SALMI BIBLICI: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT IN SEMETIPSO” (XXXV)

SALMO 35: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXXV

[1] In finem. Servo Domini ipsi David.

[2] Dixit injustus ut delinquat in semetipso:

non est timor Dei ante oculos ejus.

[3] Quoniam dolose egit in conspectu ejus, ut inveniatur iniquitas ejus ad odium.

[4] Verba oris ejus iniquitas, et dolus; noluit intelligere ut bene ageret.

[5] Iniquitatem meditatus est in cubili suo; astitit omni viæ non bonæ, malitiam autem non odivit.

[6] Domine, in cælo misericordia tua, et veritas tua usque ad nubes.

[7] Justitia tua sicut montes Dei; judicia tua abyssus multa. Homines et jumenta salvabis, Domine,

[8] quemadmodum multiplicasti misericordiam tuam, Deus. Filii autem hominum in tegmine alarum tuarum sperabunt.

[9] Inebriabuntur ab ubertate domus tuæ, et torrente voluptatis tuae potabis eos;

[10] quoniam apud te est fons vitae, et in lumine tuo videbimus lumen.

[11] Prætende misericordiam tuam scientibus te, et justitiam tuam his qui recto sunt corde.

[12] Non veniat mihi pes superbiæ, et manus peccatoris non moveat me.

[13] Ibi ceciderunt qui operantur iniquitatem; expulsi sunt, nec potuerunt stare.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXV

Salmo inspirato a Davide da cantare sempre sino alla fine. Argomento è la gran malizia di alcuni uomini, e la molto maggiore misericordia e giustizia di Dio.

1. Per la fine: salmo dello stesso David servo del Signore.

2. Discorre l’iniquo dentro di sé stesso di far del male; il timore di Dio innanzi agli occhi di lui non è.

3. Perocché nel cospetto di lui egli ha agito con frode, onde odiosa diventi la sua iniquità.

4. Le parole della bocca di lui sono ingiustizia ed inganno; non volle intendere per bene operare.

5. Meditò nel suo letto l’iniquità: qualunque via non buona gli piacque, e non ebbe nissun raccapriccio della malvagità.

6. Signore, nel cielo è la tua misericordia, e la tua verità fino alle nubi.

7. La tua giustizia è come gli altissimi monti: abisso grande i tuoi giudizi.

E gli uomini e i giumenti tu salverai, o Signore;

8. Tanto si stende, o Signore, la tua misericordia. Ma i figliuoli degli uomini all’ombra dell’ali tue spereranno.

9. Saranno inebriati della opulenza della tua casa, e al torrente di tue delizie darai loro da bere.

10. Perocché presso di te è la sorgente della vita, e nel lume tuo vedrem la luce.

11. Spandi la tua misericordia sopra coloro che ti conoscono, e la tua giustizia a prò di quelli che hanno cuor retto.

12. Non venga contro di me il pie del superbo, e non mi smovano i tentativi del peccatore.

13. Ivi andarono per terra quelli che commettono l’iniquità: furon cacciati fuora, e non poteron tenersi in piedi.

Sommario analitico

In questo salmo:

I. Davide dipinge l’empietà e la malizia di certi uomini: 1° essa si impadronisce a) della loro volontà, per la scelta riflessiva che ha fatto del male; b) della loro intelligenza, nel rifiutare il pensiero del timor di Dio (1). 2°Da queste due facoltà principali, la corruzione si estende: a) alle loro opere, piene di frodi per gli uomini, ed odiose al Signore (2); b) ai loro discorsi empi nei riguardi di Dio, ingannatori nei riguardi del prossimo (3 e 4); c) ai loro pensieri che il male impregna in ogni tempo, nella notte, durante la quale il malvagio medita e concepisce il male; e durante il giorno, ove indugia nelle vie perverse e vi persevera (4).

II Egli oppone a questa empietà, a questa malizia, il quadro degli attributi di Dio, della sua verità, della sua giustizia, ma soprattutto della sua misericordia.

1° Egli espone le dimensioni di queste divine perfezioni: – a) l’altezza della sua misericordia: essa si eleva fino ai cieli, e la sua verità fino alle nubi (5); – b) la profondità dei suoi giudizi. Essa eguaglia quella degli abissi (6).

2° Egli considera la sua misericordia nei rapporti con gli uomini: – a) rispetto ai peccatori; 1) essa li salva, benché con i loro peccati siano divenuti simili agli animali; 2) essa si moltiplica in proporzione alla moltitudine dei peccatori (7). – b) nei riguardi dei giusti nel cielo; 1) essa li copre con una provvidenza speciale ed una singolare affezione (8); 2) inebria la loro volontà con il suo amore; 3) inonda tutti i loro sensi col torrente delle divine voluttà; 4) unisce la loro volontà a Dio con la luce della gloria (10). – c) nei riguardi dei giusti della terra, Dio fa loro sentire la misericordia e la giustizia (11), 1) la misericordia, dando loro la virtù dell’umiltà; difendendoli contro i superbi (12); 2) la giustizia, abbassando i loro nemici, impedendo loro di rivelarsi rendendo la loro rovina irrevocabile (13).

Spiegazioni e Considerazioni

I — 1-4.

ff. 1. – Il salmista ci traccia qui un’immagine molto somigliante di un grande numero di uomini che peccano, non solo per sorpresa o per debolezza, ma per volontà determinata e con ferma premeditazione. Qualunque cosa si faccia per dissuaderli, essi hanno detto in se stessi che vogliono assolutamente peccare e non vanno al di là dei loro propositi, e questo solo in odio a Dio (Dug.). – Ma colui che si è proposto di peccare, lo dice pubblicamente, o piuttosto non lo dice in se stesso? Perché lo dice soltanto in se stesso? Perché gli uomini non possono vederlo, come mai? Perché gli uomini non vedono in fondo al loro cuore, ove dice che peccherà, e Dio non vede ugualmente? Certamente Dio vi guarda. Ma ascoltate ciò che segue: « Il timore di Dio non è davanti ai loro occhi » (S. Agost.). – La causa di tutti i misfatti che si commettono nel mondo, è la mancanza di questo timore. Cosa fanno gli empi prima di bestemmiare contro tutti i misteri della Religione? Cominciano col negare la vita futura e i giudizi di Dio. Una volta rotto questo freno, nulla più li arresta; quando sussiste la fede nei giudizi di Dio, nulla è ancora perduto per i peccatori. È per questo che tutti i libri Sacri raccomandano con forza il timore del Signore (Berthier).

ff. 2. –  Non c’è nulla che renda l’iniquità più degna dell’odio di Dio che la dissimulazione e l’inganno. Ora, è questo l’agire con artificio alla presenza di Dio:  apparire di essere suo amico, quando si è invece amico del mondo; è agire con l’inganno alla sua presenza dare al mondo tutto il suo interno e gli effetti reali, e non dare a Dio che l’esteriorità e le apparenze; è agire con la dissimulazione in sua presenza, il difendere il proprio peccato o facendo in modo negligente l’esame di coscienza (Hug. Card.).

ff. 3. – È uno stato funesto, uno stato deplorevole, e nello stesso tempo molto più comune di quanto si pensi: essere malato e sapere come guarire; essere cieco e non voler uscire dalla propria cecità, né aver l’intelligenza necessaria per fare il bene; ed anche non volersi istruire nei propri doveri, per paura di sentirsi obbligato a metterli in pratica, fuggire i predicatori ed i confessori, che dicono la verità, perché non si vuole apprendere nulla da loro, né si vuole seguirli (Duguet). – È questo un peccato di un’infinità di Cristiani che non vogliono essere illuminati su determinati fatti, su certi dubbi, su certe turbe di coscienza, perché sentono bene, per poco che sondino se stessi, che non sono nella disposizione di compiere dei doveri ai quali questi chiarimenti poi li obbligherebbero … Se in una moltitudine di circostanze, si volesse entrare nella discussione delle cose e pesare tutto nella bilancia del santuario, è evidente che si troverebbero tanti conti da rendere, tante ingiustizie da riparare, restituzione di beni da fare; ora, tutto questo imbarazzerebbe e si risolverebbe in estremi incresciosi. Che si fa allora? Per togliersi l’inquietudine e lo scrupolo, se ne ignora la conoscenza; ci si indurisce su questo, e si prende la decisione di non pensarci affatto (Bourd.: Aveugl. spirit.). – Questo rifiuto di comprendere, questa fuga dalla luce, è uno dei tratti che meglio caratterizzano l’uomo vizioso. Allora, la legge di Dio, proprio perché apre l’intelligenza, rischiara la vista e non serve più che ad importunare. Ciò che si era appreso e che è più capace di indurre rimorsi, diviene allora odioso e penoso, si cessa di leggere e vedere ciò che sarebbe istruttivo, edificante e salutare, perché non lo si ama più, essendosi resoluti nel non osservare alcun dovere, anche il più piccolo, e di obliarli. Un tale disgusto della virtù e della verità conduce ben presto ad una indisposizione ancor più criminale. Il male diviene un’occupazione tanto seria, che lungi dal detestarlo, se ne fa uno studio: lo si medita di notte, lo si esegue di giorno (Degu, Rendu).

ff.4. – Naturalmente colui che si mantiene nella via dell’errore, medita l’ingiustizia, la malizia, che dovrebbe odiare. Il Salmista dice che costui si è arrestato in questa via. In un altro Salmo egli proclama felice colui che non indugia nella via dei peccatori, ma non colui che non smette di soggiornarvi. (S. Ambrog.). – Quando un uomo è interamente votato all’iniquità, non pensa che al male, anche nel tempo consacrato al riposo. Il silenzio della notte è destinato a formare iniqui progetti, a cercare i mezzi per soddisfare una passione odiosa; ci si alza ancora più colpevole di quanto ci si era addormentati, ed il giorno è impiegato solo per mettere in pratica quanto si è immaginato durante le tenebre. I santi ritengono il sonno come tempo perso per la salvezza, mentre i malvagi lo ritengono molto utile per i progetti che formano nelle loro passioni. (Berthier). – Così si applicano all’odio del bene e alla ricerca del male, con cui il profeta ci intrattiene. La grandezza e la bontà di Dio sono precisamente ciò che acceca ed indurisce i malvagi. Una misericordia inesauribile, delle verità sublimi, una giustizia lenta a punire, dei giudizi che sembrano degli impenetrabili abissi, una Provvidenza che fa sorgere il sole e cadere la pioggia su tutte le creature: tutto questo, è fatto per suscitare l’ammirazione e la riconoscenza nei cuori retti e puri, ma è mortale per i cuori dei mal disposti. Essi ne concludono o che Dio non esista, o che non si preoccupi affatto, nel supremo giudizio del bene e del male, di ciò che avviene sulla terra. Da questo traggono un’ultima conseguenza, che cioè essi possono, senza alcun rischio per l’eternità, abbandonarsi alle loro passioni (Rendu). – Letto funesto, riposo maledetto, è la falsa pace di una cattiva coscienza. Il peccatore riposa nella sua iniquità come in un letto piacevole; ma quale riposo può trovare un cuore nel quale tutto è pieno di turbamento ed agitazione? Egli va per ogni tipo di strada; segue indifferentemente tutte le vie; fugge la buona, che è la via stretta che sola porta alla vita, e si ferma in quelle larghe che non sono buone. – Quando non si amasse il male, è sufficiente, per essere colpevoli, il non detestarlo, non averne avversione, essere insensibile a tutti gli oltraggi che si fanno incessantemente a Dio (Duguet).

II — 5-13.

ff. 5, 6. –  « Voi salverete, o Signore, gli uomini e gli animali » Cosa vuol dire? Le creature ragionevoli e quelle prive di ragione. Per le prime la giustizia; per le seconde, la misericordia. Le une sono governate, dirette, le altre sono sottomesse, così il salmista aggiunge: « Ma i figli degli uomini sperano all’ombra delle vostre ali »; cioè i figli degli uomini che vivono ad immagine e somiglianza di Dio, non sono condotti al pascolo, ma si siedono al banchetto. Agli uni le fertili praterie; agli altri i privilegi insigni dei Sacramenti; per gli imperfetti il latte, per i perfetti questa tavola dove essi riparano le loro forze e dove lo stesso salmista ha detto in un altro luogo: « Voi avete preparato davanti a me una tavola » (Ps. XXII, 5). – La misericordia di Dio è ineffabile, essa si estende dalla terra al cielo, è più elevata del cielo, e sorpassa infinitamente i nostri pensieri. La verità si eleva fino alle nubi, poiché non c’è nulla di più sublime, ma essa ha anche, in questa via, l’oscurità delle nubi. Il sole di giustizia ci rischiara attraverso queste ombre, ma non quanto ci rischiarerà nella patria celeste. Tre epoche sono in rapporto alla verità: quella della legge, in cui la verità era figurativa; quella del Vangelo, in cui la verità è rivelata, ma avvolta da ombre affinché possiamo avere il merito della fede; infine quella della vita futura, in cui la verità è messa allo scoperto, perché Dio la rivela pienamente in Se stesso (Berthier). – La giustizia di Dio non è meno elevata sopra di noi della sua misericordia. Essa è, come le montagne di Dio, inaccessibile a tutti gli uomini. I giudizi di Dio sono un abisso impenetrabile che oltrepassa la pochezza della nostra intelligenza (S. Agost.). – « L’uno sarà preso, l’altro lasciato ». Un grande peccatore si converte, fa penitenza e si salva; un giusto che è vissuto nella virtù soccombe ad un movimento di orgoglio, decade dal suo stato e si danna. Saggi agli occhi del mondo ed ai loro occhi, che sono abbandonati alle loro tenebre; la luce di Dio è data agli umili ed ai piccoli. « O profondità dei tesori della saggezza e della scienza di Dio, che i suoi giudizi sono impenetrabili e le sue vie incomprensibili » (Rom. XI, 33). – La giustizia di Dio è elevata, perché nessuno merita che Dio non gli renda molto più di quello che meriti. La verità è più elevata, perché Dio ci ha promesso e ci ha dato le grazie che noi non abbiamo mai meritato, come l’Incarnazione e tutto quel che ha rapporto con la Redenzione. Ma la misericordia è molto più elevata, perché essa ci ha dato delle cose alle quali il nostro pensiero non può giungere, secondo quanto ci dice San Paolo: « ciò che l’occhio dell’uomo non ha visto, etc. ». (S. Tommaso). – I vostri giudizi sono come abissi infiniti. Il sublime Apostolo era confuso dinanzi a questi abissi, ed era questo un grido di stupore ed ammirazione: « O abisso della saggezza e della sapienza di Dio, quanto incomprensibili sono i suoi giudizi, ed inscrutabili le sue vie! Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? Chi penetra le sue profondità nascoste? Chi penetra nei suoi segreti impenetrabili ». Cosa! Un’anima resta per un’altra anima un mondo assolutamente chiuso nell’oscurità, e noi pretendiamo di entrare nell’Essenza divina, la sola infinita, la sola inaccessibile, come una volgare soglia, aperta a tutti, e noi pretendiamo di annullare o rivedere i suoi giudizi? « O Dio i vostri giudizi sono come degli abissi », i vostri misteri si elevano davanti a me, intercettano tutti i sentieri della mia intelligenza, oltrepassano i più potenti sforzi della mia sapienza, e bruciano le ali della mia investigazione più perspicace. Il mistero è dappertutto, dappertutto ombre pericolose mi circondano, dappertutto io devo adorare senza vedere, inchinare davanti alla vostra infinita sapienza ed ai vostri incomprensibili pensieri, la mia debole ed orgogliosa ragione (Doublet, Psaumes etc. III, 218).

ff. 7. – La vostra misericordia è così abbondante, che essa non si espande solo sugli uomini, ma pure sugli animali; essa è così potente che fa sì che il sole si elevi sui buoni e sui cattivi, e che voi spandiate la vostra rugiada sui giusti e sui peccatori (Matt. V, 45). – Ma i vostri santi non avranno nulla di particolare? Il giusto non riceverà nulla che gli sia proprio e che l’empio non spartirà con lui?. Sì, senza dubbio; ascoltate ciò che segue: « Ma i figli degli uomini »? e gli uomini non sono forse i figli degli uomini? Voi, Signore, conservate gli uomini e gli animali; ma i figli degli uomini? Ebbene, cosa avranno essi di particolare? « I figli degli uomini spereranno all’ombra delle vostre ali » (Ps. XXXV, 7, etc.). – Ecco cosa non sarà in comune con gli animali. Perché dunque questa distinzione tra gli uomini? E gli uomini non sono forse i figli degli uomini? Senza alcun dubbio, c’è un uomo che non sia figlio di un uomo? Adamo era uomo, ma non figlio dell’uomo; Gesù Cristo era nel contempo Uomo e Figlio dell’uomo. Ora, come tutti muoiono per Adamo, tutti rivivono per Gesù-Cristo (I Cor. XV, 22). – Coloro che muoiono e che muoiono senza ritorno, cercano la loro salvezza con gli animali, e non la cercano con i figli dell’uomo, nella speranza della vita eterna. I primi sono nel novero degli uomini, ma i figli dell’uomo appartengono al Figlio dell’uomo (S. Agost.). – La provvidenza generale che veglia sulla conservazione e la sopravvivenza degli animali di ogni specie, è una sorta di dimostrazione in favore del desiderio che il Signore ha di salvare tutti gli uomini. Senza la salvezza eterna, gli uomini sarebbero più sciagurati delle bestie, e Dio avrebbe – sembrerebbe – meno provvidenza per gli uomini che per le bestie, anche in apparenza i più vili (Berthier). – L’eredità dei giusti, come figli della casa, è dunque quella di essere al coperto sotto le ali dell’Onnipotente, contro i pericoli che li minacciano, e di sostenersi con la speranza che essi hanno di prendere parte, un giorno, all’eredità del Padre loro.

ff. 8. – È in questi termini che il Re-profeta, sollevando un angolo del velo dei nostri destini immortali, e facendoci vedere in enigma ciò che contempleremo un giorno faccia a faccia, ci rivela la felicità degli eletti. Egli ha cercato di esprimere, per mezzo di qualche comparazione con le cose umane, ciò che egli voleva dire, e siccome vedeva che gli uomini piombavano nella ebrezza, nel bere vino smoderatamente e perdere la ragione, egli ha creduto di poter esprimere il suo pensiero con questa immagine, perché sotto l’espressione di questa gioia ineffabile, la ragione umana si perderà in qualche modo, diventerà divina e sarà inebriata dall’abbondanza che è nella casa di Dio (S. Agost.). Il torrente differisce dai fiumi nel fatto che questi scorrono incessantemente e le loro acque sono più tranquille. Il torrente si precipita con più violenza, trascina e travolge tutto ciò che incontra nel suo passaggio; noi temeremo allora il torrente, poiché si tratta di un torrente di voluttà. Ma la felicità celeste invaderà le nostre anime con una effusione così rapida, che la sola impetuosità del torrente ce ne può dare solo una pallida idea. Tuttavia, è bene sperare in un altro torrente, il torrente della persecuzione, della sofferenza, prima di essere bagnati dal torrente della voluttà, che deve essere la nostra ricompensa. Ricordiamo le parole di San Paolo. « Tutte le sofferenze di questo mondo non sono degne di essere assimilate alla gloria che ci sarà rivelata un giorno » (Rom. VIII, 18). Non temiamo più di bere nel corso del nostro cammino l’acqua del torrente; non temiamo più le pene, le persecuzioni, le sofferenze, poiché ci dovremo un giorno inebriare del torrente delle eterne delizie. Opponiamo la povertà, la carestia, l’indigenza a tutti i piaceri della terra, che lasciano sempre l’anima tormentata dalla fame, all’abbondanza, alla pienezza, alla società perfetta che si trova nella casa di Dio; … quest’acqua morta e melmosa che non fa che alterare coloro che ne bevono, all’acqua viva, all’acqua pura, al torrente di delizie tutte divine di cui Dio inonda l’anima degli eletti. – Tale è la gioia dei beati, la cui pienezza è infinita, di cui i trasporti sono inconcepibili e gli eccessi tutti divini. Lungi dalla nostra idea le gioie sensibili, che turbano la ragione e non permettono all’anima di possederla, di modo che non si osi dire che essa gioisca di alcun bene, poiché uscita da se stessa, sembri non essere in sé per gioirne. Qui essa è veramente toccata nel fondo più intimo, nella parte più delicata e più sensibile: tutta fuor d’essa, tutta a se stessa, possedendo Colui che la possiede, la ragione sempre attenta e sempre contenta (Bossuet, III Serm. Fete de tous Saints).

ff. 9. –  « In voi è la sorgente della vita, ed è nella vostra luce che vedremo la luce ». Nostro Signore Gesù Cristo è questa sorgente di vita abbondante ed inesauribile che è discesa sulla terra per irrorare la secchezza della nostra anima. Egli è lo splendore della gloria di Dio Padre, l’immagine della sua sostanza, ed è così che in questa luce vera che rischiara ogni uomo che viene in questo mondo, noi vedremo il Padre, perché Dio è luce. Il Re-profeta dice con giustezza rimarchevole di espressione: « è nella vostra luce che noi vedremo la luce », secondo quella parola del Salvatore: « Colui che mi vede, vede il Padre mio » (Joann. XIV, 9). In Voi dunque è la sorgente della vita, in Voi noi vedremo il Padre. Fin dal principio, Voi, il Dio, il Verbo, eravate con vostro Padre, così il Padre è sempre in Voi (S. Ambr.). – Sulla terra, la sorgente è diversa dalla luce. Voi cercate una sorgente per estinguere la vostra sete e, per venire a questa sorgente, voi cercate la luce, e se è durante la notte, voi accendete una lampada per dirigere i vostri passi verso questa sorgente. Ma questa sorgente nello stesso tempo è la luce: per colui che ha sete, è una sorgente, per colui che è cieco, è una luce; aprite i vostri occhi per vedere la luce, aprite la bocca del vostro cuore per bere a questa fonte: ciò che bevete lo vedete, lo comprendete. Dio diventa tutto per voi, perché Egli riunisce in Lui tutte le cose che amate: voi affamati,… Egli è vostro pane; voi assetati, … Egli è l’acqua che vi rinfranca; voi siete nelle tenebre, Egli per voi è la luce, perché Egli resta sempre incorruttibile; se ignudo, Egli è per voi un vestito di immortalità (S. Agost. Traité XIII sur Saint Jean, 5). – « Dio è luce, e luce senza mescolanza di tenebre » (Joann, I, 5), e comunica all’uomo questa luce in tre gradi differenti: Dio dà all’uomo dapprima la luce della ragione, quella che lo distingue dal bruto, quella che fa che noi pensiamo, giudichiamo, compariamo, percepiamo la verità. Ma noi siamo creati per un fine che oltrepassa e lascia molto dietro tutti i limiti della propria natura: vedere Dio e contemplarlo faccia a faccia, tale è il destino umano! Ora, ci dice il Dottore angelico, come l’uccello nella notte, a causa dell’infermità dei suoi occhi, non può sopportare il chiarore del giorno, allo stesso modo l’uomo, a causa dell’infermità della sua ragione, non può contemplare lo splendore di Dio. Per vedere la sua luce infinita, non c’è di meglio per l’uomo, che questa luce stessa di Dio. È l’espressione del Re-profeta: « … noi vedremo la vostra luce nella vostra luce ». Questa è la luce di quel libro che rischiara gli eletti nel cielo, e che Dio comunica all’anima per renderla capace di vederlo faccia a faccia. Tuttavia, aggiunge San Tommaso, così come tra le tenebre della notte ed il chiarore del giorno pieno, ci sono gli intermedi del crepuscolo e dell’aurora, così pure Dio, per abituare l’uomo, ed iniziarlo poco a poco col suo occhio infermo alla luce grande e completa che deve un giorno vedere, comincia già da questo mondo ad aggiungere alla ragione umana una seconda luce, che già metta l’uomo in rapporto con verità di un ordine superiore alla sua natura. È la luce della grazia, luce di fede e di amore, lampada brillante che rischiara lo spirito e riscalda il cuore (S. Tommaso, Summa theol. I, p. III.). – È così che Dio ci ha tracciato i gradini luminosi attraverso i quali dobbiamo salire fino a Lui. Egli ci eleva di luce in luce: Egli ci rischiara sempre più nella misura in cui ci avviciniamo alla sua chiarezza divina, e quando, infine, nella sua luce, noi vedremo la sua luce faccia a faccia, allora soltanto avremo raggiunto il termine del nostro destino immortale.

ff. 11. « Che il piede del superbo non giunga fino a me », vale a dire che io non cada nell’orgoglio. Guardiamoci dall’orgoglio, che può causare la nostra rovina anche in mezzo alla più prospera situazione. Adamo in paradiso ha fatto una caduta ben più rovinosa di quella che avrebbe fatto sulla terra. Cadere da queste altezze, è precipitare in un precipizio; sul terreno più umile, questa è una semplice caduta. Ora il piede del superbo si smarrisce, perché non è guidato dalla testa, perché gli occhi del saggio sono nella sua testa. Nulla di sorprendente se il piede fuorvia, quando non è diretto dall’occhio. L’occhio precede, ed il piede segue. Come un viaggiatore potrebbe camminare nelle tenebre? Il piede viene ben presto a smarrirsi, se l’astro delle notti, che è come l’occhio del mondo, non gli mostra la via. Ora, voi siete nella notte di questo secolo. La Chiesa vi mostra il cammino, il Sole di giustizia vi illumina dall’alto del cielo, perché non abbiate a temere alcuna caduta (S. Ambr.). – Il salmista ci parla del piede dell’orgoglio; aggiunge: « … e che la mano del peccatore non mi disperda ». Siccome i Santi sono le membra di Gesù-Cristo, così gli empi sono le membra del demonio. « … Che la mano del peccatore non mi disperda », cioè che le azioni di coloro peccano contro di Voi, non mi facciano uscire dal sentiero della giustizia. Sovente, in effetti, quando noi vediamo tutte le imprese dei peccatori coronate dal successo, la nostra anima è smarrita. E la mano dei peccatori sembra volerci separare dalla radice della giustizia. Prendiamo dunque cura che una mano nemica non venga a sradicare ciò che la mano di Dio ha piantato nella sua casa (Idem).

ff. 12. –  « Essi sono stati abbattuti, e non possono rialzarsi ». Breve questa conclusione, ma piena di gravi insegnamenti! Che io non sia superbo, per non peccare; che io non pecchi per non essere abbattuto; che io non sia abbattuto per on cadere, che o non cada per non essere espulso, come Adamo lo è stato dal paradiso, perché in lui, per primo, il piede dell’orgoglio, non ha potuto rialzarsi » (S. Ambr.). – Questa abbondanza della casa di Dio, questa sorgente di vita, questa luce di Dio, i doni ineffabili della sua misericordia, sono precisamente l’eredità di coloro che lo conoscono bene, cioè di coloro che Lo conoscono col cuore, che praticano esattamente tutti i suoi comandamenti, Lo intrattengono familiarmente con la preghiera, Gli parlano e Lo ascoltano quando Egli si degna parlare con loro (Dug.). – Coloro il cui cuore è retto sono coloro che, in questa vita, si conformano alla volontà di Dio. La volontà di Dio è la medesima, sia quando siete in salute, sia quando siete malati: se, quando siete in salute, la volontà di Dio è dolce, ma vi è amara quando siete malato, voi non avete il cuore retto. Perché? Perché vi rifiutate di regolare la vostra volontà sulla volontà di Dio, e volete piegare la volontà di Dio alla vostra volontà. La sua volontà è retta, e la vostra non lo è: occorre dunque raddrizzare la vostra volontà sulla sua, e non piegare la sua conformemente alla vostra: allora voi avrete il cuore retto (S. Agost.). – La felicità eterna è nello stesso tempo una misericordia ed una giustizia: una misericordia, perché è una grazia puramente gratuita per cui da peccatori si diventi giusti e si fanno buone opere. È anche una corona di giustizia e la ricompensa delle buone opere. Così la ricompensa è dovuta alle buone opere, se si fanno; ma la misericordia, che non è dovuta, precede, affinché le si facciano. (Conc. Arauc. II, can. 16). – Rimarchiamo David che esalta queste due cose: la conoscenza di Dio e la rettitudine del cuore. L’una e l’altra sono doni preziosi dello Spirito Santo. La conoscenza di Dio bisogna conquistarla con la meditazione e lo studio, fatti ai piedi della croce; la rettitudine del cuore, bisogna meritarla con l’amore sincero dei beni celesti, preferiti a tutte le cose della terra. Allora si realizza il doppio augurio del Re-profeta: la vittoria sull’orgoglio, il nostro più grande nemico interiore, e la vittoria sui nemici esterni. Ogni pensiero orgoglioso è respinto dal lavorio fatto ai piedi della croce; e cosa può temere l’uomo che, andando dritto a Dio, sempre attento ai suoi doveri, usando di questo mondo senza mai servirsene per le sue vanità e i suoi capricci, non stimi realmente e non ambisca al cielo? Egli sa bene che ogni operatore di iniquità, dopo qualche successo momentaneo che avrà esaltato le sue ambizioni e gonfiato il suo orgoglio, deve finire con una caduta eterna (Rendu). – Il Re-Profeta temeva la radice del peccato e la testa del peccato; ecco perché egli dice. « Che l’orgoglio non prenda piede in me ». Perché parla del piede dell’orgoglio? Perché l’orgoglio allontana da Dio e Lo lascia; dicendo il piede, egli vuol dire l’affezione. « Che la mano del peccatore non mi disperda »; cioè che le azioni del peccatore non mi allontanino da Voi, e mi attirino nell’imitarle » (S. Agost.). – Il piede dell’orgoglioso conduce all’orgoglio che è il primo ed il principe di tutti i peccati; la mano del peccatore spinge al peccato, e se non sempre abbatte, comunque fa vacillare.

ff. 13. –  Tutti coloro che sono ora nell’iniquità sono caduti dapprima nell’orgoglio, primo peccato del cielo e della terra: del cielo, con la caduta degli angeli; della terra, con la caduta del primo uomo: « … essi sono stati cacciati e non si sono rialzati ». Il primo è il demonio, che non si è tenuto nella verità; in seguito coloro che Dio, a causa dello stesso, ha cacciato dal Paradiso (S. Agost.). – Ciò che è vero per gli individui, lo è egualmente per le nazioni e per i popoli: l’impunità non avrà mai lunga durata per una nazione che camminerà, come nazione, nelle vie dell’infedeltà e dell’apostasia, e che immolerà i diritti sacri a Dio ai pretesi diritti dell’uomo. Essa sarà sempre sul punto di perdere l’equilibrio e non potrà tenersi in piedi. Nessuno dei regimi che piacerà ad essa darsi, potrà durare; il minimo soffio li sconvolgerà l’uno dopo l’altro, la loro espulsione sarà affare di un istante. Così sono caduti tutti i poteri che abbiamo visto succedersi nelle stesse condizioni; un semplice scossone li ha gettati a terra, perché non avevano in se stessi la potenza per tenersi in piedi (Mgr. Pie, VII, 101).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.