SALMI BIBLICI: “FUMDAMENTA EJUS IN MONTIBUS SANCTIS” (LXXXVI)

SALMO 86: “FUNDAMENTA EJUS IN MONTIBUS SANCTIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 86

Filiis Core. Psalmus cantici.

[1] Fundamenta ejus in montibus sanctis; (1)

[2] diligit Dominus portas Sion super omnia tabernacula Jacob.

[3] Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei!

[4] Memor ero Rahab et Babylonis, scientium me; ecce alienigenæ, et Tyrus, et populus Æthiopum, hi fuerunt illic.

[5] Numquid Sion dicet: Homo et homo natus est in ea, et ipse fundavit eam Altissimus?

[6] Dominus narrabit in scripturis populorum et principum, horum qui fuerunt in ea.

[7] Sicut lætantium omnium habitatio est in te.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXVI

Sionne, vale a dire la Chiesa, sommamente gloriosa. Il numero de suoi cittadini sarà innumerabile, e questi saranno felici

A figliuoli di Core. Salmo, ovver cantico:

  1. Le fondamenta di lei sopra i monti santi, ama il Signore, le porte di Sion più che tutti i tabernacoli di Giacobbe. (1)

2. Grandi cose sono state dette di te, o citta di Dio.

3. Io mi ricorderò di Rahab e di Babilonia, genti che mi conoscono.

4 Ecco, che li stranieri, e Tiro, e il popolo degli Etiopi, tutti questi vi avran loro stanza.

5. Non sarà egli detto rìguardo a Sionne: uomini, e uomini in lei son noti, e lo stesso Altissimo è quegli, che ha fondata?

6. Il Signore nella lista dei popoli e de’ principi dirà di quelli, che in lei sono stati,

7. E come quelli, che abitano in te sono tutti nell’allegrezza. (2)

(1). Il pronome ejus è maschile nell’ebraico e nei Settanta. Se dunque si riferisce a Dio, occorre, come esige l’insieme del Salmo, che il senso di questo versetto sia: Fundamenta quæ posuit Deus sunt in montibus sanctis.

(2). Gerusalemme era costruita su tre montagne, gli appoggi della Chiesa sono gli Apostoli ed i loro successori. Dio scriverà sul registro dei popoli, cioè sul grande libro ove Egli scrive i popoli e tutti ciò che li riguarda.  

Sommario analitico

Il Profeta, contemplando la Chiesa della terra e del cielo sotto la figura di Sion, descrive:

I. – I suoi fondamenti stabiliti sulle sante montagne, sulla dottrina degli Apostoli (1);

II. – Le sue porte, vale a dire i Sacramenti, oggetto particolare dell’amore di Dio (2);

III. – Le sue mura, le sue case, i suoi palazzi degni di ogni lode (3);

IV. – La moltitudine dei suoi abitanti, radunati da tutte le nazioni (4);

V. – Il suo Re e suo fondatore, Gesù-Cristo (5);

VI. – Il numero e la dignità dei suoi proseliti (6);

VII. – La gioia eterna dei suoi abitanti (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. e II.— 1, 2.

ff. 1, 2. – Questo Salmo è breve per numero di versetti, ma considerevole per il peso dei pensieri che racchiude … Il Profeta canta e celebra una città di cui noi siamo i cittadini, nella nostra qualità di Cristiani; lontano da essa noi siamo esiliati fin quando restiamo in questa vita mortale, e verso la quale tendiamo per una via che si trova interamente ostruita da rovi e spine, fino al momento in cui il Re di questa città si è fatto Egli stesso nostra via, affinché potessimo giungere in questa città (S. Agost.). – Il salmista non ha ancora parlato di questa città; tuttavia egli comincia in questi termini: « i suoi fondamenti sono sulle sante montagne ». I fondamenti di cosa? Non c’è dubbio che i fondamenti, soprattutto sopra delle montagne, non siano quelle di qualche città. Pieno di Spirito-Santo, il cittadino di questa città rivolta nel suo spirito tutti i suoi pensieri d’amore e di desiderio di essa, e uscendo in qualche modo da una meditazione più estesa, esclama subito: « … I suoi fondamenti sono sulle sante montagne », come se avesse detto già qualcosa di questa città. E come in effetti, non avrebbe detto ancora niente, lui che non ne ha mai cessato di parlarne nel suo cuore? (S. Agost.). – Questa città è la Chiesa, la vera Gerusalemme, fondata sulle alte montagne da cui è esposta alla vista di tutta la terra, e sulla Pietra angolare che è Gesù-Cristo. « Nessun altro fondamento che questo » (I Cor. III, 11). Ogni edificio elevato su di un altro, sarà distrutto. – Dio ama più di ogni altra cosa la porta di questo edificio, che è ancora Gesù-Cristo, il solo per il Quale si possa entrare; o piuttosto Egli non ama che Gesù-Cristo e la Chiesa stessa, e coloro che essa racchiude non sono anime di Dio se non in rapporto a Gesù-Cristo (Duguet). – La Chiesa è in questo mondo tutto ciò che i Profeti avevano annunziato che essa fosse: « un segno posto in mezzo alla nazioni; (Isai. XI, 12); la montagna preparata sulla sommità dei monti può essere il convegno dei popoli (ibid. II, 2); la città di Dio ha i suoi fondamenti sulle montagne sante; la saggezza che si fa intendere da lontano su tutte le sommità, lungo tutti i sentieri, parlando vicino alle porte della città e alle soglie stesse delle case » (Prov. I, 21, VIII, 1, 2, 3). Essa invita, chiama a sé coloro che non hanno ancora la felicità di credere; essa conferma e consolida la fede dei sensi; essa testimonia, afferma, dimostra, spiega; essa offre delle garanzie, fornisce dei salari, fonda delle certezze, pone nelle anime dei principi assoluti, e pone a sedere le stesse anime sui fondamenti che nessuna potenza umana o infernale possiede il segreto per distruggerli (Mons. Pie, Discours, etc. t. VII, p. 235). – Se si trattasse qui unicamente – dice S. Agostino – della Sion terrestre, non si potrebbe dire che Dio la preferisca a tutti i padiglioni di Giacobbe, perché infine questa città era uno dei bastioni di Giacobbe, perché abitato dai discendenti di questo Patriarca. – Tutto ciò che si opera nella Chiesa, sia per il suo stabilirsi, sia per la sua costruzione, sia per il suo consumo, deve così operarsi in un’anima fedele. Essa è poggiata su Gesù-Cristo, che unicamente essa ama; essa è pure fondata sugli Apostoli, i cui insegnamenti servono a formarla ed istruirla, a farle mostrare il rango che deve tenere nella celeste Gerusalemme. Essa è l’oggetto delle compiacenze del Signore, quando è attenta nell’ascoltarlo e nel piacergli (Berthier). – Perché gli Apostoli ed i Profeti sono i fondamenti di questa città che è la Chiesa? Perché la loro autorità sostiene la nostra debolezza. Perché sono pure gli Apostoli di Sion? Perché noi entriamo grazie ad essi nel regno di Dio; essi sono per noi i predicatori della salvezza; e quando noi entriamo attraverso di essi nelle città, vi entriamo grazie al Cristo, perché Egli stesso è la porta (S. Agost.).  

III. — 3.

ff. 3. – Si, certo, i Profeti e gli Apostoli hanno detto delle cose gloriose di questa città di Dio, della Chiesa di Dio sulla terra, ma soprattutto della Chiesa del cielo. Uno di essi ci ha detto tutto quando ha detto che non poteva dire niente: « … ciò che occhio non ha visto, ed orecchio ascoltato, ciò che il cuore dell’uomo non ha mai conosciuto ». (I Sap. II, 7). O divina patria! « mi si raccontava delle vostre felicità e delle vostre glorie; » la fede mi parlava delle vostre gioie, delle vostre ebbrezze, delle vostre estasi, di tutte queste cose che non mi lascia mai vedere, gustare, possedere; che hanno sempre lo stesso splendore, la stessa pienezza, e che per di più, sono immortali. Io ammiravo, non osavo sperare. Io sognavo di voi come di un’isola incantata che si intravvede dalla riva e che un fiume impraticabile separa da noi. Questo sogno era splendido ma doloroso! Io mi dicevo: tutto là è divino, ma niente di tutto ciò è per me. Ora io posso pensare a voi senza dolore: perché io so che non siete straniero. Santa patria delle anime, io ho gioito per ciò che mi è stato detto da un Dio. «… noi andremo nella casa del Signore » (De Place, Carême 2^  Dimanche).

IV. — 4 e 5.

ff. 4, 5. – Quando anche si trattasse degli abitanti di Rahab, di Babilonia, che rappresentano qui le nazioni pagane, io me ne ricorderei dal momento che mi conosceranno per la fede e la carità (S Girol.). La maggior gloria di Gerusalemme è di essere stata la fonte dalla quale è venuto il Messia. Gesù-Cristo non è nato in questa città, ma Bethléem era così vicina che si può ben dire che Gerusalemme fosse la patria di questo Uomo-Dio. – In un altro senso, è una felice nuova da pubblicare: che una moltitudine di uomini di ogni tipo di contrada, stato o condizione, prendono nascita nel seno della Chiesa. Ma per qual motivo esserne sorpresi poiché l’Altissimo stesso l’ha fondata? – « E tu dirai nel tuo cuore: chi mi ha dato questi figli, a me che ero sterile e non partorivo? Io ero cacciato dal mio paese e prigioniero: chi li ha nutriti? Io ero solo, abbandonato, da dove sono venuti? » (Isa. XLIX, 21). – Rahab è questa cortigiana di Gerico che ricevette le spie dei Giudei e le fece fuggire da una strada secondaria. Per questo ella fu salvata, e fu figura della Chiesa dei Gentili. Ecco perché il Salvatore dice ai Farisei che si inorgoglivano: « In verità, in verità io vi dico, i pubblicani e le donne di cattiva vita vi precederanno nel regno dei cieli » (S. Matth. XXI, 31). Essi vi entrano per primi perché se ne impossessano con l’aiuto della violenza; essi ne forzano l’entrata per la loro fede, tutto cede alla loro fede, e nessuno può resistervi, ed è così che coloro che fanno violenza al cielo lo rapiscono (S. Agost.).

ff. 6. – Le Scritture ci parlano spesso del registro della vita, del libro dove devono essere iscritti gli amici di Dio. Sulla terra, noi non abbiamo altro monumento che possa portare questo nome, se non la raccolta degli oracoli sacri di cui la Chiesa è depositaria. Nel cielo, questo libro è la conoscenza eterna di Dio; è tutto l’ordine dei suoi decreti sui figli degli uomini; è lo stato che questa Intelligenza superiore in tutti i tempi tiene di tutto ciò che arriva o arriverà nel succedersi dei secoli. Il primo di questi libri è la nostra guida, ed il secondo il nostro giudice, il primo sarà prodotto come testimone a favore o contro di noi, ed il secondo fisserà i nostri destini per l’eternità (Berthier). – Tutti i popoli e tutti gli individui che compongono questi popoli sono sempre ed in ogni istante presenti davanti a Dio. L’Intelligenza divina, eterna, immensa, infinita, è come un grande libro ove è scritto in anticipo tutto ciò che è passato, tutto ciò che passa, tutto ciò che passerà nell’ordine temporale e nell’ordine spirituale. Dio conosce tutti gli avvenimenti di tutti gli uomini con una conoscenza intima e completa. Egli vede tutto, ma guarda con attenzione particolare coloro che nascono, che vivono e che muoiono nella sua Chiesa, in questa Santa e gloriosa città che il suo Figlio prediletto ha conquistato al prezzo di tutto il suo sangue (Rendu).    

VII. – 7.

ff. 7. – La montagna di Sion è fondata con la gioia di tutta la terra (Ps. XLVII, 3). « Voi vi rallegrate e sarete nella gioia per l’eternità; io sto per rendere Gerusalemme una città di allegrezze, ed il suo popolo, un popolo di gioia.» (Isai. LXV, 18). – Durante il nostro pellegrinaggio su questa terra, noi siamo costantemente nell’oppressione; la nostra abitazione non sarà il soggiorno che della gioia. Non più pene, non più lamenti; le suppliche sono cessate, sono succeduti i canti di lode. La città di Dio sarà dunque l’abitazione di coloro che si rallegrano; non ci sarà più colà il gemito del desiderio, ma la gioia della felicità … « l’abitazione di tutti coloro che si trovano come nella gioia, è in voi ». cosa significa questo “come”? perché “come” nella gioia. Perché là ci sarà una gioia che noi qui non conosciamo. Io vedo qui delle gioie: Molti gioiscono nella vita del secolo, gli uni di una cosa, gli altri di  un’altra; ma io non ho una gioia che si possa comparare a questa gioia dell’eternità, che non sia che “come” una gioia; perché se dico che è una gioia, lo spirito dell’uomo lo rassomiglierà ben presto a qualche gioia che ha costume di provare tra i godimenti della terra … prepariamoci dunque ad un nuovo tipo di gioia, perché noi non troviamo quaggiù se non qualche cosa che ci sembra simile, ma non lo è (S. Agost.). – Questa città di Dio è, per così dire, interamente costituita di gioia e di felicità; la gioia è la base sulla quale essa è fondata. « la montagna di Sion è fondata sugli applausi di tutta la terra; » (Ps. XLVII, 3). Gli elementi che entrano nella sua struttura sono degli elementi di gioia: « rallegratevi, siate nella gioia per l’eternità, di ciò che sto per fare: Io voglio rendere Gerusalemme una città di allegrezza ed il suo popolo un popolo di gioia; » (Isa. LXV, 18); Tutte le sue piazze risuoneranno di grida di allegrezza, « … e si canterà in ognuno dei suoi luoghi. Alleluia ». Il Re dei cieli spanderà su di essa dei torrenti di gioia: « Il Signore consolerà Sion, riparerà le sue rovine … tutto vi respirerà la gioia e l’allegrezza; si sentiranno risuonare azioni di grazie e cantici di lode. » (Isai. LI, 3). La gioia brilla sul viso dei suoi abitanti e corona le loro fronti: « Coloro che sono stati riscattati ritorneranno al Signore, e verranno a Sion cantando i cantici di lode; una gioia eterna coronerà la loro testa; essi saranno pieni di gioia e di allegrezze, il dolore ed i lamenti si dilegueranno. » (Isai. LI, 11) Questa gioia non è solamente alla superficie del cuore, come le gioie della terra, essa lo penetra tutto intero. « E voi, ora, avete tristezza, ma io verrò di nuovo, ed il vostro cuore ne gioirà, e nessuno potrà rapire la vostra gioia.» (Giov. XVI, 22).  

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° Corso di Esercizi Spirituali (7)

S. S. GREGORIO XVII:IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (7)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ CRISTO

7. Mysterium fìdei

Il discorso sul medio, cominciato a proposito della meditazione sul giudizio, continua. L’Eucaristia è il mysterium fìdei per eccellenza. Lo è tanto che, come ho già avuto modo di ricordare nell’introduzione, nell’Evangelo di Giovanni, Gesù pare premettere al discorso eucaristico il discorso più impegnativo che abbia fatto a proposito della fede. Non c’è dubbio che è veramente l’Eucaristia il mysterium fìdei. Siccome noi dobbiamo camminare con Gesù Cristo e Gesù Cristo è lì, nella forma più vicina, più tipica, più indicativa, più qualificata, noi dobbiamo pure affrontare il discorso del mysterium fidei. Perché l’Eucaristia è il mysterium fidei? Perché non si vede niente, non si sente niente. Anche il discorso sulle emozioni interiori di quando si fa la S. Comunione è un discorso che deve essere molto cauto, perché non appartiene alla via ordinaria che ci siano straordinarie emozioni o effusioni, tali cioè che interessino la sfera affettiva o emotiva. Un’anima può benissimo anche durare a fare la Comunione per anni in un modo che si possa ritenere da parte sua anche perfetto senza che abbia particolari emozioni. Perché il sentire, il provare il gusto diretto delle cose di Dio, la esperienza immediata delle cose di Dio, non appartiene alla via ordinaria in questo mondo. Quindi, anche quando non avviene, non bisogna impressionarsi. L’importante, quando si fa la Comunione, è che si mantenga tutto l’affetto possibile, quello che diamo a Dio con la grazia sua, tutta l’attenzione, tutta la diligenza, tutta la concentrazione, e si dia a tutto questo la preparazione necessaria, anzi sovrabbondante, e la sequela non solo necessaria ma sovrabbondante. Se poi Dio permette che si provi qualche cosa, tanto meglio. Se non si prova qualche cosa, eh, pazienza, si aspetterà. Quando mancasse, non traiamo dal mancare conclusioni che non sarebbero né vere né utili né convenienti. Comunque rimane vero che è il sacramentum fidei. Perché che cosa si vede? Un po’ di pane e un po’ di vino. Che cosa si sente? Niente. Ecco, e allora si deve raggiungere la realtà con un’altra potenza, che non è degli occhi, delle orecchie, del tatto: è l’anima che crede, che sa con certezza esserci sotto le apparenze del pane e del vino Gesù Cristo. Ecco il mysterium fidei. E perché si accetta questo mysterium fidei? Lo si accetta per una cosa sola: sulla sua parola, lo ha detto lui. Sulla sua parola. Quella sua parola, voi sapete donde poteva trarre valore dinanzi alla mente degli uomini raziocinanti che chiedono dimostrazioni. Voi sapete che quella sua parola è stata accompagnata dall’avveramento delle profezie messianiche e sapete che quella sua parola è stata accompagnata dal fatto più grande della storia umana, che è la risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, fatto storico, fatto certo, fatto documentabile. Voi sapete che quella sua parola è stata accompagnata dall’esercizio di una potenza imperante sopra tutte quante le leggi di natura, al di là e al di fuori di tutte le leggi di natura, che denotava in lui con evidenza l’esercizio di una potenza e di una autorità divina. Voi sapete la singolare introduzione che ha fatto Gesù al discorso eucaristico del capitolo VI di San Giovanni. È una introduzione singolare; credo che nessun oratore mai abbia potuto fare un prologo al proprio discorso come lo ha fatto Gesù Cristo. Il prologo del discorso eucaristico è stato questo: c’era una folla che, a computare anche le donne e i bambini, poteva essere calcolata di 10.000 persone; e questa folla l’aveva seguito a nord del lago di Cafarnao, oltre la palude di Meron, e si trovava in una regione assolutamente deserta, lontana da paesi, da centri di rifornimento, e l’aveva seguito talmente affamata di cose spirituali da dimenticarsi di quelle materiali. A un certo momento si sono trovati tutti presi dalla fame e vuote completamente le bisacce, cioè senza niente. E Gesù dice: Questa povera gente muore di fame. Ma sì, e dove si va a prendere tanto pane per dar loro da mangiare a quest’ora? Gesù domanda: C’è qualcheduno che ha qualche cosa? Beh, hanno due pani e pochi pesci. Portateli qui. Li benedice, rende grazie e comincia la distribuzione. La distribuzione continua e i pani non vengono mai meno e i pesci neppure. E tutta quella gente si sazia in modo tale che quando egli dice: “Andate a raccogliere i frammenti”, se ne raccolgono dodici sporte. – Il prologo del discorso eucaristico di Cafarnao è stato il miracolo della moltiplicazione dei pani. C’era anche un collegamento di simbolo tra il miracolo e quello di cui avrebbe parlato Gesù. Ma certo era una introduzione molto efficiente e molto convincente, perché Egli stava per dire una cosa che aveva dell’incredibile, e notate bene che sulla sua reale manducazione ritorna quattro volte, e sul fatto della realtà della sua presenza nove volte: ripete, incalza. Il discorso di Cafarnao è un dialogo serrato, in cui l’interlocutore non parla altro che alla fine del discorso ma la cui voce o il cui gesto rumoreggiante e polemico e contraddicente lo si sente a ogni rincalzo. Perché, se Gesù Cristo ripete le due stesse cose una per quattro e una per nove volte, è segno che ci sono state altrettante manifestazioni e contrarietà da parte della folla, che diceva: queste sono robe da matti. Ma, capite, aveva fatto quel prologo, Lui, aveva dimostrato che era padrone delle cose. E aveva moltiplicato i pani e anche i pesci. Aveva fatto questo, e la cosa era stata di immediata costatazione perché avevano mangiato e si erano saziati. E siccome da molto non mangiavano, il loro mangiare non era stato poco; poi a quell’aria fresca e a quei tempi in cui le folle che andavano dietro a Nostro Signore non avevano poi tante delicatezze, mangiavano di santa ragione. Gesù ha dato loro quella prova, come a dire: Ora vi dirò una cosa che forse per voi va fuori dall’ immaginazione, ma badate che non va fuori dall’immaginazione più di quanto non vada fuori il fatto che con pochi pani e due pesci si sia dato da mangiare a 10.000 persone. È la stessa cosa. Occorre la stessa potenza per l’uno e per l’altro e, manco a farlo apposta, guardate bene, qui c’era un oltraggio, si sarebbe detto, alla legge dell’estensione e della quantità. – Quello che rende il sacramento della Eucaristia « mysterium fidei » è la stessa cosa, è la stessa cosa tutta a rovescio. Cioè non è l’oltraggio, ma è la eccezione fatta a tutte le leggi della quantità, come forse avremo occasione di spiegare più dettagliatamente in una nostra conversazione seguente. Pertanto aveva fatto un discorso introduttorio molto imbarazzante N. S. Gesù Cristo. E badate bene che la potenza del discorso, imbarazzante per i negatori e consolante invece per coloro che lasciavano aperte le porte alla ragionevolezza, la si sente in quel che viene dopo, perché al termine del discorso la folla esplode, i malevoli fanno un anticomizio e dicono: « Ma che cosa sono queste parole? Chi può stare a sentire discorsi di questo genere? Chi può mai accettare parole come queste? ». E se ne vanno, se ne vanno. I capi, il solito gruppo dei Farisei, degli Scribi, gente arrabbiata, gente verde dalla bile che aveva contro Gesù Cristo, se ne vanno. E così comincia a scemare la folla intorno a lui, L’aria si è cambiata, c’è senso di rivolta. E Lui si volse anche ai discepoli che gli stavano vicini, quelli non avevano ancora cominciato ad allontanarsi: « Volete andarvene anche voi? Andate ». È allora che Pietro parla e dà una risposta stupenda: « Signore, e dove andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna ». Grande logica nelle parole di Pietro, perché tradotte in parole povere vogliono dire questo: Signore, veramente anche noi non abbiamo capito niente, proprio niente — e non c’è da meravigliarsi che non avessero capito niente — però abbiamo vagamente intuito che quelle che tu dici sono parole di vita eterna, appartengono a un altro piano. Comunque, qualunque cosa Tu dica —  egli si ricordava dei pani e dei pesci — noi non andremo da nessun altro, noi non possiamo, da nessuno. Tu solo hai parole di vita eterna. – Nostro Signore ha affermato la verità dell’Eucaristia. Come vedete, l’ha afferma: in modo polemico, in modo incalzante, davanti a una folla che non se ne stava lì quieta, tranquilla, ma che ha rumoreggiato, che ha dato tutte le manifestazioni della sedizione, della rivolta, del dispetto, della rabbia, provocando tutto quell’insorgere di affermazioni successive. Qui — ed è stata l’unica volta in tutto il tempo del Vangelo — Nostro Signore ha posto la questione di fiducia ai discepoli : « Volete andarvene anche voi? Andate ». O

accettate e rimanete; o non accettate e potete andare. – Naturalmente noi crediamo alla presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia e ci crediamo sulla parola di Lui. Questa parola ha avuto una grandissima documentazione e ha continuato ad averla nel tempo, perché Dio ha fatto tante cose singolari intorno all’Eucaristia e ha tante volte infranto le leggi della natura, ha tante volte infranto tutti quelli che potevano sembrare i calcoli umani; li ha superati, li ha trascesi. Anche quando dal secolo scorso a Lourdes si è aperta una vena di soprannaturale singolarissimo che dura tuttora, voi sapete che la parte, e forse la parte maggiore delle manifestazioni soprannaturali avvengono al passaggio del SS. Sacramento. Ma c’è tutto il resto, perché c’è un fatto che dura da duemila anni ed è come il fatto del sole. Il sole sorge il mattino, tramonta la sera. Del sole che cosa si dice? Fa chiaro; qualche volta si dice: fa anche caldo. D’inverno lo si dice meno. È un fenomeno al quale, in fondo, non si fa gran caso perché è talmente abituale. Ma non si fa caso all’altro fenomeno: questo sole permea la vita, è la ragione di tutta quanta la vita che è sulla terra. Noi fino a pochi anni fa lo sapevamo in modo assolutamente vago, non conoscevamo una funzione clorofilliana, una funzione che rendeva ragione di tutto il mondo vegetale e attraverso il mondo vegetale dello stesso mondo animale il quale finisce poi, in ultima analisi, con l’appoggiarsi sul mondo vegetale. C’è tutta un’azione del sole, per cui si vede la vita che ha rigoglio. Dove il sole non arriva con certa potenza del suo raggio, certe piante non osano spuntare fuori dalla terra, non potrebbero, certi frutti non possono maturare. Dove c’è il sole e dove il sole raggiunge una certa intensità, dove c’è l’incidenza del raggio e a un certo modo, noi vediamo crescere i datteri, le banane, i frutti dei climi più caldi, i frutti più ricchi, più saporosi. È tutta una immensa influenza che l’astro del cielo esercita e del quale noi non seguiamo la vicenda, del quale noi raccogliamo soltanto i frutti. – Ora, la presenza di Nostro Signore nella storia della Chiesa ha avuto lo stesso identico andamento, ma con altro ritmo e con altro frutto. Guardate che tutto è cresciuto intorno all’Eucaristia. Senza di quella, le anime non si sarebbero mai rassodate, senza di quella i martiri non avrebbero mai trovato la loro forza, senza di quella non sarebbe nato niente, nessuna istituzione sarebbe mai riuscita. La numerosità, la varietà, la funzionalità di certe fondazioni sono nella Chiesa Cattolica, e solo nella Chiesa Cattolica, notate bene. La vera flora, nel fatto umano, si è avuta soltanto nella Chiesa Cattolica. Questo è un fatto evidente, è un fatto che è quadrato, è ben netto, è circostanziato, è palmare, è documentabile. Perché? Perché ? Anche qui succede come nell’ordine fisico, che certi frutti attecchiscono e maturano solo in certe regioni, perché qui c’è l’incidenza del sole a un certo modo. –  Se si studia la storia della Chiesa, si vede che i  momenti più grandi hanno affondato le radici nei momenti peggiori. Basta pensare che questo scattare della Chiesa, dopo la pace di Costantino, ha affondato le radici in un periodo di tre secoli di persecuzioni all’esterno e di eresie all’interno. E le eresie sono state una cosa ben peggiore, per la Chiesa primitiva, che non le persecuzioni degli imperatori romani. Notate bene che quel rinvigorimento incredibile che noi abbiamo alla fine del XII secolo e al principio del XIII, in una civiltà che è cristiana, che è la più cristiana che abbia conosciuto tutta la parabola della nostra fede, viene dopo il periodo più oscuro, che ha portato all’acme le grandi lotte per la liberazione della Chiesa dalla corruzione del suo stesso Sacerdozio e persino, in una parte dell’Europa, dell’Episcopato. Badate che la grandissima fioritura, la più grande fioritura di fondazioni religiose che si sia verificata nella Chiesa, non come numero ma come qualità, varietà, funzionalità e adattamento sociale, è venuta dopo la rivoluzione francese e dopo le conseguenze della rivoluzione francese. I santi e la maggior parte delle istituzioni missionarie e non missionarie del secolo scorso, provengono o o da uomini che sono germinati sotto il terrore e al tempo del terrore. È allora che si sente la potenza della germinazione e di questo sole che è Lui, Gesù Cristo nell’Eucaristia. – L’atto di fede è l’atto col quale il nostro intelletto accetta aderendo o aderisce accettando, il che è lo stesso, delle proposizioni e verità, e le accetta e vi aderisce unicamente basandosi sulla autorità di Dio che le ha rivelate; in parole più semplici, unicamente basandosi su questo: Gesù Cristo l’ha detto, basta. Pertanto due sono le cose fondamentali da osservare nell’atto di fede. La prima è che si tratta di un atto essenzialmente intellettuale, da non confondersi con atti che non sono intellettuali. La seconda è che il motivo di questa accettazione, di questo piegarsi dell’intelletto, di questo dire: Amen, aderisco, il motivo non è la evidenza intrinseca della verità che si accetta ma è la parola di Dio, è il fatto che l’ha detto Gesù Cristo. Soltanto per questo motivo di autorità divina si ha l’atto di fede. Perché là dove l’adesione a una verità avvenisse per visione diretta, cioè per diretta evidenza, noi non avremmo più l’atto di fede, ma avremmo un atto di scienza. Tanto è vero che, quanto alla esistenza di Dio, alla quale possiamo arrivare argomentando dalle cose create con vera e propria dimostrazione, con la più grande dimostrazione che meriti tal nome tra le cose terrene, se a Dio arriviamo per il fatto che l’abbiamo dimostrato, noi non facciamo un

atto di fede. Noi lo facciamo quando diciamo: Aderiamo perché l’ha detto Lui che c’è. Ora, salvo talune verità che sono insieme oggetto di scienza e oggetto di fede a seconda del motivo per il quale si ammettono, le altre, in sé stesse, sono verità che trascendono, non sono dimostrabili. Non solo, ma di esse i cosiddetti misteri non sono neppure del tutto raggiungibili; intelligibili sì, cioè in essi l’intelligenza può entrare fino a un certo punto, ma a un certo punto si trova davanti l’infinito e la capacità nostra che è finita non può adeguarvisi. Pertanto verità che sono intelligibili rimangono incomprensibili, se per comprensibile s’intende la cosa che è intelletta fino in fondo, perché il comprendere dice il prendere tutto. – Ma c’è l’autorità di Dio che dice: questo è vero; e se lo dice Dio, noi non abbiamo niente da dire, perché Egli è verità, non può ingannare; è perfezione, è verità che non inganna, è infinita perfezione e pertanto non può ingannare: se lo dice Iddio, basta, abbiamo la massima certezza. I nostri occhi possono essere passibili di difetto, sono passibili d’inganno, gli strumenti della nostra evidenza immediata possono essere passibili talvolta d’inganno, e di fatto lo sono, e questo mette noi in cautela anche quando si tratta di sperimentazioni scientifiche; ma quando l’oggetto e il mezzo per poter venire in contatto con la verità è Iddio stesso che interviene, che attesta, Dio attestante, la parola di Dio, allora il mezzo per raggiungere la verità è infinitamente maggiore e più sicuro e certo di quello che noi abbiamo dai nostri occhi o dagli strumenti ordinari della nostra sperimentazione diretta di evidenza. – Sicché, guardate qui nuovamente le due cose: nella fede noi abbiamo il mistero sull’oggetto, cioè su quello che si accetta, e invece abbiamo la chiarezza sul motivo per cui si accetta, perché il fatto dell’attestazione divina è un fatto storico, è un fatto che appartiene al nostro ordine, è un fatto le cui cause sono state poste e vengono poste continuamente nel nostro ordine, e pertanto la dimostrazione della divina rivelazione può essere data, è data, è raggiungibile, è raggiunta, è palmare, è data seguendo vie scientifiche, soddisfacendo tutta quanta la razionalità, le esigenze della razionalità umana; sicché, mentre il velo rimane calato sopra l’oggetto della fede — in questo caso, poniamo, la reale presenza — il velo non è calato affatto, anzi è alzato tutto sull’altro punto, sul fatto dell’attestazione divina, cioè sul motivo della fede. L’oscurità per l’uno, la chiarezza per l’altro. Il motivum fidei può essere dimostrato, il motivum fidei porta la nostra intelligenza su un altro fatto, perché il motivum fidei non è l’Eucaristia,è il fatto della rivelazione divina in sé stesso storicamentestudiato, con tutti i suoi postumi checontinuano attraverso il tempo e continuerannofino alla fine dei tempi a dare la dimostrazionedella verità di quello che ha detto Gesù Cristo,della realtà della autorità sua di attestante divino.Oscurità sulla Eucaristia, chiarezza invece sull’attestazionedivina in favore dell’Eucaristia.Quest’anno la vostra associazione ha guidato il pellegrinaggio degli studenti a Orvieto. A Orvieto c’è un corporale che porta le macchie del sangue di Gesù Cristo. Secolo XIII: era il tempo in cui la Corte papale era in dubbio se cedere a pressioni che venivano dal Belgio: si trattava della Beata Giuliana di Liegi e indirettamente di S. Lutgarda per istituire la festa speciale del Corpus Domini. Il Papa era un francese, Urbano IV. Conosceva bene l’area dalla quale venivano queste sollecitazioni, ma era in dubbio. Il Papa stava a Orvieto, e a una quindicina di chilometri di distanza, a Bolsena, un sacerdote stava dicendo Messa. Quelsacerdote aveva dei dubbi sulla verità della realepresenza. Un movimento inconsulto gli fece versareil calice. Uscì del Sangue. Videro tutti. Chi aveva autorità a Bolsena ebbe il buon senso di far recingere l’altare in modo che nessuno si vicinasse e toccasse perché potesse rimanere laprova intatta. Il Papa che stava a Orvieto andòpersonalmente a fare la costatazione a Bolsena. Prese il corporale bagnato del Sangue di GesùCristo e se lo portò a Orvieto e rimasecome attraverso i tempi la documentazione chedimostra Dio attestante, la verità della divina parola, cioè che si tratta di quella divina parola, di una attestazione divina, continua.Ho sentito dire che quest’anno la vostra associazione dirigerà il pellegrinaggio degli studenti a Siena. A Siena, nella grande basilica di S. Francesco, si conservano 223 particole consacrate. Furono rubate il 24 agosto 1730, furto sacrilego; poi forse il rimorso le ha fatte riportare in un’altra chiesa, nella cassetta delle elemosine, e sono state trovate lì dopo tre giorni. Le leggi di natura, la umidità dell’aria e tante altre cause che sono pure leggi di natura non permettono al semplice pane di restare intatto oltre un certo tempo; ammuffisce, si altera e si decompone come tutte le cose. Quelle particole invece hanno fatto eccezione. Sono rimaste intatte per oltre due secoli, dove tutti gli agenti de componenti avrebbero potuto agire. Quando le hanno ritrovate hanno capito che la cosa era straordinaria, e le hanno conservate, non le hanno consumate. Stanno là, e da qualche secolo perseverano intatte. Le leggi che toccano tutto e non fanno mai eccezione per nulla si sono arrestate dinanzi al sacro tesoro della chiesa di S. Francesco a Siena. Tutta la storia della Chiesa è costellata di fatti del genere. Ecco come stanno le cose. Sull’oggetto c’è il mistero. Gesù Cristo non lo si vede, ma sul motivum fidei c’è stata, ci fu, ci sarà la chiarezza. E non solo i cosiddetti miracoli autenticati, ma ci sarebbe tutta un’altra storia da studiare della quale qui non ho tempo di parlare, è una storia che è fatta dal ritmo che prendono le cose nella loro caducità e dall’inversione di ritmo che hanno quelle stesse cose quando incontrano GesùCristo.La conclusione qual è? Sarebbe comodo, è vero, per taluni — io, da teologo, ritengo che sarebbe terribilmente scomodo — vedere direttamente Gesù Cristo e parlare con Lui, così, con la bocca, come si fa con gli altri. Potrebbe sembrare comodo. No. Con Lui si parla attraverso questo medio; è l’atto di fede, è il motivum fidei, che in sé stesso può essere chiarissimo. Ho accennato che sarebbe molto scomodo se Gesù Cristo lo vedessimo direttamente. Contrariamente a quel che pare, è stato piissimo il nostro dolce Salvatore a far le cose a questo modo. Guardate bene, questi Santi che qualche volta rimescolano un po’ nelle faccende mistiche e vanno un po’ di là, pare che si scottino tutti lemani. Intanto, per prima cosa, non stanno in piedi,e a un certo punto muoiono perché non riescono a portare la costatazione, non dico delle cose divine ma di qualche cosa che è di pertinenza dell’ordine divino, fatta attraverso il nostro fragile corpo; non è portabile dal nostro corpo. S. Caterina da Genova, che fu una delle più grandi mistiche che abbia avuto la Chiesa, colei che hascritto il Trattato sull’amore di Dio, negli ultimi giorni della sua vita era arrivata a una tale elevazione mistica, aveva cioè la visione delle cose eterne in un modo, che a noi non è dato, per cui negli ultimi giorni a tenere in mano una tazza d’argento piena d’acqua fredda — gliela mettevano in mano per cercare di diminuire gli ardori della febbre —a tenerla in mano, faceva bollire l’acqua. Gliela mettevano in mano perché la raffreddasse e la sentivano bruciare. Essa era con la mente lassù, il corpo qui era ancora attaccato alla terra. Stava lì, col corpo, che è rimasto incorrotto. Quelli là le mettevano la tazza in mano con dentro acqua gelata per darle un ristoro, e quella la faceva bollire. Farla bollire voleva dire — poiché Genova è a 0° sul mare (ammettiamo pure che la casa dovestava fosse a 15, 16 m. s.l.m.) — voleva dire che era necessario che la temperatura che aveva nelle mani quella Santa fosse tale da poter dare il calore a 100°, per bollire. Se pensiamo che quando il corporaggiunge i 41°, ammettiamo anche i 42°, si muore, e quella arrivava a far bollire l’acqua — e notate che tutto è documentato — voleva dire che nella mano aveva una temperatura di 100°. E non moriva! Ma alla fine Iddio permise che questo fuoco, che aveva un’origine ben diversa da qualunque forma patologica e dalle altre malattie, la uccidesse, e così passò tra i Santi. Vedete, noi non potremmo sostenere la visione diretta delle cose divine. Il popolo d’Israele, quando vide quella specie di luminaria e sparatoria, quei fuochi d’artificio sul Sinai, disse a Mose: « Di’ che quelle cose Iddio le dica solo a te ». Immaginate se noi avessimo la visione delle cose divine! Ma ora qual è la conclusione? La conclusione è questa: se non c’è una grande fede, oh! l’Eucaristia si fa distante dalla vita dei fedeli. La fede, la certezza della fede si raggiunge razionalmente, ma lo splendore della fede è legato a tutte le cose che danno a noi splendore di grazia. Ma una cosa è chiara: noi avremo Gesù Cristo vicino, noi realizzeremo l’iter con Gesù Cristo nella stessa misura in cui ci sarà in noi una grandissima vita di fede. – Dio domanda che la volontà si pieghi nel dire « amen » non solo dinanzi al mistero dell’Eucaristia, ma anche dinanzi al mistero del mondo, che ha cose orribili, le quali debbono essere interpretate col metro della Provvidenza per non essere dei manichei. La tentazione della materia va superata continuamente: Iddio ci domanda continuamente un atto di fede. Ma il momento massimo della fede ce lo chiede qui. Lo vedete il medio? Con Dio siamo uniti in una intimità, in una familiarità stupenda, ma le nostre mani lo debbono palpare attraverso un sipario, sempre. Dio non viene a comandare in persona: è per questo che l’obbedienza vale, è per questo che l’umiltà vale. E se non passa attraverso i fratelli, anche l’amore diventa sospetto e forse talmente fragile da rompersi. C’è sempre il medio. Siamo qui in una prigione, che è il nostro corpo, il gran medio, mentre aneliamo alla felicità senza confini, al mare della pace. Ma finché non viene la morte a liberarci, dobbiamo intendercela col medio.