DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.
[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala. [Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam. [O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.
[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia 1920)D

Il SACERDOZIO

“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia” (2 Cor. III, 4-9).

La severa lettera di San Paolo a quei di Corinto aveva prodotto un salutare effetto. Quella comunità aveva preso ora un andamento più consolante; e, sebbene gli sconvenienti non fossero tutti scomparsi, c’era fondata speranza che l’ulteriore azione di S. Paolo riuscisse al compimento dell’opera incominciata. Non dormivano, è naturale i suoi nemici; anzi lo combattevano più aspramente di prima. Cercavano soprattutto di metterlo in discredito negandogli la dignità e l’autorità di Apostolo e criticando il suo modo di operare. Era in gioco la missione di Apostolo, affidata da Dio a Paolo, e questi crede suo dovere di difendersi dai falsi apostoli, perché non riuscissero a trar dalla loro parte i fedeli, specialmente i neofiti. Ed ecco che dalla Macedonia, pochi mesi dopo la prima, invia a Corinto una seconda lettera, in cui rivendica la sua autorità di Apostolo, e ribatte le calunnie dei suoi avversari. L’epistola di quest’oggi è un passo della lettera dove San Paolo difende il suo ministero. Se egli si presenta come predicatore della fede non lo fa per vana gloria, ben riconoscendo la sua insufficienza. Tutto il suo vanto lo ripone in Dio, per la cui grazia, datagli per mezzo di Gesù Cristo, egli compie il suo ministero tra loro. Dio ha scelto lui e i suoi compagni a essere ministri idonei del nuovo Testamento, in cui non regna più la lettera che uccide come nell’antico, ma lo spirito che dà la vita della grazia. È un ministero superiore all’antico per la gloria di cui è circonfuso. Il ministero della legge che uccide — non dando la forza di praticare ciò che prescrive — fu circondato di gloria, come si vide sul volto di Mosè, che portava questa legge scolpita in tavole di pietra. Questa gloria dev’esser sorpassata da quella che circonda il ministero dello spirito che vivifica. La gloria del ministero che vivifica è, senza confronto, superiore alla gloria del ministero di condanna. Il contenuto dell’Epistola di quest’oggi ci porta a parlare del Sacerdote Cattolico, il quale:

1. È banditore d’una dottrina sublime,

2. È dispensatore dei divini misteri,

3. Merita il nostro rispetto e le nostre premure.

1.

La nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a esser ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito. L’Apostolo compie il suo ministero per la grazia di Dio. Egli, che lo ha scelto a suo ministro, lo ha reso idoneo a predicare la dottrina del Vangelo, nel quale regna lo spirito, e non più la lettera come nell’antico testamento. Come San Paolo, ogni Sacerdote è scelto da Dio, che lo rende idoneo a predicare la dottrina del Vangelo. Con la dottrina del Vangelo il sacerdote si fa guida agli uomini in questo terreno pellegrinaggio. Satana, il padre della menzogna, fa deviare dal retto sentiero i nostri progenitori nel paradiso terrestre. Fa deviare, dopo di essi, continuamente, i loro discendenti. Ha, in questo, ai suoi ordini una schiera di alleati. Insegnanti, conferenziere, settari, gaudenti, beffardi, libri, riviste, giornali, direttamente o indirettamente, tolgono di vista all’uomo la meta, cui deve arrivare. E l’uomo comincia ad essere indeciso; smarrisce il sentiero e, smarritolo, non ha più la volontà di rifare la via da capo. Il Sacerdote è posto da Dio a illuminare la via che l’uomo deve percorrere. Egli addita i pericoli da schivare, indica la via sicura, e la rischiara con gli insegnamenti di Colui che proclamò:« Io sono la via » (Giov. XIV, 6.). Ismaele va errando nel deserto di Betsabea, tormentato dalla sete. Questa è ormai divenuta insostenibile, e la madre per non vedere il figlio morire, lo abbandona sotto un arbusto. Dio ascolta il grido di Agar e di Ismaele, e manda il suo Angelo a mostrare il pozzo d’acqua ristoratrice (Gen. XXI, 14 segg.). Il Sacerdote è l’Angelo che al viandante diretto alla patria celeste, ormai privo del primo fervore, annoiato dalla lunghezza del cammino, stanco per la sua asprezza, indeciso a continuarlo, solleva lo spirito e infonde nuova forza e coraggio, facendogli porre la fiducia in Colui che dice: «Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Giov. XIV, 1). – La parola del Sacerdote è l’unica che sappia veramente appagare il cuore e l’intelligenza dell’uomo. La sua dottrina «non è cosa umana» (Gal. I, 4) Perciò avvince tutte le intelligenze, fa superar tutte le difficoltà. Le scoperte, il progresso, le migliorate condizioni sociali non possono togliere nulla alla efficacia e alla bellezza della dottrina del Vangelo. La parola di Dio non può scolorire davanti alla parola degli uomini. È una dottrina che non invecchierà Mai, che non avrà mai bisogno d’essere sfrondata o corretta.

2.

L’Apostolo, facendo il confronto tra l’antica alleanza, che si fondava sulla lettera, cioè sulla legge scritta, e la nuova alleanza, che è opera dello Spirito Santo, osserva: la lettera uccide, ma lo spinto dà vita. La lettera, ossia la legge scritta uccide, perché non dando la grazia necessaria a compiere ciò che è comandato e ad evitare ciò che è proibito, era, indirettamente, occasione di peccato, e quindi di morte eterna. Lo spirito dà vita, perché nella nuova legge, lo Spirito Santo dà la grazia, con cui l’uomo può osservare ciò che esternamente viene comandato o proibito. E il Sacerdote, in questa nuova legge, è fatto da Dio l’idoneo dispensatore della grazia. – L’uomo nasce figlio di questa valle di lagrime, spoglio d’ogni bene soprannaturale. Il Sacerdote versa sul suo capo l’acqua battesimale, ed egli rinasce figlio del cielo, adorno dei beni della grazia. Per il ministero del Sacerdote gli è aperta la porta al regno di Gesù Cristo, la Chiesa, e acquista il diritto a ricevere gli altri Sacramenti con l’abbondanza delle grazie, che li accompagnano. – Ogni uomo è destinato preda alla morte. Chi nasce muore. Quando arriva questo giorno, l’uomo si trova ancora di fianco il Sacerdote. «E’ infermo alcuno tra voi? — è scritto nel Nuovo Testamento — chiami i Sacerdoti della Chiesa e facciano orazione su lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore» (Giac. V, 19). Così si pratica nella Chiesa Cattolica. Presso il morente accorre il Sacerdote, che gli amministra il Sacramento dell’olio Santo, il quale con la sua grazia porta sollievo spirituale e corporale ai Cristiani gravemente infermi. L’uomo ha pur sempre bisogno dei soccorsi della grazia durante la sua vita. La grazia santificante, che ci viene infusa nel Battesimo, generalmente non rimane a lungo. Al primo svegliarsi delle passioni si perde facilmente. E con la perdita della grazia santificante è perduto anche il diritto alla eredità celeste. L’uomo che ha perduto la grazia santificante è un povero figlio diseredato, che ha bisogno di essere riconciliato con il Padre. Anche questa volta è il Sacerdote che avvicina il figlio al Padre. Egli, pronunciando nel tribunale di penitenza le parole dell’assoluzione, apre al figlio pentito la casa del Padre, lo rimette nelle sue grazie, e gli riacquista i diritti perduti. Ma chi aveva strappato il figlio dalla casa del padre, non si dà pace ora che ve lo vede riammesso. È questa per lui una sconfitta insopportabile, che lo spinge alla rivincita. Occorrono forze raddoppiate per resistere ai suoi assalti. Il Sacerdote procurerà queste forze, somministrandogli un pane che è la fonte delle grazie. Nelle vicinanze di Betsaida Gesù Cristo, mosso a compassione delle turbe che da tre giorni l’avevano seguito, pensa a ristorarle, perché nel ritorno alle loro case, sfinite di forze, non abbiano a venir meno per via. Moltiplicati dei pani che gli furono presentati, « li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe ». (Marc. VIII, 6). Nell’ultima cena dà incarico ai discepoli di distribuire con le loro mani ai fedeli il Pane eucaristico, perché possano fortificarsi nel combattimento spirituale, e non venir meno sotto gli assalti del demonio, del mondo, della carne. Difatti, « mentre mangiavano Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: — Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, (Matt. XXVI, 26) il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me » – E i Sacerdoti, seguendo il comando di Gesù Cristo, continuano a rinnovare nella santa Messa la consacrazione eucaristica e a distribuire ai fedeli questo Pane di vita. – Il Beato Giovanni de Brébeuf, martire canadese, si trovava in un villaggio di Uroni, quando all’improvviso giungono gli Irochesi, loro terribili nemici. I capitani presenti fanno uscire dal villaggio le donne e i fanciulli, e pregano il Beato e il suo compagno, padre Gabriele Lalemant a seguire i fuggiaschi. «La vostra presenza — dicono essi — non ci può esser di servizio alcuno. Voi non sapete maneggiare né l’accetta né il fucile». — «C’è qualcosa ch’è più necessaria delle armi, — risponde il de Brébeuf — e sono i Sacramenti che noi soli possiamo amministrare. Il nostro posto è in mezzo a voi». E rimasero infatti ad amministrare i Sacramenti, ricevendo in premio la corona del martirio (Nicola Risi, Gli otto Martiri Canadesi della Compagnia di Gesù. Torino, 1926. p. 63-64). Nessuno può dispensare ai fedeli i tesori spirituali che dispensa il sacerdote. S. Paolo esalta tutta l’importanza del ministero sacerdotale con una semplice frase, chiamandolo ministero circonfuso di gloria. È, dunque, un ministero che merita tutto il nostro rispetto e il nostro interessamento. Ma questo contegno non è, pur troppo, il contegno della maggior parte. Per alcuni il Sacerdote non esiste che per esser bersaglio alle critiche, alle calunnie, alle persecuzioni. I preti, secondo essi, sono la cagione di tutti i malanni che succedono, o che potrebbero succedere. Ci sono i settari, i nemici della Religione, che combattono il Sacerdote per i loro fini. In battaglia si cerca di colpire specialmente gli ufficiali. Tolti di mezzo questi, i battaglioni si disgregano. I nemici della Religione Cattolica cercano di colpire specialmente i Sacerdoti per scristianizzare il popolo. – Altri si interessano del Sacerdote e lo stimano finché fa comodo. Diventa loro insopportabile quando, costretto dal proprio dovere, dà qualche ammonimento o fa qualche osservazione. «Chi vien biasimato o ripreso — nota in proposito il Grisostomo — chiunque egli sia, tralasciando affatto di essere riconoscente, diventa nemico » (In 1 Epist. ad Thess. Hom. 10, 1). E il Cristiano che viene avvisato, ammonito, ripreso dal Sacerdote gli diventa nemico. – Per altri il Sacerdote non esiste. Non gli si fanno critiche, ma neppure si pensa a lui. Lo si lascia stare. È considerato come uno che compie una funzione sociale qualsiasi, e niente di più. Questo non è un tributare l’onore, il rispetto, che s’addicono alla dignità dei ministri del nuovo Testamento. I Sacerdoti siano uomini; avranno anch’essi i loro difetti. Noi dobbiamo, però, considerare la loro dignità e non voler scrutare le loro azioni. «Non mi accada mai — scrive S. Gerolamo — che io dica qualcosa di sfavorevole rispetto a coloro, che, succeduti alla dignità apostolica, con la bocca consacrata ci danno il Corpo di Cristo, e per mezzo dei quali noi siamo Cristiani; e i quali, avendo le chiavi del regno celeste, in certo qual modo giudicano prima del giudizio» (Epist. 14, 8 ad Heliod.). – La nostra deferenza verso i Sacerdoti dobbiamo dimostrala, pure, nell’ascoltar volentieri la parola del Vangelo, da essi predicata, nel mostrarci docili alle loro cure. « Poiché — nota S. Cipriano — le eresie e gli scismi non trassero origine da altro, che dalla disubbidienza al Sacerdote di Dio» (Epist. 13, 5). – Se per mezzo del Sacerdote riceviamo i Sacramenti, partecipiamo ai divini misteri, usufruiamo delle celesti benedizioni, non possiamo disinteressarci di lui. Non basta il rispetto, la docilità alla sua parola. La riconoscenza deve spingerci a pregare per lui. La Chiesa ha stabilito giorni particolari di preghiere e di penitenza pei sacerdoti: le quattro tempora. Il Cristiano, però, non deve limitarsi a pregare pei Sacerdoti che salgono l’altare la prima volta. Deve pregare per i novelli Sacerdoti, deve pregare per quelli che sono incanutiti nel ministero, e deve pregare pei Sacerdoti futuri. Lo comanda Gesù: « La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe che mandi gli operai a lavorare nel suo campo (Matt. IX, 37-38). E che gli operai oggi siano pochi lo constatiamo tutti. Concorriamo adunque con la preghiera, e anche con quel contributo materiale che ci è possibile, a mandar nuovi operai nella vigna del Signore. Favorendo le vocazioni al Sacerdozio, faremo opera graditissima a Gesù perché concorreremo a procurargli dei collaboratori; faremo opera di carità squisita al prossimo, concorrendo a procurargli una guida spirituale; faremo il nostro migliore vantaggio perché ci faremo partecipi, in qualche modo, dei meriti che si acquista il Sacerdote nel salvar le anime.

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo. [Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]
V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.
[La mia ànima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja. [O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XL

“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.” (Luc. X. 23-37)

Nostro Signor Gesù Cristo disse nel Santo Vangelo che Egli era venuto sulla terra a portare il fuoco della carità, e che nient’altro Egli voleva così ardentemente quanto che si accendesse un tal fuoco. Quindi non deve far meraviglia che tante e tante volte nella sua predicazione tornasse sopra l’importante argomento della carità, ed ora la raccomandasse direttamente o indirettamente colle sue magnifiche parabole. La Chiesa poi, fedelissima interprete della volontà di Gesù Cristo, suo sposo, fa ancor essa come Gesù, epperò più volte nel corso dell’anno nei Santi Vangeli della Domenica, che sono quelli che propone al nostro studio più attento, ci rinnova i precetti e le raccomandazioni di Gesù Cristo riguardo alla carità. Così fa pure questa Domenica, mettendoci sotto gli occhi uno dei più bei passi del Santo Vangelo, una di quelle più ammirabili parabole, che sono una tra le più espressive rivelazioni del Cuore di Gesù Cristo e de’ suoi santi voleri. Ascoltate.

1. I Farisei, sempre pieni di livore contro di Gesù, così mansueto e dolce, non facevano altro che cercare occasioni per sfogare la loro malignità. Ora trovandosi Gesù sulle frontiere della Samaria, stando per ritornare nella Galilea, occorse contro di Lui, da parte di quei perversi un attacco più violento di ostilità. Il divino Maestro volendo più profondamente scolpire nella mente de’ suoi discepoli ciò che doveva formar la loro felicità e la loro gioia, rivolto ad essi aveva loro detto: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e re bramarono di vedere quello che voi vedete e nol videro, e di udire quello che voi udite e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottore della legge (fingendosi ignorante) per tentare Gesù, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Gesù rispose a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli allora rispose e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze e con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? Nella quale domanda era nascosta la più fina perfidia. Perciocché in quel tempo anche presso gli Ebrei la parola prossimo non presentava che l’idea di parente, di congiunto, di connazionale, mentre uno straniero, uno sconosciuto era quasi riguardato come nemico. Quindi questo dottor della legge credendo che neppur Gesù volesse spingere l’obbligo dell’amore fraterno oltre i confini della stessa nazione, avrebbe avuto la soddisfazione di farsi conoscere come esatto osservatore della legge, o in caso che Gesù Cristo avesse esteso il nome di prossimo anche agli stranieri, ai gentili, questo ipocrita avrebbe avuto il maligno piacere di udire Gesù a contraddire alla comune dottrina dei maestri della Sinagoga. Ora, non è veramente detestabile la condotta di questo Fariseo? Ma pure, miei cari, alla condotta di costui è molto somigliante la condotta di certi giovani, di certi Cristiani ai tempi nostri, i quali avendo cattivi sentimenti ed operando male e pur volendo giustificare se stessi, o adducono la ignoranza dei loro doveri, o cercano nella legge di Dio, nei precetti della Chiesa, negli insegnamenti e negli ordini del Vicario di Gesù Cristo, in quelli dei genitori e superiori, di trovare delle contraddizioni. Quanto è comune, in quelli che hanno commesso un qualche grave mancamento, il dire: Io non credevo che fosse male; mentre invece anche ignorando la legge, il precetto o la proibizione, si sentiva benissimo nel fondo della coscienza la legge stessa di natura, che o prescriveva o proibiva la tal cosa! Quanto è facile il sentire certi Cristiani domandare malignamente: E perché si deve pregare? Perché non si deve lavorare alla festa? Perché bisogna perdonare? Perché bisogna astenersi da certi piaceri? perché non si può almeno pensare e desiderare certe cose? Perché in certi giorni si deve far magro? Perché certi libri sono proibiti? Perché il Papa non vuol smettere le sue pretese? Perché questo? Perché quello? Eh, miei cari, se veramente non sapete darvi una risposta conveniente ai vostri perché, bisogna anzitutto che confessiate di essere molto ignoranti e riconosciate come l’ignoranza vostra sia inescusabile, avendo voi tanta facilità per mezzo delle istruzioni religiose, delle buone letture e dello studio della dottrina cristiana, di togliere dalla mente vostra tale ignoranza. Ma se invece, come può accadere in taluni, questi perché non son messi fuori che per far dello spirito, quasi per mettere in imbarazzo i Sacerdoti o i buoni Cristiani a cui li rivolgete, dovete pur dire a voi stessi in fondo al cuore, che siete maligni e perfidi come il Fariseo, di cui parla oggi il Vangelo. – Miei cari giovani e cari Cristiani, amate adunque di istruirvi nella verità di nostra santa Religione, nei doveri che essa impone a tutti in generale ed a ciascuno in particolare: questo amore di conoscere la fede di Gesù Cristo non sarà mai soverchio, perché quanto più si conoscerà tanto più si amerà e si praticherà. E se nello studio della fede cristiana vi accadrà molte volte di incontrare delle verità o dei precetti di cui non intendiate il significato e la forza, quando ne avete la comodità, domandate pure a chi può darvele, le necessarie spiegazioni. Ma procurate sempre di far questo con un cuor umile e docile; e non sia mai che, fingendo ignoranza che in voi non c’è, moviate delle domande per cattivo fine, o per mostrarvi in faccia agli altri diffidenti dell’insegnamento della Chiesa o per fare stoltamente mostra di ingegno nel discoprire contraddizioni, le quali non esisterebbero che nella vostra testa piccola e superba.

2. Ma tornando al Vangelo, la perfidia di quel dottore della legge diede occasione a Gesù di far scaturire dal suo cuore una delle sue più divine parabole: Un uomo, disse Egli, andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo, passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi; ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso a lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Terminata questa stupenda parabola, Gesù rivoltosi al dottore, che lo aveva interrogato, gli chiese: Chi di questi tre ti pare egli esser stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo. Gesù adunque con questa parabola fece conoscere al Fariseo che nostro prossimo sono indistintamente tutti gli uomini del mondo, anche quelli che non solo non ci sono amici o parenti, ma che o per nazionalità o per qualsiasi altra ragione possono parere od anche essere nostri avversari e nemici. Imperciocché tra i Samaritani e gli Ebrei eravi una grande divisione. I Samaritani avendo fabbricato un tempio sul monte Garizim e non andando più a sacrificare nel tempio di Gerusalemme, venivano riguardati come scismatici, scomunicati e nemici. E poiché Gesù aveva narrato essere stato uno di questi, che si fece a soccorrere l’ebreo ferito sulla strada, implicitamente diceva al dottore della legge: Se un Samaritano soccorse un Ebreo, quantunque nemico, deve far lo stesso un Ebreo verso un Samaritano, ossia un uomo qualsiasi verso chiunque si trovi nel bisogno di essere soccorso; perché tutti gli uomini del mondo per mezzo della mia legge, che è legge di amore, sono approssimati gli uni agli altri, e gli uni agli altri resi fratelli, perché figli tutti di un solo e medesimo Padre Celeste. – Ma l’ammaestramento che Gesù Cristo diede al Fariseo è quello che dà anche a noi. Epperò anche noi dobbiamo badare a non cadere nell’errore dei Farisei e non vedere il nostro prossimo soltanto negli amici e nei parenti. Se fosse così non avremmo maggior merito dei pagani. Tutti adunque riguardiamo come nostro prossimo e a tutti, senza eccezione di sorta, potendo, facciamo del bene. – Se non che qualcuno potrebbe qui domandare: Ma dunque si dovrà far del bene anche ai malvagi, ai peccatori? A questa domanda rispondo col dire che senza dubbio ci vuole una savia discrezione nell’esercitare la carità e specialmente nel far elemosina al prossimo. Lo stesso Spirito Santo nell’Ecclesiastico (XII) ci avverte di badare a chi facciamo del bene e di non farlo all’empio: Si bene feceris, scito cui feceris. Da bono et ne suscipias peccatorem. Benefac humili et non dederis impio. Ma bisogna tuttavia notare che così ordinando, Iddio non vuole altro se non questo: che non facciamo la carità al peccatore, perché è peccatore, ma affinché non manteniamo in lui i peccati ed i vizi. Del resto sebbene questa discrezione sia lodevole, non è tuttavia necessaria, perché il bene fatto ad un malvagio per amor di Dio è sempre a Lui gradito e per noi meritorio. Così Gesù Cristo nel deserto moltiplicando il pane lo fece distribuire a tutti, senza badare chi era buono e chi era cattivo. Anche il B. Giordano, generale dell’Ordine dei Domenicani, ebbe l’incontro di un miserabile tutto nudo e tremante di freddo, che metteva compassione. Il buon religioso gli diede la sua cappa per ricoprirsi, e quel furfante andò a venderla e si mangiò i danari con alcuni altri ladroncelli nell’osteria. Il B. Giordano, saputo il successo disse: se colui ha gettato i danari, io non ho già perduta la cappa. L’ho veduta partire pel Paradiso, e diventar un manto da re per mia maggior gloria. Non è dunque necessario, perché l’elemosina sia semplicemente meritoria, fiscaleggiare ogni uomo e fargli un processo sopra la vita ed i miracoli, per dargli un pezzo di pane. Aprite la mano e date per amor di Dio, ed il merito è sempre in sicuro. D’altronde, o miei cari, quanto sarebbe facile alle volte ingannarsi e pensare malamente di chi non si dovrebbe, e negare perciò del bene a cui tanto importerebbe di farlo. Ed a convincerci di questo, valga ciò che si legge essere avvenuto al Santo Pontefice Gregorio Magno. S. Gregorio Magno prima di essere Papa, era abate nel monastero di S. Andrea in Roma. Un giorno fu introdotto a lui un pover’uomo, il quale con molta istanza faceva premura di dire una parola al padre abate. La parola che voleva dirgli, fu buttarglisi in ginocchio, ed esporgli come in un punto gli si era affondata una nave con sopra quanto aveva al mondo, e non essergli restato altro che i debiti, per cui correva pericolo di andar in prigione con sterminio della sua povera famiglia. L’abate, mosso a compassione, gli  fece dare sei scudi d’oro. Di lì a poche ore torna lo stesso con pianti e grida più compassionevoli che mai, e si protesta che sei scudi al suo bisogno, sono come una goccia d’acqua al mare: e che per pietà gli dia qualche altro soccorso. L’abate tutto viscere di carità, gli fa dare altri sei scudi d’oro. Colui, vedendo che gli scudi venivano a sei a sei, tornò la sera del medesimo dì, a dare un’altra stretta alla borsa del monastero. L’abate, a quella terza venuta in così breve tempo, senza scomporsi, senza ricordargli la discrezione, gli dice: mio povero uomo, non so se vi sia più denaro in cassa; se ve ne sarà, ve lo farò dare. Chiamato il dispensiere, il quale gli disse non esservi più un soldo, egli rispose: Vedete se vi è qualche cosa da vendere. V’era un piatto d’argento, di una ricca dama romana, che in quel piattello aveva mandato un piccolo regalo. Dategli quel piatto d’argento. — E la padrona che dirà? — E questo povero uomo, che ha da fare? Quando la padrona lo ricerchi glielo farò pagare. Salito poi Gregorio al Pontificato ordinò al suo maggiordomo, che ogni mattina facesse l’invito di dodici poveri alla tavola papale. Una mattina ne vide tredici, e tutti li accolse. Ma finita la tavola interrogò quel decimoterzo povero, come era entrato a desinare col Papa, senz’essere invitato. Rispose « Io sono quello stesso, a cui, essendo tu abate, facevi sborsare dodici scudi d’oro, e quel piatto d’argento di soprappiù. Sono il tuo Angelo custode, che ho voluto far queste prove della tua carità. E ti faccio sapere che per le tue elemosine, Dio Ti ha promosso al sommo di tutti gli onori in terra, qual è il Pontificato, e che per le stesse elemosine Dio ti tiene preparati maggiori onori in Cielo ». E ciò detto disparve.

3. Ma ora, passando ad altre riflessioni, è da notare come i Santi Padri sotto il velo della parabola di quest’oggi, hanno trovato la storia dell’umanità all’ora della sua caduta. Adamo usciva innocente e puro dalle mani del suo Creatore e suo Dio; ma cadde tra le mani del demonio, e fu spogliato della grazia santificante, coperto delle vergognose piaghe del peccato. Una profonda ignoranza, ecco la piaga del suo intelletto; una terribile concupiscenza, ecco la piaga della sua volontà; non può rialzarsi dalla sua caduta, e tutta intera la sua posterità, coperta delle stesse piaghe, ridotta alla stessa nudità, è fatalmente condannata a morire. Avvenne poi che un sacerdote scendendo per la medesima via, vedutolo passò avanti. Similmente anche un levita, andando presso al luogo, vedutolo, trapassò oltre. Il sacerdote ed il levita, che passandogli vicino, si accontentano di vederlo senza soccorrerlo nella sua miserabile condizione, ci mostrano l’impotenza della legge e dei profeti per la salute dell’umanità decaduta. La legge, dice l’Apostolo, ha bensì potuto farci conoscere il peccato, ma non aveva rimedio efficace per la sua guarigione. – La povera umanità caduta da sì alto in quell’orrendo abisso del male, doveva dunque essere perduta senza riparo…? e dopo essere stata spogliata dall’infernale ladrone, avrebbe dovuto dividerne i supplizi per tutta l’eternità? No, miei cari. Gesù Cristo, quel buono e tenero Salvatore, che gl’ingiusti suoi nemici trattarono appunto da Samaritano, dall’alto del trono di sua gloria, Egli ha veduta la povera nostra umanità colpevole, decaduta, ferita a morte, condannata agli abissi; e a tal vista che provò Egli? la più profonda compassione: Misericordia motus est. E questa divina compassione doveva per noi produrre i frutti più felici. Il Salvatore ha intrapreso il viaggio dal cielo alla terra e, disceso fino a noi, prese tra le divine sue braccia questa umanità debole, languente, abbattuta; ne ha perscrutate tutte le piaghe, ha versato sulle sue ferite l’olio della sua grazia ed il prezioso vino dell’adorabile suo sangue per mezzo dei Sacramenti. E questa povera umana natura fortificata e rigenerata, venne da Lui condotta ad un mirabile albergo, la Chiesa, ch’Egli ha quaggiù fondata affine di perpetuare sino alla fine dei secoli la sua missione di misericordia e d’amore. Ed ai pastori di questa Chiesa Ei dice incessantemente: Abbiate cura di queste anime; non risparmiate i vostri sudori, né le vostre fatiche; più tardi Io vi rivedrò, e ricompenserò generosamente i vostri sforzi e i vostri lavori. Oh carità immensa del buon Samaritano, Gesù Cristo! Questo ammirabile esempio è quello che deve servir di regola anche a noi. Fin qui noi avremo forse creduto che per praticare la carità bastasse il non voler male ai nostri fratelli, non serbarne alcun rancore, non odiarli. Ah! questo non basta: la nostra carità, come quella del Samaritano, deve esser pietosa ed effettiva. Apriamo perciò il nostro cuore ad una tenera e dolce compassione, andiamo incontro alle umane miserie, cerchiamo mezzi di scoprirle e con l’olio della dolcezza nelle nostre parole, col vino della generosità nei nostri consigli, nelle nostre elemosine, portiamo rimedio alle tante piaghe, che trafiggono il nostro prossimo. Oh allora si, che potremo meritare ancor noi gli elogi che implicitamente fece Gesù Cristo al buon Samaritano; e non solo gli elogi, ma il premio ancora, perché tutto ciò che noi avremo fatto di bene al prossimo lo avremo fatto a Gesù Cristo stesso, che ne ha promessa e ne darà l’eterna ricompensa.

CREDO…

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet. [Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.
[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

Per l’Ordinario della Messa vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA SATTOLICA – SETTEMBRE 2019

CALENDARIO LITURGICO DEL MESE DI SETTEMBRE (2019)

SETTEMBRE è il mese che la Chiesa dedica ai sette dolori della Madonna  ed alla nascita della B. V. Maria

-381-

Fidelibus, qui mense septembri preces vel alia pietatis obsequia B. M. V. Perdolenti devote præstiterint, conceditur [A chi durante il mese di settembre, devotamente pregherà o compirà un esercizio di ossequio e pietà alla B. M. V. si concede]:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo eidem pio exercitio quotidie per integrum mensem vacaverint

(Breve Ap., 3 apr. 1857; S. C . Indulg., 26 nov. 1876 et 27 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 12 nov. 1936).

-382-

Fidelibus, qualibet ex septem feriis sextis utrumque festum B. M. V. Perdolentis immediate antecedentibus, si ad honorem eiusdem Virginis Perdolentis septies Pater, Ave et Gloria recitaverint, conceditur [Ai fedeli che per sette venerdì antecedenti la festa della BMV Addolorata, in onore della Vergine Addolorata reciteranno sette Pater, Maria, Gloria]:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (Breve Ap., 22 mart. 1918; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

Stabat Mater dolorosa

Juxta crucem lacrimosa,

Dum pendebat Filius;

Cujus animam gementem,

Contristatam et dolentem

Pertransivit gladius.

O quam tristis et afflicta

Fuit illa benedicta

Mater Unigeniti

Quæ mœrebat et dolebat

Pia Mater dum videbat

Nati pœnas inclyti.

Quis est homo qui non fleret

Matrem Christi si videret

In tanto supplicio?

Quis non posset contristari

Christi Matrem contemplari

Dolentem cum Filio?

Pro peccatis sum gentis

Vidit Jesum in tormentis

Et flagellis subditum,

Vidit suum dulcem Natum

Moriendo desolatum,

Dum emisit spiritum.

Eia Mater, fons amoris,

Me sentire vim doloris,

Fac ut tecum lugeam.

Fac ut ardeat cor meum

In amando Christum Deum,

Ut sibi complaceam.

Sancta Mater, istud agas,

Crucìfixi fige plagas

Cordi meo valide.

Tui Nati vulnerati

Tam dignati prò me pati,

Pœnas mecum divide.

Fac me tecum pie flere:

Crucifixo condolere,

Donec ego vixero.

Juxta crucem tecum stare,

Et me Tibi sociare

In planctu desidero.

Virgo virginum præclara

Mihi jam non sis amara;

Fac me tecum plangere.

Fac ut portem Christi mortem;

Passionis fac consortem,

Et plagas recolere

Fac me plagis vulnerari,

Fac me Cruce inebriari

Et cruore Filii

Flammis ne urar succensus,

Per te, Virgo, sim defensus

In die Judicii.

Christi, cum sit hinc exire

Da per Matrem me venire

Ad palmam victoriæ.

Quando corpus morietur,

Fac ut anima donetur

Paradisi gloria. Amen.

Indulgentia septem annorum.

~Indulgentia plenaria suetis conditionibus, sequentia quotidie per integrum mensem devote reperita (S. C . Indulg., 18 iun. 1876; S. Paen. Ap., 1 aug. 1934).

Festa della Natività della Beata Vergine Maria: 8 settembre 2016

Novena a Maria Bambina

Santa Maria Bambina della casa reale di David, Regina degli Angeli, Madre di grazia e di amore, vi saluto con tutto il mio cuore. Ottenete per me la grazia di amare il Signore fedelmente durante tutti i giorni della mia vita. Ottenete per me una grandissima devozione a Voi, che siete la prima creatura dell’amore di Dio.

Ave Maria,…

O celeste Maria Bambina, che come una colomba pura nasce immacolata e bella, vero prodigio della saggezza di Dio, la mia anima gioisce in Voi. Oh! Aiutatemi a preservare nell’Angelica virtù di purezza a costo di qualsiasi sacrificio.

Ave Maria,…

Beata, incantevole e Santa Bambina, giardino spirituale di delizia, dove il giorno dell’incarnazione è stato piantato l’albero della vita, aiutatemi ad evitare il frutto velenoso della vanità ed i piaceri del mondo. Aiutatemi a far attecchire nella mia anima i pensieri, i sentimenti e le virtù del vostro Figlio divino.

Ave Maria,…

Vi saluto, Maria Bambina ammirevole, rosa mistica, giardino chiuso, aperto solo allo Sposo celeste. O Giglio di paradiso,  fatemi amare la vita umile e nascosta; lasciate che lo Sposo celeste trovi la porta del mio cuore sempre aperta alle chiamate amorevoli delle sue grazie ed ispirazioni.

Ave Maria,…

Santa Maria bambina, mistica Aurora, porta del cielo, Voi siete la mia fiducia e speranza. O potente avvocata, dalla vostra culla stendete la mano per sostenermi nel cammino della vita. Fate che io serva Dio con ardore e costanza fino alla morte e così possa giungere all’eternità con Voi.

Ave Maria,…

Preghiera:

Beata Maria bambina, destinata ad essere la Madre di Dio e la nostra tenera Madre, provvedetemi di grazie celesti, ascoltate misericordiosamente le mie suppliche. Nei bisogni che mi opprimono e soprattutto nelle mie presenti tribolazioni, ho riposto tutta la mia fiducia in Voi.

O Santa bambina, i privilegi che a Voi sola sono stati concessi dall’Altissimo, i meriti che avete acquistato, mostrano che la fonte dei favori spirituali ed i benefici continui che dispensate sono inesauribili, poiché il vostro potere presso il cuore di Dio è illimitato. – Degnatevi attraverso l’immensa profusione di grazie con cui l’Altissimo Vi ha arricchito fin dal primo momento della vostra Immacolata Concezione, di esaudire, o celeste Bambina, le nostre richieste e staremo eternamente a lodare la bontà del vostro Cuore Immacolato.

[IMPRIMATUR: In Curia Archiep. Mediolani – 31 agosto 1931

Canon. CAVEZZALI, Pro Vic. Gen.]

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Ecco le feste del mese di SETTEMBRE

1 Settembre Dominica XII Post Pentecosten I. Septembris    Semiduplex Dominica minor *I* – S. Ægidii Abbatis   

2 Settembre S. Stephani Hungariæ Regis Confessoris    Semiduplex

3 Settembre S. Pii X Papæ Confessoris    Duplex

4 Settembre S. Laurentii Justiniani Episcopi et Confessoris    Semiduplex

6 Settembre I Venerdì del mese

7 Settembre Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex

                           I sabato del mese

8 Settembre Dominica XIII Post Pentecosten II. Septembris    Semiduplex   – Dominica minor –

                In Nativitate Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

9 Settembre S. Gorgonii Martyris    Feria

10 Settembre S. Nicolai de Tolentino Confessoris    Duplex

11 Settembre Ss. Proti et Hyacinthi Martyrum    Feria

12 Settembre S. Nominis Beatæ Mariæ Virginis    Duplex

13 Settembre

14 Settembre In Exaltatione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

15 Settembre Dominica XIV Post Pentecosten III.   Septembris  –  Semiduplex Dominica minor *I*

                           Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

16 Settembre Ss. Cornelii Papæ et Cypriani Episcopi, Martyrum    Semiduplex

17 Settembre Impressionis Stigmatum S. Francisci    Feria

18 Settembre S. Josephi de Cupertino Confessoris   

Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris

19 Settembre S. Januarii Episcopi et Sociorum Martyrum    Duplex

20 Settembre S. Eustachii et Sociorum Martyrum

Feria Sexta Quattuor Temporum Septembris

21 Settembre S. Matthæi Apostoli et Evangelistæ    Duplex II. classis

SABBATO Quattuor Temporum Septembris

22 Settembre Dominica XV Post Pentecosten IV. Septembris    Semiduplex – Dominica minor *I* –  S. Thomæ de Villanova Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Settembre S. Lini Papæ et Martyris    Semiduplex

24 Settembre Beatæ Mariæ Virginis de Mercede    Feria

26 Settembre Ss. Cypriani et Justinæ

27 Settembre S. Cosmæ et Damiani Martyrum    Semiduplex

28 Settembre S. Wenceslai Ducis et Martyris    Feria

29 Settembre Dominica XVI Post Pentecosten I. Octobris    Semiduplex Dominica minor *I* –

                        In Dedicatione S. Michaëlis Archangelis    Duplex I. classis *L1

30 Settembre S. Hierónymi Presbýteris Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex *L1*

LO SCUDO DELLA FEDE (75)

LO SCUDO DELLA FEDE (75)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO X

DECIMA PRODE: TRAFFICO DELLE INDULGENZE

Il lusso sformato qual è ne’ Prelati della Corte di Roma non può mantenersi senza un proporzionato dispendio, ed eccovi perciò la necessità di fare un mercimonio delle cose spirituali. Così la discorrono quegli infelici che vogliono strapparvi dal seno della S. Chiesa: e passano poi a raccontarvi, come per raccogliere denaro in Roma si vendono le Indulgenze, le dispense pei matrimoni, le facoltà di ergere Oratorii privati, le investiture dei benefizii ecclesiastici, le Reliquie dei Santi, ed andate dicendo. Chi li credesse, colà tutto è compera e vendita e permuta, senza un riguardo al mondo, né a Dio, né alle cose sante: e per esprimere tutto ciò hanno già inventato un termine tutto lor proprio, chiamando Roma la gran bottega dei Sacerdoti. Ora, miei cari, sentite una parola di tutte queste accuse; e prima d’ogni altra cosa delle Indulgenze, sopra le quali fan più rumore, che verrete da esse a conoscere sempre meglio qual sorta di Religione sia il Protestantismo, che per reggersi in piedi, ha bisogno di ricorrere a tali calunnie. – La prima occasione di accusa la tolgono dalle Indulgenze, le quali a detta loro, sono la merce che frutta a Roma le più larghe entrate. Ebbene per rispondere subito con dei fatti alle costoro parole, domandate loro, che abbiano mai speso per tutti quei giubilei ed indulgenze, che dopoché sono in vita, hanno udito annunciare al mondo? Che abbiano speso almeno in quest’ultimi pubblicati dal Sommo Pontefice Pio IX, inchiudendovi fino questo del cinquantotto? Chi ha mai loro chiesto un soldo per l’acquisto di tali beni spirituali? Vi potranno forse rispondere che non se ne sono mai curati. Tal sia di loro; ma se avessero voluto curarsene, avrebbero forse dovuto spendere qualche cosa? Inoltre nel corso dell’anno per varie solennità sono concesse le Sante Indulgenze, e vengono dichiarate ai fedeli dai sacri pergami, e ne sono avvisati fin con tabelle appese sulle porte delle Chiese, ora chi ha mai dovuto spendere un soldo per entrare a parteciparne? Questi favori spirituali sono accordati ad innumerevoli Congregazioni e Fraternità stabilite in tutto l’orbe, sono annesse ad una immensità di opere pie, e chi ha mai sognato che per acquistarli si richiedesse altro che l’adempimento delle pratiche ingiunte all’uopo? Dove vanno dunque a parare tutti i guadagni di Roma, e tutte le vendite delle S. Indulgenze? Ma se non è così al presente, fu però cosi in passato, ripigliano essi, e le storie ci ricordano che fu appunto per occasione di quelle vendite che Martin Lutero tolse a protestare contro la Chiesa. Ed io vi risponderò che hanno letto molto male le storie quelli che hanno trovato in esse tutte queste falsità, mentre la Chiesa né in passato né al presente ha venduto mai Indulgenze. Nella Chiesa Cattolica, il vendere beni spirituali è stimato non solo un peccato gravissimo, ma poco meno che un errore in fede, mentre in più d’un caso furono trattati come eretici i Simoniaci che sono appunto quelli che si contaminano di questa iniquità: ed in ogni tempo la S. Chiesa li ha perseguitati. Quanto alle Indulgenze poi si sa con quanti decreti la S. Chiesa abbia divietato qualunque abuso che alcuno dei suoi ufficiali avesse potuto commettere. Quello che ha dato ad alcuni ignoranti l’occasione di errare ed a molti tristi quella di malignare, ecco qual è. La S. Chiesa quando accorda questi favori così eccelsi, quali sono le S. Indulgenze suole imporre qualche opera di pietà e di penitenza ai fedeli sia perché se ne rendano più degni, sia perché questa sia come un qualche compenso per quello che loro vien perdonato. Le opere di penitenza poi, secondo la dottrina delle Sante Scritture si riducono a tre principali, preghiera, digiuno. e limosina, e lo sanno tutti quelli che sanno i primi elementi della fede cristiana. Ora siccome la S. Chiesa non ha ancora creduto per le dicerie dei suoi nemici ed anche per le mormorazioni di alcuni suoi figliuoli disamorati di levar dal Catalogo delle buone opere la limosina, né di rinunziare al diritto che ha di prescriverla ai fedeli, quando lo giudica conveniente ingiunge questa per l’acquisto delle Indulgenze nello stesso modo con cui ingiunge la preghiera od il digiuno. Che se alcune anime vili ed interessate ne tolgono poi occasione di calunnia contro la Chiesa, è tutta loro malizia: mentre il modo onde vien prescritta in questi casi la limosina è così savio, e così disinteressato che per quanto altri aguzzi l’occhio non potrà mai trovare nulla a riprendere. – In due maniere per lo più essa la ingiunge, o lascia in piena nostra libertà il farla a chi ne pare, oppure determina qualche fine speciale. Nell’un caso e nell’altro essa non si occupa punto de’ nostri denari. Così abbiamo veduto più di una volta tra l’opere ingiunte per l’acquisto del Giubileo, essere imposta in genere qualche limosina ed allora i fedeli scelgono quei poverelli che vogliono, quelle vedove, quei derelitti verso i quali si senton mossi, e qui certo non v’ha neppur l’ombra di traffico. – In altre occasioni sono state stabilite limosine o pel mantenimento de’ luoghi di Terra Santa, sì cari alla pietà cristiana, o per la propagazione della S. Fede o per i Cristiani che gemevano sotto la schiavitù dei Turchi, o per l’erezione di Ospedali, o per altra opera somigliante, ed in queste occasioni il denaro era versato nelle mani di quelli cui si apparteneva, e neppure qui si può rinvenire ombra di traffico. La grande pietra dello scandalo fu la limosina imposta da Leone X per l’erezione del tempio di S. Pietro in Roma. Questa somministrò primamente a Martin Lutero l’occasione d’insorgere contro la Chiesa, e fino ai dì nostri è l’argomento perpetuo delle calunnie dei Protestanti contro di lei. Del resto eccovi in poche parole il fatto genuino. Il gran Pontefice Leone X per recare ad effetto il disegno di Giulio II di formare in Roma un tempio dedicato al Principe degli Apostoli, che fosse meno indegno della Maestà della Cattolica Chiesa, e per riuscir nell’opera invitò tutti i fedeli dell’orbe cattolico a concorrervi colle loro limosine. Però per renderli più efficacemente promulgò alcune Indulgenze da lucrarsi da coloro i quali avessero colle loro limosine cooperato ad un’opera sì bella di divin culto, e di cristiana pietà. Or che cosa può esservi qui a riprendere? O negare che la S. Chiesa abbia facoltà di concedere le Indulgenze: ma questo in sulle prime non osò farlo neppur Martin Lutero, mentre non insorse, se non contro certi abusi introdotti dai banditori di esse indulgenze, abusi condannati subito e repressi dalla medesima S. Chiesa; oppure affermare che non sia opera di divin culto l’erezione di un tempio alla maestà del Signore. Ma i Protestanti che fanno tanto strepito colle Scritture, dovrebbero pur sapere che Dio fin dall’antica Legge ebbe tanto a cuore la magnificenza del tempio che ne rivelò egli stesso tutto il disegno, che ne prescrisse da sé tutti gli ornamenti, che infuse perfino la scienza a due artefici affinché ne conducessero perfettamente alcuni dei lavori più delicati. Dov’è dunque il traffico, la vendita dei beni spirituali? Finché i Protestanti non dimostreranno che le cose siano passate altrimenti, noi potremo dir sempre, che quando vilipendono in proposito la S. Chiesa, essi sono o ignoranti di quel che dicono, o calunniatori che vogliono trarre in errore i semplici. E poiché siamo a parlare delle indulgenze aggiungerò qui un’altra calunnia che per occasione di esse i Protestanti scagliano contro la Chiesa. Dicono che la facilità di questi perdoni e giubilei agevola in gran maniera il peccato, poiché, qual ritegno avranno più i fedeli a commettere la colpa, quando sanno essere tanto facile l’impetrarne il perdono? Inoltre come non saranno più rimessi nelle buone opere i Cristiani, mentre per loro diventa, mercé le Indulgenze, sì piana la via del Cielo? Ora, miei cari, son proprio curiose queste difficoltà sul labbro dei Protestanti! Essi insegnano che non sono necessarie al tutto le buone opere, che per giungere al Cielo basta la fede, che un’anima più nera della pece, purché creda di essere giustificata davanti a Dio, con ciò solo è monda più della neve; dopo d’avere insegnate queste belle dottrine, vengono col collo torto a deplorare lo scemamento delle buone opere e la facilità del peccare. È proprio l’ipocrisia dei Giudei, i quali non avevano scrupolo di uccidere Gesù, ma avevano scrupolo d’entrar nel pretorio nel dì festivo. – Ma perché vediate anche più chiaramente come v’ingannano con queste lustre di pietà, richiamate al pensiero quel che insegna la Cattolica Chiesa al nostro proposito. Nel peccato vi sono due cose da attendere, vi è la colpa la quale offende il Signore, vi è la pena di cui si rende meritevole chi commette la colpa. Ora la colpa secondo la dottrina Cattolica non si perdona se non se per mezzo del Sacramento di Penitenza o ricevuto da chi ne ha la possibilità, o almeno desiderato da chi non ha il mezzo di accostarvisi se pure con questo desiderio congiunga la contrizione. La pena poi o in tutto o in parte si condona nello stesso Sacramento secondo il più od il meno di contrizione che altri vi apporta, oppure resta a scontarsi in questa o nell’altra vita con penalità temporali. Ora notate bene, l’Indulgenza non è poi altro che una remissione o parziale o totale della pena dovuta al peccato, ma non mai della colpa: e però l’Indulgenza non può aver luogo se non dopo già pianto, già detestato, già scancellato il peccato dall’anima. In qual modo dunque può l’Indulgenza dar coraggio a peccare? Immaginatevi che alcuno vedendo un nuotatore che dal lido si avanza in alto mare prendesse a dir seriamente che per ciò è quegli sì ardito a gettarsi in alto, perché  tiene poi in pronto una carrozza che lo condurrà alla riva, che cosa rispondereste voi? Fareste una risata solenne e gli direste che i cocchi non viaggiano sulle acque, che bisogna già essere a riva per potersene valere. Ma quando sentite un Protestante che vi dice sul serio che i Cattolici si fidano a peccare perché hanno pronta la remissione nelle Indulgenze voi dovete dire lo stesso. Con le Indulgenze non si rimettono i peccati, bisogna che questi siano già perdonati, perché possiamo con le Indulgenze ricevere la condonazione anche della pena ad essi dovuto. Epperò come quel nuotatore se non ha altri mezzi per tornare a riva che la carrozza può risolversi a far naufragio quando vuole, così quel peccatore che per salvarsi non volesse impiegare altro mezzo che le Indulgenze potrebbe risolversi ad andar dannato. Ora essendo tale la dottrina di S. Chiesa, che senso ha quella difficoltà che certi barbassori muovono con tanta sicumèra e presunzione? Nè è punto più vero quello che soggiungono che per occasione dell’Indulgenze si diminuiscono le opere buone: poiché per l’acquisto medesimo delle Indulgenze si prescrivono varie opere buone, come la preghiera, il digiuno, la limosina senza contare che è una opera molto buona l’acquisto stesso delle Indulgenze: poiché in esso vi è un esercizio di fede alla divina parola, vi è un atto sincero di umiltà nel riconoscersi meritevole di castigo dinanzi a Dio, vi è un desiderio di soddisfare la divina giustizia, vi è una glorificazione del sangue preziosissimo di Gesù in virtù del quale ci vengono condonate le pene da noi meritate. E ciò senza dir nulla dell’inculcare che fa perpetuamente la S. Chiesa che non ci contentiamo delle S. Indulgenze, ma che le congiungiamo con ogni sorta di buone opere. Convinti sopra di ciò non sanno tuttavia ancora ammutolire. Le Indulgenze dei Cattolici, ripigliano, fanno torto alla Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo. Ed in qual modo? Doppiamente, rispondono, e perché i Cattolici richiedono in esse che si facciano certe opere ingiunte quasi esse fossero ancor necessarie per la piena remissione delle colpe dopo la Redenzione, e poi perché i Cattolici alle soddisfazioni di Gesù aggiungono anche quelle della Madonna e dei Santi, quasi le prime non bastassero da sé sole. Ebbene, miei cari, io mi contento di rispondere a tutte le costoro difficoltà perché mi danno campo di spiegarvi meglio la dottrina di S. Chiesa. – In primo luogo avete da sapere che in ogni opera buona che noi facciamo, vi è un doppio valore: vi è il merito con cui acquistiamo la vita eterna, vi è la soddisfazione per cui purghiamo le nostre colpe. Il merito nasce da ciò che sono fatte per movimento e principio di carità; la soddisfazione da ciò che sono a noi laboriose e penali. Così lo insegna chiaramente la S. Scrittura, la quale ci fa sapere a cagion di esempio, che la limosina ci libera dal peccato, che lo estingue (Tob. IV; Eccli. III), che è quanto dire che soddisfa per esso, e nello stesso tempo che come opera buona e grata a Dio ci merita la vita eterna, come insegna Nostro Signore dicendo: Abbiatevi il Regno che vi fu preparato: poiché ebbi fame, e mi deste a mangiare, ebbi sete e mi deste a bere (Matth. XXV). – In secondo luogo è da sapere che il merito è personale e proprio ad ognuno sì fattamente che non può cedersi a chicchessia, ed a questo risponderà il grado di gloria che ognuno avrà in Cielo: laddove la soddisfazione che non è poi altro che il pagamento di un debito può impiegarsi anche in favore di un altro. In quel modo che può un uomo ricco pagare per un suo amico i debiti che gl’impediscono il conseguimento di un pubblico impiego senza che possa tuttavia conferirgli il merito per quell’impiego. – In terzo luogo è da sapere che nella Chiesa il tesoro di queste soddisfazioni è infinito: perocché la passione di Gesù che principalmente Io forma è di valore infinito. Il valor della soddisfazione si toglie dalla dignità di chi soffre allo stesso modo che la gravità dell’offesa si toglie dalla dignità di chi è offeso. Ora essendo Dio quello che sofferse nella sua carne mortale, è d’infinita virtù la sua passione: tantoché essa varrebbe non solo per la salvezza di un mondo, ma per mondi innumerevoli se tanti ne esistessero e ne abbisognassero. – A formare tuttavia questo tesoro vi concorrono eziandio le soddisfazioni della Vergine e dei Santi che patirono più di quanto che fosse necessario allo sconto dei propri peccati. I Protestanti non possono soffrire che ciò si dica: ma  si turino pur gli orecchi che ciò non conta, perché è evidente che è cosi. La B. Vergine certamente non commise mai peccato di alcuna sorta né mortale né veniale, eppure sofferse smisurati dolori ai pie della Croce. S. Giovanni Battista fu santificato sino dal sen materno, eppure praticò durissime austerità in vita, e poi diede il sangue per la giustizia. Gli Apostoli similmente e tanti Santi Martiri di vita illibatissima soffersero pene atroci prima della morte, e pure la sola morte sarebbe stata bastevole secondo la fede a soddisfare per tutte le loro colpe. Similmente tanti santissimi penitenti, e Vergini, e Confessori congiungendo una penitenza asprissima con una vita molto innocente più soddisfecero di quello che fosse richiesto ai loro falli. Certamente il S. Giobbe diceva, volesse il Cielo che le mie colpe fossero bilanciate colle pene che io soffro, come queste apparirebbero ben più gravi di quelle(Job. VI, 1). Tutto ciò èinnegabile. Ora di tutte queste soddisfazioniviene a formarsene come un tesoro d’immensovalore, che è poi quello che la S.Chiesa ci applica colle indulgenze.Domando io pertanto in primo luogoche torto fa a Gesù che ci si applichino lesoddisfazioni di Gesù per isconto dei nostripeccati? Anzi quale onore più grande puòfarsi alla Redenzione che quello di credereche il Sangue prezioso di Gesù ci ottengail perdono non solo della colpa, ma ancordella pena dovuta ai nostri peccati? Ma, dicono, i Cattolici vogliono che per ottenere questo perdono, noi ci mettiamo anche le nostre opere. O ascoltate dunque una volta per sempre, ed intendete bene la verità. In tutto quello che noi facciamo per vantaggio delle nostre anime in tutto trovano i Protestanti che noi facciamo un affronto a Gesù. Se ascoltiamo la S. Messa dicono che facciamo torto al Sacrifizio della Croce, se facciamo opere buone dicono che rendiamo inutili quelle di Gesù, se invochiamo la Madonna ed i Santi dicono che li anteponiamo a Gesù, se facciamo le opere ingiunte per l’acquisto delle S. Indulgente trovano che rendiamo inutile la Passione di Gesù. Ma il vero volete sapere qual è?La verità è che essi disonorano ed insultano altamente Gesù con tutte queste ragioni inique perché con esse disconoscono al tutto quel che sia la Redenzione. Imperocché la Redenzione che Gesù ha fatto di noi non consiste già in questo che abbia dispensato noi dal fare la parte nostra. Nulla meno. Il benefizio infinito della Redenzione consiste in ciò, che mentre noi non potevamo senza di essa far nulla che ci valesse a vita eterna, non credere, non sperare, non pentirci dei nostri peccati, non amare il Signore come si conveniva, Gesù ci ottenne col suo Sangue prezioso la grazia immensa di poter far tutto ciò in modo che ci valesse a salute. Ma dopo fattaci questa grazia, non solo non esclude la nostra cooperazione, ma la vuole, la comanda, la esige a qualunque costo. I santi Vangeli ci intimano che dobbiamo far penitenza, che dobbiamo digiunare, che dobbiamo pregare, che dobbiamo partecipare ai Sacramenti, che dobbiamo esercitare coi prossimi le opere di misericordia ed andate dicendo. E Gesù Cristo nel dì del giudizio allegherà contro i reprobi per condannarli la mancanza delle buone opere. come per rimunerare gli eletti addurrà qual titolo l’esercizio delle medesime. Bisogna aver perduto il senno per non intendere e peggio per impugnare questa verità. Che cosa direste voi di un contadino il quale sul pretesto di non fare torto alla divina Providenza che l’ha da sostentare non volesse più arare la terra, non seminare, non incalzare, non mietere, non riporre le sue provigioni? Direste che è un pazzo. La Providenza divina consiste in ciò che ci mantiene le forze per lavorare, che ci manda le piogge opportune, che ci fa sorgere il sole, i venti, e quanto è necessario al raccolto, ma non esclude, anzi suppone, anzi richiede anche il nostro lavoro, la nostra opera. Ora dite lo stesso nel nostro caso. La Redenzione di Gesù ci ha procurati tutti i mezzi necessari per fare il bene che senza di essa mai non avremmo avuti, ma non ci viene poi applicata se noi non facciamo anche la porte nostra. Volete saper chiaro una volta dove vada a parare quel sì iniquo magnificare che fanno i Protestanti la Redenzione? Ah non è amore verso Gesù, non è stima, non è riverenza verso il Sangue divino, è un pretesto che essi tolgono per esimersi da ogni obbligo di far penitenza, e di esercitarsi in opere buone. Ma il congiungere colle soddisfazioni di Gesù anche quelle della Madonna e dei Santi, non è poi il fargli qualche torto? Niente affatto, miei cari. Imperocché se noi le aggiungessimo quasi non fossero sufficienti quelle di Gesù, certo sarebbe un affronto; ma la Cattolica Chiesa mai non ha fatto questo, e ne avrebbe orrore. Le aggiunge perché riescono d’immensa gloria e di splendido trionfo allo stesso Gesù: mentre da esse si vede quel che Gesù ha potuto fare con la sua grazia nei suoi servi che li ha di tanto aiutati, di tanto fatti degni che potessero accumulare sì gran capitale di soddisfazioni che bastasse non solo a loro ma ancora ai loro fratelli. Se vedeste un Imperatore che ha dintorno tanti scudieri e sì ricchi che possano fare anche ad altri splendide largizioni, direste mai che questi con la loro grandezza fan torto all’Imperatore? Tutto all’opposto: perocché questi mostrano anzi più grande quel Monarca che ha potuto far essi sì grandi. Di che vi parrà anche chiaro come i Cattolici riconoscano quella gran verità che Gesù Cristo è l’unico nostro Redentore, l’unico Mediatore, il Salvatore unico di tutti gli uomini. Imperocché noi confessiamo con gran giubilo del nostro cuore che solo Gesù ci ha riconciliati col Padre celeste, solo Gesù ci ha meritate tutte le grazie, solo Gesù ci aiuta a far le opere buone, solo Gesù dà valore alle nostre soddisfazioni. E se in qualche cosa concorrono anche i Santi o intercedendo per noi, o facendoci parte delle loro soddisfazioni, tutto è vanto, onore, gloria, opera di Gesù il quale dopo di averli colle sue grazie fatti degni e di pregare e di offrire qualche soddisfazione per noi, si compiace nella sua misericordia di accettar quell’offerte e quelle preghiere. Ma finalmente, ripigliano, sia pure anche solo una pena temporale quella che si rimette con le Indulgenze, con quale autorità però la Chiesa esercita un tal diritto? Io vi potrei rispondere che se la Chiesa l’esercita, è questa una prova indubitata che ne ha l’autorità, perocché essendo essa infallibile non può eccedere nei suoi diritti né  usurparsi un’autorità che non possieda. Tuttavia eccovi un’altra risposta. Vi ho detto sopra che nel peccato vi è da considerare la colpa e la pena. Ora dovete sapere che la S. Scrittura c’insegna che dopo rimessa la colpa non è sempre rimessa anche la pena. Cosi a cagion di esempio fu perdonato a David il suo peccato, ma tuttavia gli rimase a portar la pena della morte del suo figliuolo. Così furono perdonate ai Giudei le Idolatrie ed infedeltà che avevano commesse nel deserto per le preghiere di Mosè, ma tuttavia fu data loro per pena la morte temporanea nel deserto, di che si vede manifesto che nel peccato oltre il reato della colpa v’è eziandio quel della pena che non sempre si rimette col rimettersi della colpa. Appunto come avviene talvolta tra noi che alcuno il quale ha ricevuto dal suo prossimo danni ed ingiurie accorda il perdono al suo offensore, ma vuole però che gli rifaccia i danni che gli ha recati. Ora qua! è la potestà conferita da Gesù Cristo alla sua Chiesa? Forse soltanto quella di rimettere i peccati? No. Gesù Cristo dice ripetutamente che qualunque cosa essa legherà, qualunque scioglierà sarà sciolta o legata in Cielo. Non mette limiti, non appone condizioni: e siccome per l’applicazione dei meriti di Gesù rimette la colpa, così per l’applicazione delle soddisfazioni di Gesù rimette la pena, la quale è ancor essa un legame verissimo dei fedeli. E così di fatto l’ha poi sempre inteso e praticato la S. Chiesa. L’Apostolo S. Paolo rimette all’incestuoso sì noto di Corinto una tal pena in nome di Gesù Cristo come egli parla (2. Cor. II).I santi Martiri nei primi tempi, come il testificano S. Cipriano e Tertulliano, chiedevano, ed impetravano spesse volte dai Pastori legittimi della Chiesa che rimettessero una tal pena a quegli infelici che per timore dei tormenti avevano rinnegata la S. Fede nel tempo della persecuzione, e che poi erano tornati a penitenza: nei tempi susseguenti il Concilio di Nicea, quello di Ancira, quello di Laodicea suggeriscono il modo più prudente di accordare codeste indulgenze. Dai tempi di S. Gregorio in poi è sì noto l’uso delle Indulgenze che senza un’audacia estrema non può mettersi in dubbio da verun protestante. Ma v’è ancora più di tutto ciò. I Concili generali che sono la voce infallibile di tutta la Chiesa le autenticano in molti modi, il Concilio Claromontano riceve le S. Indulgenzedal Papa Urbano II. Il Concilio Lateranese da Pasquale II. Nell’altro Concilio Lateranese ed in quel di Lione mentre si riprendono quelli che abusavano a fini mondani delle Indulgenze se ne conferma il loro valore. In quel di Costanza si condanna l’errore dell’eretico Wicleffo che le impugnava. In una parola la S. Chiesa fino ai dì nostri ha sempre posseduta una tale autorità, e l’ha sempre esercitata. Ecco dunque dove sta fondato il diritto di S. Chiesa. Sta fondato sulle Scritture, sta fondato sulla Tradizione, sta fondato sull’infallibilità che Gesù ha concesso alla sua Chiesa, mercé la sua assistenza divina. E tutto ciò basti in risposta a quelli che disconoscono i diritti di S. Chiesa. Voi però non vi contentate di mantenerli con tutta la fermezza di vostra fede, passate anche ad accrescere sempre più in voi la stima di sì gran beni, ed abbiate sollecitudine quando la S. Chiesa ve li offre di acquistarli. I veri fedeli in ogni tempo guardarono sempre carissime le Indulgenze. Molti gran Santi della Chiesa fecero più volte il viaggio di Roma e della Palestina per guadagnare questi spirituali tesori. Quando i Sommi Pontefici incominciarono a pubblicare periodicamente ogni cento, e poi ogni cinquanta,e finalmente ogni venticinque anni i Giubilei, tutto il popolo Cristiano se ne commosse, e v’ha memoria che in certi tempi fino a centomila fedeli entravano ed uscivano ogni giorno dalle porte di Roma venuti da tutta la terra per acquistarli. Questa fu la Fede dei nostri Padri, questa sia la nostra ed a suo tempo si vedrà quanto si sia fidato sicuramente chi riposò sugli insegnamenti di S. Chiesa.