SALMI BIBLICI: “CONSERVA ME DOMINE” (XV)

Salmo 15: “Conserva me Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée. 

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XV

[1] Tituli inscriptio, ipsi David. 

  Conserva me, Domine,

quoniam speravi in te.

[2] Dixi Domino: Deus meus es tu, quoniam bonorum meorum non eges.

[3] Sanctis, qui sunt in terra ejus, mirificavit omnes voluntates meas in eis.

[4] Multiplicatæ sunt infirmitates eorum, postea acceleraverunt. Non congregabo conventicula eorum de sanguinibus; nec memor ero nominum eorum per labia mea.

[5] Dominus pars hæreditatis meæ, et calicis mei: tu es qui restitues hæreditatem meam mihi.

[6] Funes ceciderunt mihi in præclaris; etenim hæreditas mea præclara est mihi.

[7] Benedicam Dominum qui tribuit mihi intellectum; insuper et usque ad noctem increpuerunt me renes mei.

[8] Providebam Dominum in conspectu meo semper, quoniam a dextris est mihi, ne commovear.

[9] Propter hoc laetatum est cor meum, et exsultavit lingua mea; insuper et caro mea requiescet in spe.

[10] Quoniam non derelinques animam meam in inferno, nec dabis sanctum tuum videre corruptionem.

[11] Notas mihi fecisti vias vitae; adimplebis me lætitia cum vultu tuo: delectationes in dextera tua usque in finem.

SALMO XV

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Il titolo del salmo è memorando e da non più abolire, quindi da scolpire su colonna. È l’orazione di Cristo al Padre per la sua glorificazione.

Dello stesso David: iscrizione da incidersi sopra una colonna.

1. Salvami, o Signore, perocché in te ho posta la mia speranza.

2. Ho detto al Signore: Tu se’ il mio Dio, e de’ miei beni non hai bisogno.

3. A prò de’ santi, che sono nella terra di lui, adempiè egli mirabilmente ogni mia volontà.

4. Eran moltiplicate le loro miserie; dietro a queste camminavano velocemente. Non convocherò le loro adunanze di sangue, né rammenterò i loro nomi colle mie labbra.

5. Il Signore è la porzione di mio retaggio e del mio calice; tu sei quegli che a me restituirai la mia eredità.

6. La sorte è caduta per me sopra le cose migliori; e certamente la mia eredità è preziosa per me.

7. Benedirò il Signore che a me dà consiglio: e di più ancor nella notte il mio cuore mi istruì.

8. Io antivedeva sempre dinanzi a me il Signore, perché egli si sta alla mia destra, affinché io non sia smosso.

9. Per questo rallegrassi il mio cuore ed esultò la mia lingua; anzi anche la carne mia riposerà nella speranza.

10. Perocché tu non abbandonerai l’anima mia nell’inferno, né permetterai che il tuo santo vegga la corruzione.

11. Mi facesti conoscere le vie della vita, mi ricolmerai di allegrezza colla tua faccia: delizie eterne sono alla tua destra.

Sommario analitico

Questo Salmo, uno dei più belli senza dubbio di tutto il Salterio, ha come autore Davide, come indicano il titolo e l’autorità di San Pietro (Act. II, 25) che lo attribuisce al Re-Profeta. Lo stesso Apostolo ne ha citato quattro versetti, che egli applica esclusivamente a Gesù Cristo, e San Paolo ne cita uno che egli anche non intende se non attribuito al Salvatore (Act. II, XIII, 35). Ma poiché la persona che parla nel Salmo è sempre la stessa, come il contesto fa intravedere, la conclusione naturale è: – 1) che questo Salmo intero riguardi, in senso veramente letterale, Nostro Signore che prega il Padre prima della sua passione: – 2) che non possa trattarsi di Lui solo in alcune parti. Nel senso tropologico, può essere applicato a tutti i fedeli membri di Gesù-Cristo, ed in particolare, come fa la Chiesa, a colui che ha lasciato tutto affinché il Signore sia sua parte. Davide, figura di Gesù-Cristo, nei tratti che possono convenire all’uno ed all’altro, si appoggia sulla fedeltà al Signore, per sperarne giorni di felicità che egli celebra in anticipo, tanto che è sicuro di ottenerla.

I. – Davide chiede a Dio di proteggerlo contro i suoi nemici:

1° perché ha posto tutta la sua speranza in Dio;

2° perché si sottomette a Lui come al suo Dio con la più perfetta dipendenza (1);

3° perché tutte le sue attrattive, tutte le sue inclinazioni, sono per i Santi di Dio (1) [i miei reni, cioè le mie affezioni più intime, mi eccitano a lodare il Signore], che egli ha soccorso nelle loro afflizioni nel tornare a Dio (2, 3);

4° perché ha una profonda avversione per gli empi, le loro assemblee, le loro opere (4).

II. – Egli si mostra pieno di baldanza e sicurezza: – 1) per l’eredità eterna che Dio stesso gli ha riservato (5); – 2) per i beni dell’anima di cui è ricolmo, a) nel suo spirito per l’intelligenza che Dio gli ha dato; b) nella sua volontà per l’ardore di cui è stato ripieno il suo cuore (7); c) nel compimento delle sue opere, per il soccorso presente che Dio non gli ha cessato di prestargli (8); – 3) per i beni del corpo, a) nel suo cuore, la gioia (9); b) nella sua bocca, i canti di allegria; c) nella sua stessa carne, un riposo pieno di speranza; – 4) per la grazia segnalata della resurrezione: a) la sua anima non resterà nel limbo; b) il suo corpo sarà preservato dalla corruzione della tomba e restituito alla vita (10); c) egli gioirà eternamente della visione di Dio e della felicità del cielo (11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – La creazione e la conservazione non sono due cose differenti, esse non possono essere separate che dallo spirito; la prima conduce all’altra. Il concorso, l’influsso di Dio, non è meno necessario per noi del conservare l’essere che è stato creato primitivamente dal nulla. – Un bisogno continuo che noi abbiamo, è che Dio conservi in noi i doni della sua grazia; noi non ne possediamo alcuno per cui non possiamo perdere un istante per la mutabilità naturale dei nostri desideri. – Mettere la nostra speranza in Dio è il titolo più giusto per ottenere che Egli ce li conservi, e compia le molteplici promesse che ci ha fatto. – La grandezza di Dio è di non aver alcun bisogno di noi, né dei nostri beni. Una sorgente non viene aumentata dall’acqua dei ruscelli che escono da essa, né Dio dai beni che Egli ha dispensato alle sue creature. Cosa possiamo noi dare a Dio? Egli è la ricchezza e noi la povertà; dare a Lui la nostra indigenza è quello che Egli desidera! Cosa offrire alla pienezza delle acque della grazia se non un vaso vuoto nel quale esse possano riversarsi? Se voi siete senza Dio, sarete sicuramente diminuiti; ma se siete con Dio, Dio non diventerà più grande. Voi non potete aggiungere nulla alla sua grandezza, ma senza di Lui, voi giungerete alla vostra piccolezza … voi avete tutto da guadagnare avvicinandovi a Lui, tutto da perdere allontanandovi da Lui (S. Agost. Tratt. XI su S. Giov.). – Dio non ha alcun bisogno della nostra virtù, del nostro amore, ma Egli lo esige, Egli desidera che noi Lo amiamo, Egli ci comanda di amarlo, Egli ha sete che noi abbiamo sete di Lui, “sitis sitiri”, dice San Gregorio di Nazianze. Una sorgente viva che, per la continua fecondità delle sue acque chiare e fresche, si presenti da bere ai passanti assetati, non ha bisogno che la si lavi dalle sue sozzure, né che la si rinfreschi nel suo ardore; ma contentandosi essa stessa della sua nettezza e della sua freschezza naturale, essa non domanda – ci sembra – più niente, se non che la si beva e che ci si venga a lavare ed a rinfrescare con le sue acque. Così la natura divina, sempre ricca, sempre abbondante, non può più crescere né diminuire a causa della sua pienezza; e la sola cosa che le manca, se si può parlare in tal sorta, è che si vengano a poggiare nel suo seno le acque della vita eterna, di cui essa porta in sé una sorgente infinita ed inesauribile (Bossuet, Serm. Sur la Visit.).

ff. 2. – Le volontà ammirevoli di Gesù-Cristo per i Santi sono apparse soprattutto in tutto ciò che Egli ha fatto e compiuto per essi con i misteri dell’Incarnazione, della Redenzione, e che ha fatto tutto questo per essi, quando erano ancora suoi nemici (Rom. V, 8). – Dio ha reso ammirabile tutte le volontà di suo Figlio nei loro progressi spirituali, nei quali essi hanno compreso quanto era per loro utile che l’umanità in Gesù Cristo fosse unita alla divinità affinché potesse morire, e la divinità alla sua umanità, affinché potesse resuscitare (S. Agost.). – « È questo nei riguardi dei suoi Santi che abitano la sua terra », dei Santi che hanno posto la loro speranza nella terra dei viventi, dei cittadini della Gerusalemme celeste, di cui la vita spirituale, benché siano presenti con il corpo ancora su questa terra, è fissata dall’àncora della speranza in quella patria così giustamente chiamata la terra di Dio (S. Agost.). – Occorre imparare da Gesù Cristo ad essere pieni di carità per tutti gli uomini, soprattutto per i Santi che servono Dio in spirito e verità. – Raccolti in se stessi, non vedendo in me che peccato, imperfezione e nulla, io vedo nello stesso tempo al di sopra di me una natura felice e perfetta, ed in me stesso ripeto, come il salmista: « Voi siete il mio Dio, Voi non avete bisogno dei miei beni ». Voi non avete bisogno di alcun bene; « che mi serve la moltitudine dei vostri sacrifici »? (Isaia I, 2). Tutto è mio, ma io non ho bisogno di tutto ciò che è mio; per me è sufficiente essere, ed in me trovo ogni cosa; Io non ho bisogno delle vostre lodi; le lodi che voi mi innalzate vi rendono felici, ma esse non rendono me felice, ed Io non ne ho bisogno; « le mie opere mi lodano », ma Io non ho bisogno delle lodi che mi rendono le mie opere; tutto mi loda imperfettamente, e nessuna lode è degna di me, se non quella che mi rendo da me stesso gioendo di me stesso e della mia perfezione (Bossuet, Elév. III S. II Elév.).

ff. 3. – Le loro infermità sono state moltiplicate non per perderli, ma per far desiderare loro il medico. Alla vista delle loro infermità divenute sempre più numerose, si sono affrettati a cercare la loro guarigione (S. Agost.). – Il più forte è colui che conosce le proprie infermità, il più debole è colui che si illude di avere una sanità di presunzione. – Dire come San Paolo (II Cor. XII, 4): « Quando sono debole, è allora che sono forte » (Duguet). – Ecco il quadro ammirevole di un’anima toccata da Dio: essa era debole e malata, e la grazia gli ha reso la salute; essa non poteva camminare nella via della salvezza, mentre la grazia la fa correre in questa via. « Io ho corso nella via dei vostri Comandamenti, dice allora il Re-Profeta, quando Voi avete dilatato il mio cuore » (Berthier).

ff. 4. –  Si stabilisce la legge nuova: è venuta l’ora nella quale non è su questa montagna, né in Gerusalemme che adorerete il Padre vostro. È venuta l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre comanda simili adoratori (Giov. IV, 21-23). – È unico il sacrificio di Gesù Cristo che con una sola oblazione ha reso perfetto per tutti quello che ha santificato (Ebr. X, 14). – Dimenticato il nome antico « vi si chiamerà con un nome nuovo che il Signore stesso vi darà » ( Isaia: LXII, 2), il nome nuovo di cristiano. – « Io non mi unirò mai ad assemblee di sangue ». Le assemblee del mondo non sono spesso che delle riunioni di sangue, ove le ferite che le lingue fanno alla virtù più pura diventano uno spettacolo che diletta l’ozio e che allietano la noia? Bisogna che costi sangue e la reputazione ai loro fratelli perché si divertano; e colui che affonda il pugnale con maggiore abilità e successo è colui che ottiene i pubblici suffragi e le acclamazioni di queste assemblee di iniquità (Massillon).

ff. 5, 6. –  I Santi possiederanno con Gesù Cristo, come eredità, il Signore stesso. Che altri scelgano parti terrene e temporali per gioirne: la parte dei Santi, è il Signore eterno. Che altri bevano dalle voluttà che uccidono, la porzione versata nella mia coppa, è il Signore (S. Agost.). – Ricca e magnifica eredità, non agli occhi di tutti, ma agli occhi di coloro che l’apprezzano (Idem). – O Israele, grida il profeta Baruch, quanto è grande la casa di Dio, e quanto vasti sono i luoghi che Egli possiede! (Baruch, III, 24). – Come si può desiderare altra cosa? La figura del mondo passa e noi passiamo con esso; le sue ricchezze si corrompono, il suo splendore si oscura, le sue corone avvizziscono, ma Dio che è il mondo, la ricchezza, lo splendore, la corona degli eletti, è immortale ed inalterabile.

ff. 7. –  La vera ed unica intelligenza, quella che rende l’uomo veramente felice, è quella che gli fa scegliere il Signore come sua eredità. Non c’è che Dio che possa dare questa intelligenza e questo gusto. – Si Preghi il Padre della gloria affinché ci dia lo spirito di saggezza e di rivelazione per conoscerlo, che rischiari gli occhi del nostro cuore perché possiamo sapere quale sia la speranza della nostra vocazione, quali siano le ricchezze e la gloria dell’eredità che ha preparato ai Santi (Efes. I: 17-18). – Due grandi lezioni ci sono qui per noi: la prima, quella di offrirci allo Spirito di Dio come all’unica guida della nostra vita; la seconda di benedirlo nell’acme delle nostre tribolazioni, e di profittare di questa notte per segnalare la nostra costanza ed il nostro amore (Berthier).

ff. 8. – Sull’esempio di Gesù Cristo, occorre vivere in presenza di Dio e come sotto i suoi occhi, studiare i suoi disegni e le sue volontà su di noi, non perdere mai di vista la sua legge, mezzo, questo, per assicurarsi la sua protezione mediante una fiducia filiale e con una fede viva alla vigilanza paterna che ha su di noi (Duguet). La fede nella presenza di Dio fa che noi ci applichiamo questa santa presenza, che guardiamo Dio come applicato a proteggerci particolarmente. Sull’esempio di Gesù Cristo che vedeva Dio faccia a faccia, i veri Cristiani sono persuasi che Dio sia sempre al loro fianco, e riconoscano l’importanza dell’unione con Dio, dell’operare con Dio, di occuparsi incessantemente della sua presenza, e questa presenza influisca su tutte le loro azioni.

ff. 9. –  Frutti del santo esercizio della presenza di Dio sono: la gioia, i canti di allegria, la speranza del secolo da venire e di resuscitare un giorno, vincitore della morte e coperto di gloria. L’uomo tutto intero, corpo ed anima, ogni membro del suo corpo, ed ogni facoltà della propria anima siano incessantemente richiamate alla loro naturale e sublime destinazione: il servizio di Dio che li ha fatti, l’uno e l’altro per la loro felicità e per la sua gloria. L’uomo intero, corpo ed anima, avrà partecipato alla vita di sofferenze e di prove che non dura che un momento; l’uomo intero, corpo ed anima, parteciperà alla vita di delizie e di ricompense che non finirà mai (Rendu).

ff. 10. –  Queste parole si sono compiute letteralmente in Gesù Cristo, e in Gesù Cristo solamente, ad esclusione anche di David (Act. III e XIII). La morte, dice Bossuet (I. Serm. P. le jour de Paq.), ha avuto molto potere sul suo corpo divino, essa l’ha posseduto sulla terra senza che avesse movimento e senza vita; ma essa non ha potuto corromperlo, e noi possiamo indirizzargli oggi questa parola, questa stessa parola che Giobbe diceva al mare: « tu andrai fin la, e non passerai oltre; questa pietra segnerà il limite alla tua furia », e su questa tomba, come su di un baluardo invincibile, si infrangeranno i tuoi sforzi. – Gesù aveva vinto la morte nelle persone che erano morte naturalmente, e bisognava ancora vincerla quando sarebbe giunta con violenza. Egli l’aveva vinta fin nella tomba e nel putridume nella persona di Lazzaro. Restava solo che Egli impedisse anche la corruzione. Coloro ai quali aveva reso la vita, rimanevano mortali; rimaneva quindi che con la morte, Egli vincesse anche la mortalità. Era nella sua Persona che Egli doveva dimostrare una vittoria completa. Dopo averlo fatto morire, Egli resuscitò per non morire più, anche senza aver visto la corruzione, come aveva cantato il Salmista. Quello che si fece nel Capo, si compirà anche nei membri. La nostra immortalità ci viene assicurata da Gesù Cristo, a miglior titolo di quanto inizialmente ci fosse stata data in Adamo. La nostra prima immortalità era di poter non morire, la nostra ultima immortalità sarà di non poter più morire (Bossuet, Méd. S. l’Ev. I. P. IV j.). – Il corpo incorruttibile di Gesù Cristo è il rimedio della corruzione di Adamo, la semenza dell’incorruttibilità dei Cristiani, ed il germe dell’immortalità (Duguet). – Per l’unione che noi abbiamo con Gesù Cristo e per la promessa che ci è stata fatta, noi possiamo dire anche che il Signore non lascerà affatto la nostra anima all’inferno, e che Egli non permetterà che noi proviamo per sempre la corruzione. La nostra anima, all’uscita da questa vita, non è condannata, come quella dei giusti dell’Antico Testamento, a veder differito il momento della propria felicità. Il nostro corpo, benché condannato a tornare nella polvere, è nondimeno destinato a riprendere una nuova vita, più perfetta della prima (Berthier). – Cosa temi, tu anima cristiana, nell’avvicinarsi della morte? Temi di perdere il tuo corpo? Ma che la tua fede non venga meno: dal momento che ti sottometti allo Spirito di Dio, questo Spirito onnipotente te lo renderà migliore, saprà ben conservartelo per l’eternità. Forse che vedendo cadere la tua casa tu credi di essere senza protezione? Ma ascolta il divino Apostolo: « Noi sappiamo – dice ai Corinti – noi non siamo portati a credere a congetture dubbiose, ma noi lo sappiamo sicuramente e con piena certezza, che se questa casa di terra e di fango nella quale noi abitiamo è distrutta, noi abbiamo un’altra casa che non è fatta da mano d’uomo, e che ci è preparata in cielo ». O condotta misericordiosa di Colui che provvede a tutti i nostri bisogni! « C’è l’intenzione, dice S. Crisostomo, di riparare la casa che ci è stata data; mentre Egli la distrugge e la stravolge per poi ricostruirla, è necessario che noi sloggiamo », perché cosa faremmo in questo tumulto ed in questa polvere? E Lui stesso ci offre il suo palazzo, ci da un appartamento per farci attendere nel riposo l’intera riparazione del nostro antico edificio (Bossuet, Sur la Résur.).

ff. 11. –  Felice e necessaria conoscenza è quella del cammino della vita! Quanto poco è conosciuto ed ancor meno seguito? Quanti scambiano il cammino della morte per quello della vita? (Duguet). – Il cammino che ha condotto Gesù Cristo alla resurrezione è l’obbedienza alla volontà del Padre, la pazienza nelle prove di questa vita, la carità e lo zelo per la salvezza degli uomini (Berthier). – La grazia può mostrarci Dio più di quanto ce Lo faccia vedere la ragione … La conoscenza che ci dà la ragione, sublime per quanto sia, non è che una conoscenza ideale; Dio non si manifesta a noi direttamente; la sua Persona e la sua sostanza ci restano inaccessibili; ed essendo certi di Lui, certi della sua presenza e della sua azione nell’universo, ci resta l’incomparabile inquietudine di non averlo mai visto. Occorre che un’altra chiarezza si sovrapponga alla ragione perché tutte e due insieme elevino l’uomo alla visione della Personalità divina, e lo preparino a vederla un giorno nell’impenetrabile luce dell’essenza increata. Ora lo scopo della grazia, il suo effetto proprio, è di prepararci un giorno a vedere Dio, ed anche a vederlo da quaggiù (Lacord., Conf. De toul, Vie surn.). – Nel libro dei Santi, la faccia, il viso di Dio ci viene rappresentato quasi come – per così dire – l’amante verso il quale sono attirate tutte le creature. Nessuno dubita che per la parola “faccia” si intenda in generale la visione di Dio. La fede è la vista interiore delle cose invisibili. L’attrazione della santità creata è di aspirare alla faccia del Creatore, o piuttosto queste aspirazioni sono esse stesse la santità. Le cose nel mondo offrono certamente delle facce; ma tutte queste facce delle cose, benché belle o piuttosto coperte da una bella tristezza, cupe o sgradevoli, sono tutte rivestite da un’aria di attesa: i loro tratti dicono che esse non sono definitive e che non ci si deve arrestare ad esse. Nessuna di esse, fosse anche la migliore, può procurare la gioia, il riposo all’animo umano … il volto del Creatore, la manifestazione di questo volto nascosto: ecco quello che gli uomini devono ricercare con tutto l’ardore dei loro desideri. La lezione che la vita deve loro insegnare, è che non c’è vera vita al di fuori della visione di questo volto da sempre benedetto (Faber, Bethléem, I Ch. II). – Dio ha un viso per i giusti ed un viso per i peccatori: il viso che Egli ha per i giusti è un volto tranquillo e sereno, che dissipa tutte le nubi, che calma tutte le turbolenze della coscienza; un viso dolce e paterno « … che riempie l’anima di santa gioia » (Bossuet, II Serm. p. le Vend.-saint). – Quattro cose sono da considerare nella vita dei Santi: – 1) essa è piena, « voi mi colmerete di gioia »; – 2) essa è prodotta dalla visione di Dio « per la vista della vostra faccia »; – 3) essa è accompagnata dalla gloria « io gusterò delle delizie ineffabili alla vostra destra »; – 4) essa è eterna, « per l’eternità ».

IL CUORE DI GESÙ (21): Il Sacro Cuore di GESÙ e la gioventù.

CUORE DI GESÙ

 (A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)

DISCORSO XXI

Il Sacro Cuore di Gesù e la gioventù.

Io non so chi vi sia tra di voi, già alquanto innanzi nel cammin della vita, che non si senta turbato e commosso nel vedersi dinnanzi un fanciullo od un giovane. Perciocché che cosa sono questo giovane e questo fanciullo? Essi sono un germe, che racchiude un molteplice avvenire; l’avvenire di loro stessi, temporale ed eterno, l’avvenire della famiglia, che un dì formeranno, l’avvenire della società, alla quale apparterranno e la cui vita avranno essi nelle mani. E a un tanto pensiero come non turbarsi e commuoversi nel vedere un fanciullo od un giovane? La Sacra Scrittura ne insegna apertamente, e l’esperienza quotidiana il comprova, che il giovane, presa che ha una buona via, più non si allontana da quella, nemmeno nella sua vecchiaia: Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea. (Prov. XXII, 6) Sicché come è vero in generale, che se il giovane è buono, lo sarà ancora in seguito non solo per sé, ma pur in prò della famiglia e delia società, così è verissimo, che se il giovane è tristo, lo sarà pure negli anni ulteriori e per sé e per la famiglia e per la società. E dopo di ciò qual meraviglia, che tra gli amori speciali, di cui si mostrò infiammato il Cuore Santissimo di Gesù Cristo, tenga un posto principalissimo quello, che Egli ebbe verso la fanciullezza e la gioventù? Del che. leggendo il Vangelo, non possiamo avere alcun dubbio. Il Vangelo ci apprende, che a Gesù presentavano dei fanciulli, affinché imponesse loro le sue mani divine e li benedicesse, e cercando gli Apostoli d’impedirlo, loro diceva: « Lasciate che i fanciulli vengano a me, e non vogliate impedirli, perché di essi è il regno dei cieli. » (MATT. XIX) il Vangelo ci apprende, che Gesù Cristo un giorno pronunziò un terribile guai: « Guai a chi darà scandalo ad un fanciullo, che crede in me. Piuttosto di dare scandalo siffatto, meglio sarebbe che il disgraziato si legasse una pietra da molino al collo e con quella andasse a gettarsi nel profondo del mare. » Il Vangelo ci apprende, che Gesù Cristo ha detto ancora: « Guardatevi dal disprezzare alcuno dei fanciulli, perciocché io sono venuto a salvarli, e i loro Angeli custodi, che sempre veggono il volto del Padre mio, chiamerebbero sul vostro capo un’aspra vendetta. » ( MATT. XVIII) Infine il Vangelo ci apprende ancora, come Gesù Cristo abbracciando col suo amore i fanciulli e i giovani di tutti i tempi pronunziò quella grande parola creatrice delle più grandi opere a prò della gioventù, quella parola che ha suscitato gli Ignazii di Loyola, i Calasanzii, i Zaccaria, i Gerolamo Emiliani, i Giovanni Bosco, quella parola che ha allargato le braccia della Chiesa ad accogliere al suo seno con maggior predilezione i giovani per istruirli, per proteggerli, per salvarli: « Chiunque riceverà in mio nome un fanciullo, sarà come ricevesse me stesso: Qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit. (MATT. XVIII, 5) Ah! prima che Gesù Cristo pronunziasse questa gran parola, nessuno si pigliava cura della gioventù e l’amava di un amor vero. E sebbene un retore pagano avesse riconosciuto che al fanciullo si deve massima riverenza, tutta via la gioventù non era riguardata che quale elemento di forza materiale, e, cosa orribile a dirsi, siccome pascolo di nefande passioni. Quale carità adunque non ebbe mai Gesù Cristo per la gioventù, illuminando gli uomini sul valore di questo brillante stadio dell’età umana! Ma, oh Dio! dopo diciannove secoli di Cristianesimo qual è il conto che fa la gioventù della carità di Gesù Cristo per lei? Rammentando che oggi la Chiesa onora e festeggia un giovine, che la carità di Gesù Cristo ricambiò con l’amore più ardente e più puro, e venendomi innanzi l’opposto e miserando spettacolo, che presenta la gioventù irreligiosa e scostumata dei nostri giorni, mi par conveniente farvi rilevare oggi come molta gioventù mal corrisponda alla carità di Gesù Cristo per lei.

I. — Qual è adunque il conto, che fa oggidì la gioventù della carità di Gesù Cristo per lei? Nessuno. Oggidì la gioventù non ama Gesù Cristo; a quindici, a diciotto, a venti la gioventù non prega più, non v a più a messa, non s’accosta più ai Sacramenti, non fa più pratiche religiose. E non solo la gioventù non ama Gesù Cristo e non si cura della sua religione; ma, cosa orribile a dirsi, eppur vera, la gioventù oggidì non crede più a Gesù Cristo e lo disprezza. Ecco quello che fa oggidì un giovane a quindici, a diciotto, a vent’anni. Se egli è un giovane del popolo, ai crocicchi delle vie, agli angoli delle piazze, tra i lavori dell’officina, non fa uscir dal suo labbro che bestemmie le più orribili contro di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine e dei Santi, insulti i più bassi e vigliacchi contro la Chiesa e i suoi ministri, discorsi i più scellerati ed immorali, da far fremere di orrore l’aria che li ascolta. Se egli poi è un giovane di più elevata condizione, benché non così rozzamente e rabbiosamente, tuttavia forse anche con maggior colpevolezza, perché con maggior raffinatezza e malizia, compie verso di Dio e di Gesù Cristo lo stesso dileggio. Egli è uscito appena dall’infanzia, ma perché in una scuola tecnica o liceale ha già apprese qualche po’ di latino e di greco, qualche po’ di fisica e di matematica, qualche squarcio di storia antica e moderna, e soprattutto perché egli ha letto qualche libercolo più o meno spiritoso contro il Cristianesimo, qualche osceno romanzetto, si pone con baldanza in faccia a Gesù Cristo e alla sua Religione, e dice senz’altro: Impostura, menzogna, follìa, superstizione, tenebre! Sì, così parla e sentenzia questo giovane; e mentre le verità della fede per diciannove secoli di Cristianesimo hanno occupate le menti dei più grandi geni, e sono state l’oggetto della loro più profonda ammirazione, questo giovane a quindici, a diciotto, a vent’anni, non ancora capace di seriamente studiare e riflettere, e senza aver punto studiato e riflesso, le giudica follle e le rigetta con disprezzo. Ah! miei cari, non si è mai veduto alcunché di simile, non mai è accaduto un fatto così lagrimevole. In altri tempi, giacché le passioni non sono di oggi, il vizio penetrava ben anche nel cuore dei giovani; in altri tempi venivano ben anche trasandate dai giovani le pratiche di Religione, ma la fede cristiana in fondo all’anima rimaneva, e il perderla affatto era cosa assai rara, di qualche individuo isolato. Oggidì invece… la gioventù più non crede. – Ma non è tutto. Nel tempo stesso che questa gioventù respinge e disprezza la fede di Gesù Cristo, ne respinge e disprezza la morale, anzi è appunto perché ne conculca la morale, che, ne rigetta la fede. La superbia dell’animo e la corruzione della carne, ecco ciò che tutti lamentano oggidì nella gioventù. Per essa non vi ha più alcun giogo che valga, trattisi pure dei più ragionevoli e necessari. In famiglia spadroneggia i genitori, che oggimai anziché padri e madri, son divenuti miseri schiavi ai capricci dei figli; nella scuola s’impone ai professori, ai quali cogli urli e coi fischi nega a suo piacere il diritto di far lezione, e di farla in un modo piuttosto che in un altro; nella società si rivolta contro lo stesso pubblico potere, e con gazzarre e tumulti per poco gli si fa a dettare la legge. E con la superbia dell’animo la corruzione della carne. Indarno, gettando lo sguardo sull’odierna gioventù voi cercate di scoprire in essa qualche tratto, che annunzi il minimo senso cristiano: l’immodestia del contegno e del portamento, l’occhio impudente e inverecondo, il parlare frivolo ed osceno, la frenesia pei liberi divertimenti, la voluttà per tutto ciò che inebria i sensi, tutto rivela che il vizio la domina e la corrode. Ed ahi! non di rado questa terribile rivelazione ò fatta da una fronte solcata di rughe premature, da occhi smorti ed incavati, da labbra impotenti a ritrarre il sorriso della bontà, da un volto insomma, che nella primavera della vita già porta sopra di sé le ingiurie del tempo, ed annunzia vicino lo schiudersi di una tomba. Ah! senza dubbio non è a dire che sia così di tutti i giovani. Guai se lo fosse! Giovani credenti, umili e ben costumati, per grazia di Dio, ve ne sono ancora. Come l’antichità pagana ci ha mostrato il grande e bello spettacolo del giusto, che rimane imperturbato in mezzo alle rovine del mondo crollante a’ suoi piedi: Et si fractus illabatur orbis impacidum ferient ruinæ; così l’ora presente ci mostra uno spettacolo più bello e più grande ancora, quello di un giovane, che ama Gesù Cristo, che lo crede, che lo confessa con sincerità e coraggio nelle parole e nei costumi non ostante il soffio delle proprie passioni e le terribili seduzioni del mondo. E se vi ha uno spettacolo, che tranquilizzi alquanto, che ravvivi la speranza e consoli l’anima è questo appunto di una gioventù credente e casta, che passa in mezzo al mondo come una soave emanazione del cielo, come Lot in mezzo alle infamie di Sodoma, che conserva perciò tutta la grazia, tutta la freschezza, tutto il vigore di tale età. O giovani carissimi, che siete qui ad ascoltarmi, voi la conoscete questa gioventù tanto degna di ammirazione e di stima, ed io ben la ravviso in voi, e in voi con tutta l’enfasi dell’anima mia le faccio plauso e le grido: Gloria e onore! Ma con tutto ciò, senza esagerazione di sorta, noi possiamo asserire, che in generale la gioventù odierna, nei due suoi terzi abbondantemente, è incredula, superba e corrotta, nemica giurata di Gesù Cristo, della sua fede e della sua morale. Come si spiega tutto ciò?! Quali cause ingenerano una rovina sì grande, sì numerosa sì precoce? Che cosa è che oggidì fa perdere ai giovani la fede, la sudditanza e la purità del costume? Tutti coloro, che hanno studiato a fondo questo spaventevole fenomeno, vanno tutti d’accordo nel dire, che le cause più vere, che lo hanno prodotto, sono l’ignoranza intorno alla Religione ed il pestifero ambiente irreligioso, in cui oggidì la gioventù viene cresciuta.

II. — Ed anzi tutto l’ignoranza intorno alla Religione. Di fatto, questi giovani, che con tanta sicumera si danno a trinciar sentenze su Dio, su Gesù Cristo e sulla sua Chiesa, che cosa ne sanno essi e di Dio, e di Gesù Cristo, e della sua Chiesa? Nulla! Molti non hanno mai avuto alla mano un piccolo catechismo. E talora se ne incontrano di quelli che, incredibile a dirsi, sebbene nati in paesi cristiani, da genitori Cristiani, non sanno tuttavia a farsi il segno della croce. Purtroppo per la più parte della gioventù Dio è il grande Ignoto cui S. Paolo trovava un altare dedicato in Atene. E come potrebbe essere diversamente? L’apostolo S. Paolo scriveva che la scienza e la fede delle verità divine non si ottiene, che per mezzo dell’udito, e l’udito per mezzo dell’insegnamento della dottrina cristiana: Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi. (Rom. X, 17) L’uomo, ha detto il grande Lacordaire, è un essere insegnato. Epperò come le lettere e le scienze non entrano nella sua mente se non per mezzo dell’insegnamento, che glie ne vien fatto con la parola, così non può essere altrimenti della Religione. Ma chi è oggidì, che apprende ai giovani la Religione, che parla loro in modo conveniente di Dio, di Gesù Cristo, dei grandi misteri della fede! Questo grande insegnamento, non si può mettere in dubbio, appartiene alla famiglia, alla scuola ed alla Chiesa. Nella famiglia è la madre, che deve impartire ai figliuoli la prima istruzione religiosa; è dessa il primo ministro di Dio, il primo missionario, il primo apostolo, il primo dottore. E Dio le ha dato perciò un accento così tenero, così soave, così persuasivo. A lei adunque, non ad altri massimamente che a lei, si conviene d’istruire di buon’ora i suoi figli negli elementi della Religione, d’apprendere loro i misteri principali della fede, il simbolo degli Apostoli, i Sacramenti, i precetti di Dio e della Chiesa. A lei gettare nei loro vergini cuori i germi della pietà e del timor di Dio; a lei trasfondere nelle tenere loro anime l’amore di Gesù Cristo e della sua Santissima Madre; a lei mostrar loro il Cielo e metterli per tempo nella via, che ve li conduce. – Ma quando il fanciullo cresce e già comincia ad uscir di casa per entrar nella scuola, allora senza dubbio la scuola deve continuare essa quell’insegnamento, che la madre ha incominciato in famiglia; perciocché in fondo in fondo la scuola non deve essere altro che l’aiuto della famiglia nella cristiana educazione della gioventù. E come il padre e la madre ricordando del continuo che i figli, ricevuti da Dio, per Iddio sopra tutto devono allevarli, così i maestri insegnando le lettere e le scienze ai loro discepoli non devono mai trasandare il primo e più importante di tutti gl’insegnamenti, l’insegnamento, che apprende a conoscere, ad amare e servire Iddio. Anzi, poiché questi loro discepoli non vivono in un’isola separata dal mondo, e in cui non siano peranco penetrate le sue massime, ma vivono propriamente in mezzo all’empietà e corruzione del mondo, è perciò necessario che di mano in mano che col crescere degli anni si avanzano negli studi delle lettere e delle scienze, crescano altresì nello studio delle divine verità e ne vadano acquistando un conoscimento razionale, corrispondente alla loro coltura, affinché o nell’affacciarsi dei dubbi alla loro mente, o nell’udire o nel leggere difficoltà ed obbiezioni contro la loro fede, essi sappiano ricordarne almeno in complesso le grandi prove, e trovare in esse le armi per difendersi e star fermi nella loro credenza. – Ma infine insieme con la famiglia e con la scuola la Chiesa più che mai deve insegnare ai giovani le verità della fede. È questo uno dei suoi diritti e dei suoi doveri più sacrosanti. Tocca a lei pertanto con la divina autorità, di cui fu rivestita, quando Gesù Cristo disse ai suoi apostoli: « Andate ed ammaestrate tutte le genti, » tocca a lei e co’ suoi catechismi, e con le convenienti spiegazioni, far ben penetrare nell’animo dei fanciulli e dei giovani la dottrina e il sentimento cristiano. Ed è appunto questa dottrina e questo sentimento che soli riescono a rendere la gioventù, quale dovrebbe essere, religiosa, umile e morigerata. È questa dottrina e questo sentimento, che alla mente del giovane fanno rilucere quelle verità che sono la norma del ben pensare e del ben operare. È questa dottrina e questo sentimento, che avvalorano la naturale fragilità del giovane e lo spronano a combattere le sue ree inclinazioni. È questa dottrina e questo sentimento, che ingenerano nel suo animo il nobile sdegno per il piacere disonesto e per la colpa, e gli fanno battere, sia pur con sacrifizio, la strada severa e dignitosa della virtù. Ma ora io domando: queste tre cattedre, che devono trasfondere nell’animo del giovane una dottrina ed un sentimento così efficace, ed il solo efficace, compiono esse di comune accordo questo grande dovere? Io tremo in rispondere. L’insegnamento cristiano è taciuto nel massimo numero delle famiglie. Molte madri oggidì, piene di spirito mondano, non sognano pei loro figli che grandezze, che onori di mondo, che beni di fortuna. E simili a quell’uccello, di cui parla la Scrittura, che dopo fatte le uova le seppellisce nella terra, ove le dimentica e abbandona, le madri mondane non si curano di procacciare ai loro figli che vantaggi terreni, seppellendoli nella terra, circondandoli e coprendoli di terra, senza neppur pigliarsi un pensiero della loro anima e della loro eternità, senza talora seminare in fondo al loro cuore neppure una qualche idea cristiana; filia populi mei crudelis: quasi struthio in deserto dereliquit ova sua in terra. (Thren. iv, 3; IOB. XXXIX, 14) L’insegnamento cristiano, taciuto nel massimo numero delle famiglie, nella sbcuola poi, se si tratta di quella elementare, si imparte come un’elemosina, che ogni anno il padre di famiglia è costretto a chiedere formalmente; se si tratta della scuola tecnica, ginnasiale e liceale, e tanto più della universitaria, esso non c’entra, né deve entrarci affatto. E in chiesa? In chiesa indarno si trova al suo posto il prete per apprenderlo, perciocché quanti sono massime i giovani di famiglie un po’ agiate o ricche, che frequentano la dottrina cristiana? Pochissimi e talora nessuno, giacche entrando in una chiesa all’ora della dottrina, voi non vedrete ordinariamente, che un qualche gruppo di fanciulle povere, e negli oratori festivi, benché frequentati, quasi nient’altro che figli del popolo. E quando pure, a non parere esagerati, volessimo asserire che in generale fanciulli, che ricevono l’istruzione religiosa in famiglia, nella scuola e in chiesa ve ne sono ancora, che istruzione è dessa? Un’istruzione affatto elementare quale è richiesta dalla loro età, un’istruzione che consta più di esercizi di memoria, di parole e di formule, che non di cose e di verità, un’istruzione che dura fino ai dieci o ai dodici anni e poi si tronca lì per tutta la vita. E sarà dunque questa istruzione quella che valga a rendere religiosa, soggetta e costumata la gioventù? Ah! miei cari, voi dovete purtroppo dolorosamente riconoscere che l’insegnamento religioso manca alla gioventù in modo pressoché assoluto. E mancando tale insegnamento, ne viene per conseguenza quella stupida ignoranza, che nei giovani fa grossolanamente ripetere quelle obbiezioni, che sono state le mille volte confutate, quegli errori, che le mille volte furono sfatati, che li fa combattere quei dogmi, che le mille volte furono propugnati e difesi, che al pari degli eretici e dei pagani del tempo di S. Paolo, li fa bestemmiare quello che ignorano. E quel che è peggio, mancando la cognizione delle verità e delle massime cristiane, manca il più grande riparo al torrente delle male inclinazioni, che così irrompe, dilaga e rovina. Ma ohimè! ciò non è ancor tutto. Perciocché dal mondo crudele dei giorni nostri non solo è negato alla gioventù il cibo della cristiana istruzione, ma con un’educazione apertamente nemica della Religione, la si costringe a crescere su in un ambiente avvelenato. E quando non si nutre il corpo di un cibo adatto e per soprappiù gli si fa respirare un’aria malefica, come non cadrà vittima di qualche rio malore? Ah! certamente come l’aria contaminata e satura di miasmi contagiosi aggirandosi, insinuandosi e compenetrandosi nel corpo degli uomini indubbiamente li abbatte, li opprime e produce in loro febbri maligne e fatali, così l’atmosfera morale in cui la gioventù è allevata, l’atmosfera della famiglia, della scuola, della società, essendo guasta ed impestata, non può, senza un certo qual miracolo, non cagionare nella gioventù quelle gravi malattie dell’anima, alle quali nella gran maggioranza soccombe. Ed anzitutto l’atmosfera della famiglia. L’aria morale che prima di ogni altra respira il giovane è quella della famiglia: e quest’aria è pure indubbiamente quella, che influirà più d’ogni altra sulla sua vita avvenire, perciocché quest’aria morale, nel più intimo avvicinamento dei genitori coi propri figliuoli, in certa guisa si trasfonde e si inocula nel sangue di quest’ultimi, formando in loro con un’energia latente e decisiva le idee, che forse dureranno per tutta la vita. Ora qual è quest’aria morale, che il giovane comincia a respirare oggidì fin dall’infanzia nel seno della famiglia? Ah! diciamolo ad onor del vero: per parte di molte madri è ancor un’aria di religione e di virtù, un’aria, di cui Gesù Cristo costituisce un sufficiente elemento, ma per parte dei padri, fatte le debite eccezioni, tanto più nobili quanto più rare, per parte dei padri è un’aria d’indifferenza e persino di miscredenza spaventosa. In un gran numero di famiglie il padre non prega, il padre non va a messa, il padre non fa la Pasqua, il padre vive come se Dio non vi fosse. E forseché a sette anni il fanciullo, aprendoglisi il lume della ragione, non si avvede della irreligione del padre? Oh sì …, e come! Allora egli ricerca con ingenuità il perché della differenza, che passa tra gl’insegnamenti e gli esempi della madre e la condotta del padre; ma a dieci anni tutto ciò egli ricerca già con malizia, e a quindici alla madre, che da lui vorrebbe ad ogni costo l’esercizio delle pratiche religiose, risponde con audacia: E papà? … Tu vuoi che io preghi ancora, che vada ancora a Messa, che prenda ancora Pasqua; e non sono già abbastanza grande da vivere senza tutto ciò, come fa mio padre? Ma che dire quando insieme con l’irreligione del padre si congiunge nella famiglia la vita frivola ed irreligiosa della madre? Allora è fatto: i figliuoli con una educazione del tutto mondana e anticristiana sono sciaguratamente condannati ad una incredulità spaventosa e fatale. Allora si rinnova in peggior modo l’orrendo sacrifizio dei Druidi, che immolavano i fanciulli alle loro false divinità, bruciandoli vivi; allora si ripete la crudeltà esecranda di quei genitori, che al dir della Scrittura portavano i loro figli nelle braccia infuocate di Moloc; allora il padre e la madre non sono più i genitori della loro prole, ma ne sono gli spietati carnefici. Ma dopo l’ambiente di famiglia quello, che oggidì appesta l’animo della gioventù, è quello della scuola. La scuola, si sa, è quella dove si formano i convincimenti dell’uomo. E se la scuola tendesse seriamente al suo grande scopo, se essa fosse il prolungamento della famiglia, l’aiuto del padre e della madre nella cristiana educazione della gioventù, non potrebbe far a meno di trasfondere nell’animo dei giovani, insieme con la luce delle lettere e delle scienze, correnti di fede e fiamme ardenti di virtù. Così appunto faceva un tempo la scuola, non solo quella dei teneri fanciulli, che loro apprendeva prima d’ogni altra cosa la scienza di Dio, e con l’esempio e con la disciplina li spronava più che tutto alla pratica della pietà cristiana, ma eziandio la scuola dei giovani adulti, la stessa scuola universitaria. Ogni anno alle Università, il corso degli studi era inaugurato solennemente con la celebrazione della Messa e con l’invocazione dello Spirito Santo, ed era continuato con varie altre solenni funzioni religiose; e chi può dire quanto pei giovani fosso edificante lo spettacolo dei loro venerandi rettori e professori prostrati in mezzo a loro dinnanzi a quel Dio, che si chiama il Dio della scienza, pregare da Lui efficacia al loro insegnamento, a quell’insegnamento, in cui il nome di Dio veniva di spesso ripetuto colla massima riverenza? Chi può dire il rispetto, la stima, l’amore, che tutto ciò conciliava a quei veri educatori della gioventù! Tale rispetto era sì grande, che essi passavano tra i condiscepoli come divinità calate dal cielo. Or che accade invece ai giorni presenti? Io non posso dirlo senza fremere e senza a sentirmi bollire il sangue. Oggidì il fanciullo esce dalla casa domestica, ed entrando nella scuola egli entra non già in un prolungamento della famiglia, ma in una vera agenzia dello Stato; giacché i maestri e i professori non sono più ausiliari delle sollecitudini di buoni genitori e delle loro legittime ambizioni, no, essi sono gli impiegati dello Stato, che si sostituisce all’inviolabile autorità del padre e della madre e confisca la loro missione. Fin dai primi anni di età, nell’asilo infantile e su su, nelle scuole elementari, ginnasiali, tecniche, liceali, universitarie, lo Stato si impadronisce del giovine, e ne fa una cosa sua. Lo Stato giudica e stabilisce egli quello, che il giovine debba imparare, non imparare e disimparare, e per mezzo degli impiegati suoi, cui torrebbe il pane, se non fossero delle sue idee, egli istruisce, educa, plasma il carattere, inocula sentimenti, tendenze, abitudini a suo proprio uso. Lo Stato insomma, tolto il giovane, e sarebbe più proprio il dire strappatolo dalle mani della famiglia, lo fonde e lo rifonde al calore del suo fuoco, come si fa delle statue di bronzo. E qual è il calore di questo fuoco? Si dice: quello del patriottismo; ma in realtà è quello dei più spudorato scetticismo. Perciocché col preteso di esortare i giovani a mostrarsi degni figli della patria, col metter loro ipocritamente innanzi virtù menzognere, fin dai loro primi anni si comincia a por loro in derisione Gesù Cristo, la sua Chiesa, i suoi ministri, i suoi dogmi, i suoi Sacramenti, e poi si prosegue con un’audacia incredibile fino a che entrati i giovani nei corsi superiori sono poi completamente attossicati senza alcun ritegno. E non vi sono nei Licei e nelle Università nostre dei professori, talora in età già abbastanza matura, che insegnano in mezzo agli applausi della gioventù corrotta e leggiera, che Gesù Cristo non è che un mito, che non vi ha Dio, non anima, non immortalità, non distinzione del bene e del male, non libertà morale, non responsabilità; che tutte le passioni sono nella natura, e che per conseguenza tutto ciò che è nella natura è buono; che il piacere è l’unica realtà della vita, che la morale non è altro che un affare di istinto, che la coscienza non ò che un meccanismo, che si monta e si smonta a proprio piacimento, giacché se vi ha un Dio non è altro all’infuori di quello che ciascun uomo si crea da per sé? Sì, non è questo, che certi vecchiardi insegnano oggidì a giovani leggeri, guasti e tormentati dalle passioni? E dopo tali insegnamenti a giovani, che ne vanno troppo lieti per le conseguenze, che ne possono trarre, come non discacceranno essi Gesù Cristo, Iddio dal cuore e non prenderanno persino a disprezzarlo e odiarlo? Gesù Cristo non ò che un mito? Dio non c’è? Dunque a che Chiesa, a che fede, a che preghiera, a che Sacramenti? Sono gli imbecilli soltanto che si curano di ciò. Siamo tutta materia? dunque tendiamo al nostro fine, diamo alla materia, vale a dire alla carne, quegli sfoghi naturali, che essa domanda. Il piacere è l’unica realtà della vita? Dunque incoroniamoci di rose, scorriamo per ogni prato, beviamo al dolce calice, abbandoniamoci al piacere. Non sono che cretini coloro, che ne rifuggono siccome da cosa illecita. Al di là c’è il nulla? Dunque non siamo così bestie da non vivere, finché si vive, come vivono le bestie. Così, così, con una logica brutale, tolto Dio dal cuore dei giovani, tolta la fede, tolte le massime cristiane, è tolto altresì ogni ritegno alla scostumatezza, tolto eziandio il naturale pudore, ed il vizio trionfa pubblicamente. Sicché quando io vedo dei giovani come voi che mi ascoltate, i quali malgrado l’ambiente appestato della scuola, come i tre fanciulli della Bibbia nella fornace di Babilonia, non si abbruciano punto, e conservando la fede conservano la moralità e conservando la moralità conservano la vita, allora con tutta la commozione dell’anima io esclamo: No, l’antico valor non è ancor morto. Vi hanno ancora dei veri eroi; e come Leonida, padre di Origene vorrei baciare il cuore di questi giovani come il santuario dello spirito di Dio, come la manifestazione più efficace e più parlante della grazia del Signore. Ma infine un’atmosfera anche più pestilenziale, che non quella della famiglia e della scuola, perché più specialmente libera da riserve e da scrupoli, l’atmosfera della società è quella che compie l’opera devastatrice della vita morale della gioventù. Perciocché che cosa è che questa nostra società fa respirare ai giovani di quindici, diciotto, venti anni? L’irreligione e la immoralità da per tutto. Irreligione ed immoralità in un giornalismo dichiaratamente empio e pornografico; irreligione ed immoralità nei romanzi e nei libri, scritti con intento diabolico appositamente per lei: irreligione ed immoralità nei circoli e nelle società settarie, in cui si fa di tutto per irreticarla; irreligione ed immoralità nei teatri, di dove, si dice, gli spettatori adulti, benché poco delicati, sono talvolta costretti per un po’ di pudore che ancor li assale, levarsi e andarsene; irreligione ed immoralità in un nugolo di gente da trivio, appostata ad ogni angolo delle vie per darle l’assalto; irreligione ed immoralità nell’andamento di tutta la cosa pubblica, in cui l’onore posto sulla punta della spada, le truffe più ingenti e più audaci, l’ingiustizia più aperta e manifesta non fanno regnare che la ragion del più forte. E la gioventù, malamente educata in famiglia, scristianizzata del tutto nella scuola, come non cadrà asfissiata in questa atmosfera d’irreligione e d’immoralità, che le fa respirare la società in cui si trova? Sì, essa cadrà asfissiata, ma non impunemente, né per essa, né per la società. Non impunemente per essa, che talvolta se ne muore consunta a venticinque anni tra le strida di una madre, che non avrà pace più mai, e tal altra avanzandosi nel cammin della vita, tra i contrasti spaventosi, di cui è cosparso, senza fede in Dio e in Gesù Cristo, senza amore per Lui, si sentirà orribilmente straziata ora dal dubbio, ora dalla noia, ora dall’agitazione, ora dalla tristezza, ed ora persino dalla disperazione, che ingenera la pazzia e spinge al suicidio; non impunemente per la società, la quale avendo operato il suo assassinio e la sua rovina, resterà alla sua volta da lei assassinata e rovinata. Ecco, o miei cari, la catastrofe orrenda, a cui mette capo l’atmosfera senza Dio, senza Gesù Cristo, che oggidì si fa respirare alla gioventù nella famiglia, nella scuola e nella società. E dopo tutto ciò, se vi ha gente da mettere alla gogna, no, non sono tanto questi poveri giovani, ma sono gli scrittori infami, i seduttori maligni, i professori empii, i poteri pubblici prepotenti, e soprattutto, quei padri così ciechi da non vedere l’opera, che si compie in danno dei loro figli, cosi fiacchi da tollerarla in pace senza alcuna protesta, e talora così malvagi da coadiuvarla essi pure con le loro iniquità e coi loro scandali!

III. — Ma ora dopo d’aver riconosciuto la mala corrispondenza, che la gioventù odierna rende alla carità di Gesù Cristo per lei, e quali cause producono in lei sì nera ingratitudine, che cosa fare? Senza dubbio che si cambi radicalmente indirizzo nell’educazione della gioventù non è cosa da sperarsi, né è da pensare, che la gioventù, la quale si è spiegata in senso opposto alla verità ed alla virtù, tutto ad un tratto abbia a mutar idee e costumi. Per tutto ciò sarebbe necessario uno di quei prodigi, di cui Gesù Cristo non è sempre largo, massime quando gli uomini non ne hanno alcun merito. Ma tuttavia noi Cristiani, amanti di Gesù Cristo, dobbiamo sollecitarlo al più presto possibile con l’opera nostra. La Chiesa, in quanto è da sé, più che mai allarga le sue braccia ai fanciulli ed ai giovani coi moltiplicati oratorii festivi e con le scuole di Religione largamente istituite; e con tutta la tenerezza e l’insistenza della sua voce materna li invita a rifugiarsi nel suo seno, ad attingervi il santo timor di Dio, gridando: Venite, filii, audite me; timorem Domini docebo vos. (Ps. XXXIII, 12) Ma voi, o genitori Cristiani, non lasciate di fare la parte vostra. Anzitutto educate voi cristianamente i figli vostri, e quando trattisi di allontanarli dal vostro fianco per mandarli alla scuola e tanto più per affidarli al collegio, deh! aprite gli occhi e preferite sempre la scuola e il collegio, dove non solo entra la Religione come una larva ipocrita per tradire la vostra fiducia, ma dove la Religione è dichiaratamente rispettata e praticata. Ma soprattutto voi, o madri, imitando l’esempio di quelle donne ebree, che recavano a Gesù Cristo i loro figli, perché imponesse loro le mani e li benedicesse, recate anche voi a Gesù Cristo i tigli vostri, consacrandoli a Lui fin dal loro nascere, ammaestrandoli per tempo a conoscere ed amare Lui, aiutandoli sempre con le vostre esortazioni e coi vostri esempi a tenersi uniti a Lui. E quando cresciuti negli anni, per l’influenza malefica di una scuola atea e di una società scostumata, li vedeste con immenso dolore dell’animo vostro tralignare dalle speranze della loro verde età, e cader vittime sventurate dell’incredulità e delle passioni, ricordatevi allora che non vi ha spettacolo, che maggiormente commuova il Cuore di Gesù Cristo a compassione della sventura dei vostri figli, quanto quello delle vostre lagrime. Quando si portava alla sepoltura il figliuolo unico della vedova di Naim, spietatamente rapito dalla morte sul fior della vita, l’infelice madre gli teneva dietro con tale profluvio di lagrime, che avrebbe intenerito le pietre. E l’amabilissimo Gesù, alla vista di quello spettacolo di desolazione e di dolore, tocco nel più intimo del suo Cuore, si appressa a quella povera madre, con l’accento della più filande tenerezza e pietà le dice di cessare il pianto, e avendo comandato ai portatori della bara di fermarsi, voltosi al morto: « O giovane, gridò, io ti dico, sorgi. » E dall’istante quel giovane, che era morto, si levò a sedere e pieno di salute e di vita si fe’ a parlare. Ora, quello a cui valsero le lagrime di una madre per la vita fisica del suo figlio, sarà pur quello a cui varranno per la vita dell’anima. S. Monica lo ha ben provato nel suo Agostino. Non disperate pertanto, o povere madri, cui lo stato spaventoso dei figli vostri e la spirituale loro morte mette in desolazione e terrore. Piangete e pregate, e non cessate mai dal piangere e dal pregare. Forse anche per voi, come già per S. Monica, dovrà passare del tempo, prima che siate esaudite. Ma se al pari di lei sarete costanti a piangere ed a pregare, finirete com’essa per ottenere la grazia. Il Cuore di Gesù è troppo tenero per non commuoversi di voi e per non cambiare a tempo opportuno il vostro pianto di dolore in lagrime di gioia. Sì, egli vi consolerà di quanto avrete sofferto, risusciterà i vostri figliuoli morti e li ridonerà belli e vivi di una nuova vita cristiana al vostro amore. – Ma anche voi, o giovani Cristiani, che mi ascoltate, anche voi dovete mettere riparo alla sciagura di tanti altri giovani con la vostra fermezza nella fede e con la costanza vostra nella virtù. Rappresentatevi di spesso alla mente l’amore che Gesù Cristo vi porta, e siate generosi nel ricambiarlo. Senza dubbio, voi dovrete combattere le vostre passioni, perché anche voi figliuoli di Adamo, anche voi ne siete travagliati; ma ricordando la parola di Gesù Cristo: « Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso; » gettando lo sguardo sopra di Lui, modello di sacrifizio, di abnegazione, di mortificazione e di obbedienza, e sopra tutto accostandovi spesso a ricevere nel cuor vostro Lui, che è il frumento degli eletti ed il vino, che germina i vergini, voi domerete le vostre passioni, come il domatore delle belve doma il leone della foresta. Senza dubbio, dovrete resistere al gran pericolo di una scienza atea e materialistica, le cui dottrine vi è giocoforza ascoltare per la schiavitù dell’insegnamento; ma non dimenticando le lezioni sublimi intorno alla vostra origine, alla vostra natura ed ai vostri destini, appresi sulle ginocchia della vostra madre Chiesa e della vostra Chiesa-Madre, e con lo studio continuato della Religione convertendole in succo ed in sangue, voi, mercé di Dio, avrete mai sempre sufficiente intelletto per lasciare tutta a certi professori la gloria di essere un pugno di fango o razza di scimmie e di lombrichi. Senza dubbio voi dovrete superare gli umani rispetti, che vi assaliranno da ogni parte e da per tutto, perché la vostra fede e la vostra virtù, essendo un pruno negli occhi dei tristi, sarà sempre da loro oltraggiata e derisa; ma voi infiammati d’amore per la vera libertà, che Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra, e che affranca da ogni servaggio, anche da quello del numero e della forza materiale, non sarà mai che vendiate la vostra coscienza a prezzo di una vile apostasia. Senza dubbio voi dovrete respingere la stolta calunnia, che la pietà cristiana rende stupidi e melensi e che la fede è contraria alla scienza, e col tenervi sempre lontani da coloro, cui ogni pretesto è buono per liberarsi dalla noia dello studio, col non partecipare mai alle loro gazzarre e baldorie, e coll’applicarvi invece seriamente agli studi, dimostrerete una volta di più, che col raggio della fede penetrate ben più a fondo che gli altri nelle verità scientifiche, e coll’aiuto della cristiana pietà riuscite anche meglio degli altri ad apprenderle. O giovani cattolici! o nobili speranze della Chiesa e della patria, gettate oggi lo sguardo sopra l’eroe, che la Chiesa festeggia e vi dà per modello, e checché sembri al mondo, seguendo le traccie luminose di S. Luigi Gonzaga, crescerete senza dubbio allo stato virile, « all’età di Gesù Cristo. » Presto o tardi il mondo avrà bisogno di voi. Sotto gli occhi spalancati del genere umano finirà il trionfo di una dottrina e di una virtù, che non è la vostra. Ed allora la società stanca di veder più a lungo lo spettacolo dell’incredulità e della corruzione, accasciata dal dolore di tante rovine, a voi, figliuoli unici della fede e dell’amore di Gesù Cristo, volgerà affannosa lo sguardo e stenderà anelante la mano gridandovi ad alta voce di trarla a salvamento. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che ponete mai sempre la vostra delizia tra i figliuoli degli uomini, soccorrete con la vostra grazia questi giovani volonterosi, che si stringono oggi intorno al vostro altare; date loro la forza di mantenersi costanti nella professione della fede e nella pratica della virtù e di essere pronti sempre a morire piuttosto, anziché venirvi meno. Ma ad un tempo stesso pietà vi prenda di quei giovani infelici, che vi disconoscono, che non vi amano, che anzi vi oltraggiano: pietà per amor di queste madri, che ora dinnanzi a voi versano amare lacrime per essi. Deh! o divino Pastore, richiamate presto, che ben lo potete, questi agnelli traviati al vostro ovile; stringeteli presto, cambiati di costume, tra le vostre braccia amorose, ed allora noi benediremo un’altra volta ai trionfi della vostra bontà e della vostra misericordia.