DIO IN NOI (4)

DIO IN NOI (4)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

LIBRO TERZO

Il peccato mortale e l’inimicizia con Dio in noi

Un modo di concretare i nostri privilegi soprannaturali consiste nel domandarci quali doveri c’incombono, allorquando, per il peccato mortale, disprezziamo questi doni e li rigettiamo lungi da noi, come fardello inutile. Abbiamo considerato l’Abitazione di Dio in noi, dal punto di vista positivo; — studiamola adesso in che consista dal punto di vista negativo — di che cosa viene privato chi non la possiede. In virtù della grazia, Dio vive in noi, Dio Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Vediamo ciò che il peccato mortale è capace di produrre nelle nostre relazioni:

Col Padre,

Col Figlio,

Con lo Spirito Santo.

Faremo così un passo innanzi nello studio del mistero adorabile di cui ci occupiamo.

CAPO I.

L’inimicizia con Dio Padre.

Un ricco incontra un giorno un fanciullo povero sulla via. Lo raccoglie, l’adotta, lo educa, lo nutrisce, lo circonda di cure. Il fanciullo ha diritto di partecipare alla stessa mensa di famiglia, alle gioie della famiglia, profitta delle relazioni della casa e di tutti i vantaggi che la sua posizione di « figlio di Re » gli procura. Più tardi, se resterà fedele, sarà ammesso dal padre adottivo all’eredità. La condizione è una sola: non deve abbandonare il focolare domestico, né tradire la persona o gl’interessi del benefattore al quale egli deve l’educazione e la nobiltà. – Il fanciullo divenuto grande, si lascia persuadere di abbandonare il padre adottivo e rifiuta i beni e l’eredità promessagli. Fa anche peggio. Cerca disfarsi di suo padre, per assumerne la dignità, volendo così divenire padrone. Il tentativo dello sciagurato non riesce. Conseguenze: il padre conserva i suoi titoli, la sua potenza e i beni di fortuna, ma il figlio adottivo è cacciato per sempre dalla famiglia: « Va’ via, non ti riconosco più! ». Questo esempio descrive assai bene quello che la teologia chiama l’Adozione divina, e il modo in cui l’uomo corrispose all’adozione, fondata nell’amore infinito di Dio. In principio Dio gratifica l’uomo della vita soprannaturale, dono meraviglioso aggiunto a quelli di natura; gli promette l’eredità celeste, da conseguirsi più tardi, se sarà fedele, e la possibilità di godere, fin da questa vita, l’usufrutto dei favori divini. Ma l’uomo ingannato dal demonio: « eritis sicut dìi », aspira a scoronare Dio col preferire il suo capriccio all’obbedienza. Il suo gesto audace lo caccia dal paradiso terrestre e lo priva di tutti i doni divini. – Monsignor de Ségur, nelle Semplici Storie, racconta questo fatto: Un padre in una fiera smarrisce sua figlia. Lungo tempo la cerca, ma invano. Quattro anni dopo, a Londra, riprendendo le indagini, scorge sopra un palco di lottatori una fanciulla. Non ha dubbio alcuno: è sua figlia! Penetra nel palco… « Figlia mia » le dice; ma la piccina, guasta per il soggiorno prolungato coi saltimbanchi, contaminata dai loro cattivi discorsi, aveva dimenticato i suoi primi anni. Risponde senz’altro: « Voi, mio padre?… Non vi conosco! Il mio vero padre è questo qui ». E accennava a un sinistro ciarlatano, che voleva intervenire per non lasciarsi sfuggire la preda. Quante volte accade anche all’uomo, attirato da una curiosità colpevole e da una gioia di bassi istinti, ingannato dal demonio, grande ladrone di anime, di abbandonare la dolce casa del padre di famiglia. Divenuto preda del demonio, si lascia trascinare lungi, molto lungi, sforzandosi di sfuggire alle ricerche di Dio. Non già che Dio non sappia dove trovarci; ma diciamo che quando Egli batte alle porte del cuore e chiama con la voce del rimorso o le esortazioni del sacerdote, il demonio raddoppia le suggestioni, insinua i suoi orpelli, cattiva l’attenzione, paralizzando la volontà. – Se almeno l’uomo rinunziasse alla amicizia di Dio per un oggetto degno di stima! Ma no, per una bagatella la riflessione cede; ci lasciamo sedurre da un nonnulla: uno sguardo, una lettura, una parola, un desiderio. « Che stranezza, dice S. Agostino al peccatore: tu basti a Dio, e Dio non ti basta. Sufficis Deo et Deus non sufficit tibi? Tu cerchi fuori di te il nulla, cerca piuttosto dentro di te il sommo bene! » (Quid vagaris o homuncio, quærendo diversa corporis et animæ bona, quære summam bonum quod in te est). – In te; ecco ciò che rende più gravi le nostre colpe. Offendere da lontano è un’ipocrisia, ma un’ipocrisia che infine si spiega facilmente. Offendere però in faccia, offendere qualcuno, intimamente unito a noi, che vive ed è tutt’uno con noi è una colpa così strana, che il sentimento di onore più elementare dovrebbe preservarcene. Non solo il sentimento dell’onore, ma anche quello dell’amore. La fanciulla rubata non era responsabile. Aveva potuto conoscere appena il vero padre. Ma noi quale scusa potremo addurre? Diremo che Dio era un incognito? che non era buono abbastanza? Dal momento in cui un’anima si è svincolata dalle sue braccia, Dio ne va alla ricerca. Segue questa disgraziata che non vuole più saperne del suo amore. Moltiplica gli appelli, ripete gli inviti. Sa bene in quali braccia miserabili ci siamo abbandonati, a quale tiranno ci siamo affidati; si aggira attorno a noi, aspettando il momento del ritorno. Eccolo con le mani aperte, con le braccia tese; Egli ci chiama,ci sollecita in tutte le maniere. Dentro e fuori ci grida: « Figliuolo mio, eccomi, sono io,tuo Padre. Ritorna, te ne supplico! Oh, se sapessi quanto io bramo di riaverti come mio figliuolo! ».Che magnifico raffronto presenta, con la parabola del Figliuol prodigo e i passi che questi fa per ritornare al padre, la storia di quell’altro padre e le sue ricerche per ritrovare la figlia! E tuttavia l’esempio addotto non riproduce che in modo lontano la sollecitudine del Padre divino in cerca dell’anima che lo fugge.Nella misericordiosa tenerezza del Padre celeste nulla è più significativo, quanto il suo modo di agire col popolo prediletto nell’antico Testamento. Questo popolo miserabile rifiuta continuamente le premure affettuose dell’Altissimo. Dio cerca di richiamarlo al dovere, ora con gli avvisi, ora con premurose sollecitudini,ora con minacce. Qualche volta Israele si arrende, ma quanto raramente! Accade più spesso che si ostina nel suo peccato, ovvero, pentitosi cade e ricade fino a non più intendere la voce di Dio e dei Profeti. Iawè si attrista profondamente, di una tristezza che giunge fin alla nausea, vedendo la poca gloria che il suo popolo gli procura. Allora esclama, stanco:« Basta, o Israele, fino adesso ti ho chiamato mio popolo; ormai tu non sei più il mio popolo ». Si volta la pagina della Scrittura, credendo di leggervi la collera di Iawè; invece si nota il perdono. Israele mostra di correggerli dei suoi falli e Dio non ha la forza di restar fedele al suo proposito. Vuole perdonare il suo popolo. E questo non una volta, ma dieci, cento tutte le volte…Nostro Signore moltiplica le similitudini per descrivere la sollecitudine angosciosa del Padre di famiglia nel voler ritrovare il figlio che si è da Lui allontanato peccando. Quando una donna perde una moneta, si affretta a cercarla dappertutto! Accende la lampada, cerca sotto i mobili, spazza tutti gli angoli. E il pastore, eh cosa non fa quando una sua pecorella si è smarrita? Parte subito, fruga i cespugli, interroga, ne segue le tracce sulla montagna, attraverso i precipizi, si stanca senza darsi vinto…, finché non l’abbia ritrovata accanto ad un macigno lungi dal pascolo, tremante di paura. Con quanta gioia la chiama col suo nome, la raccoglie, se la pone sulle spalle e la riconduce all’ovile! È una felicità tale che Nostro Signore, per esprimerla, usa parole che si direbbero quasi di una esagerazione singolare. « Si fa più festa in cielo per un solo peccatore che si converte, che per novantanove giusti i quali perseverano nel bene ».- Ecco come Dio agisce per renderci la vita divina. Un bravo operaio, dopo una predica sulla parabola del Buon Pastore, andato a trovare il predicatore per confessarsi, gli dice:« Questa storia del Buon Pastore che va in cerca della sua pecorella mi ha commosso. Io ho detto fra me: la pecora smarrita sono io ».Sì, ciascuno di noi è la pecora smarrita, allorché ha abbandonato il Padrone del gregge.

CAPO II.

L’inimicizia col Figlio di Dio.

Il peccato mortale è un’immensa ingratitudine nei riguardi del Padre. Ma nei riguardi di Nostro Signore è un tradimento e uno spergiuro. Non mantenere un impegno, violare liberamente un trattato, si tratti di una nazione verso un’altra, dello Stato verso la Chiesa, dell’uomo verso Dio, è grande fellonia.Ora noi abbiamo assunto impegni solenni e sacrosanti con Nostro Signore!Il giorno della prima comunione promettemmo che volevamo rinunziare a satana perseguire Gesù Cristo. Ma quanto tempo intendevamo restare fedeli a questa promessa? Forse un giorno, una settimana, un anno, fino a vent’anni, fino al matrimonio? No. Noi promettemmo:« Io mi unisco a Gesù Cristo per sempre». Per sempre; dunque per tutta la vita, per tutta l’eternità. Passano alcuni giorni in cui si resta fedeli. Ma l’ora della prima tentazione suona. E, io suppongo, si soccombe… mortalmente. Avevamo stabilito con Dio un contratto bilaterale. Chi lo straccia? Un giorno avevamo affermato:« Rinunzio a satana. Mi unisco per sempre a Gesù Cristo». E adesso: «Rinunzio a Gesù Cristo, e aderisco a satana. Non voglio più saperne di Gesù. Lo rinnego. Voglio satana,che da questo momento scelgo come mio padrone ».E’ vero che, a meno di una malizia straordinaria,nessuno dice esplicitamente: «Aderisco a satana per sempre », ma praticamente si fa così. Nel momento della colpa grave, fra Gesù e il suo nemico si sceglie, con un gesto netto e reciso, il nemico di Gesù Cristo.Quale grande angoscia non sarà per il peccatore, dover rispondere del delitto di alto tradimento! Quando la mobilizzazione generale delle coscienze sarà suonata, quando, non più in un angolo della trincea e per alcuni solamente,ma su tutta la terra, senza eccettuare un solo vivente o un solo cadavere rintronerà la parola tremenda: « Levatevi, o morti! » che. tremito per tutti coloro la cui vita cristiana fu un tessuto di bassezze! Tutte le debolezze consentite e non riprovate riceveranno la triste ricompensa: « O Cristiano, hai degradato te stesso. Sia fatta la tua volontà. Fiat voluntas tua, homo, in æternum! Mi hai cacciato per sempre. Io ratifico: per sempre. E ormai vattene! Non ti riconosco! L’impronta divina tu l’hai strappata. In te non vi è altri che te solo, mentre dovremmo esservi tu e Io. Rimani quello che sei. Custodisci quello che hai, cioè te solo. Io me ne vado, o piuttosto, resto lontano poiché tu lo hai voluto! ». Nei primi tempi del Cristianesimo, per imprimere nella mente dei nuovi battezzati il ricordo degli obblighi contratti, si adottò questo rito: Il neofita indossava una veste bianca che portava durante i primi otto giorni della sua ammissione nella Chiesa. Quest’uso antichissimo la sacra liturgia lo rammemora, imponendo la stola bianca sul capo del fanciullo che è stato battezzato. Nell’atto di fare il gesto simbolico, il sacerdote pronunzia una prescrizione severa e ad un tempo una raccomandazione affettuosa che è la seguente: « Accipe vestem candidam quam immaculatam perferas ante tribunal D. N. Jesu Christi. Ricevi la veste dell’innocenza. Ma riportala senza macchiaimmaculatam — al tribunale di Dio ». Nel giorno della prima comunione la veste candida o il nastro bianco che si porta al braccio, hanno lo stesso significato. Che cosa abbiamo fatto della nostra purezza promessa in quelle dati solenne? La stoffa allora era senza macchia. L’abbiamo custodita Immacolata? Durante la persecuzione dei Vandali, l’apostata Elpidoro perseguitava un diacono rimasto fedele. Irritato dalla condotta d’Elpidoro, il diacono prese con sé la veste, di cui l’aveva rivestito il giorno della sua ammissione nella Chiesa e gli andò incontro. Davanti a lui spiegala veste, l’agitò come un vessillo ed esclamò: «Prendi, guardala: riconosci quest’abito! oggi tu lo profani. Esso ti accuserà il giorno del giudizio. Pensa bene a quello che fai! ». Se quegli che viene sacrificato con una disinvoltura così maligna, per noi non fosse altro che una persona alla quale si è data la parola, non vi sarebbe gran male. Invece è quel Dio al quale dobbiamo tutto il nostro essere, quel Dio che ha dovuto soffrire per ridurci allo stato in cui ci troviamo. Abbiamo già considerato il prezzo della nostra Redenzione e quale parte di torture essa rappresenta. Tutti i dolori del Cristo, il Sangue sparso sulla croce, le angosce della Passione, diventano inutili per il peccato! Diciamo meglio, e in un senso molto reale: i dolori di Gesù sono rinnovati dal peccato! I veri carnefici di Gesù non sono i soldati romani, dalle maniche rovesciate, che nel corpo di guardia della città della Antonia flagellano le spalle del Cristo, gli sputano in viso, lo vestono di un manto di porpora, ovvero percuotono a colpi di canna la testa trafitta di spine, gl’inchiodano le mani e i piedi sul Calvario. I veri carnefici del Cristo siamo noi.In una parrocchia un grande crocifisso dimissione minacciava staccarsi dal legno; il curato chiama un fabbro per fare ribadire i chiodi che sostengono l’immagine sacra del Salvatore.Il fabbro appoggia la scala alla parete, e sale.Giunto al Crocifisso subito sente risvegliarsi quella fede che da molto tempo non aveva praticata, e prova un senso di rammarico. Il dolore invade il suo cuore, gli si gonfiano gli occhi di lagrime, e la mano, con cui sostiene il martello rimane inerte: « Signor Parroco — esclama, voltandosi verso il sacerdote rimasto a pie’ della scala — non posso; no, veramente non posso ».Se nell’ora della tentazione fosse vivo nella nostra mente il pensiero delle sofferenze di Gesù Cristo, le nostre cadute sarebbero meno numerose.Una vecchia biografia di S. Domenico riferisce il seguente fatto: Una donna di costumi dubbi, contrariamente alle sue abitudini, una sera trovavasi sola in casa. A un tratto sente bussare alla porta. Va ad aprire. Un uomo di bellissimo aspetto, ma in preda a una tristezza profonda, le chiede ospitalità. La donna gli offre parte della sua cena. L’uomo accetta. Ma ecco che sui panni dell’ospite, sulla sedia dove è seduto, appariscono macchie di sangue. La donna cambia il tovagliolo; ma dopo alcuni istanti esso è di nuovo coperto di sangue. Allora la misera capisce. L’uomo seduto non è un essere ordinario; è il Crocifisso del Golgota; e il sangue che gli scorre… è il prezzo del peccato.Fatto vero o leggenda? Importa poco! Reale o simbolico, ha in ogni caso, un senso molto vero. Il peccato mortale, nei riguardi di Nostro Signore, è uno spergiuro e una crudeltà.

CAPO III.

L’inimicizia con lo Spirito Santo.

Il Sacramento che ci rende figli di Dio e ci mette in possesso dell’Abitazione divina, è il Battesimo. Si « attuerebbe » meglio la presenza di Dio in noi per la grazia, se qualche volta meditassimo il rito del Sacramento che ci unisce al Cristo. Abbiamo accennato a una parola molto eloquente della sacra liturgia. Altre ve ne sono non meno ricche di sante riflessioni. Il bambino è condotto alla Chiesa; ma gli è interdetta l’entrata e deve aspettare nell’atrio, perché egli è sempre « fuori della Chiesa ». Ma ecco il sacerdote rivolgergli domande importantissime, le cui risposte, date dal padrino e dalla madrina, manifestano la volontà esplicita del futuro « figlio di Dio ». L’affettuoso interrogatorio si svolge così: «Volete essere battezzato? » — «Lo voglio», ecc. Allora il ministro di Dio dice al demonio: « Va via, spirito immondo, esci da questo fanciullo, per lasciare il posto allo Spirito Santo. Exi ab eo, immunde spiritus, et da locum Spiritui Sancto». Forse nessuna parola, qui, come nella consacrazione e nell’assoluzione, rivela meglio la potenza del sacerdote. Quanta forza nella sua affermazione, per la certezza d’essere ubbidito! Parallelismo commovente. Vi è qualcuno che abita nell’anima del bambino a causa del peccato originale. Il suo nome è satana, il demonio. Ma questo nome non muove ancora tanto al disprezzo che merita; bisogna che pubblicamente venga chiamato col nome che per eccellenza caratterizza il suo modo di agire, la liturgia non indietreggia: «Va via spirito immondo, immunde spiritus». « Vattene e lascia il posto » — a chi? « allo Spirito Santo! E nell’istesso momento, in virtù di questa parola divina, splendida come tutte le parole creatrici, satana fugge, e lo Spirito Santo penetra per abitare in eterno nell’anima, in quanto dipende da Lui: « Veniemus et mansionem apud eum faciemus. Noi verremo… e resteremo » S. Luigi, re di Francia, amava sottoscriversi Luigi di Poissy dal luogo in cui aveva ricevuto il Sacramento che aveva in lui messo la vita di Dio. Chi ha ragione, noi che pensiamo così poco al nostro Battesimo, ovvero i Santi che pensano con tanto amore? Il demonio giudica meglio di noi. Non ha preso la fuga senza guardare indietro. È partito; non poteva fare a meno: l’ordine era formale, imperioso. Ma ritornerà, appena gli sarà possibile. Adesso lo Spirito Santo regna da padrone in questo fanciullo; ma satana non avrà requie finché non sarà riuscito, con la connivenza di colui che oggi abbandona, a riavere il domicilio che stima sua possessione. Non può fare torto a Dio nella sua natura. Può combatterlo nel suo «dominio» umano; e suo unico ideale è di allontanare lo Spirito Santo dal cuore dell’uomo, perché riesca a possedere le nostre anime e ad abitarvi da padrone. Qual è lo scopo della lotta fra satana e Dio? I nostri privilegi soprannaturali, la vita di Dio in noi, né più né meno. E consideriamo bene che il demonio si dichiara pronto a rubarci questa ricchezza divina che portiamo in noi. Sperando d’indurre al peccato lo stesso Figliuolo dell’Uomo, lo trasporta, dice il Vangelo, sopra un’alta montagna, e là, mostrandogli, con un gesto l’universo intero: «Tutto questo io ti darò, gli dice, se cadendo a terra, mi adorerai ». E queste promesse seducenti non le fa alle sole anime straordinarie, come era quella di Gesù Cristo, ma a tutte. Per acquistare un’anima, o meglio, i tesori che l’anima possiede, il demonio è pronto a dare, in cambio, i beni materiali. Non può essere altrimenti, perché, in fondo, la mancanza di proporzione è completa, ed egli sa di guadagnare (Notiamo pertanto che il demonio promette, ma è deciso di mancare alle promesse. In ogni tentazione presenta il miraggio di un paradiso terrestre: « Consenti alla colpa… proverai quanti piaceri ti procurerò ». — E dopo commesso il peccato, l’uomo s’accorge che quest’universo, hæc omnia, il paradiso di piaceri era pochissima cosa — meno del nulla! L’oggetto è lo stesso prima e dopo che s’è consentito alla tentazione; ma la stima che se ne ha è proprio la stessa?). – Supponiamolo vincitore un momento. Si cadens una colpa rappresenta sempre una caduta. L’anima è caduta gravemente. All’esterno nulla apparisce. Di due persone che si vedono passare per la strada, l’una è in grazia, l’altra in peccato mortale; ma chi vede la differenza? Nessuno. In realtà essa è immensa! In questo interno oscuro, ma reale, del fondo dell’anima, è avvenuta una strana rivoluzione. Dopo il ribollimento delle passioni, gl’istinti, trionfando sulle ragioni della fede e incatenando la volontà, sono stati causa d’una sentenza di espulsione. Mentre al Battesimo il prete aveva detto: « Va’ fuori, spirito immondo, lascia il posto allo Spirito Santo », il peccatore rivoltando la frase che l’aveva reso Cristiano, pronunzia: « Va’ via, Spirito Santo! Vattene, io non voglio più nulla aver da fare con te! Va’ via, io ti caccio, esci di qui, allontanati da me!… cedi il posto ». — A chi, Dio benedetto!… — «Cedi il posto allo spirito immondo! ». Appunto, il demonio sarà lo strano usurpatore che dimorerà là, dove Dio regnava. – Le ossessioni manifeste del demonio, all’epoca nostra e nei nostri paesi, sono rare. Solo i missionari, nei paesi infedeli, le constatano qua e là. Le manifestazioni esterne della presenza del diavolo nell’anima del peccatore, Dio le permette unicamente per ragioni eccezionali. Ma questo poco importa. A rigore di termini, chi commette un peccato grave è posseduto dal demonio. Non vogliamo dire ossesso, giacché l’ossessione ha un senso specialissimo; ma diciamo – poiché ciò è assolutamente vero, e non ne saremo mai convinti abbastanza — preda del demonio (satana entra nell’anima del peccatore non sostanzialmente, ciò che appartiene a Dio, ma per mezzo della sua azione, cioè per le cattive suggestioni. Questa è la dottrina di S. Tommaso, quando commenta l’introiuit in eum Satanasdel Vangelo (Giov. XIII, 27). Contra Gentes, lib. iv, cap. XVIII. Il P. FROGET scrive: « È privilegio esclusivo e inalienabile di Dio… poter penetrare, sostanzialmente, fino al più intimo dell’essere. Quanto al demonio può penetrare nel corpo, muoverne le membra, malgrado la resistenza della volontà, come avviene agli energumeni, ma non potrebbe invadere l’intimo del nostro essere, né penetrare, almeno direttamente, nel santuario dell’intelligenza e della volontà; se dunque entra nel cuore di qualcuno, non lo fa sostanzialmente, ma per gli effetti della sua malizia: suggerendo pensieri cattivi e atti colpevoli che riesce spesso a far compiere ». De l’Habitation du St. Esprit dans les ames justes, p. 59). Il penoso periodo di tempo in cui lo Stato aveva prescritto gl’Inventari — fu il periodo « della grande miseria della Chiesa di Francia— tristo gesto di alcuni senza coscienza, che forzarono all’esilio Dio, facendolo uscir fuori di parecchie chiese, col demolirne le porte a colpi di scure, ed espellerne i fedeli, riunitisi per difenderla — meritò il nome di profanazione».Ma non meno tragica è la profanazione di colui che fa un gesto per scacciare Dio non da un tempio inanimato, da una Chiesa fatta di pietre e calce, ma da un tempio vivente, dall’anima propria! – Lo Spirito Santo non è meno degno di adorazione che il Corpo santissimo di Nostro Signore. Delle due presenze reali, quella della Terza Persona della Santa Trinità, non è al certo meno reale dell’altra, di Gesù nel Tabernacolo. La facilità con cui noi lasciamo saccheggiare, e saccheggiamo noi stessi, il tabernacolo santo del nostro cuore, non è forse indizio della dimenticanza disastrosa e incomprensibile della verità che, più d’ogni altra, San Paolo inculcava ai primi Cristiani, per persuaderli a condurre una vita pura, santa, per rendere odioso e direi impossibile, agli occhi loro, il peccato, verità espressa in queste parole: «Dio vive in noi, noi siamo le chiese di Dio »? (Quest’idea dell’anima, considerata come tempio, era familiarissima ai primi cristiani. L’Epistola attribuita a S. Barnaba, consola coloro che rimpiangono la distruzione del Tempio di Gerusalemme, ricordando che se il tempio fu distrutto, non è più; ma vi è un altro tempio di Dio. Prima di abbracciare la fede, il nostro cuore rassomigliava veramente ai templi elevati dalla mano degli uomini, dimora di corruzione e di debolezza. Dedicati al culto degli dei erano il soggiorno del demonio. In essi tutto era ostile a Dio. Ma ecco che il Signore si è costruito un tempio, degno della sua magnificenza. Per la remissione dei peccati noi siamo divenuti uomini nuovi, creazione del tutto nuova. Di modo che Dio abita veramente in noi, nel tempio del nostro cuore… Ecco il tempio spirituale che il Signore si è costruito ». – Cap. XVI). Ci resta adesso da esaminare, non più in qual  modo la conoscenza dell’Abitazione divina, aiutandoci a schivare il peccato, ci permetta l’intimità fondamentale; ma in qual modo il pensiero di « Dio in noi », aiuti, nel grado più elevato, lo sviluppo della stessa intimità. Questo è il soggetto che ci studieremo di svolgere, insistendo sulle particolarità che può assumere la nostra famigliarità con gli Ospiti divini dell’anima nostra, a seconda che si scelga di preferenza l’uno o l’altro aspetto della presenza divina, l’una o l’altra Persona della Trinità santa che abita in noi per la grazia.

LIBRO QUARTO

La grazia e le nostre relazioni possibili con Dio in noi

Dal poco che abbiamo detto fin qui, si prevede già che noi possiamo, che noi dobbiamo avere per il Signore, il quale in virtù della grazia abita in noi, una familiarità avida di parlargli, sempre e dovunque. Il libretto dell’Imitazione di Cristo non ha difficoltà di chiamarla: « familiarità eccessiva», degna di quella che conviene a Dio, familiaritas stupenda nimis. Come abbiamo notato sopra, non intendiamo occuparci di quelle relazioni che appartengono all’unione mistica. Trattiamo soltanto delle relazioni normali — o che dovrebbero essere tali — di ogni anima cristiana con l’Ospite divino che vive in lei. E per evitare confusioni determiniamo il senso della parola: mistico. Limitandoci alla materia che trattiamo, mistico può avere due significati: Che le nostre facoltà, in virtù di un’elevazione miracolosa, vengono rese capaci di percepire, in modo eccezionale, l’Abitazione divina e in tal caso la presenza di Dio in noi sarà normale, se riconosciuta semplicemente dalla fede; sarà mistica se si ottiene per una conoscenza diretta, più o meno viva e duratura, più o meno elevata. Oppure che Dio, presente in noi per la grazia nel modo che abbiamo spiegato, si manifesta come presente in altra maniera, per esempio con la sua Umanità. – Da ciò risulta, che sarà mistico ogni fenomeno il quale ha per oggetto di intensificare in maniera eccezionale la presenza normale o di modificarla, aggiungendo ad essa e sempre in via eccezionale, un’altra presenza. Noi prescindiamo da questi casi (Per rendere chiaro il soggetto e trovare paragoni adatti, qualche volta abbiamo citato esempi in cui la presenza divina era del tutto speciale, extra-normale. Ma in questo caso, abbiamo sempre menzionato quello che appariva come straordinario.): tuttavia facciamo notare che se in teoria la linea di divisione si stabilisce facilmente tra la devozione ordinaria e lo stato straordinario, in pratica la vita mistica, almeno in principio, non sarà che l’efflorescenza della vita di grazia, comune a tutte le anime esenti di peccato mortale; in altri termini, un’anima non sarà, il più delle volte, mistica perché possiede qualche cosa che noi non abbiamo, ma perché possiede meglio, e in grado più eminente, l’Ospite divino. – La vita di Dio in noi è base della pietà normale e base ugualmente della pietà mistica. « Supponiamo, nota i l P. L. de Grandmaison, un Cristiano in grazia che coi suoi mezzi naturali riesca a darsi una specie d’intuizione intellettuale dell’anima sua; godrebbe di una visione, simile, materialmente, a quella che è l’aurora dello stato mistico, ma senza scorgerne la dolcezza e i benefizi soprannaturali » (Recherches de Sciences religieuses, t. I, 1910 p. 204 in nota). Premesse queste considerazioni, esaminiamo quali sono le relazioni normali che ogni Cristiano può e deve mantenere:

Col Padre,

Col Figlio,

Con lo Spirito Santo.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/12/24/dio-in-noi-5/