L’INABITAZIONE DELO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (1)

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (I)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia Dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°) -P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929

Approbation de l’ordre:

fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).

Imprimatur:

Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd.

Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900.

E. THOMAS, V. G.

Al nostro caro figlio, Barthélemy Froget, dell’Ordine di San Domenici, a Poitiers.

LEONE XIII, PAPA.

Caro figlio, salute e benedizione Apostolica.

La pietà dei Cattolici, si compiace di offrirCi frequentemente i frutti del loro talento e della loro scienza. Di questi lavori, i più graditi sono per Noi quelli che mettono in luce i Nostri stessi insegnamenti. Così il libro di cui Ci avete recentemente fatto omaggio, merita un favore particolare.

   Voi vi esponete, secondo le dottrine del Dottore Angelico, in un trattato ricco e luminoso, l’ammirevole inabitazione dello Spirito Santo nelle anime giuste. Questo punto della fede cattolica sì capitale e sì consolante, lo abbiamo Noi stesso costantemente raccomandato nella nostra Enciclica Divinum illud munus, allo zelo di coloro che, seguendo il dovere della loro carica, si dedicano alla cura ed alla salute eterna delle anime. Interessa sovranamente in effetti, dissipare nel popolo cristiano l’ignoranza di queste alte verità, e di conseguenza occorre che tutti si applichino a conoscere, ad amare ed a implorare il dono di Dio Altissimo, dal quale provengono tanti preziosi benefici. Il vostro libro ha già largamente contribuito a raggiungere questo scopo, Noi ve ne felicitiamo e ci compiacciamo nello sperare che questo bene continuerà sempre di più, cosa che vivamente Noi desideriamo. E lodando la vostra perfetta sottomissione alla nostra Autorità, ed i vostri sentimenti di figlio devotissimo verso la Nostra Persona, vi accordiamo con tutta l’affetto del Nostro cuore, la benedizione apostolica, in segno della Nostra paterna benevolenza e come pegno di grazie divine.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 febbraio dell’anno 1901, ventiquattresimo del nostro Pontificato.

LEONE XIII, PAPA.

PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

Se c’è una verità preziosa da conoscere  e dolce da contemplare, una verità che offre un interesse più che straordinario, contenente in qualche modo il midollo del Cristianesimo, una verità frequentemente ricordata nei libri santi e nondimeno lasciata per così dire completamente nell’ombra dal pulpito contemporaneo, anche quando l’oratore si rivolge a questa élite di anime che chiede se non di penetrare sempre più nel mistero del regno di Cristo, è sicuramente il dogma sì pio, sì consolante, sì confortante della presenza e dell’inabitazione dello Spirito Santo nelle anime giuste. Questa bella dottrina tanto amata dai Padri, sì spesso trattata da essi, sia nelle loro esortazioni ai fedeli sotto forma di omelie, sia nelle loro controversie con gli eretici avversari della divinità del Verbo o dello Spirito Santo, fu piamente raccolta dalla teologia del Medio Evo, in particolare dal più grande tra essi, il principe della scolastica, l’angelico Dottore San Tommaso d’Aquino, che se ne è, per così dire, appropriato e l’ha come marcato del suo sigillo, formulandola con tutta la precisione del linguaggio teologico. – La si ritrova più tardi esposta con amore ed una emozione che si avverte sotto le freddezze della lettera, dai principali rappresentanti della scienza sacra, i Gonet, i Giovanni di San Tommaso, i Suarez, i teologi di Salamanca; essa forma, nelle loro opere, come un’oasi piena di freschezza che interrompe piacevolmente l’aridità e la secchezza delle discussioni teologiche. Petau e Thomassin l’ornarono dei tesori della loro erudizione, riproducendone qualcuno dei più bei passaggi dei santi Padri, e lungi dall’essere invecchiata ai giorni nostri, è stata al contrario rimessa in onore da qualche celebrità contemporanea; gli eminentissimi Cardinali Franzelin e Mazzella nei loro sapienti trattati, mgr. Gay nelle sue conferenze notevoli su « La Vita e le virtù cristiane », ed altri ancora l’hanno affrontata con incontestabile talento e diverse fortune. – Da dove viene che essa è ancora così poco conosciuta, e quindi poco apprezzata, anche dagli uomini del santuario? Si sa bene, senza dubbio, almeno vagamente, per avere inteso dire senza altre spiegazioni, o aver letto nel santo Vangelo che lo Spirito Santo, o piuttosto la Santa Trinità intera, abita nelle anime che hanno la felicità di essere nello stato di grazia e di possedere la carità; ma in cosa consiste questa inabitazione? Come si distingue dall’onnipresenza divina? Cosa apporta di speciale a colui che ne è gratificato? Quali ne sono i risultati e gli effetti? Ecco ciò che si ignora e ciò che importa estremamente conoscere; perché senza questo, simile ad un astro perduto ai confini del mondo e che non invia a noi che una luce debole ed indistinta, la nozione che si possiede di questo punto della Dottrina Cattolica è troppo vaga, troppo confusa, per colpire ed impressionare fortemente le anime, producendovi questi frutti salutari di gioia e di consolazione che è chiamata a portare. – Sarebbe dunque una questione inabbordabile per le intelligenze ordinarie? È un libro sigillato, di cui qualche raro privilegiato possiede il segreto di rompere i sigilli e decifrare i caratteri? Ma no; noi speriamo bene, con la grazia di Dio, di mettere questa dottrina alla portata di tutti i nostri lettori; si dirà che si tratti di una teoria molto bella, è vero, ma senza influenza pratica nella condotta della vita? Non è così; questo studio, in apparenza speculativo, è fecondo di pratici insegnamenti, ed offre a coloro che non temono di intraprenderlo, non solo delle gioie vive e pure, ma ancora dei motivi potenti di santificazione. – Il nostro disegno, scrivendo queste pagine, è quello di mettere alla portata delle anime di buona volontà e degli spiriti anche poco abituati alle speculazioni teologiche, ma avidi di verità e gelosi di lasciare il terra-terra delle discussioni quotidiane, una dottrina contenente il nostro più alto titolo di gloria e di nobiltà. Ma i nostri sforzi di portare, in questo studio, tutta la chiarezza che comportano delle materie sì elevate, prendono come guida il maestro incomparabile di cui l’illustre Pontefice Leone XIII non cessa di raccomandare gli insegnamenti, e di cui noi siamo fieri di dirci un umile discepolo: San Tommaso d’Aquino, che ha proiettato su questa questione, come su tante altre, le luci del suo genio. Non è che egli abbia trattato con questa abbondanza di dettagli e questa ampiezza di sviluppi che si poteva desiderare; egli si è piuttosto contentato di porre i principi e di condensare il suo pensiero in una di queste formule brevi ma ricche di sostanza che si incontrano in ogni pagina della Summa teologica. Da questo stile fermo, limpido, elevato, che lo caratterizza, egli ha espresso in poche parole tutto ciò che occorreva dire per essere compreso dagli spiriti iniziati alla terminologia scolastica, lasciando ad altri che ne hanno l’agio, il gusto e la facilità, la cura di sminuzzare la sua dottrina e di metterla, per mezzo di sviluppi appropriati, alla portata di tutte le intelligenze. È lo scopo che noi ci siamo proposto. – Il nostro compito consisterà dunque nel mettere in rilievo il pensiero del santo Dottore, e nel tradurre in un linguaggio intellegibile per tutti, queste formule sapienti sì chiare per gli iniziati, ma che non offrono al comune lettore che un enigma spesso indecifrabile. Noi trarremo ugualmente dalla santa Scrittura e dai Padri della Chiesa un certo numero di testimonianze che avranno il doppio vantaggio di chiarire i nostri insegnamenti corroborandoli, e mostrare su quali fondamenti solidi essi poggiano.

PRIMA PARTE

DELLA PRESENZA COMUNE ED ORDINARIA DI DIO IN OGNI CREATURA.

CAPITOLO PRIMO

Della presenza di Dio in tutte le cose

IN QUALITÀ DI AGENTE O DI CAUSA EFFICIENTE

Prima di affrontare il problema interessante ma arduo dell’abitazione dello Spirito Santo nelle anime giuste, e dell’unione misteriosa che ne è la conseguenza, prima di stabilire il fatto di una presenza nello stesso tempo sostanziale e speciale delle Persone divine nelle anime santificate dalla grazia e trasformate da essa in un tempio vivente, ove dimora e si compiace l’augusta e adorabile Trinità, ci sembra utile, finanche necessario, in una certa misura, esporre preliminarmente il modo ordinario e comune secondo il quale Dio è in tutte le cose. Come in effetti avventurarsi ragionevolmente a parlare di una presenza della Divinità speciale ai giusti, se non si comincia con l’esporre chiaramente in cosa consista una presenza ordinaria in ognuna delle creature? – Per essere nello stato di stabilire solidamente un giudizio serio su questi due modi di presenza e di ben discernere l’uno dall’altro, importa conoscere i loro rispettivi caratteri, sapere ciò che essi abbiano in comune e ciò che li differenzi, e per questo occorre analizzarli, compararli, determinare la loro natura. Procedendo differentemente, dissertando in maniera più o meno sapiente dell’inabitazione di Dio mediante la grazia senza avere innanzitutto ben stabilito e convenientemente spiegato la sua inesistenza nel mondo della natura, ci si esporrebbe al grave inconveniente di non dare che delle nozioni incomplete, e lasciare nello spirito del lettore delle deplorevoli oscurità. Noi non ci attarderemo tuttavia a provare lungamente il fatto dell’onnipresenza divina, sulla quale tutti i Cattolici sono d’accordo, riservandoci di studiare più da vicino la maniera di intenderla alfine di ricavarne il vero concetto dell’immensità divina e di preparare le vie all’intelligenza della presenza speciale di Dio nei giusti.

I.

Che Dio sia dappertutto, in cielo, sulla terra, in tutte le cose ed in tutti i luoghi; che sia intimamente presente a ciascuna delle sue creature, è dogma di fede, nel contempo una verità razionale conosciuta da tutti, non solo da pensatori, filosofi o teologi, ma persino dal bambino la cui intelligenza cominci appena a schiarirsi; è una delle prima lezioni che riceve sulle ginocchia della madre, uno dei primi insegnamenti che cadono dalle labbra di un educatore credente. – Questa dottrina che il più umile dei Cristiani conosce fin dall’aurora della sua vita mortale e che ripete senza comprenderne la portata, né sospettarne la profondità, l’Apostolo San Paolo l’insegnò già davanti al più illustre uditorio che fosse al mondo. In effetti, non era ad una folla di ignoranti, ma ai rappresentanti in qualche modo ufficiali della scienza umana, ai membri dell’Aeropago, a cui si indirizzava, quando, a proposito dell’esistenza di Dio in seno agli esseri creati, egli diceva: « Dio non è lontano da voi, perché noi viviamo, ci muoviamo, esistiamo in Lui: quanvis non longe sit ab unoquoque nostrum: in ipso enim vivimus, et movemur et sumus (Act. XVII, 27-28) ». – Il Salmista aveva insegnato – egli pure – o piuttosto cantato da molti secoli questa onnipresenza divina:  « Signore – aveva detto – Voi conoscete tutto, l’avvenire più lontano come il passato più profondo; Voi mi avete formato ed avete posto la vostra mano su di me. La scienza che avete di me è ammirabile ed io sono incapace di apprenderla. Come sottrarmi al vostro sguardo? Se salgo il cielo, Voi là siete; se scendo negli inferi anche là vi trovo. Se apro la mie ali, fin dal mattino, per fuggire verso le estremità del mare, la vostra mano mi conduce, la vostra destra mi sostiene. Io ho detto: forse le tenebre mi nasconderanno e la notte avvolgerà i miei piaceri. Ma le tenebre non hanno oscurità davanti a Voi, e la notte ha il chiarore del giorno per Voi (Ps CXXXVIII, 5-12) ». E per meglio convincerci dell’impossibilità in cui ci troviamo di sottrarci al suo sguardo, Dio, riproducendo l’infermità del nostro linguaggio alfine di mettersi più completamente alla nostra portata, ci dice per bocca del Profeta: « Colui che si nasconde, spera di sottrarsi ai miei occhi? Non riempio forse il cielo e la terra ? Numquid non cælumet terram ego impleo? (Ger. XXIII, 24) ». – Sarebbe superfluo mostrare altre testimonianze  per stabilire una verità che è universalmente ammessa da chiunque riconosca l’esistenza di un Essere infinito, Autore di tutte le cose. Si vorrà bene, tuttavia, permetterci di riprodurre qui, a causa della sua importanza, la prova filosofica dell’onnipresenza divina, data da San Tommaso.  Dio – egli dice – è in ogni cosa, non come parte della loro essenza o come un elemento accidentale, ma come l’agente è presente al soggetto sul quale opera. Egli è in effetti, di tutta necessità, che la causa efficiente sia unita al soggetto sulla quale essa esercita un’azione immediata, e che entra in contatto con esso se non con la sua sostanza, almeno con la sua virtù attiva e le sue energie, « Deus est in omnibus rebus … sicut agens adest ei in quod agit. Oportet enim omne agens conjungi ei in quod immediate agit, et sua virtute illud contingere (Summ theol. I, q. VIII, a, I) ». Così è che il sole, benché situato ad una distanza enorme dal nostro pianeta, lo raggiunga non di meno con la sua virtù; come in effetti, sarebbe in grado di illuminare e riscaldare se i suoi raggi non pervenissero ad essa? Ora, Dio opera in ogni creatura, non solo con l’intermediario delle cause seconde, ma ancora in maniera diretta ed immediata, producendovi da se stesso, e conservandovi parimenti, ciò che vi è di più intimo e profondo, l’essere. Perché, come l’effetto proprio del fuoco è di bruciare, così l’effetto proprio di Dio, che è l’Essere per essenza, è produrre l’essere delle creature. Dunque Dio è in tutte le cose, intimamente presente in qualità di causa efficiente. « Unde oportet quod Deus sit in omnibus rebus et intime (Ibid. a. 1) ». Dio non è quindi come un volgare operaio, un pittore, ad esempio, o uno scultore, che rimane fuori dalla sua opera e non la tocca spesso in maniera immediate, ma con l’intermediazione di uno strumento e che, presente alla sua opera nel momento in cui la produce, può in seguito ritirarsi senza comprometterne l’esistenza. Dio è nel più intimo delle sue opere e se, dopo aver dato l’essere ad una creatura, ritirasse la sua mano e cessasse di sostenerla, ricadrebbe immediatamente nel niente da cui essa è uscita. – Se ora domandaste all’angelico Dottore come Dio, sostanza immateriale, inestesa ed indivisibile, possa trovarsi in tutti i luoghi, in fondo a ciascuno degli esseri che occupano i nostri spazi materiali, egli vi risponderà, riportando dalle cose di quaggiù un paragone già impiegato dai Padri, che vi sono tre maniere: per potenza, per presenza e per essenza. Egli è dappertutto con la sua potenza, perché tutto è sottomesso al suo sovrano impero, non meno di un re della terra che, benché confinato in fondo ad un palazzo, è reputato presente in tutte le parti del suo Stato, ove si fa sentire la sua autorità. Egli è dappertutto con la sua presenza perché Egli conosce tutto, vede tutto e nulla, per quanto possa essere nascosta, sfugge al suo sguardo; allo stesso modo degli oggetti che sono sotto i nostri occhi, benché leggermente distanti dalla nostra persona, sono detti essere in nostra presenza. Egli è dappertutto con la sua essenza, cioè realmente e sostanzialmente presente a ciascuna delle cose create, come un monarca è presente con la sua sostanza al trono sul quale è assiso. (S. Theol. I, q. VIII, a. 3). E la ragione di questa presenza sostanziale, è che non c’è alcuna creatura che possa sfuggire all’azione divina che la conserva all’esistenza e la muove alle sue operazioni; e siccome in Dio la sostanza e l’azione non sono realmente distinte, ne risulta che Egli è presente dappertutto ove operi, cioè in tutte le cose ed in tutti i luoghi. « Deus dicitur esse in omnibus per essentiam … quia substantia sua adest omnibus ut causa essendi  (S. Th. I, q. VIII, ad. 1) » – Nel suo Commentario sul primo libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, San Tommaso spiega questo triplice modo di presenza in una materia un po’ differente che, nell’escludere queella che stiamo per dare, ha il vantaggio di fare meglio mostrare il pensiero del santo Dottore relativamente alla presenza sostanziale di Dio in qualità di causa efficiente. Ecco le sue parole: « Dio è nelle cose create con la sua presenza, in tanto che vi operi, perché bisogna che l’operario sia presente in qualche modo alla sua opera; e perché l’operazione divina non si separi dalla virtù attiva da dove essa emana, bisogna dire che Dio è in tutte le cose per potenza; infine, come la virtù o la potenza di Dio è identica alla sua essenza, ne risulta che Dio è nelle cose con la sua essenza (S. Thomas, I, I, Sent. Dist. XXXVII, q. I a. 2). Queste parole di San Tommaso sono significative, e meritano che vi ci soffermiamo.

II.

Quando certi teologi, estranei alla scuola tomistica, vogliono spiegare l’onnipresenza divina, essi dicono che Dio è dappertutto con la sua essenza, perché la sostanza divina, essendo infinita, riempie il cielo e la terra. Per essi l’immensità è una proprietà in virtù della quale l’essenza divina è, per così dire, espansa all’infinito in tutte le specie esistenti o possibili; l’onnipresenza è la diffusione attuale dell’Essere divino compenetrante, senza mescolarsi ad essi, in tutti gli esseri e tutti i luoghi reali (Hurter, S. J., Theol. Dogm. Comp., de Deo uno.). – Si potrebbe dunque, secondo questa opinione, comparare l’immensità divina ad un mare senza rive e senza limiti, capace di contenere moltitudini innumerevoli di esseri di ogni natura e di ogni dimensione, in mezzo al quale si troverebbe immersa, nel tempo, una spugna che le acque penetrano debordanti da ogni parte: immagine di questo mondo che l’immensità di Dio penetra e deborda da ogni parte; con questa differenza, tuttavia, che Dio è tutto intero nel mondo e tutto intero in ciascuna delle sue parti, mentre ogni porzione dell’elemento liquido occupa uno spazio distinto. – Sant’Agostino si era formato nella sua giovinezza un concetto simile  dell’immensità divina. « O mio Dio, o vita dell’anima mia – dice nelle Confessioni – io vi credevo grande di una grandezza espansa in spazi infiniti, e penetrante la massa intera del mondo in modo tale che vi estendiate ancora da tutte le parti al di là di questo universo, senza avere né limiti né argini; e che la terra, il cielo, ogni cosa creata, essendo piena di Voi, terminasse in Voi, che non abbiate termine da alcuna parte. Perché come questa aria grossolana che circonda il mondo che noi abitiamo non saprebbe impedire alla luce del sole di aprirsi un passaggio attraverso la sua sostanza, non distruggendola o dividendola, ma penetrandola dolcemente e riempendola tutta intera delle sue luminosità; così io mi figuravo che Voi passaste non solo attraverso le sostanze dell’aria e dell’acqua, ma ancora che, penetrando la terra nella sua massa e fin nelle parti più piccole, dappertutto invisibile e presente, Voi governaste, mediante questa unione segreta e questa influenza tanto interiore che esteriore, tutte le cose che avete creato. – Essendo tali le mie congetture, perché non mi era possibile immaginare altra cosa; ma ero in un errore completo, nam falsum erat; perché se fosse così, una parte più grande della terra, conterrebbe una più grande parte del vostro Essere, una più piccola, ne conterrebbe una minore, e tutte le cose riempite di Voi, in modo tale che il corpo di un elefante conterrebbe una parte più grande della vostra sostanza rispetto al corpo di un passerotto, perché esso è più grande ed occupa uno spazio più esteso; ed anche in proporzione in tutte le parti del mondo, le une ne avrebbero di più e le altre meno, secondo le loro dimensioni diverse. Ora, non è affatto così: ma Signore, Voi non avete ancora illuminato le mie tenebre. » (S. Aug. Conf. L. VII, c. 1). Tornando più avanti sullo stesso soggetto, il santo Dottore aggiunge: « Il mio spirito si rappresentava l’universo e tutto ciò che è visibile nella sua estensione: la terra, il mare, l’aria, gli astri, le piante, gli animali; nello stesso tempo tutto ciò che sfugge ai nostri sguardi: il firmamento, gli Angeli, tutte le sostanze spirituali, che la mia immaginazione poneva in certi spazi, come se fossero stati dei corpi. Da questa universalità degli esseri che avete creato, io me ne facevo una gran massa … ma finita e limitata da ogni parte. E Voi, Signore, io vi consideravo come avvolgente ogni parte e penetrante questa massa, ma Voi siete infinito in ogni senso: come si potrebbe rappresentare un mare infinito nella sua estensione, e racchiudente in se stesso una spugna di prodigiosa grandezza, ma che finita nondimeno nelle sue dimensioni, sarebbe tutta penetrata dalle acque di questo mare immenso. È così che io vi consideravo nella vostra essenza infinita, che riempie da ogni parte questa massa finita, assemblaggio di tutte le vostre creature » (S. Aug. Conf. l. VII, c. V). – Più tardi, divenuto Vescovo di Ippona, e meglio istruito in queste cose, Agostino si esprimeva in altro modo: « Quando si dice che Dio è dappertutto, bisogna allontanare dal nostro spirito ogni pensiero grossolano, e liberarci dall’impressione dei sensi per non figurarci Dio sparso dappertutto a mo’ di una grandezza dislocata nello spazio, come è quella della terra, dell’acqua, dell’aria e della luce; perché tutte le cose di questa specie sono meno in una delle loro parti che nel tutto. Bisogna piuttosto concepire la grandezza di Dio come si rappresenta una grande saggezza in un uomo, fosse anche di piccola taglia. » (S. Aug. Lib. De Præsen. Dei, 187, c. IV, n. 11). Questo tipo di diffusione ed espansione dell’Essere divino, così disapprovata da Sant’Agostino, e segnalata come una concezione grossolana e carnale che bisogna evitare, carnali resistendum est cogitationi, ne quasi spatiosa magnitudine opinetur Deum per cuncta diffundi, rassomiglia singolarmente all’idea che ci danno dell’immensità divina coloro che ci rappresentano Dio presente dappertutto, perché la sua sostanza, essendo infinita ed illimitata, ed occupando attualmente tutti i luoghi reali o immaginari, si trova per se stessa in una relazione di presenza, o piuttosto di intima penetrazione con tutto ciò che esiste nello spazio. – Essi non cadono – è vero – nell’errore del figlio di S. Monica, immaginandosi che uno spazio più esteso dovesse contenere una parte è più grande della sostanza divina; perché essi sanno ed insegnano che uno spirito, essendo invisibile ed esente da parti non è più localizzato a mo’ dei corpi dei quali una parte è a destra e l’altra a sinistra, ma che possa occupare uno spazio determinato ad essere per intero nel tutto, e tutto intero in ciascuna parte; nondimeno sul fondo della questione e sulla maniera di concepire l’ubiquità divina ci sembrano parteggiare le idee della giovinezza che Agostino doveva riformare più tardi in seguito a meditazioni più approfondite. – Ben più spirituale, e pertanto più conforme alla natura di Dio, ci appare la visione dell’immensità data da San Tommaso. Invece di ammettere, con coloro che condividono l’opinione che qui combattiamo, una sorta di diffusione della sostanza divina, a tal segno che Dio sarebbe ancora sostanzialmente presente alle creature seminate nello spazio, quando anche, per assurdo, Egli non esercitasse su di esse alcuna azione (Suarez, Metaph., disput. XXX, sect. VIII, n. 52), il Dottore angelico insegna al contrario che la ragione formale della presenza di Dio nelle cose create non è altro che la sua operazione, di modo tale che il fondamento dell’immensità, è l’onnipotenza. –  Per essa stessa la sostanza divina non è determinata ad occupare alcun luogo, né grande né piccolo; essa non richiede per esplicarsi di alcuno spazio; essa non implica nessuna relazione di prossimità o di allontanamento con gli esseri viventi nello spazio; se di fatto essa entra in rapporto ed in contatto con esse, è per la sua virtù e la sua operazione; se essa è intimamente presente a tutto ciò che esiste, è perché essa produce e mantiene l’essere di tutte le cose. Non determinatur (Deus) ad locum, vel magnum vel parvum, EX NECESSITATE SUÆ ESSENTIÆ, quasi oportet cum esse in aliquo loco, quum ipse fuerit ab æterno anteomnem locum; sed IMMENSITATE SUÆ VIRTUTIS ATTINGIT OMNIA QUÆ SUNT IN LOCO, QUAM SIT UNIVERSALIS CAUSA ESSENDI. Sic igitur ipse totus est ubicumque est, quia per simplicem suam virtutem universa attingit  (S. Thom. l, III, Contra gent. C. LXVIII). Se dunque Dio, può essere in tutti i luoghi, o in altri termini, se è immenso, è a giudizio dell’Angelo della Scuola, perché, possedendo una potenza infinita, è capace di operare, e pertanto di rendersi presente, in uno spazio senza termini né limiti, anche in uno spazio infinito, se una tale estensione fosse possibile. Si sit antiqua res incorporea habens virtutem infinitam, oportet quod sit ubique (S. Thom. L. III, Contra Gent. C. LXVIII, n. 2) – Et hoc proprie convenit Deo; quia quotcumque locu ponentur, etiamsi ponerentur infinita …, oportet in omnibus esse Deum, quia nihil potest esse nisi per ipsum (S. Theol. I, q. VIII, a. 4). Se Esso è di fatto in ogni luogo ed in tutte le creature, non esiste alcun spazio reale, alcun essere creato sul quale Egli non eserciti una azione diretta ed immediata, e col quale non sia in contatto con la sua virtù, e conseguentemente con la sua sostanza. Dei proprium est ubique esse; quia cum sit universale agens, ejus virtus attingit omnia entia, unde est in omnibus rebus (Summa Theol. I, q. CXII, a. 1).

III.

Questa onnipresenza di Dio, frequentemente chiamata dai teologi presenza di immensità, è stata designata da San Tommaso sotto altro vocabolo: egli l’ha chiamata presenza per modo di causa efficiente, per modum causæ agentis (Summa Theol., I, q. VIII, a. 3): espressione caratteristica e profonda che ha il doppio vantaggio di eliminare ogni idea di diffusione ed espansione della natura divina, e di indicare nel contempo che l’operazione divina è il vero fondamento dei rapporti esistenti tra Dio e la creatura. Del resto, servendosi di questa locuzione, San Tommaso non ha innovato né espresso una opinione puramente personale, ma si è mostrato qui, come sempre, l’eco fedele della Tradizione. – In effetti, dopo essersi ripreso dal suo errore relativo all’immensità divina, Sant’Agostino spiegava all’illustre corrispondente al quale indirizzava il suo libro “Sulla presenza di Dio”, che Dio è dappertutto non a modo di un corpo che si estende nello spazio, ma come sostanza creatrice, governante senza pena e conservando senza fatica questo mondo che ha creato (S. Aug. lib. De præsentia Dei, seu Epist. ad Dardan. 187, c. IV, n. 14). Egli diceva ancora che Dio è nel mondo come la causa efficiente del mondo, erat in mundo, quomodo per quem mundus factus est: come l’operaio è presente alla sua opera per reggerla, quomodo artifex regens quod fecit (S. Aug. in Evang. Joan. Tract. 2 n. 10). Se riempie il cielo e la terra, è per la presenza e l’esercizio della sua potenza, e non per la necessità della sua natura: impies cœlum et terram præsente potentia, non indigente natura (S. Aug. De civit. Dei, l. I, VII, c. XXX). San Tommaso sembra manifestamente essersi ispirato a questi diversi passaggi, quando dice: « Non bisogna credere che Dio sia dappertutto dividendosi nello spazio, di tal sorta che una parte della sostanza sia qui, ed un’altra altrove, ma Egli è tutto intero dappertutto, perché essendo assolutamente semplice, non ha parti. Non è tuttavia semplice a mo’ di un punto che termina una linea e che per questo occupi una situazione determinata e non possa essere che in un luogo indivisibile come stante assolutamente all’esterno da ogni genere di continuo: così non è affatto determinato, dalla necessità della propria natura, ad occupare un luogo qualunque, grande o piccolo, come se dovesse necessariamente essere localizzato in qualche parte, Egli che esisteva dall’eternità, quando non c’era ancora alcun luogo; ma grazie all’infinità della sua potenza, raggiunge tutto ciò che è nel luogo, essendo la causa universale dell’essere. Dunque, Egli è tutto intero dappertutto ove si trovi, perché tutto raggiunge con la sua virtù, che è molto semplice. Egli pertanto non è mischiato alle cose … ma è in tutte le sue opere a modo di causa efficiente. » (S. Tom.: Contra Gent., l, III, c. LXVIII). – San Fulgenzio, discepolo di Sant’Agostino, non parla altrimenti dal suo maestro. « Con la sua sostanza e la sua potenza – egli dice – è dappertutto, tutto intero dappertutto, riempie tutto non della sua massa, ma  della sua potenza: totus totum complens virtute, non mole …» (S. Fulg. Ad Trasim., c. XI). San Gregorio di Nissa giunge al punto di dire che è per una sorta di abuso che diciamo di una sostanza spirituale che essa è in un luogo, a causa dell’operazione che esercita sulle cose localizzate, prendendo così il luogo dell’operazione e della relazione che ne risulta. Quando dovremmo dire: essa opera qui o là, noi diciamo invece: essa è là. (S. Greg. Nyss., De Anima). Che la presenza sostanziale di Dio  nelle cose create sia fondata sulla sua operazione, è ciò che risulta manifestamente, ci sembra, da tutte queste testimonianze e da una moltitudine di altre simili che sarebbe facile riportare. Si è cercato nondimeno di confermare queste autorità e si è detto: senza dubbio l’operazione immediata di Dio in tutte le cose prova che Egli sia dappertutto, così come le parole di una persona che si sente conversare in un appartamento vicino, è la prova della sua presenza, non essendone però la ragione. Questo si potrebbe tradurre così: Questa persona è qui, poiché io la sento; essa non è qui perché io la sento; infatti potrebbe essere qui anche senza che io l’ascoltassi, se restasse in silenzio. Così è di Dio. Egli è dappertutto, poiché Egli opera in tutte le cose, ma non vi è perché vi opera; quand’anche Egli, per assurdo non agisse nelle creature, Egli nondimeno sarebbe interamente presente, essendo la sua sostanza infinita necessariamente non distante da tutto ciò che esiste nello spazio. – Questo ragionamento sarebbe esaustivo se Dio fosse nello spazio a modo di corpo. Un corpo è presente nel luogo e lo occupa, non con la sua azione, neanche direttamente con la sua sostanza, ma per le sue dimensioni, per il contatto delle sue parti del corpo che lo circonda e lo contiene; e come ciò che dà ad un corpo delle parti e delle dimensioni, che permette loro di mettersi in contatto con un altro corpo e di occupare uno spazio più o meno considerevole, è la quantità, è, propriamente parlando, nel luogo per la sua quantità: per quantitatem dimensivam, come si esprime la Scuola. – Tutt’altra è la ragione della presenza di uno spirito nel luogo; sostanza semplice ed esente da parti, non occupa di per se stesso alcun luogo, né grande né piccolo, e non richiede di alcuno spazio per estendersi. Tuttavia, se si vuole mettere in relazione con il luogo o le cose che vi sono contenute, esso lo può, esercitandovi la sua attività, applicandovi la sua energia; da qui questa proposizione che ha, per così dire, il valore di un assioma tra gli scolastici: gli spiriti sono nel luogo per contactum virtutis S. Tho.,Contra Gent., l. III, c. LXVIII). – E come l’attività di un essere è proporzionato alla natura che ne è il principio, la sfera d’azione degli spiriti è più o meno vasta, seconda che essi occupino un grado più o meno elevato nella scala degli esseri. Così un Arcangelo può occupare uno spazio corporeo più considerevole rispetto ad un Angelo, perché la sua virtù, la sua potenza attiva, essendo più grande, è nel contempo nello stato di esercitarsi su di una più larga scala, come un fuoco più intenso irradia più lontano. Ma siccome questo spirito creato e finito e limitato nella perfezione della sua potenza, non può che occupare un luogo determinato, finito, limitato; Colui solo è capace di essere dappertutto, di occupare tutti i dati spazi, per quanto estesi li si supponga, di cui la potenza infinita non avendo né limiti né argini, può esercitarsi in ogni luogo e su tutti gli esseri che li occupano qualunque sia la moltitudine e la grandezza (S. Th., Summa Theol., q. LII, a. 2). Di conseguenza, ciò che la qualità è ai corpi, cioè una proprietà distinta dalla loro sostanza estesa nello spazio, la potenza attiva lo è agli spiriti, che essa mette in contatto con il luogo e le cose che vi sono localizzate. Di là queste parole di San Tommaso. Incorporatia non sunt in loco per contactum quantitatis dimensivæ, sicut corpora, sed per contactum virtutis (Summa Theol., I, q. VIII, a. 2 ad. 1). Se Dio non agisse in noi, non sarebbe in noi. – Così, quando si chiede se l’ubiquità è una proprietà che conviene a Dio da tutta l’eternità, utrum esse ubique conveniat Deo ab æterno, in luogo di rispondere come certi teologi che Dio non è – è vero – presente da tutta l’eternità nelle cose che non esistevano ancora, ma che la sua sostanza si trova pertanto realmente ed eternamente negli spazi che devono occupare, nel susseguirsi dei tempi, tutti gli esseri creati, San Tommaso risponde: « la presenza della Divinità in tutti i luoghi comporta una relazione di Dio con le creature fondata su di un’operazione che è il principio della sua inesistenza nelle cose. Ora, ogni relazione fondata su di un’operazione che passi negli esseri creati, non può essere attribuita a Dio che temporalmente, perché questo tipo di relazioni, essendo attuali, suppongono l’esistenza di due termini. Allo stesso modo dunque che non si possa dire che Dio operi da tutta l’eternità nelle creature, così non si può a maggior ragione affermare la sua eterna presenza in esse, perché questo suppone la sua operazione. » (S. Th. Sent. L. I. dist. XXXVII, q. II, a. 3). – E se interrogate i santi Padri per domandar loro ove fosse Dio prima della creazione del mondo, in luogo di rispondere che Egli era negli spazi incommensurabili che occupa attualmente l’universo e che avrebbe potuto occupare migliaia di mondi più vasti del nostro, essi vi diranno per organo di San Bernardo: « Non è il caso di cercare ancora dove Egli fosse: nulla c’era all’infuori di Lui, Egli era dunque in Se stesso ». (S. Bern. De consider., l. V, cap. VI). Così, secondo il giudizio di San Tommaso e dei Padri della Chiesa, l’operazione divina formalmente immanente, poiché non esce e non è neanche distinta dal principio da cui emana, ma producente al di fuori degli effetti creati, e chiamato per questo virtualmente transitivo virtualiter transiens, ecco la ragione formale, il vero fondamento, il perché definitivo della presenza di Dio nelle creature.

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