Apostolo: « coloro che commettono tali crimini non possiederanno il regno di Dio. » (Gal. V, 21). Tuttavia il Cristo non resterà a causa loro senza eredi; i grani non periranno a causa della paglia. Dio conosce i suoi (II Tim. II, 9). Egli ha promesso con assicurazione, perché ci ha predestinato prima che noi non fossimo; « … perché coloro che ha predestinato, li ha chiamati; coloro che ha chiamati, li ha giustificati; coloro che ha giustificato, li ha glorificati. » (Rom. VIII, 30), i colpevoli disperati pecchino finché vogliono, sta ai membri del Cristo rispondere loro: « se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (S. Agost.).

ff. 35-37. Il trono eterno di Gesù-Cristo è comparato, nella sua Chiesa, al sole ed alla luna nella sua pienezza, che prende in prestito tutta la sua luce dal sole. – La Chiesa passa, quaggiù, come l’astro delle notti, con fasi diverse, e sarà così finché resterà sulla terra; ma il giorno arriverà quando sarà in cielo, suo glorioso termine. Sant’Agostino applica a questo trionfo finale della Chiesa queste parole del salmista: « Il suo trono sarà come il sole alla mia presenza, e come la luna eternamente nella sua pienezza, per essere in cielo un testimone fedele. »  Se le nostre anime dovessero arrivare sole all’eterna perfezione, Dio – ci dice questo Padre – Dio avrebbe comparato al sole solamente la razza di Davide, che è la Chiesa degli eletti, poiché è scritto che i giusti brilleranno come il sole alla presenza di Dio (Matt. XIII, 43); ma poiché i nostri corpi devono resuscitare, la Chiesa trionfante è ugualmente comparata alla luna, che è l’emblema della nostra umanità carnale, e questo astro, eternamente nella sua pienezza, sarà nello stesso tempo il simbolo ed il testimone fedele della resurrezione per l’intera eternità. (Berthier). 

IV. 38-52.

ff. 38-45. (Vedere l’analisi) – Quadro vivo delle devastazioni che il peccato produce in un’anima. – Lamenti rispettosi di un’anima umile che Dio sembra talvolta rigettare. – Dio differisce spesso il compimento delle sue promesse, alfine di farle desiderare con più ardore, ricevere con più riconoscenza e conservare con più cura. – « Voi avete differito il vostro Cristo. » È così che traduce Sant’Agostino, che continua in questi termini: benché il Profeta ci abbia qui fatto una triste enumerazione, tuttavia, con questa sola parola, egli ci riconforta. Ciò che Voi avete promesso, o Dio, sussiste completamente; perché Voi avete allevato il vostro Cristo, ma l’avete differito: « Voi avete rovesciato l’alleanza del vostro servo. » Dov’è in effetti l’antico Testamento dei Giudei? Dov’è questa terra promessa nella quale essi hanno peccato quando vi abitavano e dalla quale sono stati cacciati dopo che è stata distrutta? Voi cercate il regno dei Giudei, … non esiste più; voi cercate l’altare dei Giudei, … non esiste più; voi cercate il sacerdote dei Giudei … non esiste più: « voi avete profanato la sua santità sulla terra; » voi avete mostrato che tutta la sua santità era terrena. (S. Agost.). – Dio non rompe l’alleanza che ha pattuito con gli uomini, se gli uomini non l’abbiano rotta per primi. – Egli calpesta le dignità più eclatanti quando se ne abusa, le cose più sacre divengono profane al suo sguardo, quando si è cominciato a profanarle da sé (Duguet). L’amore della virtù, l’orrore del vizio, l’onestà, il pudore, la vergogna, il timore di Dio, il rispetto degli uomini, sono tante siepi che circondano un’anima affinché il peccato non le si avvicini. Una volta che esse siano distrutte, tutto è perduto. –  Le diverse passioni passano, per così dire, nel cammino della vita dell’uomo, quando si susseguono e si succedono le une alle altre. Ci si è appena liberato dalla servitù dell’una, che si ricade in quella di un’altra. – Dio si serve spesso della potenza e della malizia dei peccatori per punire altri peccatori o anche i suoi servi. –  Nulla c’è di più bello e più eclatante agli occhi della fede che un’anima nella grazia di Dio; nulla di più orrendo di quest’anima spogliata di tutto il suo splendore. –  In questo salmo, come in molti altri in cui il Profeta tratta lo stesso soggetto, noi vediamo tutt’insieme la causa, la natura, il rimedio delle calamità delle nazioni che Dio punisce nella sua giustizia senza volerle perdere, e che vuole al contrario rigenerare alla dura e severa scuola del dolore. « Io gli conserverò sempre la mia misericordia e la mia alleanza con lui sarà immutabile. » È là il privilegio dei popoli che hanno la loro radice in Gesù-Cristo, che lo scisma o l’eresia non hanno distaccato da questo tronco divino. Finché questo popolo resterà radicato nella fede, non perirà; ma se la sua vita cessa di essere conforme alla sua fede, se profana con costumi anticristiani il carattere augusto del popolo diletto del Cristo, se abbandona Dio, questi giorni di abbandono saranno necessariamente seguiti da dolorosi castighi e da prove crudeli. 

ff. 45-52. – Noi dobbiamo temere infinitamente che Dio si allontani da noi per sempre, e che la sua collera non divampi come un fuoco, per punire eternamente i nostri crimini. – Noi ricorderemo a Dio che la nostra vita è poca cosa: perché non ricordarlo spesso a noi stessi? Pensiamo a cosa siamo e a ciò che è il tempo; pensiamo ai disegni della Provvidenza nel metterci sulla terra. Chi sono io? Cos’è la durata della mia vita? Cosa si è proposto il Creatore nel mettermi in essa? – Ricordatevi qual è la mia sostanza, perché Voi non avete creato invano tutti i figli degli uomini. » Ecco che tutti i figli degli uomini sono andati verso la vanità, e tuttavia Voi non li avete creati invano. Se dunque essi sono andati verso la vanità, essi, che Voi non avete creato invano, non vi siete Voi riservato alcun mezzo per purificarli della vanità? Ciò che vi siete riservato per purificare gli uomini dalla vanità, è il vostro Santo, e la mia sostanza è in Lui. In effetti è da Lui che sono purificati dalla loro vanità personale tutti coloro che non avete creato invano … Cos’è dunque ciò che avete riservato per essi? « Qual è l’uomo che vivrà e non vedrà la morte? » Questo stesso uomo purificherà gli uomini dalla vanità; perché Dio non ha creato invano tutti i figli degli uomini, e non può, Egli – loro Creatore – disprezzarli al punto da rifiutare di convertirli e purificarli. Non c’è dunque alcun uomo assolutamente « che vivrà e non vedrà la morte, » se questi non è Colui che è già morto per i mortali … come dunque vivrà e non vedrà la morte? « Egli strapperà la sua anima alle potenze dell’inferno. » Ecco dunque Colui che veramente solo, assolutamente solo, diverso da tutti gli altri, « … vivrà e non vedrà la morte, e strapperà la sua anima alle potenze dell’inferno; » perché se è vero che gli altri uomini, divenuti fedeli, resusciteranno tra i morti e vivranno eternamente, tuttavia essi non strapperanno da se stessi la loro anima alle potenze dell’inferno. Colui che ha strappato la sua anima alle potenze dell’inferno, ne strapperà anche le anime dei suoi fedeli, che non possono liberarsi da se stessi (S. Agost.). – Se non c’era altra via che questa, invano Dio avrebbe creato tutti i figli degli uomini, perché a considerarla solo, essa non ha rapporto né con la grandezza di Colui che la dona, né con le aspirazioni ed i desideri di colui che la riceve. – Ci sono due verità terribile alle quali tuttavia la maggior parte dei Cristiani non fa alcuna attenzione: – 1° essi sono certi di morire un giorno, e vivono come se dovessero vivere sempre; essi sanno che la morte tutto sottrae, e non cessano di accumulare ricchezze su ricchezze. – 2° Essi non possono ignorare che l’anima, una volta all’inferno, alcuna forza possa ritrarla, e tuttavia non prendono alcuna precauzione per impedire di cadervi. – È una pena molto sensibile per un servo di Dio pieno del suo amore, ascoltare gli empi accusare Dio di infedeltà alle sue promesse. – Dio, al quale tutte le cose sono sempre presenti, non può dimenticare. – Occorre aspettare il suo tempo, e aspettando chiudere nel proprio seno i lamenti che talvolta si presentano, senza farli affiorare all’esterno. – « Ricordatevi, Signore, di ciò che ci hanno rimproverato i vostri nemici. » Quali nemici? I Giudei ed i pagani. Cosa hanno rimproverato? « il cambiamento del vostro Cristo. » Ecco ciò che ci hanno rimproverato e ci rimproverano ancora: « il cambiamento del vostro Cristo. » Essi in effetti ci hanno rimproverato che il Cristo è morto, che il Cristo è stato crocifisso. Quali rimproveri fate, o insensati, se resta ancora qualche uomo che ci rivolge questi rimproveri, cosa obiettate? La morte del Cristo? Egli non era distrutto, ma solo mutato. Si dice che Egli sia morto, a causa dei tre giorni di sepoltura. Ecco ciò che i vostri nemici ci hanno rimproverato; non la perdita, non la distruzione ma « il cambiamento del vostro Cristo. » Egli è stato cambiato in effetti, e trasferito da questa vita temporale alla vita eterna, trasferito dai Giudei ai Gentili, trasferito dalla terra al cielo. Che vengano dunque questi vani nemici, e ci rimproverino ancora il cambiamento del vostro Cristo; tentino essi di cambiare se stessi e non ci rimproverino più il cambiamento del vostro Cristo. Ma il cambiamento del Cristo dispiace a loro perché essi non vogliono cambiar se stessi, « perché non c’è cambiamento per essi: essi non hanno il timore di Dio » (Ps. LIV, 20) – (S Agost.).

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° Corso di Esercizi Spirituali (10)

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (10)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

10. La famiglia di Dio

Dobbiamo continuare a parlare della presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucaristia, perché il solco deve approfondirsi, deve rimanere stabile. E il discorso non può essere abbandonato tanto presto. La presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nella Chiesa, che cosa realizza? Realizza quello che è il suo quadro naturale: la famiglia di Dio. Bisogna che noi riflettiamo a questo per poter trarre anche tutte le conseguenze morali e vedere come certi elementi che possono sembrare sparsi prendano invece il loro posto preciso. Guardate che quadro compongono gli elementi che storicamente noi troviamo nell’Evangelo intorno all’Eucaristia! Io prendo il discorso che ha tenuto Nostro Signore Gesù Cristo quando istituì l’Eucaristia. Il discorso è compreso tra il cap. XIV e il cap. XVII dell’Evangelo di Giovanni, dove l’evangelista ci riporta intero il discorso eucaristico, che è il testo più grande sulla dottrina eucaristica, il testo della promessa dell’impegno divino e della dottrina chiarificata e ribadita; egli non riporta, come fanno i sinottici, l’istituzione, però riporta il quadro dell’istituzione, ossia il discorso che è stato tenuto quella sera. Siccome l’elemento centrale di quella sera, la celebrazione della Pasqua, è stata la Pasqua nuova, perché in quella sera i due Testamenti si sono riuniti, Gesù ha voluto osservare prima, come noi possiamo ricostruire componendo i quattro testi evangelici, tutta la legislazione che il giudaismo imponeva per la celebrazione della Pasqua, la Pasqua dell’Antico Testamento, e ne ha compiuto tutto il rituale. Fatto questo, vi ha attaccato immediatamente la Pasqua del Testamento Nuovo, cioè la istituzione della Eucaristia. Ora, se noi seguiamo quel grande discorso — e tra una settimana, è un discorso troppo grande —, almeno toccando alcuni elementi di quel discorso, dei fatti di quella sera, noi componiamo l’ambiente che Gesù Cristo ha voluto intorno all’istituzione dell’Eucaristia e pertanto intorno alla Eucaristia. Guardate bene le cose che avvengono. La prima: Gesù si toglie la sopravveste, si cinge, s’inginocchia davanti ai discepoli e a uno a uno lava loro i piedi aggiungendo poi: « Se l’ho fatto Io, che voi chiamate Signore e Maestro, anche voi dovete prendere questo atteggiamento di umiltà ». Pietro, col suo temperamento focoso, da capo, e in quel momento, non vorrei essere irriverente, anche un po’ sbottante: « Tu non lo farai mai con me » – « Se non lo vuoi, tu non hai più parte con me. vattene ». Allora Pietro salta dalla parte opposta: « Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo ». – « Basta questo ». Il fatto era simbolico, ma guardate bene che sorta di intimità nell’umiltà e ..che sorta di umiltà nella intimità incomincia a disegnare Gesù Cristo intorno al Sacramento. E così si comincia a disegnare l’ambiante. Guardate che cosa avviene. Come ritorna ora in Gesù Cristo la preoccupazione di lasciarli: « Io me ne andrò, resterete soli ». E allora la preoccupazione di suggerire e presentare gli elementi che serviranno a far loro buona compagnia quando Lui non ci sarà. Perché lo dice: andrà via per un momento, e alludeva alla passione, poi ritornerà; poi andrà via un’altra volta e allora andrà al Padre. Loro invece rimarranno qui. Ma sarebbe il caso di dire: « Signore, scusa, ma tu di preoccupazioni non ne devi avere ». La nostra insipienza ci farebbe fare questi discorsi. Lasciate andare! Guardate bene dove Lui vuole arrivare. Ho già detto in altra occasione che Nostro Signore Gesù Cristo, facendosi uomo, ha accettato il giuoco fino in fondo e uno dei tanti momenti in cui lo si vede è questo: agisce con la preoccupazione di loro che rimarranno soli. E allora cosa ci sarà? « State tranquilli, ci sarà lo Spirito Consolatore, il Paracleto, e vi suggerirà quello che dovrete dire, quello che dovrete sapere. State tranquilli! Non parlerò più Io dal di fuori, ci sarà un altro, il Consolatore, il Paracleto, che parlerà dal di dentro. Non sarete soli! ». La preoccupazione della solitudine. « E poi, voi potrete continuare a parlare col Padre, con me. E il Padre vi ascolterà sempre. Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto. Perché il Padre vi ama ». Ma andiamo avanti. Poi li guarda: « Che vi vogliate bene tra di voi ». E questo lo ripete, lo incalza con un discorso che par non riesca a cadere definitivamente dalle sue labbra. Nel cap. 17 la orazione sacerdotale, quella in cui parla al Padre: « Padre, che siano una cosa sola come tu e Io siamo una cosa sola! ». Vogliatevi bene: ecco l’altra grande cosa che vi farà compagnia. Signore, ma perché hai avuto queste preoccupazioni? Pare che arrivi una risposta: « Ma non lo capisci che qui è il regime dell’affetto, della tenerezza? ». La carità, la comprensione, la unità tra i fratelli. Vedete che cosa ha messo Gesù Cristo intorno all’Eucaristia? E poi, sì, in mezzo a quel discorso è successo qualche cosa di terribile. C’era Giuda che aveva già tutta la sua organizzazione fatta, il suo piano già tutto a posto. Doveva semplicemente uscire per andare a guidare. E un discorso viene: « Ecco, uno che mette la mano nel mio piatto mi tradirà ». L’aveva già detto prima, non con questa indicazione; ma questa indicazione viene per dare la risposta. Chi è? Chi mette la mano nel piatto. « Giuda, quello che hai da fare, fallo presto ». Notate che tono: il tono della dolcezza. Non parlo del perdono di Giuda perché Gesù stesso disse una parola che è misteriosa e terribile: « Meglio sarebbe per quell’uomo che non fosse mai nato! » . Questa frase la riportano i sinottici. Ma Gesù gli parla con tanta dolcezza! Avrebbe potuto scacciarlo, umiliarlo, svergognarlo e rovinargli tutta la matassa, distruggere la ragnatela che quello aveva tessuto. Lo poteva fare. No. Neanche quando la sera stessa quello, il traditore, s’è presentato per dargli il bacio e indicarlo in tal modo agli sgherri perché nel buio lo potessero prendere e non prendessero eventualmente tn altro per lui: « Amico, lo chiama ancora una volta con un bacio tu tradisci il Figliuol dell’uomo! E basta. L’atmosfera è carica di un sentimento che non è molto comune tra gli uomini – Sembra che quella sera Gesù se li volesse tenere intorno stretti. Ha dato sé stesso a loro e per tutti andrà sulla croce. Sulla croce darà anche la Madre. Non l’abbiamo ancora nominata, l’abbiamo solo pregata; ma sulla croce Gesù darà anche la Madre, perché quando la scorgerà ai piedi della croce, ritta — non è svenuta, ha retto fino in fondo — e vedrà Giovanni, l’unico che abbia avuto il coraggio di seguirlo fin là, il discepolo vergine, dice a Giovanni : « Ecco la tua Madre » e alla Madre: « Ecco tuo figlio ». Giovanni annota che da quel momento la prese con sé e le fece da figlio. Infatti Giovanni per qualche tempo ha una presenza rarefatta nei primi eventi della Chiesa: aveva una missione di figlio da compiere e l’ha compiuta. Il mistero eucaristico finiva nella croce perché rappresentava la croce, e prima che finisse il mistero anche questo fatto è avvenuto: è avvenuto il perdono. Sulla croce — badate che il mistero eucaristico non finisce prima che sia finito il mistero della croce, perché lo rinnovella — su una delle tre croci c’è un ladrone, lì, anche lui appeso, condannato a morte, che a un certo punto riflette, sentendo le bestemmie dell’altro: « Ma piantala, dice all’altro, perché bestemmi costui? Noi almeno paghiamo per i nostri delitti, ma costui che cosa ha fatto? ». E compiuto questo primo atto di giustizia, di riconoscimento, la illuminazione perfetta entra nell’anima sua, e vede e capisce tutto. « Signore, ricordati di me quando sarai giunto nel tuo regno! ». « Oggi sarai con me in paradiso ». E la preghiera per tutti: « Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno ». Vedete che cosa Gesù si è composto dintorno! Ma c’è l’ultimo elemento, più profondo: in quel discorso, al cap. 15, c’è la parabola della vigna. Diceva Gesù Cristo: « Io sono la vite, voi i tralci ». La vita, l’umore per cui si vive, verrà a voi dalla vite: « Senza di me non potete far nulla ». E adombrava così, riprendendo un discorso in diverse maniere fatto tante volte, la grazia, e cioè la partecipazione nostra alla vita divina, la partecipazione ai discepoli e a tutti gli uomini della dignità di figli adottivi di Dio. La parabola della vite rimanda a tutti gli altri testi paralleli, è chiaro, e a tutti i testi collegati nei diversi scritti nel Nuovo Testamento. La grazia santificante, e quell’altra, l’attuale. Anche questa. A legare gli uomini in una famiglia c’è il sangue; ma che cos’è mai il sangue rispetto alla partecipazione alla vita divina che è la grazia santificante? Il sangue lega, ma la partecipazione alla stessa identica vita divina, in modo soprannaturale, attraverso la grazia santificante, è qualche cosa di carattere unitivo, collegante, fondente, infinitamente maggiore. Concludiamo. Che aria vi ha messo intorno al SS. Sacramento Nostro Signore Gesù Cristo? Che quadro ha composto, Lui? Perché questo quadro non l’ho fatto io È una famiglia. I fratelli, la intimità più sincera nell’umiltà, perché con l’umiltà si risolvono tutte le questioni umane, tutte, nessuna esclusa. E la intimità della famiglia vive della umiltà come l’intimità vera dell’amicizia vera, non di quella sciocca. E poi la preoccupazione della tenerezza che si manifesta nella preoccupazione per la solitudine con la quale viene designando tutti gli altri elementi, e poi l’elemento unitivo fondente, la grazia santificante; poi la Madre data, poi il perdono: è il sopravanzare ogni umana grettezza in questo mirabile volo del quale noi in terra, tra le cose umane, non troviamo altro esempio che quello dell’amore di un padre e di una madre. Che cosa ci vuole intorno a Gesù Cristo nella SS. Eucaristia? Una famiglia. E a questo punto noi dobbiamo cominciare il discorso sopra alcuni elementi che compongono questa grande famiglia di Dio, per viverla. Perché, vedete, la vita eucaristica non è fatta soltanto di genuflessioni, non è fatta soltanto di orazione, non è fatta soltanto di adorazione. Certamente quelle ci vorranno, ma è fatta di tante cose che si riassumono qui: nell’essere figli del Padre che sta nei cieli, visto che siamo nel tempo convitati alla mensa sua e a nutrirci di Lui, del Figlio, per aspettare di sedere alla mensa di Dio. Parola che nasconde cose per noi velatissime, misteriose e che trascendono la stessa capacità dei nostri desideri nonché della nostra intelligenza. La vita eucaristica la si raggiunge quando tutto il quadro che Gesù Cristo ha disegnato intorno all’Eucaristia è rispettato e salvo. E siccome vorrei che rimanesse a voi una traccia di questo vivere l’Eucaristia come vuole Lui, lasciate che io cominci a parlarvi della famiglia di Dio. Ecco. Cominciamo di qui: i nostri fratelli. Cominciamo un po’ a guardarli. Per il momento io vi invito a guardare i fratelli che stanno già al sicuro e sono i Santi. Vi siete mai chiesti perché ieri abbiamo detto la Messa di S. Andrea? Notate, la Messa è il Sacrificio di Gesù Cristo e l’abbiamo chiamata Messa di S. Andrea. Domani si potrebbe dire la Messa della martire S. Bibiana. Perché? Cos’è questa storia che la commemorazione dei santi, il giorno della loro confessione, cioè del loro martirio o del loro natale, cioè il giorno della morte viene a intrufolarsi dentro la Messa? E questa storia dura da duemila anni, perché le commemorazioni degli Apostoli e dei martiri si facevano nei primi tre secoli come si fanno oggi; poi sono arrivati anche i confessori e le vergini senza martirio. Prima non ci entravano se non i martiri, coloro che ci lasciavano la pelle per la fede; i confessori sono arrivati dopo. Difatti di confessori fino a un certo punto non ce n’è stato neppure uno: 32 Papi, ci hanno rimesso tutti la testa. E perché questo? È che è la famiglia di Dio, è che il senso del convito continua, e come intorno all’altare sono chiamati i figli che stanno ancora nel tempo e peregrinano ancora lontano dal Signore, per usare la parola di Paolo, così vengono anche chiamati, non partecipi di un suffragio dato alla debolezza ma partecipi di una fronda data alla gloria, quelli che sono già al sicuro! E ritornano i santi e non ci stanno male. Ho cominciato anzitutto a parlare dei santi perché stanno lassù, ed è bene sempre cominciare dall’alto, ma anche per dirvi una cosa. Non lasciate che il vento del deserto, quello di cui ho già parlato varie volte, arrivi a voi per bruciare in voi il senso della devozione ai Santi. State attenti, perché non fareste una cosa gradita a Gesù Cristo che, accogliendoli nel ritmo del suo stesso divin Sacrificio, non ha piacere che noi li lasciamo fuori. C’è un vento che viene dal deserto e che serve soltanto a bruciare e non a vivificare e pare voglia far tacere i Santi: questo senso protestantico di espellerli, di razionalizzare, la gioia di distruggere qualche cosa nella storia dei Santi! Sì, è vero che intorno a certi Santi dell’antichità, sul fondo storico — perché il fondo storico c’è sempre — sono arrivate a noi delle passiones, esercitazioni letterarie che hanno un po’ abbellito e romanzato le cose e vi hanno messo forse anche qualche invenzioncella; è vero. Ma questo non ha importanza: i Santi rimangono, anche se intorno a qualcuno le passiones del secolo V e VI hanno creato qualche racconto bello, commovente, pio, edificante oltre il dovuto. Ma la sostanza, il nocciolo rimane sempre la storicità. – E ricordiamoci che nella storia ci sono cose delle quali si può dimostrare la falsità, ci sono cose delle quali si può dimostrare la verità, ma ci sono anche cose delle quali non si potrà dimostrare la verità perché sono andati perduti i documenti, ma non se ne può neppure dimostrare la falsità. La Comunione coi Santi ci viene indicata dall’Eucaristia, dalla Comunione che c’è ogni giorno tra la gloria del Redentore che ritorna sull’altare e la gloria dei suoi Santi che egli porta per mano con sé sullo stesso altare a ricevere con Lui il canto della gloria, la preghiera dei fedeli, la loro fiducia, il loro plauso. È la famiglia di Dio. Andiamo avanti. Da quel che avete sentito prima, quando ho composto il quadro che ha fatto Gesù Cristo intorno alla istituzione dell’Eucaristia e al fatto dell’Eucaristia, è venuto chiaro il discorso sulla carità. E allora bisogna cominciare quel discorso, perché la carità fa parte e parte indispensabile della devozione eucaristica, parte essenziale. Non solo per il clima che abbiamo sentito soffuso nel Cenacolo nel momento in cui Gesù Cristo ha stretto i due Testamenti nel Nuovo patto e ha dato sé stesso ai suoi discepoli, ma perché egli ha fatto una affermazione molto grande che ci è riportata nel Vangelo di Matteo: « Se stai per fare la tua offerta davanti all’altare… ». Gesù Cristo sapeva bene quale altare sarebbe stato, no? Non si trattava più dell’altare dei profumi o dell’altare dell’incenso o dell’altare delle vittime sgozzate. Non si è più occupato di quello; sapeva di che altare si trattava perché parlava per il futuro. « Se stai per portare la tua offerta davanti all’altare e ti accorgi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, cioè che ti potrebbe accusare — e per reciprocità se tu hai qualche cosa col tuo fratello — pianta lì… pianta lì davanti all’altare la tua offerta e va’, va’ prima a riconciliarti col tuo fratello. Dopo, ritornando, farai la tua offerta ». Dunque non è possibile avvicinarsi all’altare bene, decorosamente, diciamo pure non è possibile esplicare una vita eucaristica se non c’è la carità, l’amore verso i nostri fratelli. – C’è gente che si crede di andare per direttissima e intendersela da solo a solo soltanto con Domineddio. Ah! da solo con Domineddio non ce la intendiamo! Ce la possiamo intendere da solo a solo con Domineddio se almeno virtualmente ci sono gli altri, ma il giorno in cui noi facessimo la esclusione degli altri, da solo a solo con Dio non ce la intendiamo. Perché la carità verso i fratelli è condizione necessaria della salvezza, è il massimo dei precetti: immaginate se se ne può fare a meno! La pietà che considera solo sé stessa non è una pietà che possa resistere al vaglio divino: ci vuole la carità. Sapete che cosa occorre perché le parrocchie vivano veramente? Occorre che facciano della grande carità, occorre che si preoccupino di questo e di istillarla nei fedeli; che nessuno, nella famiglia parrocchiale, possa dormire tranquillo fintanto che c’è uno che soffre e fintanto che tutti non hanno fatto quello che si poteva fare per evitargli la sofferenza. Io cerco d’insegnarlo: ho scritto anche una pastorale sulla famiglia di Dio. E vedo che è una cosa difficile far capire che la liturgia non sta in piedi senza la carità, che quello che si fa in chiesa non può resistere e rimane scompaginato se non lo si fa con tutto quello che Gesù Cristo ha messo nel quadro, nella cornice che Egli si è costruito intorno a sé stesso. Vedo che s’incontrano difficoltà, che occorre pazienza e ci vorranno degli anni; ma io non riesco a concepire una parrocchia in cui non si faccia questo: che il parroco dica a tutti: « Guardate che ci sono alcuni che stanno male, a cui manca il necessario. Avanti, tra quanti siamo qui, dobbiamo provvedere a metterli a posto, e fintanto che non li abbiamo messi a posto nessuno di noi si può quietare ». La parrocchia non è una cosa astratta; è una grande organizzazione, certo, e l’organizzazione ha la sua parte perché senza organizzazione non si compagina nulla; ma se viene a mancare questo spirito… Non basta che ci sia un po’ di Dame della Carità che vanno intorno qualche volta a dare qualche piccolo soccorso o qualche confratello di S. Vincenzo: Dio li benedica tutti perché sono veramente bravi e lodevoli; ma non basta questo. È lo spirito che bisogna dare a tutto il popolo, perché intorno al tabernacolo ci si sta a questo modo, non ci si può stare in modo diverso. E là dove cessano le miserie materiali, che non sono poi le prime e non sono le più grandi, perché le miserie più grandi sono sempre quelle spirituali per questione di gerarchia, ci sono e ci saranno sempre le miserie spirituali: quelli che non hanno fede, quelli che non hanno pace, quelli che non hanno amore, quelli che non hanno… comprendonio, che hanno la confusione in testa, poveretti! Ombre vaganti nella notte, che non trovano mai un’alba che sorga per loro, ombre erranti senza pace e senza conclusione, gente condannata a tormentare sé stessa e a crocifiggere sé stessa senza scopo, senza utilità, senza frutto, senza dignità, senza niente! Come si fa ad andare davanti all’altare dimenticandosi di loro? Voi direte: ma noi qui non siamo una parrocchia. Siete qualche cosa di più, siete una comunità, che è una cosa più grande della parrocchia. Tra voi come vi dovete capire, come vi dovete interpretare, come vi dovete comprendere! Badate che l’ultima cosa che dovete arrivare a fare è quella di giudicarvi male, l’ultima cosa, anzi talmente ultima che vi prego di non arrivarci mai. « Nolite iudicare ut non iudicemini ». La vita eucaristica, qui in questa cappella, come fiorisce! Voi cantate così bene, recitate preghiere così belle, tirate fuori dalla divina liturgia dei canti e ne avete un bell’assortimento. Ma ricordatevi che con tutte queste cose, se veniste qui e vi giudicaste fra di voi e non ci fosse comprensione fino in fondo, fino all’eroismo in certi momenti, e non ci fosse la umiltà sufficiente per capirvi tra di voi e interpretarvi sempre bene e far sì che l’uno prevenga l’altro, vi credete di starci proprio bene intorno all’altare? « Pianta lì e va’, va’ prima a riconciliarti col tuo fratello ». La riconciliazione nel senso più ampio. Va’ prima ad adempiere tutta la legge mercé la quale soltanto, amando e servendo, tu sarai veramente in pace. Perché ci sono poi i fratelli coi quali dovremmo essere in rotta e non se ne accorgono neppure, ma Iddio vede. Ah, la Chiesa ideale: un popolo che si stringe intorno all’altare dopo aver adempito integralmente il precetto della carità! La famiglia di Dio! Come vedete, la vita eucaristica, che è la vera vita, quella che mette il centro là dove l’ha messo Gesù Cristo, il baricentro là dove l’ha messo Gesù Cristo, non dove lo mettono le devozioni dell’uno o dell’altro, come vedete non è fatta soltanto di genuflessioni — bellissime le genuflessioni, intendiamoci, e da farsi bene! —; e non è fatta neppure di sola adorazione, perché l’adorazione è un atto che è sincero soltanto quando riconosce Iddio Signore, cioè accetta tutto, e accetta tutto facendo tutto il resto. L’adorazione pare un atto frigido, vero? Ti adoro o mio Dio… e giù col turibolo. Pare tutto fatto eh! È un affare serio adorare, perché adorare vuol dire: accetto Iddio, cioè accetto tutto quello che vuole Iddio. Come vedete la vita eucaristica non la si fa soltanto con qualche pratica: la si fa soltanto accettando tutto il quadro che Nostro Signore ha messo intorno all’Eucaristia.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/01/21/gregorio-xvii-il-magistero-impedito-3-corso-di-esercizi-spirituali-11/

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI (CON CAZZUOLA E GREMBIULIN) DI TORNO: S. S. PIO X – “GRAVISSIMO OFFICII MUNERE”

Dopo la lettera “Vehementer”, il Santo Padre S. Pio X, è costretto a rispondere con fermezza alle reazioni prevedibili dei settari anti-cattolici indovati nelle istituzioni ministeriali e parlamentari dello Stato francese « … i fabbricatori di questa legge ingiusta hanno voluto fare non una legge di separazione, ma di oppressione (della Chiesa Cattolica) ». Questo è il sistema delle logge che hanno scompaginato e tuttora distruggono, con i loro demoniaci emissari, “democratici e liberisti”, tutte le istituzioni un tempo cristiane a danno gravissimo di popoli, nazioni ed interi continenti, che a buona o a cattiva voglia devono abbandonare le loro abitudini ed i loro principi dottrinali dettati dalla legge di Dio e della Chiesa e, salvo grazie speciali, ad essere candidati alla certa dannazione eterna dell’anima. Tutti dormono, sonnecchiano e fanno come i “cani muti” di Isaia; c’è chi è e vuol rimanere ignorante, chi sa ma preferisce tenersi l’osso ed il piatto di lenticchie che il padrone gli concede ed infilare la testa sotto terra come gli struzzi: l’inganno è oramai generale e solo l’intervento divino potrà ripristinare una situazione “umanamente persa”, come diceva con satanico ghigno sul letto di morte un certo cavaliere Kadosh, un finto vescovo e cardinale francese, parlando della Chiesa Cattolica, nella quale aveva infilato un cavallo di Troia finto “tradizionalista” che aveva partorito delle fraternità non-sacerdotali chiaramente di stampo massonico, invalide e sacrileghe, asservite alle logge del colle romano, e ai suoi istituti finanziari. Non ci resta che pregare, meditare e conservare la fede divina e la carità teologale, senza la quale non c’è alcuna possibilità di salvezza. Intanto leggiamo questa breve lettera Enciclica.

 Pio X
Gravissimo officii munere

Lettera Enciclica

Al popolo francese, sulla situazione della Chiesa di fronte alla legislazione laica promulgata dal Governo Repubblicano.

Noi aderiamo oggi a un grave dovere della Nostra carica, dovere assunto nei vostri riguardi allorché annunciammo, dopo la promulgazione della legge di rottura fra la Repubblica Francese e la Chiesa, che avremmo indicato a tempo opportuno ciò che a Noi sarebbe apparso necessario di fare per difendere e conservare la Religione nella vostra patria. – Noi abbiamo lasciato prolungare la vostra attesa non solamente a motivo dell’importanza e della gravità della questione, ma soprattutto per la benevolenza tutta particolare che Ci lega a voi e ai vostri interessi a motivo degli indimenticabili servizi resi alla Chiesa dalla vostra Nazione. Dopo aver condannato, come era Nostro dovere, questa legge iniqua, Noi abbiamo esaminato colla massima cura se gli articoli di detta legge Ci lasciavano qualche mezzo per organizzare la vita religiosa in Francia così da mettere al riparo da ogni rischio i principî sacri sui quali riposa la Santa Chiesa. A questo scopo, Ci è sembrato opportuno di sentire ugualmente il parere dei Vescovi riuniti e di fissare, per la vostra assemblea generale, i punti che dovranno essere l’oggetto principale delle vostre deliberazioni. Ed ora, conoscendo il vostro parere e quello di parecchi Cardinali, dopo aver maturamente riflettuto e pregato ardentemente il Padre delle luci, Noi riteniamo di dover completamente confermare, colla Nostra autorità Apostolica, le deliberazioni quasi unanimi della vostra assemblea. – Per ciò, relativamente alle associazioni culturali, quali la legge impone, Noi decretiamo che esse non possono assolutamente essere costituite senza violare i sacri diritti che tengono alla vita stessa della Chiesa. – Mettendo adunque da parte queste associazioni che la coscienza del Nostro dovere Ci vieta di approvare, potrebbe sembrare opportuno di esaminare se sia lecito di esperimentare al loro posto qualche altro genere di associazioni insieme legali e canoniche e preservare così i Cattolici di Francia dalle gravi complicazioni che li minacciano. Di certo nulla Ci preoccupa di più, nulla Ci provoca tanta angoscia, quanto questa eventualità; e piacesse al Cielo di potere avere qualche debole speranza di fare questo esperimento senza urtare i diritti di Dio e liberare i Nostri figli carissimi dal timore di tante e così gravi prove. – Ma poiché questa speranza Ci manca, la legge essendo quella che è, Noi dichiariamo che non è permesso di esperimentare questo altro genere di associazione fino a quando non risulterà in modo certo e legale che la Divina Costituzione della Chiesa, i diritti immutabili del Pontefice Romano e dei Vescovi, così come la loro autorità sui beni necessari alla Chiesa, particolarmente sugli edifici sacri, saranno irrevocabilmente in piena sicurezza in dette associazioni; non possiamo permettere nulla di diverso senza tradire la santità della Nostra carica e senza condurre alla perdizione la Chiesa di Francia. Resta dunque a voi, Venerabili Fratelli, di mettervi all’opera e di valervi di tutti i mezzi che la legge riconosce a tutti i cittadini, per disporre e organizzare il culto religioso. Noi non faremo mai, in cosa così importante e difficile, attendere il Nostro aiuto. Lontani col corpo, Noi saremo con voi nel pensiero e col cuore e vi aiuteremo in ogni occasione coi Nostri consigli e colla Nostra autorità. – Questo fardello che Noi vi imponiamo sotto l’ispirazione del Nostro amore per la Chiesa e per la vostra Patria, sopportatelo coraggiosamente ed affidatevi per il resto alla preveggente bontà di Dio, il cui soccorso al momento opportuno, ne abbiamo la ferma fiducia, non mancherà alla Francia. – Quelle che saranno le recriminazioni dei nemici della Chiesa contro questo presente decreto e i Nostri ordini, è facile prevedere. Si sforzeranno di persuadere il popolo che Noi non abbiamo unicamente di mira la salvezza della Chiesa di Francia; che Noi abbiamo avuto un altro scopo, estraneo alla Religione; che la forma della Repubblica Francese Ci è odiosa; che noi aiutiamo gli sforzi dei partiti avversi per rovesciarla; che rifiutiamo ai francesi ciò che la Santa Sede ha accordato ad altri senza difficoltà. Queste recriminazioni ed altre simili che saranno, come appare da certi indizi, diffuse nel pubblico per irritare gli spiriti, Noi le denunciamo fin d’ora con tutta la Nostra indignazione, come false, ed è vostro obbligo, Venerabili Fratelli, come è quello di tutti gli uomini dabbene, di contestarle perché non ingannino le genti semplici e ignoranti. – Per quanto riguarda l’accusa speciale contro la Chiesa, di essere stata, in paese diverso dalla Francia, più accomodante, voi dovete spiegare che la Chiesa ha agito così perché del tutto diversa era la situazione e perché soprattutto le divine attribuzioni della Gerarchia erano in un certo modo salvaguardate. Se uno Stato qualunque si è separato della Chiesa lasciandole però la risorsa della libertà comune a tutti e la libera disponibilità dei suoi beni, ha senza dubbio per più motivi agito ingiustamente; ma non si potrebbe però dire che sia stata fatta alla Chiesa una situazione intollerabile. – Ora oggi in Francia la cosa è tutt’altra; i fabbricatori di questa legge ingiusta hanno voluto fare non una legge di separazione, ma di oppressione. Così essi affermavano il loro desiderio di pace, promettevano l’intesa e fanno alla Religione del Paese una guerra atroce, gettano la fiaccola della discordia più violenta, spingono i cittadini gli uni contro gli altri, con grave danno, come ognuno vede, della cosa pubblica stessa. – Certamente essi tenteranno di rigettare su di Noi la colpa di questo conflitto e dei mali che ne saranno la conseguenza. Ma chiunque esaminerà i fatti dei quali Noi abbiamo parlato nell’Enciclica “Vehementer“saprà riconoscere se Noi meritiamo il minimo rimprovero, Noi che dopo avere sopportato pazientemente per amore verso la cara Nazione francese, ingiustizia su ingiustizia, Ci troviamo al limite di dover superare perfino il Nostro dovere Apostolico e dichiariamo che a questo punto non giungeremo; o se piuttosto la colpa appartiene tutta intera a coloro che per odio del nome cattolico sono giunti a tali estremità. Così dunque gli uomini Cattolici di Francia, se vogliono veramente testimoniarCi la loro sottomissione e la loro devozione, lottino per la Chiesa secondo gli avvertimenti che abbiamo già dati loro e cioè con perseveranza e energia, ma senza agire in modo sedizioso e violento. Non è colla violenza, ma colla fermezza, che essi riusciranno, trincerandosi nel loro buon diritto come in una cittadella per stroncare l’ostinazione dei loro nemici; ché essi comprendono, come abbiamo detto e ripetiamo, che i loro sforzi saranno inutili se non saranno uniti in perfetto accordo per la difesa della Religione. Essi hanno ora il Nostro verdetto su questa legge nefasta: essi debbono conformarvisi di tutto cuore e, quali siano stati fino ad ora e durante la discussione i pareri degli uni o degli altri, Noi scongiuriamo tutti affinché nessuno si permetta di offendere chicchessia col pretesto che la sua opinione era la migliore. Ciò che possono l’intesa delle volontà e l’unione delle forze, lo apprendano dai loro avversari; e come essi hanno potuto imporre alla Nazione la ferita di questa legge criminale, così i Nostri col loro accordo potranno cancellarla e farla sparire. Se nella dura prova della Francia tutti quelli che vogliono difendere con tutte le loro forze i supremi interessi della patria, lavorano, come debbono, uniti fra loro coi loro Vescovi e con Noi per la causa della Religione, lungi dal disperare della salute della Chiesa di Francia, vi è a sperare al contrario che essa sarà fra breve risollevata alla sua dignità e alla sua prosperità di prima. Noi non dubitiamo affatto che i Cattolici manchino di darCi intera soddisfazione ubbidendo alle Nostre prescrizioni e ai Nostri desideri; così Noi cercheremo ardentemente di ottenere per loro, con l’intercessione di Maria, la Vergine Immacolata, il soccorso della Divina Bontà. – Come pegno dei doni Celesti e in testimonianza della Nostra paterna benevolenza, Noi accordiamo di gran cuore a voi, Venerabili Fratelli, e a tutta la Nazione francese, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 agosto, festa di San Lorenzo Martire, dell’anno 1906, IV del Nostro Pontificato.

Domenica II DOPO L’EPIFANIA (2020)

DOMENICA II DOPO EPIFANIA (2020)

Semidoppio – Paramenti verdi.

Fedele alla promessa che aveva fatta ad Abramo ed ai suoi discendenti, Dio inviò il Figlio suo per salvare il suo popolo. E nella sua misericordia, Egli volle anche riscattare tutti i pagani. Gesù è il Re che tutta la terra deve adorare e celebrare come suo Redentore (Intr., Grad.). Morendo sulla croce Gesù è diventato il nostro Re, e col S. Sacrifizio – ricordo del Calvario – applica alle nostre anime i meriti della sua redenzione ed esercita quindi la sua regalità su di noi. Cosi col miracolo delle Nozze di Cana – simbolo dell’Eucaristia – Gesù manifesta per la prima volta in modo aperto ai suoi Apostoli la sua divinità, cioè il suo carattere divino e regale, ed è allora che « i suoi discepoli credono in Lui ». – La trasformazione dell’acqua in vino è il simbolo della transustanziazione, che S. Tommaso chiama il più grande di tutti imiracoli, e in virtù del quale il vino Eucaristico diviene il Sangue dell’Alleanza di Pace (Or.) che Dio ha stabilito con la sua Chiesa. E poiché il Re divino vuole sposare le nostre anime, è con l’Eucaristia che si celebra questo sposalizio mistico, poiché essa aumenta la fede e l’amore che ci fanno membri viventi di Gesù nostro Capo. (« L’unità del corpo mistico è prodotta dal vero corpo ricevuto sacramentalmente » – S. Tommaso). Le nozze di Cana raffigurano anche l’unione del Verbo con la Chiesa sua sposa. « Invitato alle nozze – dice S. Agostino – Gesù vi andò per confermare la castità coniugale e per mostrare che Egli è l’autore del Sacramento del Matrimonio e per rivelarci il significato simbolico di queste nozze, cioè l’unione del Cristo con la sua Chiesa. In tal modo anche quelle anime che hanno votato a Dio la loro verginità, non sono senza nozze, partecipando esse con tutta la Chiesa a quelle nozze in cui lo Sposo è Cristo».

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXV: 4
Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime. [Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Ps LXV: 1-2
Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.
[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: canta salmi al suo nome e gloria alla sua lode.]


Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.
[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui coeléstia simul et terréna moderáris: supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi; et pacem tuam nostris concéde tempóribus.
[O Dio onnipotente ed eterno, che governi cielo e terra, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 6-16
“Fratres: Habéntes donatiónes secúndum grátiam, quæ data est nobis, differéntes: sive prophétiam secúndum ratiónem fídei, sive ministérium in ministrándo, sive qui docet in doctrína, qui exhortátur in exhortándo, qui tríbuit in simplicitáte, qui præest in sollicitúdine, qui miserétur in hilaritáte. Diléctio sine simulatióne. Odiéntes malum, adhæréntes bono: Caritáte fraternitátis ínvicem diligéntes: Honóre ínvicem præveniéntes: Sollicitúdine non pigri: Spíritu fervéntes: Dómino serviéntes: Spe gaudéntes: In tribulatióne patiéntes: Oratióni instántes: Necessitátibus sanctórum communicántes: Hospitalitátem sectántes. Benedícite persequéntibus vos: benedícite, et nolíte maledícere. Gaudére cum gaudéntibus, flere cum fléntibus: Idípsum ínvicem sentiéntes: Non alta sapiéntes, sed humílibus consentiéntes
.”.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

LA FAMIGLIA PARROCCHIALE

“Fratelli: Noi abbiamo doni differenti a seconda della grazia che ci è stata data. Chi ha la profezia, se ne serva secondo la norma della fede; Chi ha il ministero, attenda al ministero; chi il dono d’insegnare, insegni; chi di esortare, esorti; chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, con sollecitudine; Chi fa opere di misericordia, con ilarità. La carità non sia finta. Aborrite dal male, siate attaccati al bene. Amatevi scambievolmente con amore fraterno. Prevenitevi gli uni con gli altri nel rendervi, onore. Non siate pigri nello zelo; siate ferventi nello spirito; servite al Signore. Siate lieti nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Prendete parte alle necessità dei santi. Praticate l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano; benedite, e non maledite. Rallegratevi con chi gode; piangete con chi piange. Abbiate gli stessi sentimenti gli uni gli altri. Non aspirate a cose alte, ma adattatevi alle cose umili”. (Rom. XII, 6-16).

L’Epistola di quest’oggi è una continuazione del brano della lettera ai Romani, che abbiamo considerato la domenica scorsa. S. Paolo vi discorre dell’uso dei carismi, cioè, doni soprannaturali, di cui il Signore arricchiva abbondantemente i primi Cristiani. Ciascuno deve accontentarsi dei carismi ricevuti, senza invidia per chi ne ha di più, e usarli, secondo il proprio stato, per il bene della comunità. In sostanza, l’Apostolo insegna quale deve essere la vita d’una fervorosa comunità di Cristiani, uniti tra di loro come membri d’una sola famiglia. Anche i Cristiani di quella comunità, o famiglia, che è la parrocchia, dovrebbero stringersi tra di loro attorno al proprio capo, che è il Parroco,

1 Nello zelo,

2 nella preghiera,

3 nel partecipare alle necessità dei fratelli.

1.

Non siate pigri nello zelo; siate ferventi nello spirito, servite al Signore. L’esortazione che l’Apostolo fa alla comunità cristiana di Roma, va intesa anche per le nostre comunità parrocchiali. La comunità cristiana in mezzo ai pagani formava come una famiglia a parte. Oggi le condizioni sono cambiate, ma possiamo benissimo paragonare le singole cristianità dei primi secoli alle nostre parrocchie, che sono formate da una popolazione determinata, sottoposta all’autorità di un sacerdote, che vi esercita l’ufficio di cura d’anime. Per mezzo delle parrocchie, in via ordinaria, i fedeli fanno parte della grande famiglia cristiana che è la Chiesa. «La Chiesa si può paragonare a un grande albero, saldamente piantato nel terreno che allarga i suoi rami su tutta la terra. Gesù è la radice nascosta che elabora il succo prezioso della vita; il tronco che si erge ritto nello spazio, sfidando i venti e le tempeste e che forma una cosa sola con la radice, è il Papato. I rami maestri che si staccano dal tronco principale e s’allargano in tutto il mondo sono le diocesi; i piccoli ramoscelli che si moltiplicano intorno ai rami principali, le parrocchie: le miriadi di foglie che rivestono di verde tutta la pianta, i fedeli» (Mons. Tranquillo Guarneri. La Famiglia parrocchiale, Lettera Pastorale per la Quaresima. Acquapendente, 1923, p. 8). Tra parroco e fedeli, ci deve essere la stessa unione che c’è tra foglie e ramoscelli cioè, unione molto stretta. Il parroco ha degli obblighi speciali verso coloro che compongono la sua parrocchia. Egli è un pastore che deve guidare un gregge particolare a lui affidato; o, se meglio vi piace, egli è un padre. E deve provvedere al miglior andamento spirituale d’una numerosa famiglia. È chiaro che riuscirà a ben poco, se non trova corrispondenza e collaborazione nei membri della famiglia. Ciò che giova a tener desta e viva la fiamma della fede e del buon costume in una parrocchia sono – oggi giorno – quel complesso di istituzioni che vanno sotto il nome di opere parrocchiali. Oltre le Confraternite, che hanno soprattutto scopo di culto, ci sono i Comitati parrocchiali, le Associazioni dei padri e delle madri di famiglia, le associazioni antiblasfemie, della Buona Stampa, della Moralità, della Propagazione della Fede, della Santa Infanzia; gli Oratori pei ragazzi, i Circoli per la Gioventù, ecc. Come possono vivere queste istituzioni, senza elementi che le compongano? Delle volte il parroco riesce a costituirle, ma ben presto gli inscritti non compaiono più che sui registri: rari alle adunanze, assenti dalle pratiche richieste dall’associazione. – Chi, poi, contribuisce alle spese indispensabili per tener in piedi queste istituzioni? Se si dicesse che oggi non si può spender molto, si direbbe cosa, vera solamente in parte. Non si è mai visto spender tanto come oggi nel lusso, nei divertimenti, nelle gite, nelle vacanze frequenti, nei prolungati soggiorni nei luoghi più o meno climatici. Quando si tratta di appoggiare le opere parrocchiali… i tempi non consentono più di spendere un soldo. Si sarebbe più sinceri, se si dicesse che lo spirito frivolo che informa la vita moderna, spegne lo spirito per le cose del Signore, e ci rende pigri nello zelo per le opere parrocchiali. Ascoltiamo attentamente l’ammonimento di S. Paolo: Non siate pigri nello zelo; siate ferventi nello spirito; servite al Signore.

2.

Siate… perseveranti nella preghiera. Questa non è, certamente, la meno importante delle esortazioni che fa l’Apostolo. Chi prega si salva, e chi non prega si danna. Ma praticamente, per tanti Cristiani l’esercizio della preghiera si riduce a ben poco. Scuse non ne mancano mai; scuse magre, s’intende. Chi non ha tempo di recitare, mattino e sera, almeno le orazioni più necessarie? Chi, durante il giorno è impedito d’innalzare la mente a Dio? Quanti, passando davanti alla chiesa, possono benissimo entrarvi, anche per un breve istante, tanto da rivolgere un saluto a Gesù nel Sacramento e non lo fanno! L’esortazione di S. Paolo non va ristretta alla preghiera privata. Evidentemente v’è inclusa la preghiera pubblica, cioè, la partecipazione ai divini uffici. Così l’intesero i Cristiani del tempo degli Apostoli. Di essi infatti leggiamo che « frequentavano con perseveranza l’istruzione degli Apostoli, la comunità, la frazione del pane, la preghiera» (Act. II, 42). Quanto sarebbe consolante vedere per lo meno nei giorni festivi, l’intera popolazione recarsi alla propria chiesa parrocchiale, pregare più del solito, assistere alla santa Messa, ricevere possibilmente i santi Sacramenti, e prender parte col proprio parroco al canto dei salmi e degli inni. Quando tutta la famiglia parrocchiale è radunata in chiesa, nella casa del Padre comune, unita nella partecipazione dei misteri, nella preghiera, nel canto dei salmi e degli inni, come possono venire in mente le piccole miserie, che raffreddano la carità e i rapporti tra vicino e vicino, tra individuo e individuo? Allora l’anima nostra è tranquilla, le passioni si calmano, lo sdegno tace, l’inimicizia si spegne, la concordia è promossa, il demonio non può esercitare il suo potere. «Cercate — scriveva S. Ignazio Martire agli Efesini — di radunarvi in maggior numero per offrire a Dio la vostra Eucaristia e le vostre lodi. Poiché, quando voi vi radunate spesso nello stesso luogo le forze di satana vengono abbattute» (S. Ignazio mart. ad Eph. 13, 1). Allora, più che mai, si comprende la verità contenuta in quel versetto del Salmista: « Oh come è bello, come è soave che i fratelli siano assieme uniti! » (Ps. CXXXII, 1). Eppure ci sono di coloro, che non solamente usano di rado alle funzioni parrocchiali, ma non sanno neppur che cosa siano: non conoscono l’interno della chiesa, non hanno mai sentita la voce del proprio parroco. Il padre Reina, delle Missioni Estere di Milano, dando notizia al suo superiore dell’andamento della missione, parlando degli Europei, scriveva fra l’altro: «Ci sono molti Cattolici fra i marinai di tutte le nazioni, ma non si conoscono alla chiesa: solo negli ospedali e nelle prigioni»; (P. Gerardo Brambilla, Mons. Giuseppe Marinoni ecc., Milano) cioè, dove non era possibile evitare la presenza del Sacerdote, e schivare di parlare con lui. Lasciamo stare le prigioni, ma, senza andare nei grandi centri commerciali dell’Asia, non è difficile trovare anche nelle nostre parrocchie, chi si riduce a udire la voce del proprio pastore quando trovasi inchiodato sul letto del dolore, e non può sottrarsi alla sua presenza. Saranno rari costoro, almeno nelle piccole parrocchie, ma non mancano. Sono molto numerosi, invece, coloro che credono di aver fatto troppo se si sono recati ad ascoltare una Messa bassa; possibilmente senza predica e senza avvisi. Che abbiamo fatto troppo non crediamo. «Certamente si soddisfa al precetto ascoltando una Messa bassa; ma con una Messa bassa non si è che un Cattolico lontano, un solitario, un isolato, un Cattolico forestiero, che non sente mai un discorso, che non riceve nessuna istruzione, che non sa gli avvenimenti della parrocchia, che ignora le istruzioni del Vescovo e le direzioni del Papa; un Cattolico che non fa numero, che non si occupa che di se stesso, che non si cura del bene generale, che non si occupa di edificazione e di Apostolato» (Mgr. Landrieux Evèque de Dijon, La Paroisse, Marseille, 1923, p. 65). Egli si dimentica che se non piace a Dio lo zelo senza semplicità, «neppur piace a Dio la semplicità senza lo zelo», (S. Gregorio M. Hom. 30, 5) la quale tutt’al più, non può giovare che a se stessa.

3.

Prendete parte alle necessità dei santi, cioè, dei fratelli nella fede. È una esortazione di S. Paolo, che sotto diverse espressioni, fa parecchie volte. Le opere di carità formavano infatti come un vincolo che univa strettamente i Cristiani delle varie chiese fondate dagli Apostoli, come deve unire ancora i fedeli d’una stessa parrocchia. «Tutti gli uomini — dice S. Agostino — si devono amare ugualmente; ma siccome non si può giovare a tutti, dobbiamo estendere il nostro amore principalmente a coloro, che, attese le circostanze dei tempi, dei luoghi e di altre simili cose, essendo a noi più congiunti, ci appartengono in modo più particolare» (De Doctr. christ. L. 1, c, 27). I membri d’una stessa parrocchia facilmente conoscono i bisogni reciproci, e si trovano nell’opportunità di aiutarsi a vicenda. Qui c’è da sollevare la miseria di un povero; là c’è da visitare un ammalato: spesso ci sarà bisogno di un assistenza. Alcuni avranno delle prevenzioni in fatto di Sacramenti e di visita del parroco: bisognerà disporli prudentemente. Uno avrà bisogno di un po’ di amore; e tu fa in modo da fargli comprendere che non è abbandonato da tutti. Un altro ha perduto la pace: e tu cerca, secondo la tua possibilità, di far entrare un po’ di tranquillità nell’anima sua. Ci sarà l’indeciso, il dubbioso: e tu sii il raggio di sole che illumina i suoi passi. Non manca chi sfiduciato di tutti e di tutto, non vuol più saperne del compimento del proprio dovere: e tu cerca di sollevare il suo animo al cielo, dove non si pone la fiducia invano. Se non puoi dire con Giobbe: « Feci da padre ai poveri. » Perché le tue condizioni non te lo permettono, possa almeno dire con santo Idumeo: «Fui occhio al cieco. e fui piede allo zoppo » (XXIX, 15-16). Soprattutto diamo il nostro appoggio materiale e morale all’opera, che in questo campo va esplicando il parroco. Una vita parrocchiale veramente cristiana, non può esistere se non si è uniti, come in una sola famiglia, tra sé e col proprio parroco, nello zelo, nella preghiera, nelle opere di carità. E vita parrocchiale veramente cristiana, vuol dire vita veramente cristiana di tutta la società. « Chi sente infatti e vive la vita della Chiesa, chi ne studia la storia, e ne cerea lo spirito; anche nell’agitazione dell’età contemporanea, non può non riconoscere ed ammirare la virtù insita nel primo nucleo vitale nell’organismo sociale della Chiesa che è la Parrocchia, massimamente quando essa rende l’immagine di una Famiglia concorde e unita come a padre al proprio pastore. (Civiltà Cattolica).

Graduale

Ps CVI: 20-21
Misit Dóminus verbum suum, et sanávit eos: et erípuit eos de intéritu eórum. [Il Signore mandò la sua parola e li risanò: li salvò dalla distruzione.]
V. Confiteántur Dómino misericórdiæ ejus: et mirabília ejus fíliis hóminum. 
[V. Diano lode al Signore le sue misericordie e le sue meraviglie in favore degli uomini. ]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXLVIII: 2
Laudáte Dóminum, omnes Angeli ejus: laudáte eum, omnes virtútes ejus. Allelúja.
[Lodate il Signore, voi tutti suoi Angeli: lodatelo, voi tutte milizie sue. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. [Joann II: 1-11]

In illo témpore: Núptiæ factæ sunt in Cana Galilaeæ: et erat Mater Jesu ibi. Vocátus est autem et Jesus, et discípuli ejus ad núptias. Et deficiénte vino, dicit Mater Jesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Jesus: Quid mihi et tibi est, mulier? nondum venit hora mea. Dicit Mater ejus minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant autem ibi lapídeæ hýdriæ sex pósitæ secúndum purificatiónem Judæórum, capiéntes síngulæ metrétas binas vel ternas. Dicit eis Jesus: Implete hýdrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Jesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut autem gustávit architriclínus aquam vinum fáctam, et non sciébat unde esset, minístri autem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est. Tu autem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Jesus in Cana Galilaeæ: et manifestávit glóriam suam, et credidérunt in eum discípuli ejus.

OMELIA II

[[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE VII.

“In quel tempo vi fu uno sposalizio in Cana di Galilea. ed era quivi la Madre di Gesù. E fu invitato anche Gesù co’ suoi discepoli alle nozze. Ed essendo venuto a mancare il vino, disse a Gesù la Madre: Ei non hanno più vino. E Gesù le disse: Che ho io da fare con te, o donna? Non è per anco venuta la mia ora. Disse la madre a coloro che servivano: Fate quello che ei vi dirà. Or vi erano sei idrie di pietra preparate per la purificazione giudaica, le quali contenevano ciascheduna due in tre metrete. Gesù disse loro: Empite d’acqua quelle idrie. Ed essi le empirono fino all’orlo. E Gesù disse loro: Attingete adesso, e portate al maestro di casa. E ne portarono. E appena ebbe fatto il saggio dell’acqua convertita in vino, il maestro di casa, che non sapeva donde questo uscisse (lo sapevano però i servienti, che avevano attinta l’acqua), il maestro di casa chiama lo sposo, e gli dice: Tutti servono da principio il vino di miglior polso; e quando la gente si è esilarata, allora dànno dell’inferiore: ma tu hai serbato il migliore fin ad ora. Così Gesù in Cana di Galilea diede principio a far miracoli; e manifestò la sua gloria, e in lui crederono i suoi discepoli” (Jo. Il).

Nostro Signor Gesù Cristo, entrato nel trentesimo anno di sua età, lasciò Nazaret, si recò sulle rive del Giordano per ricevervi il battesimo dalle mani di S. Giovanni Battista. Quindi fu condotto dallo Spirito Santo nel deserto per esservi tentato dal demonio; e dopo un digiuno di quaranta giorni, abbandonò la solitudine per comparire in pubblico a predicare la buona novella. E sebbene potesse disimpegnare da solo questo ministero divino, tuttavia per facilitarlo e perpetuarlo tra gli uomini, si volle invece associare degli uomini. Ed eccolo perciò cominciare a scegliere e chiamare a sé gli Apostoli. S. Andrea, che, animato da S. Giovanni Battista, gli aveva subito tenuto dietro, gli condusse tosto suo fratello S. Pietro; così pure S. Filippo gli aveva presentato Natanaele, che comunemente si crede lo stesso che S. Bartolomeo. Ora essendo passati tre giorni da questa scelta e da questa vocazione, Gesù insieme colla Madre sua e co’ suoi discepoli intervenne ad un festino e convito di nozze, che celebrossi in Cana di Galilea, dove manifestò subito la sua gloria operando il primo de’ suoi miracoli. Ed ecco il bellissimo fatto, che ci offre a considerare il Vangelo di questo giorno.

1. Secondo l’attestazione di vari scrittori ecclesiastici, lo sposo di queste nozze, che si fecero in Cana di Galilea, era un certo Simone, figliuolo di Alfeo, fratello di S. Giuseppe, epperò nipote della Santissima Vergine e cugino del Salvatore. Il che spiega, perché Maria si trovava di già in quella casa: Et erat mater Jesu ibi; gli sposi l’avevano chiamata come loro parente e forse anche a sopraintendere a quel convito e vegliare per tutto ciò, che potesse abbisognarvi. In riguardo però di Maria fu a questa festa invitato ancora Gesù con i suoi discepoli, che aveva già chiamati a seguirlo. E Gesù, che pure era il Santo per eccellenza, benché si trattasse di una festa assai allegra, come sogliono essere i conviti degli sposi, non ricusò di intervenirvi, non già perché egli desiderasse di deliziarsi in quel lieto banchetto, ma, oltre a vari altri motivi, anche per farci intendere quanto sia gravissimo l’inganno di coloro, i quali pensano, che per vivere da santi, da buoni Cristiani, sia necessario fuggire dal consorzio degli uomini, vivere sempre nella solitudine, evitare assolutamente di ridere, scherzare e stare allegri, ed in quella vece dover star sempre immersi nel silenzio e nella malinconia. Sì, o miei cari, in questa circostanza Gesù volle eziandio farci conoscere questa dolce verità, che si può vivere santamente e pur prendersi oneste soddisfazioni e moderati piaceri, che anzi la stessa vita veramente cristiana, tutt’altro che essere tristezza e malinconia, è per eccellenza vita allegra e felice, essendo l’allegria e la felicità inseparabili dalla virtù e dalla santità. Della qual cosa ce ne assicura in mille luoghi la Sacra Scrittura, col dichiarare, che la giustizia, ossia l’esatto adempimento della legge di Dio, è sempre accompagnata dalla pace dell’anima, da quel delizioso sentimento, che produce una buona coscienza, quindi che la sola virtù può rendere l’uomo felice. Ovunque nella Scrittura si parla della fedeltà nell’osservare la legge di Dio, si parla anche della pace, come inseparabile dalla giustizia. Figlio mio, dice lo Spirito Santo, sii fedele nell’osservanza della mia legge, che avrai una sorgente di pace e di gaudio. Chiunque osserva la legge di Dio, dimorerà nella pace. Questa pace sarà profonda, abbondante e continua; il gaudio vivo e puro; per cui felice chi pone ogni sua affezione nella legge del Signore. Egli sarà come albero, che, piantato sulle rive di cristallino fonte, produce eccellenti frutti e le cui foglie non mai appassiscono. Non meno formale e positiva è la promessa fatta da Gesù Cristo nel Vangelo: chiaramente ne dice, che il suo giogo è dolce, e che il suo peso è soave; che coloro, i quali lo portano, trovano la pace dell’anima. È adunque verità fondata sulla parola di Dio, che la vita cristiana è una vita felice, che nel fedelmente osservare la legge del Signore trovasi la vera contentezza. Questa verità è fondata anche sull’esperienza. S. Agostino prima di sua conversione, aveva menata una vita tutta mondana, sensuale, aveva passati molti anni nell’abbandono di Dio, e in balìa alle passioni. Richiamato alla virtù e convertitosi, nelle sue confessioni esclama: Dio mio, avete rotti i miei lacci; la mia lingua e il mio cuore continuamente vi esaltino, che mi avete fatto ricevere il vostro giogo soave e il legger peso della vostra legge. Quanta dolcezza, qual piacere non sento nell’aver rinunziato ai vani piaceri del mondo! Qual gioia nell’aver abbandonato ciò, che temeva di perdere! Voi il solo vero diletto, capace di riempire un’anima, allontanando da me ogni falso piacere, subentraste in luogo loro, Voi, che siete vera e sovrana dolcezza. S. Agostino confessa adunque, che una vita peccaminosa è dura schiavitù, tormentata da continue sciagure; che una vita virtuosa al contrario è una vita tranquilla e colma di consolazioni. E chiunque fedelmente serve il Signore prova ciò, che provò S. Agostino. Il vero Cristiano ovunque mostra una gioia pura ed innocente, un’ilarità semplice e modesta, un’eguaglianza di carattere, che dappertutto l’accompagna: sulla sua fronte è scolpita la serenità dell’anima, la pace del cuore. E voi, o miei cari, richiamate alla vostra mente quelle circostanze della vita, in cui, tocchi da Dio, vi purificaste d’ogni colpa, vi accostaste alla Santa Comunione con speciale fervore, e dite: Non provaste allora quanto è buono il Signore per chi lo ama? Allora il vostro cuore senza passione alcuna, puro agli occhi di Dio, non gustava che le cose del cielo, non desiderava e non sospirava che Dio! Che pace regnava nel vostro cuore, che dolcezza non gustavate! Confessatelo pure, non mai avete passati momenti sì dolci come quelli: comprendevate allora, che non si è felici, che servendo il Signore, conoscevate la verità delle parole del Profeta: Un sol giorno, o mio Dio, passato in vostro servizio, è preferibile d’assai a molti anni passati in società coi peccatori. E se avete conservati questi sentimenti di pietà, questo prezioso gusto della virtù, beneditene il Signore. Che se al contrario la virtù, altre volte per voi attraente e dolce, vi sembra ora importuna, noiosa, non incolpatene che la negligenza nell’adempimento dei vostri doveri. Poiché non dovete dimenticare, che fino a quando camminerete nella via del Signore, godrete sempre una pace ed una allegria perfetta.

2. Trovandosi adunque il divin Redentore a quel convito nuziale, nel meglio del desinare, viene improvvisamente a mancare il vino, né vi era come e donde all’istante supplirvi. I famigliari si guardano l’un l’altro costernati e confusi: né sanno che cosa fare e a chi rivolgersi. Ma la Santissima Vergine tutta occhi, come è tutta amore per soccorrere tutti, per la prima si accorge di quell’imbarazzo, ed angustiandosene per l’umiliazione, che proveranno i padroni di casa, piena di benignità, di compassione e di tenerezza si rivolge al suo divin Figliuolo e gli dice in segreto: Non hanno più vino: Vinum non habent. Ora che fa Gesù? Che risponde Egli? Mostrando di non interessarsi per nulla alla triste condizione degli sposi e dei commensali, Donna, le dice, che importa ciò a voi ed a me? non è per ancor venuta la mia ora. Questa risposta a prima vista sembra dura ed austera; ma, dice S. Bernardo, il Figliuolo sapeva a chi parlava, e la Madre non ignorava chi era Colui, che le parlava. E Gesù non ha certamente con parole biasimato Colei, che col fatto ha onorata,operando il miracolo, ch’Ella domandava. Sant’Agostino poi ci dà il vero senso della risposta di Gesù, allorché dice che Gesù Cristo, nel quale vi sono due nature, la divina e la umana, ha parlato qui secondo la natura divina. E siccome la natura divina ei non l’ha ricevuta da Maria, così Egli fa qui vedere colle sue parole, che, secondo tale natura, non ha da stare a Lei soggetto.Tuttavia quello è certissimo, dice il venerabile Beda, che Gesù Cristo accompagnò la sua risposta con una tale espressione di misericordia, con un tale accento di pietà, che Maria ben comprese che Gesù se non intendeva di starle soggetto come Dio, voleva non di meno sottomettersi interamente a Lei come uomo, e che perciò era pronto ad operare di fatto il miracolo, che sembrava averle negato con le parole; sicché rivoltasi senz’altro a coloro che servivano disse loro: Fate quello che Egli vi dirà. Di fatti il Divin Redentore non ostante la dichiarazione contraria, senza replicare più nulla, si appresta a compiere la preghiera della sua Santissima Madre. Così adunque, osserva S. Cirillo, la stessa ripugnanza e difficoltà, che da principio mostrò nostro Signore di fare il miracolo, è divenuta una prova della profonda deferenza, che Gesù Cristo ha per i desideri di Maria; una prova del come Maria realmente sia stata da Dio costituita la nostra potentissima avvocata presso al suo divin Figlio. E difatti come a Cana di Galilea ha ottenuto per quegli sposi un delizioso vino che ne salvò l’onore, in tutti i secoli Ella ottiene alle anime cristiane le preziose grazie, che devono salvarle per tutta un’eternità. Ci vuole di più per incoraggiare la fedele nostra devozione verso la Santissima Vergine? Udite S. Bernardo, ei vi dirà che se temete di avvicinarvi al Padre che regna eternamente nel cielo, vi ha dato Gesù Cristo suo Figliuolo per mediatore. Che non può un tal Figlio presso un tal Padre? Ma poi il Santo Dottore soggiunge: E se paventate ancora in quel Figlio lo splendore della maestà divina, avete presso di Lui una dolce e potente avvocata; Ella è sua Madre e sarà esaudita. Miei cari figli, prosegue quel pio servo di Maria, ecco la scala, per cui devono salire i peccatori, onde giungere fino a Dio, ecco la mia grande speranza, poiché quella Vergine innocente ha trovato grazia presso il Signore, e di questa sola grazia noi abbisogniamo per essere salvi. Ma s’egli è vero, o miei cari, che, accordandole il primo suo miracolo, Gesù stabilì pel corso de’ secoli la divozione alla Vergine sua Madre, è vero altresì, che Maria mirabilmente regola la nostra devozione con questa parola: Fate tutto ciò che vi dirà. Ella vuol accettar bensì i nostri omaggi, porger orecchio alla voce della nostra preghiera, perorare la nostra causa, ottenerci le grazie da Dio, ma a patto che noi compiamo dappertutto e sempre la sua santa volontà nell’osservanza fedele dei santi comandamenti, nella pratica esatta delle virtù cristiane. No, non si affidi troppo di ricevere grazie da Maria, chi non vive da buon Cristiano, chi almeno non è risoluto di mettersi con impegno nel cammino della virtù. Ricordiamo che Maria è bensì il rifugio dei peccatori, ma come giustamente dice un Santo, di quei peccatori che si vogliono davvero convertire.

3. Eranvi, prosegue a dire il Vangelo, eranvi nella sala stessa del convito sei idrie (o grandi vasi di pietra) preparate per la purificazione giudaica, le quali contenevano ciascuna due in tre metrete (ossia un secchio e mezzo circa). E Gesù senza più nulla replicare alla Madre sua, ma compiacendola ne’ suoi desideri, disse ai ministri: Empite d’acqua quelle idrie. Ed essi le riempirono fino all’orlo. E Gesù disse loro: Attingete adesso e portate al maestro di casa. E quelli ne portarono. E appena ebbe fatto il saggio dell’acqua convertita in vino il maestro di casa, che non sapeva donde questo uscisse, sapendolo tuttavia i ministri, che avevano attinta l’acqua, chiama lo sposo (credendo essere questa una sorpresa da lui fatta, con lui dolcemente si lagna), e gli dice: Tutti servono da principio il vino di miglior polso e quando la gente si è esilarata, allora danno dell’inferiore; ma tu hai serbato il migliore sino ad ora. Lo sposo allora certamente protestò di non saper nulla. Ed interrogandosi i ministri, che avevano messo l’acqua nelle anfore, questi manifestarono l’accaduto, pubblicando ed attestando a tutti i commensali il miracolo. E qui, o miei cari, è facile immaginare quello che avvenne. La tradizione, presso S. Ambrogio, ci attesta che quanti erano al convito e gustarono di quel vino miracoloso, colpiti dalla vista di sì gran prodigio si cambiarono in tutt’altri uomini, e come all’esterno il Signore cambiò l’acqua in vino, così convertì nell’interno i loro cuori, richiamandoli dalle turpi superstizioni dell’idolatria alla fede santa e preziosa dei veri credenti. Lo stesso Vangelo lo attesta dicendo: Così Gesù in Cana di Galilea diede, principio a far miracoli; e manifestò la sua gloria, e in Lui credettero i suoi discepoli. Così, bellamente osserva S. Pier Crisologo, dovunque Gesù è chiamato, dovunque Egli entra, dovunque è accolto con amore, Egli porta la consolazione, il gaudio, la santificazione.Or bene, o miei cari, non possiamo ancor noi procurarci sì grandi vantaggi coll’accogliere sovente Gesù Cristo nella casa del nostro cuore al banchetto della SS. Comunione? E non desidera forse Gesù Cristo stesso ardentissimamente di venire spesso nell’anima nostra per operare in noi dei salutari mutamenti, per trasformarci in Cristiani più fermi nella fede, più caritatevoli, più umili, più casti, per operare insomma la nostra santificazione? Si narra di S. Luigi re di Francia, che per il desiderio di far del bene a’ suoi sudditi, si vestiva da semplice borghese e, uscito dalla reggia, recavasi senza corteggio sotto un grande albero, ove dava udienza al popolo. Quindi a lui si avvicinavano con facilità e confidenza anche i più miserabili, gli presentavano suppliche, trattavano con lui dei loro dolori e dei loro domestici affari con la più grande soddisfazione del loro cuore. Orbene, Gesù Cristo nell’Eucaristia non solo volle discendere a tanto, ma, se si nascose sotto il mistero Eucaristico, fu specialmente pel desiderio che aveva non solo di star con noi, ma di penetrare nei nostri stessi cuori ed essere il nostro nutrimento spirituale. E perché velarsi sotto le specie di pane? È un mistero questo, che facilmente si può comprendere. Anzi è di una manifesta chiarezza: per indicare cioè che come il pane nutre il corpo, così Egli stesso voleva nutrire l’anima; e come il pane è da noi ricercato ogni giorno, e sebbene l’abbiamo sempre sulle mense, pure non lo rifiutiamo mai, così per avere questo cibo dell’anima, anche ogni giorno dovremmo ricorrere a Lui e di Lui nutrirci, per essere da Luì santificati. Ed in vero chi può dire quanto la SS. Eucaristia abbia di forza per togliere la freddezza, la tiepidezza dei nostri cuori, ed accendervi invece il fuoco del santo amor di Dio? Non è forse la santissima Comunione quella cella vinaria, dove l’anima nostra viene inebriata del vino del divino amore? Non è forse nello stringere al seno il caro Gesù, che l’anima languisce di santa carità? Com’è mai possibile, che quel Gesù, che portò su questa terra il fuoco del divin suo amore per accenderne il cuore degli uomini, non ne infiammi poi quel petto, dov’Egli abita? Ah! i Santi hanno sempre riguardati i sacri altari come tanti troni d’amore divino, donde Gesù Cristo accende ed infiamma le anime sue dilette! Santa Caterina da Siena vide un giorno in mano ad un sacerdote Gesù Sacramentato come una fornace d’amore, per cui si meravigliava poi la Santa, come da tanto incendio non restassero arsi ed inceneriti tutti i cuori degli uomini. Santa Rosa da Lima diceva, che in comunicarsi parevale di ricevere il sole onde mandava tal raggi dal volto, che abbagliavan la vista di chi la rimirava. S. Venceslao re, col solo andare a visitare il Santissimo Sacramento, s’infiammava anche esteriormente di tale e tanto ardore, che il servo che l’accompagnava, solamente col batter le sue pedate, non sentiva il freddo, tutto ché camminasse sulla neve. E voi non faceste mai riflessione all’operazione, che fa il fuoco investendo una tavola, un tronco? Prima lo riscalda, poi l’infuoca, e discacciando tutte le qualità contrarie di freddezza, di umidità, e di durezza, finalmente lo converte nella sua sostanza e lo fa divenire un altro fuoco simile a sé. Così, diceva S. Dionisio Areopagita, opera Gesù Cristo nella santissima Eucaristia. Egli prima riscalda le nostre anime col calor soave del santo amore, poi discacciando a poco a poco le qualità contrarie dei peccati leggieri e degli attacchi terreni, le accende vieppiù di santa carità, le trasforma in se stesso e le rende deiformi. – Accostiamoci adunque sovente e bene ad accogliere Gesù dentro dell’anima nostra, ed anche in noi Egli si degnerà certamente di manifestare la sua gloria.

Altra Omelia

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra il matrimonio

“Nuptiæ factæ sunt in Cana Galilæe, et erat Mater Jesu ibi. Vocatus est autem Jesus et discipuli eius ad nuptias.” Jo. II.

Nozze veramente fortunate furono quelle di cui si fa menzione nell’odierno Vangelo, le quali furono onorate dalla presenza di Gesù Cristo, della santa Vergine sua madre e dei suoi discepoli, vale a dire della più santa e della più augusta compagnia, che fosse al mondo. Bisognava senza dubbio che quei nuovi sposi fossero persone ben care al Salvatore per meritarsi dal canto loro una simile condiscendenza. Perciò di qual abbondanza di benedizioni non fu la loro casa ripiena? Non solamente furono arricchiti dei doni della grazia, che li santificò in quel nuovo stato, ma provarono ancora in un modo sensibile gli effetti della bontà e della possanza del divino ospite che avevano la bella sorte di possedere; mentre essendo mancato il vino nel convito delle nozze, Gesù Cristo, ad istanza della sua santa Madre, fece in favore di quei nuovi sposi il suo primo miracolo, cangiando l’acqua in vino. Fortunati anche, fratelli miei, i matrimoni che vengono fatti secondo Dio come fu quello del nostro Vangelo! – Meritano di possedere Gesù Cristo, se non con la sua presenza corporale, almeno con la sua grazia e col suo amore. Non si contenta di dar loro le grazie necessarie per santificarsi nel loro stato, ma fa loro provare ancora in un modo sensibile le cure di una amabile provvidenza, sempre attenta ai bisogni dei suoi figliuoli. – Perché dunque fratelli miei, vediamo sì poche persone felici e contente nel matrimonio? Perché all’opposto tanti disgraziati che soffrono e si dannano in questo stato? Proviene forse questo male perché il matrimonio incompatibile sia con la salute? No, il matrimonio è uno stato stabilito da Dio, cui chiamate sono molte persone ed in cui possono e debbono salvarsi. Ma il male si è che la maggior parte di quelli che si maritano non si curano punto di chiamar Gesù Cristo alle lor nozze; vale a dire, di prepararsi come si conviene a ricevere questo Sacramento. Sì, a quelli dunque che impegnati non sono ancora nel matrimonio, come a quelli che già vi si trovano, indirizzo in quest’oggi il discorso. Voi che aspirate al matrimonio, ricordatevi di chiamar Gesù Cristo alle vostre nozze, cioè di recarvi sante disposizioni: ecco il soggetto del mio primo punto. Voi che impegnati già siete nel matrimonio, siate fedeli a corrispondere alle grazie che ricevute vi avete, adempiendo gli obblighi che esso v’impone: ecco il soggetto del mio secondo punto. In due parole, come convenga prepararsi al matrimonio, come convenga vivere in esso, è tutto il mio assunto.

I.° Punto. Siccome il matrimonio è uno stato molto comune nel mondo, i più di coloro che prendono al giorno d’oggi questo partito pensano falsamente che necessario non sia prepararvisi, ma che basti volerlo, come se una cosa fosse indifferente e profana, la quale non domandi che poche disposizioni dalla parte di quelli che vi s’impegnano. Nulla di meno, fratelli miei, da qualunque canto si consideri il matrimonio, sia nella sua origine, sia nella sua natura, sia nel suo fine, tutto cospira a farcene conoscere la dignità e l’eccellenza e conseguentemente l’obbligo indispensabile di prepararvisi come si conviene. – Se noi riflettiamo in prima all’origine del matrimonio, noi troveremo che Dio medesimo ne fu l’autore, che ne formò Egli i nodi nel Paradiso terrestre tra i nostri primi genitori allorché erano ancora nello stato d’innocenza. Se noi consideriamo il matrimonio nella sua natura, è, dicono gli autori, una società coniugale tra il marito e la moglie che li obbliga a vivere inseparabilmente l’uno con l’altro, unione, società che Gesù Cristo ha innalzata alla dignità di Sacramento della nuova legge che nella sua significazione ci rappresenta l’union di Gesù Cristo con la sua Chiesa. Tale è la nobile idea che ce ne dà l’Apostolo, quando ci dice che il matrimonio è un gran Sacramento per rapporto a Gesù Cristo e alla sua Chiesa: Sacramentum hoc magnum est, ego autem dico in Christo et Ecclesia (Eph. V). Ed invero, siccome il Figliuolo di Dio si è unito alla Chiesa in due maniere, l’una nel mistero dell’Incarnazione, prendendo la natura umana per non fare con essa che una sola persona; e l’altra comunicando a questa Chiesa la sua grazia ed il suo amore, il che è una unione di carità, così nel Sacramento del matrimonio si contraggono due alleanze. La prima fa che due persone che non avevano per lo innanzi alcuna relazione tra loro divengono, per così dire, una stessa persona: Erunt duo in carne una (Matth. XIX). L’ altra secondo lo spirito è la unione dei cuori, la quale produr deve un amor reciproco l’uno per l’altro. Ora fu per santificare e sostenere questa unione che Gesù Cristo diede al matrimonio della nuova legge una virtù particolare di produrre la grazia in quelli che vi si accostano con sante disposizioni, laddove non era il matrimonio altre fiate che un contratto puramente civile e al più una cerimonia di religione tra gli Ebrei, tiene ora un posto tra i Sacramenti della nuova legge per santificare coloro che lo ricevono e dar le grazie al loro stato convenienti. Tale è, fratelli miei, la natura del matrimonio dei Cristiani. Ma qual n’è il fine? Egli è de’ più nobili e dei più santi. Il matrimonio è stato stabilito da Dio e santificato da Gesù Cristo, non già soltanto per popolare la terra, ma vie più ancora per popolare il cielo, per essere una sorgente feconda di Santi destinati a riempier le sede degli angeli prevaricatori. Quanto non è egli dunque rispettabile questo Sacramento? E quante disposizioni non richiede da quelli che ricever lo vogliono? Quali sono queste disposizioni? Uditele. Per ben prepararvi al matrimonio voi dovete primieramente consultar Dio con ferventi preghiere, meritare i suoi lumi con una regolata condotta; dovete inoltre proporvi fini onesti nel matrimonio, purificare le vostre coscienze da minimi difetti a fine di ricever le grazie a questo Sacramento annesse. Che convenga consultar Dio prima d’impegnarsi nel matrimonio è un obbligo, fratelli miei, che la Religione v’ispira e cui è legato il vostro proprio interesse. Voi siete più di Dio che di voi medesimi; voi non potete per conseguenza disporre di voi medesimi contro la volontà di Dio né impegnarvi nel matrimonio, se non vi siete da Dio chiamati. Al che non solo i figliuoli, ma ancora i padri e le madri far debbono grand’attenzione, per nulla conchiudere in un affare di tanta importanza, senz’aver consultato Iddio: operar diversamente si è far un attentato alla volontà di Dio, il quale ha diritto di disporre delle sue creature; si è recar a se stesso un pregiudizio molto considerabile. Imperciocché, se Dio ha fissato a ciascheduno di noi uno stato in cui gli prepara aiuti particolari per la salute, i quali non gli comparte in un altro stato, non sarebbe una grande temerità impegnarvi nel matrimonio, dove vi sono tanti obbligazioni da adempiere, tanti ostacoli a superare, senz’aver le grazie particolari di quello stato? E come lusingarvi di aver queste grazie per portare un peso sì grave, se voi l’addossate contro la volontà di Dio, che vi destinava ad un altro stato? Perciò quante persone che chiamate non sono al matrimonio miseramente vi si danno, le quali salvate si sarebbero in un altro genere di vita! Apprendete dunque, voi tutti che aspirate a questo stato, che non basta che voi lo vogliate, bisogna che lo voglia Iddio; perciò e d’uopo che il vostro matrimonio si faccia in cielo prima che si faccia sulla terra. Questo è ciò che chieder conviene a  Dio pregandolo, come il più savio dei re, di darvi lo spirito di sapienza che deve condurre i vostri passi. Pregatelo di farvi su di ciò conoscere la sua santa volontà. Dovete altresì pregarlo d’illuminarvi sopra la persona che vi destina. Perciocché i genitori possono bensì dare ricchezze, dice lo Spirito Santo, ma una moglie prudente è un dono del cielo: Divitiæ dantur a parentibus, a Domino autem uxor prudens (Prov. XIX). Lo stesso dir bisogna di un marito savio e regolato. – La vostra felicità in questo mondo e nell’altro dipende dalla buona scelta che farete. Vi sono persone che si convengono meglio le une che le altre; che sono più proprie a mantenere l’unione e la pace nei matrimoni per la somiglianza del carattere e principalmente per la loro saviezza e virtù. Voi opererete la vostra salute con la tal persona che vi conviene; e vi dannerete con quell’altra che non vi conviene: temete dunque per la vostra salute, se la passione ha qualche parte nella scelta che far dovete; fate attenzione che le qualità della persona o della fortuna possono acciecarvi, che queste qualità non sono sempre accompagnate dalle virtù proprie a formare una santa unione, e guardatevi ben bene di lasciarvi condurre dall’amore e dal capriccio in un affare sì importante; ma fatevi presiedere la ragione, la Religione, la volontà di Dio. Ecco le guide che seguir dovete. Cercate la virtù piuttosto che la qualità della persona e i beni di fortuna. – Per essere ancora più sicuri di non ingannarvi, consultate i genitori virtuosi, che condur non si lasciano dalla passione né dall’interesse; per mezzo di essi vi farà Dio conoscere la sua volontà. Ad essi ha dato Iddio i lumi necessari per la direzione delle loro famiglie; sanno essi ciò che conviene ai loro figliuoli meglio che non lo sappiano questi medesimi. La gioventù è per l’ordinario cieca e precipitata, per conseguenza più facile ad ingannarsi nella scelta di uno stabilimento, perché essa sovente altra guida non ha che il senso e la passione, i quali distinguer non sanno ciò che le è più vantaggioso; laddove i genitori che hanno dal canto loro l’esperienza e la ragione, operano ordinariamente con più di maturità e di buon successo. Quindi è che le leggi hanno saggiamente stabilito ed ordinato ai figliuoli di chieder il consenso dei loro genitori, prendendo il partito del matrimonio. Sono queste leggi appoggiate non solo sopra l’interesse dei figliuoli, ma ancora sopra quello dei genitori, a cagione delle nuove alleanze. Quelle persone, quei generi, quelle nuore debbono venir posti nel numero dei figliuoli di casa, entrar a parte dei beni e dell’eredità; convien dunque che siano persone gradite dai genitori, affinché la pace regni tra essi. Non bisogna con tutto ciò che i genitori si abusino della autorità sopra i loro figliuoli per far loro sposare contro la loro inclinazione persone che ad essi non piacciono: si veggono pur troppo i funesti esempi dei matrimoni infelici e sforzati dalla volontà dei genitori, i quali responsabili sono di tutti i disordini che quindi succedono. Lasciar devono ai figliuoli un’onesta libertà di scegliere persone d’inclinazione, le quali loro d’altronde convengano per le buone qualità e condizione. Se non debbono i figliuoli seguire la loro passione per maritarsi contro la volontà dei genitori, neppure devono i genitori lasciarsi guidare dall’interesse o da altro umano motivo per costringere i figliuoli a maritarsi contro la propria inclinazione. Sono questi due estremi due scogli che conviene evitare nel matrimonio, e perciò bisogna che gli uni e gli altri indirizzino al cielo ferventi preghiere per ben riuscire in un affare di tanta importanza. Unite dunque, padri e madri, le vostre preghiere a quelle dei vostri figliuoli, per ottener loro da Dio un felice e santo collocamento; ma ricordatevi, o figliuoli, se volete esser esauditi nelle vostre preghiere, di sostenerle con la regolarità di vostra condotta. Imperciocché invano indirizzereste voti al cielo per domandare un santo matrimonio, se voi non vi preparate adesso con la pratica delle cristiane virtù, vi è molto da temere che non siate ascoltati: se all’opposto voi saviamente vi comportate, ricompenserà Iddio la vostra virtù con un felice matrimonio; è lo Spirito Santo stesso che ve ne assicura, quando vi dice che una moglie virtuosa sarà la ricompensa delle vostre buone azioni: Mulier bona dabitur viro prò factis bonis (Eccli.XXVI). Volete voi, dice s. Agostino, trovarne una che vi convenga? Siate voi medesimo tal qual la desiderate. Volete voi averne una casta? Siatelo voi medesimo: Intactam quæris, intactus esto. Volete voi altresì, o figliuole cristiane, trovar sposi saggi, virtuosi, pazienti, moderati? Meritateli con la vostra buona condotta; siate modeste, sagge, ritirate, fedeli a compier i vostri doveri; senza mettervi in pena di produrvi, di farvi conoscere per trovar un partito, Dio saprà provvedervi come si conviene. Non crediate, gioventù sfrenata, che Dio sia per spargere le sue benedizioni sopra matrimoni che sono stati preceduti dal delitto e dal libertinaggio, per via d’intrighi, di commerci che voi mantenete, di visite ad ore indebite, di libertà vergognose che vi permettete gli uni con gli altri, e per via di dissolutezze che la santità del luogo non mi permette di nominare. Non crediate, o giovani mondane, che voi siate per esser contente in quei collocamenti che vi comprate al prezzo della vostra anima per via di ree compiacenze che voi avete pei libertini che vi fanno belle promesse per sedurvi ed appagare le loro passioni. Ah! non è questo il modo di prepararvi a ricevere la grazia del Sacramento del matrimonio; meglio sarebbe rinunziare ad ogni collocamento che giungervi per strade capaci di trarre sopra di voi le maledizioni del Signore, Quindi quanto poco prosperar si vedono i matrimoni di simile sorta cui preparati si sono col disordine e col peccato! Non si vede all’opposto che quelli che si sono in tal modo vie più frequentati, sono coloro che vivono più male quando sono insieme, che sono i più disgraziati e che si dannano nel matrimonio; sia che queste persone si privino ordinariamente con la loro condotta delle grazie particolari annesse al Sacramento, senza cui è assai difficile di salvarsi; sia perché, cangiandosi la loro inclinazione l’uno a riguardo dell’altro, rompano facilmente l’unione dei cuori che esser deve il fondamento della santità e della felicità dei matrimoni. Prima del matrimonio un giovane, una figliuola servivansi di mille artifizi per farsi conoscere tutt’altro da quel che erano: l’uno pareva affabile, paziente, sobrio, l’altra modesta, docile, graziosa; ma da poi che tolta è la maschera e che non avvi più interesse alcuno ad ingannarsi l’un l’altro, quel giovane è tutto trasformato in un uomo collerico, dissoluto, scialacquatore; quella donna è una superba, una capricciosa, un’appassionata per li piaceri: da ciò ne viene che, dopo esser stata trattata prima del suo matrimonio con molto riguardo, viene poi essa trattata con l’ultimo disprezzo; l’affetto che avuto avevano l’uno per l’altro è per cosi dire tutto consumato, perché non era che un affetto cieco e di passione, il quale si è cangiato in indifferenza, in alienazione ed avversione sì grande che laddove prima saziar non si potevano di vedersi, al presente non possono più soffrirsi: tanto è vero che le conversazioni le più assidue non sono le migliori disposizioni al matrimonio, ma sono per lo contrario di ostacolo alla felicità di esso, principalmente quando sono peccaminose! Egli è vero che non si possono troppo conoscere le persone cui deve uno legarsi, che non conviene operar con fretta per non fare falsi passi di cui si ha tutto il tempo di pentirsi, che il matrimonio chiede molte riflessioni, perché è un affare di conseguenza, in cui è molto pericoloso d’ingannarsi; ma è forse necessario che il peccato ed il libertinaggio gli servano di apparecchio? Veder forse non si possono onestamente alla presenza dei genitori? E quando si conosce un’alleanza convenevole non si dovrà egli prendere precauzione alcuna per evitare l’occasion del peccato? Ma qual fine propor vi dovete in quest’alleanza? Quello che Dio medesimo si è proposto nella sua istituzione. Voi dovete, prendendo il partito del matrimonio, non aver in mira che di glorificarvi Iddio, di farvi la vostra salute, aiutandovi vicendevolmente l’un l’altro a riuscire in questo grande affare, a sopportare le miserie e gl’incomodi della vita, ad allevare i figliuoli, che piacerà al Signore di darvi, per essere suoi adoratori, e gli eredi del suo regno. Tali sono i fini del matrimonio; e su di ciò appunto l’arcangelo S. Raffaele istruiva il giovine Tobia dicendogli: Voi prenderete col timore del Signore Sara per moglie al solo desiderio di averne figliuoli e non di soddisfare la vostra sensualità: Accipies cum timore Domini, amore filiorum magis quam libidine ductus (Tob. VI). Lungi dunque da voi, fratelli miei, qualunque motivo carnale ed interessato, come si trovano nella maggior parte dei matrimoni dei nostri tempi, che chiamare si possono matrimoni d’interesse o di passione. Infatti che cosa cercasi nei matrimoni? Il bene o il piacere sono i due mobili che li fanno agire. Trattasi di conchiudere un matrimonio? Non si cercano informazioni della virtù, del merito dei contraenti; ma si domanda se evvi del bene, e subito che se ne trova, si passa sopra tutto il restante. Il bene dona tutte le virtù, tutto il merito possibile: cioè nel matrimonio non si riguarda, se non ciò che v’è di umano e di temporale, e non ciò che è spirituale e divino. Si fanno i matrimoni come contratti puramente civili, si ha ogni attenzione di farvi mettere tutte le clausole necessarie; ma non se ne ha alcuna alla dignità del Sacramento, con cui nobilitato è questo contratto. Ma qual è l’esito di questo contratto che fassi in un modo del tutto umano e carnale? Voi lo sapete, fratelli miei, per una triste esperienza. Si provano ogni giorno mille disgusti, mille affanni di vedersi frustrati di una speranza di cui lusingati si erano sopra le belle promesse, le quali non si vogliono o non si possono più adempiere, mentre, quanto non costa l’aver quei beni, il far osservare le clausole di un contratto in cui si sono promessi? Quindi è che si fanno tante sollecitazioni, si suscitano tante liti, le quali cagionano la divisione tra le famiglie che erano le meglio unite; di modo che i matrimoni che dovrebbero mantenere tra gli uomini una dolce società, la rompono il più sovente tra quelli che erano i migliori amici. Quale n’è la cagione? L’interesse. Ecco la sorgente funesta delle guerre domestiche che si perpetuano talvolta di generazione in generazione. È vero – dice s. Ambrogio – che non è dalle leggi proibito di cercare il suo vantaggio in uno stabilimento, quando vi si può trovare; ma non conviene di un mezzo farne il fine; considerar si deve più la virtù che il bene ed osservare quanto è possibile l’eguaglianza di condizioni per evitare i rimproveri che uno degli sposi può fare all’altro di avergli dato del bene. Tali sono le regole che la prudenza ispira per rendere felici i matrimoni. – Ma se disgraziati sono i matrimoni d’interesse, quelli che forma la passione non lo sono di meno. Tali sono i matrimoni in cui non si ha in mira che il piacere di appagare le passioni brutali, come fanno gli infedeli che non conoscono Dio, dice l’Apostolo: tale fu la cagione dell’infelice sorte dei sette primi mariti di Sara sposa di Tobia, i quali uccisi furono dal demonio la prima notte delle loro nozze; perché entrando nel matrimonio, allontanato avevano Dio dal loro spirito, dice la Sacra Scrittura, per soddisfare i desideri sregolati dei loro cuori. E perciò l’arcangelo Raffaele, per rassicurare Tobia che temeva la medesima sorte, l’esortò d’innalzare il suo spirito ed il suo cuore a Dio nell’alleanza che andava a contrarre con quella donna, perché, gli disse, il demonio non ha dominio, se non sopra quelli che cercano di appagare la loro sensualità. – Eccovi senza dubbio, fratelli miei, ciò che rende al giorno d’oggi sgraziati un gran numero di matrimoni in cui non si cerca che il piacere del senso. Si rendono vilmente schiavi del demonio; e sotto un tal padrone, qual felicità si può mai sperare? Abbiate dunque gran cura, voi che aspirate a questo stato, di purificare le vostre menti e i vostri cuori da ogni pensiero e affetto contrario alla santità di questo Sacramento, per non proporsi che fini onesti e degni di un Cristiano e per evitare i pericoli cui e esporta la castità coniugale; istruitevi prima nel sacro tribunale di ciò che è permesso o vietato, pregate il vostro confessore di dirvelo, prevenendolo che per un tal fine vi confessate; istruitevi anche degli altri doveri della Religione per mettervi in istato d’istruirne gli altri. – Ma per attirare ancora più efficacemente su di voi la benedizione del Signore, abbiate cura di purificare le vostre coscienze con una buona Confessione che far dovete alcuni giorni prima. È bene di farla generale. Questo è anche necessario quando la vostra condotta non è stata regolata, quando il vostro matrimonio è stato preceduto da conversazioni vietate o da altri peccati, di cui non avete lasciata l’occasione o corretto l’abito. Ed è tanto più importante per voi di essere in istato di grazia per ricevere il Sacramento del matrimonio, che se voi lo ricevete in istato di peccato, vi rendete colpevoli di un doppio sacrilegio, profanando un Sacramento di cui voi siete ad uno stesso tempo, secondo il parere di molti, e i soggetti e i ministri. – Qual torto non vi fareste anche di privarvi delle grazie annesse a quel Sacramento, sì necessario per riempier gli obblighi del vostro stato? Per ottener queste grazie indirizzatevi a Colui che n’è l’Autore, pregate Gesù Cristo, di voler ritrovarsi alle vostre nozze, il che voi gli chiederete particolarmente nella Comunione che dovete fare, in cui l’eleggerete per lo sposo della vostra anima: nel giorno avanti al vostro matrimonio fermatevi qualche tempo ai piedi degli altari e raddoppiate il vostro fervore affinché il Signore benedica la vostra condotta. Abbiate cura principalmente che il giorno si passi nella modestia e nel raccoglimento; se il Signore ne sia il principio, come dice l’Apostolo: Gaudete in Domino. Richiamatevi di tempo in tempo la sua santa presenza per innalzare il vostro cuore a Lui: Dominus prope est. Evitate diligentemente quegli eccessi e quelle dissolutezze che rendono talvolta quei giorni i più peccaminosi della vita. Qual indegnità vedere i matrimoni cristiani passarsi come i baccanali dei gentili; vedere i Cristiani andar a ricevere un Sacramento allo strepito dell’arme, al suono degli strumenti, quindi passar la giornata nella dissipazione, nel ballo, nella crapula ed in mille altri eccessi che attraggono la maledizione di Dio sopra i matrimoni, laddove benedetti ne sarebbero, se tutto si passasse nella modestia e nella pratica delle buone opere, e se, invece di fare tante spese, si facessero alcune limosine ai poveri. Ah quanto sarebbe da desiderare che i matrimoni si facessero come quello di Tobia e di Sara, del quale ci riferisce la Scrittura così belle circostanze! Quanto a bramare sarebbe che i nuovi sposi passassero i primi giorni delle loro nozze, come quei virtuosi Israeliti nell’orazione, nella continenza e nella pratica delle virtù! – Sì felici principi assicurerebbero loro una serie d’anni ripieni delle benedizioni del Signore. – Ma siccome non basta il ben cominciare, vediamo come viver convenga nel matrimonio.

II. PUNTO PER UN II. DISCORSO

Sopra il matrimonio.

Obsecro vos ego vinctus in Domino ut digne ambuletis in vocatione qua vocati esti

Eph. IV

Il buon ordine della vita dipende dalla fedeltà di ciascuno nell’adempiere fedelmente agli obblighi del suo stato. Ciò raccomandava singolarmente l’Apostolo s. Paolo ai primi Cristiani che aveva in Gesù Cristo rigenerati: ed aveva tanto più di ragione di tener loro questo discorso quanto che, essendo egli in prigione per l’amor del suo Dio, dava loro un esempio ben vivo della fedeltà che ciascheduno deve avere nel corrispondere alla grazia della sua vocazione, Obsecro vos ect. La stessa esortazione vengo anche io ad indirizzarvi, fratelli miei, in qualunque stato voi siate. Siete voi nel celibato ed avete virtù bastanti per mantenervi in quello stato? Stimate la vostra sorte come la più felice e la più perfetta, la quale vi preserva da molte inquietudini e più sicuramente vi conduce al porto della salute dimostratene la vostra riconoscenza al Signor con la più esatta fedeltà al divin sposo che scelto vi avete. Siete voi impegnati nel matrimonio? Voi non avete peccato, dice s. Paolo, eleggendo questo stato: non cercate a rompere nodi che Dio medesimo ha formati: ma applicativi a compier fedelmente gli obblighi dello stato che avete eletto. – Or siccome molto più sono le persone impegnate nel matrimonio che quelle che non lo sono, ed è questo stato il più comune nel mondo anche cristiano, così alle persone maritate indirizzo in quest’oggi la parola per indurle a corrispondere alla grazia della loro vocazione: Obsecro vos etc. Il matrimonio, è vero, è uno stato duro e penoso, è un giogo che ha molte amarezze; ed il grande Apostolo aveva ben ragione di dire che coloro i quali vi si impegnano avrebbero molte tribolazioni; ma ciò che rende ancora questo giogo più grave ed insopportabile a molti si è che non sanno mettere a profitto le grazie che Dio loro dà per portarlo. Se ciascuno fosse esatto ad adempiere le sue obbligazioni, questo giogo diverrebbe leggiero, e le sue amarezze si cangerebbero in dolcezze; troverebbero nel matrimonio la sua felicità per questa vita e per l’altra. Di somma importanza dunque è, fratelli miei, apprendere ad adempiere fedelmente i doveri che v’impone il matrimonio. Ecco quanto mi propongo di fare in questa istruzione che alle persone maritate indirizzo.

II. Punto. Considerare si può il matrimonio sotto due qualità che gli obblighi tutti ne racchiudono, cioè come Sacramento e come contratto di società: come Sacramento impone grandi obbligazioni per riguardo a Dio; come contratto di società, grandi obbligazioni impone per riguardo al prossimo. Diamo alcune spiegazioni a questi due capi. Quali sono le obbligazioni che il Sacramento del matrimonio impone per rapporto a Dio? Si può dire primieramente che Egli chiede dal canto delle persone maritate una grande fedeltà nel mettere a profitto la grazia sacramentale che hanno ricevuta per adempiere i disegni di Dio sopra di essi. Ma quel che dire vi devo di particolare si è che il Sacramento esige per un titolo speciale dalla parte di coloro che vivono in questo stato, una castità coniugale, la quale, sebbene meno perfetta della verginità, ha nondimeno il suo merito e le sue difficoltà. Poiché non crediate che, per essere uniti insieme con legami indissolubili, voi cessiate di appartenere al Creatore. Il dominio reciproco che dati vi siete l’uno sopra l’altro non può in niente derogare a quello che il celeste Sposo ha diritto di esercitare sopra i vostri corpi e il vostro spirito. Ora questo Dio di purità vuole che conserviate questi spiriti e questi corpi in una continenza la quale ritenga le vostre passioni nei limiti di quel che vi è soltanto permesso per adempiere il fine del matrimonio. Vuole, dice s. Paolo, che evitiate tutto ciò che può offendere l’onestà: Honorabile connubium in omnibus. Guardatevi dunque bene dall’usar del matrimonio come i pagani, che non conoscono Iddio; ma operate come i Cristiani, che rispettar debbono i loro corpi, come i tempi dello Spirito Santo. Per mettervi a coperto d’ogni rischio, fate spesso, giusta l’avviso dello stesso Apostolo, serie riflessioni sopra la brevità del tempo, sopra la vicinanza della morte, affine di regolarvi nel matrimonio con tanta precauzione e saviezza come se maritati non foste: Qui habent uxores, tanquam non habentes sint. Innalzate i vostri cuori a Dio con frequenti preghiere per ottenere le grazie che necessarie vi sono per trionfare degli assalti del nemico di salute. Ecco quanto dire vi posso dopo s. Paolo sopra una materia le cui particolarità offender potrebbero le orecchie caste, e per cui vi rimando al tribunale delle vostre coscienze e agli avvertimenti dei vostri padri spirituali. Abbiate cura d’istruirvi, se avete qualche dubbio; e non operate giammai contro la vostra coscienza, ma seguite sempre i lumi della vostra Religione. – Veniamo ora ai doveri della società, che il matrimonio impone alle persone che ne sono il soggetto. Se il matrimonio ci rappresenta l’unione che Gesù Cristo ha contratto con la sua Chiesa, si può dire altresì che le persone maritate trovano in questa unione il modello perfetto che imitar debbono per compiere le loro obbligazioni. Tale è quello che loro propone il santo Apostolo nelle istruzioni che ha fatte su questa materia. Ora in che maniera si è unito Gesù Cristo alla sua Chiesa? Quali sono gli effetti di questa unione affatto santa e divina? Gesù Cristo si è unito alla sua Chiesa in un modo inseparabile: Il Verbo divino non lascerà giammai la sua santa umanità; egli ha promesso di essere con la sua Chiesa sino alla consumazione dei secoli: quest’unione è il fondamento di un amor puro e benefico dalla parte del capo, e di una ubbidienza perfetta dalla parte dei membri. Su questo modello, fratelli miei, deve essere formata la vostra società. Deve ella essere sostenuta da una fedeltà inviolabile l’uno per l’altro; deve essere il nodo di una amicizia sincera e rispettosa tra il marito e la moglie, ed ha da stendersi sopra i figliuoli che ne sono il frutto. Tali sono le obbligazioni del contratto di società che fassi nel matrimonio. Non solamente nella legge di grazia il matrimonio è stato riguardato come un legame indissolubile; ma questa qualità gli è stata propria sin dalla sua prima istituzione. Avendo Dio medesimo formata questa alleanza, non era in potere dell’uomo di romperla: Quod Deus conjunxit, homo non separet (Matth. XIX). E certamente ne ha Iddio con ragione in tal maniera disposto; mentre essendo il cuore dell’uomo d’un carattere sì soggetto a cangiarsi e sì facile a disgustarsi anche di ciò che più gli piace, di quanti inconvenienti la rottura dei matrimoni sarebbe mai la sorgente? A quanti disordini non aprirebbe la porta? Si vedrebbero i figliuoli abbandonati, le famiglie intorbidate dalle dissensioni, la società umana interamente distrutta e sconvolta. Toccava dunque alla sapienza di Dio il prevenire questi disordini con l’indissolubilità del matrimonio: il che lo distingue dalle altre unioni, le quali cessar possono avanti la morte di coloro che formate le hanno, laddove quella del matrimonio non può rompersi che con la morte del marito o della moglie; ma dopoché questo contratto è stato da Gesù Cristo innalzato alla dignità di Sacramento, ha ricevuto una perfezione più grande di quella che aveva nella antica legge; non può adesso sussistere se non tra due persone, che si debbono l’una all’altra una fedeltà inviolabile; fedeltà che si promette in faccia degli altari, alla presenza degli Angeli e degli uomini; fedeltà che dee durare sino alla morte per non fare di due persone che un solo spirito, un cuor solo, un’anima sola. Ed è per questo carattere d’indissolubilità che il matrimonio della nuova legge rappresenta più perfettamente che quella dell’antica l’unione di Gesù Cristo con la sua Chiesa: Sacramentum hoc magnum est in Christo et Ecclesia (Eph. V). Ma fassi al giorno d’oggi grande attenzione a quelle sacre promesse che contratte si sono nel matrimonio, e che si violano alla prima occasione con disprezzo di quanto ha di più sacro la Religione? O cieli! quale strano rovesciamento! Ciò che esser doveva un rimedio alla concupiscenza dell’uomo, non serve in questo secolo di miseria che a renderlo più licenzioso e più colpevole. Quali abbominazioni e quali dissolutezze non si nascondono sotto il velo del matrimonio? Che, fratelli miei? Si avrebbe rossore di mancar alla sua parola nelle vendite e nelle compre, e non si avrà rossore di mancare alla fedeltà che si è giurata a piè dell’altare? Qual crudele Ingiustizia! Si promette in quest’oggi un affetto inviolabile alla persona con cui si contrae alleanza; e domani si volgono le mire e le sue inclinazioni verso un oggetto straniero. Sembra che il piacere consista nell’offender Dio, e che le cose permesse debbano infastidirvi. Tale è il carattere bizzarro dell’uomo, egli cerca con ardore quel che non ha, dopo essersi disgustato di ciò che possiede. Bisogna dunque, fratelli miei, fissarvi all’oggetto che avete scelto; persuadendovi che vale più di qualunque altro, come diceva altre volte Tertulliano alle persone maritate, per impegnarle a vivere in buona armonia. Infatti non sarebbe meglio non aver mai formato vincolo alcuno con una persona che vivere insieme come i più gran nemici che siano nel mondo? Comprender possiate voi tutti che mi ascoltate quanto grande è il disordine di quelle anime ree le quali di un legame indissolubile, qual si è il matrimonio, ne fanno il soggetto di una disunione, di un divorzio scandaloso, che fa passare i giorni nella tristezza, che rende la vita più dura della morte, che cagiona la rovina delle famiglie, che forma lo scandalo della Religione. Guai a quelli che ne fanno per colpa loro la trista esperienza! Si rendono colpevoli innanzi a Dio d’ingiustizia, violando le promesse e la fede coniugale; di sacrilegio, profanando un Sacramento che li obbliga per un diritto particolare a serbarsi inviolabile fedeltà. Volete voi evitare, fratelli miei, una sì grave disgrazia? Siano i vostri matrimoni uniti coi legami di una amicizia pura e soda, efficace e rispettosa. Il grande Apostolo ve ne dà un modello perfetto nell’amore che Gesù Cristo ha per la sua Chiesa e nell’ubbidienza che la Chiesa rende a Gesù Cristo; mariti, amate le vostre moglie, come Gesù Cristo ha amata la sua Chiesa : Viri, diligite uxores vestras, sicut et Christus delixìt Ecclesiam (Eph. V). Ora qual è stato l’amore di Gesù Cristo per la  Chiesa? É stato si grande che Egli si è dato per essa, come dice lo stesso Apostolo, affine di renderla santa e gloriosa; la nutre, provvede a tutti i suoi bisogni, comunicandole i suoi tesori e le sue grazie. In tal modo devo noi mariti amare le proprie mogli. Il loro amore, per esser simile a quello di Gesù Cristo, ha da essere puro, casto e regolato, vale a dire, non deve esser guidato dalla passione, ma secondo Dio,il quale dee esserne il principio ed il fine. Quest’amore pure e casto ha da essere senz’artifizio e senza finzione: Dilectio sine simulatione (Rom. XII). Deve scacciare vicendevolmente qualunque diffidenza; non sa che cosa sia quella gelosia mesta e stizzosa, quei sospetti ingiuriosi cui s’abbandonano certi mariti su cattivi rapporti che loro si fanno della condotta di una moglie che diventa così la vittima di una cieca o funesta passione senza per altro aver dato alcun motivo di sospettare della sua fedeltà. Un’altra regola che il dottor delle genti propone a seguire per l’amore che i mariti debbono alle loro mogli è l’amore ch’essi hanno pei loro corpi. Colui, dice egli, che ama sua moglie, ama se stesso: Qui suam uxorem diligit, seipsum diligit. Niuno ha mai odiato la sua propria carne; così i mariti odiar non devono le loro mogli. Qual affetto non si ha pel suo corpo? Se ne ha cura, si nutre per conservarlo in sanità; se è infermo, si compatisce, si ristora, nulla si risparmia per guarirlo. In questa guisa voi, o mariti, amar dovete le vostre mogli; ed è questa altresì la regola ed il modello che le mogli debbono seguire nell’amore che han da portare ai loro mariti. In virtù dell’unione che avete contratta insieme, tutti i beni e i mali debbono esser tra voi comuni; i beni per sostenere i pesi del matrimonio, e i mali per essere raddolciti dagli aiuti di cui vi siete vicendevolmente debitori. Se uno è nell’allegrezza, deve l’altro parteciparvi; se uno è nella malinconia, dee l’altro risentirla: gaudere cum gaudentibus, fiere cum flentibus. Lungi da voi dunque quella durezza di cuore che si osserva in certi mariti i quali riguardano le proprie mogli come schiave piuttosto che come loro compagne; che ricusano sino le cose necessarie ad esse ed alla loro famiglia, mentre essi d’altra parte dissipano i loro averi, di cui non sono che gli economi; che alle mogli non partecipano alcuno dei loro affari, né ascoltar vogliono alcun avvertimento da esse, ma vogliono il tutto fare da se stessi, come se una moglie fosse una straniera che entrar non dovesse in società dei loro disegni. E non è questo peccare contro il fine del matrimonio, che render dee ogni cosa comune tra i mariti e le mogli, lo spirito, il cuore e gli averi. – Ma se i beni esser debbono comuni tra le persone maritate, i mali debbono esserlo ancora per ricevere l’uno dall’altro i soccorsi necessari per raddolcirli. Ora quante miserie non è l’umana condizione soggetta? Accadono talvolta sinistri accidenti, perdite di beni che desolano le famiglie, infermità, malattie che ne consumano tutti i redditi e che, rovinando la sanità, rendono inutile una persona la quale non è più che a carico e non è più capace che di cagionar noia, disgusto e mille gravose inquietudini. Si cerca una invitta pazienza per sostenere in quei momenti la natura oppressa sotto il peso della tribolazione! Ma è allora appunto che un amore pietoso deve venire al suo soccorso per consolarla nell’afflizione, per aiutarla nell’infermità: allora debbono il marito e la moglie ricordarsi delle promesse solenni che fatte si sono vicendevolmente di mantenersi la fede, di aiutarsi, in qualunque stato si ritrovino. Quello dei due che non è infermo né afflitto pongasi nelle veci di quello che lo è, per dargli tutti i soccorsi che nel bisogno medesimo vorrebbe egli stesso ricevere; ma diensi questi aiuti con gioia e piacere, come dice l’Apostolo; qui miseretur in hilarilate (Rom.XII), e non con maniere aspre e dispiacevoli, che ne fanno perder il merito: neppure aspettar conviene che uno chieda soccorso all’altro, bisogna prevenirlo con offerta di servigio, con reciproche cortesie: Honore invicem prævenientes (Rom. XII). Ma se l’amore degli sposi deve essere pietoso per alleggerire i mali e le miserie della vita, non deve esserlo di meno per sopportare i difetti cui essi sono sottoposti. È questo un punto di morale che vi prego di ben bene osservare. Certa cosa è non esservi alcun nel mondo il quale esente sia da difetti: ciascuno ha i suoi, e sarebbe ingannarsi a gran partito il credere di non averne alcuno. Non bisogna dunque immaginarsi che, sposando una persona, si debba trovarla perfetta: si sposano con essa i suoi difetti, le sue imperfezioni; s’incorre nell’obbligo sin d’allora di soffrirli; e se sopportar non si volevano i difetti l’uno dall’altro, bisognava o non contrarre giammai alcuna società o romperla interamente. Se tutte le persone maritate fossero ben persuase di queste verità, si vedrebbero forse ai nostri giorni tante dissensioni nei matrimoni, tanti contrasti, tante guerre domestiche, che ne disturbano il riposo e la pace? Si udirebbero forse tante parole ingiuriose, tante maledizioni ed imprecazioni dei mariti contro le mogli, delle mogli contro i mariti, che scandalizzano la famiglia e che la cagion saranno della loro eterna dannazione? Donde vengono questi disordini? Dal difetto di pazienza nel sopportarsi l’un l’altro; niuno sforzo vogliam fare per perdonarci vicendevolmente un’offesa. Vogliamo bensì che gli altri ci sopportino e ci perdonino, ma sopportar non vogliamo né  perdonare agli altri; ciascheduno vuol avere ragione, e niuno vuol rendersi giustizia. Dopo questo si lamentano che è impossibile di salvarsi nel matrimonio: vi si rimira la virtù come impraticabile, lo non ne sono punto sorpreso, fratelli miei, perché far non sapete di necessità virtù; perché mancate di condiscendenza l’uno per l’altro, laddove, se voi sopportaste pazientemente i difetti delle persone con cui obbligati siete di vivere, la vostra società sarebbe assai più dolce. Dio ne resterebbe meno offeso, la vostra salute più sicura. Sopportatevi dunque gli uni con gli altri, come dice s. Paolo: Alter alterius onera portate (Gal. VI). – Perciò sopportate, o mariti, i difetti delle vostre mogli. Voi vi dolete del loro cattivo umore, dei loro capricci; voi loro rimproverate ch’esse trovano da dire a tutto ciò che voi fate; ve lo accordo, meritano le vostre riprensioni: ma non hanno esse a lamentarsi di voi, che siete un dissoluto, un collerico, uno scialaquatore? Volete voi che esse vi perdonino? Perdonate loro ancora voi. Lo stesso dico alle mogli riguardo ai loro mariti. Se la carità vi obbliga a riprendervi l’un l’altro, ciò sia con prudenza, con dolcezza ed in un tempo che possiate guarir il male e non inasprirlo; se le vostre prudenti correzioni, i vostri buoni consigli a nulla servono, pregate l’un per l’altro. A che inquietarvi di ciò che impedir non potete e di cui non risponderete a Dio, il quale giudicherà ciascheduno secondo le sue opere? Quando avrete fatto quanto potete dal canto vostro, lasciate far a Dio il restante; forse la vostra pazienza, la vostra virtù, le vostre preghiere ricondurranno al dovere la parte colpevole. Sia come si voglia, fratelli miei, ritorno al principio, bisogna fare necessità virtù, sopportandovi pazientemente l’un l’altro nei vostri difetti; è questo il mezzo di conservare l’unione e la pace, la quale fa la felicità dei matrimoni. Voi nulla tralasciar dovete per conservare questa pace sì preziosa, che deve essere il vostro rifugio contro le altre disgrazie della vita. Non basta forse che abbiate molestie al di fuori, senza inquietarvi l’un l’altro con altercazioni, con inimicizie, con cattivi trattamenti? Non dovete all’opposto consolarvi scambievolmente delle altre disgrazie che vi accadono, o pei disastri della fortuna o per la persecuzione dei vostri nemici? Ora per avere questa pace nel matrimonio, bisogna che ciascuno adempia i suoi doveri a riguardo l’uno dell’altro, che i mariti amino le loro mogli, come Gesù Cristo ha amata la Chiesa, che le mogli siano sottomesse ai loro mariti, come la Chiesa lo è a Gesù Cristo; è sempre la dottrina del grande Apostolo: Sicut Ecclesia subiecta est Christo, ita mulieres viris suis in omnibus (Eph. V). La ragione che egli nedà si è che siccome Gesù Cristo è il capo della Chiesa, così le moglie riguardare debbono i propri mariti come loro capi estare ai medesimi sottomesse in tutto quello che non è contrario alla legge di Dio: perocché, se i loro mariti volessero con la loro autorità costringere a qualche azione contraria alla legge del Signore: debbono esse piuttosto piacere a Dio che ai loro mariti. Bisogna dunque che questi usino della loro autorità con prudenza ed amore:con prudenza, per nulla comandare contro la legge di Dio; con amore, per trattare le loro mogli non come schiave, ma come compagne che esser devono a parte con essi delle dolcezze dellasocietà.Per finir di trattare delle obbligazioni delle persone maritate, mi converrebbe parlare ancora dei doveri riguardo ai figliuoli, che ne sono la conseguenza:ma la materia richiede una istruzione particolare; e perciò finisco esortandovi a camminar fedelmente nella vocazione cui Dio vi ha chiamati. Se voi non siete ancora legati da matrimonio ed aspirate a questo stato, preparatevi ad esso con l’orazione, e la regolarità della condotta, con la rettitudine delle intenzioni, con la purezza della coscienza. Se siete in esso impegnati, siate fedeli ad adempiere gli obblighi vostri verso Dio e verso il prossimo:verso Dio con la purità delle vostre menti e dei vostri corpi: verso il prossimo con un amore puro, sincero, efficace e pietoso. Se preso avete il partito del matrimonio contro la volontà di Dio, e siete riuscito male nella scelta che avete fatta e siete mal contenti della vostra sorte, non bisogna per questo perdersi di coraggio né disperare della vostra salute: Sebbene non vi abbia posti Dio nei legami in cui vi siete impegnati da voi medesimi, vuole nondimeno che vi dimoriate perché non è in poter vostro di romperli; e siccome salvar vuole gli uomini tutti, in qualunque stato siano, vi darà le grazie necessarie, cui non avete che a corrispondere per esser salvi. È dunque inutile voler ritornare indietro, desiderare un altro stato in cui esser non potete; ciò sarebbe tormentarvi invano: peggio ancor fareste abbandonando all’impazienza, mormorando, bestemmiando contro coloro che sono la cagione della vostra disgrazia.

Pratiche. Ma ciò che voi far dovete si è di offrir a Dio le pene del vostro stato in penitenza del falso passo che avete fatto; si è di vegliare così attentamente su voi medesimi, di essere così fedeli a compiere i vostri doveri, che vi meritiate dalla parte di Dio le grazie particolari dello stato in cui impegnati vi siete; si è di farvi un merito di ciò che evitar non potete. Sopportate con pazienza i difetti della persona che non vi conveniva; non fate giammai sapere altrui i vostri disgusti; le vostre riflessioni e i vostri ragionamenti su di ciò non farebbero che accrescere i vostri affanni: ma cercate in Dio solo la vostra consolazione. Andate con questa mira a visitar qualche volta il Santissimo Sacramento per chieder a Gesù Cristo quanto vi è necessario, la pazienza di soffrire per amor suo. Ricorrete alla protezione di Maria Vergine e di s. Giuseppe, protettori delle persone maritate; recitate ogni giorno qualche preghiera in loro onore; frequentate spesso i Sacramenti, in cui riceverete le grazie e i lumi che vi fortificheranno, sebbene aveste un marito, una moglie infedele. L’apostolo s. Paolo non dice forse che la moglie fedele santifica il marito infedele, e che il marito fedele santifica la moglie infedele con le cure e le sollecitudini che l’uno si dà per convertir l’altro e condurlo a Dio? Così diportossi s. Monica riguardo a suo marito, così Clotilde riguardo a Clodoveo il primo dei re di Francia Cristiani. Proponetevi questi modelli ad imitare, e tanti altri di cui vedete gli esempi, che si santificano nello stato del matrimonio, malgrado gli ostacoli, che vi riscontrano. Servite a Dio, come essi, con fervore adempiendo i doveri del vostro stato. Perché non farete voi dunque quel che fanno essi, giacché aspettate la medesima ricompensa, che è la vita eterna? Cosi sia.

Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Ps LXV: 1-2; 16
Jubiláte Deo, univérsa terra: psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja
. [Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: cantate un salmo al suo nome: venite, e ascoltate, voi tutti che temete Iddio, e vi racconterò quanto Egli ha fatto per l’anima mia. Allelúia.]

Secreta

Oblata, Dómine, múnera sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.  [Santifica, o Signore, i doni offerti, e mondaci dalle macchie dei nostri peccati.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joann II: 7; 8; 9; 10-11
Dicit Dóminus: Implete hýdrias aqua et ferte architriclíno. Cum gustásset architriclínus aquam vinum factam, dicit sponso: Servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc signum fecit Jesus primum coram discípulis suis. [Dice il Signore: Empite d’acqua le pile e portate al maestro di tavola. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino disse allo sposo: Hai conservato il vino migliore fino ad ora. Questo fu il primo miracolo che Gesù fece davanti ai suoi discepoli.]

Postcommunio

Oremus.
Augeátur in nobis, quǽsumus, Dómine, tuæ virtútis operatio: ut divínis vegetáti sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda, tuo múnere præparémur.
[Cresca in noi, o Signore, Te ne preghiamo, l’opera della tua potenza: affinché, nutriti dai divini sacramenti, possiamo divenire degni, per tua grazia, di raccoglierne i frutti promessi.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/