GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° Corso di Esercizi Spirituali (8)

S. S. GREGORIO XVII:IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (8)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ’ CRISTO

8. La S. Messa

Discorriamo della S. Messa. Veniamo così più direttamente al tema eucaristico. L’Eucaristia nasce nel Sacrificio e dal Sacrificio. Notate che questa è una affermazione importante. E perché? Perché la presenza reale di Nostro Signore sotto le apparenze del pane e del vino si attua nel momento in cui si offre il Sacrificio. La consacrazione costituisce il Sacrificio, perché la Messa è un sacrificio. Perché il mistero eucaristico della consacrazione e di quanto vi è connesso è un sacrificio? Perché Gesù Cristo consacrando nell’Ultima Cena ha usato parole sacrificali, indicative del Sacrificio. Perché S. Paolo, ripetendo la narrazione dell’istituzione nel cap. XI della prima Lettera ai Corinti, ha usato parole che indicano il Sacrificio. Perché la divina Tradizione, fin dall’inizio, come ne fanno fede i testi che arrivano fino all’età apostolica, ha ritenuto sempre Sacrificio la S. Messa. È un sacrificio. Questo vuole dire che, siccome è in quel momento che Gesù Cristo diventa presente, quando si offre e si consuma il santo Sacrificio, l’Eucaristia nasce dal Sacrificio. Questo basti a farvi intendere che non si può separare assolutamente, mai, l’Eucaristia dal carattere sacrificale. – Ecco perché la più perfetta orazione che sia stata mai scritta a proposito dell’ Eucaristia — fu scritta da S. Tommaso d’Aquino, e ritengo non ci possano più essere dubbi oggi — è l’orazione che si canta sempre dopo il Tantum Ergo prima della Benedizione col SS. Sacramento: « Deus, qui nobis sub sacramento mirabili passionis tuæ memoriam reliquisti…», il che basta a stabilire che per ragione nativa, originaria, costitutiva, l’Eucaristia parla e parlerà sempre del Sacrificio della croce. Come si attua questo Sacrificio? Che lo è, è una verità di fede, il come appartiene alla spiegazione teologica. A noi interessa che lo è, il come è cosa secondaria. Tuttavia possiamo dirne qualche cosa. Tenendo conto del fatto che è un Sacrificio rappresentativo e commemorativo della croce, come ha detto Gesù stesso al momento della istituzione, quindi tenuto conto che vi deve essere un rapporto tra quello che si vede esternamente e quello che fu il Sacrificio della croce, la migliore spiegazione teologica parrebbe quella di ritenere che il fatto della costituzione sotto le due specie separate, che evidentemente rappresentano la separazione tra il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo avvenuta in croce, fatto esterno ma dimostrativo della consumazione del sacrificio, verifichi la ragione del Sacrificio. Ma ritorno al punto di partenza, perché è quello il peso dell’argomento di questa meditazione: la S. Messa è un sacrificio, l’Eucaristia pertanto nasce dal Sacrificio. – Veniamo a un secondo punto. La S. Messa e Sacrificio legato al Sacrificio della croce. Vediamo  come è legato. Lo ha detto N. S. Gesù Cristo: è memoria del Sacrificio della croce, quindi ha carattere rappresentativo, raffigurativo, commemorativo, per le parole stesse del Divin Salvatore che si ripetono sempre nella consacrazione. Il Sacrificio della Messa quindi è stato, non certo per spiegazione teologica ma per divina parola, indicativa, chiara e netta, rapportato al sacrificio della croce. Come è rapportato? È rapportato in modo per cui non abbiamo due Sacrifici ma uno. L’unità del Sacrificio è chiaramente affermata da S. Paolo nella Lettera agli Ebrei, insieme con il carattere eterno di quel primo sacrificio, del quale dice: « Cristo è entrato col suo sangue nel tabernacolo, avendoci procurato una redenzione eterna ». Ne abbiamo abbastanza per capire la unità del Sacrificio, la unità cioè che esiste tra il Sacrificio dell’altare e il Sacrificio della croce. E siccome è quello della croce che tutto ha consumato, tutto ha ottenuto, tutto ha redento il mondo, e su questo punto la S. Scrittura è ben netta, specialmente nella Lettera agli Ebrei, dobbiamo ritenere che il Sacrificio della Messa, che costituisce un solo Sacrificio col Sacrificio del Calvario, non solo è rappresentativo e commemorativo di quello, ma è rinnovativo e applicativo di quello. A questo punto noi possiamo domandarci in che modo è applicativo e rinnovativo di quello. E allora la spiegazione migliore che, tutto sommato, è possibile dare, sembrerebbe essere questa: il fatto solo di diventare Gesù Cristo presente sull’altare sotto le apparenze diverse del pane e del vino, separazione del Corpo dal Sangue, figurativamente parlando perché Gesù Cristo è vivo sotto l’una e sotto l’altra specie, per divina deputazione, per divina volontà esprime l’offerta indefinitamente fatta al Padre del primo sacrificio della croce. Con questo rimane la unità del sacrificio che è affermata nella Sacra Scrittura, rimane il carattere dirimente affermato nella Sacra Scrittura del Sacrificio della croce; e poiché rimane, ecco la logica della continuazione, il carattere rappresentativo e figurativo. Notate bene che Gesù fece l’istituzione della Eucaristia la sera prima del sacrificio della croce. È evidente che la consumazione del sacrificio ha avuto una anticipazione; ma anche quella offerta fatta prima della consumazione stessa del sacrificio della croce diventava anteposizione, nel tempo, commemorativa dello stesso Sacrificio della croce. Sono di quelle trasposizioni che chi vive nell’eternità, Dio, facilmente fa nel tempo. Ora, posto e così concluso questo secondo punto, che è importantissimo, e cioè che la S. Messa si rapporta del tutto al sacrificio della croce e rinnova la stessa offerta che di sé sulla croce ha fatto Gesù Cristo al Padre, dobbiamo guardare al Sacrificio della croce. Perché è quella maestà, se volete è quel dolore, è quella superna redenzione che entra in pieno, solennemente, nella celebrazione del divin Sacrificio. Il Sacrificio della croce ha risolto la questione del mondo. Qual era la questione del mondo, la questione che subordinava tutte le altre questioni? Era questa. Il mondo, a cominciare dal suo primo disgraziato progenitore, ha peccato. Il peccato dell’uomo supera l’uomo, non perché una causa minore possa produrre un effetto maggiore, ma perché il peccato fatto dall’uomo è diretto contro Dio, è sempre una negazione di Dio, sottrazione alla legge di Dio, quindi negazione di Dio. La ragione dell’altissimo oggetto, in ragione dell’altissimo corrispondente, che è Dio, il peccato supera l‘uomo. Non in ragione di quello che parte dall’uomo, ma in ragione di quello che esso è colpendo — mi sia lecito dir così anche se la parola è assolutamente impropria — Iddio che è eterno, che è infinito. Il peccato dell’uomo supera l’uomo, e appunto perché supera l’uomo, l’uomo non ha mai potuto pagarlo. Mai. Lo può commettere, non lo può redimere. Infatti la sensazione più diffusa che noi abbiamo in tutte le forme mitiche anche cosmogoniche della storia umana e che noi andiamo rivangando ora dalla preistoria presenta sempre i caratteri di questa ineluttabilità. Quando dalle forme puramente mitiche e primitive si è passati alle forme di cultura ha cominciato a imperare, terribile, il senso della nemesi. Tutta la mentalità greca, e soprattutto la tragedia greca nella espressione più sublime, porta, anzi è intrisa del senso della nemesi, la vendetta terribile. Il peccato, la colpa, il crimine non può essere pagato, e pertanto indefinitamente viene ripresentato, viene colpito, e i crimini passano dai padri ai figli e dai figli ai nipoti, ai pronipoti e così via. È il terribile senso della nemesi. L’umanità realmente, in quelle poche volte che ha un po’ pensato, come tale, si è sempre trovata innanzi a questa stanca costatazione che noi possiamo con parole riassuntive riprodurre così: gli uomini hanno avuto coscienza che potevano fare il male, ma non se ne potevano liberare. Gli atti ci seguono. Questo era il dramma del mondo, e pertanto era necessaria una riparazione in giustizia, ma una riparazione il cui valore superasse l’uomo, cioè appartenesse all’ordine divino. Senza una riparazione che superasse l’uomo e appartenesse pertanto all’ordine divino, non era possibile che si rifacesse l’equilibrio e che l’uomo, dopo aver commesso il suo peccato, potesse liberarsi dal medesimo. E questo fa capire la ragione dell’Incarnazione del Verbo, perché nell’Incarnazione del Verbo le cose sono poste così: che la natura umana assunta dal Verbo Figlio di Dio sussiste nella Persona divina. Il soggetto delle azioni compiute da questa natura umana diventa Iddio, perché il soggetto dell’azione è la persona, lo strumento è la natura. E allora queste azioni, attivamente o passivamente compiute attraverso la natura umana, avendo per soggetto Iddio, diventavano azioni divine e potevano essere pertanto di valore infinito, capaci, se capaci di riparazione, di riparare veramente e di riportare tutto all’equilibrio, cioè salvare, risolvendo il dramma del mondo. Tutte le vicende dell’umanità sono guidate da questo fatto: dall’esercizio della libertà dell’uomo e dall’atteggiamento morale conseguente all’uso della libertà dell’uomo e pertanto dall’impotenza dell’uomo che segue e rimane dopo l’abuso della libertà, cioè dopo il peccato. E in tutte le azioni questa maledizione, e in tutte le cose questo peso, e in tutte le vicende questo rotolare verso un abisso, ineluttabilmente. La storia ha un significato solo: la prova dell’uomo libero. La storia ha un riassunto solo: l’epilogo dell’uso della libertà. La storia ha una linea sola: la ricerca di uno sbocco di questo uso o cattivo uso della libertà. Tutte le azioni, assolutamente tutte, risentono di questo grande filone che le domina. E allora voi vedete come soltanto il Figlio di Dio fatto uomo poteva riparare e come la storia ha un significato solo, una soluzione sola, ed è Gesù Cristo in croce. La storia è là. L’unico fatto che si allontana da questa linea, da questa monotonia nella variazione, e da questa variazione nella monotonia, è l’Incarnazione del Verbo e la morte del Nostro Signore Gesù Cristo in croce, perché la finalità della Incarnazione del Verbo era in quel Sacrificio. Ecco ciò che sta al centro. Ecco perché dappertutto c’è la Croce, ecco perché dappertutto c’è il Crocifisso, ecco perché, immaginativamente, le braccia del Crocifisso non si sono mai schiodate. Rimangono così, aperte, come per abbracciare senza fine l’umanità che pecca. Tutto è là, tutto. Ogni attimo di vita di ogni uomo, ogni senso della vita d’ogni uomo — perché essa ha pure, voglia o non voglia, una direzione — prende il suo colorito di là. Ogni cosa, bella o brutta, dell’umana esperienza si rapporta là. Ogni giudizio, ogni verità, ogni conquista ha il suo termine di criterio ultimo e risolutivo soltanto nella Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. – La storia è fatta di tre elementi. Il primo, quello che troviamo sul proscenio, è l’uomo libero, che fa quello che vuole, bene o male. Il secondo è dato dalla natura che, guidata da leggi determinate, fisse e impreteribili, fa il suo cammino e intreccia pertanto l’elemento determinato suo con l’elemento libero dell’uomo che cammina in mezzo ad essa, dando il risultato per noi più sorprendente di non essere mai disturbata nella determinatezza delle sue leggi dalla libertà dell’uomo e di non disturbare mai con la determinatezza delle sue leggi la stessa libertà dell’uomo. È il secondo elemento. L’intreccio di questi due elementi e di tanti elementi crea la cosiddetta causalità. Ma c’è un terzo che è al di fuori, un terzo elemento che è misterioso, che cammina accanto all’uomo, che cammina accanto alla natura, che non è né l’uomo né la natura, che sta al di sopra di essi e che viene rivelato da un disegno, che viene rivelato dai cicli, dalle rispondenze, che viene rivelato dai risentimenti morali e dal fatto di un legame quanto mai indicatore che esiste tra colpa e dolore, tra peccato e disgrazia. E il terzo elemento misterioso è il reparto dove agisce soltanto Iddio, la Divina Provvidenza. È dall’incontro di questi tre elementi che si fa la storia. Ma di questi tre elementi nei quali l’uomo fa la figura che voi sapete, il quadro che voi conoscete, il vertice si chiama Gesù Cristo e Gesù Cristo nella sua Passione, il Verbo di Dio fatto uomo che immola sé stesso perché gli uomini trovino la via della loro giustizia e della eterna pace. Questo bisognava richiamare, perché la S. Messa è questo. Attenti bene. Ricapitoliamo. La Messa è un Sacrificio: l’ha detto Gesù Cristo. La Messa è Sacrificio commemorativo, rappresentativo del Sacrificio della croce: l’ha detto Lui. La Messa è una cosa sola con il Sacrificio della croce, e pertanto nell’unità del Sacrificio, rinnova quello; non è un altro sacrificio. Le forme sono diverse, perché la Messa è Sacrificio incruento mentre quello della croce è stato cruento, ma questo si rapporta a quello, talché rientra nella unità del Sacrificio della croce. E pertanto rinnova quello, anche se le forme sono specificamente distinte. Rinnova quello, ed è in questo senso che si parla di unità: ripresenta, ripropone quello. L’atto offerente di quello ritorna a ogni consacrazione, ossia ritorna a ogni consacrazione la risoluzione del dramma del mondo, la sorgente di tutto. È per questo che la S. Messa ha un valore infinito. Sacrificio, Sacerdote eterno. Vittima: tutto sta inserito in quel soggetto divino che, essendo la persona del Verbo, comunica a quanto è predicato di Lui, in proprio, il carattere dell’infinito. – I frutti della Messa sono applicati limitatamente, però indefinitamente aumentabili. E questa è la ragione per cui la S. Messa può essere ripetuta indefinitamente, e l’applicazione dei frutti avviene in modo finito per quanto indefinitamente aumentabile. Allora, quando si celebra la Messa, che cosa si vive? Tutto il mondo, tutta la storia, tutta la salvezza. Ma non la si vive con la memoria, riandando a un passato: è un presente. Non è ima ricostruzione soltanto commemorativa, è rinnovazione; quel fatto è ontologicamente vivente e ritorna tutto. – Badate bene che il mondo ha, per la sua forma e per il suo spazio, una maestà che ci sopravanza tanto. Badate bene che tutta la storia, della quale il mondo è il quadro materiale, è una maestà che si ammanta di tutta la luce di questo cosmo. Badate bene che tutti gli uomini che furono e sono e saranno sono soltanto attori, in parte, di questa storia. Ma tutto questo ritorna quando si celebra la Messa. Ritorna nelle sue supreme ragioni, supreme sue esigenze di giustizia, suprema corrispondenza di giustizia, perché il Sacrificio è la corrispondenza di giustizia, è una soluzione di giustizia, ritorna col suo tema obiettivo attuato di eterna redenzione e di eterna salvezza, dal quale tutto rifulse. C’è tutto nella S. Messa. Noi possiamo riflettervi per tutta la vita, possiamo consumare le nostre capacità intellettive per tutta la esistenza, ma non arriveremo mai a capire bene, a esaurire l’argomento della S. Messa. Ora provatevi voi a vedere se esiste una cosa più grande, se ne esista una che possa essere anteposta alla S. Messa, se esista un atto che possa, più della S. Messa, acquisire le nostre attrattive e le nostre preferenze. Dite voi se esiste un momento più sublime di quello nel quale si celebra, si ascolta, ci si unisce alla S. Messa. Allora si arriva a un vertice, e da quel vertice si sente che si maneggia il mondo e l’eternità, perché il valore di questo Sacrificio non è soltanto per i vivi, nella soluzione del loro grande dramma di fronte all’eternità, ma s’estende al di là delle barriere della morte e diventa anche suffragio e soluzione per coloro che attendono ancora la purificazione definitiva, per quanto già siano certi dell’eterna salvezza. – Si arriva allora al crinale fra tempo ed eternità. E quell’altezza è vertiginosa, e il grande contrasto è che l’abitudine tende a ricoprirlo, a intasarlo, a renderlo opaco, comune. E allora la lotta di tutta la vita sarà contro questa abitudine che tenterà di imbozzolarci, di chiuderci perché noi non vediamo, non sentiamo e non proviamo, mentre sempre soltanto nel balzo vigoroso della fede, che chiama in causa tutto quello che c’è di attuale in noi, possiamo rompere la grande tentazione dell’oscurità e del crepuscolo col quale le cose della vita tenterebbero di avvolgere il S. Sacrificio. È tutto. È tutto. – Alcuni anni fa andai al sanatorio di Arco per compiere uno dei miei doveri. Trovai là un sacerdote, un missionario tubercoloso. Era pressappoco morente. Si capiva che avrebbe potuto tirare avanti giorni, settimane, un mese, poco più. Era disfatto quell’uomo. Lo ricordo. Aveva anche altri mali, per cui era veramente un crocifisso. Mi disse: « Chiedo una grazia sola. Vede, il mio sangue è marcio — era vero — tutto è marcio in me. Ma chieda lei al Papa la grazia di poter dire, così, perché non posso più reggermi, la Messa, una volta, una volta sola! Non chiedo altro. Sono felice di offrire la mia vita per la Chiesa, per il Papa, sono contento di morire, ma domando una cosa sola: mi si lasci dire ancora una volta la Messa; perché mi occorre una dispensa, lei capisce, una dispensa da tutto ». Gli dissi: « Va bene, non so se riuscirò ». Dopo alcuni giorni andai da Pio XII. A un certo punto dell’udienza, alla fine di ciò di cui si doveva trattare, gli raccontai la cosa. Gli dissi: « Padre Santo, me lo faccia questo dono. Almeno una volta! Se vado a chiederlo alla Congregazione dei Riti mi fanno aspettare un anno, e quello muore. E poi non me lo concedono, perché quest’uomo è ridotto a un gomitolo, non potrà indossare i paramenti, dovrà celebrare in letto stando arrotolato. È una Messa senza forma. Padre Santo, una volta sola! ». Io vidi una lacrima negli occhi del Papa. Stentò a parlare. Dopo un po’ disse : « Una volta sola? Poveretto! Fin che vivrà ». Cari, vale la pena di vivere tutta una vita per sentire una Messa sola! – Il popolo ebreo peregrinò 40 anni nel deserto e non arrivò al monte di Sion. Quelli della prima uscita hanno dovuto morire tutti; e lo stesso Mosè ha dovuto morire sul Monte Nebo guardando da lontano la terra Promessa, perché aveva avuto un atto di esitazione nella sua fede. Vale la pena di vivere tutta una vita per sentire anche una sola volta la Messa; camminare trascinandosi da un polo all’altro per sentire una sola volta la Messa. Ora guardate questa moltitudine, che non si cura neppure di andare a Messa alla domenica. Ne abbiamo da fare, è vero? Perché il farcela andare, vedete, Dio l’ha lasciato affare nostro. Lui ci aiuta e muove tutte le cose nel senso in cui lavoriamo noi, ricordatevelo, e obbliga tutto il male a servire al bene, perché Cristo ha redento il mondo, e, pertanto anche il male ha avuto questo smacco: deve sempre servire al bene. Ma portarcela, questa gente, l’ha lasciato affare nostro. Comunque una vita sarebbe bene spesa quando fosse spesa, se non altro, che per dire o ascoltare una Messa.