MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA (2020)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA 2020

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Paramenti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse • (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

[Messale Romano, trad. di G. Bertola e G. Destefani, comm. D. G. Lefebvre O. S. B. – L.I.C.E. Totino, 1950]]

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Malach 3: 1 – 1 Par XXIX: 12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.
[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX: 1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

OMELIA I

[Artig. Pavia, A. Catellazzi, La scuola degli Apostoli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO RE.

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore” (Isaia LX 1-6).

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi econtemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che  ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme, I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re. Vediamo, dunque, come Gesù Cristo è:

1. Il Re preannunciato,

2. che esercita su noi l’autorità legittima,

3. e al quale dobbiamo dimostrare la nostra sudditanza.

1.

Isaia che invita Gerusalemme a vestirsi di luce ne dà ragione: perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su di te. Il Messia promesso, ristoratore non solo di Israele, ma di tutto il genere umano è venuto dall’alto ad illuminare chi giace nelle tenebre e nell’ombra della morte. La notte in cui nasce il Salvatore una luce divina rifulge attorno ai pastori che fanno la guardia, al gregge nelle vicinanze di Betlemme; e contemporaneamente in altre contrade un’altra luce, una stella, appare ai Magie li guida a Gerusalemme. «Dov’è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente a siam venuti per adorarlo» (Matth. II, 2). A questa domanda che essi fanno, arrivati a Gerusalemme, Erode e tutta la città si conturba. Eppure, niente era più esatto di quella domanda.Il Messia era stato ripetutamente predetto dai profeti come un restauratore, che avrebbe iniziato un regno nuovo. Gli Ebrei potevano errare nella interpretazione di questo regno; ma i n essi l’idea del Messia era inconcepibile, se disgiunta dalla dignità reale. Del resto i profeti l’avevano annunciato chiaramente come re. Davide dice: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech» (Ps. CIX). È lo stesso che dire che il Messia sarebbe stato sacerdote e re. «Poiché questo Melchisedech era re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo… Egli primieramente, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia, e poi anche re di Salem, che significare di pace» (Hebr. VII, 1-2). Anche il regno del Messia sarà regno di giustizia e di pace. Sentiamo Geremia « Così parla il Signore, Dio d’Israele, ai pastori che pascono il mio popolo. … Ecco che vengono i giorni, e io susciterò a Davide un germe giusto; e regnerà come re, e sarà sapiente e renderà ragione, e farà giustizia in terra» (Ger. XXIII, 2, 5.). Isaia, parlando della nascita del Messia, così si esprime: «Ecco, ci è nato un pargolo, e ci è stato donato un figlio, e ha sopra i suoi omeri il principato » (Is. IX, 4). A lui segue Zaccaria: «Egli sarà ammantato di gloria, e sederà, e regnerà sul suo trono» ( Zac. VI, 13). Quando poi l’Angelo annunzia a Maria l’Incarnazione, parlando del Messia che nascerà da lei, dice: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell’Altissimo: il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Luc. I, 32-33). Non solo è predetto come re, ma come re è salutato e venerato. Abbiamo visto che i Magi dichiarano apertamente di essere venuti ad adorare «il nato Re Giudei ». Quando Natanaele è condotto da Filippo a vedere « quello di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, Gesù », al primo incontro esclama: «Maestro, tu sei il Figliuolo di Dio: tu sei re d’Israele» (Giov. I, 49). Nel giorno del trionfo, quando entra in Gerusalemme per celebrare l’ultima Pasqua, la grande folla accorsa per le feste gli va incontro con rami di palma, gridando: «Osanna! Benedetto chi viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XII, 13). In parecchie circostanze, perfino quando sta lasciando la terra per salire al cielo, gli si fanno domande relative al suo regno. Infine, Gesù Cristo stesso dichiara d’essere re; d’avere un regno (Giov. XVIII, 36). Un regno non umano, nè caduco, « ma di gran lunga superiore e più splendido » (S. Giov. Crisost. In Ioa. Ev. Hom. 83, 4).

2.

Le nazioni camminano alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora: … tutti costoro si son radunati per venire a te. Re e sudditi, che vanno a mettersi aipiedi di Gesù Cristo, attratti dalla luce che si diffondedal suo Vangelo, riconoscono praticamente che Egli hail diritto di dominare su di loro. Difatti chi è Gesù Cristo? Il centurione romano, che coi soldati è posto a guardia della croce, esclama alla morte di Gesù: «Costui era veramente Figlio di Dio» (Matth. XXVII, 54). È Figlio di Dio — nota a questo punto S. Ilario — ma non come noi che siam figli di Dio adottivi. «Egli, invece, è Figlio di Dio vero e proprio, per origine, non per adozione» (S. Ilario, De Trin. 1. 3, c. 11). La sua vita dunque, lo fa superiore a tutto quanto è al disotto di Dio: superiore non solo a tutti gli uomini, ma anche a tutti gli Angeli. A nessuno di loro Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Ps. II, 7). Essi sono posti al comando di Dio; sono a disposizione di Gesù Cristo. « Pensi tu — egli dice a S. Pietro — che io non possa chiamare in aiuto il Padre mio, il quale mi manderebbe sull’atto più di dodici legioni di Angeli?» (Matth. XXVI, 53). Non solo gli Angeli sono a disposizione di Gesù Cristo, ma lo devono adorare, come è scritto nei libri santi: «E lo adorino tutti gli Angeli di Dio »: (Hebr. I, 6). A Gesù, dunque, tutte le creature, uomini e Angeli, devono l’adorazione, la soggezione, l’obbedienza; tutte devono riconoscere la sua sovranità. Oltre che per diritto di natura, Gesù Cristo è nostro re per diritto di investitura. Il Messia, Figlio ed erede di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, ha diritto al dominio universale sul mondo. Al momento propizio il Padre gliene darà l’investitura, secondo Egli ha dichiarato: « Chiedimi, e ti darò in eredità le nazioni e in possesso i confini della terra » (Ps. II, 8). Nell’incarnazione Gesù Cristo è costituito « erede di tutte le cose » (Hebr. I, 2). e riceve, così, la promessa investitura del suo dominio universale. Ma Gesù Cristo è anche nostro Re per diritto di conquista. Noi eravamo schiavi del peccato, destinati alla morte eterna. Egli ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, sottraendoci alla morte eterna. «Quando combatté per noi — dice S. Agostino — apparve quasi vinto; ma in realtà fu vincitore. In vero fu crocifisso, ma dalla croce, cui era affisso, uccise il diavolo, e divenne nostro Re» (En. in Ps. 149, 6). A differenza degli altri conquistatori, egli non ci ha liberati versando il sangue altrui, ma versando il proprio sangue. «Non sapete — dice S. Paolo ai Corinti — che voi non vi appartenete? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Cor. VI, 19-20). Noi non possiamo disconoscere l’autorità di chi ha sborsato per noi un prezzo che supera ogni prezzo. I popoli liberati dalla schiavitù passano sotto il dominio del loro liberatore; e noi siamo passati sotto il dominio di chi ci ha liberati dalla schiavitù di satana. Lui dobbiamo riconoscere per nostro re, proclamare apertamente nostro Re,  non solo a parole, ma all’occorrenza anche con della propria vita, come ce ne hanno dato esempio i martiri di tutti i tempi. Tra coloro che furono martirizzati al Messico nel Gennaio del 1927 si trovava un tal Nicolas Navarro. Alla giovane moglie che piangendo lo pregava ad aver pietà del figlioletto: «Anzitutto la causa di Dio! — rispose — E quando il figlio crescerà gli diranno: Tuo padre è morto per difendere la Religione». Percosso, ferito con le punte dei pugnali, strascinato così brutalmente da non esser più riconoscibile, come avvenne anche ai suoi compagni, riceve per di più tanti colpi sulla faccia da aver sradicati i denti. Caduto a terra colpito da due palle, incoraggia i compagni, e rammenta loro la promessa di seguire fino alla morte l’esempio di Gesù. Trapassato da due pugnalate, muore gridando : « Viva Cristo Re » (Civiltà Cattolica, 1927, vol. IV p. 181).

3.

Isaia predice che le nazioni faranno a gara per entrare nel regno di Gesù Cristo. Verranno i nuovi sudditi. portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore. – Così fanno subito i re Magi, i quali, venuti alla culla di Gesù, « prostrati lo adorarono: e, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (Matth. II, 11). « Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re » (S. Leone M. Serm. 31, 2). Quell’oro, forse una corona reale, essi offrono a Dio come tributo che i sudditi devono al re in segno di sudditanza.Quale tributo dobbiamo noi portare a Gesù Cristo in segno della nostra sudditanza? Il regno di Gesù Cristo non è un regno materiale. È un regno spirituale, che si esercita principalmente sulle anime. In primo luogo è il regno della verità. Tra le fitte tenebre dell’errore che coprivano la faccia della terra, Gesù comparve come il sole che illumina ogni cosa, fugando l’ignoranza, la menzogna, l’inganno. Tra gl’intricati sentieri, che non permettono all’uomo, o gli rendono assai difficile, di prendere una giusta direzione nel cammino di questa vita, Egli è la guida sicura.Egli poteva dire alle turbe : «la luce è in voi… Sinché avete la luce credete nella luce, affinché siate figliuoli di luce» (Giov. XII, 35-36). Primo tributo da rendere al nostro Re sarà dunque quello di accogliere con docilità e semplicità la sua parola che è contenuta nel Santo Vangelo. È un regno di giustizia. Se c’è un regno in cui contano più i fatti che le parole, è precisamente il regno di Gesù Cristo. Come tutti i re, Gesù Cristo è legislatore. E le sue leggi vuol osservate. Sulla terra, quanti trasgrediscono le leggi e si credono sudditi fedeli e amanti del loro re! Gesù dichiara apertamente che non può essere o dichiararsi amico suo chi trasgredisce le sue leggi: «Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. XIV, 15). – Per conseguenza egli eserciterà un altro potere reale: quello di giudicare coloro che sono osservanti delle leggi e coloro che le trasgrediscono. Nessuno potrà sfuggire al suo giudizio e alla sua sanzione. «Poiché bisogna che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva le cose che gli spettano, secondo quello che ha fatto, o in bene o in male» (2 Cor. V, 10.).Lo ubbidiremo, dunque, in modo da non meritarsi alcuna riprensione. – Il regno di Gesù Cristo è un regno universale. I suoi confini sono i confini del mondo, i suoi sudditi sono tutte le nazioni dell’universo. È un dominio che si estende su l’individuo e sulla società; e che quindi va riconosciuto e onorato in privato e in pubblico. Purtroppo non tutti riconoscono ancora di fatto il dominio di Gesù Cristo. Un numero sterminato d’infedeli, non sa ancora chi sia Gesù Cristo. Molti Cristiani gli si ribellano; violano i suoi diritti, e gli rifiutano il dovuto omaggio. Tributo d’omaggio del buon Cristiano sarà quello di affrettare con la preghiera il giorno in cui tutte le nazioni conosceranno questo Re, e intanto rendergli l’omaggio, che altri gli negano, riparare le offese, che altri gli recano. Fede viva, esatta osservanza dei comandamenti, zelo per concorrere a farlo regnare, nei singoli individui, nelle famiglie, nella società, ecco i tributi, che dobbiam recare a Gesù Cristo Re, in attestazione della nostra sudditanza.

Graduale

Isa LX: 6; 1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja. [Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II: 2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja. [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II: 1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judae: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam.” [Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua Madre (qui ci si inginocchia) e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia II

[M. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, vol. I; Queriniana ed. Brescia, 1898 –imprim. -]

FESTA EPIFANIA

RAGIONAMENTO II.

Scienza che allontana da Cristo e scienza che a Lui ne conduce.

La narrazione evangelica dell’odierna solennità è un quadro grandioso, nel quale 1’uno dopo l’altra vengono a collocarsi tutte le più svariate figure. Eccovi anzitutto il Divino Infante nella sua grotta o nella povera casetta dove si era ridotto [Allorché i Magi giunsero a Betlemme trovarono il neonato Bambino in una casa – Intrantes domum invenerunt puerum-. Sembra adunque che poco dopo il nascimento di Gesù, Giuseppe procurasse l’alloggio in una qualche casa, che doveva essere povera, non occorre dirlo.]. – Accanto a Lui e gli occhi sopra di Lui fu con inesprimibile tenerezza mista a profondissima venerazione la Vergine sua Madre: e presso ad entrambi un uomo dal volto venerando, sfavillante di gioia, che tacito e riverente contempla ora il Pargolo, ora la Madre. È un gruppo di Paradiso, che tutti i più insigni artisti tentarono di ritrarre in mille forme. Qua e là sparse nel gran quadro ecco altre figure: qui alcuni principi o savi, o magi, in splendide vesti, seguiti da magnifico corteggio, venuti improvvisamente da lontani paesi per adorare il nato Salvatore: là la bieca e laida figura di Erode, che si agita sul suo trono, compro coi delitti e che matura consigli di sangue: intorno a lui una folla di cortigiani adulatori, pei quali ogni capriccio del Monarca è legge e comando che non si discute; più lungi, in fondo al quadro, il gran Sinedrio raccolto a consiglio, che alla domanda di Erode e dei Magi: – Dove ha da nascere il Re de’ Giudei ? – squadernando i Libri Santi, risponde senza esitare: – A Betlemme; lo disse il Profeta -. Nei giorni del Santo Natale e della Circoncisione contemplammo la celeste figura del Divino Infante e ne meditammo gli altissimi insegnamenti: oggi lasciamo da parte la Madre benedetta e il Custode di Lui: non poniamo mente al Re, che impallidisce e trema sul suo soglio: non curiamoci de’ suoi cortigiani. Raccogliamo gli sguardi della fede sopra i Magi, che polverosi dopo lungo cammino giungono a Gerusalemme, e sopra il Sinedrio, il supremo Consiglio della Nazione e che a nome di Dio, interpretando le Scritture, dichiara:- L’aspettato del popolo, il Salvatore del mondo deve nascere a Betlemme -. Sono due classi di uomini affatto differenti: entrambe istruite, entrambe cercano la verità: i Magi si atteggiano a discepoli e umilmente domandano: – Dov’è il Re de’ Giudei, del quale abbiamo visto la stella in Oriente? Deh! Insegnatecelo -. I dottori della legge, i capi de’ sacerdoti, radunati a Consiglio, si atteggiano a maestri (e lo sono) e da maestri rispondono. Cosa strana e degna di profonda considerazione, o fratelli miei! I meno istruiti, quelli che professandosi discepoli si confessano ignoranti, trovano la verità: quelli che sono più istruiti, che posseggono la scienza, che ne sono i maestri, che hanno in casa la verità e l’additano ai lontani, si giacciono in mezzo alle tenebre dell’errore: i primi conoscono Gesù Cristo, lo seguono e si salvano: i secondi non lo conoscono, lo rigettano e si perdono! Eccovi, o fratelli, designati nei Magi e nei maestri del Sinedrio, quelle due grandi classi di uomini, nei quali pur oggi si divide la nostra società, i credenti e i miscredenti: quelli men dotti, eppure credenti e in possesso della verità; questi più dotti, molto dotti, se volete, eppure non credenti e privi della verità. Perché noi non ci dissimuliamo punto una verità, amara e dolorosa oltre ogni dire, ma verità, ed è, che oggidì la maggior parte dei dotti o reputati dotti non si curano della fede o la rigettano, mentrechè quasi tutto il popolo, che non è, né  può essere dotto, conserva ancora ed ama la sua fede. – Donde, o cari, un fatto sì strano ed inesplicabile, che vediamo nel Mistero odierno e che continua e più che mai cresce sotto de’ nostri occhi? Perché mai gli uomini della scienza si mostrano indifferenti od ostili, in faccia al Vangelo ed alla Chiesa? Perché mai gli uomini del popolo, del lavoro, meno provveduti di scienza, si mostrano figli devoti del Vangelo e della Chiesa? È una ricerca della più alta importanza e che formerà il soggetto delle nostre considerazioni. La scienza! Dopo la virtù, essa è il più bell’ornamento, la più bella gloria dell’uomo! La scienza è un dono del cielo, è un raggio della luce divina, è un riflesso e una partecipazione di Lui, che è l’eterna Ragione d’ogni cosa, che si chiama il Dio delle scienze. La scienza eleva, nobilita l’uomo: per essa egli vede la natura docile ai suoi piedi: abbassa e trafora i monti, veleggia, anzi vola sul dorso dei flutti irati dell’oceano, passeggia nei suoi abissi, come tra gli astri del cielo, guida obbedienti i fulmini e con un pugno di materia spacca le montagne e squarcia le viscere della terra e solleva i piani del mare. Come dunque questa scienza, che viene da Dio può tener l’uomo lungi da Dio? Figlia di Dio sarebbe nemica di Dio? Filo d’oro, che Dio gettò sulla terra per tirare a sé gli uomini, li allontanerebbe? Come è perché la luce produrrebbe le tenebre e la scienza condurrebbe alla incredulità? Vedete avvocati, ingegneri, medici, letterati, in una parola uomini della scienza, che non hanno più fede, che ignorano Gesù Cristo, come i dottori del Sinedrio, mentre il buon popolo coi Magi corre a Betlemme, lo trova, lo riconosce, e lo adora. Perché? Perché? La scienza del mondo! noi non la neghiamo, la apprezziamo, la onoriamo. Ma siamo franchi e sinceri, o fratelli. Di che si occupa essa, questa scienza? Che cosa studiano questi dotti? Studiano essi Dio? Gesù Cristo? La Religione? Il Vangelo? La Chiesa? L’anima? La sua origine? Il suo fine? No, no. Studiano tutto con una perseveranza, con un ardore, che ci riempie di ammirazione: dall’elefante al bacterio, dal cedro all’issopo, dalla nebulosa più lontana al microbo, tutto è oggetto dei loro studi: voi li vedete curvi sul microscopio per scrutare una cellula, per analizzare un atomo; voi li vedete riboccanti di gioia allorché possono annunziare al mondo, che hanno potuto decifrare un geroglifico, interpretare una lapide; ma chi sono quelli che si occupano di Religione, delle cose di Dio e dell’anima? Come se ne occupano? ditelo voi, o fratelli carissimi! Le cose più indifferenti, la cognizione delle quali è affatto inutile o serve solo ad alimento di curiosità o ad ornamento, trovano cultori appassionati, che non dicono mai basta; e la Religione, alla quale sono legati gli interessi più vitali della terra e del cielo, del tempo e della eternità, dagli uomini della scienza giace là negletta e fors’anche disprezzata! Chi di voi, uomini d’ingegno e di studio, si appagherebbe delle cognizioni che avevate acquistate a dodici anni? Nessuno; ne arrossireste e a ragione: solo in quanto a Religione ve ne accontentate; giacché ben pochi sono coloro che agli elementi del Catechismo appreso a dodici anni, sentano il bisogno e il dovere di aggiungere uno studio della Religione, che sia in armonia con la loro età, col loro ingegno, con le esigenze nuove dei tempi, con lo sviluppo della scienza moderna! Nei secoli passati Dante, Petrarca, Galileo e quanti furono uomini sommi o dotti fino alla rivoluzione francese reputavano necessario alle scienze naturali aggiungere la scienza della Religione, che nelle Università tutte d’Europa teneva il posto d’onore: oggidì dove sono i dotti che alla scienza della fede e della Religione serbino qualche giorno dell’anno? Che nelle loro biblioteche abbiano almeno qualche libro, che ne tratti debitamente? Ohimè! Essa è sbandita dalle nostre Università tutte, come indegna di avervi una cattedra, mentre vi hanno cattedra le ultime scienze, che non so se meritino tampoco il nome di scienze. (È cosa che ferisce il cuore! Nelle nostre Università italiane, tutte di origine ecclesiastica, hanno il loro posto tutte, tutte le scienze, fino la odontologia, introdotta di recente: la sola Teologia vi è sbandita. E dire che la Germania, l’Inghilterra, tutti i paesi protestanti hanno nelle loro Università la facoltà teologica! Quale umiliazione per noi e quale argomento di seria considerazione!). – Cacciata la teologia dal novero delle scienze e accoltavi la storia delle religioni, della mitologia e d’altre scienze, ch’io mi guarderò dal nominare! – Chi ai nostri giorni svolge le opere filosofiche e teologiche di S. Tommaso e d’altri insigni filosofi e teologi? Chi scorre i libri degli apologisti antichi o moderni, che mettono in luce le prove razionali della Religione, che ne mostrano le sublimi analogie e bellezze, che ribattono le difficoltà e calunnie, ond’è fatta segno? Sarà molto se ne conoscano il nome. Qual meraviglia, che codesti dotti, ancorché forniti d’ingegno, ricchi di ogni scienza profana, immersi negli studi, di fama talora mondiale, non conoscano Cristo e la sua Religione, o ne abbiano una cognizione monca, mista ad errori e pregiudizi volgari, inferiore a quella del povero popolo! Sono dotti in tutto, se volete, fuorché nella scienza della Religione e perciò in condizioni peggiori del popolo minuto, che trovasi esposto a minori pericoli e che non ha l’orgoglio della scienza, il terribile nemico della fede. – Ho detto che gli uomini della scienza non studiano la Religione e di qui la loro incredulità; ma non ho detto bene e mi correggo. Molti di loro studiano la Religione come studiavano Mosè ed i Profeti i maestri della legge; ma dove la studiano? In quali libri? Presso quali uomini? A quali fonti attingono? Con quali intendimenti? Sarebbe incredibile se non fosse un fatto indubitato e pressoché quotidiano. Codesti uomini della scienza, che vivono lontani dalla Religione e la considerano come cosa da lasciarsi alle donnicciole del popolo, non ne hanno generalmente altra cognizione di quella in fuori attinta a fonti sospette, a libri bugiardi. Quel poco studio della Religione, che han fatto, l’han fatto su giornali scettici e anticristiani, su libercoli alla moda, su romanzi, che tutto travisano e confondono, su libri storici calunniosi, su libri scientifici, che per partito deliberato la combattono fieramente. Conoscono la Religione come la si può conoscere nei pubblici ritrovi, nelle conversazioni brillanti, negli spettacoli e drammi teatrali, sui banchi d’un Liceo o d’una Università, dove professori troppo spesso miscredenti la fanno bersaglio dei loro frizzi e dei loro dileggi. – Gran che, fratelli miei! In qualunque questione, anche di lieve importanza, nessuno oserebbe pronunciare giudizio senza aver prima udite le due parti contendenti e ponderatene attentamente e imparzialmente le ragioni: è noto l’adagio della equità naturale e del buon senso – Audi et alteram partem– Ascolta l’altra parte -. Un giudice che sentenziasse dopo aver udito il solo accusatore, muoverebbe a sdegno, violerebbe le regole più elementari della giustizia e provocherebbe per questo solo l’annullamento delle sue sentenze. Eppure è  ciò che si suol fare in materia di Religione; non si porge orecchio che ai nemici della Religione e non si ascoltano che gli accusatori, che sovente sono accusatori interessati od ignari di ciò che dicono, od anche apertamente calunniatori. Quante volte mi accadde di discutere con persone miscredenti e dotte, che avevano letta la vita di Gesù Cristo dello Strauss, del Renan, del Pyat ed altre opere di notissimi increduli, e non avevano letto gli Evangeli e neppure una pagina dei tanti e sì valenti scrittori, che li avevano confutati! È questa lealtà? Come volete che siffatta scienza conduca a Cristo? Al conoscimento della verità? Vi sono altri studiosi che peccano per altro capo e che lungi di avvicinarsi a Cristo se ne discostano. Sono quelli che svolgono i libri, che interrogano le scienze e, se vi piace, si addentrano nei loro segreti e hanno vanto e meritato di dotti, ma fine de’ loro studi, scopo delle loro indagini è quello di trovare in colpa la Religione per poterla poi condannare. Hanno la convinzione, non certo come acquistata, che la Religione e la Chiesa devono aver torto; le loro investigazioni sono volte a dimostrare questa idea preconcetta. Stupiremo noi che non riescano nell’intento? Stupiremmo del contrario. Si trova facilmente ciò che si desidera trovare; facilmente ciò che si accarezza in fondo al cuore si vede attuato al di fuori e l’amor proprio veste tutte le cose dei colori, ch’esso vagheggia. E la gran legge delle allucinazioni, che allarga il suo regno ben più che non si creda e conta tra le sue vittime non pochi dotti. Studiano la storia, la fisica, la geologia, la psicologia, la fisiologia, tutte le scienze, onde il secolo va glorioso, persuasi che il loro responso sarà la condanna della verità religiosa e questa condanna non tarda a farsi udire. Ma essa non è la risposta sincera della scienza, sebbene l’eco fallace della propria persuasione, il riverbero delle proprie idee e del proprio desiderio. Si vuole che la Religione abbia torto e come non l’avrebbe se il giudice vuole che l’abbia? [L’ammiraglio inglese bombardava Copenaghen; la città rispondeva valorosamente e l’ammiraglio credeva bene di sospendere il fuoco e ritirarsi. Nelson allora era comandante d’un vascello e, come tutti sanno, era guercio d’un occhio. Gli mostrarono il segno di sospendere il fuoco; egli allora appuntò il suo cannocchiale sull’occhio cieco e disse: « Io non vedo niente », e continuò il fuoco. — Il fatto è narrato da Thiers nella sua storia. È ciò che fanno certi dotti nello studio della religione. Studiano, non vogliono vedere la verità e non la vedono e dicono: – Ma noi non vediamo niente -]. – Non è raro il caso che la scienza disvii dalla Religione e ne chiuda perfino la porta per altro verso poco avvertito. Ogni studio ed ogni scienza ha il suo oggetto determinato e proprio e sarebbe follia il credere, che possa condurci al conoscimento di oggetti, che non sono i suoi. Forsechè la vite potrà darvi altro frutto dell’uva? Forseché il pero potrà darvi il cedro? Se voi volete conoscere la struttura intima d’un bacterio o i pori d’una foglia armerete l’occhio d’un potente telescopio? Se vorrete esplorare il cielo, vi appunterete un microscopio? Eppure è ciò che senza porvi mente si fa da molti e si accetta per altri senza discussione. Questi è uomo di legge e profondo conoscitore del diritto e non ha fede; quegli è valentissimo medico e peritissimo anatomico e operatore, ed è miscredente; un terzo è sommo matematico e meccanico; un altro è letterato celebratissimo e non sa punto di Religione. E che perciò, o carissimi? Benché le scienze possano in modo indiretto condurre alla Religione, per sé non sono la via che a quella ci menano. Come alcuni possono essere maestri nella musica, nella matematica, nella legge, nelle lettere, e ignorantissimi nella botanica, nell’astronomia, nelle lingue antiche, nella pittura e scultura, cosi vi possono essere uomini profondi in tutte le scienze e affatto digiuni nella scienza sacra, nella scienza di Dio. Un famoso astronomo diceva: – Io, passeggiando tra gli astri col mio telescopio, non vi ho mai visto il trono di Dio! -. E un chirurgo non meno famoso diceva: – Io non ho mai trovato nel corpo umano l’anima, che dicono dovervi essere; eppure ne ho scrutato tutte le fibre! – Costoro sono simili a quelli, che cogli occhi volessero udire le armonie di Verdi e con gli orecchi volessero vedere gli angeli di Raffaello e con le mani volessero toccare i sapori e le fragranze. Le scienze umane vi condurranno al conoscimento ciascuna dell’oggetto che le è proprio, e solo lo studio di Dio e della sua Religione vi condurrà al conoscimento di Dio e della Religione. Allorché pertanto trovate uomini delle scienze umane profondi conoscitori, e di Dio e della sua Religione non solo ignari, ma sprezzatori, non dovete pigliarne scandalo; possiedono le altre scienze e in quelle teneteli pure maestri; nella scienza di Dio e della Religione non sono nemmeno discepoli: non se ne sono occupati e la loro parola come la loro incredulità non vi devono turbare. Le scienze, nelle quali han grido, non danno loro il diritto di costituirsi giudici in quella troppo più alta, che non appresero; gonfi di quelle, trovarono in esse, non un aiuto, ma sì un impedimento per giungere alla scienza della Religione. – I dottori del Sinedrio conoscevano molto bene il luogo dove il Messia doveva nascere secondo il profeta; era a pochi chilometri da loro. Perché dunque non vi andarono anch’essi coi Magi o dopo i Magi? Perché adunque non cercarono almeno di Lui? Conoscere la verità e non seguirla, quale contraddizione! Come si spiega questa condotta dei dottori della legge, che conoscono la verità, che nell’esempio dei Magi hanno un potente eccitamento per andare a Cristo e non ne fanno nulla? Io credo che tre cause soprattutto trattenessero quei dottori dal correre a Betlemme e riconoscervi il Messia e furono: il timore degli uomini del potere, il rispetto mondano e l’orgoglio. Erode s’era turbato in udir parlare del Messia e in vedere i Magi; sapevano ch’egli era uomo da non arrestarsi dinanzi a qualsivoglia delitto, allorché fosse in pericolo il trono; dinanzi a quell’uomo essi dovevano tremare. Ora mostrare di credere alla venuta del Messia, andare coi Magi o dopo di essi a Betlemme, professarsi suoi discepoli in faccia ad Erode, era  incorrere l’ira di lui, un rendersi sospetti, e l’ira e i sospetti di quel monarca erano egualmente pericolosi e conveniva cessarli. Poi andare a Betlemme, cercare del Messia, in quelle condizioni, voleva dire farsi discepoli altrui, essi che erano maestri; bisognava francamente dichiararsi contro l’opinion pubblica, che allora riceveva la legge dalla corte di Erode; bisognava romperla cogli adulatori del monarca; bisognava farsi piccoli, umili come i Magi, per riconoscere un Messia, nato testé in una piccola borgata, in una stalla, in mezzo alla più squallida povertà. Essi, i dottori, pieni di sé, perciò schiavi dei rispetti umani e tementi l’ira del re, non si mossero, si avvolsero nel silenzio e nella più assoluta indifferenza e con la loro scienza non conobbero Cristo. – E ciò che accade frequentemente sotto i nostri occhi anche al giorno d’oggi. Quanti, alzando i loro occhi, veggono gli uomini del potere, i ricchi, i grandi, che non si curano di Religione, che non si veggono mai in chiesa, che la disprezzano altezzosamente! li temono e si mettono dietro a loro e si danno l’aria di increduli. Quanti più ancora temono i giudizi del mondo, le risa e gli scherni di certi amici! Temono di passare per devoti, bigotti, retrivi, se usano al tempio, se si accostano ai Sacramenti, se ascoltano la parola di Dio, se si chiariscono nettamente Cristiani. Che fanno? Si eclissano; non si vedono alla Messa, alle sacre funzioni, ai Sacramenti e per timore del biasimo degli uomini compariscono miscredenti. – Ed altri, massime delle classi istruite, nel loro orgoglio non sanno rassegnarsi alla parte di discepoli in materia di Religione; credono che la scienza, la ricchezza, i titoli, gli uffici che tengono, li dispensino dal sedere sopra un banco in chiesa per udire la spiegazione del Catechismo; parrebbe loro di umiliarsi eccessivamente, di avvilire la propria dignità trovandosi in chiesa a lato dell’artigiano, del contadino, del proprio servitore, e perciò se ne appartano, e con la loro scienza, onde sono gonfi, finiscono, come i dottori del Sinedrio, a restare nelle loro case, e non curarsi di cercare e andare a Gesù Cristo, come i Magi. – Mi sembra d’avervi spiegato perché la scienza in genere, e la moderna in ispecie non conduca a Cristo e alla sua Religione e piuttosto ne allontani gli animi. Essa non produce certamente questo effetto per sé stessa e sarebbe errore e bestemmia grave il sospettarlo; ma lo produce solo in quanto non è volta a studiare la Religione, sebbene altre cose; perché, se pure studia in qualche parte la Religione, la studia presso uomini e libri ostili e non a fonti sicure; perché la studia con animo pieno di pregiudizi e inchinevole a giudicarla sinistramente; perché paventa i giudizi del mondo e teme ne siano offesi gli interessi materiali. Ora è a vedere qual sia la scienza, che conduce a Dio, come fu quella dei Magi. Me ne passerò in poche parole, perché  ciò che ho detto sin qui, per la ragione dei contrari, getta bastevole luce su quello che sono per dirvi. – I Magi, come vuole antica e venerabile tradizione, erano uomini dediti alla scienza, particolarmente degli astri, scienza in grande onore presso gli orientali. Essi videro una stella di meravigliosa bellezza, o segno celeste quale che si fosse e che il Vangelo non determina. Ma quel segno, per quanto fosse straordinario, non diceva, non determinava nulla di particolare; poteva essere un fenomeno straordinario, sì, ma occulto e naturale, che poteva eccitare la curiosità, ma che non annunziava nulla. Che relazione poteva mai essere tra una stella, un segno singolare apparso in cielo e il nascimento del Salvatore del mondo? Per sé non v’era nesso di sorta. E quanti l’avranno visto e ammirato e poi, scuotendo il capo e mormorando alcune parole, se ne saranno andati, pensando ad altro! Perché quel segno prodigioso fosse inteso era necessario che al medesimo fosse congiunto il conoscimento del suo significato e questo i Magi lo poterono attingere nella scienza dei Libri Sacri o nelle memorie dei Padri, nelle tradizioni venerande dei maggiori, rischiarate senza dubbio dalla luce superna della grazia, della quale Iddio è sempre largo. Questi Magi pertanto ci si presentano come uomini, i quali in mezzo alle fitte tenebre del paganesimo conservavano accesa e sfolgorante la face della scienza divina e docilmente la seguivano. Ma bastava egli ai Magi vedere il segno celeste e conoscerne il significato mercé la luce della Scrittura e delle tradizioni, sentire la voce della grazia, che li chiamava, per trovarsi un giorno ai piedi di Gesù Cristo e compire l’opera della loro santificazione? Oh no! Essi dovevano rispondere alla voce della grazia, all’invito del segno celeste: al conoscimento dovevano accoppiare l’opera, lasciare il loro paese, non curare i giudizi e forse i biasimi del mondo, intraprendere un lungo viaggio, affrontare disagi e pericoli, attraversando regioni ignote: e non stettero in forse a far tutto questo, non cercando, che una sola cosa a qualunque costo, conoscere, vedere e adorare il nato Messia e porgergli il tributo della loro fede. Ecco ciò che dovete fare voi pure, o uomini della scienza, se per isventura siete privi della fede e vivete nel dubbio o nelle tenebre dell’errore. La stella della rivelazione divina splende in alto, vi invita, vi chiama al conoscimento di Gesù Cristo, che è la vostra vita: non vi si domanda un cieco assenso, una fede senza prove, no: sarebbe indegna di voi, ai quali Iddio ha dato la guida della luce naturale, e indegna di Dio che vuole un omaggio ragionevole: la fede non è l’abdicazione della ragione: la luce del sole non estingue quella degli astri inferiori. Voi, uomini adulti, uomini della scienza, potete e dovete andare alla fede con la fiaccola della vostra ragione e non dimenticate mai quella sentenza stupenda di S. Tommaso: – L’uomo non crederebbe se non vedesse che ha l’obbligo di credere -. La ragione adunque vi guidi per la lunga via, come il segno celeste guidò i Magi; ma la ragione tranquilla, scevra di pregiudizi, la ragione che cerca la verità, la sola verità, che non si cura delle massime, delle lodi, o dei biasimi del mondo, che non teme le noie e le fatiche d’un lungo studio. E tutto questo basta, o fratelli? No: i Magi camminarono verso Gerusalemme, seguendo la stella e le tradizioni degli avi; ma quella stella sparve ai loro occhi [Il Vangelo veramente non dice che la stella o segno celeste sparisse agli occhi dei Magi; ma è abbastanza chiaro questo fatto dal modo con cui è narrato. Allorché il Vangelo dice, dopo l’uscita dei Magi da Gerusalemme – Et ecce stella etc. – ci fa intendere che almeno presso Gerusalemme si era velata.]: mancava loro la guida amica. Forse scoraggiati diedero volta? Essi non si vergognarono di chiedere lume a chi poteva darlo, essi sapienti, ricchi, forse principi, dissero umilmente: Voi che il sapete, insegnateci dove è nato il Re de’ Giudei, il Salvatore del mondo -. Domandarono lume e l’ebbero chiarissimo: – Andate a Betlemme -. Non si scandalizzarono, vedendo quei dottori della legge indifferenti: non si smarrirono d’animo, vedendosi soli ed abbandonati dai loro maestri, che dovevano precederli a Betlemme, o almeno accompagnarveli. Essi pensano a sé, adempiono il loro dovere e l’altrui noncuranza non iscema la loro fede. Uomini della scienza, che andate in cerca della fede in cui solo può trovare pace il vostro spirito travagliato e stanco, se talvolta il dubbio vi assale, la luce della verità si oscura e vi sgomenta il cammino lungo ed aspro, non vi gravi il chiedere ad altri aiuto di consiglio e conforto. Il passeggiero, che può essere dottissimo, non esita a chiedere della via ad un fanciullo che incontra. Voi avete la Chiesa, avete uomini di Chiesa, laici credenti e dotti, libri ed altri mezzi senza numero, che possono additarvi la retta via, dissipare i vostri dubbi e confortarvi nell’arduo cammino. A questi appigliatevi, di questi valetevi, come i Magi si valsero di Erode e del Sinedrio di Gerusalemme. – Appena usciti da Gerusalemme, i Magi con immensa gioia rividero la stella o segno celeste, che li guidava a Betlemme. Vi giunsero, ed entrando nella povera casa, trovarono il Bambino con Maria, Madre di Lui, e prostrandosi lo adorarono e gli offersero oro, incenso e mirra. Il luogo, la povertà, la debolezza del Bambino, l’abbandono estremo, in cui era lasciato da quelli non turbarono la loro fede, non gettarono ombra di dubbio negli animi loro. Essi, dotti, ricchi, forse principi, nell’ardore della loro fede, caddero ginocchioni a pie’ di quella culla, di quel povero bambino e riconobbero in Lui il Salvatore del mondo: i loro voti erano appagati, piena la loro gioia, coronata l’umile docilità del loro spirito. Uomini della scienza! Ecco il termine ultimo del vostro lungo cammino in cerca della verità, Gesù Cristo, Figlio di Dio e della Vergine. Quando avrete trovato Lui e offertogli il tributo della vostra fede, del vostro amore, delle vostre pene per Lui tollerate, avrete trovato la pace del cuore e sentirete quanto è dolce amare e servire Iddio. L’odissea felice dei Magi, che, seguendo la ragione rischiarata dalla fede, attraverso lunghe e difficili prove, giunsero a Cristo, si ripete nella Chiesa da S. Paolo, Giustino M., S. Agostino, fino a Laharpe, a Tommaso Moore, a Federico Hurter, a Palmer, a Donoso Cortes, a Schouwaloff, al Dr. Hirz e a mille altri, tutti uomini della scienza, i quali, dopo corse le vie tortuose dell’errore, seguendo il lume della ragione, trovarono finalmente il lume della fede e nel seno della Chiesa, ai piedi di Gesù Cristo, che vive in essa, trovarono con la verità la pace della mente e del cuore.

Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps LXXI: 10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.
[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster: [Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Matt II: 2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

Preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della S. Messa:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLI GLI USUSPANTI APOSTATI (CON CAZZUOLA E GREMBIUNO) DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “INIMICA VIS”

Cosa poteva ancora fare il Santo Padre Leone XIII, dopo tante lettere encicliche, per mettere in guardia tutti i Cattolici e gli italiani di buona volontà, contro le attività indegne ed eversive della empia setta, emanazione satanica, organizzata nel combattere Dio, il suo Cristo e la sua Chiesa? Ciò nonostante la setta infernale, è andata avanti nel tempo, conquistando tutti i posti chiave di comando dello Stato italiano, della finanza pubblica, dei mezzi di comunicazione di massa, dei centri nevralgici della società tutta e finalmente usurpando le diocesi e la stessa Sede apostolica. Certo tutto è avvenuto con permesso divino perché fossero vagliati i cuori di tutti gli uomini, i Cristiani veri, i Cristiani di comodo, i finti Cristiani, i nemici del Cristo e della Chiesa, sì da potere operare nel giorno del Giudizio con facilità la divisione tra i capri alla sinistra di Cristo, e gli agnelli alla sua destra. L’avvertimento terrificante per chi crede è: …. « Coloro pertanto che per somma disgrazia han dato il nome ad alcuna di queste società di perdizione, sappiano che sono strettamente tenuti a separarsene, se non vogliono restar divisi dalla comunione cristiana, e perdere l’anima loro nel tempo e nell’eternità ». Quindi altro che filantropia, progressismo, libertà di pensiero, carrierismo, scempiaggini e turpitudini varie, qui c’è la sorgente della morte, zampilla il veleno pestifero dell’estinzione eterna dell’anima, l’impenitenza finale, la dtrada della voragine dello stagno di fuoco preparato per il demonio ed i suoi servi. Poi un invito, ancor più valido ed esteso oggi a tutte le forze politiche e alle istituzioni pubbliche italiane, e pure alla finta chiesa, la “sinagoga di satana” che si è sostituita alla Sposa immacolata di Cristo, apparentemente spacciandosi come Chiesa moderna e progressista, in realtà professando modernismo e gnosticismo, ecumenismo ed indifferentismo religioso, cioè gli stessi principi, diversamente mascherati, della massoneria con la quale in effetti cammina a braccetto in piena sintonia. « … Siate dunque italiani e Cattolici, liberi e non settari, fedeli alla Patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo [quello vero naturalmente, non il … clown massonico – ndr.-], persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire … », condanna che si sta realizzando pienamente e si manifesterà con danni irreparabili per la Nazione. Se nessuno ha ascoltato le parole del Papa allora, certamente queste non saranno ascoltate oggi, a meno di un miracolo eclatante. Ma il Sommo Pontefice ci incita ad affrontare il nemico a viso aperto e senza timori « … Il numero, la baldanza, la forza dei nemici non vi atterriscano; ché Dio è più forte di loro, e se Dio è con voi, che potranno essi contro di Voi? » Sveglia Cristiani! … tiriamo fuori i Rosari, i libri della vera preghiera Cattolica, i manuali della dottrina Cattolica di sempre, torniamo con cuore sincero a Dio, e la setta infernale sarà spazzata via in un attimo, come ci assicura il Re-Profeta nel salmo LXXX … pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam. E poi, non dimentichiamo mai che: …

Ipsa conteret caput tuum!

Leone XIII

Inimica vis

Lettera Enciclica

1. Custodi di quella fede a cui le nazioni cristiane van debitrici del loro morale e civile riscatto, Noi mancheremmo ad uno dei Nostri supremi doveri, se non levassimo spesso e ben alto la voce contro l’empia guerra, onde si tenta, diletti figli, rapirvi sì prezioso tesoro. Di questa guerra, ammaestrati ormai da lunga e dolorosa esperienza, voi ben conoscete le terribili prove, e nel vostro cuore di Cattolici e di italiani altamente la deplorate. E veramente si può essere italiani di nome e di affetto, e non risentirsi delle offese che si fanno tuttodì a quelle divine credenze, che sono la più bella delle nostre glorie, che dettero all’Italia il primato sulle altre nazioni ed a Roma lo scettro spirituale del mondo: che sulle rovine del paganesimo e delle barbarie fecero sorgere il mirabile edificio della cristiana civiltà? Si può essere di mente e di cuore cattolici e mirare con occhio asciutto in quella terra medesima nel cui grembo l’adorabile nostro Redentore si degnò stabilire la sede del suo regno, impugnate le sue dottrine, oltraggiato il suo culto, combattuta la sua chiesa, osteggiato il suo Vicario, perdute tante anime redente col suo Sangue, la porzione più eletta del suo gregge, un popolo stato per ben diciannove secoli a lui sempre fedele, esposto ad un continuo e presentissimo pericolo di apostatar dalla fede, e sospinto in una via di errori e di vizi, di materiali miserie e di morale abiezione? Diretta ad un tempo contro la patria celeste e la terrena, contro la religione dei nostri padri e la civiltà trasmessaci con tanto splendore di scienze, lettere ed arti da loro, la guerra di cui parliamo, voi la capite, diletti figli, è doppiamente scellerata, e rea non meno di umanità offesa che di offesa divinità. Ma d’onde essa muove principalmente se non da quella setta massonica, della quale discorremmo a lungo nell’Enciclica Humanum genus del 20 aprile 1884 e nella più recente del 15 ottobre 1890 indirizzata ai Vescovi, al Clero e al popolo d’Italia? Con queste due Lettere strappammo dal viso della massoneria la maschera onde si velava agli occhi dei popoli, e la mostrammo nella cruda sua deformità, nella sua tenebrosa e funestissima azione.

2. Ci restringiamo questa volta a considerarne i deplorevoli effetti rispetto all’Italia. Insinuatasi infatti già da gran tempo sotto le speciose sembianze di società filantropica e redentrice dei popoli, nel nostro bel Paese, e per via di congiure, corruttele e di violenze giunta finalmente a dominare l’Italia e questa medesima Roma, a quanti disordini, a quante sciagure non ha essa in poco più di sei lustri spalancata la via? Mali grandi in sì breve giro di tempo ha veduto e patito la patria nostra. La Religione dei nostri padri è stata fatta segno a persecuzioni di ogni sorta, col satanico intento di sostituire al Cristianesimo il naturalismo, al culto della fede il culto della ragione, la morale così detta indipendente alla morale cattolica, al progresso dello spirito quello della materia. Alle sante massime e leggi del Vangelo si è osato contrapporre leggi e massime che possono chiamarsi il codice della rivoluzione, e un insegnamento ateo ed un verismo abbietto alla scuola, alla scienza, alle arti cristiane. Invaso il tempio del Signore, si è dissipata con la confisca dei beni ecclesiastici la massima parte del patrimonio necessario ai santi ministeri, assottigliato con la leva dei chierici oltre i limiti dell’estremo bisogno il numero dei sacri ministri. Se l’amministrazione dei Sacramenti non fu potuta impedire, si cerca però in tutti i modi d’introdurre e promuovere matrimoni, e funerali civili. Se ancora non si riuscì a strappare affatto dalle mani della Chiesa l’educazione della gioventù ed il governo degli istituti di carità, si mira sempre con sforzi perseveranti a tutto laicizzare, che val quanto dire a cancellare da tutto l’impronta cristiana. Se della stampa cattolica non si è potuto soffocare la voce, si fece di tutto per screditarla ed avvilirla.

3. E pur di osteggiare la Religione Cattolica, quali parzialità e contraddizioni! Si chiusero monasteri e conventi; e si lasciano moltiplicare a lor grado logge massoniche e covi settari. Si proclamò il diritto di associazione: e la personalità giuridica, di cui associazioni di ogni colore usano ed abusano, è negata ai religiosi sodalizi. Si bandì la libertà dei culti e intanto odiose intolleranze e vessazioni si riserbano proprio a quella che è la religione degli italiani, ed a cui perciò dovrebbe assicurarsi rispetto e patrocinio sociale. A tutela della dignità e indipendenza del Papa si fecero proteste e promesse grandi; e voi vedete a quali vilipendi venga quotidianamente fatta segno la Nostra persona. Qualsiasi specie di pubbliche manifestazioni trova libero il campo; solamente or l’una or l’altra delle dimostrazioni cattoliche o è vietata o disturbata. S’incoraggiano nel seno della Chiesa scismi, apostasie, ribellioni ai legittimi superiori; i voti religiosi e segnatamente la religiosa ubbidienza si riprovano come cose contrarie alla libertà e dignità umana: e intanto vivono impunite empie congreghe, che legano con giuramenti nefandi i loro adepti, ed esigono anche nel delitto ubbidienza cieca ed assoluta. Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all’azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell’ordine religioso presentemente ci travagliano, nei fatti che abbiam ricordato e in molti altri che potremmo ricordare, si sente il suo spirito; quello spirito che, nemico implacabile di Cristo e della Chiesa, tenta tutte le vie, usa tutte le arti, si prevale di tutti i mezzi per rapire alla Chiesa la sua figlia primogenita, a Cristo la nazione prediletta, sede del suo Vicario in terra e centro della cattolica unità. L’influenza malefica ed efficacissima di questo spirito sulle cose nostre non occorre oggi congetturarla da pochi e fuggevoli indizi, né argomentarla dalla serie dei fatti che da trenta anni si succedono. Inorgoglita dai successi, la setta stessa ha parlato alto e ci ha detto ciò che fece in passato, ciò che si propone di fare in avvenire. Le pubbliche potestà, consapevoli o no, essa le riguarda in sostanza come propri strumenti: il che vuol dire che della persecuzione religiosa che ha tribolato e tribola l’Italia nostra, l’empia setta mena vanto come di opera principalmente sua, di opera eseguita spesso con altre mani, ma per modo immediato o mediato, diretto o indiretto, di lusinga o di minaccia, di seduzione o di rivoluzione, ispirata, promossa, incoraggiata, aiutata da lei.

4. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell’uomo, capace e bisognoso dell’infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra: ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa i nostri dì. Nelle famiglie è assai menomato quell’amoroso rispetto che forma le domestiche armonie; l’autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni dì le discordie civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all’aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gl’incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali. Lo Stato invece di star pago all’alto e nobilissimo ufficio di riconoscere, tutelare, aiutare nella loro armoniosa universalità i divini e gli umani diritti, si crede quasi arbitro di essi, e li disconosce o li restringe a capriccio. L’ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sette anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno ad ingrossar le file del socialismo, dell’anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più nè degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da se stesse, col suicidio, codardamente la vita.

5. Ecco i frutti che a noi italiani ha recato la setta massonica. E dopo ciò essa ardisce di venire innanzi magnificando le sue benemerenze verso l’Italia, e di dare a Noi e a tutti coloro che, ascoltando la Nostra parola, rimangono fedeli a Gesù Cristo, il calunnioso titolo di nemici della patria. Quali siano verso la nostra penisola i meriti della rea setta, ormai, giova ripeterlo, lo dicono i fatti. I fatti dicono che il patriottismo massonico non è che un egoismo settario, bramoso di tutto dominare, signoreggiando gli Stati moderni che nelle mani loro raccolgono ed accentrano tutto. I fatti dicono che, negl’intendimenti della massoneria, i nomi d’indipendenza politica, di uguaglianza, di civiltà, di progresso miravano ad agevolare nella patria nostra l’indipendenza dell’uomo da Dio, la licenza dell’errore e del vizio, la lega di una fazione a danno degli altri cittadini, l’arte dei fortunati del secolo di godersi più agiatamente e deliziosamente la vita, il ritorno di un popolo redento col divin sangue alle divisioni, alle corruttele, alle vergogne del paganesimo.

6. E non accade meravigliarsi di ciò. Una setta che dopo diciannove secoli di cristiana civiltà si sforza di abbattere la Chiesa Cattolica, e di reciderne le divine sorgenti; che, negatrice assoluta del soprannaturale, ripudia ogni rivelazione, e tutti i mezzi di salute che la rivelazione ci addita; che pei disegni e le opere sue fondasi unicamente e interamente sopra una natura inferma e corrotta come è la nostra; tale setta non può essere altro che il sommo dell’orgoglio, della cupidigia spoglia, la sensualità corrompe; e quando queste tre concupiscenze giungono al grado estremo, le oppressioni, gli spogliamenti, le corruttele seduttrici, via via allargandosi, prendono dimensioni smisurate, diventano oppressione, spogliamento, fomite corruttore di tutto un popolo.

7. Lasciate dunque che, rivolgendo a voi la Nostra parola, vi additiamo la massoneria come nemica ad un tempo di Dio, della Chiesa e della nostra patria. Riconoscetela come tale praticamente una volta; e con tutte le armi, che ragione, coscienza e fede vi pongono in mano, schermitevi da sì fiero nemico. Niuno si lasci illudere dalle sue belle apparenze, niuno allettare dalle sue promesse, sedurre dalle sue lusinghe, atterrire dalle sue minacce. Ricordatevi che essenzialmente inconciliabili tra loro sono Cristianesimo e massoneria; sì che aggregarsi a questa è un far divorzio da quello. Tale incompatibilità tra le due professioni di cattolico e di massone ormai, diletti figli, non potete ignorarla: ve ne avvertirono apertamente i Nostri Predecessori, e Noi per ugual modo ve ne ripetemmo altamente l’avviso. Coloro pertanto che per somma disgrazia han dato il nome ad alcuna di queste società di perdizione, sappiano che sono strettamente tenuti a separarsene, se non vogliono restar divisi dalla comunione cristiana, e perdere l’anima loro nel tempo e nell’eternità. Sappiano altresì i genitori, gli educatori, i padroni e quanti han cura di altri, che obbligo rigoroso li stringe d’impedire al possibile che entrino nella rea setta i loro soggetti, o che, entrati, vi rimangano.

8. Preme poi, in cosa di tanta importanza e dove la seduzione ai dì nostri è cosa facile, che il Cristiano si guardi dai primi passi, tema i più leggeri pericoli, eviti ogni occasione, prenda le più sollecite precauzioni, usi insomma, secondo il consiglio evangelico, pur serbando in cuore la semplicità della colomba, tutta la prudenza del serpente. I padri e le madri di famiglia si guardino dall’accogliere in casa e di ammettere all’intimità delle confidenze domestiche persone ignote, o almeno quanto a religione non conosciute abbastanza; procurino invece di accertarsi prima che sotto il manto dell’amico, del maestro, del medico, o di altro benevolo non si celi un astuto arruolatore della setta. Oh in quante famiglie il lupo penetrò in veste d’agnello! Bella cosa sono le svariatissime società, che oggi in ogni ordine di sociale attinenza con fecondità prodigiosa sorgono da per tutto: società operaie, di mutuo soccorso, di previdenza, di scienze, di lettere, di arti, e simiglianti; e quando siano informate da buono spirito morale e religioso, tornano certamente proficue e opportune. Ma poiché qui pure, anzi qui specialmente è penetrato e penetra il veleno massonico, si abbiano per generalmente sospette, e si evitino le società che, sottraendosi ad ogni influsso religioso, possono facilmente essere dirette e dominate più o meno da massoni, come quelle che, oltre a porgere aiuto alla setta, ne sono, può dirsi, il semenzaio e il tirocinio. A società filantropiche, di cui non ben conoscano la natura e lo scopo, non si ascrivano facilmente le donne senza essersi prima consigliate con persone sagge e sperimentate, giacché passaporto alla merce massonica è spesso quella ciarliera filantropia, contrapposta con tanta pompa alla carità cristiana. Con gente sospetta di appartenere alla massoneria o a sodalizi ad essa aggregati procuri ognuno di non aver amicizia o dimestichezza: dai loro frutti li conosca e li fugga. E non solo di coloro che, palesemente empi e libertini, portano in fronte il carattere della setta, ma di quelli si eviti il tratto familiare, che si occultano sotto la maschera di universale tolleranza, di rispetto a tutte le religioni, di smania di voler conciliare le massime del Vangelo e le massime della rivoluzione, Cristo e Belial, la Chiesa di Dio e lo Stato senza Dio. Libri e giornali che stillano il tossico dell’empietà e che attizzano negli umani petti il fuoco delle cupidigie sfrenate e delle sensuali passioni; circoli e gabinetti di lettura, ove lo spirito massonico si aggira cercando chi divorare, siano al Cristiano, e ad ogni Cristiano, luoghi e stampa che fanno orrore.

9. Se non che, trattandosi di una setta che ha tutto invaso, non basta tenersi contro di lei in sulle difese, ma bisogna coraggiosamente uscire in campo ed affrontarla. Il che voi, diletti figli, farete, opponendo stampa a stampa, scuola a scuola, associazione ad associazione, congresso a congresso, azione ad azione. La massoneria si è impadronita delle scuole pubbliche; e voi con le scuole private, con quelle di zelanti ecclesiastici e di religiosi dell’uno e dell’altro sesso contendetele l’istruzione e l’educazione della puerizia e gioventù cristiana, e soprattutto i genitori cristiani non affidino l’educazione dei loro figli a scuole non sicure. Essa ha confiscato il patrimonio della pubblica beneficenza; e voi supplite col tesoro della privata carità. Nelle mani dei suoi adepti ha ella messo le Opere pie: e voi quelle che da voi dipendono affidatele a cattolici istituti. Ella apre e mantiene case di vizio; e voi fate il possibile per aprire e mantenere ricoveri all’onestà pericolante. A’ suoi stipendi milita una stampa religiosamente e civilmente anticristiana; e voi con l’opera e col danaro aiutate, promuovete, propagate la stampa cattolica. Società di mutuo soccorso ed istituti di credito sono fondati da lei a pro dei suoi partigiani; e voi fate altrettanto non solo pei vostri fratelli, ma per tutti gl’indigenti, mostrando che la vera e schietta carità è figlia di colui che fa sorgere il sole e cadere la pioggia sui giusti e sui peccatori.

10. Questa lotta del bene col male si estenda a tutto, e cerchi, in quanto è possibile, di riparare tutto. La massoneria tiene frequenti congressi per concertar nuovi modi di combattere la Chiesa; e voi teneteli frequentemente per meglio intendervi intorno ai mezzi e all’ordine della difesa. Ella moltiplica le sue logge; e voi moltiplicate circoli cattolici e comitati parrocchiali, promuovete associazioni di carità e di preghiera, concorrete a mantenere ed accrescere lo splendore del tempio di Dio. La setta, non avendo più nulla a temere, mostra oggi il viso alla luce del giorno; e voi, Cattolici italiani, fate anche voi aperta professione della vostra fede, ad esempio dei gloriosi vostri antenati, che innanzi ai tiranni, ai supplizi, alla morte la confessavano intrepidi e l’autenticavano con la testimonianza del sangue. Che più? Si sforza la setta di asservire la Chiesa, e di metterla, umile ancella, ai piedi dello Stato? E voi non cessate di chiederne e, dentro le vie legali, di rivendicarne la dovuta libertà e indipendenza. Cerca essa di lacerare l’unità cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, fomentando discordie, aizzando gli animi all’insubordinazione, alla rivolta, allo scisma? E voi, stringendo sempre più il sacro nodo della carità e dell’obbedienza, sventate i suoi disegni, mandate a vuoto i suoi tentativi, deludete le sue speranze. Come i primitivi fedeli, siate tutti un cuore ed un’anima; e raccolti intorno alla cattedra della Chiesa e dei vostri Pastori, tutelate gl’interessi supremi della Chiesa e del Papato, che sono altresì i supremi interessi dell’Italia e di tutto il mondo cristiano. Ispiratrice e gelosa custode delle italiche grandezze fu sempre l’Apostolica Sede. Siate dunque italiani e Cattolici, liberi e non settari, fedeli alla patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo, persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire.

11. Diletti figli, la Religione e la patria vi parlano in questo momento per bocca Nostra. E voi ascoltate il loro grido pietoso, sorgete unanimi e combattete virilmente le battaglie del Signore. Il numero, la baldanza, la forza dei nemici non vi atterriscano; ché Dio è più forte di loro, e se Dio è con voi, che potranno essi contro di Voi? Affinché poi con maggior copia di grazie Iddio sia con voi, con voi combatta, con voi trionfi, raddoppiate le vostre preghiere, accompagnatele con l’esercizio delle cristiane virtù e specialmente coll’esercizio della carità verso i bisognosi, e rinnovando ogni dì le promesse del Battesimo, implorate umilmente, instantemente, perseverantemente le divine misericordie. Come auspicio di queste, e come pegno altresì della Nostra paterna dilezione, v’impartiamo, diletti figli, la benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 8 dicembre 1892, anno decimoquinto del Nostro Pontificato.