DOMENICA XXIV DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XXIV DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ier XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.
[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob.
[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, tuórum fidélium voluntátes: ut, divíni óperis fructum propénsius exsequéntes; pietátis tuæ remédia maióra percípiant.
[Eccita, o Signore, Te ne preghiamo, la volontà dei tuoi fedeli: affinché dedicandosi con maggiore ardore a far fruttare l’opera divina, partécipino maggiormente dei rimedi della tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 9-14
“Fratres: Non cessámus pro vobis orántes et postulántes, ut impleámini agnitióne voluntátis Dei, in omni sapiéntia et intelléctu spiritáli: ut ambulétis digne Deo per ómnia placéntes: in omni ópere bono fructificántes, et crescéntes in scientia Dei: in omni virtúte confortáti secúndum poténtiam claritátis eius in omni patiéntia, et longanimitáte cum gáudio, grátias agentes Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem eius, remissiónem peccatórum”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

L’ISTRUZIONE RELIGIOSA

“Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, affinché camminiate in maniera degna di Dio; sì da piacergli in tutto; producendo frutti in ogni sorta di opere buone, e progredendo nella cognizione di Dio; corroborati dalla gloriosa potenza di lui in ogni specie di fortezza ad essere in tutto pazienti e longanimi con letizia, ringraziando Dio Padre che i ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, sottraendoci al potere delle tenebre; e trasportandoci nel regno del suo diletto Figliuolo, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col. 1, 9-14).

L’Epistola è tratta dal principio della lettera ai Colossesi. Dopo il saluto, le congratulazioni, il ringraziamento a Dio per la fede e la pietà che regna tra i Colossesi, assicura — come vediamo dal brano riportato — che prega il Signore che dia loro una conoscenza perfetta della volontà di Dio, così che possano piacergli, mediante i frutti delle buone opere; e che queste opere progrediscano sempre più, per mezzo di una cognizione sempre maggiore delle cose celesti. Prega pure che dia loro la forza di sopportare con letizia le prove immancabili a chi vive cristianamente; e che siano fedeli nel ringraziare Dio Padre, il quale li ha resi degni di partecipare al consorzio dei santi, cioè dei fedeli; li ha strappati alla schiavitù del demonio e delle sue opere tenebrose per metterli sotto il regno del suo Figlio, nostro Redentore. Quest’epistola ci apre la via a parlare dell’istruzione religiosa.

1. Al Cristiano è indispensabile l’istruzione religiosa,

2. Che gli servirà di guida nella vita,

3. E lo renderà costante contro i falsi insegnamenti e le storte teorie.

1.

Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale. L’Apostolo, dicendo ai Colossesi che egli domanda che, per mezzo di quella scienza e sapienza che non viene dagli uomini, ma dallo Spirito Santo, imparino sempre più ciò che Dio vuole da loro; viene bellamente a inculcare il dovere che essi hanno di avanzare sempre più nella cognizione delle verità essenziali del Cristianesimo. È una raccomandazione che S. Paolo fa parecchie volte, e che è di grande importanza per i Cristiani di tutti i tempi, perché pare che in tutti i tempi si dia molto più importanza all’istruzione profana che all’istruzione religiosa. Non parliamo, poi, dei tempi nostri. Noi sentiamo dei fanciulli, con il sussiego di chi la sa lunga in materia, narrare le avventure delle pagine illustrate delle riviste settimanali. Se li interrogate, non sanno ripetere un sol fatto della Storia Sacra. I giovinetti danno l’assalto alle edicole, ai giornalai che escono dalle stazioni per aver notizia delle vicende dei giocatori.Vi sanno dire chi è riuscito primo nel pugilato, nella gara podistica; chi primo nella corsa delle biciclette, delle automobili, ecc. Vi dicono il nome, la paternità, la patria del campione nazionale, del campione europeo, del campione del mondo; ma non vi sanno fare il nome di un campione del Cristianesimo.Gli adulti la sanno forse più lunga in fatto di religione? Se provaste a interrogarli resterete meravigliati della loro ignoranza. Non dissimili dagli uomini sono spesso le donne; e non dissimile dall’operaio e dal contadino è il ricco, la persona colta. Sarebbe già molto, per una buona parte, se arrivassero a far bene il segno della croce. E questa ignoranza è assolutamente inammissibile in un Cristiano. «E’ un errore non conoscere Dio come si conviene» (S. Giov. Crisost. In Ep. ad Col. Hom, 1). L’uomo è figlio di Dio: deve, per conseguenza, conoscere questo Dio, che lo ha creato, che lo governa, che è il suo ultimo fine; conoscere la sua natura, i suoi attributi, per quanto è possibile a persona pellegrina su questa terra: sapere qual è il premio per quelli che lo servono; qual è il castigo per coloro che si ribellano al suo volere. – Dio nella sua bontà infinita ha voluto risollevare l’uomo dalla sua miseria per mezzo della redenzione. È interesse dell’uomo redento, del Cristiano, è suo obbligo istruirsi in questo mistero: conoscere la Persona di Gesù Cristo, quanto ha fatto per noi, il merito della sua opera, la dottrina che Egli ha insegnato, e che le turbe del suo tempo ascoltavano con tanta brama da dimenticare casa, occupazioni e perfino il nutrimento. È interesse e obbligo del Cristiano conoscere chi è la depositaria della sua dottrina, la Chiesa; conoscere gli aiuti che ci ha dato, i Sacramenti. Si tratta d’una istruzione che interessa il Cristiano direttamente, in modo particolare. Si tratta, poi, d’un interesse che non si limita ai quattro giorni che passiamo sulla terra, ma che varca i confini della vita e dura per tutta l’eternità.

2.

S. Paolo desidera che i Colossesi abbiano una piena conoscenza della volontà del Signore affinché si diportino  in maniera degna di Dio, sì da piacergli in tutto. Cioè, conducano una vita in tutto degna di un vero Cristiano. Una vita simile non può prender norma che dalla dottrina della Chiesa. – Nella dottrina della Chiesa si trovano i rimedi adatti a tutte le infermità dell’umana natura, e la difesa contro i pericoli e le illusioni che l’accompagnano. In questa dottrina si trovano gli insegnamenti opportuni per qualunque circostanza della vita. Essa contiene insegnamenti per la vita individuale e per la vita sociale: indica i diritti nella loro giusta misura, e inculca i corrispondenti doveri. – Tolti gli insegnamenti della Religione, ben poca efficacia hanno gli altri mezzi sulla condotta dell’uomo e sull’andamento morale della società. Il ven. Antonio Chevrier era stato arrestato da due guardie urbane di Lione, che l’avevano trovato a questuare alla porta di una chiesa. Condotto dal Commissario, risponde ai rimproveri facendo osservare che egli fa la questua pel mantenimento e l’educazione di una sessantina di ragazzi vagabondi, parecchi dei quali erano certamente passati nell’ufficio del commissario, prima di andare da lui. Quando il commissario sa con chi tratta, non può trattenere la commozione, e due lacrime spuntano sopra i suoi occhi. Poi riprende: «Ah! Padre, continui la sua opera di rigenerazione ben più utile di tutte le nostre case di reclusione; continui a chieder l’elemosina per i suoi ragazzi, non avrà più noie; io stesso voglio partecipare alla sua opera» (Villefranche. Vita del Ven. Servo di Dio Padre Antonio Chevrier. Versione di Alfonso Codaghengo. Roma – Torino. 1924). Possiam poi, osservare che la sanzione delle leggi umane, già poco efficace per sé, è relativamente rara. Le leggi umane sono di quelle reti da cui si può sfuggire con tutta facilità. Si possono trasgredire in modo da far quanto la legge proibisce, senza incorrere nella sanzione. Fatta la legge, trovato l’inganno. Se la legge non è scritta nel cuore, fa ben poco. Le cattive inclinazioni hanno origine dal cuore: nel cuore deve stare il loro correttivo. «Serbo nel cuore i tuoi detti per non peccare contro di te», dice il Salmista; ma è impossibile che la legge sia scolpita nel cuore, se non la si considera come ricevuta da Dio. – Ci sono inoltre tante azioni, che la legge umana non considera perché interne, come l’odio, i desideri malvagi, ecc.; ma che non cessano per questo di essere condannabili, e che sono, difatti, severamente condannate dalla dottrina della Chiesa. – Non si può negar l’efficacia dell’insegnamento della Chiesa dal fatto che alcuni anche fortemente istruiti nella Religione, conducano una vita riprovevole. La dottrina religiosa da essi imparata è la loro più severa condanna: Essa li richiama, continuamente alla riforma della propria condotta, che, con l’aiuto della grazia di Dio, può sempre compiersi. A ogni modo è sempre un freno potentissimo con la minaccia dei castighi eterni, riservati a coloro che si ostinano nel male… E coloro che se ne scandalizzano, al punto di voler negare l’efficacia dell’istruzione religiosa, sono forse migliori? – Del resto, si dia uno sguardo alla storia. Si vedrà che la dottrina della Chiesa, alla corrotta vita pagana, ha sostituito una vita di grande dignità e di santità. Si vedrà che quando le popolazioni si avvicinano ai principi del Vangelo sono civili; quando se ne allontanano diventano barbare.

3.

L’Apostolo augura ai Colossesi che vadano progredendo nella cognizione di Dio, cioè nello studio delle verità cristiane. Come grande è, dunque, l’errore di coloro che, studiati i primi elementi della dottrina cristiana da fanciulli al catechismo parrocchiale o alla scuola, non se ne curano più nel restante della vita. Il condurre una vita veramente cristiana non è cosa da animi deboli. Si richiede grande costanza contro ogni genere di contrarietà. Cresciuto il fanciullo negli anni, da chi imparerà il modo di resistere alle passioni? Che cosa lo terrà saldo contro la corrente dei cattivi costumi e delle massime perverse? L’ideale! si dirà. Ma quale? Noi vediamo che sono tanti ideali quante sono le scuole, quanti sono i partiti, quanti sono i gusti. E ciascuno si sceglie l’ideale che accontenta maggiormente le passioni, che cominciano a dominarlo.Sta bene che al catechismo dei fanciulli abbiamo imparato i primi elementi della dottrina; abbiamo imparato per qual fine Dio ci ha creati ecc.; ma, cresciuti in età, dobbiamo approfondire le nostre cognizioni mano mano che ci troviamo davanti circostanze che richiedono da noi la manifestazione di principi solidi. Col crescere degli anni si allarga anche il campo dei nostri doveri; dobbiamo quindi cercare di averne una più larga e profonda cognizione. «Che giova — dice S. Bernardo — saper dove sia da andare, se non sai la via per la quale hai da andare?» (S. Bernardo in fest. Asc. Serm. 4, 9).Quando si è uomini maturi, si dice, non c’è più bisogno di guida. Il buon senso e la ragione insegnano quel che c’è da fare. Peccato, che la storia ci dimostri il rovescio. Essa ci dimostra che, quanto alla verità, non c’è assurdo che non sia stato insegnato da qualche filosofo; e che intorno ai doveri degli uomini i sapienti del mondo non hanno mai potuto stabilire un sicuro codice di morale.In pratica, poi, la norma più comune è la pubblica opinione. Questa è né più né meno che una moda qualunque. La moda va e viene: peggio ancora, va da un estremo all’altro. Così, la pubblica opinione oggi condanna ciò che ieri era lecito; con la più grande facilità oggi pone uno sull’altare, domani lo getta nel fango. La, sua regola è il tornaconto del momento. Precisamente opposto è l’insegnamento della Chiesa, il cui linguaggio è « sì, sì; no, no », (Matth. V, 37) e non si adatta mai alle circostanze. La dottrina che essa insegna è la stessa che fu insegnata da Gesù Cristo, che fu bandita dagli Apostoli e dai loro successori e, attraverso a persecuzioni e lotte, arrivò fino a noi senza mutamenti. A questa dottrina deve attenersi chi, nel mar tempestoso della vita, vuol rimaner fermo come uno scoglio che non è smosso dalle opposte correnti. – «Alcune cose si apprendono per averne la cognizione solamente, altre, invece, per metterle anche in pratica », osserva S. Agostino (In Ps. CXVIII En. 17, 3). Perciò il Salmista si rivolge a Dio con quella preghiera: «Insegnami a fare la tua volontà» (Ps. CXLII). Sull’esempio del Salmista rivolgiamoci noi pure a Dio pregando, che ci aiuti a conoscere ciò che dobbiam credere, e ci aiuti a conoscere ciò dobbiamo fare, rendendocene soave l’adempimento.

 Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti. [
Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]
V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in sæcula.
[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno.]

Alleluja

Allelúia, allelúia.
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúia.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia  ⊕ sancti Evangélii secúndum S.  Matthǽum.

Matt XXIV: 15-35

“In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur – si fíeri potest – étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.”

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE LII.

“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Quando adunque vedrete l’abbominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge comprenda): allora coloro che si troveranno nella Giudea fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non scenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste. Ma guai alle donne gravide, o che avranno bambini al petto in que’ giorni. Pregate perciò, che non abbiate a fuggire di verno, o in giorno di sabato. Imperocché grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo sino a quest’oggi, ne mai sarà. E se non fossero accorciati quei giorni non sarebbe uomo restato salvo; ma saranno accorciati quei giorni in grazia degli eletti. Allora se alcuno vi dirà: Ecco qui, o ecco là il Cristo; non date retta. Imperocché usciranno fuori dei falsi cristi e dei falsi profeti, e faranno miracoli grandi, e prodigi, da fare che siano ingannati (se è possibile) gli stessi eletti. Ecco che io ve l’ho predetto. Se adunque vi diranno: Ecco che egli è nel deserto; non vogliate muovervi: eccolo in fondo della casa; non date retta. Imperocché siccome il lampo si parte dall’oriente, e si fa vedere fino all’occidente; così la venuta del Figliuolo dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, quivi si raduneranno le aquile. Immediatamente poi dopo la tribolazione di quei giorni si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e cadranno dal cielo le stelle, e le potestà dei cieli saranno sommosse. Allora il segno del Figliuolo dell’uomo comparirà nel cielo; e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il figliuol dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con potestà e maestà grande. E manderà i suoi Angeli, i quali con tromba e voce sonora raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità  de’ cieli all’altra. Dalla pianta del fico imparate questa similitudine. Quando il ramo di essa intenerisce, e spuntano le foglie, voi sapete che l’estate è vicina: così ancora quando voi vedrete tutte questo cose, sappiate che egli è vicino alla porta. In verità vi dico, non passerà questa generazione, che adempite non siano tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno” (Matth. XXIV, 15-35).

Era il martedì della settimana, in cui Gesù Cristo sarebbe morto sulla croce per la nostra salute. E fu in sulla sera di quel giorno, così vicino al gran sacrifizio, che il divin Redentore disse in pubblico ed all’aperto le supreme sue parole. Gli ultimi raggi del sole morente facevano ancor scintillare le lamine d’oro del tempio di Gerusalemme. E Gesù, assiso sulla vetta del monte degli Ulivi, teneva rivolti gli occhi sull’infelice città. Egli la guardava pensieroso. Anche gli Apostoli che gli stavano d’intorno tacevano, riflettendo a quello che Gesù Cristo, pochi momenti innanzi, aveva detto nell’uscire dal tempio: « Voi vedete questi grandi edifizi? Non rimarrà pietra sopra pietra, che non sia scompaginata. » Ma alla fine taluni di essi, fattisi coraggio, gli mossero la domanda, che teneva tutti agitati: « Maestro, di’ a noi, quando succederanno queste cose? e quale è il segno della tua venuta e della fine del mondo? » A queste domande il divin Redentore con un’aria di solenne mestizia prese a rispondere, narrando profeticamente tutto ciò che sarebbe avvenuto riguardo alla rovina di Gerusalemme e riguardo alla fine del mondo. Ed è la massima parte di questa grande risposta, che la Chiesa ci fa leggere e ci invita a considerare nel Vangelo di questa Domenica, l’ultima dell’anno ecclesiastico. E noi, per amore di brevità, lasciando da parto tutto ciò, che Gesù Cristo in questa risposta disse riguardo alla fine del mondo, ci contenteremo di riflettere sopra di ciò che disse riguardo alla rovina di Gerusalemme.

1. In quel tempo, adunque, Gesù disse ai suoi discepoli: Quando vedrete l’abbominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge comprenda): allora coloro che si troveranno nella Giudea, fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non discenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste ». Ed anzitutto che cosa è questa abbominazione predetta dal profeta e ricordata dal divin Redentore? Alcuni la intendono per quell’idolo, che fu collocato sulle rovine del tempio dopo la distruzione della città; altri invece, forse più esattamente, vogliono che si tratti di ciò che avvenne tre anni prima, quando una turba di scellerati, detti gli Zelanti, entrò armata mano nel tempio, e per tre anni e mezzo continui vi dimorò, come in un baluardo, profanandolo con ogni sorta di scelleraggini ed uscendo dì e notte a commettere rapine e stragi nella città. Comunque sia la cosa, ecco in ogni caso l’immagine di quella abbominazione, che avviene in un’anima a cagione del peccato. Imperocché anche l’anima nostra è un tempio. Ce lo dice più volte l’Apostolo Paolo: Non sapete voi che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio è in voi? E questo tempio di Dio, che siete voi, è santo (1 Cor. III, 16, 17). Ora che cosa fa colui che commette il peccato! Egli mostrando col fatto di stimare più di Dio e della sua santa grazia un piacere da bestia, una vergognosissima soddisfazione, un pugno di roba di malo acquisto, una vendetta, uno sfogo brutale, un miserabile guadagno, un compagno cattivo e traditore, un poco di vino ed altre simili cose vilissime, dice: Parta dal tempio dell’anima mia Iddio e si prenda quella roba, quella vendetta, quello sfogo; vada Iddio, e venga il compagno, l’amico, il piacere; vada Iddio, vada la sua grazia, vada il suo amore, la sua gloria, il suo dominio, il suo paradiso, vada tutto, e venga la passione, il peccato. E così butta giù dall’altare del suo cuore Iddio, per sostituirvi in sua vece un idolo vile ed infame, qual è il piacere, l’interesse, la passione che si vuole sfogare; e questo idolo adora invece di Dio. Egli caccia dal tempio dell’anima sua Iddio per introdurvi coi peccati dei scellerati masnadieri, che profanano e deturpano quanto in esso vi ha di buono e santo. Che esecrabile delitto! – Eppure questo non è che una parte dell’orribile abbominazione. Quando noi pecchiamo grandemente non solo preferiamo a Dio le cose più vili e spregevoli, ma preferiamo a Lui lo stesso demonio. Poiché non è egli vero che offendendo Iddio noi serviamo il demonio, ubbidiamo alle sue istigazioni, soddisfaciamo i suoi desideri malvagi, lo scegliamo per nostro padrone ed eleggiamo di essere suoi schiavi? Egli è indubitato che consentendo al peccato, consentiamo insieme a tutto questo. Sì, se resistiamo alla passione, ci manteniamo fedeli a Dio nostro Sovrano Padrone, nostro caro Padre, nostro Benefattore supremo, che si compiace del nostro operare; se invece cediamo alla passione e commettiamo il peccato, ci mettiamo volontariamente nelle mani del diavolo, e lui prendiamo per padrone nostro, e con ciò dichiariamo e protestiamo che è meglio appartenere al demonio, che a Dio. Epperciò come allorquando il Sacerdote battezza un bambino, intima al demonio che si parta dall’anima di lui; chi pecca invece dice a Dio: Esci da me, Signore, dà luogo al demonio, che voglio collocare nel tempio dell’anima mia, siccome colui che voglio riverire, servire amare, adorare in vece tua. Non è così adunque, che il peccato è veramente l’abbominazione più orrenda, che mai si possa effettuare in un’anima? – E per evitare tale abbominazione del peccato che cosa dobbiamo fare? Ciò che raccomanda il Salvatore per non essere sepolti sotto le rovine di Gerusalemme. « Allora coloro che si troveranno nella Giudea, fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non discenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste ». Queste parole in sostanza non vogliono dir altro se non: fuggite… fuggite prontamente… fuggite per non tornare addietro. Quando trattasi del peccato, e soprattutto del peccato contro alla bella virtù, la Sacra Scrittura ci raccomanda sempre la fuga. Fuggite di mezzo a Babilonia, e pensi ciascuno a salvar l’anima sua; fuggite il peccato come fuggireste alla vista di un serpente. Sovente il demonio sen viene a voi e con perfide carezze v’invita al piacere, oppure vi manda vicino i cattivi compagni, i seguaci del mondo, e questi tutto porranno in opera per trascinarvi nelle regioni del male. Deh! fuggite, fuggite ai monti. Innalzatevi fino a Dio coi pensieri della mente e con la preghiera del cuore. Di là solamente può giungervi soccorso. Era questa la speranza del santo re Davide: Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi (Ps. CXX). Inoltre fuggite prontamente, senza porger orecchio un istante alle tentazioni; un momento di ritardo è bastante per farvi cadere. Quando gli Angeli, che il Signore aveva spediti a Lot, videro ch’ei differiva ad uscir di Sodoma, lo presero per mano, dice la Scrittura: e fattolo uscir dalla sua casa, lo condussero fuori dalla città. Senza questa premura, Lot era perduto, e periva con tutti gli abitanti di Sodoma divorati dal fuoco del cielo. E così voi, o miei cari, vi esporreste a questa sciagura, se non aveste cura di rapidamente allontanarvi dalla tentazione. Nessuna considerazione deve rallentare la vostra fuga, perciocché qui si tratta della vostra eterna salute. Fuggite, fuggite adunque il peccato, senza farvi più mai ritorno; ed allora il tempio dell’anima vostra non solo conserverà la sua bellezza, ma l’andrà accrescendo mirabilmente di giorno in giorno.

2. Continuava poi il divin Redentore, dicendo: Guai alle donne che avranno bambini in quei giorni Imperciocché grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo fino a quest’oggi, né sarà mai. Con queste poche parole, Gesù Cristo prediceva le orrende sciagure, che avrebbero accompagnato la rovina di Gerusalemme. Ma se terribili erano queste predizioni, fu ancor più terribile l’avveramento delle medesime. Iddio per altro, che è bontà infinita, prima di dar compimento a quanto era stato predetto dal suo divin Figliuolo, volle ancora ammonire gli Ebrei con parecchi segni precursori. È tradizione costante, certificata dal Talmud, libro storico de’ Giudei, (contenente però molte superstizioni e falsità), e confermata dai Rabbini, come 40 anni prima della rovina di Gerusalemme, che coincide col tempo della morte di Gesù Cristo, si vedevano di continuo nel tempio cose strane. Il giorno di pentecoste quivi fu udita una voce, che disse: Usciamo, usciamo di qui! E si tenne che fossero gli Angeli protettori del tempio, che se ne partivano, perché Iddio l’aveva già riprovato. – Quattro anni poi innanzi all’eccidio di Gerusalemme, gli Ebrei ne ebbero dei segni manifestissimi, come ci narra lo stesso storico ebreo, Giuseppe Flavio, testimonio di veduta. Un uomo chiamato Anano venne dalla campagna, ed entrato in città non rifiniva di gridare: Guai al tempio, guai a Gerusalemme; voce dall’Oriente, voce dell’Occidente, voce dai quattro venti; guai al tempio, guai a Gerusalemme. Egli fu preso, messo in prigione, battuto severamente; ma non si tenne mai dal ripetere i medesimi lamenti sui bastioni, nella città per tre anni, dopo cui esclamando: Guai a me stesso, venne colpito da una pietra sul capo e morì. Una notte apparve intorno al tempio e all’altare una luce sì viva, che risplendette per mezz’ora come di mezzogiorno. Una porta del tempio di bronzo e di peso così enorme, che ci volevano 20 uomini per chiuderla, si aperse da per se stessa. Alcuni giorni dopo in tutti i paesi vicino a Gerusalemme, si vedevano in aria eserciti schierati, i quali la cingevano di assedio. Apparve una cometa che vomitava fiamme a guisa di fulmini, e una stella in forma di spada stette sospesa un anno con la punta rivolta a Gerusalemme. Tali furono i segni prodigiosi, che notte e dì, annunziavano a questo popolo l’imminente sua rovina, e chiamavanlo a penitenza. Eppure a tanti segni non mai veduti, gli Ebrei erano bensì atterriti, ma niuno pensava ad invocare la provvidenza del Signore. Intanto videro circondarsi la città da un esercito romano, prima guidato da un celebre guerriero di nome Vespasiano, e poi da suo figliuolo per nome Tito. Costoro senza saperlo, fatti strumenti dell’ira divina, cooperarono ad avverare quanto era scritto nel Vangelo riguardo allo sterminio degli Ebrei. Formato dapprima un assedio, a due miglia dalla città, ne chiusero tutte le uscite. Avvenne questo circa le solennità pasquali, in cui grande moltitudine di Giudei restando chiusi nella città, la scarsezza dei cibi si fece tosto terribilmente sentire. Gli abitanti furono ridotti a mangiare qualunque sorta di alimenti, anzi l’un l’altro strappavansi di mano le cose più schifose a fine di acquietare la rabbiosa fame. Per avere una qualche idea degli eccessi, cui furono dalla miseria condotti gli Ebrei, basti sapere quello di una madre. Stretta essa dalla fame ruppe i vincoli del sangue, calpestò i diritti della natura e, fissando gli occhi sopra un innocente fanciullo: « Sventurato, gli disse, a che ti serbo? … a soffrire mille orrori prima di spirare o per colmo di sventura a soffrire un’indegna schiavitù ». Così dicendo lo impugna, lo scanna, lo arrostisce, ne mangia la metà e nasconde il resto. Fatto orrendo, al quale quelli stessi che videro, a grande pena potevano credere! Ed ecco perché Gesù Cristo aveva detto: Guai alle madri, che in quei giorni avranno bambini! – Intanto Tito, che già si era fatto padrone di una parte della città, diede l’assalto al tempio e vi appiccò il fuoco alle porte, ordinando per altro di conservare il corpo dell’edifizio. Ma un soldato romano, preso un tizzone ardente, lo gettò nella parte interiore del tempio. Il fuoco si dilatò e, a dispetto degli sforzi di Tito per arrestare l’incendio, tutto il tempio fa consumato dalle fiamme. I Romani poi trucidarono quanti caddero nelle loro mani, e misero tutto a sangue e fuoco. – E così avveraronsi le sciagure predette dal divin Salvatore a Gerusalemme. Lo stesso Tito confessò che il buon successo dell’impresa non era opera sua, e che egli era stato strumento dell’ira divina. Nell’eccidio di Gerusalemme perirono un milione e cento mila abitanti. Il resto degli Ebrei fu disperso per tutto il mondo, condannato da Dio di andare qua e là errante, senza principe, senza altare e senza sacrifizio, in mezzo a nazioni straniere sino al finire dei secoli, nel qual tempo egli aprirà gli occhi, e riconoscerà il suo Dio in Colui che ebbe crocifisso. Ed ecco, per divino proposito, entrati i gentili in luogo degli Ebrei a formare la società cristiana, che sussisterà sino alla fine del mondo. È stata adunque terribile la desolazione inflitta a Gerusalemme, che non volle conoscere il tempo della visita del Signore e che mise in croce Gesù Cristo. Ma non dimentichiamo che assai più terribile sarà la desolazione di coloro, che per avere disprezzata la grazia di Dio e col peccato, di nuovo crocifisso Gesù Cristo in loro stessi, saranno condannati all’eterna dannazione. Il castigo adunque di quella sciagurata città parli efficacemente al nostro cuore e ci induca a profittare per tempo della bontà e della misericordia di Dio a nostro riguardo.

3. Soggiungeva poi ancora nostro Signor Gesù Cristo: E se non fossero accorciati quei giorni, non resterebbe salvo alcuno; ma saranno accorciati in grazia degli eletti. Anche queste parole ebbero il loro perfetto avveramento. Perciocché i Giudei rinchiusi in Gerusalemme, erano trattati più crudelmente dalla loro gente, che dai nemici. Quelli che comandavano nella città si diportavano in guisa che, come dice Giuseppe Flavio, pareva quasi rimproverassero a Dio il ritardo del meritato castigo; e se i Romani avessero voluto starsene tranquilli spettatori delle violenze e delle stragi, che dentro si commettevano, la città e la nazione si distruggeva e si annichiliva da sé medesima. Ma Iddio, tra tanti perversi si era serbato un numero di anime, che o già credevano in Cristo, o le quali Egli voleva condurre alla fede, e per amor di queste fece accelerare, e stringer l’assedio per sottrarle alla morte, da cui non si sarebbero salvate, se avessero continuato a dominare i tiranni, i quali sempre in discordia tra loro, in questo solo andavano uniti: di ammazzare quanti erano degni di scampo e bramosi di pace. – Questa predizione pertanto ed il suo avveramento ci insegna due cose importantissime: la prima è che Iddio nel castigare gli uomini in genere a cagione dei loro peccati, esercita pur sempre la sua misericordia per riguardo ai giusti che vi sono pur sempre nel mondo. Iddio ci aveva già manifestata questa sua condotta, quando ad Abramo aveva detto che sarebbe stato pronto a perdonare a Sodoma ed a Gomorra, se in esse vi fossero stati anche solo dieci giusti. Ed anche presentemente egli agisce così con noi: Vi sono anche oggi città malvagie come Gerusalemme, come Sodoma e Gomorra. E Dio di tratto in tratto fa balenare un raggio della sua giustizia, e manda guerre, terremoti, colera, pesti, inondazioni, disastri, rovine. Tuttavia i castighi non sono quasi mai generali. La misericordia di Dio splende sempre più che la sua giustizia, perché vi sono ancora delle anime giuste; che sospirano, che pregano, che fanno del bene e placano per tal modo la collera di Dio. – E ciò che accade nelle nazioni e nelle città, è ciò che accade nel seno delle famiglie. Quell’uomo è da dieci, venti, trent’anni che più non dischiude il suo labbro alla preghiera, che più non prende la Pasqua, che più non rende a Dio alcun omaggio di sorta. E Dio n’è stomacato. Dio vorrebbe farla finita con lui: toglierlo di vita e precipitarlo nel baratro infernale. Ma quell’uomo ha una moglie santa, qualche buon figliuolo che prega per lui, ed essi con la loro virtù, commuovono il Cuore di Dio e lo inducono a misericordia con quell’uomo traviato. Quel giovane ha scosso il giogo soave di Cristo, si è allontanato da Lui per correre senza freno le vie del più schifoso piacere. Il puzzo de’ suoi peccati sale al trono di Dio e Dio ha già armato la sua destra per colpirlo. Ma quel giovine ha un’ottima madre, una madre che prega, che fa il bene, che si strugge in lagrime per il suo pervertimento, e Dio per riguardo a questa santa donna si placa, e Dio risparmia il figlio cattivo. Ecco che cosa fanno i giusti, gli eletti, a pro dei malvagi; riescono ad abbreviare, a mitigare, e a frastornare ben anche i castighi del Signore. In secondo luogo la predizione fatta da Gesù nel Vangelo ed il suo avveramento ci ammaestra che Dio si piglia sempre gran cura degli eletti ed usa ai medesimi i più grandi riguardi; massime nei pericoli a cui vanno incontro. Il che deve tornare di grande stimolo ad operare il bene ed a metterci per tal guisa nel numero degli eletti. Imperciocché è certo che Iddio è fedele, come dice S. Paolo, e non permetterà che noi, come giusti, siamo tentati oltre alle nostre forze; che anzi, come ci assicura S. Girolamo, avrà riguardo alla nostra debolezza e quando vi sarà a temere che la nostra virtù abbia a soccombere, ne abbrevierà il pericolo, la tentazione e noi ne andremo salvi. – Coraggio adunque, o cari giovani e cari Cristiani, diamoci alla sequela di Gesù Cristo, abborriamo dal partecipare ai disordini, ed ai peccati degli uomini del mondo, non preoccupiamoci che di mantener ferma la nostra fede ed inviolata la nostra virtù anche in mezzo agli scandali così gravi che regnano sulla terra; ed allora possiamo ritenere per certo, che Iddio terrà rivolto lo sguardo pietoso verso di noi, ci scamperà con la sua possente protezione dai pericoli di quaggiù e ci condurrà in salvo per sempre nella beata eternità del Paradiso.

 Credo …

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Offertorium

Orémus
Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Propítius esto, Dómine, supplicatiónibus nostris: et, pópuli tui oblatiónibus precibúsque suscéptis, ómnium nostrum ad te corda convérte; ut, a terrenis cupiditátibus liberáti, ad cœléstia desidéria transeámus. [Sii propizio, o Signore, alle nostre súppliche e, ricevute le offerte e le preghiere del tuo popolo, converti a Te i cuori di noi tutti, affinché, liberati dalle brame terrene, ci rivolgiamo ai desiderii celesti.]

Comunione spirituale https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Marc XI: 24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.
[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato].

Postcommunio

Orémus.
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine: ut per hæc sacraménta quæ súmpsimus, quidquid in nostra mente vitiósum est, ipsorum medicatiónis dono curétur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore: che quanto di vizioso è nell’ànima nostra sia curato dalla virtú medicinale di questi sacramenti che abbiamo assunto.]

Preghiere leonine https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (87)

LO SCUDO DELLA FEDE (87)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CAPITOLO X

SECONDA CAUTELA PER NON PERDER LA S. FEDE: BANDIRE LA SUPERBIA

Come è nato il Protestantismo? Come tutte le altre eresie, da un grand’atto di superbia. Mentre tutta la S. Chiesa Cattolica credeva ad un modo, ad un modo intendeva la Religione, e convenivano in questo modo di credere e di intenderla cento e cento generazioni coi loro Vescovi, Prelati, Pontefici, Dottori e Santi; sorge tutt’improvviso un uomo e dice: Olà fermatevi tutti, tutti ascoltatemi: io vi fo sapere che voi tutti siete in errore, che non intendete niente della santa Fede, che non capite le Sante Scritture, che non conoscete quel che vi fate: io, io solo ho tutto capito, tutto conosciuto, io sono il maestro di tutti i maestri, io sono il dottore di tutti i dottori, nessuno mi giudichi, ma tutti mi obbediscano, e quello solo che io insegno, che io propongo, si dovrà d’ora innanzi tenere come verità. Con quest’atto diabolico incominciano tutte le eresie; e con quest’atto chiaro, espresso, formale incominciò nella persona di Lutero il Protestantismo. Miei cari, può trovarsi un atto di superbia più diabolica? – Ora com’è nato dalla superbia il Protestantismo, così con la superbia si è poi sempre mantenuto. E si vede chiaro da ciò che come Lutero per superbia si ribellò alla S. Chiesa, così i Protestanti suoi seguaci per superbia si ribellarono a lui. I susseguenti fecero lo stesso verso i loro maggiori e così di mano in mano fino a noi, i quali siam testimoni che al dì d’oggi avendo sempre lo stesso spirito, mai non finiscono gli uni di ribellarsi agli altri con nuovi scismi e divisioni. Ciò presupposto che è innegabile, qual sarà la cautela necessaria per non cadere nell’abisso in cui essi sono? Prendere uno spirito tutto contrario che è lo spirito di Gesù. Essi si sono perduti perché per orgoglio si ribellarono alla Chiesa; noi ci salveremo tenendoci con profonda umiltà sottomessi alla S. Chiesa. Voi avete letto più sopra che la S. Chiesa con l’assistenza che ha dello Spirito Santo non può errare, che quello che essa insegna è la verità: dunque noi riposati sul seno materno di lei viviamo con pieno abbandono e con totale fiducia senza darci pensiero di altro che di esserle figliuoli sottomessi ed obbedienti. – Quando però vengono da voi certi impronti e vi domandano: perché credete questo domma, perché credete quest’altro? E voi rispondete subito, perché così me l’ha detto la S. Chiesa. — Ma quel che vi ha detto la Chiesa non può essere, vi replicheranno. E voi saldi: se non può essere e voi ditelo alla Chiesa. Quando essa cambierà credenza, anch’io la cambierò. Gesù mi ha detto che io ascolti la Chiesa, non voi: se io non ascolterò la Chiesa, Gesù vuole che io sia tenuto in conto di un gentile, di un pubblicano, che è quanto a dire di uno che non gli appartiene: ma se non ascolto voi, non mi ha minacciato nessun male. – Gesù inoltre mi ha assicurato che chi ascolta i Pastori di S. Chiesa, è come ascoltasse Lui medesimo, che chi li disprezza, disprezza Lui ed il suo Padre che lo ha mandato. Son dunque certo che fino a tanto che non mi allontano dalla Chiesa e dai miei pastori, non posso correre verun pericolo per la mia salvezza. – Un’altra ragione per cui i superbi corrono pericolo della Fede è perché essa esige un terreno che gli sia adatto. Ditemi di grazia, voi che conoscete l’agricoltura, perché scegliete così per l’appunto i terreni in cui mettere le varie qualità di piante e di biade? Perché non mettete nel basso e nell’umido la vite? Perché non mettete nel poggio e nel greppo la rapa e la lattuga? Perché non proverebbero bene richiedendo ogni pianta il terreno a lei proprio. Ma è lo stesso della Fede: essa non alligna in ogni cuore, ma solo dove alberga la santa umiltà. Che però voi scoprirete da ciò l’origine dell’incredulità di molti. La S. Fede propone a tutti le stesse credenze, gli stessi doveri, e li propone al monarca ed al filosofo, all’artiere ed al bifolco. Di che certi spiriti superbi dicono poi indignati: oh! come! io che so tanto, che ho tanto letto, tanto studiato, debbo credere lo stesso che crede il poveretto, l’ignorante, la donnicciola? Io ho da dire le stesse preghiere, assistere alle stesse funzioni, confessarmi allo stesso modo, esercitarmi nelle stesse pratiche? Ohibò, ohibò! Il loro cuore s’inalbera, la superbia li fa stizzire, e ricusano di sottomettersi a quello, che crede il comune dei fedeli, e rigettano le comuni pratiche. Anzi credono di salire in tanto maggiore riputazione, quanto fanno più gli strani, quanto più mostrano di creder meno, quanto fingono di avere convinzioni più particolari: ed ecco l’origine da cui muove in molti l’irreligione e la perdita della fede. Infelicissimi ch’essi sono! Per un poco di vanità se ne vanno nel precipizio. Imitano in ciò Lucifero, il quale ancor esso non volle fare quello che facevano gli altri Angeli suoi compagni, di starsene sommessi a Dio, ma lo seguono poi anche nel castigo: perché come egli perdette il Paradiso a cui era vicino, così questi perdono al presente tutti i beni del terreno paradiso che è la Chiesa, per precipitare poi a suo tempo nel baratro di tutti i mali che è l’inferno. Atteniamoci dunque alla S. Umiltà. San Francesco d’Assisi sentendo a raccontare la caduta di uno che era stato un tempo suo compagno e che poi si era miseramente allontanato dalla S. Chiesa, si gettò in terra con gran fervore e si stringeva a quella molto fortemente. Interrogato perché facesse così, rispose: ah mi voglio molto, molto umiliare, perché quel misero ha perduta la fede per la sua superbia. Deh che non accada a noi una sì luttuosa disgrazia!

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM CUM DEPRECOR” (LXIII)

SALMO 63: EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM cum deprecor”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 63

In finem. Psalmus David.

[1] Exaudi, Deus, orationem meam cum deprecor;

a timore inimici eripe animam meam.

[2] Protexisti me a conventu malignantium, a multitudine operantium iniquitatem. [3] Quia exacuerunt ut gladium linguas suas; intenderunt arcum rem amaram,

[4] ut sagittent in occultis immaculatum.

[5] Subito sagittabunt eum, et non timebunt; firmaverunt sibi sermonem nequam. Narraverunt ut absconderent laqueos; dixerunt: Quis videbit eos?

[6] Scrutati sunt iniquitates; defecerunt scrutantes scrutinio. Accedet homo ad cor altum;

[7] et exaltabitur Deus. Sagittae parvulorum factæ sunt plagae eorum;

[8] et infirmatæ sunt contra eos linguae eorum. Conturbati sunt omnes qui videbant eos;

[9] et timuit omnis homo. Et annuntiaverunt opera Dei; et facta ejus intellexerunt.

[10] Lætabitur justus in Domino, et sperabit in eo; et laudabuntur omnes recti corde.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXIII

Questo Salmo è specialmente in persona di Cristo, sebbene possa in parte intendersi anche di Davide e dei martiri.

Per la fine: salmo di David.

1. Esaudisci, o Dio, l’orazione mia, mentre t’invoco; dal timore dell’inimico custodisci l’anima mia.

2. Tu m’hai difeso dalla cospirazione dei maligni, dalla turba di gente data al mal fare.

3. Perocché affilarono come spade le loro lingue, tesero il loro arco (1) (amara cosa) per saettare al buio l’innocente.

4. Lo saetteranno all’improvviso, e non temeranno; si sono ostinati nello scellerato disegno.

5. Preser consiglio di nascondere i loro lacci, e dissero: Chi gli scoprirà?

6. Studiarono invenzioni per far del male; gl’indagatori venner meno nell’indagare. (2)

7. Si alzerà l’uomo a grandi disegni; ma Dio sarà esaltato.

8. Le ferite, ch’essi fanno, son ferite di frecce lanciate da fanciullini; e senza forza son rimaste le loro lingue per loro danno.

9. Si sbigottirono tutti quei che gli videro, e ogni uomo si intimorì. E annunziarono le opere di Dio, e meditarono sopra le cose fatte da lui.

10. Il giusto si allegrerà nel Signore, e in lui spererà, e lode avranno tutti gli uomini di cuore retto.

(1) Il verbo ebraico significa letteralmente: essi hanno schiacciato l’arco per preparalo, tenderlo, perché per questo, vi si pone sopra il piede.

(2) Letteralmente: Essi hanno tramato iniquità contro di me, cioè macchinano le cose più oscure, e giungono fino ad ordire le trame meglio combinate, fino a fiaccare la malizia dello spirito dell’uomo e l’abisso della malvagità del suo cuore.

Sommario analitico

Davide, circondato da trappole e da calunnie nella ribellione di suo figlio Assalonne, è figura di Gesù-Cristo nella sua passione.

I – Chiede a Dio di essere liberato dal timore dei suoi nemici dei quali descrive:

– 1° la malizia e la moltitudine (2); – 2° le calunnie aperte, che compara ad una spada; – 3° le calunnie segrete, che paragona a frecce acute (3, 4); – 4° la loro impudenza: essi non temono nulla; – 5° la loro ostinazione, perché i raffermano nei loro disegni perversi – (5); 6° la loro ipocrisia, poiché essi si uniscono insieme per nascondere le oro insidie; – 7°  le loro empie blasfemie: « essi hanno detto, chi potrà scoprirle » (5); – 8° la loro curiosità maligna: « essi hanno cercato con cura delle iniquità contro di me » (6).

II – Egli prevede e predice il loro castigo:

– 1° Dio annienterà i loro disegni orgogliosi (7); – 2° essi stessi si trafiggeranno con le proprie frecce, e rivolteranno le loro lance contro se stessi (8); – 3° tutti coloro che li vedranno saranno pieni di turbamento, ammireranno e loderanno le opere di giustizia di Dio (9); – 4° i giusti si gioiranno e metteranno la loro speranza in Dio, che sarà lodato da coloro che hanno il cuore retto (10).    

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-6.

ff. 1, 2. – Chi teme Dio come si conviene, non teme null’altra cosa. « Non temete coloro uccidono il corpo e non possono uccidere l’anima, ma piuttosto temete colui che può precipitare l’anima ed il corpo nell’inferno » (Matth. X, 28). – La sola paura legittima, è non tenere Dio che con timore filiale che è sempre un misto di amore e fiducia. – Un solo nemico, benché sia debole, è da temere, quando non si è soccorsi da Dio; un’assemblea, una moltitudine di malvagi nulla può contro colui che Dio protegge. – Dio protegge qui il giusto in due maniere: coprendolo con la sua potente protezione, anche in mezzo ai pericoli, e dal contatto con i malvagi, allontanandolo completamente dai loro attacchi, facendo ciò che ci comanda per mezzo della bocca del saggio: « Figlio mio – dice il saggio – se i peccatori cercano di sedurti, fuggi dalle loro carezze. Se essi dicono: vieni con noi, scaviamo delle fosse di morte, tendiamo delle trappole all’innocente perché vi cada … non camminare con loro, allontana i passi dai loro sentieri » (Prov. I, 40 etc.). « È così che Egli ha liberato il giusto Lot dall’oltraggio delle infamie e della loro vita vergognosa » (II Piet. II, 7).

ff. 3, 5. – Il profeta non teme né la spada né le frecce che trafiggono. La lingua solo è oggetto del suo timore. Egli teme le sue spade, i suoi giavellotti, ma la fiducia che ripone in Dio solo, lo mette al riparo dai loro colpi. « Voi mi avete protetto contro l’assemblea dei malvagi ». Ma l’arco di una lingua omicida è sempre brandito, e la punta della sua spada è sempre aguzza. Le sue frecce mortifere non cessano di colpire, ed i loro colpi sono certi: essi trafiggono nell’oscurità colui che è innocente. Comprendiamo qui il senso di questa parola; non è colui che è santo, fedele, giusto, ad essere colpito, ma colui che è innocente, colui che il Sacramento del Battesimo ha lavato recentemente dalle macchie del peccato, ma che ancora non è ferrato nella fede, né profondamente istruito dalla dottrina di salvezza, né esercitato contro gli attacchi di una lingua di cui tutti i colpi sono mortali (S. Ilar.). – Questa doppia comparazione di una spada e di un arco, fa risaltare vivamente la malizia dei nemici, sia di Davide, sia di Gesù-Cristo, sia della Chiesa, sia di ogni fedele. Le loro parole sono taglienti come una spada, sono scoccate come delle frecce; la spada colpisce da vicino, la freccia da lontano, e gli attacchi, da lungo tempo preparati in segreto, sono improvvisi ed impietosi (Rendu.). – Quando voi colpite in segreto coloro che carezzate in pubblico, quando lo trafiggete di cento ferite mortali con colpi incessantemente raddoppiati con la vostra lingua pericolosa, quando artificiosamente mescolate il vero ed il falso, per dare verosimiglianza alla vostra storia maliziosa, quando violate il sacro deposito del segreto che un amico troppo semplice ha travasato per intero nel vostro cuore, e vi servite per i vostri interessi della sua fiducia che vi obbligava a pensare ai suoi, quando prendete delle precauzione per non comparire, quando guardate a destra ed a sinistra e se non scorgete un testimone che possa rimproverare la vostra lassità nel mondo, se avete teso le vostre trame così sottilmente da essere impercettibili agli sguardi umani, allora voi dite: « … chi ci ha visto? » e dice il Salmista: « Colui che ha formato l’orecchio, non ascolta? E Colui che ha fatto l’occhio, è forse cieco? » perché non pensate che Egli tutto vede, tutto ascolta, tutto comprende? … che i vostri pensieri Gli parlano, che il vostro cuore Gli scopre tutto, che la vostra coscienza è la sua sorvegliante e sua testimone contro voi stessi? (BOSSUET, Nécessité de travailler à son salut.).

ff. 6. – Più essi credevano di mettere abilità nei loro complotti, più grande era la loro impotenza, perché, allontanandosi dalla luce della verità e della giustizia, cadevano negli abissi dei loro disegni criminali. La giustizia ha una luce a sé propria; essa penetra fino al fondo dell’anima che si attacca ad essa, e la inonda di chiarore; ma quanto all’anima che si allontana dalla luce della giustizia, più essa cerca espedienti contro la giustizia, più essa è spinta lontana dalla luce e piombata in spesse tenebre (S. Agost.). – L’occupazione quasi unica dei malvagi è quella di cercare dei mezzi ingiusti per perdere le persone per bene, la cui vita gli è d’incomodo. Essi si affaticano per questo, ma spesso inutilmente, e si affannano per non giungere che alla loro medesima perdita. 

II. 7-10.

ff. 7, 8. – Dio fa apparire quanto sia elevato al di sopra di tutti gli uomini, la profondità della malizia del cuore umano servendo così in qualche modo a misurare l’altezza della saggezza e dei consigli del Signore; così, più il cuore dell’uomo  scende profondamente nell’abisso della sua corruzione, più Dio fa brillare la sua grandezza, dissipando tutti i loro disegni con una onnipotente facilità (Dug.). – Voi sapete come i bambini fabbricano frecce con delle canne. Quali sono i colpi che essi lanciano e da dove partono questi colpi? Quale mano e qual caratteristica! Quali armi e quali membra! Sono piccoli bambini che scoccano delle frecce, e le loro lingue non hanno forza se non verso se stessi (S. Agost.). 

ff. 9, 10. – Chi non può essere turbato e colpito da tremore alla vista dei grandi castighi che Dio infligge talvolta nel mondo? Possa Dio annoverarci tra coloro che hanno timore e che hanno manifestato le sue opere. È perché noi temiamo, che vi annunciamo le opere di Dio. Noi vediamo qual sia la vostra alacrità nell’intendere la parola divina, vediamo con quale ardore di desiderio voi la reclamate da noi, vediamo quali siano i sentimenti del vostro cuore. La pioggia ha penetrato la terra, possa essa produrre del grano e non delle spine; il granaio è per il grano ed il fuoco per le spine. Voi sapete cosa fare del vostro campo, e Dio non saprebbe cosa fare dei suoi servi? La pioggia che cade nel campo fertile è dolce, e quella che cade nel campo coperto di rovi è dolce ugualmente. Il campo che produce rovi, può mai accusare la pioggia? E la pioggia non renderà testimonianza contro di esso al tribunale di Dio e non dirà: non sono io caduta su tutti con eguale dolcezza? Vedete dunque cosa producete, alfine di sapere ciò che vi è preparato. Producete del grano, sperate nel granaio; producete delle spine, aspettatevi del fuoco: preparatevi dunque per tempo, e non avrete nulla da temere (S. Agost.). Chi sono gli uomini dal cuore retto? Coloro che non attribuiscono al caso tutti i mali di cui soffrono in questa vita, ma che li considerano come effetto della volontà di Dio per la loro guarigione; … coloro che non presumono della propria giustizia pensando di soffrire ingiustamente quando soffrono, o tacciare Dio di ingiustizia, perché colui che pecca di più non è sempre colui che soffre di più … se, al contrario scontenti di Dio e contenti solo di voi, vi date alla bestemmia, il vostro cuore è depravato e tortuoso; e quel che vi è di peggio, è che voi pretendete di correggere il cuore di Dio e condurlo al vostro, per fargli fare ciò che volete, mentre siete voi a dover fare quel che Egli vuole. Che dunque, volete allontanare il cuore di Dio che è sempre retto, per ridurlo alla perversità del vostro cuore? Non è preferibile piuttosto correggere il vostro cuore per riportarlo alla rettitudine di quello di Dio? (S. Agost.). 

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (6)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (6)

LEZIONE VI.

Modo di fare la comunione spirituale e di unirsi in comunione con lo Spirito di Nostro Signore.

D. – Quale felicità e quale vantaggio se potessi fare spesso e bene la santa Comunione in ispirito durante la giornata! Ma, come farò?

R. – È veramente una pratica santa e vantaggiosissima, quella di comunicarsi spiritualmente con frequenza. Nostro Signore Gesù Cristo diceva ai suoi discepoli che il suo cibo spirituale era di fare la volontà del Padre suo [Meus cibus est ut faciam voluntatem ejus qui misit me, ut perficiam opus ejus. – Joann., IV, 34];  e che faceva tutto col Padre suo e nella virtù del Padre suo. [Pater meus usque modo operatur, et ego operor – Joann., V, 17]. Il mio Padre – diceva – fa ogni cosa in me e con me; e Io pure tutto faccio in Lui e con Lui, e le opere del Padre mio sono il mio cibo. Da queste parole dobbiamo imparare che, siccome Gesù Cristo tutto operava nel Padre suo e col Padre suo, così noi pure dobbiamo far tutto in Nostro Signore e con Nostro Signore, perché abita in noi per vivificarci in tutto e rendere tutte le nostre opere gradite a Dio suo Padre: così effondendosi in noi, Egli vuol essere il cibo delle anime nostre.

D. – Ma come avviene questo? Son cose che non intendo.

R. – Non meravigliatevene, è un mistero. Perciò Nostro Signore, prevenne i vostri lamenti e i vostri insoddisfatti desideri quando disse ai suoi discepoli: [In illo die vos cognoscetis quia ego sum in Patre meo, et vos in me, et ego in vobis. – Joan. XIV, 20]. Nel giorno del giudizio, conoscerete che, siccome il Padre mio dimorando in me, fa le opere mie, [idem, 10] così Io pure, dimorando in voi farò le opere vostre, e voi farete le mie come Io fo quelle del Padre mio.

D. – Ma se soltanto nel dì del giudizio avremo la cognizione di questo mistero, come potrò io giovarmene per operare in Gesù Cristo?

R. – Sebbene non conosciamo distintamente questa meraviglia e non la intendiamo, tuttavia la fede con tutta facilità ce la fa mettere in pratica. Basta la fede; non occorre né vedere, né conoscere chiaramente. Non è forse vero che crediamo i misteri che la fede ci insegna, senza che li vediamo? Contentiamoci pertanto di sapere che la fede ci impone di fare le nostre azioni in Gesù Cristo e con Gesù Cristo. – La Chiesa ce lo dice ogni giorno nella santa Messa con queste parole: Ogni gloria sia resa a Dio Padre onnipotente, per Gesù Cristo, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo; [Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria. – Can. Missæ]. Qui basta credere, senza voler comprendere.

D. – Qual è dunque il modo con cui io possa operare in Nostro Signore e con Nostro Signore; poiché, è questo un mezzo che dalla fede mi viene suggerito per operare cristianamente?

R. – Proporremo altrove un piccolo esercizio cristiano su la pratica della santificazione di tutte le azioni della giornata, con le varie intenzioni della mente e le disposizioni del cuore onde poterle fare cristianamente. [Viventes autem Deo in Christo Jesu Domino nostro. – Rom., VI, 11]. Qui mi contenterò di darvi in proposito una breve lezione che potrete applicare a ogni vostra azione. La perfezione consiste nel compiere tutte le operazioni nostre a gloria di Dio in Nostro Signore e con Nostro Signore; ed è appunto ciò che san Paolo chiama vivere a Dio in Gesù Cristo. Come abbiamo già detto, seguendo l’Apostolo, Gesù Cristo abita in noi per la fede, ma con una presenza attiva, vuole pertanto che usiamo della fede per ricorrere a Lui e unirci a Lui, onde far tutto in Lui e con Lui, e che non facciamo le nostre azioni in noi stessi e per noi stessi, perché tutto ciò che è in noi e non è di Gesù Cristo, non conduce punto a Dio. Le nostre intenzioni e i nostri pensieri, in forza della corruzione della nostra natura, tendono al peccato; perciò, se opereremo in noi, assecondando l’inclinazione dei nostri sentimenti, tenderemo al peccato. Donde si capisce con quale impegno, al principio delle nostre azioni, dobbiamo aver cura di rinunciare a tutti i nostri sentimenti, a tutti i nostri desideri, a tutti i nostri pensieri, a tutte le nostre inclinazioni per far nostri, come dice ancora san Paolo, i sentimenti e le intenzioni di Gesù Cristo: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu. Abbiate in voi – dice l’Apostolo – i medesimi sentimenti di Gesù Cristo, [Phil. II, 5] per vivere nella perfetta pietà e religione verso Dio, nella perfetta giustizia verso il prossimo, nella perfetta santità verso di noi medesimi e nella sobrietà verso le creature.(Abnegantes impietatem et sæecularia desideria, ut sobrie, et juste, et pia vivamus in hoc sæculo. – Tit. II, 12). È questo pure l’insegnamento che il Figlio di Dio aveva dato ai suoi discepoli con queste parole: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum… et sequatur me. [Matth. XIV, 24]  Se uno vuole seguirmi per vivere cristianamente, rinunci a se stesso in tutte le sue azioni, e aderisca al mio spirito per compiere tutto nella virtù di questo spirito a gloria di Dio mio. Padre.

LEZIONE VII.

Applicazione della precedente dottrina all’orazione mentale.

D. – Vi pregherei di rendermi facile la pratica che mi avete suggerita nella precedente lezione, facendone l’applicazione a qualche azione della giornata.

R. – Volentieri applicherò alla pratica dell’orazione mentale quanto ho detto in queste due lezioni, dapprima per dare una completa soluzione alle difficoltà che riguardano questa pratica: e inoltre perché non si parla mai troppo dell’orazione, essendo questa l’azione più importante in tutta la vita del Cristiano. – La prima cosa che dobbiamo fare nell’incominciare l’orazione mentale (ossia meditazione) è di rinunciare a noi stessi e alle nostre proprie intenzioni.

D. – Ma perché rinunciare alle mie proprie intenzioni quando mi inetto a pregare? La preghiera non è forse un’opera buona?

R. – Tutto ciò che la creatura fa di per sé è pieno di amor proprio e di segreto orgoglio. Quante persone, per esempio, si danno alla preghiera per implorare da Dio la sanità, la vincita di un processo, beni materiali o onori? E tutto ciò bene spesso per godere le voluttà del mondo, per soddisfare alla loro ambizione, o magari per vendicarsi dei loro nemici. In tutto questo non c’è niente per Dio, e per il bene dell’anima; tutte queste intenzioni tendono al peccato e alla soddisfazione dell’amor proprio. È quindi assolutamente necessario rinunciare a noi stessi e alle intenzioni cattive che si incontrano anche nelle opere buone.

D. – Ma come dovrò fare?

R. – Nel dar principio all’orazione, mettendovi in ginocchio e coprendovi di confusione per la malizia del vostro interiore (dei vostri sentimenti), direte, seguendo il consiglio di Nostro Signor Gesù Cristo: « Mio Dio e mio Tutto, rinuncio a me stesso e alle inclinazioni peccaminose di cui sono ripieno; vedo bene che non posso pregarvi in me stesso, né da me stesso; detesto con tutto il cuore tutto quanto può dispiacervi in me. – « Per coprire la mia iniquità e la mia malizia e avere in qualche modo accesso presso la vostra divina Maestà, mi dono a Gesù Cristo, vostro Figlio, il quale abita in me ed è la preghiera e la lode di tutta la vostra Chiesa: Laus mea tu es. [1 Jer., XVII, 14]. – Il profeta Davide, con tali sentimenti e tali disposizioni, si abbandonava allo Spirito di Gesù, il quale regnava in Lui, affine di fare la sua preghiera in questo divino spirito, che gli era dato in anticipazione. Perciò diceva a Dio: Come il vostro nome, o Signore, così la vostra lode si estende sino ai confini della terra.[Secundum nomen tuum, Deus, sic et laus tua in fines terræ. – Ps., XLV1I, 11]. Orbene, questa lode non è altro che Gesù Cristo, il quale rappresenta e dice in se stesso tutto ciò che Dio suo Padre è, e gli rende una gloria uguale a Lui medesimo: secundum nomen tuum, ita et laus tua. Oh, quanto è felice il Cristiano, per avere nelle sue mani il mezzo di offrire a Dio una gloria a Lui eguale, la quale comprende pure tutte le lodi che a Lui sono dovute! – Il medesimo profeta, parlando altrove, nel suo linguaggio profetico e pieno di figure, della preghiera della Chiesa, descrive questa Chiesa come un carro che porta migliaia di Cristiani, i quali lodano Dio e si rallegrano nella sua presenza, e soggiunge che lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo sta in mezzo a loro per essere il loro cantico: Currus Dei decem millibus multiplex, milia lætantium; Dominus in eis in Sina in sancto.[Ps., LXVII, 18].Il medesimo Gesù che lo da in loro, trovasi pure nel seno di Dio, e nel santo Sacramento, dove rende alla divina Maestà ogni possibile omaggio di rispetto e di onore, e dove inoltre fa sua la preghiera della Chiesa, per implorare le grazie convenienti ai bisogni e alle necessità di ciascun fedele. [Questa dottrina non si applica soltanto all’orazione, ma pure a tutte le nostre opere soprannaturali].

LEZIONE VIII.

Il metodo dell’orazione mentale, ossia della meditazione.

D. – Dopo aver rinunciato, nel dar principio all’orazione, a me stesso; dopo aver purificato il mio cuore ed essermi unito in ispirito a Nostro Signore, che cosa debbo fare?

R. – Due cose, come ci insegna l’orazione domenicale; la prima è di adorare, lodare e glorificare Iddio; la seconda di raccomandargli le vostre necessità. Sono queste le due parti dell’Orazione mentale, la prima si chiama adorazione, la seconda, comunione.

D. – Perchè si incomincia con l’adorazione?

R. – Incominciamo con l’adorazione, dapprima perché dei due fini dell’orazione, il primo e il principale è quello di onorare e glorificare Iddio. Inoltre perché così suol fare la santa Chiesa, al principio delle sue pubbliche preghiere, dicendo: Venite, adoremus, et procidamus ante Deum; Venite adoriamo e prostriamoci davanti a Dio.

D. – E perché chiamate voi adorazione questa prima parte?

R. – Questa prima parte si chiama adorazione, perché nella Scrittura questo termine bene spesso viene usato per esprimere gli atti di religione; questa infatti è quella virtù cristiana che inclina l’anima ad annientarsi davanti a Dio, ad ammirare la sua grandezza, a lodarlo, a ringraziarlo, ad amarlo, in una parola a tributargli ogni sorta di omaggi, come dobbiamo fare in questa prima parte dell’orazione.

D. – Perché chiamate voi la seconda parte comunione?

R. – Perché in questa parte l’anima si dà a Dio per godere della partecipazione di ciò ch’Egli è e da cui vuole animarci. Orbene, la partecipazione e la comunicazione che Dio dà dei suoi doni e delle sue perfezioni si chiama propriamente comunione; così usano soprattutto i Padri Greci, perché Dio in tal modo ci comunica, ossia ci rende comuni le sue ricchezze. La partecipazione al Corpo di Gesù Cristo dicesi Comunione sacramentale, perché questo Sacramento rende comuni (tra l Lui e noi) i beni di Gesù Cristo e ci comunica i suoi doni più preziosi. La partecipazione che avviene nell’orazione si dice comunione spirituale, a motivo dei doni che Dio in quella ci comunica per la sola intima operazione del suo Spirito. – L’anima che ha coscienza di qualche operazione segreta nel suo cuore, deve tenersi in quiete e silenzio, per ricevere, in tutta la loro estensione, i doni e le comunicazioni di Dio; senza voler agire da se medesima, né fare sforzi che disturberebbero le operazioni pure e sante del divino Spirito di Dio. – Nell’adorazione infine v’è una terza parte che da taluni viene detta risoluzione, ma più propriamente può chiamarsi cooperazione, la quale è il frutto dell’orazione e si estende a tutta la giornata.

D. – Che cosa significa e in che consiste questa cooperazione?

R. – Nella seconda parte, l’anima ha eccitato in se stessa un perfetto desiderio di imitare Nostro Signore nel mistero o nella virtù che aveva adorato in Lui nella prima parte, e gli ha domandato con viva istanza di fargliene la grazia, tenendosi alla sua presenza come un povero mendicante, che non si stanca mai di tendere la mano verso chi può soccorrerlo. La terza parte invece consiste nel corrispondere e cooperare fedelmente alla grazia che l’anima avrà ricevuta, epperò consiste nei fare buoni proponimenti, prevedendo anche le occasioni di metterli in pratica che potranno capitare durante la giornata e abbandonandosi pienamente alla virtù dello Spirito di Nostro Signor Gesù Cristo per obbedirgli, non solamente nel giorno presente, ma sempre, sino alla morte.

D. – Qual differenza passa tra cooperazione e risoluzione?

R. – Sono bensì la stessa cosa; ma l’espressione cooperazione mette più espressamente in rilievo la virtù dello Spirito Santo, perché da Lui le opere buone dipendono molto più che dalla nostra volontà, la quale non sarebbe capace di niente quando non fosse mossa e corroborata dalla virtù dello Spirito Santo; il termine risoluzione, al contrario, si riferisce più espressamente alla determinazione della nostra volontà e sembra attribuire meno la virtù e all’efficacia del potere dello Spirito, al quale tuttavia dobbiamo pienamente abbandonarci, affinché in seguito Egli agisca in noi in ogni occasione, ci faccia ricordare i suoi e ci dia amore e forza per adempierli. In tal modo dobbiamo chiudere l’orazione con un abbandono totale di noi stessi allo Spirito Santo, il quale sarà la nostra luce, il nostro amore, e la nostra virtù.

LEZIONE IX.

Possiamo pregar Dio, sebbene non lo conosciamo perfettamente e benché non conosciamo neppure tutte le nostre necessità; Nostro Signore non è soltanto mediatore di redenzione, ma anche di religione.

D. – Sono ben persuaso che dobbiamo adorare e glorificare Dio nell’anima nostra; ma come potrò io glorificare il Signore, mentre non lo conosco? Ignoro anche ciò che debbo domandargli per il bene dell’anima mia.

R. – È vero che sono questi i motivi per i quali Nostro Signore volle farsi, Egli medesimo, la preghiera della sua Chiesa, in generale e la nostra preghiera in particolare. Gesù Cristo medesimo disse: Nessuno conosce il Padre fuorché il Figlio  [Neque Patrem quis novit, nisi Filius». – Matth.. XI, 27], e così si vede quanto sia esigua la cognizione che abbiamo di Dio. San Paolo d’altra parte dice pure: Quid oremus, sicut oportet nescimus; non possiamo conoscere ciò che è bene per noi e ciò che dobbiamo domandare. Inoltre manchiamo di forza e di virtù per domandare da noi stessi. Orbene, san Paolo ci insegna che lo Spirito di Gesù Cristo deve supplire alla nostra ignoranza e alla nostra debolezza.

Lo Spirito di Dio – dice l’Apostolo – sostenta la nostra debolezza, ma lo Spirito stesso sollecita per noi con gemiti inesprimibili. E Colui che è scrutatore dei cuori conosce quel che brama lo Spirito, mentre Egli sollecita secondo Dio per i santi. [Rom. VIII, 26-27]. Pertanto, non abbiamo che da unirci a questo divino Spirito di Gesù Cristo; e Nostro Signore, il quale vive in noi, supplirà a tutto ciò che ci manca, poiché appunto a questo fine viene ad abitare in noi.

D. – Ma e come possiamo unirci allo Spirito Santo di Gesù Cristo?

R. – Il santo Spirito di Gesù è in noi come Sposo dell’anima nostra, pertanto non aspetta se non i nostri desideri e la nostra volontà; abbandoniamoci dunque a Lui per pregare a mezzo suo e in Lui, ed Egli sarà la nostra preghiera. – Nostro Signore, in qualità di Mediatore di religione, è la preghiera pubblica per Sé e per tutta la Chiesa; ma la Chiesa non prega in Gesù Cristo, se non unendosi a Lui; e deve far questo nella grazia di Gesù Cristo, e donarsi al santo Spirito di Gesù come lo Spirito Santo di Gesù si dona a lei.[Rom. V, 5]. – Nello sposalizio spirituale, ci vuole un dono reciproco e un mutuo consenso degli spiriti; Gesù nell’anima, l’anima in Gesù, tutti e due fanno la preghiera, la quale è il frutto principale dell’alleanza del santo Spirito di Gesù con le anime nostre; sicché le nostre preghiere sono come i frutti (i figliuoli) di questo spirituale connubio. Che se voi mi chiedete a chi va attribuita la preghiera, vi dirò che va attribuita all’anima in Gesù e a Gesù nell’anima; volerne saper di più, sarebbe come pretendere di violare il segreto di Gesù Cristo in noi, e penetrare un mistero ch’Egli vuole tener nascosto, tanto come quello delle operazioni del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre. Di chi sono le opere di Gesù? Del Padre o del Figlio? Esse sono operazioni del Padre e del Figlio, e Dio non vuole che la creatura vi cerchi distinzione; ci basti sapere che Gesù le compie nel Padre, e il Padre con Gesù e in Gesù.

D. Avete detto che Gesù Cristo è Mediatore di religione, cosa significa questa espressione?

R. – Ordinariamente si dice che Nostro Signore è il Mediatore della nostra redenzione, ed è vero, perché Egli per la nostra salvezza ha offerto il suo sangue al Padre per mezzo dello Spirito Santo, e ha dato la sua vita per la nostra vita, la quale non era capace di redimerci. In tal modo Gesù Cristo ha supplito per il nostro debito principale, soddisfacendo a Dio per i nostri peccati, con la sua morte, la quale sola poteva soddisfare alla giustizia di Dio. Ma ciò non bastava: noi eravamo inoltre debitori a Dio di una infinità di omaggi religiosi che eravamo incapaci di rendergli di per noi stessi, come adorarlo, amarlo, lodarlo e pregarlo secondo il suo merito e secondo il nostro dovere: Magnus Dominus et laudabilis nimis. [Ps., XCV, 4; XLVII, 2; CXLIV, 3]. Avevamo bisogno pertanto che il nostro grande Signore e Maestro, nella sua carità, ci servisse pure di supplemento per i nostri doveri e fosse anche il Mediatore della nostra religione. Per questo, Egli volle rivivere dopo la sua morte, ed essere sempre vivente ad interpellandum prò nobis, dice san Paolo, [Hebr., VII, 25], vale a dire per lodare e pregare il Padre suo in vece nostra e per supplire alla nostra incapacità, Gesù Cristo fece questo nella Legge antica; lo fa nella Chiesa, e lo farà anche nel Cielo: Jesus Christus heri, et hodie, ipse et in sæcula. [Hebr., XIII]. Gesù Cristo, dice l’Apostolo, era ieri, è oggi ancora e sarà in tutti i secoli.Con la parola ieri, san Paolo intende la Legge: Mille anni tamquam dies hesterna quæ præteriit [Ps., LXXXIX, 4]. I secoli della Legge sono come un giorno passato; oggi è il tempo della Chiesa su la terra; in tutti i secoli, ecco l’eternità, nella quale Gesù Cristo sarà il supplemento delle creature e il Mediatore della nostra religione.

LEZIONE X.

Schiarimenti su le difficoltà che gli muovono alla preghiera pubblica della Chiesa in lingua latina.

D. – Dall’istruzione precedente riconosco la necessità di corrispondere al desiderio di Gesù Cristo e di unirci a Lui, poiché Egli tanto lo desidera ed è in noi questo, non aspettando che il nostro senso e la nostra corrispondenza. Quanto saremo infelici se, sentendo nell’intimo del nostro cuore la carità che a Lui ci  attira, non l’assecondassimo e non vi rispondessi! Credo sia questa la ragione per la quale  certi Santi paventavano i giudizi di Dio, non tanto per i loro peccati, quanto per le loro infedeltà alle attrattive della grazia. Si ritenevano colpevoli di aver in tal modo contristato bene spesso lo Spirito Santo e di aver privato Dio di molta gloria alla quale aveva diritto e che lo Spirito Santo voleva che gli fosse resa in noi e per mezzo di noi. –Forse sarà pure per questo che santa Caterina da Siena si accusava come colpevole dei peccati di tutto il mondo, dicendo, che per le sue infedeltà alla grazia e per aver mancato di obbedire allo Spirito Santo, il quale spesso l’invitava alla lode e alla preghiera, ella aveva privato il mondo di molte grazie, perché lo Spirito Santo avrebbe operato in Lei, se avesse corrisposto, molti sentimenti e molti atti capaci di placare Iddio e di attirare sui peccatori la sua misericordia e quindi l’effusione delle sue grazie efficaci e trionfanti. Questi pensieri mi coprono di confusione, perché pur troppo ho molti motivi di domandare mille volte perdono al Signore le mie infedeltà; e vi prego d’implorare la sua misericordia a mio favore e di colmare la sua giustizia perché pavento i suoi giudizi.

R. – Lodo il Signore perché si degna di darvi sentimenti così cristiani e così conformi a quelli che largì ai suoi Santi,. Inoltre, per confermare ancora più in voi questa verità donde li avete tratti, cioè che Nostro Signore non è solo Mediatore di redenzione, ma anche Mediatore di religione, aggiungerò che ne abbiamo una bella figura nel Sommo Sacerdote dell’antica Legge, quando entrava nel Santo dei Santi, portando il sangue delle vittime immolate e un turibolo fumante. [Levit., XVI; Hebr., IX]. Questo turibolo rappresentava i figli della Chiesa nelle loro preghiere, essendo essi figurati dai granelli d’incenso che venivano consumati dal fuoco, come i nostri cuori cono consumati dall’amore e dalla carità di Gesù Cristo nostro consumatore. [Thuribulum est… cor hominis; ignis, caritas seu fervor devotionis. (Durand). – Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc., XII, 49). – Abbiamo qui la soluzione di una difficoltà che gli eretici muovono contro la preghiera pubblica della Chiesa, burlandosi del popolo e delle sante religiose, perché  cantano in latino, salmodiando, secondo loro, senza frutto, in una lingua che non intendono. Gli eretici s’ingannano, poiché l’anima che si accinge a pregare non ha altro da fare che unirsi a Gesù Cristo, il quale è la preghiera e la lode di tutta la Chiesa; talmente che, essendo l’anima unita a Nostro Signore e aderendo col cuore a tutta la lode e a tutte le domande ch’Egli presenta al Padre suo, la preghiera non è mai senza frutto; al contrario, essa pregando in tal modo fa molto maggior bene che se pregasse nel suo spirito proprio e volesse impicciarsi di adorare, amare, lodare e pregar Dio da sé e con i suoi propri atti. [Eresia ripetuta oggi dagli usurpanti modernisti apostati mercenari del “Novus Ordo” Vaticano II – ndr. -]. L’anima per tale unione con Gesù Cristo, diventa più vasta del mare, estesa come l’anima e lo Spirito di Gesù Cristo che prega nella Chiesa intera. Di tal genere è la preghiera che si pratica in Cielo, poiché vediamo nell’Apocalisse [Apoc. VII, 12] che i Santi non fanno altro che rispondere Amen alle preghiere dell’Agnello, ciò che esprime l’unione dei loro cuori con Gesù Cristo, il quale è la loro preghiera. – I Santi in Cielo, riconoscendo la loro incapacità di lodar Dio in se stessi, s’inabissano in Gesù Cristo per dire a Dio tutto ciò che Gesù Cristo gli dice e in pari tempo tutto ciò che la Chiesa dice in Lui. A questo pure ci invita il profeta Davide dove dice: Magnificate Dominum mecum et exaltemus nomen ejus in idipsum. [Ps., XXXIII, 4). Venite, magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il suo nome. – Dobbiamo dunque fare anche noi come i fanciulli della fornace di Babilonia, i quali lodavano, glorificavano, e benedicevano il Signore con un medesimo spirito, una medesima volontà e. un medesimo cuore [Ibi tres ex uno laudabant, et glorificabant et benedicebant Deum – Dan. III, 51] e con le medesime intenzioni e disposizioni dello Spirito di Gesù Cristo; poiché il quarto che apparve insieme con loro nel fuoco è detto: Simile al Figlio di Dio: Similis Filio Dei. [Dan. III, 92].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/11/26/catechismo-cristiano-per-la-vita-interiore-di-j-j-olier-7/

21 NOVEMBRE: PRESENTAZIONE DELLA VERGINE MARIA AL TEMPIO

Presentazione e Vita di Maria al Tempio

[Giuseppe PERARDI: LA VERGINE MADRE DI DIO e la vita cristiana; Libr. Del Sacro Cuore, Torino, 1908]

ESORDIO: Maria al Tempio. Disposizione divina. — I RAGIONI: 1. Adempimento del voto dei parenti — 2. Educazionealla sua missione — 3. Dovere dell’uomo: riconoscere il dominio di Dio — ì . Perché nel Tempio. Quello che è. —

II VITA DI MARIA NEL TEMPIO: 1. A tre anni — 2. Il voto — 3 . L’ubbidienza4. Lavora pel culto di Dio. —

III CONCLUSIONE: 1. Pratiche2. L’istruzione religiosa.

Un commovente spettacolo ci si offre nel tempio di Gerusalemme. Una donna avanzata in età, seguita dal marito dando la mano ad una fanciulla di pochi anni che Dio, cedendo pietoso ai digiuni, alle lagrime, alle preghiere dei due vecchi sposi, concesse a loro conforto, si avanza col capo velato verso il luogo santo. Giunta dinanzi al Sacerdote, depone ai piedi di lui la pargoletta, e questa passando, per così dire, dalla culla all’altare addiviene cosa del Signore, mentre il Sacerdote benedice all’offerente ed all’offerta, e un armonioso cantico di ringraziamento e d’allegrezza accompagna la cerimonia. – Stando alla sola apparenza delle cose, in questa presentazione null’altro vediamo che religiosi genitori offrire nel tempio di Sionne la loro cara bambina. Ma gli Angeli del Signore vi ravvisano tutta una storia di meraviglie. Quella fanciulletta non è una fanciulla qualsiasi, è la gran donna predetta ad Adamo, è la Vergine profetizzata da Isaia, simboleggiata nelle donne e nei fatti del popolo ebreo, è l’Eva novella, venuta a riparare il fallo dell’Eva peccatrice, e Maria che entra nel tempio e si rivela come tenero e vezzoso FL fiore per crescere ai piedi dell’altare. Nelle disposizioni di Dio tutto è grande; e anche questo fatto, che sembra in nulla differire dagli altri somiglianti della presentazione e offerta d’altre bambine, ha nella mente di Dio e nelle conseguenze un’importanza grandissima. Certamente quando Dio elegge una creatura ad una missione speciale l’arricchisce delle grazie e dei doni corrispondenti all’opera a cui l’ha eletta e che essa deve compiere; ma, usando Dio anche dei mezzi umani, le assicura una educazione corrispondente al fine voluto. Ora Maria doveva essere Madre di Gesù, corredentrice del genere umano, doveva essere in terra specchio fedele delle divine virtù e modello universale degli imitatori di Gesù Cristo e di chiunque tende alla perfezione. Da parte di Dio si esigeva quindi una larga e indefinita effusione di grazie e celesti favori; ma conveniva pure che per rispetto a Dio, per soddisfazione del nostro cuore, Maria fosse con lunga preparazione iniziata alla sua missione; e questa preparazione fu appunto la vita che condusse bambina e fanciulla all’ombra del santuario. Consideriamo quest’oggi il grande fatto per trarne utili ammaestramenti.

1. — Perché Maria fu presentata, cioè offerta a Dio nel tempio e vi passò gli anni della sua fanciullezza? Già ve ne accennai un motivo: la disposizione di Dio; giova tuttavia approfondire la cosa e comprenderla bene. Due furono le ragioni principali d’un tal fatto, umana una: divina l’altra.

1° Umana per modo di dire, in quanto conseguenza di un fatto umano, cioè l’adempimento di un voto che Gioachino ed Anna, giusta quanto un’antica tradizione ci riferisce, fecero a Dio. Essi erano già avanti negli anni, e non avevano famiglia. Quanta tristezza inondava il loro cuore; qual dolore essere come oggetto d’obbrobrio agli occhi dei loro connazionali pei quali era grave ignominia non aver famiglia Oh anch’essi hanno certamente pregato e pianto come l’Anna che fu poi madre fortunata del profeta Samuele… e anch’essi la imitarono nel voto. Fecero solenne promessa a Dio di consacrargli nel tempio la prole che loro avesse accordato. Le loro lagrime, le loro preghiere, il loro voto ascesero grati al trono dell’Altissimo. Dio li esaudì; la bambina che venne a rallegrarli, Maria, fu dono di Dio, benedizione del loro voto, grazia concessa alle loro ferventi preghiere. – Fedeli alla loro promessa, dopo averne ringraziato Dio, pensarono di consacrarla nel tempio. Maria, riferisce ancora la tradizione, aveva circa tre anni quando fu condotta al tempio, e là fu offerta a Dio, consacrata al divin culto. Non starò qui a ricordare quanto dovette essere dolorosa per Gioachino ed Anna e per Maria tale separazione. Gioachino ed Anna erano avanzati molto negli anni; in questa terra non avevano altro affetto, altro amore che Maria. Dopo averla tanto sospirata, dopo averne goduto la compagnia appena tre anni se ne separavano, e allora appunto quando la bambina sapeva meglio meritare l’affetto del loro cuore. E d’altra parte quanto dovette riuscir penoso anche al cuor di Maria bambina la separazione! E questa pena non era attenuata, né lenita dalla spensieratezza e dalla dimenticanza, propria di quell’età. Maria godeva perfetto l’uso della ragione. Era quindi una separazione di cui misurava tutta l’amarezza, di cui sentiva tutta la pena perché amava immensamente i suoi genitori. Immune dalla macchia dell’originale colpa, il suo cuore si espandeva liberamente e santamente; l’amor suo non trovava gli ostacoli, le difficoltà le debolezze, le imperfezioni del nostro. E tuttavia i suoi genitori fedeli al voto non ne domandano la soluzione che avrebbero potuto ottenere stante la loro età, e la distanza da Gerusalemme; compiono rassegnati il sacrifizio del proprio tesoro ed amore; essi in persona accompagnano a Gerusalemme Maria bambina; e Maria conscia del loro voto, sacrifica il proprio affetto, il proprio stato, la propria volontà, e con essi parte per Gerusalemme, pel tempio, dando l’addio al mondo, alla terra. Oh parti, santa fanciulla… gli Angeli certo ti accompagnano, il cielo ti sorride e Dio ti guida… va… avrai parte ai più grandi misteri.

2° Ma oltre questa ragione, ve n’ha un’altra tutta celeste: la volontà di Dio. Dio regola gli avvenimenti giusta i suoi altissimi fini; Dio dispone il ritiro di Maria perché così conviene alla missione che le vuole affidare. Il Verbo eterno compirà la sua missione riparatrice prima con l’incarnarsi e poi con l’immolarsi sulla croce. Maria deve cooperare con Gesù alla nostra salute in tre modi: con la sua maternità dando al mondo il Redentore; con la immolazione sua e di Gesù sul Calvario; cogli esempi di virtù che saranno modello a tutti i Cristiani. Sublime e immensamente superiore a tutte le missioni umane è la missione di Maria. Ad una missione così santa e così grande occorre una conveniente preparazione. – Noi vediamo infatti Gesù stesso che prima di dar principio alla sua vita pubblica premette una lunga preparazione di ritiro, di vita umile e nascosta nella casetta di Nazaret; e finalmente una preparazione, che diremmo prossima, col digiuno rigoroso di quaranta giorni che compieva nel deserto. Dio per parte sua prepara Maria col rivestirne l’anima di doni singolarissimi, preservandola immune dalla macchia originale e ornandola di ogni grazia e virtù di cui è capace. Maria alla sua volta deve prepararsi e con la fedele corrispondenza alla grazia divina, e con l’educazione diretta a disporla alla grande missione, educazione che sia come il tirocinio, il noviziato della sua vocazione. E qui un’osservazione pratica si presenta alla nostra devozione. Tutti abbiamo da compiere una missione, tutti quindi dobbiamo premettere la necessaria preparazione, il dovuto tirocinio. Il principe che deve un giorno ascendere il trono reale, viene educato in modo da poter degnamente regnare. Noi siamo destinati al trono del cielo, a regnare con Dio. La missione nostra in questa terra è di compiere, per così dire, l’educazione che ci renda un giorno meritevoli di tanta gloria. Ecco dunque il gran fine della nostra vita: prepararci al cielo. Pertanto possiamo dire di corrispondere al fine della nostra creazione in quanto tendiamo al cielo: di rendere vane le nostre opere quando non hanno in nessun modo per iscopo il cielo.

3° Maria consacrata a Dio ci si presenta come un simbolo di quanto deve compiere l’umanità cui Maria rappresenta. Il male entrò nel mondo per allontanamento dell’uomo da Dio. Maria inizia per l’umanità la via del ritorno a Dio riconoscendolo Creatore e Signore di tutto l’uomo. Maria, quale rappresentante di tutta l’umanità ritorna a Dio, riconosceDio. Splendida cooperazione questa: compie per noi, a nome nostro l’atto che dobbiamo compiere noi. Ci precede con l’esempio. Noi redenti siamo doppiamente di Dio. Ma, sventuratamente forse, nel corso della vita ce ne siamo allontanati, dimenticando Dio, calpestando la sua legge, secondando le perverse nostre inclinazioni, i suggerimenti del mondo, del demonio. Imitiamo Maria: Torniamo a Dio. Lo so: ai dì nostri tanto si grida alla liberta, all’indipendenza. Ma intendiamolo bene: Noi non siamo padroni di noi stessi, indipendenti, perfettamente liberi. La libertà è un dono che Dio ci ha affidato perché ne usiamo a bene e non già perché ne abusiamo. Siamo di Dio perché sue creature, perché redenti per opera di Gesù. A Dio quindi dobbiamo appartenere e dobbiamo riconoscere il suo dominio su noi. Noi apparteniamo a Dio in quella guisa che appartiene a noi un’opera compiuta da noi; siamo di Dio più che non sia del suo signore lo schiavo ch’egli ha liberato a prezzo del suo sangue. Quindi la nostra vita, le nostre opere debbono essere un riconoscimento continuo del dominio di Dio su noi, della nostra dipendenza da Lui. Siamo liberi, ma di quella libertà per cui a Dio Signor nostro dovremo rendere conto delle nostre azioni, di cui, appunto per la libertà nostra, siamo responsabili.

4° Maria compie la sua preparazione nel tempio perché il tempio è casa di Dio, sotto la direzione dei sacerdoti che sono gli angeli di Dio, perché essa dev’essere il vero tempio del nuovo testamento, onorato dagli Angeli. Difatti nella Scrittura il tempio è chiamato:

Casa di orazione. — Quantunque in ogni luogo si possa pregar Dio, e Dio ascolti la preghiera qualunque sia il punto della terra da cui Gli si rivolge, tuttavia il luogo proprio della preghiera e specialmente del sacrifizio pubblico è il tempio. Nel tempio deve pregare chi vuol veramente onorar Dio e implorarne le benedizioni e le grazie. Maria è la vergine della preghiera per eccellenza. Il mondo onorerà Dio e lo pregherà. Ma essa sola perché tutta pura e santa, più di tutti lo onora, lo loda; Essa sola può dire con piena ragione: Magnificat anima mea Dominum. Essa sola è il vero tempio in cui si matura la vittima del vero sacrifizio. Essa il vero tempio d’orazione: pertanto cresca e preghi nel tempio. S. Bonaventura che ha considerato più profondamente la pietà dell’angelica fanciulla dice che Maria indirizzava tutti i giorni sette domande a Dio. La prima di amarlo con tutto il cuore, di non aver fibra che non fosse infiammata del divino amore. — La seconda di amare perfettamente il prossimo per Iddio; di amare tutto ciò ch’Egli amava e nel modo che gli sarebbe tornato più gradevole. — La terza d’aver sempre nel cuore un odio sommo al demonio ed a tutto ciò che viene dal demonio. — La quarta che Dio le desse un’umiltà profonda, un perfetto distacco dal mondo, una pazienza invincibile, una purità perfetta, ed ogni altra virtù che la potesse rendere più cara e gradita ai suoi occhi divini. — La quinta che la facesse felice di poter conoscere e servire la vergine predetta da Isaia. — La sesta di poter essere in tutto e per tutto ubbidiente al Sacerdote rappresentante di Dio, ed a tutte le persone da cui dovesse dipendere. — La settima ch’Egli si movesse a pietà del suo popolo, inviasse presto il promesso Messia a redenzione ed a salute di tutto il mondo.

Il tempio è Casa di santificazione, di santificazione legale perché là si compiono i riti mosaici, come di santificazione vera sono le nostre chiese perché vi riceviamo i Sacramenti. E Maria è la vergine della santità. In essa, nel suo cuore si trovano tutte le virtù degli Angeli e dei Santi e in grado eroico, sono le virtù della Madre di Dio che sarà presentata ai Cristiani d’ogni stato e condizione modello perfetto ad imitare. – Il tempio è Casa delle delizie. È nel tempio che si celebrano le feste belle e devote, è nel tempio che Dio ritrova il suo popolo fedele; è nel tempio che l’anima ritrova il suo Dio. Maria non ha altra delizia che amare e servire Dio. Visse Ella nel tempio; e con questa vita di ritiro preparò la vera gioia del mondo chiamando ed ottenendo dal cielo Gesù che del mondo tutto è tutta la gioia. Il tempio è Casa di Dio. Nel tempio Dio si manifesta e largisce in maggior abbondanza grazie e benedizioni. Maria che è tutta di Dio, nel tempio si trova in casa sua. Inoltre Maria è il vero tempio di Dio. Il tempio di Gerusalemme era figura di Maria. Maria è il tempio vivo di Dio. Ecco perché era conveniente che Maria facesse nel tempio la sua preparazione, il suo tirocinio per la missione cui da Dio era destinata. – Impariamo anche noi ad amare la nostra Chiesa. Oh! sia per noi la vera casa della preghiera, la casa della santificazione per l’anima nostra, il luogo di delizie pel nostro cuore. È la casa di Dio: sia anche nostra, perché siamo di Dio. È la casa di Dio: sia anche casa nostra perché vestibolo del Paradiso che deve essere la nostra casa eterna.

II. — E che cosa farà Maria nel tempio?… Maria, pur sentendo viva la pena della separazione dai genitori sospira al tempio perché colà è portata dal suo cuore. Nel tempio non sarà più del mondo, ma tutta di Dio, lavorerà per Lui, eseguirà in modo più perfetto nell’ubbidienza, la volontà di Dio, lavorerà assiduamente nelle cose che riguardano il culto di Dio.

1° « La tradizione ci dice, che Ella aveva allora tre anni. Tre anni! Ma a quest’età, osserverà una fede dubbiosa, i giuochi infantili sono quasi l’unica occupazione. — È vero per ogni fanciullo nato però nelle ordinarie condizioni. Gli abbisognano i giuochi, i divertimenti per trarlo in qualche modo dalla sonnolenza natia, dall’ebetismo originale, ed abituarlo poco alla volta a questa strana vita di disturbi e pene. Ma Maria, la fanciulla straordinaria, la piccola immacolata del Dio d’amore, non ha punto bisogno di divertimenti; inaccessibile alla povertà di spirito ed alla puerilità ha avuto subito la precocità della luce della ragione e della serietà della vita. Però si rassicuri costui; la giovane fanciulla del tempio non mancherà di giuochi, lo spirito di Dio che si celava di già nelle ridenti varietà della creazione, glieli prepara ». Profonda e nel medesimo tempo leggiadra è la considerazione fatta da un devoto servo della Vergine. « Si chiama giuoco da fanciulli il divertimento che essi prendonsi nel fabbricar piccole case di fango; ma è invero azione di grande prudenza; poiché è una lezione di pubblica saggezza al mondo, per fargli vedere che cosa sono le vere occupazioni della sua mondanità. — Domandate voi che cosa farà Maria? Un giuoco infantile, ma più curioso e saggio delle più alte occupazioni dei più grandi politicanti del mondo; essa è chiamata a trattare con Dio gli affari infinitamente importanti dell’eternità e per sé e per tutta la natura umana » .

2° Maria nel tempio sarà di Dio. Nel tempio appunto Maria si consacra a Dio. Essa lo aveva amato fin dalla nascita: ma nel tempio quest’amore riceve la sua consacrazione ufficiale. I suoi genitori la offrono a Dio in compimento del voto fatto, esecutori inconsapevoli dei disegni di Dio, e Maria va ben oltre la mente dei genitori. Essa, bambina ancora, tutta e perfettamente a Dio si consacra; aveva intraveduto il mondo, i suoi beni, le sue lusinghe; ma il cuor della bambina è troppo grande per potersi appagare di tali miserie; Essa aspira a qualche cosa in cui il cuore possa veramente riposare, e fa sua in tutta la pienezza, la parola del profeta: Dominus pars haereditatis meæ (Ps. XV,5). Addio mondo, sei troppo piccino per me, addio beni del mondo, siete cosa troppo da poco, addio soddisfazioni mondane, siete troppo meschine; voglio qualche cosa di più grande, di più perfetto …. voglio Dio; non siete per me e io non sarò per voi: sono del mio Dio. Dio sarà mio, Lui amo, Lui voglio. Com’è grande Maria in questo atto! Consacra a Dio l’anima con le sue potenze; il corpo co’ suoi sensi: i pregi, i doni, quanto era, quanto aveva. Non si reputò più in nulla padrona di sé, si abbandonò a Dio acciò Egli disponesse di Lei secondo il piacer suo, sollecita solo di vivere tutta a Lui, e morire per Lui. Questa consacrazione la teneva in continua unione col suo Signore, perché a Lui riferiva i pensieri, gli affetti, le azioni, i desideri. Questa consacrazione era un segreto del tempio, noto solamente al Signore: Il mio segreto è per me (Is. XXIV, 16).

3° E quindi nel tempio eseguisce in modo più perfetto la vera volontà di Dio. Ivi sono i veri rappresentanti di Dio, i sacerdoti. Con l’ubbidire ad essi, ubbidisce a Dio. Dio in tanti modi manifesta la sua volontà e certamente colui può meglio dire di fare la volontà di Dio, che più direttamente da Dio attinge la sua regola di condotta. Ma Dio non parla, le sue ispirazioni possono venire fraintese. Dio ha costituito il Sacerdote organo vivente della sua voce, della sua volontà; e con l’obbedire al Sacerdote si ubbidisce a Dio. Ecco perché Maria è tutta lieta nel tempio. Non ha più volontà propria, la sacrifica a quella dei superiori, eco di quella di Dio; e la volontà di Dio eseguisce nel modo più perfetto.

4° Inoltre nel tempio Maria lavora per Iddio, nelle cose di Dio. Presso il tempio vi erano case separate pei fanciulli che venivano educati pel divin culto, e per le fanciulle che si formavano alla pietà lavorando le cose necessarie al culto divino, ai sacrifizi, e curando la nettezza del tempio. Indubbiamente tutti i lavori anche i più semplici sono grandi innanzi a Dio, purché compiti con retto fine, come adempimento del proprio dovere. Ma certamente, poste tutte le condizioni, vi ha un merito ed una gioia speciale nel lavorare le cose del culto. Non si lavora più solo in adempimento del proprio dovere, ma il cuore accompagna il lavoro con un atto di divozione continua; e questo lavoro diviene doppiamente preghiera… Oh par di vederla Maria fanciulla intenta ai suoi doveri… Qual tesoro di amor divino, di divozione accompagna il suo lavoro manuale! Pensino ad imitarla coloro che possono compiere lavori destinati al culto, alla Chiesa e specialmente al divin Sacrifizio, che è quanto dire alla Persona stessa di Gesù.

III. — Quanti ammaestramenti pratici scaturiscono dall’odierna considerazione.

1° Anche noi siamo stati offerti a Dio, consacrati a Dio, da Dio stesso santificati. Eravamo appena nati, e fummo portati al tempio. Ci si amministrò il santo Battesimo. Da quell’istante lo Spirito santo prese possesso di noi come di suo tempio. Quindi dobbiamo considerarci come tali, rispettarci come tempi vivi di Dio. Ma di qui consegue ancora che dobbiamo recarci spesso nella Chiesa non solo per i motivi già ricordati; ma perché la Chiesa è figura di noi. Quando non possiamo recarci personalmente in Chiesa, rechiamovici almeno col pensiero, col cuore, col desiderio. Dobbiamo imitar Maria nel tempio impiegando bene secondo la volontà di Dio il nostro tempo. Il tempo è un tesoro che Dio ci ha affidato affinché lo negoziamo e ne riportiamo frutto. Dio un giorno ce ne domanderà conto più che il padrone non domandi conto al servo della giornata. – A questo proposito giova ricordare la parabola raccontata da Gesù, di quel padrone che, partendo per lontani paesi, divise i suoi beni tra i servi proporzionatamente alla loro capacità affinché li negoziassero. Quando ritornò ne domandò conto: premiò i diligenti e punì quello che non aveva riportato alcun frutto. Il tempo della nostra vita trascorre rapido. Deh! che quando ci presenteremo a Dio, possiamo presentargli un bel tesoro di meriti, frutto del tesoro ch’Egli ci ha affidato affinché lo negoziassimo: il tempo della nostra vita.

2° Un altro pensiero ci suggerisce il ricordo dell’educazione di Maria nel tempio. Essa sotto la direzione dei suoi Superiori, compì la sua educazione, il suo tirocinio con lo studio profondo della Sacra Scrittura. In questo modo pure si preparò all’adempimento della sua missione. Quando, all’invito di Dio, rispose il solenne fìat, lo rispose con piena coscienza dei doveri, dei dolori ai quali si sottometteva, perché Iddio domandava a Maria una cooperazione volontaria, libera. E tale non sarebbe stata se Maria non fosse stata istruita nelle sante Scritture. – L’ammaestramento, che dobbiamo ritrarne, è questo: intendere la necessità, e il dovere di una seria istruzione religiosa. Ascoltate il lamento che il Sommo Pastore c’indirizza a questo riguardo: « Che tra i Cristiani dei nostri giorni siano moltissimi quelli i quali vivono in una estrema ignoranza delle cose necessarie a sapersi per l’eterna salute, è lamento oggimai comune, e purtroppo! lamento giustissimo. E quando diciamo fra i Cristiani, non intendiamo solamente della plebe o di persone di ceto inferiore, scusabili talvolta, perché, soggetti al comando d’inumani padroni, appena è che abbian agio di pensare a sé ed ai propri vantaggi: ma altresì e soprattutto di coloro, che pur non mancando di ingegno e di coltura, mentre delle profane cose sono conoscentissimi, vivono spensierati e come a caso in ordine alla Religione. Può dirsi appena di quali profonde tenebre questi tali sien circondati: e ciò che più accora, tranquillamente vi si mantengono! Niun pensiero quasi sorge loro di Dio autore e moderatore dell’universo e di quanto insegna la fede cristiana. E conseguentemente sono cose affatto ignote per essi e l’incarnazione del Verbo di Dio, e l’opera di redenzione dell’uman genere da Lui compiuta; e la grazia che è pur il mezzo precipuo pel conseguimento dei beni eterni, e il santo Sacrificio e i Sacramenti, pei quali la detta grazia si acquista e conserva. Nulla poi apprezzano la malizia e turpitudine del peccato, e quindi non hanno affatto pensiero di evitarlo o di liberarsene; e così si giunge al giorno supremo, talché il ministro di Dio, acciò non manchi una qualche speranza di salute, è costretto ad usare dei momenti estremi, che dovrebbero tutti impiegarsi nel fomentare la carità verso Dio, nel dare una sommaria istruzione nelle cose indispensabili alla salute; se pure, ciò che sovente interviene, l’infermo non sia talmente schiavo di colpevole ignoranza, da credere superflua l’opera del sacerdote, e senza riconciliarsi con Dio, affronti tranquillo il viaggio tremendo dell’eternità. » E trova che appunto in conseguenza di questa ignoranza molti « non si recano punto a coscienza eccitare e nutrire odi contro del prossimo, fare ingiustissimi contratti, darsi a disoneste speculazioni, impossessarsi dell’altrui bene con ingenti usure, e simili malvagità. Di più ignorano come la legge di Cristo, non solo proscriva le turpi azioni, ma condanni altresì il pensarle avvertitamente e desiderarle; e rattenuti forse da un motivo qualsiasi dall’abbandonarsi ai sensuali diletti, si pascono senza scrupolo di sorta di pessime cogitazioni, moltiplicando i peccati più che i capelli del capo. Né di questo genere, torniamo anche a dirlo, si trovano solamente fra i poveri figli del popolo e delle campagne, ma altresì e forse in numero maggiore fra le persone di ceto più elevato e pur fra coloro cui gonfia la scienza e che poggiati su d’una vana erudizione credono di poter prendere in ridicolo la Religione e bestemmiano quello che ignorano » (Pio X: lett. Enc. Acerbo nimis). – E rispondendo anticipatamente ad un’obiezione tanto comune ci dice pure che la scienza della Religione non conferisce l’impeccabilità e può andar congiunta a volontà perversa ed a sregolatezza di costume. Ma « non potrà mai essere retta la volontà, né buono il costume, qualora l’intelletto sia schiavo di crassa ignoranza. Chi ad occhi aperti procede, può certamente uscire dal retto sentiero; ma chi è colto da cecità, è sicuro di andare incontro al pericolo. Aggiungasi di più che la perversità del costume, ove non sia del tutto estinto il lume della fede, lascia sempre a sperare un ravvedimento: laddove se alla corruzione del costume si congiunge, per effetto dell’ignoranza, la mancanza della fede, il male appena ammette rimedio, ed è aperta la via all’eterna rovina. » Chi è istruito nelle verità religiose può peccare; ma conosce il male che fa, e la coscienza ne lo rimprovera; chi è volontariamente ignorante delle medesime peccherà con la massima indifferenza, commetterà il male quasi di necessità. E che sia veramente così, vedetelo nel fatto che destò profonda impressione a Parigi nel 1896, e che vi riferirò dopo breve respiro.

FIORETTO. — Questa sera riprendete in mano un Catechismo (quello cattolico, ad es. di S. Pio X, di S. Pietro Canisio, di S. Roberto Bellarmino e simili; attenzione!!: evitare accuratamente COME LA PESTE i catechismi eretico-ecumenisti della controchiesa del c. d. Vaticano II – ndr. -) ed osservate in quale parte siate più deficienti e provvedete. – Tutti oggigiorno leggono, tutti avete almeno una piccola biblioteca. Procurate che sia fornita anche di qualche libro per l’istruzione religiosa.

GIACULATORIA. — Invocheremo Maria, Sede della sapienza, perché ci aiuti ad intendere bene le verità della religione: Sedes sapientiæ, ora prò nobis.

ESEMPIO. — Dio giudicherà i giudici. In uno degli ultimi anni del secolo XIX sedeva sul banco degli accusati alle Assise di Parigi un giovane di 17anni, imputato d’assassinio. Sopra i giudici era appeso ancora il Crocefisso che fu ora bandito dalla sala della giustizia. L’imputato durante la discussione mantenne un cinismo ributtante. Prende la parola il difensore: « Signori, diss’egli con gravità solenne che subito impressionò tutti, Signori, il mio compito è ben semplice, poiché l’imputato ha confessato tutto. Io non posso difenderlo, perché non veggo per lui nessuna speranza di misericordia; sarò pertanto breve. Ma se la giustizia gli domanda conto del suo delitto, mi permetterete di domandarvi a mia volta conto della sua sentenza. Perché qui vi ha uno più colpevole dello stesso assassino. Onesto colpevole io ve lo denunzio, o piuttosto questi colpevoli io li accuso: Siete voi, o Signori, che mi ascoltate, voi i rappresentanti della società la quale punisce i delitti, di cui essa è causa e che non volle impedire. Io vedo a me dinanzi e saluto il Cristo morente in croce; è qui nel vostro tribunale, dove voi trascinate alla sbarra il colpevole. Ma perché mai il Cristo non è nella scuola, dove chiamate il fanciullo per istruirlo? Perché punite sotto lo sguardo di Dio, quando formate le anime lontane da Lui? E perché questo disgraziato dovrà incontrare il Dio del Calvario per la prima volta nel tribunale? Perché non lo ha incontrato sui banchi della Scuola? Allora avrebbe evitato il banco dell’infamia ove ora si trova. Chi gli ha detto che vi ha un Dio ed una giustizia eterna? Chi gli ha parlalo della sua anima, del rispetto che deve al prossimo, dell’amore fraterno? Chi gli ha insegnato la legge di Dio: tu non ucciderai? Si è abbandonata quest’anima alle sue cattive inclinazioni: questo figlio ha vissuto come un giovane selvaggio nel deserto: solo in mezzo a questa società che uccide la tigre, mentre prima avrebbe dovuto nell’ora propizia, tagliarle gli artigli e domarne la ferocia. » Il giovane ascoltò con meraviglia, come un trionfo, questa difesa così straniera per lui, e un sorriso di soddisfazione balenò sulle sue labbra e nei suoi occhi, quando l’avvocato, conchiudendo disse: « … si, siete voi che io accuso, o Signori: voi civilizzati mentre non siete che barbari, moralisti mentre menate in trionfo l’ateismo e la pornografia, voi che poi vi mostrate stupiti quando vi si risponde col delitto. Condannate il mio cliente, è vostro diritto; ma io accuso voi come colpevoli del suo delitto: è mio dovere. » Uno scroscio d’applausi coprì la voce dell’avvocato, mentre egli sedette. I giurati si ritirarono nella sala dello loro deliberazioni e ne riportarono un verdetto affermativo a tutto le questioni: l’assassino, non ostante la sua giovane età, è condannato alla pena di morte. L’avvocato si alzò, e con la mano tesa lentamente additando il Crocefisso, lasciò cadere ad una ad una queste parole, che penetrarono in tutti i cuori come una sentenza divina: DIO GIUDICHERÀ I GIUDICI. Genitori, e voi tutti a cui incombe il dovere dell’educazione della gioventù, ricordate che innanzi a Dio incontrerete gravissima responsabilità del male che i vostri dipendenti commetteranno per l’ignoranza religiosa in cui per colpa vostra fossero cresciuti.

SALMI BIBLICI: “DEUS, DEUS MEUS, AD TE LUCE VIGILO” (LXII)

SALMO 62: “DEUS, DEUS MEUS, ad te luce vigilo”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 62

Psalmus David, cum esset in deserto Idumææ.

[1] Deus, Deus meus, ad te de luce vigilo.

Sitivit in te anima mea; quam multipliciter tibi caro mea!

[2] In terra deserta, et invia, et inaquosa, sic in sancto apparui tibi, ut viderem virtutem tuam et gloriam tuam.

[3] Quoniam melior est misericordia tua super vitas, labia mea laudabunt te.

[4] Sic benedicam te in vita mea; et in nomine tuo levabo manus meas.

[5] Sicut adipe et pinguedine repleatur anima mea, et labiis exsultationis laudabit os meum.

[6] Si memor fui tui super stratum meum, in matutinis meditabor in te.

[7] Quia fuisti adjutor meus, et in velamento alarum tuarum exsultabo.

[8] Adhæsit anima mea post te; me suscepit dextera tua.

[9] Ipsi vero in vanum quæsierunt animam meam: introibunt in inferiora terræ;

[10] tradentur in manus gladii; partes vulpium erunt.

[11] Rex vero lætabitur in Deo; laudabuntur omnes qui jurant in eo, quia obstructum est os loquentium iniqua.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXII

Davide si nascose nel deserto della Giudea, detto forse dell’Idumea per magnificarne l’estensione. La materia del Salmo è un’orazione, con cui Davide, in nome suo e di tutti i giusti, prendendo occasione dal luogo in cui si trovava, deplora il deserto del mondo, e sospira alla patria celeste.

Salmo di David, quando stava nel deserto dell’Idumea.

1. Dio, Dio mio, a te io aspiro al primo apparir della luce. Di te ha sete l’anima mia; in quante maniere ha sete di te la mia carne.

2. In una terra deserta, che vie non ha ed è mancante di acque, mi presentai a te come nel santuario, per contemplare la tua potenza e la tua gloria.

3. Perocché miglior delle vite ell’è la tua misericordia; a te le labbra mie daran laude.

4. Quindi io ti benedirò nella mia vita; e nel nome tuo alzerò le mie mani.

5. Sia come ingrassata e impinguata l’anima mia; e con voci di giubilo te loderà la mia bocca.

6. Se io mi son ricordato di te nel mio letto, al bel mattino mediterò sopra di te;

7. Perocché mio aiuto se’ tu.

8. E all’ombra dell’ali tue io esulterò: dietro a te va anelando l’anima mia; la tua destra mi ha sostenuto.

9. Eglino però indarno cercano la mia vita; entreranno nelle cupe viscere della terra,

10. Saranno dati in poter della spada, saran preda delle volpi.

11. Ma il re in Dio si allegrerà: avranno laude tutti coloro che per lui giurarono; perché  è stata chiusa la bocca di coloro che parlavano iniquamente.

Sommario analitico

Davide, fuggendo da suo figlio Assalonne, e trovandosi nel deserto dell’Idumea (1):

I.Fa conoscere le condizioni richieste per la preghiera e quale debba esserne il fine:

1° Condizione:

.- a) la vigilanza dall’aurora; – b) il desiderio ardente dell’anima di unirsi a Dio; – c) il desiderio naturale del corpo e dell’appetito inferiore di raccogliere qualche briciola di questo sacro banchetto, alcune gocce di questa divina fontana (1);

2° Fine della preghiera è: –  a) la potenza di Dio che ci aiuta e ci fortifica, – b) la gloria di Dio (2).

II. – Esprime tutta la sua riconoscenza per la misericordia di Dio, che pone al di sopra di tutti i beni (3):

1° per lodare e celebrare questa misericordia, egli fa concorrere: – a) la sua bocca e le sue labbra, – b) le sue opere (4), – c) il suo cuore e la sua volontà (5), – d) la sua memoria e la sua intelligenza (6);

2° espone gli effetti di questa divina misericordia, considerato: – a) dal lato di Dio, 1) che lo soccorre nel combattimento (7), 2) lo protegge nel riposo, 3) lo precede nel cammino e lo tiene nella sua mano (8); – b) dal lato dei suoi nemici, per cui egli prevede: 1) che essi saranno frustrati dalla preda che essi desiderano (9); 2) che cadranno nei precipizi, votati alle ferite della spada diventando preda di bestie feroci (10); – c) dal lato di Davide stesso, egli predice: 1) che sarà ristabilito sul suo trono; 2) che coloro hanno abbracciato la sua causa saranno coperti di gloria; 3) che la bocca degli artefici della menzogna sarà chiusa (11).

(1) Il ricordo della patria ha raramente sollevato una così viva, una così ardente aspirazione come quella di questo salmo, nel cuore di un esiliato. Oppresso dal calore e dalla sete, in un deserto senza fine, il Profeta si  ricorda di Gerusalemme, la città prediletta, che era contento di abbellire, ed il suo pensiero torna soprattutto alla collina di Sion, sulla cui sommità era stato costruito il tempio di Jéhowah: la c’è il riposo e l’ombra, la felicità e l’abbondanza, la preghiera e la poesia. Così, di notte la sogna sul suo letto, mentre di giorno il suo essere si agita e prorompe in un  indicibile slancio verso questo luogo sacro, ove planano le ali del Signore. La sua fede è incrollabile, la sua speranza infinita: Dio coronerà la sua perseveranza e ricondurrà i suoi piedi fino a respirare la voluttà del santuario. I suoi nemici saranno confusi ed annientati, i suoi fedeli al contrario, siederanno con il loro re ritrovato nel banchetto della gioia inesauribile, ai festini del Signore. (CLAUDE, Les Psaumes.)

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1. – Necessità della vigilanza: – 1° la vigilanza aumenta la nostra vita, mentre il sonno, che è immagine della morte, la riduce. « Più si veglia, più si vive; Chi somiglia più ad un morto che ad un vivo, di un uomo che dorme? Quale vita è più piena se non in colui che veglia? » (S. Chrys.) – 2° la vigilanza ci difende da tutti i nostri nemici; – 3° essa è la fonte di tutte le nostre virtù; – 4° essa ci fa acquisire i meriti più grandi. – Bisogna vegliare per Dio perché Egli veglia sempre su di noi; Egli incessantemente ha gli occhi aperti per esaudire le nostre preghiere, e diffonde la sua luce su coloro che vegliano (S. Bas., de Spirt. Sanct. I, IX). – Cosa significa vegliare? Non è sicuramente dormire. Che cosa significa dormire? Vi sono due tipi di sonno: quello dell’anima e quello del corpo. Noi tutti abbiamo bisogno del sonno del corpo, perché se questo viene a mancare, l’uomo deperisce, il corpo stesso si indebolisce. In effetti la fragilità del nostro corpo non può sostenere a lungo la veglia e l’applicazione attiva dell’anima. Se l’anima si applica per molto tempo al lavoro, il corpo fragile e terrestre diviene incapace di sostenerla e sopportare la sua azione, cade in disfunzione e soccombe. Ecco perché Dio dà ai corpi il sonno che ripara le forze delle membra affinché possano sostenere l’anima durante tutto il tempo che essa veglia. Ma quel che dobbiamo evitare è lasciare che la nostra  anima dorma; perché il sonno dell’anima è un sonno funesto. Salutare è il sonno del corpo, che ripara i languori del corpo; ma il sonno dell’anima è l’oblio di Dio. Ogni anima che dimentica il suo Dio è addormentata. Questo spiega il linguaggio dell’Apostolo a quelli che dimenticano Dio: « … levatevi, voi che dormite, levatevi tra i morti, ed il Cristo spanderà su di voi la sua luce » (Efes. V, 14). Era il corpo che dormiva in quelli che l’Apostolo voleva svegliare? Era un’anima addormentata che piuttosto voleva svegliare, e la svegliava perché il Cristo la illuminava. È dunque nell’esortare al risveglio in questo modo che il Salmista dice: « O mio Dio, mio Dio! Da quando sorge la luce io veglio ed aspiro a voi ». Voi in effetti non sapreste vegliare nella vostra anima se non si levasse una luce su di voi, a tirarvi dal vostro sonno (S. Agost.). –  Bisogna vegliare per Dio, cercare Dio, implorare il suo soccorso fin dall’aurora. « Il saggio si applicherà a volgere fin dall’aurora il suo cuore verso il Signore che lo ha creato, e pregherà in presenza dell’Altissimo » (Eccli. XXXIV, 6). La saggezza è conosciuta facilmente da coloro che l’amano e trovata da coloro che la cercano. Essa previene coloro che la desiderano, per mostrandosi per prima. Chi veglierà per essa al mattino non si stancherà; perché la troverà seduta alla sua porta (Sap. VI, 13, 15).  – C’è una fame dell’anima, c’è una sete dell’anima, c’è dunque anche un pane di vita per l’intelletto ed il cuore, c’è una bevanda per le vene dell’anima. La Scrittura eccelle nel dipingere tutti i movimenti dell’anima e tutte le forme della vita, la Scrittura ci fornisce in ogni pagina numerose testimonianze di questa verità; essa ci parla delle anime che hanno fame; essa assicura che Dio le disseterà; afferma che certe anime sono tormentate da una sete violenta. – Dio, è la sorgente di vita: non si viene ammessi ad attingere a questa sorgente finché non si abbia sete. È Dio che invita gli uomini alle acque della sua grazia, ma Egli invita coloro che sono assetati. Egli vuole donarsi di buon grado, ma a coloro che bruciano di sete ardente per Lui. – Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui; – Dio dà questa sete a coloro che non ce l’hanno. – Questa sete è la fame e la sete di giustizia, questa sete è il desiderio dell’anima. Quanto pochi sono quelli che hanno sete di Dio! Contate le aspirazioni, i desideri che si elevano ogni istante del giorno dal cuore degli uomini sulla superfice del mondo abitato: quanta poca parte vi ha Dio! – Ecco di quale sete brucia il Profeta, ma vedete anche che è il bene che egli desidera: « la mia anima ha sete di Voi ». Ci sono in effetti di coloro che hanno sete, ma essi non hanno sete di Dio; chiunque voglia ottenere qualcosa è nell’ardore del desiderio, e questo desiderio è una sete dell’anima. Ora vedete quanti desideri diversi si trovano nel cuore degli uomini: l’uno desidera dell’oro, l’altro il denaro, questi delle proprietà, quello delle eredità, chi una grossa somma di denaro, chi mandrie numerose, un altro ancora una grande casa, un altro una sposa, un altro degli onori, un altro dei figli. Vedete come mille desideri agitano il cuore degli uomini. Tutti gli uomini sono consumati da desideri, e a mala pena si trova uno che dice: « la mia anima ha sete di Voi ». In effetti gli uomini hanno sete dei beni di questo mondo, essi non comprendono che sono nel deserto dell’Idumea (S. Agost.). – Per quanto poco la mia anima abbia sete di Voi, la mia carne pure sente la medesima sete, ma se l’anima è dissetata in Dio, come la mia carne può essere dissetata da Lui? È la resurrezione promessa alla nostra carne. Così come la beatitudine è stata promessa alla mia anima, così la resurrezione è stata promessa alla nostra carne (S. Agost.). – « La mia anima ha sete di Voi, in quanti modi la mia carne Vi desidera! » Sì, la mia carne prende parte al desiderio dell’anima; perché è in essa che si compie ciò che causa all’anima questi trasporti: « Il mio cuore e la mia carne si riuniranno nel Dio vivente » (Ps. LXXXIII, 2). Tutte le mie ossa grideranno. « Signore, chi è simile a Voi, chi Vi è simile in potenza? Ma chi Vi è simile in bontà ed amore? (BOSSUET, Méd. LVII j.). – « Ogni creatura attende con gran desiderio la manifestazione dei figli di Dio » nella speranza che essa stessa sarà liberata da questo asservimento alla corruzione, per entrare nella libertà e nella gloria dei figli di Dio (Rom. VIII, 19, 21).

ff. 2. – Ma in quel luogo questa sete è avvertita dalla nostra anima, e così tante volte anche dal nostro corpo, sete che non è affatto il nostro volgare appetito, ma il bisogno di possedervi, Signore nostro Dio? « … In una terra deserta, senza strade e senza acqua ». Questa terra è il mondo, è il deserto di Idumea, di cui il salmo ha ricevuto il suo titolo: « in una terra deserta ». È poco che essa sia deserta, cioè senza alcun uomo che la abiti; essa è per di più « senza strade e senza acqua ». Piacesse al Cielo che in questo deserto vi sia almeno una strada! Volesse il cielo che un uomo caduto in questo deserto stia almeno per uscire o ne sia uscito! Ma non c’è alcun uomo per consolarlo, non c’è alcune strada per uscirne! Egli vi soggiorna dunque. E questo deserto è funesto. Piacesse al Cielo ci fosse dell’acqua almeno per riparare le proprie forze, solo ne potesse uscire. Quanto è funesto questo deserto, è orribile e spaventoso! E comunque Dio ha pietà di noi: Egli ci dà una strada nel deserto, Nostro-Signore Gesù-Cristo stesso (Giov. IV, 4). Ecco dunque che in questo deserto noi possediamo ogni cosa, ma queste non vengono dal deserto. Il Salmista vi ha fatto dapprima conoscere ciò che è il deserto stesso, affinché conoscendo l’estensione del vostro malore, se gusterete quaggiù qualche consolazione, incontrando degli amici, un cammino, dell’acqua, voi non lo attribuiate al deserto, ma lo rapportiate a Colui che si è degnato di visitarvi nel deserto (S. Agost.). – « Per vedere la vostra potenza e la vostra gloria ». Dapprima la mia anima e spesso anche la mia carne hanno sete di Voi nel deserto, in questa terra senza strada e senza acqua; e così « io sono comparso davanti a Voi nel vostro santuario, per vedere la vostra potenza e la vostra gloria ». Nessuno, se non ha dapprima sete in questo deserto, cioè nello stato deplorevole in cui si trova, non giunge mai al Bene sovrano, che è Dio. Ma, egli dice, « io sono comparso davanti a Voi nel vostro santuario ». Già trovarsi nel santuario è una grande consolazione. Cosa vuol dire: « … io sono comparso davanti a Voi  per vedervi ». Egli non ha detto: « io sono comparso davanti a Voi per essere visto da Voi »; ma: « io sono comparso davanti a Voi per vedere la vostra potenza e la vostra gloria ». Ecco perché l’Apostolo ha detto: « Ed ora conoscete Dio, o piuttosto Dio vi conosce » (Galat. IV, 9). In effetti  voi siete prima comparso davanti a Dio, affinché Dio possa apparirvi. « Per vedere la vostra potenza e la vostra gloria ». Sicuramente, in questo deserto, cioè in questo isolamento, se un uomo chiede al deserto stesso ciò di cui ha bisogno per essere salvato, non contemplerà mai la potenza e la gloria del Signore; ma egli vi resterà, destinato a morire di sete, se non vi troverà né la strada né consolazione, né acqua che gli dia la forza di sussistere nel deserto. Al contrario, se quest’uomo si eleva fino a Dio, se Gli dice, dal profondo del suo cuore e delle sue viscere: « La mia anima ha sete di Voi, e tante volte anche la mia carne, egli riceverà grandi consolazioni » (S. Agost.).- È soprattutto nell’orazione, nella meditazione che Dio ci manifesta innanzitutto la sua potenza, poi la sua gloria, come Dio lo permetteva a Mosè: « Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere » (Esod. XXXIII, 21, 23).

II. — 3-11

ff. 3. – Tutte le vite che sono nel mondo possono avere i loro vantaggi, ma cosa sono esse son separate dalla misericordia e dalla grazia di Dio? « La vostra misericordia è meglio di tutte le vite ». Quali vite? Quelle che gli uomini hanno scelto. Tutte queste vite sono differenti; « ma la vostra misericordia è meglio di tutte queste vite che vengono da noi. Vale più ciò che voi date a coloro che sono tornati al bene, che ciò che viene scelto dai perversi. Voi non date che una vita, ma essa è preferibile a tutte le nostre, qualunque siano quelle che possiamo scegliere in questo mondo » (S. Agost.).

ff. 4. – Noi non dobbiamo dare altro fine alla vita se non le lodi a Dio e le nostre buone opere. – Io vi benedirò nella vita che Voi mi avete dato, non in quella che io ho scelto secondo il mondo, con gli altri uomini, tra numerose altre vite, ma in quella che Voi mi avete dato per misericordia vostra, affinché io possa lodarvi. « Così io Vi benedirò nella mia vita ». Che vuol dire. « Così? » È attribuire alla vostra misericordia e non al mio merito la vita nella quale vi loderò. « Ed io alzerò le mie mani verso di Voi invocando il vostro Nome ». Levate dunque le vostre mani verso Dio con la preghiera. Nostro-Signore ha alzato le sue mani per noi sulla croce, e le sue mani sono state stese per noi, le sue mani sono state stese sulla croce perché le nostre mani si stendessero verso le buone opere, perché la sua croce ci ha procurato la misericordia divina. Egli ha in effetti elevato le sue mani e per noi si è offerto da se stesso in Sacrificio a Dio, e tutti i nostri peccati sono stati cancellati da questo sacrificio. Leviamo dunque anche le nostre mani verso Dio con la preghiera, e queste mani così alzate verso Dio, non saranno confuse se si esercitano a fare delle buone opere (S. Agost.). – Noi alziamo le nostre mani nella preghiera per ricordarci: 1° che dobbiamo domandare le cose del cielo; 2° che solo da Dio ci attendiamo il soccorso; 3° che le opere debbano aggiungersi alle preghiere.

ff. 5. – E cosa dirò nell’alzare le mie mani verso di Voi, invocando il vostro Nome? Cosa chiederò? Quando elevate le vostre mani verso Dio, cercate ciò che Lui vi chiede. Domandate dunque qualcosa di grande, e non delle cose da nulla, come comandano quelli che non hanno ancora fede in Lui. Voi vedete ciò che vien dato pure agli empi. Chiederete a Dio del denaro? Dio ne da anche agli scellerati che non credono in Lui? Cosa potete chiedergli di grande di tutto ciò che Egli dà anche ai malvagi? Ma non rifiutate nulla, perché i beni che Egli da anche ai malvagi, sono assai futili per meritare di essere anche dati, ed essi sono dati loro per timore che ciò che possa essere dato loro non vi sembri importante. Senza dubbio tutti questi doni terrestri vengono da Dio, ma comprendete che tutto ciò che può essere anche dato ai malvagi, non debba essere considerato prezioso. Ciò che ci riserva è ben diverso. Cosa ha domandato il Profeta: « Io alzerò le mie mani verso di Voi – egli dice – invocando il vostro Nome ». Cosa vuol ricevere? « Che la mia anima sia dissetata dal nutrimento più grasso » … – « … c’è per l’anima una grassa vivanda che le è propria; essa può essere dissetata e ingrassata dalla saggezza; perché le anime alle quali manca la saggezza si disseccano e giungono a tal punto di magrezza che cadono spossate quando si tratta di qualche opera buona. Perché esse diventano incapaci di qualunque opera buona? Perché non hanno sazietà né sovrappeso? » (S. Agost.) – Lo spirito del Profeta si eleva ad un oggetto più eccellente ancor della vita: è la misericordia di Dio, la sua grazia ed il suo amore. Così nella concorrenza tra la perdita della nostra vita e la perdita della grazia di Dio, non c’è da dubitare: tra il sacrificio della nostra vita e la perdita della grazia di Dio, non c’è da oscillare. Il sacrificio della nostra vita è necessario, ma il sacrificio è il beneficio più segnalato dalla misericordia divina, perché Dio lo ricompensa con una corona eterna (Berthier). –  Sì, l’anima ha bisogno della tavola divina, e diviene esigente a motivo della sua origine e della sua grandezza, essa non aspirerà a nulla meno che a nutrirsi della sostanza stessa di Dio, che a riempirsi e rimpinguarsi della pura essenza di Dio, come dice Tertulliano. È questa comunione con l’Essere infinito che fa tutta la gloria e tutta la forza della nostra anima;  è essa che dà ai Cristiani pienezza di vita morale, la sovrabbondanza di una energia divina che lascia al cuore il riposo e la calma di una dolce sazietà. Come diceva Sant’Agostino (Du lib. Arb., L. II n° 38), gli uomini si dicono felici quando siedono ad una splendida tavola, ma non desiderano la felicità che si prova nel nutrirsi ed abbeverarsi di verità! Gli uomini si credono felici quando respirano i soavi odori delle piante e dei profumi, quando le loro orecchie godono dei suoni e delle armonie, quando i loro occhi si dilatano al chiarore sereno della luce, e sorridono increduli quando si fa loro apprendere la verità dei profumi incomparabili, di una armonia interiore che appaga ogni agitazione, ed una luce più dolce di quella di tutti gli astri del firmamento!  (Mgr. LANDRIOT, L’Eucharistie).

ff. 6. – Utilità del ricordo di Dio durante la notte, per assicurarsi il successo della meditazione del mattino: « … Quando riposate nel vostro letto vorrei che facciate come una catena di salmi e di orazioni domenicali, sia quando vi svegliate, che prima che il sonno si impadronisca del vostro corpo ». (S. AMBR., Lib. in de Virg.) – « La mia anima vi ha desiderato durante la notte, e fin dall’aurora io mi risveglierò per cercarvi con il mio spirito ed il mio cuore ». (Isa. XXVI. 9). – Con il suo giaciglio, il Profeta designa il tempo del suo riposo. Quando l’uomo gusta qualche riposo, si sovvenga di Dio; quando l’uomo riposa, il riposo non lo rammollisca e non gli faccia dimenticare Dio; se si ricorda di Dio durante il riposo, nelle sue azioni, mediti su Dio. In effetti, il mattino significa gli atti della vita; perché al mattino ogni uomo inizia a fare qualche cosa. Cosa dice dunque? « Se mi sono ricordato di Voi sul mio giaciglio, al mattino medito su Dio ». Se dunque io non mi ricordo di Voi sul mio giaciglio, io non posso meditare su di Voi al mattino. Colui che non pensa a Dio quando riposa, può pensare a Lui quando agisce? Al contrario colui che si ricorda di Dio nei momenti del riposo, medita su di Lui anche quando agisce, per timore di mancare in qualcuna delle sue azioni. Così, cosa ha aggiunto? « E al mattino io meditavo su di Voi, perché Voi siete diventato il mio aiuto ». In effetti se Dio non ci aiuta nelle nostre buone opere, noi siamo incapaci di compierle con le nostre stesse forze (S. Agost.).

ff. 7, 8. – « E sotto l’ombra delle vostre ali, io mi rallegrerò ». Io gioirò nelle opere buone, perché sono al coperto sotto le vostre ali. Se mi proteggete, io che non sono che un pulcino, sarò preso dall’aquilone. Noi siamo ancora piccoli; che Dio ci protegga dunque all’ombra delle sue ali. Ma che sarà quando saremo diventati più grandi? Sarà allora per noi salutare che Egli ci protegga ancora, e che, sempre davanti a Lui che è così grande, noi restiamo dei pulcini. In effetti qualunque accrescimento noi facciamo, Egli è sempre più grande di noi. Che nessuno dica: Egli mi protegge fin quando sono piccolo, come se potessi mai giungere ad essere grande per essere sufficiente a me stesso. Senza la protezione di Dio, voi non siete niente. Desideriamo essere sempre protetti da Lui, così noi potremo ingrandirci con Lui, se sappiamo essere ogni giorno piccoli sotto di Lui. (S. Agost.).

ff. 9. – « La mia anima si è stretta a Voi come incollata ». Vedete i desideri del Profeta, vedete il suo attaccamento a Dio. Possa questo stesso amore nascere in voi!  Se già è in germe nel vostro cuore, possa una pioggia feconda farla ingrandire! Possa diventare assai forte, perché possiate dire con tutto il vostro cuore: « La mia anima è stretta a Voi come con la colla! » E qual è questa colla? Questa colla è la carità. Che la carità sia in voi e che essa sia la colla che attacchi la vostra anima presso Dio. Non a Dio, ma presso Dio, affinché vi preceda e voi lo seguiate; perché colui che vuol precedere Dio vuol vivere e governarsi da se stesso, e non seguire i Comandamenti di Dio (S. Agost.). 

ff. 10. – Ecco l’inutilità del lavoro degli ingiusti persecutori degli innocenti, che per tutta ricompensa di tante fatiche a cui si sono sottoposti per sopraffare la debolezza dei giusti che essi non possono soffrire, entrano al momento della morte nella parte più bassa della terra, cioè nell’inferno. Essi saranno consegnati alla spada vendicatrice della giustizia divina per esserne eternamente le vittime, e diventeranno parte delle volpi, cioè dei demoni, le cui indicazioni ingannatrici li hanno impegnati in un disastro dal quale non potranno mai uscire (Dug.). – I miei nemici hanno cercato invano la mia anima (Ps. XLII, 10). Cosa hanno fatto coloro che hanno cercato la mia anima per perderla? Che potevano mai fare? Essi non potevano togliere la colla che stringe la mia anima a Voi; « perché, … chi ci separerà dall’amore di Cristo? L’afflizione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità o la spada? » (Rom. VIII, 35). « La vostra destra mi ha preso sotto la sua protezione ». Ecco perché grazie a questa colla ed alla vostra onnipotente mano « i miei nemici cercano invano la mia anima » (S. Agost.).  

ff. 11. – Se gioisco in Dio solo, ogni altra gioia è vana e pericolosa. – Osservare fedelmente i giuramenti che si fanno a Dio al Battesimo e negli altri Sacramenti, è la sola cosa che merita delle lodi vere. – Dio, col suo potere sovrano, chiude, quando Gli piace, la bocca dei calunniatori dei suoi fedeli servitori (Dug.).

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (5)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (5)

PARTE SECONDA

LA PREGHIERA, MEZZO PRINCIPALE PER ACQUISTARE E CONSERVARE LO SPIRITO CRISTIANO

LEZIONE I.

La preghiera è il mezzo principale di progredire nella vita cristiana. Dobbiamo pregare con umiltà e confidenza.

D. – Dopo avermi spiegato in che consista lo spirito cristiano, vorrei che mi suggeriste qualche mezzo per acquistarlo e conservarlo.

R. – Uno dei mezzi principali e più efficaci per acquistare e conservare lo spirito cristiano è la preghiera; Nostro Signore, infatti, ci assicura che Dio nostro Padre darà lo spirito buono, vale a dire lo spirito cristiano, a coloro i quali glielo chiederanno. [Joann., XVII].

D. – Ma allora insegnatemi come debbo regolarmi nella preghiera.

R. – Perché la preghiera sia fatta bene, bisogna apportarvi disposizioni simili a quelle con le quali Nostro Signore pregava Egli medesimo e che insegnò ai suoi discepoli: dobbiamo rivolgerci all’Eterno Padre con tutta umiltà e confidenza, a imitazione di Gesù medesimo nelle sue belle preghiere che leggiamo nel Vangelo [Pater vester de cœlo dabit spiritum bonum petentibus. – Luc., XI, 13], e come ci insegna ancora nel Pater: umiltà e confidenza.

D. – Che intendete per l’umiltà?

R. – L’umiltà è dapprima un sentimento di confusione a motivo della nostra indegnità per i nostri peccati che indispongono il Signore: Non siete punto un Dio che ami l’iniquità, dice il Salmista, [Ps. V, 5] rivolgendosi a Dio: ricordiamo pure queste altre parole: Dio non esaudisce i peccatori. [Joan. IX, 31].L’umiltà, inoltre è quel sentimento di vergogna e di confusione che deve nascere dalla nostra incapacità di pregare. La preghiera è un atto soprannaturale di cui non siamo capaci senza la grazia.

D. – E allora come potremo pregare con fiducia?

R. – Dio vi ha provveduto; e voglio rivelarvi qui il segreto della nostra fiducia, il quale è oltremodo glorioso per Dio e utile alla Chiesa. – Dopo esserci fermati per un po’ di tempo nel sentimento di umiltà che abbiamo spiegato dobbiamo raccoglierci nello spirito di Gesù Cristo, il quale dimora nel cuore di tutti i figli della Chiesa per elevarli alla preghiera. San Paolo, infatti, dice: Avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, per il quale gridiamo: Abba, Padre, [Accepistis spiritimi adoptionis in filiorum, in quo clamamus: Abba (Pater). – Rom., VIII, 15], vale a dire che in questo Spirito noi preghiamo con fiducia; e ciò viene indicato, sia dal nome di Padre che è ripetuto due volte; Abba, Pater, sia dal grido col quale ci prendiamo la libertà di innalzare sino a Lui le nostre preghiere: Clamamus; tutte espressioni che indicano la fermezza della fiducia e la forza dello zelo con cui chiediamo a Dio, per la sua gloria, tutto quanto ci è necessario. Aggiungeremo pure ciò che il medesimo Apostolo dice in un altro luogo: Lo Spirito medesimo domanda per noi con gemiti inenarrabili. [Ipse Spiritus postulat prò nobis gemitibus inenarrabilibus. – Rom., VII, 26].

D. – Ma come mai si può dire che lo Spirito Santo pianga ed emetta gemiti inenarrabili?

R. – Queste parole contengono un mistero, come per altro sono misteriose tutte le parole della Scrittura. San Paolo vuol dire che quando si prega in unione con lo Spirito, si ottiene molto di più che con tutti i gemiti e tutte le lacrime immaginabili. Nostro Signore inoltre, il quale abita in noi e compie l’ufficio dello Spirito Santo: Fatto spirito vivificante, [Factus in spiritum vivificantem. – I Cor., XV, 45], viene chiamato da Davide, in ispirito profetico: Hostiam vociferationis, [Immolavi in tabernaculo ejus hostiam vociferationis – Ps., XXVI, 6; vale a dire una vittima accompagnata da grida di gioia. – Fillion], Ostia risonante, vociferante.

D. – Che significano queste parole Ostia vociferante?

R. – Il Profeta Davide con questa espressione fa allusione al gran rumore che facevano con le loro grida gli animali che venivano immolati nel Tempio; questi animali erano la figura di Gesù Cristo agonizzante su la croce e abitante nei nostri cuori. Orbene, è scritto che Nostro Signore pregò per noi con forti grida e con lacrime; [Preces supplicationesque cum clamore valido et lacrymis offerens. – Hebr., IV, 7). e questo indicava la tenerezza del suo amore per noi, e la forza e la virtù del suo zelo nelle sue preghiere.

D. – Gesù Cristo fa dunque così anche nei nostri cuori?

R.- Certamente; Gesù Cristo dovunque si trovi continua a pregare in questo modo, nei nostri cuori e nel santo Sacramento, come nel seno di Dio Padre; ed eccone la ragione: ciò che lo Spirito Santo incominciò una volta nel Cuore di Gesù, in quello lo continuò durante tutta la vita mortale del Redentore, e lo continuerà tutta l’eternità. Le operazioni di santità nel Cuore di Gesù sono eterne, come pure quelle che lo Spirito Santo compie nei Santi in Paradiso, – Il grande segreto del Cristianesimo e tutto il motivo della confidenza dei figli  di Dio consiste in questo, che Gesù Cristo – come dice San Paolo – per noi è ogni cosa [Omnia et in omnibus Christus. – Colos., III, 2— Omnia in ipso Constant. – Ibid., I , 17]; la nostra preghiera, la nostra umiltà, la nostra pazienza, la nostra carità, ecc. – Ecco adunque le disposizioni con le quali dobbiamo pregare, e l’ordine che dobbiamo tenere nelle nostre domande. Dobbiamo presentarci umilmente a Dio nostro Padre, il quale è sempre pieno di carità e ci dice per bocca del Profeta Geremia: Ti ho amato di un amore eterno.[In caritate perpetua dilexi te. – Jer., XXXI, 3]. Sebbene i nostri peccati ci rendano indegni di comparire davanti a Lui, se tuttavia ci uniremo a Gesù Cristo, la nostra indegnità sarà coperta (velata, nascosta) davanti al Padre, il quale sentirà il profumo delle vesti del Figlio suo primogenito, Gesù Cristo Nostro Signore. Gesù ci coprirà come le sembianze di Esaù coprivano Giacobbe davanti ad Isacco [Allusione alla storia di Giacobbe. – Gen. XXVII]. Pertanto, dopo esserci trattenuti per un po’ di tempo in sentimenti di umiltà, ci daremo a una unione intimissima con Gesù, identificandoci, per così dire, con Lui come con Colui che è la nostra preghiera e ci uniremo a Lui, come al nostro avvocato. [Semper vivens ad interpellandum pro nobis. – Hebr,. VII, 25; — Advocatum habemus apud Patrem, Jesum Christum justum. – I Joann., II, 1).Animati in tal modo dallo Spirito di Gesù, presenteremo a Dio tutti i nostri omaggi e gli domanderemo tutto ciò checi abbisogna. Insomma, per dir tutto in poche parole, ciò che ritengo come condizione principale per la preghiera, dopo l’umiltà e la contrizione dei nostri peccati, è di metterci a pregare animati da una confidenza e da una fede perfetta, appoggiati a queste parole di Nostro Signore: Ciò che chiederete al Padre mio in mio nome, Egli ve lo concederà. [Joan. XVI, 23]. Nostro Signore in cielo, come vediamo nell’Apocalisse, sta davanti al Padre suo come un Agnello in piedi che si presenta come morto; [Et ecce in medio throni … Agnum stantem tamquam occisum – Apoc. V, 6]; ciò significa che Egli sta sempre davanti al trono del Padre suo, rivestito delle armi della sua Passione, domandando per noi, in virtù dei suoi divini misteri, tutto quanto ci abbisogna dicendogli come Davide: Memento, Domine, David, et omnis mansuetudinis ejus: [Ps. CXXXI, 1) « Padre mio, ricordatevi di tutta la dolcezza e pazienza che ebbi nella mia morte: vi supplico, in nome di tutta la mia vita penitente, di aver compassione dei miei figli ».

LEZIONE II.

Altro motivo di confidenza per le nostre preghiere, desunto dalla intercessione dei Santi, i quali pregano per noi in Gesù Cristo e per mezzo di Gesù Cristo.

D. – Ditemi qualche cosa ancora per accrescere la mia fiducia in Gesù Cristo.

R. – Un altro motivo di confidenza per noi è l’intercessione dei Santi, i quali pregano per noi in Gesù Cristo. Tutto quanto Gesù Cristo domanda al Padre suo, tutti i Santi lo domandano con Lui; perciò nell’Apocalisse è scritto: Udii una voce dal Cielo, come rumor di molte acque; e la voce che udii era come di citaristi che suonino le loro cetre. [Audivi vocem de caelo tamquam vocem aquarum multarum…, et vocem quam audivi sicut citharædorum citharizantium in citharis suis. – Apoc, XIV, 2]. Per intendere queste parole è da sapere che le acque nella Scrittura significano i popoli, [Aquæ quas vidisti… populi sunt. – Apoc., XVII, 15]e che i Santi, nelle loro celesti armonie, sono paragonati a suonatori di arpa. Orbene, i Santi e i giusti sono come l’eco che ripete a Dio la voce di Gesù Cristo, del quale sono pieni; talmente che tutto quanto Gesù Cristo domanda nella sua preghiera, quando voi pregate con Lui e in Lui, tutta la Chiesa del Cielo e della terra lo domanda pure insieme con Lui. Pensate se non è questo un gran motivo di confidenza e con qual fede dovete pregare.

D. – Ma, se le preghiere dei Santi non sono che l’eco della preghiera di Nostro Signore, pare che basti ricorrere a Gesù Cristo senza raccomandarci ai Santi?

R. – No; la Chiesa vuole che cerchiamo Gesù Cristo nei suoi Santi, perché cercandolo nei Santi, come, per esempio, nella SS. Vergine, in san Giuseppe, in san Giovanni, in san Pietro, ecc., siamo ben più sicuri di trovarlo che non cercandolo immediatamente di per noi medesimi. – Quando invochiamo Nostro Signore per mezzo della sua Madre Santissima, che la Chiesa chiama nostra avvocata presso di Lui, siamo sicuri secondo san Bernardo, [Ad Patrem verebaris accedere… Jesum tibi dedit mediatorem… Sed forsitan et in ipso majestatem vereare divinam… Advocatum habere vis et ad ipsum? Ad Mariam recurre… Nec dubius dixerim, exaudietur ex ipso prò reverentia sua. Exaudiet utique Matrem Filius, et exaudiet Filium Pater… Filioli, hæc peccatorum scala, hæc mea maxima fiducia est, hæc tota ratio spei meæ.- Serm, in Nativ. D. Mariæ, de aquæductu, n. 7], che subito Ella si mette in preghiera per noi presso il Figlio suo. Gesù poi si ricorda del potere che le ha dato sopra di Se medesimo in qualità di Madre, potere che non le sarà mai tolto, perché la grazia e la gloria perfezionano la natura, né mai le tolgono i suoi diritti. La Vergine santissima, pertanto subito ottiene che Gesù Cristo si metta in preghiera per noi, eserciti la sua funzione di Avvocato a nostro favore, così ci ottiene ciò che non saremmo capaci di ottenere da noi medesimi. Siamo indegnissimi di avvicinarci a Gesù, ed Egli, nella sua giustizia ha diritto di respingerci, perché essendo entrato, dopo la sua santa Risurrezione in tutti i sentimenti del Padre suo, [Nunc per omnia Deus. – S. Ambr. De Fide resurrectionis, n. 91], ha le medesime disposizioni del Padre contro i peccatori. La difficoltà è di far sì che Gesù cambi la sua qualità di Giudice in quella di Avvocato intercessore a nostro favore, e da giudicante farlo supplicante; e questo lo ottengono tutti i Santi e particolarmente la santissima Vergine. Non avete voi sentito spesso queste parole di san Paolo: Chiunque mangia e beve indegnamente il corpo e il sangue di Nostro Signore, mangia e beve la propria condanna? [1 Cor. XI, 29]. Gesù Cristo infatti, nel Santo Sacramento è nello stato glorioso in cui trovasi dopo la Risurrezione; perciò sebbene sia quello un Sacramento di bontà e di misericordia, tuttavia Gesù Cristo vi esercita i suoi giudizi con le condanne, le quali non vi sono rare. [Mors est malis, vita bonis]. – Bisogna dunque ricorrere a un Sacramento che sia puramente di misericordia, dove Gesù Cristo non sia per nulla giudice, e questo sacramento è la santissima Vergine: [La parola Sacramento qui va presa in senso lato e generico, come mezzo di comunicazione della grazia. Il venerando Autore vede una bellissima analogia tra la Madre di Dio e il SS. Sacramento dell’Altare. Nell’Eucaristia è presente Gesù Cristo, il quale vi dimostra il suo amore, ma vi esercita anche la sua giustizia con la condanna di coloro che si accostano a riceverlo senza le dovute disposizioni: nella Santissima Vergine abita pure Gesù Cristo e per mezzo di Lei, come da un trono a Lui caro e prezioso, diffonde le sue grazie, ma tutte di misericordia; Maria infatti è madre di misericordia, ma non esercita l’ufficio di Giudice. L’Autore perciò la chiama Sacramento di pura misericordia, vale a dire che per mezzo di Lei Gesù Cristo esercita soltanto la sua misericordia. Cfr. S. Bernardo, Sermo in Signum magnum] per mezzo di Maria pertanto possiamo avvicinarci a Gesù con tutta confidenza. Se gli eretici avessero inteso in questo modo la preghiera dei Santi, non avrebbero mai avuto l’ardimento di condannarla. Andiamo dunque a Gesù Cristo dovunque Egli si trova, cioè nella santa Vergine e nei Santi; andiamo alla Vergine e ai Santi con viva fede, perché sappiamo che sono perfettamente accetti a Gesù; supplichiamoli che lo preghino di intercedere per noi presso il Padre suo. Così ogni Santo, farà che tutta la Chiesa e tutti i Santi preghino per mezzo di Gesù Cristo, il quale, commosso dalle loro suppliche, riempirà tutta la Chiesa del suo Spirito e della sua preghiera.

LEZIONE III.

Il santo Sacrificio della Messa è quel medesimo della Croce. Nostro Signore ha le medesime disposizioni su l’altare come nella sua morte in Croce.

D. – Vorrei pregarvi di spiegarmi meglio ciò che avete detto sopra, che lo Spirito Santo continua sempre a operare nell’anima di Gesù Cristo i sentimenti che  incominciò una volta a produrvi e che Nostro Signore sempre e dappertutto è animato da questi sentimenti, sia nel cuore dei fedeli, sia nel santissimo Sacramento, sia nel seno di Dio suo Padre. [Dominus in eis in Sina in sancto. – Ps., LXVII, 18; il Signore è negli spiriti celesti che formano la sua corte come era sul Sinai].

R. – Domanda importantissima questa, perché gli schiarimenti su questo punto serviranno meravigliosamente a sciogliere tre grandi difficoltà: la prima rispetto al santo Sacrificio dell’Altare, l’altra relativamente alla santa Comunione dei fedeli e la terza relativamente all’orazione mentale, o vocale. – Dapprima bisogna ricordare questa verità fondamentale, che Nostro Signore è il capolavoro di Dio suo Padre, perciò la Scrittura lo chiama: Opus Dei, l’opera di Dio per eccellenza. [Domine, opus tuum, in medio annorum vivifica illud. – Habac., III, 2). Così lo chiamavano i Patriarchi e i Profeti, i quali sospiravano continuamente la sua venuta; il grande Profeta Davide poi diceva che è l’opera di Dio tutta ripiena di gloria e di magnificenza.[Confessio et magnificentia opus ejus. – Ps., CX, 3]. L’opera per eccellenza di Dio è Gesù Cristo, il cui interiore [possiamo dire anche l’anima o meglio il cuore] è tutto omaggio e riconoscenza per la grandezza del Padre suo. Da solo Egli lo loda in una maniera più perfetta che tutta la Chiesa del Cielo e della terra, più che gli Angeli e i Santi tutti riuniti insieme. Confessio et magnificentia opus ejus. Nostro Signore, l’Opera eccellenza di Dio, nel suo Cuore non solo proclama le lodi del Padre suo, ma inoltre è il tesoro di tutta la bontà e magnificenza di Dio su la Chiesa; secondo le espressioni di S. Paolo, in Lui e per mezzo di Lui, il Padre ha diffuso sopra di noi le sue sante benedizioni: Benedixit nos in omni benedictione spirituali, in cælestibus, in Christo; [Ephes. I, 3] Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale del Cielo, in Cristo. Così incominciamo a comprendere qualche cosa di Gesù Cristo e a riconoscere ch’Egli è il capolavoro di Dio, il perfetto Santuario dello Spirito Santo, pieno di tutta la religione immaginabile verso Dio suo Padre, e di tutta la possibile carità per la sua Chiesa. Orbene, questo fuoco che lo Spirito Santo ha una volta acceso (nel Cuore di Gesù) non si estingue più; e quel medesimo fervore interiore di cui era animato Nostro Signore su la Croce per sacrificarsi alla gloria di Dio suo Padre e per operare la nostra salvezza, rimane in Lui ancora nel santo Sacrificio dell’altare; e continuerà sino alla fine del mondo. In tal modo si dà una esauriente risposta alla difficoltà degli eretici, i quali pretendono che il Sacrificio dell’altare non sia che una memoria del Sacrificio della Croce, perché nella loro malizia intendono falsamente queste parole: Fate questo in mia memoria. È  da sapere che nel santo Sacrificio dell’Altare, come su la Croce, viene offerta la medesima ostia, poiché è presente il medesimo Gesù Cristo con le medesime disposizioni del suo Cuore; pertanto il santo Sacrificio dell’altare non è altro che il medesimo sacrificio della Croce che si continua sino alla fine dei secoli, benché sotto apparenze differenti. Su la Croce, infatti, si vedeva Gesù che versava il suo Sangue, effondeva lacrime, gridava ad alta voce, mentre su l’altare Egli rimane in silenzio, e la sua natura umana non compare in modo sensibile. Perciò, quando disse agli Apostoli: Fate questo in mia memoria, volle soltanto avvertirli che, nell’offrire in questo vero sacrificio dell’altare la sua Persona nascosta sotto i veli del pane, si ricordassero di quella carità ch’Egli visibilmente manifestò sul Calvario e su la Croce, e della sua religione verso il Padre suo, la quale venne da Lui resa manifesta agli occhi del mondo intero col suo Sacrificio. Orbene, dobbiamo sapere che in Nostro Signore non altrimenti che in tutti i Cristiani, che sono i suoi membri, il principale non è l’esterno delle opere che si vedono. Ciò che va maggiormente considerato è l’operazione secreta e interiore dello Spirito Santo, il quale è l’Autore e il principio di tutte le opere buone. Questa azione interiore dello Spirito Santo è quella in cui Dio maggiormente si compiace. E siccome l’augusto interiore di Gesù Cristo [Ossia il complesso dei sentimenti del Cuore di Gesù Cristo] è il medesimo su la Croce e sul santo altare, sotto i veli del pane (sull’altare), come sotto il velo della carne (su la Croce), è quello ancora che dobbiamo più di tutto considerare e onorare nel sacrificio di Nostro Signore che ebbe principio su la Croce e si continua sul santo Altare. – Perciò, quando ascoltiamo la santa Messa, dobbiamo richiamarci la memoria della Passione e Morte di Nostro Signore e ricordare le prove visibili del suo amore, che Egli ci diede sul Calvario e su la Croce, mentre il medesimo Signore si trova presente su l’altare, sempre pieno di carità per noi; e questo ci deve potentemente eccitare a servire un tal Signore e a tutto soffrire per suo amore.

LEZIONE IV.

Efficacia della santa Comunione anche per il bene e l’utilità altrui.

D. – Datemi qualche schiarimento su la seconda difficoltà, di cui mi avete detto,cioè rispetto alla santa Comunione.

R. – È questa una difficoltà che purtroppo si diffonde (dai giansenisti) e turba anime nella loro divozione alla frequente Comunione. Molte anime buone che Nostro Signore si compiace di ammettere alla Comunione del suo Corpo e del suo Sangue, spesso sono attirate a questo Sacramento dal desiderio di sollevare le anime del Purgatorio, ovvero di procurare sollievo alle infermità dei loro fratelli, o anche per implorare più efficacemente da Dio qualche grazia importante per se medesime o per il bene del prossimo e la santificazione della Chiesa. Tuttavia si trovano persone, le quali condannano tali intenzioni, dicendo: « Qual gran bene può mai esservi nella adorazione e nella fede dell’anima che si comunica? La Comunione come potrebbe dar sollievo alle anime del Purgatorio? Come potrebbe attirar benedizioni sopra tutta la Chiesa » ? – Una tale difficoltà proviene unicamente dall’ignoranza rispetto al valore e al merito immenso della santa Comunione dei fedeli. Orbene ricordate queste grandi parole di Gesù, le quali contengono un grande insegnamento: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io in lui. [Joan VI, 57]. Queste sono parole di gran conforto per tutta la Chiesa e per ogni fedele che si accosta alla Comunione. Spiegano benissimo le intenzioni principali di Nostro Signore nel suo convito nuziale, dove fa festa all’anima e la tratta come sua sposa, attestando che, nella santa Comunione, Egli fa sue tutte le intenzioni della sua sposa. Così pure l’anima da parte sua, fa sue tutte le intenzioni di Gesù Cristo suo Sposo. È questa la perfezione del mistico sposalizio di Nostro Signore con l’anima, per il quale Gesù Cristo si fa una cosa sola con l’anima, e fa che l’anima sia una cosa sola con Lui medesimo, come Egli è una cosa sola con il Padre suo, e come il Padre è una cosa sola con Lui. Pertanto quando l’anima si comunica al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, da quel momento è partecipe di tutti i disegni e di tutte le intenzioni di Nostro Signore, inoltre dispone di Gesù Cristo come di cosa sua propria; talmente che, ricevendo la santa Comunione con l’intenzione di dar sollievo a qualche anima del Purgatorio, ovvero di attirare benedizioni su tutta la Chiesa, ha diritto, in virtù di quel santo e mistico sposalizio che si compie nella Comunione, di usare di tutte le preghiere, dello zelo, del fervore, dei meriti e dei patimenti di Gesù Cristo, per il compimento delle proprie intenzioni; ha il diritto e il potere di dare alle preghiere di Gesù Cristo quello scopo che le piace, e di fare che Gesù Cristo domandi tutto quanto essa vuole per il bene della Chiesa. In tal modo ciò ch’essa non avrebbe il coraggio di domandare di per sé medesima, non essendo degna di ottenere la minima cosa, tutto domanda e ottiene per mezzo di Gesù Cristo. – Osserviamo bene che Colui che prega nell’anima che si comunica, è Colui medesimo che, nei giorni della sua carne, fu esaudito dal Padre per la sua riverenza [Hebr. V, 7] e che ciò ch’Egli domanda su la terra, tanto come nel seno del Padre suo, Egli l’ottiene in considerazione delle grandezze della sua Persona e della sua natura divina, e per i meriti infiniti delle sue preghiere, dei suoi patimenti e delle sue lacrime ch’Egli sempre tiene presenti a Dio Padre. L’Apostolo, infatti, dice: apparet vultui Dei prò nobis. [Hebr. IX, 24] Egli si tiene presente agli occhi di Dio Padre per le nostre intenzioni; e in altro luogo: Semper vivens ad interpellandum prò nobis. [Hebr. VII, 25]. Egli èsempre vivente onde intercedere per noi.Gesù Cristo volle sopravvivere a se stesso come Isacco e vivere dopo la sua morte, e dopo il suo Sacrificio della Croce, onde intercedere sempre per noi e per tutte le nostre necessità. [Nell’istesso modo che Isacco, il quale era una bella figura di Gesù Cristo, sopravvisse al sacrificio, perché gli venne sostituita un’altra vittima, così in senso più vero, Gesù Cristo sopravvisse al suo Sacrificio perché  il Padre lo risuscitò]. – Il cuore dell’anima che si comunica, è un tempio, è un altare, è un’immagine del seno di Dio Padre; e in questo cuore, Gesù Cristo Nostro Signore si offre a Dio come sul Calvario, e continua gli atti e le preghiere che faceva mentre moriva e con i medesimi sentimenti.

LEZIONE V.

Nostro Signore dimora in noi, perciò possiamo ad ogni tempo comunicarci spiritualmente a Lui.

D. – E’ dunque una gran cosa la santa Comunione! Portare in se Nostro Signor Gesù Cristo pieno della divinità del Padre suo e di tutti i tesori della sapienza e della  scienza divina, quale ricchezza immensa!

R. – Verissimo, e per questo san Paolo dice che in vasi di creta portiamo grandi tesori. [Habemus thesaumm in vasis fictilibus. – II Cor., IV, 7). È questo, come dice ancora l’Apostolo, quell’eccesso di carità col quale Dio volle manifestare l’abbondanza della ricchezza della sua grazia col darci il Figlio suo, che è il carattere della sua sostanza e lo splendore della sua gloria e della sua bellezza [Propter nimiam charitatem, qua dilexit nos… Ut ostenderet in sæculis supervenientibus abundantes divitias gratiæ suæ, in bonitate super nos, in Christo Jesu. – Eph., II, 4-7- . — Splendor gloriæ, et figura substantiæ ejus. – Hebr., I, 3), l’ammirabile Ostia di lode (che abbiamo nel santo Sacramento), la sorgente della vita divina e di tutto il merito della Chiesa. – Ma v’è un altro mistero che deve accrescere ancora il nostro amore verso Dio, ed è l’amore con cui Egli ci ha dato il Figlio suo perché dimori in noi, non solamente nel tempo in cui riceviamo, con la santa Comunione, il suo Corpo e il suo Sangue, ma pure in tutti i momenti della nostra vita. Quanti Cristiani ignorano queste meraviglie!

D. – Ma che dite mai? Gesù Cristo abita in noi, in altro modo che nella santa Comunione?

R. – Sì; la spiegazione di questa verità servirà di fondamento per sciogliere la terza difficoltà, di cui ho detto sopra, e che riguarda l’orazione. Che nostro Signore dimori in noi in altra maniera che per la santa Comunione, non è una mia opinione, lo insegna chiaramente san Paolo con queste parole: Christum habitare per fidem in cordibus vestris [Eph., III, 17], Cristo per la fede abita in noi. Gesù Cristo abita nelle anime nostre, operandovi la vita divina, la quale è tutta compresa sotto il nome di fede. Egli abita in noi non solamente per la sua immensità come Verbo, per darci la vita umana e compiere le opere naturali; ma inoltre come Cristo per la sua grazia, onde renderci partecipi della sua unzione e della sua vita divina.

D. – Allora, possiamo partecipare spesso alla grazia di Nostro Signore Gesù Cristo? Ma, se noi portiamo sempre Gesù Cristo in noi, e possiamo a nostro piacimento partecipare alla sua grazia, allora non vi dovrebbe più essere bisogno di riceverlo sacramentalmente?

R. – Questa sarebbe una conclusione sbagliata. Quantunque Nostro Signore abiti nei nostri cuori per diffondervi ad ogni momento le grazie della sua vita divina, questo non ci dispensa dall’accostarci al santo Sacramento, perché la santa Comunione ci dà grazie speciali e abbondanti assai più di quelle che riceviamo fuori di questo Sacramento per la comunione soltanto spirituale. Nel Sacramento le grazie ci vengono date secondo la misura della somma carità di Dio, i cui tesori sono infiniti; quelle invece che riceviamo quotidianamente per l’orazione e per i sospiri del nostro cuore, ci vengono date secondo che rinunciamo a noi stessi e a tutti gli intimi desideri della natura; e inoltre l’effetto dipende ancora dai sentimenti di fede, di carità, di umiltà e di altre particolari disposizioni; orbene siccome queste disposizioni troppo spesso sono guaste dalle infedeltà della creatura, le comunicazioni di Gesù Cristo e le comunioni alla sua vita interiore sono molto rare e molto deboli. La creatura guasta tutto e impedisce l’effettuazione dei grandi disegni di Dio sopra di noi. Oh, quanto desidererei che i Cristiani conoscessero la loro felicità, sapendo che possiedono in se stessi quel prezioso tesoro che è Gesù, nel quale e col quale possono compiere tante cose a gloria di Dio! – Riflettiamo dunque con una continua attenzione a questa grande verità, che Gesù Cristo è presente in noi per santificarci, sia in noi medesimi, sia in tutte le opere nostre, e per riempire di Lui stesso tutte le nostre facoltà. Gesù Cristo vuole essere la luce della nostra mente, l’amore e il fervore del nostro cuore, la forza e la virtù di ogni nostra facoltà, affinché in Lui possiamo conoscere, amare Dio suo Padre, adempiere la volontà di Lui, sia per far tutto in onore di Lui, sia per soffrire e sopportare ogni cosa per la sua gloria.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/11/21/catechismo-cristiano-per-la-vita-interiore-di-j-j-olier-6/

SALMI BIBLICI: “NONNE DEO SUBIECTA ANIMA MEA (LXI)

SALMO 61: “NONNE DEO SUBIECTA anima mea”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 61

In finem, pro Idithun. Psalmus David.

[1] Nonne Deo subjecta erit anima mea?

ab ipso enim salutare meum.

[2] Nam et ipse Deus meus et salutaris meus; susceptor meus, non movebor amplius.

[3] Quousque irruitis in hominem? interficitis universi vos, tamquam parieti inclinato et maceriae depulsae?

[4] Verumtamen pretium meum cogitaverunt repellere; cucurri in siti; ore suo benedicebant, et corde suo maledicebant.

[5] Verumtamen Deo subjecta esto, anima mea, quoniam ab ipso patientia mea;

[6] quia ipse Deus meus et salvator meus, adjutor meus, non emigrabo.

[7] In Deo salutare meum et gloria mea; Deus auxilii mei, et spes mea in Deo est.

[8] Sperate in eo, omnis congregatio populi; effundite coram illo corda vestra; Deus adjutor noster in æternum.

[9] Verumtamen vani filii hominum, mendaces filii hominum in stateris, ut decipiant ipsi de vanitate in idipsum.

[10] Nolite sperare in iniquitate, et rapinas nolite concupiscere; divitiæ si affluant, nolite cor apponere.

[11] Semel locutus est Deus; duo hæc audivi: quia potestas Dei est,

[12] et tibi, Domine, misericordia: quia tu reddes unicuique juxta opera sua.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXI

L’argomento del presente è la pazienza nelle tribolazioni, e la confidenza in Dio e non nelle ricchezze terrene.

Per la fine: per Idithum; salmo di David.

1. Non sarà ella soggetta a Dio l’anima mia, mentre da lui dipende la mia salute?

2. Imperocché ed egli è mio Dio e mio Salvatore; egli mia difesa, non sarò più in agitazione.

3. Fino a quando assalite un uomo, e voi tutti cercate di dar morte ad uno, che è quasi muro che casca, e come scommossa macerie?

4. Ma eglino pensarono a levarmi quello che ho di prezioso: corsi sitibondo; e’ benedicevano colla bocca e in cuor loro maledicevano.

5. Ma tu, anima mia, sii soggetta a Dio, imperocché da lui (viene) la mia pazienza.

6. Perché egli è il mio Dio e il mio Salvatore; egli mio aiuto, e io non vacillerò.

7. In Dio la mia salute e la mia gloria; egli il Dio di mia difesa, e la mia speranza è in Dio.

8. Confidate in lui, o popoli quanti voi siete, spandete dinanzi a lui i vostri cuori: Dio nostro aiuto in eterno.

9. Certamente vani sono i figliuoli d’Adamo, bugiardi i figliuoli degli uomini posti sulle bilance; onde tutti insieme ingannano più che la vanità. (1)

10. Non vogliate confidar nell’iniquità, e non vogliate amar le rapine; se le ricchezze vi vengono in copia, non ponete in esse il cuor vostro.

11. Una volta ha parlato Dio, queste due cose io udii: Che la potenza è di Dio;

12. e che in te, o Signore, è misericordia, perché tu renderai a ciascheduno secondo le sue operazioni.

(1) I figli degli uomini sono mendaci nelle bilance, vale a dire che quando li si mette sulla bilancia della giustizia, salgono, perché sono senza peso, come le cose più vane, è il senso dell’ebraico: “in bilance ascendunt”.

Sommario analitico

In questo salmo, che si riporta alla persecuzione di Saul o ai tempi della ribellione di Assalonne, allorché Davide era stato destituito dal suo trono e cacciato dalla sua città capitale, il Re-Profeta:

I. Mette tutta la sua fiducia in Dio:

gli sottomette la sua anima: – a) perché è il suo Dio, – b) perché è il suo Salvatore, – c) perché è il suo sostegno ed il suo protettore (1, 2).

Rimprovera ai suoi nemici: – a) il loro ardore e la violenza nel cacciarlo; – b) la loro crudeltà, perché cercano di togliergli la vita; – c) la loro follia, pensando di cacciarlo come se Dio lo abbia abbandonato (3); – d) la loro ambizione, perché  vogliono prendergli la corona; – e) la loro ostinazione, in quanto lo perseguitano nella sua fuga e lo spingono verso l’estremo pericolo; – f) la loro ipocrisia e la loro malizia, poiché lo benedicono con la bocca e lo maledicono con il cuore (4).

3° Egli loda Dio: a) che gli dà la pazienza di sopportare l’afflizione; b) gli ha dato aiuto e protezione per riportare la vittoria (5, 7). 

II. – Esorta coloro che sono riuniti intorno a lui e tutto il suo popolo a condividere questa speranza:

1° effondendo il loro cuore davanti a Lui; 2° aspettando da questo potente Protettore il soccorso di cui hanno bisogno (8); 3° disprezzando il soccorso e l’appoggio degli uomini, che non sono che menzogna ed inganno (9); 4° non confidando nelle ricchezze acquisite spesso con la frode occulta o con rapine scoperte (10); 5° mettendo tutta la loro fiducia in Dio, – a) che può e vuole ricoprili con la sua potenza e la sua misericordia; – b) che, per la sua giustizia, rende a ciascuno secondo le sue opere (11, 12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-7.

ff. 1, 2. – L’inizio di questo Salmo è dedicato a tranquillizzare ogni anima agitata e turbata. Occorre dire a se stessi: Ma come, non sarò io sottoposto al Signore? Non aspetterò la sua visita in pace ed in silenzio? E allora, da chi posso sperare la mia salvezza? La mia difesa? Non è Egli il mio Dio, mio asilo, la roccia indistruttibile sulla quale stabilirmi? Queste considerazioni si estendono a tutte le traversie della vita, senza eccezioni, anche nei rimorsi che causano i nostri peccati; perché dopo averli ricacciati nel fondo del nostro cuore, il peso che ci resta del ricordo di queste miserie, deve essere messo ai piedi di Dio, ed è solo da Lui che bisogna attendere la consolazione interiore. Se il Profeta si è rassegnato completamente nelle mani di Dio, quanto più noi dobbiamo prendere i medesimi sentimenti dal momento che abbiamo Gesù-Cristo come mediatore, avvocato, vittima! « Ah, diceva S. Ambrogio, noi abbiamo tutto in Gesù-Cristo e Gesù-Cristo in tutto. Se vogliamo essere guariti dalle nostre ferite, Egli è il nostro medico; se siamo brucianti per la febbre ardente dei piaceri, Egli è nostro refrigerio; se siamo schiacciati dal peso dei nostri peccati, Egli è nostra giustizia, se abbiamo bisogno di soccorso, Egli è nostra forza; se temiamo la morte, Egli è nostra vita; se fuggiamo le tenebre, Egli è nostra luce; se desideriamo il Cielo, Egli è la nostra via; se siamo affamati, è nostro alimento » (Berthier). 

ff. 3, 4. – « Voi vi riunite insieme per ucciderlo », il corpo di un solo uomo offre tanti spazi per i colpi, che tutti gli uomini possono colpirlo a morte! Così noi dobbiamo vedere in quest’uomo la nostra persona, la persona della nostra Chiesa, la persona del corpo del Cristo. Gesù-Cristo non è in effetti che un solo uomo, la testa ed il corpo, il Salvatore del corpo e le membra di questo corpo, due in una stessa carne (Gen. II, 24 e Efes. V, 30), in una stessa voce, in una stessa sofferenza, e più tardi, quando l’iniquità sarà passata, in uno stesso riposo (S. Agost.). – I ministri e gli strumenti del demonio, non si contentano di gettarsi una sola volta sulla loro vittima, essi uniscono e raddoppiano i loro sforzi, finché non abbiano rovesciato colui che attaccano e lo abbiano reso simile ad una muraglia che pende ed ad un tugurio diroccato. Finché una muraglia resta dritta e sul suo asse, conserva la propria solidità; ma dal momento che è inclinata, essa è necessariamente destinata a cadere. È la figura della natura umana fortemente inclinata dal peccato e che si è voluta distruggere dal fondo per ricostruirla su nuove fondamenta e renderla indistruttibile agli attacchi del nemico. – San Gregorio dà un eccellente avviso per incoraggiarci a combattere questa truppa scatenata contro di noi, cioè il demonio, la carne ed il mondo, i cattivi esempi, le rivolte dell’amor proprio, i falsi timori, le gioie sconvenienti, le inclinazioni sregolate; in una parola, tutto ciò che ci allontana dalla via della salvezza. Considerate – egli dice – dove siete stati, dove sarete, e dove siete o non siete. Voi siete stati peccatori, sarete presentati al giudizio di Dio, siete circondati da pericoli, non siete nella vostra vera patria (Berthier). – « Essi hanno iniziato a spogliarmi della nostra gloria ». La nostra gloria è la castità, che ci distingue dagli animali senza ragione e ci rende simili agli Angeli; la nostra gloria è la misericordia che si esercita nei riguardi degli indigenti, e ci riscatta dalla morte; la nostra gloria è la fede che conquista a Gesù-Cristo tutti gli uomini oppressi sotto il giogo dell’errore e dell’idolatria; la nostra gloria è la buona reputazione di cui godiamo presso gli uomini che vedono ed apprezzano il merito delle nostre buone opere; la nostra gloria è la purezza e la semplicità, perché non c’è niente di più prezioso di un uomo semplice (S. Ambr.) – Questo bene prezioso, questo prezzo dell’uomo, è il sangue di Gesù-Cristo. « Voi non siete stati riscattati a caro prezzo,  né diventate gli schiavi dell’uomo » (1 Cor. VII, 23). Questo bene che gli accoliti del demonio cercano di rendere inutile, reimmergendo nella servitù del peccato dal quale Gesù-Cristo ci aveva liberato (S. Basil.). – « Pertanto essi hanno costituito il disegno di distruggere la mia gloria ». Essi sono stati vinti nel momento in cui mettevano a morte degli uomini che non resistevano loro; « … il sangue delle loro vittime ha moltiplicato il numero dei fedeli; a loro volta essi hanno ceduto ai Cristiani non potendo distruggerli tutti. Pertanto hanno ordito un disegno per distruggere la mia gloria ». Or dunque che non si possono massacrare i Cristiani, si cerca di togliere loro la gloria come Cristiani. In effetti la gloria dei Cristiani genera oggi il tormento degli empi (S. Agost.). – Benedire con la bocca, maledire con il cuore, lodare in pubblico, distruggere la reputazione in segreto, è una oscura tradizione, molto comune nel mondo. Ma fare la stessa cosa riguardo a Dio « … onorarlo con le labbra ed avere il cuore ben lontano da Lui » (Matt. XV, 8), è una ipocrisia detestabile, e degna di tutti gli anatemi del cielo e della terra.

ff. 5-7. – Qual è la fonte della nostra pazienza in mezzo a tali scandali spaventosi, se non che noi speriamo ciò che non vediamo, e che attendiamo con pazienza? (Rom. VIII, 25). – La sofferenza mi è arrivata, il riposo mi verrà, la tribolazione mi è venuta, verrà anche il momento in cui sarò purificato da ogni peccato. Come brilla l’oro nel crogiuolo dell’orafo? Esso brillerà sul di un monile, su qualche ornamento, ma nell’attesa sopporta la fiamma del crogiuolo, per arrivare alla luce liberata da ogni mescolanza impura. In questo crogiuolo c’è della paglia, c’è del fuoco: l’orafo accende la fiamma; la paglia brucia nel crogiuolo, mentre l’oro si purifica; la paglia vien ridotta in cenere, e l’oro è liberato da ogni impurità. Il crogiuolo è il mondo; la paglia, gli empi; l’oro i giusti; il fuoco, le tribolazioni; l’orafo è Dio. Ciò che vuole, l’orafo la fa; laddove mi pone l’orafo io resto pazientemente; a me il dovere di sopportare, a Lui la scienza nel purificarmi. La paglia brucia per infiammarmi e per purificarmi. La paglia brucia per infiammarmi e per consumarmi, essa viene ridotta in cenere, ma io mi sono liberato da tutte le mie sozzure. Perché? « Perché la mia anima sarà sottomessa a Dio, perché la mia pazienza viene da Lui. » (S. Agost.). – Il Profeta torna ai due versetti precedenti, per mostrare la grandezza delle tentazioni dalle quali egli è assalito e la profondità della sua fiducia in Dio. Malgrado i fremiti dei miei nemici, la mia anima resta sottomessa a Dio in silenzio, perché è da Lui che viene la mia pazienza. Nel versetto 7, egli conclude mostrando che attende tutto da Dio, il fine ed i mezzi. Il fine è la liberazione di tutti i mali o la salvezza, ed il bene del sovrano Bene e della gloria; ed i mezzi che sono espressi testualmente, sono la nostra speranza ed il soccorso di Dio (Bellarm.).  

II. 8-13.

ff. 8. – Grande soggetto di fiducia per un Cristiano, è il tenersi legato all’assemblea del popolo di Dio. Si ha diritto di sperare in Lui se non si rompe mai il legame sacro di questa unità necessaria. È nell’assemblea che la carità unisce insieme e si può liberamente espandere il suo cuore alla presenza che Colui che dichiara che là dove due o tre sono riuniti nel suo nome, Egli si trova la in mezzo ad essi. È infine questa assemblea veramente cattolica che sola può glorificarsi di avere Dio eternamene come protettore, perché Egli non abbandonerà mai la sua Chiesa, e nessuna potenza, sulla terra e nell’inferno potrà mai prevalere contro di essa! (Duguet). – L’effusione del cuore davanti a Dio si fa in due maniere; innanzitutto quando lo si svuota da ogni affezione terrestre, per riceverne in seguito le impressioni dell’amore divino; (S. Basil.); in secondo luogo quando si espongono a Dio tutti i propri bisogni, tutte le miserie, affinché Egli rimedi con la sua grazia. Queste due maniere di pregare sono eccellenti, e di conseguenza, molto rare. La prima è la più difficile, perché bisogna spogliare l’anima da ogni passione, ridiscutere i suoi gusti, contrariarla nelle sue propensioni. Il caos non ha resistito al Signore, poiché esso era vuoto; l’anima piena di se stessa, non riceverà l’operazione divina, perché essa è già tutta occupata; bisogna svuotarla affinché la mano di Dio vi operi grandi cose. La parola del Profeta, « effondetevi davanti al Signore », deve essere meditata … essa comprende tutta la scienza dell’orazione, che non è altro che l’effusione del cuore nel seno di Dio (Berthier). – Noi non esporremo i nostri discorsi né i nostri pensieri che procedono dalla porzione spirituale della nostra anima, quella che noi chiamiamo ragione e per la quale siamo diversi dagli animali, se non con le nostre parole e di conseguenza per mezzo della bocca; così, versare il proprio cuore ed espandere il proprio cuore, non è altra cosa che parlare: « … versate davanti a Dio il vostro cuore », dice il Salmista, cioè esprimete e pronunciate le affezioni del vostro cuore con le parole. E la devota madre di Samuele, pronunziava le sue preghiere così fluidamente che appena si vedevano i movimenti delle labbra: « … io espando – ella diceva – la mia anima » (I  Re, I, 15), (S. Franc. De Sales, T. de l’am. de Dieu, L. 1, cap. IX).

ff. 9. – Non è possibile tracciare un ritratto più vero e nello stesso tempo più umiliante, della vanità dell’uomo, di quello che ci è stato presentato dal Profeta nel testo di questo versetto. Egli immagina una bilancia sulla quale gli uomini sono messi in contrappeso con la vanità, o piuttosto col niente; perché la parola che si legge nel testo significa “ciò che non ha solidità”, sostanza, ciò che non è niente. Ora, a questa prova, arriveranno, secondo lui, tutti gli uomini, sia i grandi che i piccoli, e saranno sollevati da questo niente; e questo niente li farà risalire sulla bilancia quasi come il piombo fa risalire la piuma. Da questo si conclude che gli uomini sono men che nulla. Il Profeta dice allora che l’uomo è divenuto simile alla vanità, cioè al niente; ma qui egli cambia il quadro, e lo dipinge ancor più come inferiore al niente. Fuggiamo – diceva a questo riguardo S. Ambrogio – fuggiamo da un luogo dove non c’è nulla, ove ciò che si considera come importante e magnifico è vuoto di esistenza, ove ciò che si stima qualcosa è un niente. –  Il Profeta reale ha ben ragione di dire che i figli degli uomini sono vacui, che le loro bilance sono ingannevoli e che, per solo difetto di conoscenza, non c’è nella maggior parte dei loro giudizi che illusione e menzogna; perché non c’è forse nulla di più comune al mondo che giudicare sulle apparenze, giudicare nelle azioni le intenzioni, giudicare i rapporti degli altri, o se si giudica da se stessi giudicare con precipitazione, giudicare con sicurezza piena di presunzione, far valere dei semplici sospetti come cose dimostrate e convinzioni, che abusare delle proprie vedute seguendole eccessivamente e portandole troppo lontane, estendendole al di là di quel che ci scoprono? Tutte queste, essendo delle fonti di falsi giudizi che ci formiamo gli uni contro gli altri, ci traviano e distruggono assolutamente la società. (BOURD., Jugem. témér.). – Di quale bilancia vuole parlare qui il Salmista? Tutti gli uomini non si si servono di bilance, o esercitano delle professioni ove è necessario l’uso dei pesi e delle bilance? Cosa vuole dire qui? Che in ognuno di noi il nostro Creatore ha posto il libero arbitrio come una bilancia nella quale possiamo pesare e discernere la natura del bene e del male. « Io ho posto davanti a voi la vita e la morte, il bene ed il male » (Deuter. XXX, 15), due cose diametralmente opposte; esaminatele al vostro tribunale, pesate con grande attenzione ciò che vi è più vantaggioso, scegliere un piacere effimero ed essere condannato per questa scelta ad una morte eterna, o scegliere una vita di tribolazione nell’esercizio della virtù, e pervenire così all’eterna felicità. Gli uomini sono dunque mendaci, ed i giudizi del loro spirito, corrotti, quando essi preferiscono – come fanno – il male al bene, la menzogna alla verità, le cose del tempo alle cose dell’eternità, una voluttà di un giorno ad una gioia che non deve mai aver fine.

ff. 10. – « Se le ricchezze affluiscono ». – « La natura delle ricchezze è lo scorrere ». Ammirate la verità di questa espressione. La natura delle ricchezze è lo scorrere: esse passano al di là di coloro che le possiedono, e necessitano di un cambio di possessori. Come un fiume che, scorrendo da un luogo sopraelevato, si avvicina a coloro che stanno sulla rive, ma se ne allontanano ben presto, così l’instabilità delle ricchezze non permette loro di restare per lungo tempo nelle stesse mani. Questo campo appartiene oggi a costui, e domani a quest’altro, dopodomani ad un altro ancora. Vedete le case della città, quanti nomi hanno portato da quando sono state costruite! Lo stesso vale per l’oro che passa incessantemente da mano in mani, e vi sarà più facile trattenere l’acqua nelle vostre mani che conservare per lungo tempo le ricchezze che possedete! « Se dunque esse affluiscono nelle vostre mani, non attaccatevi i vostri cuori. Usatene come uno strumento, un mezzo, ma badate a non considerarle, ammirarle, amarle come il bene sovrano « (S. Basilio). – « Non sperate nell’iniquità ». Non desiderate le ricchezze che sono la fonte dell’orgoglio, dell’arroganza, gli ausili della voluttà, gli architetti e i fabbricanti di ogni vizio, e privano l’uomo dell’amicizia di Dio, ma desiderate la virtù, che ci libera da ogni male. (S. ISID. ad Mart. presbit.). Davide condanna qui l’eccessivo amore delle ricchezze anche legittime. Sant’Agostino nota ingegnosamente che coloro che tolgono i beni agli altri, sono derubati a loro volta nello stesso tempo dal diavolo, che ruba loro l’anima; egli sottolinea ancora, con San Basilio e Sant’Ambrogio, che la parola « affluiscono », che ricorda il termine « fluente », avverte del passaggio rapido dei beni della terra, rapidità che deve impedirci di dare a loro il nostro cuore, affinché non scorra con esse, ma le faccia dirigere verso il cielo per renderle utili, così come il contadino che, invece di lasciarsi travolgere da una corrente d’acqua, la destreggi per dirigerla sia verso un mulino e farlo girare, sia verso un giardino onde irrigarlo, sia verso un altro utile scopo.

ff. 11. 12. – Dio è potente e nel contempo misericordioso nel suo giudizio. Non sperate dunque nell’iniquità, non attaccate il vostro cuore alle ricchezze, non abbracciate la vanità e non lasciate corrompere il giudizio del vostro spirito. Voi sapete che il nostro Dio è potente, temete la sua forza e la sua potenza e quindi non disperate della sua bontà e della sua misericordia (S. Basilio). – Comprendete la potenza di Dio e la misericordia di Dio. Quasi tutte le scritture sono contenute in queste due cose; è a causa di esse che son venuti i Profeti, a causa di esse che son venuti i Patriarchi, per loro che è venuta la Legge, a causa loro che è venuto Nostro Signore Gesù-Cristo stesso, a per causa loro che la parola di Dio è annunciata e resa pubblica in tutta la Chiesa, a causa, io dico, di queste due cose: a causa della potenza e della misericordia di Dio. Temete la sua potenza, amate la sua misericordia. Non presumete della sua misericordia in modo da disprezzare la sua potenza; non temete la sua potenza in modo da disprezzare la sua misericordia. In Lui è la potenza, in Lui la misericordia. Egli umilia gli uni ed eleva gli altri (Ps. LXXIV, 8): Egli umilia gli uni con la sua potenza, ed eleva gli altri con la sua misericordia. « In effetti, dice l’Apostolo, Dio volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione » (Rom. IX, 22). – Voi cercate di comprendere la potenza, cercate ora la misericordia:  « … per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria » (Idem 23). Appartiene a questa potenza il condannare gli ingiusti. E chi Gli dirà: « cosa avete fatto? » – « O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? » (Ibid. 20). Temete dunque, e abbiate paura della sua potenza, ma sperate nella sua misericordia (S. Agost.). – Il Signore ha parlato una volta, ha pronunciato una parola, ed io ne sento due, cioè: Egli è onnipotente e pieno di misericordia. Cosa vuol dire questo – si chiede S. Agostino – ? È vero, risponde questo Padre, che Dio non ha mai proferito che una sola parola all’interno di Se stesso, che è il suo Verbo; ma questo Verbo, questa parola uscita da Dio, ci ha fatte ascoltare due voci, quella della misericordia e quella della giustizia. La voce della giustizia ci minaccia, e la voce della misericordia ci rassicura (BOURD., Prédest.). – Dio ha parlato una volta, dice Davide, e cosa ha detto, dice il gran Profeta? « Egli ha parlato una volta ed io – egli dice – ascolto queste due cose: che a Dio appartiene la potenza, e a Lui appartiene la misericordia », per cui vedete manifestamente che Dio si gloria della sua potenza e della sua bontà. È la vera gloria di Dio, perché la misericordia divina, piena di compassione per la bassezza delle creature, sollecitando in loro favore la potenza,  nello stesso tempo orna ciò che non ha nessun ornamento da se stesso, e fa ritornare tutto l’onore a Dio, che solo è capace di sollevare ciò che non è niente dalla sua condizione naturale (Bossuet, Vertu de la Croix).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO … E PURE GLI SCOMUNICATI: SS. CLEMENTE XII – “IN EMINENTI”

Il nemico della Chiesa e dell’umanità, braccio operante di satana e dei suoi adepti, la setta massonica, viene già individuata dal Santo Padre Clemente XII fin dal 1738, cioè una ventina di anni dopo la sua costituzione ufficiale, anche se era ben presente con denominazioni ed aggregazioni varie da alcuni secoli, … pensiamo ai Rosa Croce, alle pseudo-accademie e lincei nazionali, ai mitrei ove si praticava il culto di Mitra e del dio sole [uno dei capisaldi esoterici tuttora attuali delle conventicole massoniche, noto come “eliocentrismo”, rivestito con falso sapere astronomico da una maschera razional-scientifica che ancora oggi si serve di foto taroccate e di filmati cinematografici di enti pseudospaziali che foraggiano abbondantemente falsi scienziati e fasulli esperti giornalisti, per dimostrare la realtà assurda della terra-palla che si opponga – ridicolizzandola – alla verità biblica mostrata nelle Sacre Scritture], agli occultismi alchemici [dei Newton, Keplero, Bacone, Galileo etc.], ai cabalismi gnostici e a tante altre deliranti diavolerie suggerite dai demoni di turno ad uomini corrotti e orgogliosi del loro nulla; gli effetti di questa satanica aggregazione, già si facevano sentire nella società dell’epoca tanto da generare sospetti, poi divenuti certezze, che indussero il Sommo Pontefice ad una condanna netta, senza appello per chiunque aderisse, in qualsiasi veste, a queste associazioni che accoppiavano ai ridicoli loro pseudo-culti [ornati da grembiulini, medagliette, cappelli frigi con pendagli e nastrini vari…], la corruzione della società e l’odio accanito contro la santa Chiesa Cattolica e contro il Cristo ed il suo Vicario. Si tratta della prima ferma condanna di questo movimento infernale che doveva diffondersi a macchia d’olio nel mondo intero realizzando le profezie sul “mistero dell’iniquità” del quale San Paolo parlava già ai fedeli di Tessalonica. Nessuna simulazione, nessuno sconto per i seguaci del baphomet-lucifero, i sedicenti “figli della vedova”, come amano definirsi, secondo una ridicola favola massonica, i seguaci di satana e nemici di Cristo: « … decretiamo doversi condannare e proibire, come con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, condanniamo e proibiamo le predette Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Aggregazioni o Conventicole dei Liberi Muratori o des Francs Maçons, o con qualunque altro nome chiamate. ». Abbiamo sottolineato le parole “in perpetuo” onde chiarire a tutti gli attuali aderenti alle conventicole, purtroppo attualmente infiltranti, anzi dominanti i sacri palazzi e la falsa “chiesa dell’uomo”, di montiniana istituzione, di cui hanno le redini in mano saldamente [… non della Chiesa Cattolica, come alcuni eretici e scismatici presumono, poiché la vera Chiesa Cattolica, il Corpo mistico di Cristo, Sposa immacolata senza macchia e senza ruga del divin Coniuge, Maestra e luce del mondo, non è e non sarà mai macchiata dalle infamie della setta del “novus ordo” che si spaccia per Chiesa Cattolica … la Chiesa Cattolica, secondo il permesso di Dio e a nostra prova, è “eclissata”, nelle catacombe e nei sotterranei, è vero ed evidente, ma c’è, pur perseguitata e scacciata da ogni dove, ed è quella di sempre, nei riti e nella dottrina, pronta a risorgere, più viva e splendente che mai, quando tutti gli empi la dichiareranno oramai morta e sepolta], che la loro sentenza è già pronunziata ed è definitiva, ed il fuoco preparato dal loro “padre”, li aspetta superalimentato sette volte: « … sotto pena di scomunica per tutti i contravventori, come sopra, da incorrersi ipso facto, e senza alcuna dichiarazione, dalla quale nessuno possa essere assolto, se non in punto di morte, da altri all’infuori del Romano Pontefice pro tempore » (tradotto in altri termini, significa: scomunica latæ sententiæ riservata in modo speciale alla Santa Sede). E questo vale anche per i discendenti del “cavaliere kadosh” di Lille, che ha generato e partorito una marea di disgraziati, tra falsi prelati e ingannati fedeli, tutti sotto questa scomunica ed a quella degli altri successivi confermanti documenti apostolici. – Dopo aver letto la Bolla, al “pusillus grex” dei Cattolici non resta che pregare per tali sventurati ed offrirsi ostia sacrificale per la salvezza di questi poveracci che, senza una grazia speciale, sono oramai destinati all’eterna dannazione.

BOLLA DOGMATICA

“IN EMINENTI”

DEL SOMMO PONTEFICE CLEMENTE XII

“Sulla Condanna della Massoneria”

CLEMENTE PP. XII

Servo dei servi di Dio

A tutti i fedeli, salute ed Apostolica Benedizione!

Posti per volere della Clemenza Divina, benché indegni, nell’eminente Sede dell’Apostolato, onde adempiere al debito della Pastorale provvidenza affidato a Noi, con assidua diligenza e con premura, per quanto Ci è concesso dal Cielo, abbiamo rivolto il pensiero a quelle cose per mezzo delle quali – chiuso l’adito agli errori ed ai vizi – si conservi principalmente l’integrità della Religione Ortodossa, e in questi tempi difficilissimi vengano allontanati da tutto il mondo Cattolico i pericoli dei disordini. Già per la stessa pubblica fama Ci è noto che si estendono in ogni direzione, e di giorno in giorno si avvalorano, alcune Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Conventicole o Aggregazioni comunemente chiamate dei Liberi muratori o des Francs Maçons, o con altre denominazioni chiamate a seconda della varietà delle lingue, nelle quali con stretta e segreta alleanza, secondo loro Leggi e Statuti, si uniscono tra di loro uomini di qualunque religione e setta, contenti di una certa affettata apparenza di naturale onestà. Tali Società, con stretto giuramento preso sulle Sacre Scritture, e con esagerazione di gravi pene, sono obbligate a mantenere un inviolabile silenzio intorno alle cose che esse compiono segretamente. Ma essendo natura del delitto manifestarsi da se stesso e generare il rumore che lo denuncia, ne deriva che le predette Società o Conventicole hanno prodotto tale sospetto nelle menti dei fedeli, secondo il quale per gli uomini onesti e prudenti l’iscriversi a quelle aggregazioni è lo stesso che macchiarsi dell’infamia di malvagità e di perversione: se non operassero iniquamente, non odierebbero tanto decisamente la luce. Tale fama è cresciuta in modo così considerevole, che dette Società sono già state proscritte dai Prìncipi secolari in molti Paesi come nemiche dei Regni, e sono state provvidamente eliminate. Noi pertanto, meditando sui gravissimi danni che per lo più tali Società o Conventicole recano non solo alla tranquillità della temporale Repubblica, ma anche alla salute spirituale delle anime, in quanto non si accordano in alcun modo né con le Leggi Civili né con quelle Canoniche; ammaestrati dalle Divine parole di vigilare giorno e notte, come servo fedele e prudente preposto alla famiglia del Signore, affinché questa razza di uomini non saccheggi la casa come ladri, né come le volpi rovini la Vigna; affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né ferisca occultamente gl’innocenti; allo scopo di chiudere la strada che, se aperta, potrebbe impunemente consentire dei delitti; per altri giusti e razionali motivi a Noi noti, con il consiglio di alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, a ancora motu proprio, con sicura scienza, matura deliberazione e con la pienezza della Nostra Apostolica potestà, decretiamo doversi condannare e proibire, come con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, condanniamo e proibiamo le predette Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Aggregazioni o Conventicole dei Liberi Muratori o des Francs Maçons, o con qualunque altro nome chiamate. Pertanto, severamente, ed in virtù di santa obbedienza, comandiamo a tutti ed ai singoli fedeli di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità o preminenza, sia Laici, sia Chierici, tanto Secolari quanto Regolari, ancorché degni di speciale ed individuale menzione e citazione, che nessuno ardisca o presuma sotto qualunque pretesto o apparenza di istituire, propagare o favorire le predette Società dei Liberi Muratori o Francs Maçons o altrimenti denominate; di ospitarle o nasconderle nelle proprie case o altrove; di iscriversi ed aggregarsi ad esse; di procurare loro mezzi, facoltà o possibilità di convocarsi in qualche luogo; di somministrare loro qualche cosa od anche di prestare in qualunque modo consiglio, aiuto o favore, palesemente o in segreto, direttamente o indirettamente, in proprio o per altri, nonché di esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi o ad intervenire a simili Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Aggregazioni o Conventicole, sotto pena di scomunica per tutti i contravventori, come sopra, da incorrersi ipso facto, e senza alcuna dichiarazione, dalla quale nessuno possa essere assolto, se non in punto di morte, da altri all’infuori del Romano Pontefice pro tempore. Vogliamo inoltre e comandiamo che tanto i Vescovi, i Prelati Superiori e gli altri Ordinari dei luoghi, quanto gl’Inquisitori dell’eretica malvagità deputati in qualsiasi luogo, procedano e facciano inquisizione contro i trasgressori di qualunque stato, grado, condizione, ordine dignità o preminenza, e che reprimano e puniscano i medesimi con le stesse pene con le quali colpiscono i sospetti di eresia. Pertanto concediamo e attribuiamo libera facoltà ad essi, e a ciascuno di essi, di procedere e di inquisire contro i suddetti trasgressori, e di imprigionarli e punirli con le debite pene, invocando anche, se sarà necessario, l’aiuto del braccio secolare. Vogliamo poi che alle copie della presente, ancorché stampate, sottoscritte di mano di qualche pubblico Notaio e munite di sigillo di persona costituita in dignità Ecclesiastica, sia prestata la stessa fede che si presterebbe alla Lettera se fosse esibita o mostrata nell’originale. A nessuno dunque, assolutamente, sia permesso violare, o con temerario ardimento contraddire questa pagina della Nostra dichiarazione, condanna, comandamento, proibizione ed interdizione. Se qualcuno osasse tanto, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 28 aprile 1738, anno nono del Nostro Pontificato.

Clemente P.P. XII

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Jer XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.
[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.
[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III: 17-21; IV: 1-3

Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

OMELIA I

LA MORTIFICAZIONE CRISTIANA

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

“Fratelli: Siate miei imitatori, e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi. Poiché ci sono molti dei quali spesse volte vi ho parlato; e adesso vene parlo con lacrime, i quali si diportano da nemici della croce di Cristo: la loro fine è la perdizione; il loro Dio è il ventre: si vantano in ciò che forma la loro confusione, e non han gusto che per le cose terrene. Noi, invece, siamo cittadini del cielo, da dove pure aspettiamo, come Salvatore, il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso; per quella potenza che ha di poter anche assoggettare a sé ogni cosa. Pertanto, miei fratelli carissimi e desideratissimi, mio gaudio e mia corona, continuate a star così fermi nel Signore, o amatissimi. Prego Evodia ed esorto Sintiche ad avere gli stessi sentimenti nel Signore. E prego anche te, fedel compagno, di venir loro in aiuto: esse hanno combattuto con me per il Vangelo, insieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita”. ( Fil. III, 17 – 1, 4, 3).

S. Paolo, prima di chiudere la lettera ai Pilippesi, li esorta a conseguire la perfezione cristiana. Per raggiungere questo ideale, cerchino di imitare lui e quelli che vivono seguendo il suo esempio; e non badino a quei Cristiani che tengono una condotta affatto contraria alla mortificazione, che ci è predicata dalla croce di Gesù Cristo. Non si dimentichino, che la fine di costoro è la morte eterna. Noi dobbiamo tenere tutt’altro contegno. Centro dei nostri pensieri e dei nostri affetti è il cielo: là dev’essere la nostra vita. Di là aspettiamo Gesù Cristo, che verrà a renderci perfettamente beati, trasformando il nostro vile corpo sul modello del suo corpo glorioso. – Stiamo, dunque, uniti fortemente a Dio. Raccomanda poi la concordia tra Evodia e Sintiche, e prega un suo collaboratore d’aiutarle a questo scopo. – La mortificazione, che ci è predicata dalla croce di Cristo:

1°) è propria dei Cristiani che voglion praticar la virtù,

2°) Non esser nemici della croce,

3°) Non scambiare l’esilio con la patria.

1.

Fratelli: Siate miei imitatori e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi.

Questo invito di S. Paolo era molto importante per i Filippesi, perché non mancavano esempi di cattivi Cristiani, i quali facevano loro Dio il ventre, e si vantavano in ciò che formava la loro confusione, col condurre una vita sontuosa e lussuriosa. L’avvertimento vale anche per tutti noi. Ci sono tanti Cristiani, che al solo pensiero di condurre una vita mortificata, come era quella di S. Paolo e dei suoi seguaci, si spaventano. Non è più comoda la vita di coloro, che mangiano e bevono lautamente, e si godono tutti i piaceri? Sarà una vita più comoda; ma poco cristiana. Niente è più discorde dalla vita cristiana che consumare il tempo nei banchetti, o nel dolce far nulla, e godersi i piaceri. – Gesù Cristo da coloro che vogliono essere suoi seguaci chiede qualche cosa di diverso. A chi vuol portare il suo nome, ed essere suo discepolo chiede la mortificazione. E S. Paolo ci dice molto chiaramente di che mortificazione si tratta : « Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne coi vizi e con le concupiscenze » (Gal. V, 24). Non è questa la mortificazione che, in alcune circostanze e per certi motivi, ammette anche il mondo: mortificare gli eccessi della gola quando potrebbero essere nocivi: ma finché non sono nocivi, passino: mortificare la sensualità quando ne va di mezzo la salute; reprimere l’ira e soffocare i sentimenti di vendetta, quando ci possono portare ad azioni che incorrono nel codice, ecc. La mortifìcazione cristiana è assai più estesa e parte da motivi ben più nobili. Il Cristiano deve percorre la via delle virtù: la mortificazione gli serve per togliere gli ostacoli, che cercano di impedirgli questo cammino, come insegna Gesù Cristo: «Se il tuo occhio destro ti scandalizza, devi cavartelo e gettarlo lontano da te; è molto meglio che perisca un solo tuo membro, piuttosto che venga buttato nella Gehenna l’intero tuo corpo. E se la tua mano destra ti scandalizza, tagliala e gettala via; è meglio per te perdere un solo membro che esser buttato nella Gehenna con tutto il tuo corpo» (Matt. V, 29-30). – Base delle virtù è l’umiltà. Ma la pratica dell’umiltà non è altro che la mortificazione dell’amor proprio, della suscettibilità, della boria ecc. Chi vuol esser generoso verso i poveri deve mortificare la brama delle ricchezze. Chi vuol essere casto deve mortificare i propri occhi, le proprie orecchie, la propria carne. Non si può esser pazienti, senza reprimere i moti d’ira, di sdegno, di ribellione, che ci assalgono per un’ingiuria ricevuta, una contrarietà, una disgrazia. Non si può perdonare ai nemici senza combattere lo spirito di risentimento e di vendetta. Non si può lavorar seriamente al servizio di Dio, senza vincere l’accidia. Le passioni cercano di aver il dominio sulla volontà; il seguace di Gesù Cristo mortifica le passioni per poter sottometterle alla volontà. Chi non sa domare un focoso puledro sarà da lui sbattuto a terra, calpestato, trascinato. Trattandosi delle pretese della nostra corrotta natura, o calpestarle o lasciarsi da esse calpestare. Non potremo mai essere virtuosi senza calpestare i vizi opposti alle virtù. Perciò è assolutamente necessaria al Cristiano la mortificazione, con la quale « s’indice la guerra ai vizi, s’aumenta il progresso d’ogni virtù » (S. Leone M. Serm. 40, 2).

2.

Di quei cattivi Cristiani che conducevano una vita larga, la quale era di scandalo agli altri, dice S. Paolo che si diportano da nemici della croce di Cristo: « poiché se amassero la croce, procurerebbero di condurre una vita crocifissa » (S. Giov. Crisost. In Epist. ad Philipp. Hom, 13, 1). – Gesù Cristo per espiare i nostri peccati mortifica la propria volontà. « Padre mio, — dice incominciando la passione — se è possibile, passi da me questo calice! Tuttavia, non come voglio Io, ma come vuoi Tu» (Matth. XXVI, 39). Fa il sacrificio del suo onore. Tutto sopporta: contraddizioni, ingiurie, calunnie. Il suo corpo è assoggettato alle veglie, ai digiuni, alle fatiche continue dell’apostolato, alle privazioni. Egli può dire: « Le volpi hanno delle tane, e gli uccelli dell’aria hanno dei nidi, ma il Figliuolo dell’uomo non ha dove posare il capo » (Matth. VIII, 20). Alla fine è percosso, ferito, trafitto sopra una croce, Da quel momento la croce è il simbolo dell’espiazione, delle privazioni, del sacrificio, delle rinunce. Ora, chi non sa imporsi un limite nel mangiare e nel bere; chi non sa moderare la sua gola, chi non sa allontanare i suoi sensi da ciò che potrebbe essere materia di peccato, è necessariamente nemico della croce. Chi non sa reggere i moti dell’animo, dominandolo nei turbamenti, negli impeti dell’ira, nella brama di sovrastare agli altri, nella tristezza pel bene altrui, nella contentezza per l’altrui male, è necessariamente nemico della croce. Chi non sa sottoporre la propria volontà alla volontà di Dio, è nemico della croce. – I santi compresero molto bene l’importanza di questa crocifissione corporale e spirituale. Chi fugge dalla croce, fugge la via della salute. Ed essi che ci tenevano tanto alla eterna salute propria e a quella del prossimo, si stimavano felici di poter imitare Gesù Cristo nelle opere di mortificazione interna ed esterna; di poter, per mezzo della mortificazione, raffinarsi nella virtù, espiare le proprie colpe e quelle di tanti infelici, che si dimenticano di essere seguaci di Gesù Cristo. – La vita dei gaudenti anziché far loro invidia, era motivo di grande pena. L’apostolo, parlando di costoro, dice: ve ne parlo con lacrime. La croce di Cristo è loro offerta come mezzo di salvezza, ed essi la rigettano. Che diremmo di uno che, caduto in un burrone, rifiuta di attaccarsi alla corda che gli viene calata; che, travolto dalle onde, respinge la mano che tenta di afferrarlo; investito dalle fiamme, si divincola dalle braccia che l’hanno raccolto per portarlo in salvo? La carne con le sue concupiscenze, il nostro interno con tutte le sue debolezze ci investono, ci travolgono, ci portano alla morte spirituale: la croce delle mortificazioni può liberarcene, e noi la respingiamo. «Si accettano volentieri croci d’oro e d’argento; ma le altre ordinariamente si disprezzano», diceva Santa Maria Maddalena Postel (Mons. Arsenio Maria Legoux. Vita di S. Maria Maddalena Postel. Tradotta dal francese. Roma 1925).  La croce della mortificazione è una delle più disprezzate. Le anime buone hanno ben ragione di piangere, come S. Paolo, sullo stato di coloro che pospongono la croce ai godimenti.

3.

Noi siamo cittadini del cielo. Quaggiù non siamo in casa nostra, siamo esiliati in una valle di lacrime. Il godimento pieno che renderà pago il nostro cuore e felice tutto il nostro essere l’avremo in cielo. Non dobbiam dimenticarci che quaggiù non è il luogo dei godimenti, ma il luogo in cui si meritano i godimenti. Chi si dimentica di questo, non pensa a contrastare e a combattere le tendenze della corrotta natura, e alla fine si accorgerà di aver operato da stolto. Quelli che odiano la mortificazione in questa vita, non faranno mai passaggio dall’esilio alla patria celeste: la loro fine è la perdizione. «Ogni cosa ha il suo tempo stabilito» (Eccles. III, 1). Per i Cristiani il tempo dell’esilio terreno è il tempo stabilito per la propria santificazione, che non si acquista senza una mortificazione continua. Quindi, come osserva S. Agostino, « la nostra occupazione in questa vita è questa: dar morte con lo spirito alle azioni della carne, che dobbiamo affliggere, indebolire, frenare, mortificare» (Serm. 156, 2). Vi è «tempo di guerra e tempo di pace» (Eccles. III, 8). Il tempo del nostro esilio terreno è tempo di guerra continua contro la concupiscenza. Guerra che S. Bernardo chiama « una specie di martirio… più mite di quello in cui vengono tagliate le membra, quanto all’orrore; ma più molesto quanto alla durata » (In Cant. Serm. 30, 11). È una durata che ha termine; è una durata brevissima, se la paragoniamo alla durata della vita celeste; ma la nostra condizione, fin che la vita dura rimane la medesima: una lotta molesta contro le nostre cattive inclinazioni. – Mortificare il proprio corpo, non vuol dire renderlo infelice; tutt’altro. Vuol dire impedirgli la sorte destinata ai corpi dei gaudenti, i quali «fioriscono nel secolo, disseccano nel giudizio, e, dissecati, sono gettati nel fuoco eterno» (S. Agostino. En. in Ps. LIII, 3.). S. Paolo, dopo tanto lavoro per la gloria di Dio e la salvezza delle anime dichiara: «Affliggo il mio corpo e lo riduco in servitù, perchè non avvenga che dopo aver predicato agli altri, io stesso sia reprobo» (I Cor. IX, 27). – Mortificare il proprio corpo vuol dire prepararlo a essere circonfuso di splendore e di gloria quando verrà il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso. Questo però avverrà quando l’esilio terreno sarà finito per noi e per tutti i viventi. Finché siamo quaggiù, nostra cura dev’essere questa, di crocifiggere la carne con le sue concupiscenze. Quando gli Ebrei, nell’Egitto, crebbero di numero e di forza, Faraone ne ebbe paura. «Ecco — dice ai suoi — che il popolo dei figli d’Israele è numeroso e più forte di noi. Venite, opprimiamolo con saggezza, affinché non si moltiplichi più». E quando Mosè e Aronne, in nome del Signore, gli chiesero che lasciasse libero il popolo ebreo, risponde: «E quanto si moltiplicherà se date loro qualche sollievo dai lavori?» E dispone di non lasciare, agli Ebrei neppur un momento di respiro (Es. I, 9-10, V, 5 e segg.). È quello che dobbiamo far noi in questa vita: mortificare con saggezza le azioni della carne, perché non prendano il sopravvento; mortificarle sempre appena si manifestano, non lasciando loro un momento di respiro.

 Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.
[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]
In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja. [In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja. [Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX: XVIII, 18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE LI.

 “In quel tempo, mentre Gesù parlava alle turbe, ecco che uno de’ principali se gli accostò, e lo adorava, dicendo: Signore, or ora la mia figliuola è morta; ma vieni, imponi la tua mano sopra di essa, e vivrà. E Gesù alzatosi, gli andò dietro co’ suoi discepoli. Quand’ecco una donna, la quale da dodici anni pativa una perdita di sangue, se gli accostò per di dietro, e toccò il lembo della sua veste. Imperocché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste, sarò guarita. Ma Gesù rivoltosi e miratala, le disse: Sta di buon animo, o figlia; la tua fede ti ha salvata. E da quel punto la donna fu liberata. Ed essendo Gesù arrivato alla casa di quel principale, e avendo veduto i trombetti e una turba di gente, che faceva molto strepito, diceva: Ritiratevi; perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Ed essi si burlavano di lui. Quando poi fu messa fuori la gente, Egli entrò, e la prese per una mano. E la fanciulla si alzò. E se ne di volgo la fama per tutto quel paese” (Matth. IX, 18-26).

Il divin Redentore durante la sua vita pubblica, come osserva S. Giovanni Grisostomo, andava alternando le istruzioni coi miracoli ed i miracoli colle istruzioni, sanando dopo di aver istruito ed istruendo dopo aver sanato. Ora Egli aveva avuto un importante trattenimento coi discepoli di Giovanni Battista. Questi erangli stati spediti dai Farisei per domandargli, perché essi digiunavano sovente, mentre i suoi discepoli non digiunavano. E nel momento che il Salvatore parlava ancora, un principe della sinagoga lo pregò a recarsi presso di lui per operarvi un miracolo in favore di sua figlia. Gesù si arrese alla sua preghiera, e strada facendo guarì una povera donna, che da dodici anni era inferma. Sono questi due miracoli operati dal Salvatore a Cafarnao, sulla fine del primo anno di sua predicazione, che riferisce oggi il Santo Vangelo e che noi brevemente considereremo.

1. In ogni città della Giudea v’erano più sinagoghe, e ciascuna di esse aveva un capo od un principe incaricato di presiedere alle religiose adunanze, e di regolare tutto quanto riguardava la lettura e l’interpretazione dei Libri sacri. Ora mentre Gesù predicava alle turbe, uno di costoro (chiamato Giairo) se gli accostò e lo adorava dicendo: Signore, or ora la mia figliuola è morta; ma tu vieni, imponi la tua mano sopra di essa e vivrà. Ecco adunque come questo padre si mostra dolente per la morte della sua figlia e sollecito per ottenere da Gesù che ella ritorni a vita. Oh se questo dolore e questa sollecitudine fossero imitati da coloro, che hanno avuto la sventura di perdere la vita dell’anima loro! S. Giovanni Crisostomo nota, che Iddio ci ha dato due occhi, duo orecchie, due mani, due piedi, affinché se veniamo a perderne uno dei due, possiamo servirci di quello che abbiamo ancora. Ma, dice questo Padre, Iddio non avendoci data che una sola anima, il nostro dolore dovrebbe essere senza misura, quando ne perdiamo la vita a cagione del peccato mortale! Ma invece quanti vi sono, che si affliggono tanto dei mali del corpo e nulla si affliggono della morte dell’anima! Quanti poi rimangono in questo stato di morte spirituale i giorni, le settimane, i mesi e persino gli anni, senza darsi alcuna sollecitudine di uscirne! Ma perché, o miei cari, perché prolungare le vostre torture, i vostri rimorsi, i vostri travagli? Perché  ritardare il ritorno della pace, dell’innocenza e dell’amore! E non potrebbe da un istante all’altro colpirvi la morte e farvi andare eternamente perduti? E quand’anche Iddio vi risparmiasse in vita, poiché un abisso chiama un altro abisso, non potreste cadere in un altro peccato e colmare così la misura di quelli, che Iddio ha stabilito di perdonarvi? – È sentenza comune di molti santi Padri, di S. Basilio, di S. Gerolamo, di S. Ambrogio, di San Cirillo Alessandrino, di S. Giovanni Grisostomo, di S. Agostino, e d’altri, che siccome Iddio tiene determinato il numero per ciascun uomo dei giorni di vita, dei gradi di sanità e di ingegno, che vuol dargli, così ancora tiene a ciascuno determinato il numero dei peccati che vuol perdonargli; compìto il quale, non perdona più. E questi Padri non han parlato a caso, ma fondati sulle divine scritture. In un luogo disse il Signore, che tratteneva la ruina degli Amorrei, perché non era compìto ancora il numero delle loro colpe. In altro luogo disse: Io non avrò più compassione alcuna d’Israele. Mi hanno tentato per dieci volte, non vedranno la terra promessa. In altro luogo più chiaramente dice la sacra Scrittura: Il Signore aspetta pazientemente a punire venuto che sia il dì del giudizio, colmata già la misura dei loro peccati. Sicché Dio aspetta sino al giorno in cui si riempia la misura de’ peccati, e poi castiga. Di tal castigo poi vi sono molti esempi nella Scrittura, e specialmente di Saulle, che avendo l’ultima volta disubbidito a Dio, Dio l’abbandonò talmente ch’egli pregando Samuele, che avesse interceduto per lui: Sopporta, di grazia, il mio peccato, e torna indietro con me, affinché io adori il Signore; Samuele gli rispose: Non tornerò indietro con te, perché tu hai rigettata la parola del Signore, e il Signore ha rigettato te. Vi è l’esempio di Baldassarre, il quale stando a mensa profanò i vasi del tempio, ed allora vide una mano, che scrisse sul muro: Mane, Thecel, Phares. Venne Daniele, e spiegando quelle parole, tra l’altro disse: Sei stato pesato sulla stadera, e sei stato trovato scarso. Dandogli ad intendere che il peso dei suoi peccati già aveva fatto calar la bilancia della divina giustizia. Ma qualcuno di voi andrà dicendo: Io sono giovane. Sei giovane? Ma Iddio non conta gli anni, conta i peccati. E questa tassa de’ peccati non è uguale per tutti; ad alcuni Iddio perdona cento peccati, ad un altro mille, ad un altro al secondo peccato lo manderà all’inferno. Quanti il Signore ve ne ha mandati al primo peccato? Narra S. Gregorio che un fanciullo di cinque anni, in dire una bestemmia fu mandato all’inferno. Rivelò la SS. Vergine a quella serva di Dio Benedetta di Fiorenza, che una fanciulla di 12 anni al primo peccato fu condannata. Un altro figliuolo di 8 anni anche al primo peccato morì e si dannò. Dicesi nel Vangelo di S. Matteo, che il Signore la prima volta che trovò quell’albero di fico senza frutto subito lo maledisse, e quello seccò. Forse alcun temerario vorrà chiedere ragione a Dio, perché ad uno vuol perdonare tre peccati e quattro no? In ciò bisogna adorare i divini giudizi, e dire coll’Apostolo: O profondità delle ricchezze della sapienza e scienza di Dio; quanto incomprensibili sono i suoi giudizi e imperscrutabili le sue vie! E con S. Agostino: Ei ben conosce cui perdona e cui non perdona; quando Egli usa con qualcheduno misericordia, la usa gratuitamente; e quando la nega ciò fa con giustizia. Figliuolo, dice adunque lo Spirito Santo, hai tu peccato? non peccar più, ma fa orazione per le colpe passate, affinché ti siano rimesse.

2. Intanto Gesù cedendo alla preghiera di quell’ufficiale, benché dimostrasse di avere in lui poca fede, alzatosi gli andò dietro co’ suoi discepoli. Quand’ecco una donna, la quale da dodici anni pativa una perdita di sangue, se gli accostò per di dietro, e toccò il lembo della sua veste. Imperocché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste sarò guarita. Che fede mirabile, o miei cari, troviamo in questa povera donna del Vangelo! Da dodici anni l’Emorroissa è inferma d’una inveterata malattia. Questa la fa crudelmente soffrire, e per procurarsi qualche sollievo, ella ha preso tutti i suoi mezzi e si è ridotta alla povertà. E lungi dall’ottenere un favorevole risultato, ha veduto crescere il suo male; le sue forze sono esaurite, ella languisce miserabilmente, aspettando l’ora della tomba. Povera donna! Voi la compiangete, non è vero? Sì, umanamente parlando ella è a compiangersi. Ma ella possiede un tesoro più prezioso della sanità, delle ricchezze, dello scettro dei re e degli imperatori… Ella ha la fede!… E questa fede è sì viva, che dice fra sé: Eh! se potessi soltanto toccare il lembo della sua veste, io sarei guarita. Ma Gesti rivoltosi, e miratala, le disse: Sta di buon animo, o figlia; la tua fede ti ha salvata. E da quel punto la donna fu liberata. Il Signore aveva detto per uno de’ suoi profeti: Volgetevi a me ed io mi rivolgerò a voi (Zac. I, 3). Qui si realizza in modo mirabile questa promessa. Quella povera donna mercé la viva sua fede si è rivolta al Salvatore con la speranza della propria guarigione; e quand’ebbe toccato il vestimento del buon Maestro, quando Gesù sentì che una segreta virtù da Lui emanava, si volge verso quella, donna, e la mira con bontà, e le parla con tenerezza: Figliuola mia, abbi fiducia. Avventurata donna che ha meritato di raccogliere dalle labbra del Salvatore parole così dolci! Fede preziosa ch’è stata celebrata da Colui, che è la verità istessa! E chi è tra noi, o miei cari, che non vorrebbe aver ricevuto questo magnifico attestato da parte del nostro Signor Gesù Cristo? Sforziamoci pertanto di meritarlo. Anche noi andiamo al Salvatore; portiamo in cuore l’ardente desiderio di guarire dalle nostre infermità spirituali; tocchiamo Gesù col fervor delle nostre preci; tocchiamo le sue carni immacolate nella Santa Comunione, ed allora uscirà dal Cuore di Gesù una virtù sanatrice anche per noi. Oh sì, tocchiamo Gesù sopra tutto Gesù con la frequente Comunione, ed allora non solo guariremo dalle nostre infermità spirituali, ma ne saremo anzi preservati, perché il tocco di Gesù Cristo in questo SS. Sacramento è per eccellenza tocco di vita. – Dicesi che Mitridate, re del Ponto, avendo inventato il Mitridato, contravveleno così detto dal nome dell’inventore, rinvigorisse con quello il suo corpo in tal modo, che, tentando poi d’avvelenarsi per sfuggire alla servitù dei Romani, non gli fosse più possibile. Il Salvatore ha istituito l’augustissimo Sacramento dell’Eucarestia, che realmente contiene la sua carne ed il suo sangue, affinché chi lo mangia, viva in eterno. Per la qual cosa, chiunque ne fa uso con divozione, talmente corrobora la sanità e la vita dell’anima sua, che è quasi impossibile, che sia avvelenato da alcuna sorta di affetto cattivo. Chi si nutre di questa carne di vita, non può cadere in potere della morte. Epperò resteranno senza difesa, o miei cari, quei Cristiani che andranno dannati, allorché il giusto Giudice farà loro vedere quanto erano inescusabili nel morire spiritualmente, avendo un mezzo sì facile per conservare la vita e la santità col cibarsi del suo corpo, che Egli aveva loro lasciato per questo fine. Miseri! dirà loro, perché siete morti avendo in vostro potere il frutto e il cibo di vita? Un’altra ragione poi per cui la SS. Eucarestia regge e sostenta la vita dell’anima, acciocché non perisca, si è perché ne allontana il peccato veniale, che dispone insensibilmente alla morte dell’anima. E ciò lo insegna chiaramente il Concilio di Trento, che chiama la santissima Eucarestia antidoto, con cui siamo preservati dal peccato mortale, e rimedio con cui veniamo liberati dal veniale. Oh dunque siano rese grazie a Dio, che ci ha provveduto di questo cibo di paradiso, che liberandoci dai peccati veniali, riaccende il fervore della carità e rende la vita dell’anima più forte e più robusta che mai per correre la via della cristiana perfezione! Sia sempre benedetta la bontà del Signore, che ci ha provveduto un cibo sì vantaggioso! Ma noi intanto procuriamo di servircene coll’accostarci a riceverlo con la massima frequenza e con le dovute disposizioni, e specialmente con quella viva fede, con cui la Emorroissa si accostò a toccare la veste di Gesù Cristo.

3. Finalmente essendo Gesù arrivato alla casa di quel principale, e avendo veduto i trombetti e una turba di gente che faceva molto strepito, diceva: Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Ma essi si burlavano di lui, non comprendendo nulla del perché Gesù parlasse in tal modo. Quando poi fu messa fuori la gente, egli entrò e la prese per mano. E la fanciulla si alzò. E se ne divulgò la fama per tutto quel paese. E qui per ben intendere questo ultimo tratto del Santo Vangelo bisogna sapere che gli Ebrei avevano preso dai pagani l’usanza d’invitare al letto funebre dei suonatori, che con lugubri arie stimolassero il dolore, e dei piangenti che con lamentevoli singhiozzi eccitassero il popolo a versar lacrime. Quali stranezze e gofferie, non è egli vero? E perché mai valersi di questi mezzi ad eccitare un dolore, che deve naturalmente trovarsi nel cuore nei giorni di duolo e di separazione? E poi perché accontentare tanto la vanità in quel lusso funebre spiegato intorno ad una bara? Ma pur troppo anche oggidì noi vediamo stranezze simili ai funerali dei nostri morti! Inviti, corone di fiori, gran corteo di gente, e simili cose, che valgono ad esaltare l’orgoglio dei vivi, ma che nulla giovano ai morti. Oh come alcune preci sarebbero più utili ai poveri defunti, che tutti quegli ornamenti moltiplicati con grandi spese! Ma lasciando da parte queste riflessioni, consideriamo come Gesù disse che la fanciulla non era morta, ma dormiva. Per il che, secondo l’opinione comune dei Santi Padri, la fortunata figliuola di Giairo ha figurata la morte dei giusti. Imperciocché ogni giusto che muore senza rimorso del passato, senza affanno del presente, senza tema dell’avvenire, comincia a riposarsi e dormire in seno a Dio, potendo dire con ferma speranza: In pace in idipsum dormiam et requiescam. Sì, la morte dei giusti è un felicissimo addormentarsi nelle mani di Dio, perché se Iddio, come dice la S. Scrittura tiene strette nelle sue mani le anime dei giusti, chi mai potrà strapparle dalle sue mani? È vero che l‘inferno non lascia di tentare ed assalire anche i Santi nella loro morte, ma Dio non lascia di assisterli e di accrescere gli aiuti ai suoi servi fedeli, dove cresce il lor pericolo, dice S. Ambrogio. Quando il servo d’Eliseo vide la città circondata dai nemici, restò atterrito; ma il Santo gli fece animo dicendo: Non temere, perocché abbiam più gente con noi che non ne hanno quelli. E poi gli fece vedere un esercito d’Angeli mandati da Dio in loro difesa. Così al punto della morte del giusto verrà bene il demonio a tentarlo, ma verrà anche l’Angelo custode a confortarlo: verranno i Santi avvocati: verrà il protettore dei moribondi, S. Giuseppe, verrà S. Michele, ch’è destinato da Dio a difendere i servi fedeli in quell’ultimo contrasto con l’inferno: verrà la divina Madre a discacciare i nemici con porre il suo devoto sotto il suo manto: verrà sopra tutti Gesù Cristo a custodire dalle tentazioni quella sua pecorella innocente o penitente, per salvar la quale ha data la vita: Egli le darà la confidenza e la forza, che in tal combattimento le bisognano, onde ella fatto coraggio dirà: Il Signore si fece mio aiuto. Il Signore è la mia luce e mia salute, ho io da temere? – Forse direte: Certi Santi sono morti con gran timore della loro salute. Ed io vi rispondo: Pochi sono gli esempi di questi tali, che han menata buona vita, e poi siano morti con questo timore. Tuttavia il Signore ciò permise e permette in alcuni per purgarli in quel punto estremo di certe loro piccole macchie e renderli degni coi meriti di quelle vittorie d’entrar subito in Paradiso. Del resto i giusti muoiono nella pace e persino nell’allegrezza. Il padre Suarez esclamava: No, non credeva che fosse così dolce il morire. San Luigi andava ripetendo: Mi son tutto rallegrato al dolce annunzio che mi fa intendere la mia prossima entrata nella casa di Dio. Il cardinale Roffense, quando, condannato dall’iniquo Enrico VIII, andò a morir per la fede, volle vestire le più belle vesti, dicendo che andava alle nozze. Quando poi fu a vista del patibolo buttò il suo bastoncello e disse: Via su, piedi miei, presto camminate, poco ci è lontano il Paradiso. E prima di morire intonò il Te Deum in ringraziamento a Dio che lo faceva morir martire della sua fede; e così tutto allegro pose la testa sotto la mannaia. S. Francesco d’Assisi cantava morendo, ed invitava gli altri al canto. Padre, gli disse fra Elia, morendo bisogna piangere, non cantare. Ma io, rispose il santo, non posso fare a meno di cantare, vedendo che tra breve ho da andare a goder Dio. Una religiosa teresiana, morendo giovinetta, e stando le altre monache a piangerle d’intorno, loro disse: Oh Dio! Perché piangete? io vado a ritrovare il mio caro Gesù: rallegratevi meco, se m’amate. E il Padre Granata narra che un certo cacciatore trovò un solitario lebbroso, che si stava morendo e cantava. Come, disse quegli, stando così puoi cantare? Rispose il romito: Fratello, fra me e Dio non si frappone che il muro di questo mio corpo; ora io lo vedo cadere ed è perciò che mi consolo e canto. Tale riesce la morte ai santi, e tale riuscirà pure, o miei cari Cristiani e cari giovani, la morte nostra, se ci metteremo con impegno a menar una santa vita. Anche per noi in quel punto vi sarà la pace e l’allegrezza, so adesso ameremo davvero Gesù e fuggiremo costantemente il peccato. Il Padre La Colombière teneva per moralmente impossibile che faccia una mala morte chi è stato fedele a Dio in vita. E prima lo disse S. Agostino: Non può fare una mala morte colui che ha vissuto bene. Chi sta apparecchiato a morire non teme qualunque morte, benché improvvisa. – Coraggio, adunque, viviamo in modo che anche di ciascuno di noi al termine di nostra vita si possa dire: Il tale non è morto, ma dorme, si è cioè addormentato nel bacio del Signore.

Credo… 

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Offertorium

Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris. [Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Comunione spirituale https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis. [In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

Preghiere leonine  https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messahttps://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/