LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-7B-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (7B)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO SETTIMO

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

[Beati i pacifici perché saran chiamati figli di DIO]

III

IL SEGRETO DELLA NOSTRA PACE

DISTACCO

Chi tiene il cuore avvinto ai beni di questa terra non può aver pace. Se giovane, è insaziabile di soddisfazioni, di ambizioni, di piaceri; se vecchio, è intollerabile e disperato per tutti gli acciacchi inerenti alla sua età intermedia, spasima fra quello che sfugge e quello che non può raggiungere ed è infelice. L’uomo, così fremente d’insani desideri e di avidità incomposte, si trova in una condizione in cui nessuna cosa al mondo lo può saziare. Il sogno supera sempre la capacità di acquisto. È quindi in un tormento che non lascia requie, che logora la fibra fisica e deprime le energie morali. Qui è giocoforza richiamare le parole del Signore intorno al seme, che per svilupparsi ha bisogno di essere messo nel solco e di morirvi. Soltanto allora cesserà di essere solo e si moltiplicherà. Così l’uomo, il quale con gesto deciso della sua volontà, si stacca dai sentimenti, che lo fanno schiavo delle circostanze della vita, dai suoi comodi, dalle sue ambizioni, dai suoi sogni e si decide di vivere con la maggiore docilità alla volontà di Dio, volgendosi dove Lui vuole, desiderando di fare ciò da Lui gli viene indicato, sarà in pace con se stesso e con la vita. Nulla giustifica la schiavitù degli uomini soggetti alle cose; e neppure si può lecitamente parlare di stoicismo e di buddismo a proposito della rinuncia cristiana. Quelli sono una spinta egoistica di liberazione da tutte le sollecitudini presenti, questa è al contrario suggerita al fine di adempiere con scioltezza i più ardui e difficili doveri ad onore del Signore e a bene del prossimo. Fare per Lui è un titolo che ci eleva, fare secondo il suo beneplacito è una condizione spirituale che ci garantisce contro ogni slittamento verso l’ignobile interesse. Appare chiaro, che, per lo schiavo volontario e abituale dei piaceri mondani, non ci sia via di salvezza, senza il sorgere nel suo cuore d’un nuovo oggetto d’amore, che faccia scendere sotto l’orizzonte della sua vita l’antico pianeta. Ma esso deve riuscire talmente attraente e splendido da non poter essere che Dio e la sua gloria. A questa condizione l’uomo sarà salvo.

INDIPENDENZA

Chi è responsabile d’una famiglia ha il dovere di provvedervi. Ma forse, che occorra per questo farsi ligi e incatenati alle cose materiali? Queste han da servire noi, non viceversa. E l’amore di Dio è veramente prodigioso nel darci l’indipendenza perfetta anche nel possesso d’ogni bene. « Nihil habentes et omnia possidentes ». La scioltezza e la libertà dei movimenti, anche fra gli interessi più urgenti, sono prerogativa delle anime care al Signore e che al Signore mantengono la loro fedeltà. Tutto basta e a tutto hanno attitudine; sembrano concentrate nelle cose di Dio e ti sanno trattare i più disparati affari della terra. Non è così dei religiosi e delle religiose, sovente? Ma questo accade anche tra le nostre migliori mamme e i nostri Cristiani solidi e più uniti al Signore con isacramenti. Il senso giusto della pietà, conferisce anche quello giusto dei doveri della vita presente. Osserva pure i Santi fondatori. Sono gli uomini più pratici e produttivi che si conoscano. San Vincenzo de’ Paoli? San Carlo Borromeo? Don Bosco! Potevano dare molti punti ad industriali di grande nome. È vero, che anche più generosa era la Provvidenza divina con questi amici, fiduciosi in lei sino all’inverosimile. Ma anche le situazioni più scabrose essi seppero superare in serenità stupenda. Dio c’è bene per tutti, se vogliamo confidare in Lui. Si tratta di chiedergli questa magnifica virtù, propria dei figli di Dio. La pace allora ravvolge tutta l’azione nostra e ci fa tetragoni alle vicende più strane. Non si meraviglia dell’odio, che divora tanto sovente gli uomini; ma sa, che per questo essi vivono nel disaccordo e nella tribolazione. Dice san Giovanni Crisostomo, che « colui il quale attende a pacificare i fratelli, fa nella terra o città sua l’officio che la natura ha dato ai nervi del corpo, cioè di unire le membra e trarre l’uno all’altro per la loro salute. Ma questa virtù non ha forza se non in quei che prima vivono quietamente con se stessi. Altrimenti darebbe da ridere alla gente colui che volesse persuadere ad altri la mansuetudine e la tranquillità della mente, ed esso fosse veduto per ogni minima ragione adirarsi ».

LA PREGHIERA DI FAMIGLIA

Se la indipendenza dalle preoccupazioni eccessive della vita materiale è condizione di pace, non bisogna fermarsi tuttavia a questa, poiché è condizione solo negativa. Il segreto della pace dello spirito è l’unione con Dio. La quale è naturale attraverso la preghiera Che potenza d’azione abbia in sé la unione col Signore, quale forza di reale progresso sia la invocazione animosa e costante del divino aiuto, e come per suo mezzo l’anima religiosa si affini, si rassodi, si confermi nei propositi di bene, ognuno sa. La famiglia trova la sue serenità in questo appoggiarsi di tutti i giorni, di tutte le speranze, in tutte le angustie, sia con la preghiera privata e individuale, che con la collettiva, sul petto di Dio. La madre pia è il maggior tesoro della casa. Pia nel senso di una alta capacità di stare con Dio, di respirare con Lui, di abbandonarsi in Lui in tutte le contingenze della vita. Pia per una abbondante cognizione degli elementi fondamentali della fede e dei nostri doveri verso Dio, centro dei cuori e delle menti. Una moglie e madre pia, in tal senso luminoso e attraente, è una energia, una guida, un vessillo, che i familiari seguono con devota riconoscenza. Dove è intelligenza e soprattutto cuore ed equilibrio si va con fiducia, con rispetto e gratitudine lieta. Nessuno può a ragione parlare di bigottismo, nessuno di superfettazione o di gravame sullo spirito dei piccoli; poiché lì è l’anima più ariosa e serena, la parola più sensata e prudente, l’iniziatrice dei diporti che danno respiro nel compimento del dovere particolare. La donna che si raccoglie intorno la famiglia per la preghiera, è il centro d’una scena che non si circoscrive al momento, ma rimane e si svolge durante tutta la giornata e, vorrei dire, la notte. Ciascuno sul lavoro o nel riposo si sente parte di quel gruppo familiare e oggetto di quella energia materna (poiché anche il marito è da questo lato spirituale un poco il figlio di sua moglie) che non sospende mai il suo incarico di plasmatrice delle coscienze dei suoi. E vivono in questa atmosfera e dentro quella luce e in quella dolce temperie d’affetto. La preghiera così non è psittacismo vano e noioso, ma vibrazione di tutta l’anima e nutrimento di tutti gli strati della coscienza. Chi può ardire di spregiarla? Bisognerebbe disprezzare l’educazione stessa. Poiché la madre cristiana tutti gli aspetti della vita fa servire ad alimentare il senso del divino presente e attivo: nella natura, che in città è meno sentita, ma possibile con qualche accorgimento; nel cuore individuale, dove il giovinetto già avverte un mondo di cose in fermento: nell’intelletto, di cui Dio col suo Figlio Gesù, il rivelante, è stimolatore e guida in ogni lato provvida; nella stessa vita sociale, iniziale nel piccolo, m a influente sugli altri, Dio è rilevabile assai utilmente, con l’occhio del cuore d’una madre accorta e vivace. Sentire Dio è adorarlo, è servirlo, è diventarne apostolo. Sulle ginocchia di codeste madri, davvero si formano i figli atti a consolarne in seguito gli anni dell’inerzia forzata, ma nei quali si gode il gradito frutto della passata fatica. Di questa chiara pietà, che noi veneriamo nelle nostre mamme, riconosciamo il potente riformatore nella preghiera liturgica, dove parla di continuo Dio con la voce della Chiesa, maestra di pensieri, di fervori, di sentimenti equilibrati, di alte aspirazioni morali. L’ascoltare la Messa per la madre diventa un giornaliero arricchimento dello spirito e un colpo di leva di tutte le capacità educatrici.

IV

I PACIFICI SOMIGLIANO A DIO

L A PACE DI DIO

Perché mai ognuno di noi è preso dall’ammirazione per colui che offre il tipo d’una vita serena e tranquilla? La serenità è manifestazione di una padronanza di sé, che non si incontra frequentemente fra gli uomini. La serenità, intendiamo, che non è incoscienza e difetto di comprensione delle responsabilità della vita; ma quella la quale, malgrado il peso e le difficoltà di ogni giorno, ci rende atti a reprimere gli impeti della natura impaziente e ribelle al disagio e ci mantiene calmi, consapevoli e costanti. È la saggezza maggiore, quella per cui uno sa dire a se medesimo con sicurezza, che a tutto v’è rimedio. Viene dalla retta coscienza, nella quale la difficoltà non ha avuto origine colpevole; viene dall’innocenza in cui sta la ragione della attesa tranquilla, nella fiducia che gli avvenimenti si svolgeranno così da porre in rilievo la rettitudine. Dio è in pace con se stesso infinitamente; nessuna vicenda umana o dell’universo lo sorprende né lo turba; tutto gli rimane esteriore, essendo dentro di sé sconfinatamente pacifico e coerente. La sua unità fa sì che in Lui non sieno complicazioni di sorta; non si possano verificare contrasti o collisioni fra sentimenti opposti; non avvengano frizioni, né esitazioni di giudizio; non si rivelino incertezze nelle decisioni, le quali sgorgano da una intelligenza che è volontà, da una intuizione che è verità o aderenza perfetta ad una realtà ben nota in tutti i suoi intimi meandri, nelle sue stratificazioni e nelle sue esterne manifestazioni. L’unità di Dio esclude tutto ciò che può, in qualche misura e in determinati momenti, provocare squilibri o disaccordi. È pertanto una sola armonia la sua vita intima e misteriosa. Le tre Persone Santissime sono della medesima natura e sostanza. Le manifestazioni, che interessano noi, non hanno in sé possibilità di conflitti.  Tutto è concepito, esaminato e voluto nella più limpida omogeneità di un pensiero, che è completo e semplice, comprensivo nel senso più vasto, compatto e armonico. L’armonia di Dio nasce dall’amore che lo alimenta. Essendo tutto amore, Dio non può subire effetto di contrasti, di dissapori, di gelosie, di disparità di vedute, di dissimiglianza di gusti, di aspirazioni dissonanti, di sogni disuguali. L’amore è la forza unitiva, senza altri elementi che esso medesimo, svolgentesi nelle mille direzioni, che importano la ricchezza della sua vita interiore e delle sue espressioni vitali nel mondo umano e universale.

LA LEZIONE ALLE MADRI

Anche la immutabilità di Dio è coefficiente della sua intima pace. Perché noi facilmente mutiamo? Perché son pochi gli intelletti così vivamente intuitivi atti a cogliere con tutta prontezza il punto della verità e così coerenti da non subire influssi distraenti dal centro d’interesse. La nostra incapacità ci induce a diffidare di noi, anche quando avremmo ragione di rimanere tranquilli; la nostra instabilità ci porta a tremare ed esitare anche allorché potremmo ragionevolmente essere fermi nella scelta fatta e nella decisione fissata. Ma poiché in Dio non sono codeste incertezze e sarebbero irragionevoli in Lui, ecco la inconcussa pace e perfetta linearità e l’immutabile armonia nella sua vita molteplice e unica, milliforme e costante, sconfinatamente ricca e compatta. Il Signore è ammirabile. Eppure noi dobbiamo studiarci di imitarlo. Nessuna vanità in noi, ma neppure alcuna pusillanimità. Nessuna ragione di orgoglio in tanta nostra miseria, ma neanche puerile in certezza. Dio ci vuole riflessivi, poiché siamo fragili e parecchio ottusi, ci vuole umili, ricercatori modesti di consiglio dalla saggezza di chi ci guida, ma più dalla invocazione dello Spirito Santo. Fiduciosi e sereni, sino ad un totale abbandono in Dio e nella sua protezione. Il Signore può ben insegnare alla buona mamma come resistere contro la indisciplina interiore, che porta a mutar decisione ad ogni difficoltà. Chi governa ha il dovere d’essere molto lento a prendere certi provvedimenti senza lasciarsi impressionare, intimidire, turbare; ma preso che l’abbia, deve restare fermo e calmo nell’attuazione. Le esitazioni irragionevoli, le incertezze che vengono dai nervi tesi, non sono fatte per ispirare fiducia nei familiari. L’educatrice possegga un poco della fissità di Dio, come è tenuta a tornirsi della sua preveggenza. Il Signore soccorre la fatica della buona madre e la illumina. Come saprebbe superare certe giornate di angosciosa trepidazione? Durante una malattia, in un periodo di ribellione di un figliolo, nel turbamento cagionato dagli affari del marito, in un esperimento amoroso d’una ragazza: la madre mantiene il dominio su di sé e con mano ferma segue il corso dell’incidente, o lo gira oppure lo sconvolge e annulla come la prudenza le suggerisce. Ma il centro d’ispirazione rimane unico, immoto, sicuro, frutto di prove più o meno fortunate, ma tali da aprire l’animo alle suggestioni della saggezza. Lo Spirito Santo ha la sua funzione. Chiediamola a Lui, il quale, sollecito del nostro bene temporale ed eterno, ci richiama i suoi dettami di vita. E anche Gesù Signore è con noi. Non forse ci invitò sin dalla sua comparsa quaggiù ad avere fiducia, che egli provvederà al alleviare il nostro bisogno? « Jugum meum suave est, et onus meum leve » (Mt., X I , 30). Se sappiamo trasformare il disagio in titolo di merito per aderire a Lui, ecco che Egli lo allevia e lo rende gradito e soave. Sicché ciò che costituiva motivo di affanno e di pena, diviene vincolo più intimo e valido a servizio del bene. E dove era urto di sentimenti e più acerbo attrito di considerazioni, apparisce come per prodigio, una ragione di aderenza al Signore.

IMITARE DIO

Questo è secondare la sua santa volontà e renderci simili a Lui. Infatti la somma azione di Dio sulla nostra esistenza presente è la mutazione del male in bene; in questo settore della nostra prova ci facciamo a Lui somiglianti. Per altro sappiamo, che la nostra pace sta nella capacità di fare il suo volere. Nel quale è conforto e requie. Figli di Dio sin d’ora pertanto. Figli del suo potere e del suo dolore. Figli della sua volontà di perdono e del suo generoso amore. Noi passiamo sul medesimo sentiero della sua vita terrena e lo imitiamo nell’opera di redenzione delle anime nostre e dei fratelli. Nella atmosfera di pace in cui respiriamo così, noi solleviamo i nostri cuori dalle miserie che ci fasciano tutt’intorno e ascendiamo su verso le regioni del sereno perpetuo. Per altro non possiamo vivere isolati da Lui. La sua paternità opera sempre e noi non siamo in grado di scostarci. Figli suoi dobbiamo essere. Perché mai sottrarsi ad un amore tanto benigno e consolante? Quale vantaggio potremmo avere dal contrastare con Lui? Il Signore ci vuol possedere per nostra fortuna. « Nemo enim nostrum sibi vivit et nemo sibi moritur. Sive enim vivimus, Domino vivimus, sive morimur, Domini morimur. Sive ergo vivimus, sive morimur, Domini sumus » (Rom., XIV, 7-8). – Non mai siamo indifferenti per il Signore; poiché Egli ci ha fatto per Lui e non mira ad altro, che a conquistare la nostra libera decisione. La via sua abituale è quella dell’amore; e noi saremmo ben scarsi di intelletto se lo costringessimo ad usare, a suo dispetto, la via dell’asprezza e del castigo. Queste non si confanno al suo gusto. Siamo figli amorosi d’un Padre infinitamente amabile. Siamo dunque ansiosi di servirlo, di vivere per Lui; siamo fedeli agli impegni da Lui impostici, alla obbedienza da Lui intesa, alla rettitudine giustamente pretesa e la prodigalità del suo cuore ci farà sperimentare quanto bene ci voglia. Dio entra in ogni individuo per una porta diversa. Ma perché impedirgli di entrare? Che guadagno ne ricaveremmo? Non lo Tediamo ogni giorno? E non vale meglio la pace del cuore, che non ogni fatuo e illusorio bene del mondo? Facciamo pace in noi, teniamo pace con Dio, diventiamo sempre più figli suoi. A che disperdiamo il nostro tempo nel rincorrere le cose di questa povera esistenza? Non vediamo quanto poco esse hanno da offrirci e come il poco è vano? E come non avvertire, dopo alcuni esperimenti, che tutte insieme non riescono ad appagare la insaziabile fame dei nostri cuori? Perché non cercare ciò che si proporziona a questa fame? La mancanza di pace di tanta umanità viene da questo errore. Non vogliamo in noi almeno correggerlo?

V.

LA VIRTÙ SECONDO L’INDOLE DEL GIOVANE

I PACIFICI

Dapprima questi sono indotti ad amarla come per istinto di natura. Sono inesperti e quindi timidi. Osservano con curiosità la vita e vedono che è infestata da pericoli da ogni lato. Nella scuola, sul lavoro, nella compagnia dei discoli e dei violenti. La stessa vigilanza dei genitori e dei superiori suggerisce loro il desiderio d’essere sempre in pace con essi. È bello. Risulta anche utile. Dà soddisfazione a tutti. Perché impennarsi nell’alterco e destare conflitti? In pace si è sereni, si lavora, si è ilari. La coscienza dice, che in questo stato si meritano anche le benedizioni del Signore. – L’esempio dei grandi serve loro di confronto. Dove incontrano bizze, risentimenti, vendette, malignità sentono d’istinto la repugnanza d’ogni animo gentile; dove scorgono dominio di sé, benevolenza, generosità di perdono, cura della serenità con tutti, prudenza di rapporti soprattutto con i più sanguigni spargono gioia così da travolgere anche i meno pacifici. I giovani tendono a vedere la vita con la letizia di cui hanno inondata l’anima e le sorridono perché per essi è una grande promessa di felicità. Non si convincono delle parole che mirano a metterli in guardia contro le facili illusioni. Sorridono, quasi, delle pitture fatte a tinte fosche che loro narrano le delusioni, i tradimenti, gli inganni seminati dovunque, i trabocchetti disposti ai piedi di ogni esistenza giovanile. Rimangono un poco scettici, e par che dicano: Vedrete, che io non vi cascherò! Tutto armonia, bellezza, promesse di riuscite e di vittoria. L’ingegno è pure un fattore di speranze senza fine. La ricchezza o l’agiatezza vi coopera. La salute florida ne è un elemento principe. Pare al giovine, che potrà conquistare e trionfare senza grandi difficoltà. Pacificamente. Serenamente. Pare frutto della incoscienza dell’età, ma lo è, se mai, della natura.

MILITIA EST VITA HOMINIS SUPER TERRAM

Se non che viene l’ora della rivelazione. Gli scontri si effettuano; gli urti si impongono; bisogna, talvolta, per raggiungere la pace col prossimo, accettare la guerra e vincerla con calma, Nascondersi la realtà non è da saggio; e il giovine, senza esserlo ancora, s’avvede di uno svegliarsi di sentimenti non mai provati per l’innanzi. Si desta lo spirito di lotta e la sua intima consapevolezza prende nuove forme. Non è un risveglio gradito, sicuramente. Non può garbare allo animo retto e sincero la scoperta della necessità di lottare contro i doppi e gli ipocriti, o, comunque contro gli ambiziosi, gli irrequieti e i litigiosi. Il giovine non aveva per anco esperimentato l’esistenza di questa necessità nella vita. Ne è seccato. Ha una segreta tentazione di sbarazzarsene definitivamente. Liberarsene per sempre. Ma non è possibile. Bisogna subire  le condizioni della esistenza. Non v’è dunque il pericolo, che appunto queste condizioni corrompano nel giovine la visione della convivenza sociale e lo precipitino d’un colpo nella sfiducia e nella mediocrità? La tentazione è possibile e molte volte vince la inesperta resistenza di chi è sfornito di altri appoggi nella grazia e nella ispirazione superiore della coscienza. Giovani assenti alle pratiche religiose non sono generalmente in grado di superare la prova. Diventano scettici e si abbandonano a quella, che credono ormai essere la legge della convivenza umana. Non credere che all’interesse. Sono giorni neri questi. Un rivolgimento funesto si va come assestando a dispetto della educazione e dello stato d’animo anteriore. Semi di rivolta si sviluppano nel fondo dell’animo, che non aveva conosciuto se non l’adesione calma e schietta dalla disciplina. S’aderge di dentro perfino un senso di avversione a tutto il complesso educativo dal quale ebbe la sua formazione. Un sollevamento pauroso di mal umori, di dispetti, di antipatie, di intolleranze. Il cuore della madre, che deve essere guida in tali momenti, non dovrà dimenticare all’ultimo posto le voci della fede. Lo affidi il suo figliolo al ministro di Dio; glielo presenti con compiutezza di informazione; gli dia i suggerimenti opportuni affinché Egli possa penetrare l’anima scossa e darle quel soccorso caritatevole ed accorto, che sia proporzionato al caso. La crisi morale è crisi di coscienza e di fede. Tutta la vita interiore è compromessa. Ma la vittoria non è né impossibile né difficile. Se il giovine capisce la sua condizione e si serve dei mezzi che la grazia gli offre, potrà uscirne non soltanto bene, ma con profitto vero. Il suo passo si farà più celere sul sentiero del bene e la pace ritornerà nel cuore. La esperienza nuova lo avrà rassodato nell’apprezzamento del valore delle forze spirituali e della religione. Saprà, che l’anima s’arricchisce nel crogiolo della prova. Non la temerà per l’avvenire, quando immancabilmente tornerà. Ma dovrà trovare condizioni ben differenti; poiché la pace fatta di conquista, ha un pregio assai superiore a quella sussidiata solo dall’ambi ente. È una armonia acquistata passo passo, briciola per briciola con l’animo. Il quale sente fermentare dentro una pena acuta e salutare, tendendo con ogni cura all’alto, in una serena speranza di riuscita. Grazie a questo atteggiamento di umile fiducia il giovane, anche in seguito alla vittoria, si manterrà consapevole della sua lunga battaglia e delle proprie debolezze, supplite dalla attiva presenza del divino. L’umiltà e la diffidenza di sé accordata alla fiducia in Dio, lo salveranno.

IL CUORE CHE VINCE

Poiché egli rapidamente si orienta poi e riprende contatto con il suo mondo con sicuro ardire e col sorriso dell’animo, che aveva conosciuto le trepidazioni e le angosce. Fortunate le madri, che sanno essere così vicine e benefiche alle loro creature! Esse veramente sono di continuo rigeneratrici e sostegni, con abnegazione senza limiti e riposo. Il loro cuore vede, sente, compassiona e riesce a scoprire la via della energia, che si moltiplicherà e manterrà la saldezza dell’azione. Chi si scontra con un simile giovane potrà essere causa di disagio, ma non più di irritazione e di conflitto. La pace lo rese pacificatore. Gli somministrò gli elementi per rasserenare ogni spinto o almeno per renderlo innocuo. Tanta è la interna armonia che non può ammettere di smarrirla per cause  comuni. Al più, un avvenimento grave e preoccupante lo farà pensieroso e gli darà il tono severo delle grandi sollecitudini; non mai lo farà agitato e convulso, irritato e intollerante. Sappiamo, che soltanto colui il quale non ha il cuore avvelenato dalle eccessive cure del mondo, degli averi e del piacere, dispone della forza che vince queste battaglie. Ha la mente fissa ne’ suo proposito di equa considerazione delle cose e degli interessi di quaggiù. Non se ne lascerà smovere. Perché mai giocherebbe la sua pace per la perdita di qualche cosa di un pregio così limitato? E l’esempio suo avrà effetto e farà scuola intorno. La forma d’apostolato, che gli si offre, è più di fatti che di parole. Convincerà ognuno, che sia sincero, della santità delle sue idee, mostrando la pace e il dominio di sé, di cui è capace. C’è in fondo a codesti spiriti una tensione verso le cose celesti. E sono pertanto anime eroiche. Personali, costruttrici, ferme, ricche di risorse per fazione, ornate di una robusta volontà, e utili a sé ed ai loro prossimi.

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-7A-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (7A)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO SETTIMO

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

[Beati i pacifici perché saran chiamati figli di DIO]

I

I PACIFICI PORTANO PACE

La definizione di Sant’Agostino è classica, perché compiuta e perfettamente chiara. « Pax omnium rerum, tranquillitas ordinis— la pace d’ogni cosa è il riposo nell’ordine » (De civ. Dei, XIX, 13). Occorre pertanto un doppio elemento: l’ordine e il riposo in esso. Chi nutrisse un segreto istinto a sconvolgere l’ordine in cui vive, non possederebbe la pace, né saprebbe diffonderla. Essa impone tre gradini l’uno atto ad introdurre nell’altro: la pace nell’individuo, quella col prossimo, quella con Dio. Ma la radice è al terzo posto. Solo da Dio si inizia ogni lavoro fecondo. L’osservanza della legge nei confronti di Lui ci dà i mezzi per salire alla pace con i nostri simili e per renderci di Dio efficaci collaboratori.

« Pax multa diligentibus legem tuam — molta pace a coloro che amano la tua legge » (Sal., CXVIII). Non può sussistere ordine senza legge. E una legge, priva di autorità e di base chiara e sicura, non ha intima energia. Dio è pertanto l’elemento principe della pace; per questo, che Dio ne è la sorgente, così si chiamano « figli di Dio », in un senso sommamente onorevole, quanti sanno dargli mano nello stabilirla tra i suoi redenti. L’opera di pacificazione si inizia dall’individuo e si compie nella società, Il singolo deve riuscire ad armonizzare, quanto meglio sa, i movimenti dell’animo e deve assoggettarli alla ragione, che ha il diritto di guidare e di sorvegliare tutti gli appetiti inferiori. Così si stabilisce il regno spirituale dell’ordine, come mè voluto da Dio. Tutto un lavoro di rinuncia di repressione, di sorveglianza attiva è necessario. Ubbidire e rinunciare a tutto ciò che contrasta con la volontà di Dio, con la luce della quale occorre rischiarare la ragione nostra. Le coscienze illuse, che amano di mantenere un impossibile equilibrio tra la legge di Dio e quella del mondo, dettata da satana, e cercano di inchinare quella e di sorridere a questa, sciupano la loro i pocrita fatica.

LA VERA PACE

Saranno sempre nel turbamento e recheranno con sé, non la pace, ma la loro sottile contraddizione. Un senso di disagio creeranno fra coloro ai quali si vorranno rivolgere, per seminare il dono di Dio. La parola « pace » possiede una vera magìa all’orecchio dell’uomo. Come vivere perpetuamente in contrasto, in litigi, in alterchi? La vita diventa intollerabile all’uomo normale. Perciò ciascuno si proponga di seguire la volontà di Dio. Dall’osservanza di essa nell’obbedienza, promanano beni senza numero. Non è l’obbedienza l’espressione della nostra fiducia nelle disposizioni della Divinità? È il riconoscimento della sua volontà buona e del suo amoroso interessamento per il nostro felice avvenire. Dalla pace non si moltiplicano le più preziose opere dell’ingegno? La civiltà nelle sue forme meglio apprezzabili e universalmente utili, quelle che interessano il lato positivo del vivere civile, non nascono nei periodi turbati dalle diverse forme del sovvertimento, ma nel dominio della pace. Regolata dallo spirito dell’ordine, la vita produce. Nella discordia anche l’animo individuale è sterile per le attività costruttive. Il turbamento contrae l’iniziativa del pensiero e del cuore e isterilisce la volontà. V’è nondimeno chi osa accusare la pace e la difesa di essa come una confessione di debolezza, di acquiescenza davanti al male, di incoraggiamento al disordine e alla sopraffazione. Basta richiamare come il Signore Gesù amò l’ordine e la pace e come li tutelò. Ma è un vezzo condannevole quello di rappresentare i santi più amati per la loro mitezza, come inetti a far valere le ragioni del diritto. Non sarebbero devoti alla volontà di Dio; non amerebbero la sua legge; né agirebbero in conformità alla volontà della sua Chiesa. Come dentro di sé il Cristiano lotta e reprime al fine di difendere l’ordine della legge minacciato dai fermenti del male; così nella vita esterna e sociale egli è tenuto a non sottrarsi al dovere di correggere e anche di punire, per amore di quiete, per desiderio di piacere e di mantenere la pace. Che cosa è una famiglia in cui difetti questo nerbo di energia, imposto dal dover e di incoraggiare il bene e ostacolare il disordine? La pace da Gesù detta fonte di beatitudine non è inerzia e accidia. Essa ama l’ordine e sa difenderlo come imporlo. Il precetto cristiano è equilibrio; instabile ma progressivo; vigilato e deciso. Così nella famiglia l’autorità si esercita e si afferma con un senso di delicata responsabilità. In essa è una forza paterna di bene. E nella stessa Chiesa l’autorità mantiene la pace nell’ordine non senza sanzioni. Poiché essa deve esprimersi fuori nella vita sociale, occorre sia conservato il rispetto della legge, che per far trionfare il bene è costretta a reprimere ogni fomite del male. – Ma con questo siamo ben lontani dall’odio; giacché la pace nell’odio è la ipocrisia più nera. L’autorità secondo Dio deve saper raggiungere la difesa del diritto e della pace, senza ombra di fiele. « Vergine vereconda, scrisse san Bernardo (Modus vivendi ad Sororem, XXXV) ascolta; l’odio separa l’uomo dal paradiso, lo toglie al cielo. L’odio non si cancella per patimenti, per martirio non si purga, non si lava per effusione di sangue; non gli uomini dobbiamo odiare, ma i vizi. Chi odia il fratello è omicida. Chi odia il fratello è nelle tenebre. Non ama Dio, chi odia l’uomo. Tra l’ira e l’odio corre la stessa differenza, che tra la pagliuzza e la trave. L’odio è ira invecchiata; quella turba l’occhio della mente, questa acceca l’occhio del cuore. Sorella amatissima in Cristo; ascolta quel che dico. Se ti avviene di contristare una tua sorella, rendile soddisfazione. Se hai mancato contro di lei, mostrale il tuo pentimento. Se hai dato cattivo esempio, chiedi perdono. Va in fretta a riconciliarti. Non ti addormentare, se prima non hai dato soddisfazione, non ti riposare, prima di esser tornata alla pace ».

PERDONA !

« Se il tuo nemico è umiliato, non te ne rallegrare, onde a te non succeda lo stesso. Ma ti sia dolce dolerti con chi soffre. Compatisci alle altrui miserie, piangi con chi piange. Sorella venerabile, non esser dura e inesorabile. Se alcuno ti offende non gli render secondo la sua colpa, giacché il giudizio di Dio scenderà anche su di te. Perdona per essere perdonata… ». Non di meno il Cristiano, che ama la pace, la deve ottenere senza sacrificio della giustizia e del bene. Il suo compito non è sempre agevole. Talora si preferisce la tranquillità, anziché la reazione, che è difesa della verità e del retto. Sant’Ignazio di Loyola è esempio di questo senso di giustizia. La difesa della sua persona non lo scomodava; ma quella dell’Ordine nascente, sì. E allorché occorse ricorrere ai Tribunali, lo fece senza esitazione e non tollerò compromessi, ma volle arrivare alla piena dimostrazione dell’innocenza. L’indulgenza di fronte a una tiepida ritrattazione sarebbe stata più tardi abusata dai malevoli, per coprire di calunnie la Compagnia, la quale non avrebbe potuto servire utilmente la causa della verità, se non con un nome intemerato. I contrasti pertanto, che fossero imposti dalla tutela del bene, è un dovere affrontarli. L’indolenza nella difesa non è amor di pace, ma preparazione di disordini e di conflitti. È chiaro, che tutta questa prontezza nella reazione contro l’assalto del male, non esime dall’amore del prossimo.

« Uccidete l’errore, amate gli erranti » è la formula giusta e chiara. Non è da tutti certamente questa condotta; non tutti sono in grado di dominare gli impulsi del disordine interiore. Tuttavia è l’insegnamento del Signore, verso il quale è dover nostro di andar conformando la nostra condotta. Per questa via noi ci manteniamo aderenti all’amore del prossimo e non compromettiamo la divina figliolanza che tanto ci onora. Chi ama vivere nella pace e diffonderla largamente, sarà chiamato figlio di Dio. Infatti il Signore è nella pace, perché è nell’ordine. Perfetto l’ordine, perfetta e solenne la pace. La quale in Dio è sommamente attiva e feconda. Dobbiamo tendere verso codesto ordine, per rendere produttiva la nostra vita presente. Purtroppo noi siamo appassionati di pace; ma poiché difettiamo d’equilibrio, abbiamo l’animo sempre tendente alla guerra.

II

PORTARE LA PACE CON LE OPERE

LE OPERE DELLA PACE

Quando tu vuoi sapere quali sieno le convinzioni del tuo prossimo, puoi interrogarlo. Ma la parola non basta a dar garanzia di veracità. C’è un mezzo più aderente e sicuro; quello di osservare il tono delle sue opere. Se opera correttamente e con fine onesto, allora non v’è dubbio. L a sua coscienza è retta e ci si può affidare senza tema. I fatti sono garanti. I sacrifici delle opere buone sono testi che non soffrono smentite. Sono appunto queste che recano con sé la pace. Nell’individuo sono pacificatrici perché gli danno la prova della sua reale o fittizia armonia con il dovere e con Dio; e nei rapporti sociali offrono modo di accorciare le distanze, di dare la mano a chi è caduto, di accentuare il sorriso dei cuori schietti e devoti. Nella mia personale coscienza mi pacifico davvero, se so di poter dare a me medesimo il documento della mia coerenza. Qualunque sia la ragione del turbamento, l’uomo allora sa di camminare sulla via del giusto e dell’onesto. Se qualche motivo di umiliazione sussiste, ognuno ha i mezzi per riprendersi e ricalcare il sentiero della virtù. Le opere sono davvero impegnative per lui e con efficacia implorano da Dio quegli aiuti straordinari, che fossero necessari. Chi fa il bene « ama » secondo il senso di sant’Agostino e si trova in condizione di rimanere tranquillo e fiducioso. – Le deficienze sfumeranno via via al sole ardente della carità. Io non finisco di lodarmi della funzione delle Conferenze di san Vincenzo, perché vi scopro sempre meglio uno stupendo strumento di bonifica spirituale e di santificazione. I confratelli e le consorelle portano la pace e la moltiplicano dentro di sé. Sono essi gli apostoli della verità nelle opere e i facitori di Dio col sacrificio. Nel silenzio e nella umile prestazione appaiono sempre meglio veicoli di benedizione per le famiglie nelle quali vien dato modo di agire. La serenità dello spirito, la condiscendenza benevola, la comprensione del bisogno la quale è frutto di esperienza talvolta vasta e sicura, la rinuncia al proprio comodo a servizio del povero, la grazia di Dio emanante dal contegno rispettoso e modesto, imprimono nell’azione del Confratello e della Consorella il segno indelebile della pace e così comunicano il massimo tesoro.

FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA

Quali dovranno essere le condizioni di spirito necessarie a condurre a buon termine il lavoro di apostolato, pur essendo estranei alla gerarchia ecclesiastica? Credo, sia la fiducia nella Provvidenza. Non spaventarsi e non spaventare. È chiaro, che noi ci troviamo davanti a prospettive mai pensate. Come sarà per risolversi questa crisi, non siamo i n grado di prevedere. Siamo tuttavia sicuri, che lo sarà nel senso voluto da Dio. Ebbene questa certezza è tale da farci sereni e tranquilli. La storia ci insegna qualcosa. Tutti gli attacchi diretti contro il diritto di adorare che è nell’uomo furono per lui altrettanti preludi di vittoria. Pensiamo ai secoli barbari, allorché scendendo dal settentrione le torme dei soldati, avidi di bottino e di sole, stupiti di bellezza nel nostro paese, abbattevano ogni resistenza con la più paurosa devastazione. – Come risulta dai discorsi di san Gregorio Magno, pareva prossima la fine del mondo. Non era tutto ciò che l’inizio del medioevo, l’epoca del massimo trionfo sociale del Cristianesimo di Roma. Quando Dio spezza un mondo invecchiato lo fa per costruirne uno nuovo e giovane, nutrito di succhi vitali e di speranze. L’apostolo deve sentire questa sicurezza del divino soccorso, anzi della divina azione a servizio della sua civiltà in questo mondo umano, che è suo, che rimane ognora la ragione delle sue manifestazioni esterne e dei suoi diversi interventi nelle cose umane. Come è consolante questa certezza e quanto bene ci fa, mentre la vita scorre agitata e senza un’apparente meta! Da questo senso della presenza di Dio negli avvenimenti umani sgorga il modo e il metodo dell’azione verso gli avversari del proprio pensiero religioso. L’apostolo non è mosso da puntigli personali, da rivendicazioni limitate al proprio interesse; se dunque agisce e soffre per l’attuazione del pensiero divino, soltanto la carità fraterna può essere la forza motrice nei suoi rapporti sociali. La storia ci insegna, che il Cristiano dimentico del precetto della carità risulta inetto alla conquista, seppure sia ricco di talenti. L’ingegno ha un valore secondario, quello che assolutamente pesa è l’amore. Un amore aperto e cordiale, schietto nella opposizione all’errore, quanto rispettoso dell’errante, deciso nel combattere contro ogni forma d’ignoranza, ma con il garbo suggerito dal senso della comune fragilità e incompiutezza. Il rispetto delle forme e la interpretazione favorevole delle parole, conducono alla riuscita, attraverso la convinzione dell’avversario e la sua conquista alla verità alfine riconosciuta. Dove al contrario entra l’orgoglio o il semplice amor proprio, l a verità viene negata e vilipesa.

CARITÀ CORTESE

L’apostolo cristiano deve guardare all’umanità contemporanea come il samaritano del Vangelo. Essa, incamminata verso le mete indicate da Cristo, fu assalita dai ladroni, che la ferirono gravemente e la derubarono dei suoi tesori più apprezzabili, quelli contenuti nella fede cristiana. Quando i sacerdoti di Cristo, veri ministri di Dio, le si sono avvicinati per aiutarla, ella nel delirio li respinse con male parole, con ingiurie e villanie. La nostra missione è d’accostarla di nuovo, di esaminarne le ferite, di versare su di esse l’olio delle fraterne parole, dell’incoraggiamento cordiale. Può darsi, che essa, aperti gli occhi, e resasi consapevole dell’errore, o, comunque, scorgendo al suo fianco facce diverse e benigne, ci accolga cortesemente e ci ascolti. È possibile, che l’apostolo, cresciuto in una famiglia religiosa, si senta urtato se venga a contatto di certi ambienti e gruppi sociali? Egli incontra orgoglio fra la gente istruita, fatuità nella gente del mondo, ossessione del godimento brutale dei sensi nel povero popolo. M a sta appunto nel sacrificio del sentimento personale e del proprio gusto, un titolo di gran valore per possedere i n cambio l’anima del prossimo. Minore è la personale soddisfazione e maggiore sarà la probabilità di riuscita. L’umiltà dell’apostolo lo fa superiore e vittorioso. Che se la difficoltà è per il momento insuperabile, se la nostra fatica pare annullata e vuota di efficacia, sappiamo, che Dio tien conto d’ogni sforzo e lo fa fruttare sicuramente, allorché la sua misura sia stata raggiunta. In ogni caso sia larga la seminagione della verità. Sia appoggiata ad una vita coerente e fedele, generosa e schietta. Gli spiriti testimoni della solare lealtà d’una vivace fede personale, sono destinati a diventare il migliore sussidio dell’apostolo. Essi si comunicheranno le loro impressioni, le loro esperienze, le conclusioni delle loro indagini, e, vinto il senso di repulsione, imposto dal pregiudizio di parte, a grado a grado verso la verità. E Dio ha vinto. L’affermazione che oggi dobbiamo saper propagare deve essere la certezza sperimentale che il Cristianesimo è insostituibilmente necessario all’umanità.

[continua … ]