S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° corso di esercizi spirituali (13)

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (13)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

13. La vittoria sul mondo

Dobbiamo concludere il discorso sull’iter che ci ha intrattenuto in questi Esercizi. Abbiamo detto che noi dobbiamo percorrere una strada insieme con Gesù Cristo e che Gesù Cristo lo troviamo dov’è, ossia dove s’è messo Lui. E nella forma più vicina, più umana, più accostevole, nell’Eucaristia. E pertanto, pensando che il cammino della vita dobbiamo farlo con Lui, ci siamo volti costantemente alla considerazione dell’Eucaristia. – Quando Nostro Signore ha istituito l’Eucaristia, allorché ha porto un calice ai discepoli, ha detto queste parole: « Fino a che non lo beva nuovo con voi ». E con questo rimandava il pensiero dei discepoli presenti in tutte le generazioni all’ultimo termine, cioè al banchetto eterno. Noi dobbiamo per un momento tenere gli occhi fissi a questo: la mensa, la comunione che noi abbiamo con Gesù Cristo, l’intimità alla quale ci autorizza la dottrina eucaristica nei confronti con Lui, debbono avere la conclusione nel banchetto eterno, che noi chiamiamo così, che si chiama così, non solo per la ragione di colleganza col banchetto nel quale Dio e gli uomini si trovano insieme mentre questi sono nel pellegrinaggio terreno, ma ancora perché l’immagine del banchetto è immagine tipicamente biblica per esprimere la pienezza dei beni. Noi dobbiamo guardare al banchetto eterno. – E allora, la prima considerazione che io sottopongo a voi in questo ordine di idee e per arrivare a quel punto, eccola. In questo iter, sapendo che siamo con Gesù Cristo, che con Lui possiamo parlare tutto il giorno, che lo possiamo ricevere tutte i giorni, che di Lui possiamo essere nutriti e con Lui possiamo essere forti, noi dobbiamo essere consapevoli, fieri, sicuri e coraggiosi di fronte al mondo. – Io sono profondamente convinto che gli uomini del nostro tempo siano molto più vicini a Dio di quanto noi crediamo; proprio per l’esperienza della fugacità e della caducità delle cose umane e per la fretta travolgente del loro stesso progresso e per le spettacolose terribili applicazioni che quella fretta ha recato, si sono trovati ben più vicini e sono tutti più vicini a ripensare con obiettività il loro stato. Per questo motivo e anche per la esperienza che ne faccio tutti i giorni, è mia convinzione profonda che gli uomini del nostro tempo, presi a uno a uno, siano più vicini a Dio, molto più di quanto non lo fossero 25, 30, 40, 50 anni fa. Di questo io sono convinto circa gli uomini individui, presi a uno a uno. Ma l’ambiente loro, il mondo, che è cosa diversa dagli uomini, è quanto mai sospetto, quanto mai misero e quanto mai degno di compassione. Non di ammirazione, di compassione. Noi sappiamo che questo mondo cerca d’intimorirci, e cerca d’intimorirci sciorinando tutte le sue conquiste, le sue possibilità tecniche, sciorinando, con molta mala fede, la sua scienza come se noi diventassimo piccoli, inermi, assolutamente incapaci e non potessimo sostenere il confronto con questa maestà che si muove fiera e spesse volte tracotante. Questo scopo a cui tende il mondo: dare a noi il senso di una inferiorità, fa parte di quel tale vento del deserto a cui ho già accennato durante questi Esercizi, quel vento che viene dal deserto e che non aiuta a crescere nessuna pianta ma le brucia tutte. Quel vento del deserto può arrivare a noi e può creare in noi dei complessi d’inferiorità, quasi che a non essere scanzonati come il mondo, a non essere tracotanti come il mondo, noi abbiamo a essere degli esseri inferiori, quasi che noi dobbiamo metterci a tremare dinanzi alle sue conquiste. Io vi prego di non tremare mai dinanzi a niente, le conquiste del mondo moderno, che ha arretrato su tutta la linea per quel che riguarda il pensiero e altre manifestazioni collegate col pensiero — ha certamente arretrato, dico, la cultura —, la intelligenza di questo mondo ha invece straordinariamente avanzato nel campo delle scienze esatte, delle loro applicazioni, delle scienze positive e della tecnica, ordinando scienza e applicazioni positive ad aumentare l’agio, il comodo e il piacere materiale degli uomini. Ma ricordiamoci bene che tutto il complesso delle scienze positive e delle scienze esatte non può oltrepassare l’accidens quantitatis, sta tutto al di qua: questa piccola cosa della quale noi abbiamo avuto occasione di parlare a proposito della presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucaristia, l’accidens quantitatis, lo ferma e lo fermerà sempre. Al di là di quello, in fatto di scienze esatte e in fatto di scienze positive, si potrà andare solo modestamente con qualche deduzione, con qualche parallelismo; il resto è lasciato alla fantasia, non alla scienza. È questo il motivo per cui non dobbiamo aver paura mai, mai. Ricordiamoci che la matematica comanda e comanda la fisica. La matematica di natura sua, non costata altro che la successione ed i rapporti di estensione. La matematica non ha per canto suo le supreme ragioni dell’essere ed i rapporti di causa ed effetto. È questo il motivo per cui talvolta taluni matematici, sconfinando in campo che non era il loro e cioè nel campo metafisico, hanno dato prova di altrettanta ignoranza e incapacità in campo metafisico, che è il massimo, quanto potevano dar prova egregia di valore nella loro diretta e immediata competenza. – Il mondo cerca di donare a noi dei complessi d’inferiorità; cerca perché non abbiamo talune sue manifestazioni — e ne possiamo fare benissimo a meno perché non servono a niente —, perché non abbiamo la sua iattanza, perché non abbiamo la sua sicumera; cerca di farci credere che siamo dei poveretti. Dei poveretti? Ricordatevi che noi camminiamo con Gesù. Cristo; ricordatevi che il mondo, tanto quanto la sua scienza è stato sempre al qua dell’accidens quantitatis, il mondo intero è stato sempre al di qua della barriera della morte e non l’ha mai potuta oltrepassare. E non la passerà mai. Gesù Cristo l’ha passata. E nella storia della Chiesa la fa passare quando crede: Egli è padrone della vita. Noi camminiamo con Lui, non camminiamo con un morituro. Il mondo cammina con sé stesso morituro. Noi assistiamo a questa mostra di giuochi: vediamo cose che sembrano grandiose e stupende, che hanno un andamento che oggi non si dice più meraviglioso, si dice addirittura cosmico, e non è vero. Noi in realtà assistiamo allo scendere in questa arena arrossata di squadre di gladiatori che hanno armi diverse, sono condannati alla morte e danno spettacolo Però questi gladiatori passano tutti davanti al podio di Cesare, alzan la mano e salutano gridando « Ave Cæsar, morituri te salutant ». Noi vediamo tutte queste cose, le guardiamo con senso di pietà e di tristezza, perché tutte queste  spettacolose cose, che sembrano scendere con tanta muscolosa iattanza nell’arena arrossata di sangue le vediamo invece passare dinanzi al podio di Gesù Cristo dicendo «Ave, Christe, morituri te salutant ». Ma camminiamo, noi, per cose che noi muoiono e siamo con Lui che, unico, ha passato la morte. – Non dimentichiamocelo mai; che non ci prenda mai il senso di una certa miseria: « Il cielo e la terra passeranno ma – ha detto Lui – le mie parole non passeranno », e nessun uomo si può perita neppure di sognare una cosa simile. Le pari degli uomini volano via molto più facilmente vento e degli uomini. Noi dobbiamo ricordare che quando spira questo vento del deserto e tenta di prenderci farci venir paura, di farci tremare, che vorrebbe far piegare le nostre ginocchia rivestendoci di complessi d’interiorità, noi con umiltà davanti a Dio e davanti a Dio e davanti a tutti i fratelli, ma con fierezza di fronte alla storia e di fronte avvenimenti  del mondo, al mondo come ambiente, dobbiamo levare la testa con sicurezza e coraggio. – I paragoni verranno incalzando davanti a noi per ottenere determinati effetti psicologici, ma attenti bene! Non lasciatevi prendere. S. Agostino, nel XII libro della sua mirabile opera De civitate Dei parlando e riassumendo tanti eventi e circostanze della storia, le guarda, a un certo momento si direbbe con una riflessione sdegnosa che vi riporto ed esclama: « Sono tutte impalcature effimere per costruire l’unica casa durevole. La storia è così Quello che voi vedete, quello che pare stupendo, non dimenticatelo: sono tutte impalcature effimere che servono unicamente per costruire l’unica casa durevole, che è il Regno di Dio. – La cultura! La cultura, la grande cultura, che ha messo tutto il suo impegno nel far perdere all’uomo la stima per la propria intelligenza, prima, poi per la certezza, poi per la verità, e l’ha privato della sicurezza della verità, poi della norma di coscienza, poi finalmente della stessa valutazione dell’essere, poi finalmente l’ha portato e condotto al disprezzo della stessa vita e della stessa felicità. Il cosiddetto pensiero dominante oggi, che non lo è, perché è una forma di romanticismo deteriore, l’esistenzialismo, è la scuola del disprezzo della vita e del disprezzo della felicità. L’ultima voce dell’ultima forma esistenzialista è il gettare in faccia al destino la stessa libertà perché non sa che farsene neppure di quella. L’odium vitæ. Prima avevano dissertato, disquisito e giocato a proposito dell’ odium contra veritatem, e sono arrivati necessariamente all’odium vitæ, allo svuotamento di tutto. È possibile aver paura? – Guardateli bene! Sono scintillanti, hanno armature splendide, fregiate d’oro; i loro pennacchi ondeggiano accompagnando e ritmando gesti di una forza, di una virulenza, di una tracotanza impressionante. Guardateli: sono gladiatori che scendono nell’arena; attendono, si ammazzeranno tra di loro, purtroppo. Credete voi di dover aver paura del mondo? È questo il dramma del nostro tempo: la dissociazione tra il fatto che gli uomini, presi come singoli, sono in realtà molto più vicini a Dio e hanno fame e sete di giustizia molto più di quanto noi possiamo credere — e lo si sperimenta ogni giorno — e l’altro fatto che il loro ambiente, che è cosa diversa dai singoli e dalla somma dei singoli, perché è cosa nella quale rifluisce tutto quello che si è raccolto da quattro secoli a questa parte e forse anche da prima, il loro ambiente porta tutti i segni della pazzia e della malattia. È possibile averne paura? – Non meravigliatevi che nell’ultima meditazione io vi intrattenga su questo argomento e insista così fortemente su questo argomento. Perché a che cosa ci si riduce noi quando abbiamo paura di qualcheduno? Noi possiamo morire, ma le cose che ci sono care non le toccherà nessuno e scapperanno fuori anche di sotto terra se dovessero andarcisi a nascondere, e s’aprirebbero veramente le tombe, se questo fosse necessario. Non ha importanza che noi si viva o si muoia quando si è camminato e quando s’intende morire con Gesù Cristo: ha importanza che quello che noi amiamo ben più di noi stessi sia assicurato al disopra del carattere effimero del mondo. « Sono tutte impalcature effimere poste per costruire l’unica casa durevole ». Guardate sempre con questa sicurezza. Guardate al mondo della cultura perché dovete lavorare anche per convertirlo, non rigettando quello che di prezioso può portare con sé ed effettivamente porta, ma non dimenticatevi che quel mondo non vi può far paura. Noi abbiamo l’assicurazione della vita, abbiamo l’assicurazione della vittoria, noi siamo e camminiamo con Gesù Cristo. Questa è la prima considerazione conclusiva che lascio a voi. – Una seconda considerazione. Noi abbiamo visto che Gesù ha istituito l’Eucaristia a tavola, mentre mangiava con gli altri; l’ha legata alla mensa Domini, alla mensa del Capo famiglia, nella luminosità dell’affetto familiare, nella chiarezza dei rapporti familiari, nella comunità. L’Eucaristia, ricordate, la si vede sempre in mensa Domini, nella comunità, e l’Eucaristia, con il quadro che intorno ad essa, col celebre discorso dell’Ultima Cena Gesù ha steso e delineato, ci porta sempre a parlare della famiglia di Dio. È inscindibile. E allora guardate bene che il monito dell’Eucaristia si volge sempre e fa volgere l’anima nostra verso la famiglia di Dio. È come dire che volge l’anima nostra verso l’apostolato. È una vocazione, quella dell’apostolato, che noi abbiamo perché ce l’ha data Lui. Segna talmente la sua strada che noi non possiamo essere veramente con Cristo se in un modo o nell’altro, agendo o pregando o soffrendo, non ci mettiamo nella linea dell’apostolato. Non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo è nei tabernacoli di tutto il mondo ad aspettare che noi, per quanto possiamo, gli portiamo tutti gli sparsi figli di Dio per la terra. Per quel che possiamo. Quelli che ci sono vicini, quelli che sono lontani, di tutti i continenti: sta lì ad attendere. Non che abbia bisogno di noi. No. Gesù Cristo non ha bisogno di noi; siamo noi che abbiamo bisogno di Lui. Ma Egli sta amorevolmente ad attendere, e noi che camminiamo con Lui dobbiamo sentire il battito del suo cuore che continua a dire: « Sitio », ho sete, aspetto. E dobbiamo portare gli altri o agendo, o pregando o soffrendo. Le strade possono essere diverse, ma neanche le monache di clausura, se si dispensassero dal concetto dell’apostolato, camminerebbero con Gesù Cristo: possono camminare con Gesù Cristo perché pregando lavorando e soffrendo possono rispondere, mentre l’accompagnano nella loro solitudine, al palpito e al desiderio del suo Cuore. L’apostolato cristiano è una questione connessa, come avete visto, con l’Eucaristia, e il vostro apostolato mettetelo in questa luce. E nel vostro apostolato proponetevi sempre di rendere meno deserti i tabernacoli, perché troppo deserti sono i tabernacoli e talvolta quasi dimenticati da quelli stessi che li dovrebbero curare con amore e tenerezza infinita! Collegatelo sempre, fatelo partire di là come mozione, fatelo tornare là come termine, il vostro apostolato. L’apostolato. La vostra opera vive per questo. Nella luce dell’apostolato sappiate stimare la vostra Cittadella. La vostra Cittadella è Cittadella, ma amo rappresentarla come un ponte, un ponte nuovo per uomini ai quali non è sufficiente gettare delle mobili malsicure ed effimere passerelle. La Cittadella è un ponte. Avete forse visto delineate delle fortezze che sono sui ponti. Ce ne sono a questo mondo, sono insieme cittadelle e sono ponti; ci sono dei castelli che sono costruiti sui fiumi, che uniscono due rive difendendo dagli oltraggi dell’una riva l’altra riva, eppure congiungendo le due rive. La vostra Cittadella vive per l’apostolato e ha la missione di congiungere, di gettare un ponte verso molti ai quali, senza particolari attitudini, particolari accorgimenti, particolare apertura di cuore e di metodo, nessuno sta gettando un ponte. Non dimenticate quello che dico: che in talune direzioni non esistono opere che si possano dire attrezzate, schematizzate, finalizzate, irrobustite, modellate in modo tale da costituire un ponte verso le zone più lontane da Nostro Signore Gesù Cristo, verso le zone della cultura, verso le zone del lavoro, verso le zone della confusione e della anarchia mentale, morale e materiale. La vostra opera è attrezzata per questo. Voi fate un lavoro che, sotto taluni aspetti e per talune considerazioni, nel nostro Paese si può considerare insostituibile al momento presente. E pertanto sappiate amare e stimare la vostra vocazione all’apostolato in questa Cittadella, che però è Cittadella stesa sugli archi di un ponte e deve congiungere due rive. E deve congiungere quelli che altri non possono o non hanno mezzi o non hanno attrezzature per poter congiungere. Ma il vostro apostolato, non dimenticatelo mai, fatelo tutto partire di là, incentratelo tutto là — questo è il significato degli Esercizi attraverso i quali mi sono sforzato di condurvi umilmente — e fatelo ritornare tutto là, perché troppi tabernacoli sono deserti e troppi sono i disertori dell’amore di Dio, della misericordia di Dio e della grazia di Dio. E questa è la seconda considerazione che lascio a voi chiudendo il discorso sull’iter della vita che accompagna Gesù Cristo presente tra di noi. – Ora ne viene una terza ed è quella conclusiva. Vedete, Nostro Signore quando nel discorso dell’Ultima Cena, verosimilmente prima della istituzione della Eucaristia, ha narrato la parabola della vite, ha descritto la sua Chiesa nei suoi tre momenti: militante, escatologico, eterno; l’insieme della sua Chiesa, del suo Regno, e ha identificato sé stesso col tronco della vite. Tanto basta per capire che Nostro Signore Gesù Cristo ha messo una colleganza tra l’Eucaristia e la sua Chiesa. Siccome del momento escatologico non ce ne dobbiamo occupare perché non vi arriveremo: penso che noi non arriveremo a vedere la fine del mondo, possiamo lasciarlo da parte. Siccome al momento eterno ci pensa Iddio: noi non possiamo che presentare umili preghiere a Lui, alla Vergine, agli Angeli e ai Santi, anche quello possiamo lasciarlo da parte. Noi dobbiamo invece occuparci della Chiesa militante. – Il collegamento che Gesù Cristo ha fatto tra sé stesso, l’Eucaristia e la sua Chiesa è evidentissimo. In mano di chi ha messo sé stesso? In mano di Pietro e degli altri Apostoli. A chi ha detto : « Fate questo in memoria di me »? A Pietro, agli Apostoli, ai discepoli. Tutto alla Chiesa. La grande presente al suo spirito, mentre teneva il discorso che  accompagnato la istituzione dell’Eucaristia, lo sappiamo dall’adombramento della parabola della parabola della vite — la grande presente era la sua Chiesa, quella che ha chiamato « la mia Chiesa ». Quel possessivo usato da Lui, con un affetto che potrà riempire tutti i secoli di commozione, quel possessivo « la mia Chiesa » riguarda la sua Chiesa. E pertanto l’Eucaristia, come per altre colleganze ci ha fatto volgere verso la missione della Chiesa, che è quella dell’apostolato, l’Eucaristia ci fa volgere lo sguardo alla Chiesa di Gesù Cristo. – Noi, se siamo dei votati, dobbiamo totalmente vivere con Gesù Cristo, « in mensa Domini »; vivere con la Chiesa. La nostra vita non si può distinguere da quella della Chiesa. I fedeli devono anch’essi sentire con la Chiesa, dal posto di sudditi, sudditi dei pastori stabiliti da Lui, come dice la dottrina; ma per noi che siamo votati in diverso modo o con promessa o con voti o con l’Ordinazione sacerdotale, per noi non può esistere nulla che non sia inserito, allineato, assorbito, assimilato nella stessa vita della Chiesa. – La Chiesa. Vogliamo essere con Gesù Cristo? Stiamo con la Chiesa. L’iter con Gesù Cristo lo si realizza soltanto se siamo con la sua Chiesa, perchésoltanto nella sua Chiesa noi troviamo legittimamente l’Eucaristia. E allora imparate a dare ai vostri pensieri un corso, direi, di obbedienza costante, un corso d’assimilazione affettuosa; ai vostri pensieri, ai vostri desideri, alle vostre preoccupazioni date un corso di dedizione tenerissima alla santa Madre Chiesa. Quello che si presenta gioioso per lei sia gioioso per voi, quello che si presenta arduo per lei sia arduo per voi; quello che si presenta di sacrificio per essa sia amabile sacrificio per voi. Bisogna diventare così per essere con Gesù Cristo: vivere, camminare con la Chiesa. – La Chiesa oggi ha davanti grandi problemi. La Chiesa ha il problema di far presto nella evangelizzazione dei due continenti che sono saltati improvvisamente e scapigliatamente nella strada della storia e rischiano di portare la confusione in tutta la strada della storia: l’Asia e l’Africa. La Chiesa ha questa grande istanza e la persegue. La Chiesa ha davanti a sé la istanza di compiere tutto quello che è necessario e che è nella sua disponibilità giuridica, per rendersi al massimo pronta e adatta a ricevere la fede di quelli che sono ancora infedeli nel grande continente asiatico e nel grande continente africano. – La Chiesa ha davanti a sé l’assestamento dei popoli nella giustizia e nella pace. Perché essa sola ha nelle mani una dottrina capace di portare all’assestamento duraturo dei popoli nella pace, almeno la sufficiente convivenza. Già una volta la Chiesa ha dovuto prendere in mano i popoli per dei secoli. Che cosa non sia costato questo alla Chiesa noi lo possiamo intuire leggendo la storia ecclesiastica, e Dio solo lo sa, ma l’ha fatto; perché a certe istanze e a certi livelli della vita umana, le piccole massime del campo delle scienze e del pensiero e della legislatura bastano a creare cerchi circoscritti, ma non sono state capaci di creare nulla di veramente universale. La Chiesa ha davanti a sé questo grande problema dell’avvenire e della pace dei popoli. La Chiesa ha il problema di fare quanto prima, al livello della religiosità e della cultura e del pensiero, la liquidazione della più grande ferita che sia stata inferta al suo corpo: la divisione protestantica, quella divisione che ha avvelenato il mondo civile, che ha avvelenato l’Europa e della quale sono conseguenza diretta, con evidenza di legami e di successioni e di cause, le ultime due guerre mondiali e tutto quello che potrebbe ancora accadere. Ma soprattutto, forse ancora più del Protestantesimo stesso, deve fare la liquidazione di quello che la grave ferita, che il terribile veleno allora cosparso ha lasciato nel pensiero, nel costume, nella depravazione del mondo.

So bene che alla Chiesa di Dio « nec rosæ, nec lilia desunt »: non mancano mai né le rose porporine né i gigli candidi, mai. E Dio manda gli uomini secondo i tempi; manda i giganti quando occorrono lotte gigantesche; manda i santi quando occorre la santità; manda i grandi strateghi quando occorre la strategia. Dio sa quello che fa. Dio non rende troppo comode le cose agli uomini perché essi debbono acquistarsi, attraverso le cose scomode, il merito della loro gloria; ma Dio sa quello che fa e arriva al momento opportuno. E forse noi cominciamo già a intuire qualche cosa del piano di Dio in quello che sarà. Ma vedete questa Madre, questa Madre che deve nutrire i suoi figli all’interno, che deve andare a raccogliere per tutta la terra gli altri sparsi figli, almeno virtualmente, potenzialmente figli; questa Madre che li deve nutrire, che li deve difendere, che deve talvolta con sé stessa fare un arco tra il cielo e la terra per sostenere tutto quello che umanamente può cadere! Noi sappiamo bene che gli altri fatti sono impalcature effimere per costruire l’unica casa durevole, che è essa nel tempo; essa che dal tempo si protenderà poi, unica forma associativa delle cose umane, nell’eternità. – E abbiamo finito. Vedete, S. Tommaso d’Aquino al termine della sua sequenza, il Lauda Sion, che è una delle più meravigliose poesie che siano state mai scritte in questo mondo, si volge al Signore nel Sacramento: « Tu, qui cuncta scis et vales, qui nos pascis hic mortales, tuos ibi commensales coheredes et sodales, fac sanctorum civium ». E siamo ritornati al punto di partenza. Lo sguardo deve rimanere fisso là. Abbiamo detto che l’iter è con Gesù Cristo e Gesù Cristo è lì per noi soprattutto, anzitutto. Nessun iter ha una ragione logica in sé stesso se non ha un punto d’arrivo; e il punto di arrivo non è quaggiù, a una felicità qualsiasi, a un livello qualsiasi, a una soddisfazione, a una dignità, a un posto qualsiasi, no. Il punto di arrivo non è la gloria di quaggiù, non è il plauso, non è neppure l’amore di quaggiù. Il punto di arrivo è lassù. Non dimenticatelo mai: l’Eucaristia ci collega al cielo: « Tuos ibi commensales coheredes et sodales, fac sanctorum civium ». Amen.

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