PERFEZIONE DELLA VITA CRISTIANA (2)

Perfezione della vita cristiana

[A. Tanquerey: Compendio di teologia ascetica e mistica – Soc. S. Giovanni Evang. Desclée e Ci.; Roma, Tournai – Parigi. 1948]

CAPITOLO III -2-

§ II. La carità sulla terra suppone il sacrificio.

321. In paradiso ameremo senza bisogno di immolarci, ma sulla terra la cosa corre altrimenti. Nello stato attuale di natura decaduta ci è impossibile di amare Dio con amore vero ed effettivo senza sacrificarci per Lui. È ciò che risulta da quanto abbiamo detto più sopra, ai n. 74-75, sulle tendenze della natura corrotta che restano nell’uomo rigenerato. Noi non possiamo amar Dio senza combattere e mortificare queste tendenze; è lotta che comincia col primo svegliarsi della ragione e termina solo con l’ultimo respiro. Vi sono, è vero, momenti di sosta, in cui la lotta è meno viva; ma anche allora non possiamo disarmare senza esporci ai contrattacchi del nemico. È un fatto provato dalla testimonianza della Sacra Scrittura.

La Sacra Scritturaci dichiara apertamente la necessità assoluta del sacrificio o dell’abnegazione per amar Dio e il prossimo.

322. A) A tutti i suoi discepoli rivolge Nostro Signore questo invito: « Chi vuol seguir me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » – « Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam et sequatur me » (Matth. XVI; Luc. IX, 23). Per seguire Gesù ed amarlo, è condizione essenziale il rinunziare a se stesso, cioè alle cattive tendenze della natura, all’ egoismo, all’orgoglio, all’ambizione, alla sensualità, alla lussuria, all’amore disordinato delle comodità e delle ricchezze; è il portare la propria croce, accettare i patimenti, le privazioni, le umiliazioni, i rovesci di fortuna, le fatiche, le malattie, in una parola tutte quelle croci provvidenziali che Dio ci manda per provarci, per rassodarci nella virtù e facilitarci l’espiazione delle colpe. Allora, e allora soltanto, si può essere suoi discepoli e camminare per le vie dell’amore e della perfezione. Gesù conferma questa lezione col suo esempio. Egli che era venuto dal cielo espressamente per mostrarci il cammino della perfezione, non tenne altra via che quella della croce: « Tota vita Christi crux fuit et martyrium. » Dal presepio al Calvario,è una lunga serie di privazioni, d’umiliazioni, di pene, di fatiche apostoliche, coronate dalle angosce dalle torture della dolorosa sua passione. È ilcommento più eloquente del « Si quis vult venirepost me »; se ci fosse stata altra via più sicura, eice l’avrebbe mostrata, ma sapendo che non c’eratenne quella per trarci a seguirlo: « Quando saròelevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini » :« Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham a me ipsum » (Joan. XIII, 32). Così l’intesero gli Apostoli che ciripetono, con S. Pietro, che se Cristo patì per noi,lo fece per trarci alla sua sequela: « Christus passus est prò nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus » (1 Piet. II, 21).

323. B) Tal è pur l’insegnamento di S. Paolo: per lui la perfezione cristiana consiste nello spogliarsi dell’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo, « exspoliantes vos veterem hominem cum actibus suis et induentes novum » (Col. III, 9). Or l’uomo vecchio è il complesso delle cattive tendenze ereditate da Adamo, è la triplice concupiscenza che bisogna combattere e infrenare con la pratica della mortificazione. Dice quindi nettamente che coloro che vogliono essere discepoli di Cristo devono crocifiggere i loro vizi e i loro cattivi desideri: « Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et coticupiscentiis » (Gal. V, 24). È condizione essenziale, tanto ch’egli stesso si sente obbligato a castigare il suo corpo e a reprimere la concupiscenza per non rischiare di essere riprovato: « Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte, cum aliis prædicaverim, ipse reprobus efficiar ». (1 Cor. IX, 27)

324. C) S. Giovanni, l’apostolo dell’amore, non è meno chiaro e netto: insegna che, per amar Dio, bisogna osservare i comandamenti e combattere la triplice concupiscenza che regna da padrona nel mondo; e aggiunge che se si ama il mondo e ciò che è nel mondo, cioè la triplice concupiscenza, non si può possedere l’amor di Dio : « Si quis diligit mundum, non est caritas Patris in eo » (1 Joan. II, 15). Ora per odiare il mondo e le sue seduzioni, è chiaro che bisogna praticare lo spirito di sacrificio, privandosi dei piaceri cattivi e pericolosi.

325. 2° Ed è del resto necessaria conseguenza dello stato di natura decaduta qual 1’abbiamo descritto al n. 74, e della triplice concupiscenza che dobbiamo combattere, (n. 193 ss). E impossibile infatti amar Dio e il prossimo senza sacrificar generosamente ciò che si oppone a questo amore. Ora, come abbiamo dimostrato, la triplice concupiscenza s’oppone all’amor di Dio e del prossimo; bisogna quindi combatterla senza tregua e pietà, se vogliamo progredire nella carità.

326. Rechiamo qualche esempio. I nostri sensi esterni corrono avidamente verso tutto ciò che li solletica e mettono in pericolo la fragile nostra virtù. Che fare per resistervi? Ce lo dice Nostro Signore coll’energico suo linguaggio: « Se il tuo occhio destro è per te occasione di caduta, cavalo e gettalo via da te: è meglio per te che perisca uno dei tuoi membri, anziché tutto il tuo corpo venga gettato nell’ inferno » (Matth. V, 29) . Il che significa che bisogna saper staccare con la mortificazione gli occhi, le orecchie, tutti i sensi da ciò che è occasione di peccato; altrimenti non c’è né salvezza né perfezione. Lo stesso si dica dei nostri sensi interni, specialmente della fantasia e della memoria; chi non sa a quali pericoli ci esponiamo se non ne reprimiamo sul nascere i traviamenti? Le stesse nostre facoltà superiori, l’intelligenza e la volontà, sono soggette a molte deviazioni, alla curiosità, all’indipendenza, all’orgoglio; quanti sforzi non sono necessari, quante lotte sempre rinascenti per tenerle sotto il giogo della fede e dell’umile sottomissione alla volontà di Dio e dei suoi rappresentanti! Dobbiamo dunque confessare che, se vogliamo amar Dio ed il prossimo per Dio, bisogna saper mortificare l’egoismo, la sensualità, l’orgoglio, l’amore disordinato delle ricchezze, onde il sacrifizio diventa necessario come condizione essenziale dell’amor di Dio sulla terra. – È questo in sostanza il pensiero di S. Agostino quando dice: « Due amori hanno fatto due città: l’amor di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha fatto la città terrestre; l’amor di Dio spinto fino al disprezzo di sé ha fatto la città celeste » Non si può, in altre parole, amar veramente Dio che disprezzando se stesso, cioè disprezzando e combattendo le cattive tendenze. In quanto a ciò che vi è di buono in noi, bisogna esserne grati al primo suo Autore e coltivarlo con sforzi incessanti.

327. La conclusione che logicamente ne viene è che, se per essere perfetti bisogna moltiplicare gli atti d’amore, non è meno necessario moltiplicare gli atti di sacrificio, poiché sulla terra non si può amare che immolandosi. Del resto si può dire che tutte le nostre opere buone sono insieme atti d’amore e atti di sacrificio: atti di sacrificio in quanto ci distaccano dalle creature e da noi stessi, atti di amore in quanto ci uniscono a Dio. Resta quindi da vedere in che modo si possano conciliare insieme questi due elementi.

§ III. Parte rispettiva dell’amore e del sacrificio nella vita cristiana.

328. Dovendo l’amore e il sacrificio avere la loro parte nella vita cristiana, quale sarà l’ufficio di ognuno di questi due elementi? Su tale argomento, vi sono punti in cui tutti convengono e altri in cui si manifesta qualche disparere, benché poi in pratica i dotti delle diverse scuole riescano a conclusioni pressoché identiche.

329. 1° Tutti ammettono che in sé, nell’ordine ontologico o di dignità, l’amore tiene il primo posto: è lo scopo e l’elemento essenziale della perfezione, come abbiamo provato nella prima nostra tesi, n. 312. L’amore quindi occorre tenere primieramente in vista, a questo mirare continuamente, è lui che deve dare al sacrificio l’intima sua ragione e il suo valore principale: « in omnibus respice finem ». Bisogna dunque parlarne fin dal principio della vita spirituale e far rilevare che l’amor di Dio facilita singolarmente il sacrificio senza però poterne mai dispensare.

330. 2° Quanto all’ordine cronologico, tutti ammettono pure che questi due elementi sono inseparabili e che devono quindi coltivarsi insieme e anche compenetrarsi, poiché non v’è sulla terra amore vero senza sacrificio, e che il sacrificio fatto per Dio è una delle migliori prove di amore. Tutta la questione quindi si riduce in fondo a questa: nell’ ordine cronologico, su quale elemento bisogna maggiormente insistere, sull’amore o sul sacrificio? Or qui ci troviamo di fronte a due tendenze e a due scuole diverse.

331. A) S. Francesco di Sales, appoggiandosi su molti rappresentanti della scuola benedettina e domenicana e confidando negli aiuti che ci offre la natura rigenerata, dà la precedenza all’amor di Dio per farci accettare e praticar meglio il sacrificio; ma non esclude quest’ultimo, chiede anzi alla sua Filotea molto spirito di rinunzia e di sacrificio; lo fa però con molto riguardo e con molta dolcezza nella forma per meglio arrivare al suo scopo. Il che appare fin dal primo capitolo dell’Introduzione alla vita devota: « La vera e viva devozione presuppone l’amor di Dio, anzi non è altro in sé che un vero amor di Dio… E appunto perché la devozione sta in un certo grado di eccellente carità, non solo ci rende pronti, attivi, diligenti nell’osservanza di tutti i comandamenti di Dio, ma ci stimola pure a fare con prontezza ed affetto quante più buone opere possiamo, benché non siano in alcun modo comandate ma solamente consigliate o ispirate ». Ora osservare i comandamenti, seguire i consigli e le ispirazioni della grazia, è certamente un praticare un alto grado di mortificazione. Del resto il Santo chiede a Filotea che cominci dal mondarsi non solo dai peccati mortali ma anche dai peccati veniali, dall’affetto alle cose inutili e pericolose e dalle cattive inclinazioni. E quando tratta delle virtù, non ne dimentica la parte penosa; vuole soltanto che tutto sia condito con l’amor di Dio e del prossimo.

332. B) Per altro verso, la scuola ignaziana e la scuola francese del secolo XVII, pur non dimenticando che l’amor di Dio è lo scopo da conseguire e quello che deve avvivare tutte le nostre azioni, mettono al primo posto, soprattutto per i principianti, la rinunzia, l’amor della croce o la crocifissione dell’uomo vecchio, come il più sicuro mezzo per arrivare al vero ed effettivo amore. Pare che temano che, se non vi s’insiste sul principio, molte anime cadano poi nell’illusione, immaginandosi d’essere già molto avanzate nell’amor di Dio mentre la loro pietà è più sensibile ed apparente che reale; onde poi certe miserande cadute al presentarsi di violente tentazioni o al sopravvenire delle aridità. Del resto il sacrificio, virilmente accettato per amor di Dio, conduce a una più generosa e più costante carità, e la pratica abituale dell’amor di Dio viene a coronare 1’edificio spirituale.

333. Conclusione pratica. Senza aver la pretesa di dirimere cotesta controversia, proporremo alcune conclusioni ammesse dai dotti di tutte le scuole.

A) Ci sono due eccessi da evitare : a) quello di voler lanciare troppo presto le anime in quella che si chiama la via dell’autore, senza esercitarle nello stesso tempo nella pratica austera della rinunzia quotidiana. Così si fomentano le illusioni e talora anche miserande cadute: quante anime, provando le consolazioni sensibili che Dio concede ai principianti e credendosi salde nella virtù, si espongono alle occasioni di peccato, commettono imprudenze e cadono in colpe gravi! Un poco più di mortificazione, di vera umiltà, di diffidenza di se stesse, una lotta più coraggiosa contro le passioni, le avrebbe preservate da queste miserie.

b) Un altro eccesso sta nel parlare soltanto di rinunzia e di mortificazione senza far rilevare che sono soltanto mezzi per arrivare all’amor di Dio o manifestazioni di quest’amore. È questa la ragione per cui certe anime di buona volontà, ma ancor poco coraggiose, si sentono ributtate ed anche disanimate. Si sentirebbero maggiore slancio ed energia, se si mostrasse loro che questi sacrifici diventano molto più facili quando si fanno per amor di Dio: « Ubi amatur, non laboratur ».

334. B) Evitati questi eccessi, il direttore saprà scegliere per il suo penitente la via più conveniente al carattere suo e alle attrattive della grazia.

a) Vi sono anime sensibili e affettuose che non prendono gusto alla mortificazione se non dopo aver già praticato per qualche tempo l’amor di Dio. È vero che questo amore è spesso imperfetto, più ardente e sensibile che generoso e durevole. Ma, se si bada a giovarsi di questi primi slanci per mostrare che il vero amore non può perseverare senza sacrificio, se si riesce a far praticare, per amor di Dio, alcuni atti di penitenza, di riparazione, di mortificazione, quegli atti che sono più necessari a evitare il peccato, la loro virtù a poco a poco si rinsalda, si fortifica la loro volontà, e viene il momento in cui capiscono che il sacrificio deve andare di pari passo con l’amor di Dio. b) Se si tratta invece di caratteri energici, abituati ad agire per dovere, si può, pur mettendo loro avanti agli occhi l’unione con Dio come scopo, insistere dapprincipio sulla rinunzia come pietra di paragone della carità, e far praticare la penitenza, l’umiltà e la mortificazione, pur condendo queste austere virtù con un motivo d’amor di Dio o di zelo per le anime. – Così non si separerà mai l’amore dal sacrificio, e si mostrerà che questi due elementi si conciliano e si perfezionano a vicenda.

§ IV. La perfezione consiste nei precetti o nei consigli?

335. 1° Stato della questione. Abbiamo visto che la perfezione essenzialmente consiste nell’amor di Dio e del prossimo spinto fino al sacrificio. Ora intorno all’amor di Dio e al sacrificio vi sono nello stesso tempo precetti e consigli: precetti che ci comandano, sotto pena di peccato, di fare questa o quella cosa o di astenercene; consigli che c’invitano a fare per Dio più di quello che ci è comandato, sotto pena d’imperfezione volontaria e di resistenza alla grazia. Vi allude Nostro Signore quando dichiara al giovane ricco: « Se vuoi entrar nella vita, osserva i comandamenti… Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo » – « Si autem vis ad vitam ingredi, serva mandata…  Si vis perfectus esse, vende qua habes et da pauperibus, et habebis thesaurum in cælo, et veni, sequere me » (Matth. XIX, 17-21)1. Osservare dunque le leggi della giustizia e della carità in materia di proprietà basta per entrare in cielo; ma, se si vuole essere perfetti, bisogna vendere i propri beni, darne il prezzo ai poveri e praticare così la volontaria povertà S. Paolo ci fa pure notare che la verginità è un consiglio e non un precetto, che lo sposarsi è cosa buona ma che restar vergine è anche migliore. (1 Cor. VII, 25-40).

336. 2 ° La soluzione. Alcuni autori ne hanno conchiuso che la vita cristiana consiste nell’osservanza dei precetti e la perfezione nei consigli. È un modo di vedere un po’ semplicista e che, frainteso, potrebbe condurre a funeste conseguenze. La verità è che la perfezione esige prima di tutto l’adempimento dei precetti e secondariamente l’osservanza d’un certo numero di consigli. È questo appunto l’insegnamento di S. Tommaso (Sum. Theol. IIa, IIæ, q. 184, a. 3). Dopo aver provato che la perfezione non è altro che l’amor di Dio e del prossimo, conchiude che in pratica consiste essenzialmente nei precetti, di cui il principale è quello della carità, e secondariamente nei consigli, i quali pure si riferiscono tutti alla carità, perché allontanano gli ostacoli che si oppongono al suo esercizio. Spieghiamo questa dottrina.

337. A) La perfezione esige prima di tutto e imperiosamente l’adempimento dei precetti; è necessario inculcar fortemente questo concetto a certe persone che, per esempio, col pretesto della devozione, dimenticano i doveri del proprio stato, oppure, per praticar la limosina con maggior pompa, ritardano indefinitamente il pagamento dei debiti, insomma a tutti quelli che trascurano questo o quel precetto del decalogo con la pretesa di più alta perfezione. Ora è evidente che la violazione d’un precetto grave, come è quello di pagare i debiti, distrugge in noi la carità, e che il pretesto di far l’elemosina non può giustificare questa infrazione della legge naturale. Parimente la violazione volontaria d’un precetto in materia lieve è un peccato veniale, che, senza distruggere la carità, ne impaccia più o meno l’esercizio e soprattutto offende Dio e diminuisce la nostra intimità con Lui; il che è vero principalmente del peccato veniale deliberato e frequente, che crea in noi degli attacchi e c’impedisce di slanciarci liberamente verso la perfezione. Bisogna dunque, per essere perfetti, osservare prima di tutto i precetti.

338. B) Ma è necessario aggiungervi l’osservanza dei consigli, almeno di alcuni, specialmente di quelli impostici dall’adempimento dei doveri del nostro stato.

a) Così i Religiosi, essendosi obbligati per voto a praticare i tre grandi consigli evangelici della povertà, della castità e dell’ obbedienza, non possono santificarsi senza essere fedeli ai loro voti. Del resto questa pratica facilita singolarmente l’amor di Dio distaccando l’anima dai principali ostacoli che s’oppongono alla divina carità: la povertà, strappandoli all’amore disordinato delle ricchezze, fomenta lo slancio del cuore verso Dio e i beni celesti; la castità, sottraendoli ai piaceri della carne, anche a quelli leciti nel santo stato del matrimonio, li aiuta ad amar Dio senza divisione; l’obbedienza, combattendo l’orgoglio e lo spirito d’indipendenza, assoggetta la loro volontà a quella di Dio ed è in sostanza un atto d’amore.

339. b) Quelli poi che non hanno fatto voti, devono, per essere perfetti, praticarne lo spirito, ognuno secondo la propria condizione, le ispirazioni della grazia e i consigli d’un savio direttore. Così praticheranno lo spirito di povertà, privandosi di molte cose inutili per poter fare qualche risparmio da erogare in elemosine e in opere di beneficenza; lo spirito di castità, anche se sono coniugati, usando moderatamente e con qualche restrizione dei legittimi piaceri del matrimonio e diligentemente evitando tutto ciò che è proibito o pericoloso; lo spirito di obbedienza, assoggettandosi docilmente ai propri superiori, in cui vedranno l’immagine di Dio, e alle ispirazioni della grazia accertate da un savio direttore. – Amar dunque Dio e il prossimo per Dio e saper sacrificarsi a fine di meglio osservare questo doppio precetto e i consigli che vi si riferiscono, ognuno secondo il proprio stato, qui sta la vera perfezione.

§ V. Dei diversi gradi di perfezione.

La perfezione ha su questa terra i suoi gradi e i suoi limiti; onde due questioni: l ° quali sono i principali gradi di perfezione; 2 ° quali ne sono i limiti sulla terra?

I . Dei diversi gradi di perfezione.

340. I gradi per cui uno si eleva alla perfezione, sono numerosi; e non è qui il caso di enumerarli tutti ma solo di notare le principali tappe. Ora, secondo la dottrina comune, esposta da S. Tommaso, si distinguono tre tappe principali, o, come generalmente si dice, tre vie, quella degli incipienti, quella dei proficienti, quella dei perfetti, secondo lo scopo principale a cui si mira.

341. a) Nel primo stadio, la principale cura degli incipienti è di non perdere la carità che possiedono: lottano quindi per evitare il peccato, soprattutto il peccato mortale, e per trionfare delle male cupidigie, delle passioni e di tutto ciò che potrebbe far loro perdere l’amor di Dio », Questa è la via purgativa, il cui scopo è di mondar l’anima dalle sue colpe.

342. b) Nel secondo stadio si vuol progredire nella pratica positiva delle virtù, e fortificar la carità. Essendo già purificato, il cuore è più aperto alla luce divina e all’amor di Dio: si ama di seguire Gesù e imitarne le virtù, e poiché, seguendolo, si cammina nella luce, questa via si chiama illuminativa. L’anima si studia di schivare non solo il peccato mortale, ma anche il veniale.

343. c) Nel terzo stadio, i perfetti non hanno più che un solo pensiero, star uniti a Dio e deliziarsi in Lui. Costantemente studiandosi di unirsi a Dio, sono nella via unitiva. Il peccato fa loro orrore, perché temono di dispiacere a Dio e di offenderlo; le virtù li attirano, specialmente le virtù teologali, perché sono mezzi d’unirsi a Dio. La terra quindi sembra loro un esilio, e, come S. Paolo, desiderano di morire per andarsene con Cristo. – Sono queste brevi indicazioni soltanto che più tardi ripiglieremo e svolgeremo nella seconda parte di questo Compendio, dove seguiremo un’anima dalla prima tappa, la purificazione dell’anima, all’unione trasformante che la prepara alla visione beatifica.

II. Dei limiti della perfezione stilla terra.

344. Quando si leggono le vite dei santi e principalmente dei grandi contemplativi, si resta meravigliati al vedere a quali sublimi altezze può elevarsi un’anima generosa che nulla rifiuta a Dio. Nondimeno vi sono dei limiti alla nostra perfezione su questa terra, limiti che non si deve voler oltrepassare, sotto pena di ricadere in un grado inferiore o anche nel peccato.

345. E certo che non si può amar Dio tanto quanto è amabile: Dio infatti è infinitamente amabilee il nostro cuore, essendo finito, non potrà maiamarlo, anche in cielo, che con amore limitato. Possiamoquindi sforzarci d’amarlo sempre più, anzi, secondo S. Bernardo, la misura d’amar Dio è d’amarlo senza misura. Ma non dimentichiamo che il vero amore, più che in pii sentimenti, consiste in atti di volontà, e che il miglior mezzo d’amar Dio è di conformare la nostra volontà alla sua, come spiegheremo più avanti, trattando della conformità alla divina volontà.

346. 2° Sulla terra non si può amar Dio ininterrottamente e senza debolezze. Si può certamente, con grazie particolari che non sono rifiutate alle anime di buona volontà, schivare ogni peccato veniale deliberato ma non ogni colpa di fragilità; né si diventa mai impeccabili, come la Chiesa ha in parecchie circostanze dichiarato.

A) Nel Medio Evo, i Beguardiavevano preteso che l’uomo, nella vita presente, è capace d’acquistare tal grado di perfezione da divenire affatto impeccabile e da non potere crescere di più in grazia. Ne concludevano che colui il quale ha conseguito questo grado di perfezione, non deve più né digiunare né pregare, perché in questo stato la sensualità è talmente assoggettata allo spirito e alla ragione ch’egli può concedere al suo corpo ogni diletto; non è più obbligato ad osservare i precetti della Chiesa, né ad obbedire agli uomini, né anche a praticare gli atti delle virtù, tutte cose proprie dell’uomo imperfetto. Sono dottrine pericolose che finiscono poi nell’immoralità; quando uno si crede impeccabile e non si esercita più nella virtù, diventa presto preda delle più vili passioni. Ed è ciò che avvenne ai Beguardi, che il Concilio ecumenico di Vienna dovette poi giustamente condannare nel 1311.

347. B) Nel secolo XVII, Molinos rinnovò quest’errore, insegnando che « con la contemplazione acquisita si arriva a un tal grado di perfezione che non si commettono più peccati né mortali né veniali ». Ma mostrò troppo bene col suo esempio che, con massime apparentemente così alte, si è pur troppo esposti a cadere in scandalosi disordini. Fu giustamente condannato da Innocenzo XI il 19 novembre 1687, e quando si leggono le proposizioni che aveva osato sostenere, si resta inorriditi delle orribili conseguenze a cui conduce questa pretensione d’impeccabilità. — Siamo dunque più modesti e pensiamo soltanto a correggerci delle colpe deliberate e diminuire il numero di quelle di fragilità.

348. 3° Sulla terra non si può amar Dio costantemente o anche abitualmente con amore così perfettamentepuro e disinteressato che escluda ogni atto di speranza. A qualunque grado di perfezione si sia giunti, si è obbligati a fare di tanto in tanto degli atti di speranza; e non si può quindi in modo assoluto restare indifferenti alla propria salvezza. Vi furono, è vero, dei santi che, nelle prove passive, s’acconciarono momentaneamente alla loro riprovazione in modo ipotetico, cioè se tale fosse la volontà di Dio, pur protestando che in tal caso non volevano cessare d’amar Dio; ma sono ipotesi che si devono ordinariamente scartare, perché di fatto Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini. Si possono però fare, di quando in quando, atti diamor puro senza alcuna mira a se stesso e quindi senza attualmente sperare o desiderare il cielo. Talè, per esempio, questo atto d’amore di S. Teresa : « Se vi amo, o Signore, non è per il cielo che m’avete promesso; se temo d’offendervi, non è per l’inferno di cui sarei minacciata; ciò che m’attira verso diVoi, o Signore, siete Voi, Voi solo, che vedo inchiodato alla croce, col corpo straziato, tra agonie di morte. E il vostro amore si è talmente impadronito del mio cuore che, quand’anche non ci fosse il paradiso, io vi amerei lo stesso; quand’anche non ci fosse l’inferno, pure io vi temerei. Nulla Voi avete da darmi per provocare il mio amore; perché, quand’anche non sperassi ciò che spero, pure io vi amerei come vi amo ». (Storia di S. Teresa ricavata dai Bollandisti, t. II, c. XXXI, (Lega Eucaristica, Milano).

349. Abitualmente vi è nel nostro amor di Dio un misto d’amor puro e d’amore di speranza, il che significa che noi amiamo Dio e per se stesso, perché è infinitamente buono, e anche perché è la fonte della nostra felicità. Questi due motivi non si escludono, perché Dio volle che nell’amarlo e nel glorificarlo troviamo la nostra felicità. Non ci affanniamo quindi di questo misto e, pensando al paradiso, diciamo soltanto che la nostra felicità consisterà nel posseder Dio, nel vederlo, nell’amarlo e nel glorificarlo; così il desiderio e la speranza del cielo non impediranno che il motivo dominante delle nostre azioni sia veramente l’amor di Dio.

CONCLUSIONE.

350. Amore e sacrificio, ecco dunque tutta la perfezione cristiana. Or chi non può, con la grazia di Dio, adempiere questa doppia condizione? È dunque così difficile amar Colui che è infinitamente amabile e infinitamente amante? L’amore che ci si chiede non è qualche cosa di straordinario, è l’amore di abnegazione, è il dono di se stesso, è specialmente la conformità alla divina volontà. Voler amare è dunque amare; osservare i comandamenti per Dio è amare; pregare è amare; compier doveri del proprio stato per piacere a Dio è amare, anzi ricrearsi, nutrirsi con le stesse intenzioni è amare; rendere servizio al prossimo per Dio è amare. Non v’è quindi nulla di più facile, con grazia di Dio, del praticare costantemente la divina carità e così incessantemente progredire verso la perfezione.

351. Il sacrificio certamente appare più penoso ma non ci si chiede di amarlo per se stesso: basta amarlo per Dio, o, in altre parole, persuadersi che sulla terra non si può amar Dio senza rinunziare a ciò che è di ostacolo al suo amore. Allora il sacrificio diventa prima tollerabile e poi presto anche amabile. Una madre che passa le lunghe notti al capezzale del figlio ammalato, non accetta forse lietamente le sue fatiche, quando ha la speranza, specialmente poi se ha la certezza di salvargli la vita? Ora noi abbiamo non solo la speranza ma la certezza di piacere a Dio, di procurarne la gloria, e nello stesso tempo di salvarci l’anima, quando, per amor di Dio c’imponiamo i sacrifici che ci domanda. E non abbiamo per rinfrancarci gli esempi e gli aiuti dell’Uomo-Dio? Non patì Gesù quanto e più di noi per glorificare il Padre suo e salvare le anime nostre? E noi, suoi discepoli, incorporati a lui col Battesimo, nutriti del suo corpo e del suo sangue, esiteremo a patire in unione con Lui, per amore di Lui, secondo le stesse sue intenzioni? E non è forse vero che la croce ha i suoi vantaggi, specialmente per i cuori che amano? « Nella croce sta la salute, dice l’Imitazione I. II. C. 12, v.2); nella croce la vita; nella croce la protezione contro i nemici; nella croce una soavità tutta celeste: « In cruce salus, in cruce vita, in cruceprotectio ab hostibus, in cruce infusio supernæ suavitatis“.

Concludiamo dunque con S. Agostino: « Per i cuori che amano non vi sono sacrifici troppo penosi; vi si trova anzi diletto, come si vede in quelli che amano la caccia, la pesca, la vendemmia, gli affari… Perché, quando si ama, o non si patisce o anche quel patimento si ama, aut non laboratur aut et labor amatur » (De bono viduitatis, c. 21, P. L. III, sez. I). E affrettiamoci a progredire, per la via del sacrificio e dell’ amore, verso la perfezione, perché per noi è un obbligo.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.