I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 1 AGOSTO – Sul martirio dei MACCABEI

1 Agosto.

SUL MARTIRIO DEI MACCABEI (1).

Parati sumus mori, magis quam patrias Dei leges prævaricari”.

[Siamo pronti a morire, anziché violare le leggi di Dio e della patria].

(II de’ Maccabei VII, 2).

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

(1) La festa dei santi Maccabei si celebra con solennità nella diocesi di Belley e in altre circonvicine: un’antica chiesa di Lione era ad essi intitolata. (Nota degli editori francesi).

Tale risposta diede ad Antioco, famoso persecutore della religione, l’illustre famiglia de’ Maccabei. Quei giovani ebrei risposero coraggiosamente: « Dobbiamo a Dio un amore forte ad ogni prova, e nessun tormento potrà farci violare la fedeltà di cui gli siamo debitori. Eccoci: puoi farci patire; i nostri corpi sono in tuo potere; ma della nostra fede e del nostro amore non sei padrone; rispetto a questo non hai impero su noi; non aspettarti dunque che facciamo cosa la quale possa dispiacere al Signore: siam lieti di morire ». Non esitano punto: coll’aiuto di Dio son risoluti di perdere non solo i beni e l’onore, ma anche la vita. Vedete qual coraggio in quegli antichi martiri, che avevano meno grazie che noi? No, miei fratelli, questi santi martiri non avevano veduto come noi Gesù Cristo portar la croce al Calvario; non avevano ancor veduto quelle schiere di eroi che, conformandosi all’esempio di Gesù Cristo, con tanto coraggio han sacrificato la vita; essi invece segnavan la via. Non avevano come noi la bella sorte d’udir la voce di Gesù Cristo, il quale, dall’alto della croce, par che ci dica: « Venite, figli miei, salite sul vostro Calvario, com’io son salito sul mio ». Ecco un linguaggio capace di darci forza. Ma no, essi non ebbero sì bella sorte! Oh! se i nostri padri ricomparissero tra noi, potrebbero forse riconoscerci per loro figliuoli ed eredi nella fede? Ohimè! quanti fra noi, non per timor della morte o della perdita dei beni, ma per un meschino rispetto umano, un lieve timore d’essere scherniti, abbandonano Iddio e arrossiscono d’esser buoni Cristiani! Quanti altri disonorano questa santa Religione con una vita tutta pagana e secondo il costume del mondo? Per eccitarvi, fratelli miei, a non temer nulla, quando si tratta di piacere a Dio e salvar l’anima nostra, vi metterò sott’occhio il coraggio de’ santi martiri dell’antico Testamento e di qualcuno del nuovo. Ma non contentiamoci d’ammirarne l’intrepidezza e lo zelo per la gloria di Dio e la salute dell’anima loro. Raffrontiamo la loro vita con la nostra, il loro coraggio con la nostra viltà, i loro tormenti col nostro orrore alla penitenza, e vediamo se possiamo, com’essi sperare il cielo facendo quel che facciamo. Ohimè! quanti Cristiani dannati! Facciamo quanto è in poter nostro per imitar questi eroi.

I. — Se apriamo i Libri santi vediamo in tutti i tempi i buoni perseguitati dai cattivi. E questo dobbiamo aspettarci se vogliamo sperare il cielo. Vedete Abele e Caino, Giuseppe e i suoi fratelli, Davide e Saul, Giacobbe ed Esaù, ecc. Non abbiamo altro retaggio quaggiù, e ce lo provano abbastanza quelli che ci hanno preceduti. In ogni tempo chi volle esser di Dio dovette fare il sacrifìcio de’ suoi beni, della sua riputazione ed anche della vita: se vogliamo sperare eguale ricompensa dobbiamo imitarne l’esempio, altrimenti non avremo la sorte felice di aver parte a’ medesimi gaudi. Ecco un esempio che servirà a meglio convincervene. – Leggiamo nell’antico Testamento (1 Macc. I) che gli Ebrei, tornati dalla schiavitù di Babilonia, stettero in pace finché non salì sul trono l’empio Antioco. Questo re perverso suscitò la più crudele persecuzione che fino allora si fosse veduta. Dio, è vero, lo permise per far prova de’ suoi servi fedeli, e d’altra parte il profeta Daniele l’aveva loro predetto (Dan. XI). Era divisamento di quell’empio re abolire, se gli fosse riuscito, il culto del vero Dio. Intimò, sotto pena di morte, di profanare il sabbato e le feste, spogliare i luoghi santi, edificare altari e templi al demonio, e sacrificare animali, che la legge proibiva. Nel tempio fece porre un idolo infame, e i libri della legge furono distrutti ed abbruciati. Quei Giudei che volevano servire al Signore erano subito arrestati e puniti di morte. La citta santa fu abbandonata da’ suoi abitatori e diventò dimora de’ pagani. Il tempio rimase deserto, le feste si mutarono in duolo; tuttavia, non ostante i terrori che cominciavano a diffondersi per costringere i Giudei a rinunziare al vero Dio, parecchi risolvettero di non far nulla contro la legge e morire anziché violarla. Tra quelli che si mostrarono intrepidi fu un buon vecchio per nome Eleazaro, in età di novantanni, noto per la purità ed innocenza della sua vita (II Macc. VI). I persecutori l’arrestarono e gli comandarono di mangiar carne offerta agli idoli, altrimenti, secondo la legge del malvagio re, sarebbe fatto morire. Poiché vi si rifiutava, si volle costringerlo: alcuni gli aprivano la bocca: altri v’introducevano la carne, come se non sapessero, quegli insensati, che la volontà sola commette il peccato e che non è colpevole un’azione nella quale il cuore non ha parte. Eleazaro non poté esser vinto: volle piuttosto la morte che obbedire al re mangiando quella carne contro il divieto della legge. « Preferisco, diss’egli, una morte innocente ad una vita rea ». Mentre andava con gioia al supplizio ebbe ad incontrare da parte de’ suoi amici una prova, la quale, per ciò stesso, fu ben più formidabile che quella a cui l’aveva posto l’empio re. Venuti a visitarlo, gli dissero piangendo : « Amico, Siam venuti per salvarti, come ci siamo salvati noi. Faremo portar carne non immolata agli idoli, cioè al demonio, e tu, per condiscendere al nostro desiderio, la gusterai soltanto: e noi diremo agli ufficiali del re che hai obbedito. Ecco un mezzo sicuro di sfuggire la morte e conservarti al tuo popolo ». Ma il santo martire gridò: « No, no: non lo farò mai; mi si conduca subito al supplizio anziché commettere simile viltà che offenderebbe il mio Dio; piuttosto mi si getti vivo nel sepolcro; ciò mi è mille volte più caro. Ecché. mio Dio, mi si crede capace di dissimulare, all’età mia, e far credere che sia superstizione la mia religione? Io dar sì cattivo esempio alla gioventù che vuol prendermi qual modello! Io lasciar credere ad essa d’essere stato vinto dall’amor della vita e dal timor de’ tormenti? No, no! Ne’ brevi giorni di vita che mi restano non mi lascerò davvero andare a tale viltà. Quando pure oggi potessi, prostituendo l’anima mia e la mia coscienza, scansare i supplizi degli uomini, potrei forse sfuggire alla giustizia di Dio? No: moriamo costanti, amici miei, e mostriamoci degni della nostra età, poiché Dio si degna di eleggerci per darci come spettacolo alla gioventù. La morte, anche più crudele, è dolce del pari che gloriosa quando si fa a Dio il sacrificio della vita. Perché dovrei temere di perder la vita, che ben presto dovrò abbandonare senza merito, mentre sacrificandola adesso per amor di Dio, ne riceverò si bella ricompensa per l’eternità? Venite. carnefici, aggiungeva con singolare coraggio, venite, e vedrete quali sacrifici possono fare coloro cui sostiene la virtù dall’alto: mi toglierete un avanzo di vita, e mi procurerete in ricambio la vita eterna. Ah! mi par di veder gli Angeli che vengono a me per condurre in cielo l’anima mia (L’anima .di Eleazaro non poteva esser condotta immediatamente in Paradiso, perché il cielo era chiuso finché fosse compita la Redenzione. – Nota del Traduttore); no, no, amici miei, non temo né i tormenti né la morte: tutto questo è per me un bene. Moriamo pel nostro Dio, e li faremo vedere che l’amiamo veramente. Moriamo, figli miei, e lasceremo la guerra e i patimenti per andarcene in un luogo di pace, di gaudio, di delizie. Sì, mio Dio, vi faccio volentieri il sacrifizio della vita ». Oh! fratelli miei, quanto son belli questi sentimenti! E come son degni della grandezza d’un’anima bella e d’una Religione santa qual è la nostra! Tutte queste belle parole, da Eleazaro pronunziate dinanzi a’ suoi carnefici, avrebbero dovuto commuoverli e mutarne il cuore; ma no: divengono anzi più furibondi. Si scagliano su quel povero vegliardo, lo gettano per terra, lo spogliano, lo legano; i manigoldi armati di verghe, lo battono fino a perder la lena: ma tra tanti dolori raccoglie le poche forze che gli restano, e si volge al Signore dicendo: « Lo sapete, o mio Dio, che soffro per voi, per timore d’offendervi; sostenetemi, mio Signore, e fate che muoia per amor vostro ». Non cessarono di batterlo finché non ebbe reso la sua bell’anima a Dio. – Qual esempio per noi, miei fratelli: ma insieme qual vergogna per tanti codardi Cristiani che per un maledetto rispetto umano trasgrediscono sì spesso le leggi della Chiesa mangiando carne nei giorni proibiti! Ditemi, se foste stati posti a simili prove, avreste fatto come quel buon vecchio di novant’anni che volle morire anziché far mostra di mangiar la carne proibita dalla legge giudaica? Qual condanna per tanti apostati che si mettono sotto ai piedi le sante nostre leggi! Andate in occasione di fiera in una bettola in giorno di venerdì o in altro in cui sia vietato mangiar carne: vedete quelle tavole che ne sono coperte, osservate quei che ne mangiano. Ohimè! son padri, madri di famiglia, padroni e padrone che forse avranno con sé i loro figliuoli o i loro domestici; son cattivi Cristiani, e anche sacrileghi, che avranno adempiuto al dovere pasquale, e tante volte bau promesso di non più trasgredire questa legge! Quale idea si ha ai giorni nostri di Dio, della sua religione, delle sue leggi? Ohimè! miei fratelli, agli occhi del maggior numero de’ Cristiani la nostra santa Religione è ormai una chimera, un fantasma; non si conservano più che certe esteriorità, quando non ce ne viene alcuna molestia, o il conservarle non ci costa nulla: ma al menimo ostacolo dispregiamo tutto e pare che siam divenuti apostati. Oh! quanti Cristiani perduti! Son pur disgraziati, poiché commettono il peccato con tanta riflessione, sapendo pur bene che dan morte a Gesù Cristo, e strappano a Lui la loro povera anima per trascinarla all’inferno! Che cosa potranno rispondere quando Gesù li giudicherà? Diran forse che la loro fragilità o miseria li ha indotti a far questo? Quale vergogna per quei sciagurati apostati, di cui gli uni han peccato per empietà schernendo le leggi della Chiesa, altri per maledetto rispetto umano! Anziché sopportare l’onta d’una parola uscita dalla bocca d’un empio, d’un libertino, vollero piuttosto perder l’anima loro ed offendere Iddio!…. Passiamo ad altri esempi, fratelli miei, e vedremo che, se la vecchiaia è naturalmente più ferma nella fede, anche l’età più tenera ci dà esempi non meno grandi. Dopo i combattimenti di quel buon vecchio, entrarono in campo una madre coi sette suoi figli nel fior dell’età. Avevano tanto candore e tanta modestia, ch’erano a tutti oggetto d’ammirazione. Il crudele Antioco se li fece condurre dinanzi, e immantinente comandò loro di mangiar carne offerta al demonio, e senza replica conforme agli ordini da lui dati. Ad una voce ricusarono di farlo. A tal rifiuto li fece in sua presenza spogliare e ordinò che fossero battuti a colpi di flagelli e di nervi di bue, finche il loro corpo ne fosse tutto straziato. Il primogenito dei sette fratelli, non punto stupito di tale trattamento, parla pel primo e dice al tiranno: «Che cosa vuoi da noi? Impara che noi sappiano patire e morire, ma non tradire la legge del Signore ». Questa risposta fece salir l’empio Antioco in sì grande furore, che comandò tosto di far arroventar caldaie di bronzo, e mentre tutti i manigoldi s’affrettavano ad obbedirlo, furente contro quel giovane che a nome di tutti l’aveva affrontato, gli fece tagliar la lingua, strappare la pelle del capo, tagliar le mani ed i piedi sotto gli occhi della madre e dei fratelli. Fece poi accostare a tutte le parti del suo corpo strisce di ferro infocato; e siccome dopo siffatto tormento viveva ancora, ordina che sia gettato nella caldaia di bronzo, che il fuoco aveva resa ardente come una verga di ferro ch’esca dal fuoco, e si trattiene spietatamente a vederlo bruciare. Frattanto sua madre e i suoi fratelli s’incoraggiavano vicendevolmente a patire. « Orsù, figliuoli miei, gridava quella madre, coraggio! Con la nostra morte possiamo dar gloria a Dio e addivenire eternamente felici! Poiché tutti siamo condannati a morire pel peccato dei nostri progenitori, moriamo: la nostra morte avverrà in pochi istanti; ma avremo una ricompensa, una felicità eterna ». Morto il primo, fu preso il secondo. Prima di tutto gli si strapparono i capelli e la pelle del capo, chiedendogli se volesse mangiar di quella carne che gli sarebbe messa innanzi. Rispose che saprebbe patire e morire conforme all’esempio di suo fratello, ma non commetterebbe mai la viltà di violare la legge del Signore. Gli si fecero soffrire gli stessi tormenti, gli si tagliarono le mani ed i piedi. Vicino a rendere l’ultimo respiro disse al re: « Re scellerato, tu ci togli la vita presente; ma siam certi che il Signore, per cui la perdiamo, ce la renderà eterna ». Dopo questo si venne al terzo, che da sé stesso si presentò, e senza aspettare d’essere interrogato si offerse pronto ai medesimi supplizi. Gli si chiesero le sue mani e le presentò con gioia: « Dal cielo, disse, ho ricevuto queste membra, e le lascio volentieri in vostra balìa perché le facciate soffrire, dacché con questi patimenti posso glorificare Iddio e guadagnarmi il Paradiso ». – Ah! fratelli miei, se avessimo una fede viva al pari di quella di questi santi martiri, come dispregeremmo la nostra vita e i piaceri sensuali!…. Avremmo forse il coraggio di sacrificare ad essi così facilmente la nostra anima e la nostra eternità?…. Ah! se pensassimo alla nostra risurrezione che sarà tanto più gloriosa, quanto più i nostri corpi saranno stati sprezzati e perseguitati!… Di qual gloria appariranno cinte quelle schiere di martiri, che lasciarono mettere in brani il loro corpo!… Il re e i suoi cortigiani non conoscevano abbastanza qual forza dà la religione; e non potevano riaversi dal loro stupore. Ne divennero sempre più furibondi. Antioco passò al quarto de’ santi fratelli; non si die più la briga di minacciare, perché sapeva bene ch’era tempo perduto, e mise mano subito ai tormenti. Gli fece dunque strappare la pelle: gli si tagliarono le mani e i piedi e fu gettato in una caldaia rovente. Ma anch’egli rispose: « Non temo i tuoi tormenti, perché una risurrezione gloriosa ci aspetta, e il Dio che serviamo è tutta la nostra speranza: tu pure risusciterai un giorno, ma non alla vita: t’aspetta un’eterna morte ». S’impadronirono del quinto e il re disse furente: « Vedremo, se saran tutti egualmente insensibili ». Il giovinetto non aspetta che i manigoldi l’afferrino, ma corre loro incontro, e dal mezzo delle fiamme, ove il suo corpo era già tutto lacerato, leva tranquillo lo sguardo verso il tiranno: « Tu fai adesso di noi ciò che ti piace; ma verrà tempo in cui alla tua volta proverai il rigore della giustizia divina ». Il re non poteva più contenersi: « Finiamo, disse ai suoi carnefici, di sterminare questa famiglia insolente ». – Viene il sesto con la dolcezza dipinta sulla fronte: si fa innanzi con gioia e si abbandona senza terrore tra le mani de’ manigoldi. Quei manigoldi incominciano a straziarlo, gli strappano la pelle e gli tagliano mani e piedi: « Che temi tu, o re spietato? disse il martire generoso : non mi resta più che un fratello e la madre; un fanciullo e una donna; i miei fratelli m’aspettano in cielo: tu mi fai morire, e ne son ben contento ». Tuttavia più degno d’ammirazione è l’atteggiamento di quella povera madre, che vede senza versare una lacrima morir sotto i suoi occhi tutti i suoi figliuoli e in un giorno solo. Seppe sì bene frenare il suo dolore, che faceva invece quanto poteva per incoraggiarli. O madri, che m’ascoltate, se i vostri figli non sono religiosi, o piuttosto son senza religione, non ne incolpate che voi medesime!… Se aveste la bella sorte d’imitare questa madre generosa, se, com’essa, pensaste che Dio vi ha fatto dono de’ vostri figliuoli solo per darli al cielo!… « Ah! miei figliuoli, gridava loro mentre se ne straziavano i corpi e venivano fatti a brani, miei figliuoli, coraggio, morite pel Signore e il paradiso sarà vostro! Perdete pur codesta vita piena di miserie: ne avrete una felice ed eterna ». Ohimè! Quante povere madri, troppo deboli, vedono i loro poveri figli precipitare nel male, o piuttosto all’inferno senza versare una lagrima, fors’anche senza dire un Pater ed un Ave! Lasciamo da parte, fratelli miei, queste tristi riflessioni. Frattanto di sette figli restava a quella povera madre un solo, il più giovane. Antioco, pieno di confusione per non aver potuto vincere quei fanciulli, volle tentare un ultimo sforzo per guadagnare almeno questo. Gli fece belle promesse dicendo che lo annovererebbe tra’ suoi favoriti, purché rinunziasse alla sua religione. Ma il fanciullo era irremovibile. Il re, fingendo compassione, chiamò a se la madre coraggiosa: « Salva almeno, ten prego, quest’ultimo figliuolo. Sarà tua gioia e tua consolazione pei favori di cui lo ricolmerò ». Padri e madri, venite ad istruirvi: udite il linguaggio d’una madre, la quale sa bene che i figliuoli le sono dati per guidarli al cielo e non per dannarli. Disse dunque al figliuolo in presenza del re : « Figliuol mio, abbi pietà di colei che t’ha portato nove mesi nel seno, che ti ha nutrito per tre anni del suo latte, e ti ha allevato sino all’età a cui sei giunto: considera, figliuol mio, quel bel cielo: tu sei sulla terra soltanto per giunger là: vedi i tuoi fratelli, che siedono già su troni di gloria? Ti aspettano: conforme al loro esempio, sacrifica volentieri la tua vita pel tuo Dio ». Queste parole ispirarono al fanciullo così grande amor verso Dio, che si volse al carnefice dicendo: « Che aspetti? Credi tu ch’io voglia obbedire a’ vostri empi comandi? No, no: voglio mostrare che son degno di camminare sulle orme dei miei fratelli cui la vostra crudeltà ha posto su troni di gloria: essi m’aspettano: vedi che mi tendon le mani? Sì, com’essi sacrifico il corpo e la vita in difesa della legge del mio Dio ». Il re, allora, vedendo che una donna e un fanciullo si burlavano di lui, fu acceso di tal furore, che volle farlo soffrire anche più. Gli fece tagliar mani e piedi…. e alfine lo fece gettare in una caldaia arroventata, ove quel tiranno, con gioia diabolica, pigliava diletto nel vederlo soffrire. Rimase sola la madre in mezzo alle membra sparse de’ suoi figliuoli; da qualunque parte volga lo sguardo, vede i piedi, le mani, la pelle e la lingua dei suoi figli, gittate qua e là intorno ad essa per sempre più torturarla. Antioco, non avendo più speranza di espugnare l’animo della madre, le fece soffrire sì atroci tormenti, che morì tra i supplizi benedicendo Dio della lieta ventura che le aveva dato di vedere tutti i suoi figli morire e andarsene in cielo. Così morì quella madre beata, che lasciò la terra pel paradiso. Madre avventurata, i cui sette figli sono ora assisi su troni gloriosi! O figli fortunati, che aveste una tal madre, la quale vi ha dato la vita sol per condurvi al possesso di Dio! – Quanto ad Antioco, lo sciagurato tiranno la mano vendicatrice dell’Onnipotente lo punì in modo manifesto: fu colpito da una piaga invisibile ed incurabile, giusta pena ad un tiranno, che aveva inventato tanti supplizi per far soffrire i servi di Dio. Cadde dal suo carro, e si ammaccò tutto il corpo. Le sue viscere formicolavano di vermi, le sue carni cadevano a brandelli; mandava così insopportabile fetore, che niuno poteva avvicinarsegli o servirlo. Sentendosi colpito dalla mano invisibile di Dio, fece grandi promesse e prese le più belle risoluzioni; ma lo Spiritò santo ci dice che solo il timore de’ tormenti ve l’induceva. Dio non ascoltò la sua preghiera e lo sgraziato principe morì roso dai vermi. Così d’ordinario fluiscono gli empi, che par vivano soltanto per offendere Iddio, e indurre gli altri a far male. Dio, stanco delle loro empietà, li colpisce e li precipita all’inferno per purgarne la terra. Se vi fu sì grande differenza, fratelli miei, fra Antioco e quella madre coi suoi figliuoli, la differenza è anche maggiore di presente: il re è all’inferno, mentre quella madre e i suoi figliuoli sono in cielo. Oh! quanto pochi Cristiani ai dì nostri son pronti, non dico a dar la vita per Iddio, come fecero que’ sette fratelli, ma anche solo a sopportar la minima cosa per non violare le leggi della nostra Religione! Quanti vi sono che omettono la Confessione e la Comunione pasquale? Quanti non badano ai digiuni prescritti dalla Chiesa, e passano il tempo santo della penitenza come un tempo qualsiasi, senz’alcuna mortificazione, forse neppure astenendosi dal mangiare tra un pasto e l’altro? Ohimè! quanti altri frequentano pur le bettole, o, se nol fanno, passano almeno i giorni sacri alla penitenza, senza fare una preghiera o un’opera buona di più? E quanti senza difficoltà mancano alle funzioni parrocchiali, e forse vi mancheranno tre domeniche consecutive, sapendo benissimo di che li minaccia la Chiesa? (Forse il Beato allude qui a pene minacciate dalle Costituzioni sinodali di qualche diocesi particolare. – Nota del Traduttore). Quanti padri e quanti padroni costringono i loro figliuoli o i loro domestici a lavorare nel giorno santo della Domenica, e quanti poveri fanciulli stanno forse mesi interi senza assistere alle funzioni! Ohimè! quanti padroni dannati! Altri non si contentano di violare le leggi della Chiesa, spregiarle, farsene beffe; ma non fan conto alcuno della parola del Signore, che riguardano come parola umana. Quanti assistono alle sante funzioni senza divozione, e lasciano correre la loro mente, ove meglio le piace! A stento sanno che cosa vengono a fare in chiesa, e sarebbero in un bell’impiccio se dovessero rispondere a chi chiedesse loro, perché vengon alla santa Messa. Quanti fanno appena l’atto di mettersi in ginocchio!… Non si ha difficoltà di mancare ai vespri, all’istruzione, al rosario, alla Via Crucis, alla preghiera della sera. Taluni non fànno mai una visita al SS. Sacramento nell’intervallo tra le varie funzioni, e passano il giorno santo della Domenica meno bene che gli altri giorni. Oh! come osano poi sperare il cielo? Come possono credere che Dio debba far loro misericordia in quel giorno terribile, che ha fatto tremare anche i più gran santi, la cui vita era stata tutta opere buone, e che, per poche colpe leggere, avevano fatto tante penitenze? Quanti ancora tra codesti poveri Cristiani passano intere giornate senza pensare a Dio e senza far un po’ di riflessione sopra se stessi, cioè sulla lor povera vita, per concepire orrore de’ lor peccati, ed eccitarsi a far qualche opera buona onde attirarsi la misericordia di Dio! Ecco, fratelli miei, come si comporta la maggior parte dei Cristiani de’ nostri giorni! Non pensano punto alla propria salute: sono interamente occupati delle cose temporali, pensano che la morte non debba per essi giunger mai. E ciò nonostante quel momento arriva per tutti; e se non si è fatto nulla per assicurarsi il paradiso, la moltitudine de’ nostri peccati si affaccia alla nostra memioria, e insieme tutte le grazie disprezzate, le opere buone e le preghiere che si sarebbero potute fare e non si son fatte. In quel terribile momento si vedranno tutte lo anime perdute pei nostri cattivi esempi, che avremmo potuto condurre a Dio, se avessimo dati esempi buoni. Oh! quale infelicità si apparecchia chi è vissuto senza religione, senza far penitenza, senza esaminare a che l’obbligassero i Comandamenti di Dio e della Chiesa!.» Non così si deve fare, né così fecero i santi, ai quali stava tanto a cuore di piacere a Dio e salvar le anime loro, che non solo si studiavano di sfuggire anche i minimi peccati, ma di più passavano la vita nelle opere buone, nelle lacrime e nella penitenza. Gran numero di martiri sacrificarono la vita per assicurarsi il cielo; e ne abbiamo belli esempi nella storia de’ santi del nuovo Testamento. Vi citerò soltanto quello di S. Cosma e Damiano (Ribadeneira, 27 settembre).

II. — Erano due gemelli. La lor madre, timorata di Dio, ebbe tutte le cure possibili per istillar loro l’amor del Signore: parlava sovente ad essi della felicità di quelli che dan la vita per Gesù Cristo. I due fratelli, che avevano dinanzi agli occhi soltanto buoni esempi, furono naturalmente tratti ad imitare le virtù della loro madre. Oh! qual grazia, quale felicità pei figli l’aver buoni genitori! Oh ! quanti poveri figli van dannati, e sarebbero invece in Paradiso se avessero avuto parenti veramente religiosi! Mio Dio! Possibile che la mancanza di religione de’ parenti precipiti tante anime all’inferno? Sciagurati parenti, che pare abbiano figliuoli soltanto per trascinarli alla perdizione!… Come possono praticar la virtù quei figliuoli che han dinanzi agli occhi solo esempi cattivi? I figliuoli saran migliori de’ parenti, che non si confessano e non fan Pasqua, che punto non pregano, ma si levano e vanno al riposo come bestie da soma; che han sempre alla bocca cattive parole; che giungono sino a schernire e a censurare la Religione e chi la pratica, e mettono in ridicolo la Confessione e coloro che si confessano? I figliuoli, dico, saran migliori de’ loro parenti, che li lasciano vivere a loro talento, e permettono ad essi giuochi, balli e taverne; che forse vi passano anch’essi notti quasi intere con ogni sorta di libertini? Se un pastore, vedendo sì mali esempi, cercherà di far loro conoscere la colpa loro e quelle de’ loro figliuoli, andranno in collera, lo biasimeranno, ne diran male e faranno ai loro figliuoli mille contrarietà. Oh! quanti poveri fanciulli malediranno il giorno della loro nascita e i loro parenti, che, invece d’aiutarli a salvarsi, s’adoprarono a perderli con la lor poca cura nel fare ad essi conoscere i loro doveri religiosi e la gravezza del peccato!… Ohimè! fratelli miei! un giorno riconoscerete pur troppo che questo è vero!… Ma torniamo a’ nostri santi, ch’ebbero la sorte felice d’aver parenti sì virtuosi. Finiti i loro studi, riuscirono abilissimi nella medicina. La loro scienza era accompagnata dal dono della grazia, sicché col solo visitare gli infermi, restituivano ad essi la sanità: i ciechi riacquistavano la vista, gli zoppi camminavano, i sordi riavevan l’udito, e alla loro sola presenza i demoni fuggivano. Lo splendore di tante meraviglie li faceva da tutti ammirare; ma quest’alta rinomanza fu causa del loro martirio. Avendo gli imperatori Diocleziano e Massimiano rinnovato la persecuzione contro i Cristiani, mandarono nella città di Egea, qual prefetto, Lisia, perché ne facesse ricerca e li punisse secondo le leggi. Appena Lisia fu giunto in Egea, gli furono denunziati i due medici, che andavano di provincia in provincia e operavano stupendi prodigi nel nome di Colui al quale davano il nome di Gesù Cristo. Si aggiunse che per tal modo molti abbandonavano il culto degl’idoli per abbracciare una Religione all’atta nuova. Avuta questa denunzia, Lisia li fece arrestare. Quando gli furono dinanzi, pieno di collera disse loro: « Siete dunque voi quei seduttori, che andate per le città e per le province, sollevando il popolo contro gli dei dell’impero col pretesto di far loro adorare un uomo crocifisso? Se da questo momento non rinunziate a codesto Dio, e non obbedite agli editti degli imperatori, userò ogni sorta di tormenti per farvi patire. Ditemi i vostri nomi e la vostra patria » . — « Siamo Arabi, ed abbiamo nome, l’uno Cosma e l’altro Damiano. Abbiamo altri tre fratelli, che, come noi, adorano il vero Dio ». Lisia comandò loro d’offrir incenso al demonio. Poiché ricusarono, li fece mettere alla tortura, e fece loro soffrire supplizi terribilmente crudeli. Tuttavia i santi martiri erano così avvalorati dalla grazia di Dio, che ueppur sentivano i loro tormenti; sicché gli dissero: « Tu ci fai soffrire troppo leggermente; se hai altri supplizi, usali, perché questi neppur li sentiamo ». Il prefetto, divorato dalla rabbia, per sbarazzarsene più presto, li fece gettar in mare. Ma un Angelo ruppe le loro catene, li ritrasse dall’acqua e li ricondusse alla riva. Il prefetto, attribuendo questo prodigio al demonio, intimò loro d’insegnargli i sortilegi, di cui si valevano, per servirsene anch’egli com’essi. « Non sappiamo, risposero i martiri, che cosa sia magia, in nome di Gesù Cristo facciamo tutte queste cose. Se vuoi farti Cristiano, riconoscerai la verità di ciò che ti diciamo ». — « In nome del dio Apollo, riprese Lisia, voglio operare un simile prodigio ». Appena uscita dalle sue labbra questa bestemmia, due demoni s’impadronirono di lui, lo batterono senza misericordia, e lo avrebbero ucciso se i due santi non li avessero cacciati. « Vedi bene, gli dissero, che i tuoi dei non son che demoni, i quali cercano solo di nuocerti; riconoscerai adesso il nostro Dio, come il solo vero? Detesta dunque i tuoi idoli ». Non ostante la grazia ottenuta il prefetto rimase insensibile; di più fece condurre in prigione i suoi liberatori. Il giorno dopo comandò che gli fossero ricondotti innanzi, e, vedendo di non poterli vincere, fece accendere un gran fuoco e ve li fece gettar dentro. Ma essi passeggiavano in mezzo alle fiamme senza alcun dolore, anzi erano come in un giardino di delizie e cantavano inni di ringraziamento; e il fuoco, che non faceva loro alcun danno, si volse ad abbruciare gli idolatri, di cui gran numero perdette la vita. Queste meraviglie, che avrebbero dovuto convertire il prefetto, lo indurarono invece sempre più. Li fece stender sul cavalletto, ove i carnefici li tormentarono fino a perder la lena; poi furono appesi ciascuno ad una croce, per farne scempio a colpi di pietra; ma le pietre ricadevano impetuosamente su quelli che le lanciavano. Lisia, inasprito perché non riusciva a farli morire, diede egli stesso mano alle pietre per lanciarle sul loro capo; ma ricaddero su lui con tanta forza che gli spezzarono i denti. Diede poi ordine ai soldati d’armarsi di frecce per lanciarle contro i santi; ma anche queste, anziché nuocer loro, tornarono indietro e uccisero gran numero d’uomini e di donne venuti a vedere questo spettacolo. Il prefetto, disperando di farli morir in mezzo ai tormenti, li fece decapitare. Ecco che cosa può la grazia in un buon Cristiano, e ne’ figliuoli educati con cura da’ genitori, ispirando loro grande amor verso Dio, e sincero disprezzo dei beni di questo mondo e anche della vita. Avventurati figliuoli e beati genitori! Ecco, fratelli miei, come i buoni genitori salvano i loro figli! D’altra parte avete veduto, che i parenti senza Religione trascinano all’inferno con sé i loro poveri figliuoli, coi loro cattivi esempi, e col curarsi poco d’educarli nell’amor di Dio. Terminiamo, miei fratelli, dicendo che noi non siamo certamente esposti a prove sì grandi, come questi santi; ma se volessimo far buon uso delle pene, alle quali andiamo incontro, potremmo pur meritare la corona del martirio. Quante malattie, quante contraddizioni, quante umiliazioni, quanti disprezzi! Quante volte ci tocca rinunziare alla propria volontà, quanti sforzi dobbiam fare per perdonare e amare chi ci fa qualche cosa di male! Ebbene ecco il martirio, fratelli miei, cui Dio vuole che tolleriamo per meritare l’istessa felicità, di cui ora godono i santi! Chiediamo spesso, miei fratelli, a questi buoni santi d’ottenerci tal forza e tal coraggio nelle nostre prove quotidiane; così lavoreremo per piacere a Dio e pel paradiso. Questa felicità vi desidero.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.